Nel segno di Darwin (Spilimbergo - 2 febbraio 2010) EVOLUZIONE: La Parola della Scienza e la Parola della Fede … per iniziare […]Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o a una sola e che mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose. […] (Charles Darwin) (… il linguaggio darwiniano è quasi lirico) La Metodologia Dovendo stare con voi solo in questo incontro, necessariamente la sintesi richiesta lascerà delle insoddisfazioni teoriche e conoscitive. Cercheremo di rimediare proponendo uno schema eminentemente dialogico e di raffronto tra la scienza naturale e la sua epistemologia, e la fede teologale, che possiede una propria epistemologia, e soprattutto cercando di rigorizzare la terminologia utilizzata. Ho fornito agli organizzatori una breve bibliografia. La Scienza Nella cultura occidentale la parola “scienza” risale a circa 2500 anni fa, ed in greco si diceva ε̉πιστήμη (epistème): usavano il termine i “presocratici”, Socrate, Platone, Aristotele, stoici, etc.. Nell’antichità classica con epistème si intendeva ogni sapere umano legato alla natura φύσις (fùsis) e all’uomo ά̉νθροπος (àntropos). Il sapere umano concerneva tutti gli aspetti della vita individuale, familiare e collettiva, e di solito era trasmesso oralmente e mediante le scuole. La Scienza e la Sapienza Accanto alla parola “scienza” gli antichi della Tradizione, sia ellenistica, sia vicino-orientale (o biblica), utilizzavano la parola “sapienza” σοφία (sofìa, hokmà in ebraico), da cui il lemma filosofìa, cioè “amore per la sapienza”. La filosofia si è imposta subito come un sapere generalista e comprensivo di ogni epistemologia. In particolare, con la metafisica (od ontologia) classica si è fondata la “scienza dell’essere”. La Filosofia della Natura Dal periodo ellenistico, per tutto il Medioevo si è intesa la “scienza” come una conoscenza legata alla Tradizione giudaico-cristiana, in base a una cosmologia di tipo biblico, e a un naturalismo ispirato alla filosofia della natura di matrice classica (testi e autori principali: Timeo di Platone, Fisica di Aristotele, le opere di Porfirio, De Rerum Natura di Lucrezio, le opere di Democrito, Nemesio di Apamea, etc.). Si può dire che tra questi Platone e Aristotele, e i loro discepoli, erano “finalisti” o “causalisti”, mentre Democrito. Lucrezio, Empedocle e altri erano “casualisti”. La Scienza evolve La parola “scienza” ha cominciato ad assumere il significato moderno con Bacon, Galilei e Newton, quando la rivoluzione filosofica cartesiana (dal “cogito ergo sum”) e la rivoluzione scientifica galileiana (epistemologia deduttiva) ha posto l’uomo come soggetto primario e attivo della conoscenza, misconoscendo all’ontologia classica un ruolo gnoseologico fondativo, anche perché scaduta in una metafisica ripetitiva e stantia, molto distante dall’impostazione di Tommaso d’Aquino (più intellettualista) o di Bonaventura da Bagnoregio e Giovanni Duns Scoto (in questi due più volontarista). La Filosofia della Scienza Oggi, però, bisogna intendersi bene sul concetto di “scienza”. Una proposta (verificabile) di significato: “(scienza è) conoscenza certa ed evidente di un enunciato in forza del suo perché proprio, adeguato e prossimo”. E’ “scienza”, dunque, qualsiasi sapere epistemologicamente fondato su un sistema deduttivo-induttivo, progressivo ed approssimativo, indipendentemente dalla disciplina trattata, spettando solo alla matematica classica la condizione di incontrovertibilità logica, in quanto fondata sulla convenzione numerica e sul rigoroso procedere del principio di non contraddizione. La Scienza e la Filosofia Uno dei problemi che l’uomo contemporaneo deve risolvere, ancor prima del dilemma scienza/fede, è quello, dunque, di una dicotomia radicale tra le accezioni comuni di “sapere scientifico” e “sapere filosofico”, il secondo dei quali non avrebbe, secondo il senso comune, carattere di probatorietà analogo e tantomeno altrettanto denso del primo; ne conseguirebbe che, a maggior ragione, godrebbe di ancora minore plausibilità un pensiero religioso in tema di conoscenza del mondo e delle sue leggi. La Scienza e l’Ideologia Un altro tema è quello relativo all’ideologia: questo termine, nato durante la Rivoluzione Francese, rischia talora di essere erroneamente utilizzato in luogo di filosofia o di scienza; l’ideologia, come strutturazione del pensiero, in quanto collegata all’idealismo filosofico e all’utopismo, se non vigilata, rischia di far perdere il percorso razionale logico-argomentativo. La Scienza e la Bibbia In ogni caso, nel XVII secolo, Galileo stesso, nel corso della sua complessa vicenda scientificoprocessuale, ha ben chiarito che nella Bibbia “(…) l'intenzione dello Spirito Santo essere d'insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”. (dalla Lettera scritta dal Galilei a Maria Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana nel 1615) La Cosmologia e l’Evoluzione Prima di continuare il nostro percorso conoscitivo pare utile porsi un quesito: se sia il caso di mantenere una certa terminologia tradizionale. Ci sembra di sì. Pertanto, può e quindi deve essere posto un discorso razionale sull’evoluzione, sull’ontogenesi e sulla cosmologia, poiché correlate strettamente e concettualmente: oggi è dunque ragionevole proporre un’ipotesi cosmologica che contenga una ontogenesi evolutiva. La Rivoluzione filosofica e scientifica Sulle basi della rivoluzione filosofica cartesiana e della rivoluzione galileiana, nel XVIII secolo, con l’Illuminismo (degli Enciclopedisti francesi) e l’Empirismo (Locke, Hume, Berkeley) vengono poste le basi per una lettura della Tradizione filosofica e biblica non più letteralista, ma basata sull’interpretazione, sulla critica (Kant), separando la metafisica classica dalla scienza. Vedremo successivamente come tale distacco radicale abbia causato alcune negatività gnoseologiche. L’Origine dell’Uomo Siamo al dunque, allora, circa la domanda sull’origine dell’uomo, come animale razionale (coscienza riflessa e riflettente) e provvisto di senso etico, domanda che interpella un considerevole plesso interdisciplinare filosofico, biologico ed antropologico. La questione dell’evoluzione non data primariamente dalle ricerche di Darwin e Lamarck. È stata posta ben prima, sia pure indirettamente, proprio con il superamento della lettura letteralista della sacra Scrittura. Carlo Linneo (1707 - 1778) Carlo Linneo, circa verso la metà del ‘700 concepì un criterio empirico di classificazione molto semplice e molto potente: è a Linneo che si deve il modello dicotomico che ancora oggi è utilizzato da naturalisti e biologi. A fare da elementi portanti, da unità fondamentali del suo sistema di classificazione, Linneo pose i generi e le specie, che concepì come entità reali, fisse, suscettibili solo di modificazioni transitorie e secondarie. Linneo diceva: “Tot numeramus species quot ab initio creavit Infinitum Ens”. Jean B. de Lamarck (1744 - 1829) Lamarck partì dal concetto che le specie non fossero fisse (come pensava Linneo), ma capaci di adattarsi all’ambiente. Colse anche la presenza di alcune caratteristiche costanti nelle varie specie, che successivamente sono state chiamate “genetiche”. Ipotizzò un primo schema di ereditarietà e di adattatività all’ambiente delle varie specie. Weismann, però, dimostrò mezzo secolo dopo che i caratteri acquisiti non sono ereditari. Il merito di Lamarck fu però quello di rendere la biologia scienza utonoma dalla filosofia e dalla teologia. Charles Darwin (1809 - 1882) Darwin comprese che le variazioni nelle singole specie viventi fossero minuscole e continue, anche se non influenzate dall’ambiente, e ubbidissero a … leggi casuali. A ciò aggiunse il paradigma della selezione naturale, secondo la quale le varie specie si affermano in base alla loro forza intrinseca. Il suo schema era quello di un albero da cui si dipartono molti rami irregolari, come anche accade nei coralli. Gregor Mendel (1822 - 1884) Il pensiero darwiniano presentava però alcuni problemi, primo dei quali quello della variabilità. Al suo tempo, la biologia non poteva far conto della scienza che studia l’ereditarietà, cioè la genetica. Gregor Mendel, monaco agostiniano moravo, descrisse le modalità con cui i caratteri materni e paterni vengono ereditati dalla prole, caratteri che non hanno nulla di vago. Le successive scoperte permisero di identificare nel DNA la molecola portatrice dell’informazione ereditaria e nei geni (segmenti di DNA) le particelle materiali recanti l’informazione di ogni singolo carattere. Il Neodarwinismo (1920 - 1950) L’innesto delle nuove teorie di biochimica e biologia molecolare, asse costitutivo del cosiddetto neodarwinismo, teorie che raccoglie attualmente i maggiori consensi, però, ha teso a riconfermare il dato di una sostanziale casualità degli eventi evolutivi: il vivente varierebbe in modo anarchico e condizionato sostanzialmente dall’ambiente, il quale eliminerebbe gli individui più deboli. La difficoltà maggiore che si individua riguarda la confusione fra questa teoria e l’evoluzione vera e propria, che si presenta con una complessità non riassumibile in una sola teoria. Il Pluralismo teorico odierno Occorre infatti tenere presente che: A) tutti i viventi, anche i più complessi, discendono da uno o più progenitori comuni, particolarmente semplici, i batteri; B) nel corso di tale discendenza si è verificata la diversificazione dei viventi, C) la diversificazione dei viventi è stata accompagnata da un aumento di complessità e di evoluzione. Negli ultimi decenni si sono sviluppate teorie ulteriori, come il costruttivismo, il neolamarckismo e l’evoluzione punteggiata. I rischi delle nuove teorie I Come non è accettabile un ritorno puro e semplice a Linneo, in nome di una lettura letteralista e fondamentalista della Scrittura, già superata dalle Scienze bibliche (cf. i prodromi agostiniani e origeniani) da almeno tre secoli, può essere rischioso, anche da un punto di vista scientifico, se per scienza intendiamo ciò che si è detto più sopra, escludere in via prioritaria ogni ipotesi finalistica, che non appartiene comunque allo statuto epistemologico delle scienze naturali, bensì allo statuto delle scienze filosofiche e teologiche. Infatti, le scienze naturali debbono statutariamente rispondere ai “come”, mentre spetta alla filo-sofia (e alla teo-logia) cercare di esplorare le risposte ai “perché”. I rischi delle nuove teorie II La negazione “scientifica” di qualsiasi finalità porta poi a negare qualsiasi legge o logica del vivente. È strano, ma secondo il neodarwinismo (che ha mentori e autori come Pievani, la Hack, Dawkins, e divulgatori come Piero Angela), la scienza non dovrebbe neppure chiedersi se vi siano leggi preposte al mondo della vita, ma limitarsi a registrare empiricamente i fenomeni, che accadrebbero per pura e caotica casualità. Pare di poter dire che vi sia sotteso un qualche peccato di ideologismo (?). I limiti della teoria del “caso” Innanzitutto il termine “caso”, come significato, non è sinonimo di “probabilità”, e, sia nella scienza deterministica classica, sia nella statistica contemporanea “caso” significa letteralmente “mancanza di intelligibilità”, terzo, il “caso” non è, quindi, in grado di spiegare niente, né può esser considerato un agente che facilita l’evoluzione. Si può dire che vi è qualche problema, forse? Il “creazionismo” Sull’altro versante, specialmente in ambienti protestanti fondamentalisti americani, ha preso molto vigore una forma di “creazionismo”, per il quale bisognerebbe tornare ad una interpretazione letteralista dei primi due capitoli della Genesi, interpretazione respinta perfino dai Padri della Chiesa dei primi secoli. L’errore è analogo a quello dell’ideologismo scientifico: dare risposte teologico-religiose a quesiti scientifici. Il “disegno intelligente” Si tratta di una teoria creazionista più raffinata. L’errore commesso, però, è della stessa natura del creazionismo, un errore di natura epistemologica: non si può infatti chiedere alle scienze sperimentali delle risposte che sono di eminente carattere filosofico-teologico, cioè, il darsi o non darsi di Dio, di un Ens Infinitum (Linneo), o di un Ipsum Esse Subsistens (San Tommaso d’Aquino), e perciò non afferenti le scienze empiriche. Il contrasto teorico corretto è dunque tra evoluzionismo e fissismo. L’Interpretazione della Bibbia I Dalla metà del XVIII secolo iniziò una nuova metodologia di lettura della Bibbia, soprattutto a cura di alcuni filologi illuministi tedeschi e francesi (Reimarus, Lessing, Simon, etc.). Costoro scelsero di interpretare la Scrittura utilizzando,: A) da un lato i modelli dell’esegesi mutuata dall’allegoria e dalla tipologia dell’esegesi ellenistica classica, per cui la Scrittura è Parola ispirata all’autore umano dallo Spirito Santo, ma si esprime per metafore e altre figure narratologiche, volendo Dio stesso che l’uomo giunga alla Verità con le proprie forze; ed esistendo un rapporto figurato tra protagonisti ed eventi del Primo Testamento, come Adamo, Abramo, Davide, il diluvio universale, le guerre, le carestie, la malattia e la morte, etc., e personaggi e storie del Nuovo Testamento, come Gesù di Nazareth, Maria sua madre, gli apostoli, il battesimo di Gesù, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, i “segni” o miracoli, etc.; B) dall’altro lato l’analisi storico-critica che utilizza la ricerca storica, archeologica e delle scienze umane (sociologia, antropologia, etc.), che sono da tenere in considerazione come dati di conoscenza fondamentali. L’Interpretazione della Bibbia II L’ermeneutica biblica, dunque, fondata sulla lezione dei grandi Padri occidentali (Ireneo, Girolamo, Agostino, etc.) e orientali (Origene, i Cappadoci, il Crisostomo, etc.), non ha mai temuto di non ritenere che la “lettera” del testo sacro intendesse un senso e un significato immediatamente evidente, veridico e plausibile appunto, alla lettera, secondo lo schema della storiografia e della scienza moderne. L’interpretazione spirituale, secondo questi esegeti, doveva essere il fine dei perfecti, cioè dei cristiani che volevano veramente, di tutto cuore, penetrare la Parola. Poi la storia ci ha mostrato che le cose sono andate anche diversamente, con il caso Galileo sopra tutti. Papa Giovanni Paolo II ha chiuso una triste vicenda nella quale la Chiesa cattolica non ha certo brillato. Fissismo ed Evoluzionismo I Ma la questione, che nell’’800 era posta come contrasto tra i cosiddetti “fissisti” creazionisti e gli “evoluzionisti” darwiniani, sotto un certo profilo rimane aperta al dibattito. Si tratta solo di porlo sul piano epistemologicamente più corretto. Non vi è infatti alcun contrasto fra l’evoluzionismo (più o meno darwiniano) e una fede in Dio, poiché nulla e nessuno vieta che le due “credenze” siano contemperabili, essendo poste su piani cognitivi ed intellettuali differenti. Fissismo ed Evoluzionismo II La credenza nel dato scientifico è incontrovertibile fino a che la scienza stessa con il suo metodo deduttivo-induttivo non lo metta in questione. La credenza in Dio è atto intellettuale volontario (favorito dalla Grazia), che non preclude alcunché alla ricerca dell’intelletto umano. La creazione come atto divino non è assolutamente in contrasto con l’evoluzione, essendo plausibile anche come atto intellettivo-volontario (si fa per dire, usando il linguaggio umano) continuo nella creazione stessa. Fissismo ed Evoluzionismo III Si tratta del famoso detto scolastico del “sostegno nell’essere” di tutte le creature. Spesso nella Scrittura il testo è enigmatico e contorto, come sanno bene i biblisti cristiani, gli esegeti giudaicotalmudici e i dottori musulmani, poiché anche la vita e l’uomo stesso sono complessi, essendo creature. La molteplicità e l’evoluzione, il divenire e la storia sono tipici di ciò che è imperfetto, mentre ciò che è perfetto e perfettamente (totus et totaliter) auto-nomo non può essere che Dio. Ma questa è questione di fede (e anche di ratio). L’Origine della Vita I Sappiamo che la vita non può prescindere dalla cellularità. Occorrono delle proteine strutturate per certe funzioni e un dove si deposti il patrimonio genetico, con una membrana che separi e unisca tutto questo con il mondo circostante. È stata necessaria una lunga fase fisico-chimica, cioè prebiotica. Trecento milioni di anni ci sono voluti per questa fase, forse, dalle catastrofi iniziali fino alla comparsa delle prime strutture viventi, circa tre miliardi e mezzo di anni fa. L’Origine della Vita II Un’evoluzione chimica che ha proceduto per prove ed errori? In laboratorio si è riusciti a creare degli aminoacidi e di altre molecole organiche sottoponendo a scariche elettriche una miscela di gas simile a quella che si ritiene fosse stata quella delle origini. Qualcuno sostiene che, non essendovi stato tempo sufficiente sulla terra per tutto ciò (fase pre-biotica), questi composti primordiali sarebbero venuti dallo spazio profondo, dalle stelle, e cioè che saremmo “figli delle stelle” (Margherita Hack e … Alan Sorrenti). L’Origine della Vita III Si trattava certamente di cellule simili a quelle dei batteri (procariotiche, cioè sprovviste di un nucleo chiaramente identificabile, come le nostre attuali dette eucariotiche). Pare che le prime cellule con nucleo siano comparse un miliardo e mezzo di anni fa. Poi vi è stato lo sviluppo pluricellulare, nelle varie forme della vita, sviluppando quelli che abbiamo chiamato noi umani: “regni”. L’esplosione del Cambriano Ciò che la scienza biologica non è riuscita a spiegare è come, dai resti fossili rinvenuti, circa 500 milioni di anni fa, in qualche decina di milioni di anni (+ o 30?), si siano formati quasi tutti (una trentina) tipi animali oggi esistenti. Da quel momento in poi è iniziato un lungo periodo di evoluzione più lineare e relativamente lenta che ha portato alla situazione attuale. Così la Natura si è preparata alla venuta dell’Uomo. L’Evoluzione dell’Uomo I I primi resti di vertebrato risalgono a 450 milioni di anni fa. I primi vertebrati terrestri a 350 milioni di anni fa. I primi amnioti (rettili, uccelli, mammiferi) a 320 milioni di anni fa. I mammiferi quali oggi conosciamo circa 100 milioni di anni fa. Le scimmie si sono differenziate dalle proscimmie circa 50 milioni di anni fa. L’Evoluzione dell’Uomo II Il resto, afferma Edoardo Boncinelli, è storia di oggi. … per dire: la separazione fra le grandi scimmie, cioè gorilla, scimpanze, orangutan e i “nostri antenati” è avvenuta all’incirca 25 milioni di anni fa, mentre la separazione del fascio, potremmo dire, “antropologico”, si pensa, attorno a 5/6 milioni di anni fa. Allora sono comparsi gli Australopitechi, che hanno tenuto il campo per poco più di un paio di milioni di anni… L’Evoluzione dell’Uomo III … ma circa un milione di anni fa hanno dovuto cedere al genere homo, che comunque pare sia comparso circa 2, 4 milioni di anni fa, non si sa se diretto discendente dai primi. Forse anche può essere da un asse parallelo, si sono sviluppati: l’homo habilis, l’homo erectus (o ergaster). L’ominazione o ominizzazione/ominazione si è così avviata… L’Evoluzione dell’Uomo IV Che cosa fa sì che l’uomo sia tale? A) il linguaggio, B) la stazione eretta? C) l’uso di strumenti e utensili? D) l’autocoscienza? E) il senso morale? L’Evoluzione dell’Uomo V Vediamo il quoziente di encefalizzazione dell’uomo comparato con quello degli altri grandi primati: - 2 per i gorilla - 2, 5 per gli australopitechi - 3, 1 per l’homo habilis (700 cmq) - 3, 3 per l’homo erectus (900 cmq) - 5, 8 per l’homo sapiens (1200/1440 cmq) … L’Evoluzione dell’Uomo VI Del linguaggio come codice non sappiamo nulla, possiamo presumere di lallazioni primordiali, almeno fino all’invenzione delle scritture, prima ideografica e poi alfabetica, che risale ad alcune migliaia di anni fa. Il passaggio dai primi suoni ai primi segni che significassero alcunché sappiamo molto poco… Può essere ad esempio che il suggere del latte materno abbia prodotto “mmmm(amma)”, e lo sputare abbia prodotto “pppp(apà), … L’Evoluzione dell’Uomo VII 49 cellule “Har” sembra siano le cosiddette “aree accellerate” del Dna dell’uomo, cioè quelle che fanno di questo grande primate un uomo. Ricercatori statunitensi, belgi e francesi hanno potuto stabilire che i 18 costituenti elementari del Dna (nucleotidi) sui 118 che lo compongono, hanno modificato in profondità le combinazioni da quando si è verificata la divisione degli ominidi dai primati, circa cinque/sei milioni di anni fa. La considerazione che fa contrasto con la scoperta è che negli oltre 300 milioni di anni precedenti (cioè, dalla “comparsa” dei primati) solo due nucleotidi si erano parzialmente modificati. L’Evoluzione dell’Uomo VIII È successo, dunque, che dalla scissione fra ominidi e “restanti” primati (gorilla, scimpanzè, oranghi, etc.), lo sviluppo genetico evolutivo del “fascio antropologico” che ha portato all’homo sapiens ha avuto una straordinaria accelerazione, diversificazione e complessificazione. Dice David Haussler del Howard Hughes Medical Institute: “Ciò che abbiamo messo in evidenza potrebbe spiegare il passo fondamentale che ha portato allo sviluppo del cervello umano, anche se dobbiamo trovare la prova definitiva di ciò che fa davvero la differenza con gli scimpanzè. Questo studio è stato davvero una ricerca innovativa perché ha utilizzato l’evoluzione per studiare regioni del nostro genoma che fino ad oggi erano rimaste inesplorate”. L’Evoluzione dell’Uomo IX La questione è dunque se la differenza tra uomo e gli altri primati sia imputabile ad una sola area del genoma. Su ciò risponde Claude Bernard, dell’università di Bruxelles, uno tra i ricercatori coinvolti: “No, non può essere una sola area genetica, bensì una serie di mutamenti in aree diverse”. Fino ad ora la ricerca si è soffermata sulla regione chiamata Har1, comprendente due geni, uno dei quali Har1F sarebbe molto attivo nella formazione delle cellule nervose che si sviluppano nelle prime settimane di vita del feto umano, le quali sono preposte alla strutturazione degli strati della corteccia cerebrale. La ricerca continua. La Parola della Scienza e della Fede I Vi può dunque non esserci contraddizione tra le teorie evoluzionistiche e la dottrina cristianocattolica sulla creazione, poiché oggi è riconosciuta una legittima autonomia della scienza, che utilizza il pensiero razionale logico-argomentativo, ma va preservata anche un’altrettanto legittima autonomia al discorso religioso e teologale (di fede), il quale utilizza ragionevolmente un pensiero diverso, ma comunque rappresentativo di un modo plausibile del fluire concettuale. La Parola della Scienza e della Fede II La scienza e la fede teologale stanno rispettivamente su delle “frontiere” dalle quali si guardano, ma sempre attingendo entrambe, anche se in modi diversi, alle risorse della razionalità umana. Afferma Fiorenzo Facchini che l’homo erectus è studiato dalle varie scienze: la paleontologia, l’anatomia, la genetica, etc., , fino alla constatazione della presenza dell’homo sapiens sapiens, ma oggi siamo qui a constatare che la specie umana è l’unica (anche tra i grandi primati) in possesso di coscienza riflessa e di senso etico… E ciò dovrebbe costituire problema (dal verbo greco προβάλλω, metto davanti) anche per coloro che negano (ideologicamente) ogni finalismo. Si dovrebbe porre, inoltre, la plausibilità di una distinzione rigorosa fra i “fondamenti delle fedi religiose” e i “sistemi e paradigmi scientifici di una data epoca”. L’ipotesi della “causa prima” Se l’evoluzionismo delle forme vitali naturali, uomo compreso, allo stato delle conoscenze scientifiche, deve essere ragionevolmente accettato, perché non ipotizzare ragionevolmente che possano darsi “differenziazioni ontologiche” tra i viventi e l’uomo, proprio perché l’uomo è in grado di porsi il tema di tutto ciò che è altro da lui stesso? … e che tali differenziazioni ontologiche possano rispondere a una Logica (Lògos, Mens) Intelligente? L’ipotesi delle “cause seconde” Si può ipotizzare, o comunque non escludere anche razionalmente, che ciò che la scienza empiricamente e meccanicisticamente comprova, compresa l’ammissibilità del caso, costituiscano parti di una visione inaccessibile alla metodologia logico-deduttiva della scienza stessa? Si può ipotizzare, o comunque non escludere l’ammissione di una specie di “supervisione” nell’ambito dell’evoluzione dei viventi, poiché le leggi della biologia, ancora in larga parte non conosciute, sono più complesse delle leggi della meccanica, della fisica e della chimica? Si possono, per il momento, chiamare “cause seconde” (o prime?) queste leggi non conosciute? Un recupero di due cause? I Come è noto Aristotele poneva nella sua Fisica la necessità di quattro cause del moto dei viventi, tutti comunque sottoposti ai processi di generazione e corruzione: Causa materiale, Causa efficiente Causa formale, Causa finale . Oggi sono state scartate la “formale” e la “finale”. Un recupero di due cause? II Pensiamo all’essere umano: nel suo unicum la forma è “ciò che lo anima” rendendolo unità singola e conferendogli carattere umano. Una volta persa la forma, gli elementi materiali si decompongono (fosfati) e il corpo cessa di essere umano. È dunque vano cercare di definire l’essere umano unicamente in base alle sue componenti fisiche. Senza la forma o “causa formale” è impossibile dare ragione dell’unità e identità specifica di qualsiasi sostanza. O no? Un recupero di due cause? III Nel regno dei viventi la causalità finale ha un ruolo prioritario. Gli organi di tutti gli animali e delle piante, e a maggiore ragione del corpo umano non sarebbero comprensibili se non in base alla loro finalità. Il cervello stesso dell’uomo (che è la macchina più complessa presente in natura) non è comprensibile se non unito alla facoltà di pensiero che è il suo scopo, e che permette questo nostro incontro, così come non lo è l’occhio se separato dalla sua funzione del vedere. I due sguardi (della ragione umana) Senza che ciò sia esaustivo e conclusivo, si può dire che la scienza può gettare e getta una luce su come funziona la natura, contribuendo a migliorare di molto le condizioni della vita umana e di questa tra gli altri viventi, ma la fede teologale può dare una risposta all’anelito naturale di conoscenza dei perché umani, dei quesiti attorno al dato dell’esistenza, della vita e della morte. Lo scientismo ateo militante e l’integralismo letteralistico sono ambedue nemici della recta ratio. Lo spirito è più della vita E concludiamo con i pensiero di uno scienziato, che era anche un religioso, il p. Teilhard de Chardin: “[…] la maniera più espressiva e più intimamente esatta di raccontare l’Evoluzione universale consisterebbe probabilmente nel rintracciare l’Evoluzione nell’Amore.” (Pierre Teilhard de Chardin)