4. Il legame forte tra etica della vita ed etica sociale

annuncio pubblicitario
Il legame forte tra etica della vita ed
etica sociale
0. L’affermazione di “Caritas in
veritate” e il contesto culturale
Un’affermazione nuova dell’enciclica caritas in veritate di
Benedetto XVI, è l’acquisizione della bioetica come parte
integrante della dottrina sociale della Chiesa e quindi della sua
rilevanza pubblica. Il pontefice bavarese, infatti, «propone con
forza questo collegamento tra etica della vita e etica sociale»
(n.15). A fronte di una cultura dominante di ben altro tenore.
L’egemonia culturale attuale tende, infatti, a imporre un
processo quanto mai forte di confinare l’etica della vita e della
famiglia nel mondo del privato, senza alcuna rilevanza pubblica,
mentre riconosce cittadinanza etica solo ai fenomeni di natura
ecologica, economica e fiscale Grande corifeo rappresentativo,
non certamente l’unico, di questa posizione è H. T. Engelhardt
La traduzione di tale visione in campo dell’amore e della vita è raccolta da Singer
che opta addirittura per una irrilevanza etica del sesso, mentre accredita la rilevanza etica
di altri comportamenti, come guidare l’automobile, pagare le tasse, non pagare le
tangenti, aiutare realmente le nazioni più povere, sui quali certamente i credenti non
avrebbero da litigare con lui. A motivo di una visione olistica della vita, dell’«uomo integrale,
nell’unità di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e di volontà» (GS 3: EV 1/1322),
collegato intimamente all’universo dalla sua corporeità (cfr. GS 14: EV 1/1363). Visione che
l’Incarnazione del Verbo di Dio avvalora e approfondisce (cfr. GS 22: EV 1/1386; Dominum et
vivificantem, 50: EV 10/574-576). Senza indulgere ad un’etica individualistica, nell’assolvimento
del pagamento delle tasse e dell’osservanza delle «norme stabilite per la guida dei veicoli» (GS 30:
EV 1/1413).
La posizione di Engelhardt e di Singer propone una moralità molto tollerante in
bioetica e altrettanto intollerante in ecologia, intesa in senso ampio. A ben vedere,
non è che una delimitazione del tutto arbitraria della dimensione pubblica e di quella
privata. Si può veramente sostenere che i temi sensibili dell’amore e della vita
appartengono alla sfera privata, quando investono l’assetto giuridico, le risorse
economiche, le abitudini sociali di un’intera comunità e prospettano un altro ordine di
convivenza sociale?
Il tema dell’amore e della vita riguarda la
persona in relazione e il futuro delle
generazioni. Il richiamo alla tolleranza, che si
vorrebbe estendere anche sul piano giuridico,
mentre invoca spazio di attuazione al proprio
avversario perché non imponga la sua visione
morale, nasconde una subdola e sostanziale
imposizione di un modello comportamentale
su un altro: ad esempio, tollerare la bigamia
equivale ad abolire il modello monogamico,
tollerare l’eutanasia significa renderla un atto
comune, dinanzi a cui nessuno più si indigna.
Non è che un fatalismo sociale, mascherato
per di più dal principio imperante
dell’autonomia deliberatamente sganciato dal
principio di vulnerabilità, che costituiva l’altra
faccia dell’unico volto morale dell’uomo.
Ci si richiama così alla libertà di coscienza, che, però, può essere
tale se è formata e se riconosce realmente i valori costituzionali da
cui si sente illuminata e guidata. Perché oggi si tenta di ancorare la
nostra democrazia non più alle scelte costituzionali, garanti dei
diritti e dei doveri del primato della dignità umana e giudici delle
nostre decisioni quotidiane, ma all’inversione tra scelta e decisione,
«affievolendo o rimuovendo le scelte costitutive per la convivenza e
anteponendo ad esse la possibilità di decidere secondo criteri e
valori estranei alla dignità e ai diritti umani»
1. La lezione centrale di “Caritas in veritate”:
l’”Humanae vitae” quale parte dell’etica sociale
Il documento pontificio, Caritas in veritate, intende commemorare e attualizzare,
a poco più di quarant’anni dalla pubblicazione, l’enciclica di Paolo VI, la
Populorum progressio, che Benedetto XVI considera «come “la Rerum novarum
dell'epoca contemporanea”, che illumina il cammino dell'umanità in via di
unificazione». Ora strettamente legata allo sviluppo umano è proprio l’enciclica
contestata, l’Humanae vitae, che assieme all’Evangelii nuntiandi dell’8 dicembre
1975 è molto importante «per delineare il senso pienamente umano dello sviluppo
proposto dalla Chiesa. È quindi opportuno leggere anche questi testi in relazione
con la Populorum progressio» (n. 15). Per cui viene insegnato che l’«Enciclica
Humanae vitae sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della
sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo
e donna, che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella
complementarità; una coppia, dunque, aperta alla vita.
Non si tratta di morale meramente individuale: la Humanae vitae indica i forti legami
esistenti tra etica della vita ed etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che
ha via via preso corpo in vari documenti, da ultimo nell'Enciclica Evangelium vitae di
Giovanni Paolo II » (n. 15).
L’affermazione di Benedetto XVI sembra potersi condensare e sviluppare in due
assunti fondamentali: a) l’Humanae vitae è il naturale compimento e completamento della
Populorum progressio; b) l’Humanae vitae inaugura una tematica magisteriale nuova,
quella del legame intrinseco e forte tra etica della vita ed etica sociale, che
nell’Evangelium vitae trova il suo coronamento definitivo.
1. 1. L’”Humanae vitae” parte integrante,
radice e completamento dello sviluppo umano
Il legame così stretto tra Populorum progressio e Humanae vitae è consapevolmente
presente nella coscienza magisteriale di Paolo VI. Stranamene l’enciclica non vi fa
riferimento in nota, ma il profetico papa del Concilio lascia alla Chiesa questa eredità
esplicita del suo magistero. La sua ultima omelia, quella del 29 giugno 1978, è un vero
e proprio testamento ecclesiale sulla verità e sulla tutela della vita. L’omelia ha due
punti testamentari: la tutela della fede e la difesa della vita. Dopo avere professato di
non avere tradito «il santo vero», Paolo VI, in forma molto semplice, riafferma il suo
magistero sociale che riassume nella difesa della vita. Il titolo del secondo punto è
infatti: «II. Tutela della vita». E fa un’affermazione generale: «In questo impegno
offerto e sofferto di magistero a servizio e difesa della verità, noi consideriamo
imprescindibile la difesa della vita umana». Fedele al dettato conciliare, «noi abbiamo
fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa
può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa» Cfr. PAOLO VI, Omelia Le
immagini (giovedì 29 giugno 2009), in Idem, Insegnamenti di Paolo VI XVI (1978) 519523.
Egli stesso rammenta e fissa i punti più significativi e nevralgici testimoni della sua fedeltà
all’assise conciliare, ponendo in uno stesso capitolo, quello sociale, la Populorum
progressio e l’Humanae vitae, ma anche tutti gli interventi successisi sia direttamente
pronunciati sia tramite i documenti emanati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede,
in cui si dà un unico programma di difesa sociale della vita: «Rammentiamo anche qui i
punti più significativi che attestano questo nostro intento.
a) Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale
dei popoli in via di sviluppo, con la enciclica “Populorum Progressio”.
b) Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse
della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro
insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale
“Gaudium et Spes”, ammoniva che “la vita, una volta concepita,
dev’essere protetta con la massima cura, e l’aborto come
l’infanticidio sono abominevoli delitti”. Non abbiamo fatto altro
che raccogliere questa consegna, quando, dieci anni fa,
promanammo l’Enciclica “Humanae Vitae”: ispirato all’intangibile
insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della
legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul
rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e
alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di
nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche
legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e
alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno»
Così egli ha cura di accreditare quale parte di questo inscindibile binomio ogni altro
suo intervento magisteriale successivo all’Humanae vitae diretto o indiretto
sull’argomento
E tutto ciò, nel cuore del grande pontefice, indotto dall’amore ai giovani, delusi e
scoraggiati dalla società degli adulti, i primi «a soffrire degli sconvolgimenti della
famiglia e della vita morale»
A me sembra, poi, che per un altro versante viene affermato questo legame forte tra
etica della vita ed etica sociale. Riguarda l’affermazione centrale della Populorum
progressio, di natura antropologica: l’autentico sviluppo umano è legato a ogni vita quale
vocazione aperta all’Assoluto. Benedetto XVI riprende, sintetizza e pone tale visione
dell’uomo a fondamento del dovere del magistero della Chiesa di intervenire e
illuminare il cammino dell’umanità nella vita sociale: «Dire che lo sviluppo è vocazione
equivale a riconoscere, da una parte, che esso nasce da un appello trascendente e,
dall'altra, che è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo.
Non senza motivo la parola “vocazione” ricorre anche in un altro passo dell'Enciclica, ove si afferma: “ Non vi
è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre
l'idea vera della vita umana”» (n. 16). Questa antropologia innerva l’Humanae vitae: «Il problema della
natalità, come ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato, al di là delle prospettive parziali
- siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico - nella luce di una visione integrale
dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» (n. 7).
Infine, non va dimenticata la valenza politica di Humanae vitae. Il terzo mondo e la stessa Africa
accolsero l’insegnamento del pontefice come un atto di liberazione politica e di salvaguardia della figura
della donna come del rispetto dei ritmi biologici. Tutti i popoli in via di sviluppo considerarono l’enciclica
come un vero e proprio baluardo contro l’imperialismo ideologico, farmaceutico, economico e finanziario
dell’Occidente ricco, che con la cultura contraccettiva intende esportare nel mondo il proprio stile di vita e di
benessere: «Chi impedirà ai governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo
ritenessero necessario, il metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace?», rischiando di «lasciare in
balia dell’intervento delle autorità pubbliche il settore più personale e più riservato della intimità coniugale»
(Humanae vitae, 17).
1.2. L’Humanae vitae inaugura il legame
tra etica della vita ed etica sociale?
A me sembra, poi, che su questo secondo punto, l’affermazione di Benedetto XVI
vada posta in senso interrogativo. Perché non bisogna mai dimenticare che la visione
cristiana della vita ha come suo fondamento il matrimonio stabile tra un uomo e una
donna come primo caposaldo della dottrina sociale cristiana. Inoltre, al centro della
riflessione del progetto storico della sessualità che è il matrimonio, questo appare
come un istituto al servizio della vita e della vita più debole sia in senso
intra/generazionale che intergenerazionale. Se la dinamica della castità è l’amicizia, fa
parte di essa il sacrificio e la cura che richiede ogni vita (cfr. Evangelium vitae, nn. 9294). Per questo è stata tesi costante dell’insegnamento della Chiesa la condanna
dell’aborto non solo come parte della morale coniugale, ma anche della dottrina
sociale credente:
«Al centro di questa dottrina il matrimonio è apparso come un istituto al servizio della
vita. In stretto legame con questo principio, Noi, secondo l’insegnamento costante
della Chiesa, abbiamo illustrato una tesi che è uno dei fondamenti essenziali non solo
della morale coniugale, ma anche della morale sociale in genere: cioè che il diretto
attentato alla vita umana innocente, [...] è illecito»
La Mater et magistra di Giovanni XXIII lo riprende al n. 181, avvertendo, al n. 182, di non far
scivolare l’etica ad etologia, verso cui frange moderne di pensiero tentano di far approdare l’umanità.
Il problema “aborto” ripropone il problema della vita e l’insegnamento ecclesiale sul tema
come parte della «questione sociale», anzi come la forma o la configurazione attuale della dottrina
sociale della Chiesa. Cosicché le encicliche sulla famiglia e sui problemi della vita e della fecondità,
come Humanae vitae, Familiaris consortio e Donum vitae, si situano sul versante della Pacem in
terris di Giovanni XXIII e le costituzioni conciliari Gaudium et spes e Dignitatis humanae, mentre
rivelano la loro affinità con i documenti sulla teologia della liberazione Libertatis nuntius e Libertatis
conscientia.
La visione dell’uomo propria del Concilio Vaticano II è tutta concentrata nel servizio verso gli
uomini soprattutto verso i più poveri (Gaudium et spes). Questo modello e missione della Chiesa di
servizio verso i poveri, gli emarginati, gli oppressi, autentica riscoperta del Concilio, in cui la Chiesa
incontra il suo Signore pellegrino tra gli uomini e fa sua l’identità cristologica della sua vita (cfr. NMI,
49-50), è parte della dottrina morale rinnovata e innerva le radici della difesa e promozione dei diritti
della dignità umana.
Evangelium vitae non fa che esplicitare tutta la portata rivoluzionaria sociale del progetto morale della
sessualità. Infatti, in un singolare richiamo analogico, la problematica inerente alla questione bioetica
è paragonata alla questione operaia affrontata poco più di un secolo fa da Leone XIII nella Rerum
novarum, con cui si inaugura l’insegnamento ufficiale della dottrina sociale della Chiesa. Questo taglio
specifica il problema della vita come la «questione sociale» del nostro tempo (cfr. n. 5). Tale
parallelismo, peraltro tradizionale, considera il problema della vita come parte integrante della dottrina
sociale cristiana e perciò del vangelo di liberazione affidato alla Chiesa. Dalla questione operaia
(Rerum novarum) si passa alla questione sociale (Quadragesimo anno), ai diritti umani e al problema
della pace (Pacem in terris, Mater et magistra, Gaudium et spes), al problema dello sviluppo
(Populorum progressio, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus) per approdare al problema della
vita (Humanae vitae, Donum vitae, Veritatis splendor ed Evangelium vitae, Dignitas personae).
Non è che la coerenza con il primato della persona e con il principio fondamentale della
morale sociale cristiana del «ripartire dagli ultimi» o della «scelta prioritaria degli ultimi» «quale forma
speciale di primato nell’esercizio della carità» (cfr Sollicitudo rei socialis, n. 42; Centesimus annus, n.
11), che individua nelle categorie a rischio della vita i nuovi soggetti della cura della carità: i proletari
del terzo millennio sono proprio i bambini ancora non nati, i malformati, i malati, specie terminali, gli
anziani. Come si vede, il principio del «ripartire dagli ultimi» ha uno spettro più ampio di applicazione
della mera sfera economica.
Una sfida questa che investe cittadini e legislatori, chiamati a
programmare nuove politiche sociali, per realizzare una società a
misura di uomo (n. 101; cfr.n. 77).
La cura del più debole richiama anche il principio della
«destinazione universale dei beni» che è l’ossatura dell’insegnamento
sociale cristiano ancorato a un’antropologia comunionale in cui la
persona si autocomprende ed esprime come dono sincero di sé. Ne
consegue non solo il diritto sacro e inviolabile di ogni forma di vita che
costituisce «un bene indivisibile», ma anche della sollecitudine e del
rispetto «di tutta la vita e della vita di tutti», compresa quella della vita
inanimata e della vita vegetale e animale
Questo rispetto delle minoranze e dei meno forti costituisce la cartina di tornasole e il banco
di prova di ogni sviluppo autenticamente democratico soprattutto per le future generazioni,
pena la prospettiva di aprire la porta a un vero e proprio totalitarismo. Anche per questo la
Evangelium vitae è stata considerata come enciclica politica. La prospettiva di una morale
individuale viene coniugata in forma articolata con la prospettiva sociale avendo cura di porre
in primo piano gli aspetti socio-politici. Il tema della vita è affrontata con la categoria teologica
di «struttura di peccato», mentre la responsabilità soggettiva, termine che ricorre ben tre
volte (nn. 12, 18, 66), per evidenziare l’imputabilità delle singole persone, viene ricompresa
nel contesto della socialità del sentire comune morale cui inevitabilmente la coscienza fa
riferimento nella formazione del suo giudizio e a cui spesso non sa sottrarsi.
Si dimentica troppo spesso che le biotecnologie significano il potere di alcuni
esperti sugli altri uomini col rischio di concedere ad alcuni uomini di fare di altri
ciò che vogliono. Per la costruzione di una società giusta, bisogna «riscoprire
l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla
verità stessa dell’essere umano e tutelano la dignità della persona: valori,
pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno stato
potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere,
rispettare e promuovere» (n. 71). L’aspetto politico della vita umana è presente,
soprattutto per richiamare i responsabili del bene comune sulla minaccia che
incombe sulla radice del vivere democratico.
Va detto, infine, che Veritatis splendor e Fides et ratio offrono un
notevole arricchimento a Humanae vitae per le enucleazioni delle tendenze
distruttive del moderno e postmoderno di fronte alle quali l’Humanae vitae
propone la sfida cristiana dell’azione morale giusta. Anche l’ultima istruzione
Dignitas personae dell’8 dicembre 2008 si pone in continuità e sviluppa la
ricaduta sociale dell’Humanae vitae.
Conclusioni
Il messaggio dell’Humanae vitae non è solo e primariamente la proposta di
un’etica meramente individuale, che voglia normare e guidare la formazione del
giudizio della coscienza coniugale, ma
appare quale visione fondativa
dell’essere umano in società, in compagnia con gli uomini e la creazione nel suo
ritorno fraterno e cosmico a Dio. La contraccezione, infatti, induce
necessariamente una revisione della vita umana in senso materialistico,
ponendo le basi per una diversa società da quella che la fede cristiana
testimonia nella sua fede nell’unico Dio, che lo chiama ad amare Dio e il
prossimo con le tre forme fondamentali in cui si dà l’amore umano: l’avere, il
potere e il sesso. Proprio per questo ci sembra di potere affermare che il vigore
profetico di Humanae vitae, è capace di scoprire i punti nevralgici di diverse
tendenze della cultura moderna occidentale, quali l’influsso «della ragione
strumentale dell’individualismo nel progetto di valori e di criteri etici in una
visione integrale dell’essere umano corporeo e spirituale e delle sue relazioni».
La coscienza ecologica sviluppata del nostro tempo riconosce la necessità di
rispetto dei processi biologici, compresi quelli umani, a fronte della critica diffusa
all’Humane vitae di biologismo.
In un mondo globalizzato, l’enciclica pone seri
interrogativi ai popoli del mondo di non discriminare e di
non progettare e imporre politiche riproduttive lesive della
famiglia e dell’uomo. Il vigore profetico di Paolo VI offre lo
sviluppo cristiano di un ambiente etico e spirituale per
l’esercizio responsabile della riproduzione umana, e
propone l’elogio della giustizia e della gratuità quale sfida
evangelica di guarigione di molte tendenze del nostro
tempo. E la sfida si fa testimonianza e annuncio
anticipato, per nulla conservatore, di una società a
misura dell’uomo e di ogni creatura.
Conclusione: visione unitaria
teologico-etica della sessualità
Si capisce perché, nella visione cattolica, il contenuto teologico-eico della castità o del progetto dell'
amore sessuale viene così condensato:
«la consegna sessuale totale tra uomo e donna è lecita solo nel contesto del matrimonio legittimo. Ma
le condizioni oggettive (indipendentemente dall'intenzione o volontà degli sposi o del singolo) richieste
per la moralità del rapporto sono la realtà procreativa degli atti e quella unitiva (amorosa). Nessuno di
questi significati in ogni singolo atto può essere positivamente escluso, sebbene possa, per motivi
diversi, la significatività o finalità procreativa non essere raggiunta».
A completamento e a fondamento della visione cristiana va tenuto presente l’unità delle
seguenti proposizioni:
•il rispetto dell’unità del matrimonio: richiede il legame indissolubile e la reciproca fedeltà e l’impegno
reciproco a non diventare padre e madre che l’uno insieme e attraverso l’altro;
•il rispetto della paternità/maternità umane nell’integrazione delle loro dimensioni fisiche, psichiche,
sociali, morali e spirituali;
•il rispetto del diritto del figlio di essere concepito, gestato, messo al mondo ed educato dai propri
genitori;
•il rispetto dell’essere umano e del suo diritto alla vita dal momento del suo concepimento e a tutti gli
stadi di sviluppo della sua esistenza.
In questa sintesi normativa viene consegnata al popolo cristiano una maniera di vivere che costituisce
la piattaforma di un progetto sociale rilevante. La castità apre la porta sulla sessualità o sul progetto
dell' amore come proposta di vita sociale. Infatti, non soltanto la vita chiusa o l'isolamento e la
schiavitù cui può condurre la masturbazione sono una realtà espunta da questo progetto morale, ma
anche i rapporti prematrimoniali e le convivenze di fatto, i rapporti e le famiglie di omotropici o
omosessuali, i rapporti extraconiugali, ogni forma di violenza e di esercizio commerciale della sessualità, le diverse devianze della sessualità dallo sfruttamento dei minori alla bestialità o alla necrofilia,
ecc., vengono confinati in un progetto sociale considerato non degno dell'uomo e della sua liberazione.
Inoltre il matrimonio monogamico, che attribuisce al partner il valore di unicità e di non
interscambiabilità, costituisce il grembo della vita tale da non permettere che essa possa nascere al di
fuori del rapporto matrimoniale non solo attraverso l'esercizio di rapporti extraconiugali ma anche con
tutte quelle forme di fecondazione che il progresso della tecnologia rende possibile allo stato attuale le
quali fossero sostitutive e non di sostegno dell’atto coniugale. Cosicché il progetto morale, cui è
chiamata ad educarsi la castità, è il rifiuto non solo di ogni promiscuità ma anche del ricorso alla
tecnologia, lesivo del diritto della persona di nascere nell'ambito del matrimonio legittimo e di sapere il
nome, se non il volto, dei suoi genitori. Non fa parte del progetto sociale cristiano programmare la
nascita di figli "orfani", tanto meno da un single o persona omosessuale che desideri farsi fecondare
dello sperma di un donatore.
Scarica