Il legame forte tra etica della vita ed etica sociale 0. L’affermazione di “Caritas in veritate” e il contesto culturale Un’affermazione nuova dell’enciclica caritas in veritate di Benedetto XVI, è l’acquisizione della bioetica come parte integrante della dottrina sociale della Chiesa e quindi della sua rilevanza pubblica. Il pontefice bavarese, infatti, «propone con forza questo collegamento tra etica della vita e etica sociale» (n.15). A fronte di una cultura dominante di ben altro tenore. L’egemonia culturale attuale tende, infatti, a imporre un processo quanto mai forte di confinare l’etica della vita e della famiglia nel mondo del privato, senza alcuna rilevanza pubblica, mentre riconosce cittadinanza etica solo ai fenomeni di natura ecologica, economica e fiscale Grande corifeo rappresentativo, non certamente l’unico, di questa posizione è H. T. Engelhardt La traduzione di tale visione in campo dell’amore e della vita è raccolta da Singer che opta addirittura per una irrilevanza etica del sesso, mentre accredita la rilevanza etica di altri comportamenti, come guidare l’automobile, pagare le tasse, non pagare le tangenti, aiutare realmente le nazioni più povere, sui quali certamente i credenti non avrebbero da litigare con lui. A motivo di una visione olistica della vita, dell’«uomo integrale, nell’unità di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e di volontà» (GS 3: EV 1/1322), collegato intimamente all’universo dalla sua corporeità (cfr. GS 14: EV 1/1363). Visione che l’Incarnazione del Verbo di Dio avvalora e approfondisce (cfr. GS 22: EV 1/1386; Dominum et vivificantem, 50: EV 10/574-576). Senza indulgere ad un’etica individualistica, nell’assolvimento del pagamento delle tasse e dell’osservanza delle «norme stabilite per la guida dei veicoli» (GS 30: EV 1/1413). La posizione di Engelhardt e di Singer propone una moralità molto tollerante in bioetica e altrettanto intollerante in ecologia, intesa in senso ampio. A ben vedere, non è che una delimitazione del tutto arbitraria della dimensione pubblica e di quella privata. Si può veramente sostenere che i temi sensibili dell’amore e della vita appartengono alla sfera privata, quando investono l’assetto giuridico, le risorse economiche, le abitudini sociali di un’intera comunità e prospettano un altro ordine di convivenza sociale? Il tema dell’amore e della vita riguarda la persona in relazione e il futuro delle generazioni. Il richiamo alla tolleranza, che si vorrebbe estendere anche sul piano giuridico, mentre invoca spazio di attuazione al proprio avversario perché non imponga la sua visione morale, nasconde una subdola e sostanziale imposizione di un modello comportamentale su un altro: ad esempio, tollerare la bigamia equivale ad abolire il modello monogamico, tollerare l’eutanasia significa renderla un atto comune, dinanzi a cui nessuno più si indigna. Non è che un fatalismo sociale, mascherato per di più dal principio imperante dell’autonomia deliberatamente sganciato dal principio di vulnerabilità, che costituiva l’altra faccia dell’unico volto morale dell’uomo. Ci si richiama così alla libertà di coscienza, che, però, può essere tale se è formata e se riconosce realmente i valori costituzionali da cui si sente illuminata e guidata. Perché oggi si tenta di ancorare la nostra democrazia non più alle scelte costituzionali, garanti dei diritti e dei doveri del primato della dignità umana e giudici delle nostre decisioni quotidiane, ma all’inversione tra scelta e decisione, «affievolendo o rimuovendo le scelte costitutive per la convivenza e anteponendo ad esse la possibilità di decidere secondo criteri e valori estranei alla dignità e ai diritti umani» 1. La lezione centrale di “Caritas in veritate”: l’”Humanae vitae” quale parte dell’etica sociale Il documento pontificio, Caritas in veritate, intende commemorare e attualizzare, a poco più di quarant’anni dalla pubblicazione, l’enciclica di Paolo VI, la Populorum progressio, che Benedetto XVI considera «come “la Rerum novarum dell'epoca contemporanea”, che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione». Ora strettamente legata allo sviluppo umano è proprio l’enciclica contestata, l’Humanae vitae, che assieme all’Evangelii nuntiandi dell’8 dicembre 1975 è molto importante «per delineare il senso pienamente umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa. È quindi opportuno leggere anche questi testi in relazione con la Populorum progressio» (n. 15). Per cui viene insegnato che l’«Enciclica Humanae vitae sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, ponendo così a fondamento della società la coppia degli sposi, uomo e donna, che si accolgono reciprocamente nella distinzione e nella complementarità; una coppia, dunque, aperta alla vita. Non si tratta di morale meramente individuale: la Humanae vitae indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che ha via via preso corpo in vari documenti, da ultimo nell'Enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II » (n. 15). L’affermazione di Benedetto XVI sembra potersi condensare e sviluppare in due assunti fondamentali: a) l’Humanae vitae è il naturale compimento e completamento della Populorum progressio; b) l’Humanae vitae inaugura una tematica magisteriale nuova, quella del legame intrinseco e forte tra etica della vita ed etica sociale, che nell’Evangelium vitae trova il suo coronamento definitivo. 1. 1. L’”Humanae vitae” parte integrante, radice e completamento dello sviluppo umano Il legame così stretto tra Populorum progressio e Humanae vitae è consapevolmente presente nella coscienza magisteriale di Paolo VI. Stranamene l’enciclica non vi fa riferimento in nota, ma il profetico papa del Concilio lascia alla Chiesa questa eredità esplicita del suo magistero. La sua ultima omelia, quella del 29 giugno 1978, è un vero e proprio testamento ecclesiale sulla verità e sulla tutela della vita. L’omelia ha due punti testamentari: la tutela della fede e la difesa della vita. Dopo avere professato di non avere tradito «il santo vero», Paolo VI, in forma molto semplice, riafferma il suo magistero sociale che riassume nella difesa della vita. Il titolo del secondo punto è infatti: «II. Tutela della vita». E fa un’affermazione generale: «In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana». Fedele al dettato conciliare, «noi abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa» Cfr. PAOLO VI, Omelia Le immagini (giovedì 29 giugno 2009), in Idem, Insegnamenti di Paolo VI XVI (1978) 519523. Egli stesso rammenta e fissa i punti più significativi e nevralgici testimoni della sua fedeltà all’assise conciliare, ponendo in uno stesso capitolo, quello sociale, la Populorum progressio e l’Humanae vitae, ma anche tutti gli interventi successisi sia direttamente pronunciati sia tramite i documenti emanati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui si dà un unico programma di difesa sociale della vita: «Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento. a) Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con la enciclica “Populorum Progressio”. b) Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, ammoniva che “la vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura, e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti”. Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna, quando, dieci anni fa, promanammo l’Enciclica “Humanae Vitae”: ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno» Così egli ha cura di accreditare quale parte di questo inscindibile binomio ogni altro suo intervento magisteriale successivo all’Humanae vitae diretto o indiretto sull’argomento E tutto ciò, nel cuore del grande pontefice, indotto dall’amore ai giovani, delusi e scoraggiati dalla società degli adulti, i primi «a soffrire degli sconvolgimenti della famiglia e della vita morale» A me sembra, poi, che per un altro versante viene affermato questo legame forte tra etica della vita ed etica sociale. Riguarda l’affermazione centrale della Populorum progressio, di natura antropologica: l’autentico sviluppo umano è legato a ogni vita quale vocazione aperta all’Assoluto. Benedetto XVI riprende, sintetizza e pone tale visione dell’uomo a fondamento del dovere del magistero della Chiesa di intervenire e illuminare il cammino dell’umanità nella vita sociale: «Dire che lo sviluppo è vocazione equivale a riconoscere, da una parte, che esso nasce da un appello trascendente e, dall'altra, che è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo. Non senza motivo la parola “vocazione” ricorre anche in un altro passo dell'Enciclica, ove si afferma: “ Non vi è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana”» (n. 16). Questa antropologia innerva l’Humanae vitae: «Il problema della natalità, come ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato, al di là delle prospettive parziali - siano di ordine biologico o psicologico, demografico o sociologico - nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» (n. 7). Infine, non va dimenticata la valenza politica di Humanae vitae. Il terzo mondo e la stessa Africa accolsero l’insegnamento del pontefice come un atto di liberazione politica e di salvaguardia della figura della donna come del rispetto dei ritmi biologici. Tutti i popoli in via di sviluppo considerarono l’enciclica come un vero e proprio baluardo contro l’imperialismo ideologico, farmaceutico, economico e finanziario dell’Occidente ricco, che con la cultura contraccettiva intende esportare nel mondo il proprio stile di vita e di benessere: «Chi impedirà ai governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo ritenessero necessario, il metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace?», rischiando di «lasciare in balia dell’intervento delle autorità pubbliche il settore più personale e più riservato della intimità coniugale» (Humanae vitae, 17). 1.2. L’Humanae vitae inaugura il legame tra etica della vita ed etica sociale? A me sembra, poi, che su questo secondo punto, l’affermazione di Benedetto XVI vada posta in senso interrogativo. Perché non bisogna mai dimenticare che la visione cristiana della vita ha come suo fondamento il matrimonio stabile tra un uomo e una donna come primo caposaldo della dottrina sociale cristiana. Inoltre, al centro della riflessione del progetto storico della sessualità che è il matrimonio, questo appare come un istituto al servizio della vita e della vita più debole sia in senso intra/generazionale che intergenerazionale. Se la dinamica della castità è l’amicizia, fa parte di essa il sacrificio e la cura che richiede ogni vita (cfr. Evangelium vitae, nn. 9294). Per questo è stata tesi costante dell’insegnamento della Chiesa la condanna dell’aborto non solo come parte della morale coniugale, ma anche della dottrina sociale credente: «Al centro di questa dottrina il matrimonio è apparso come un istituto al servizio della vita. In stretto legame con questo principio, Noi, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, abbiamo illustrato una tesi che è uno dei fondamenti essenziali non solo della morale coniugale, ma anche della morale sociale in genere: cioè che il diretto attentato alla vita umana innocente, [...] è illecito» La Mater et magistra di Giovanni XXIII lo riprende al n. 181, avvertendo, al n. 182, di non far scivolare l’etica ad etologia, verso cui frange moderne di pensiero tentano di far approdare l’umanità. Il problema “aborto” ripropone il problema della vita e l’insegnamento ecclesiale sul tema come parte della «questione sociale», anzi come la forma o la configurazione attuale della dottrina sociale della Chiesa. Cosicché le encicliche sulla famiglia e sui problemi della vita e della fecondità, come Humanae vitae, Familiaris consortio e Donum vitae, si situano sul versante della Pacem in terris di Giovanni XXIII e le costituzioni conciliari Gaudium et spes e Dignitatis humanae, mentre rivelano la loro affinità con i documenti sulla teologia della liberazione Libertatis nuntius e Libertatis conscientia. La visione dell’uomo propria del Concilio Vaticano II è tutta concentrata nel servizio verso gli uomini soprattutto verso i più poveri (Gaudium et spes). Questo modello e missione della Chiesa di servizio verso i poveri, gli emarginati, gli oppressi, autentica riscoperta del Concilio, in cui la Chiesa incontra il suo Signore pellegrino tra gli uomini e fa sua l’identità cristologica della sua vita (cfr. NMI, 49-50), è parte della dottrina morale rinnovata e innerva le radici della difesa e promozione dei diritti della dignità umana. Evangelium vitae non fa che esplicitare tutta la portata rivoluzionaria sociale del progetto morale della sessualità. Infatti, in un singolare richiamo analogico, la problematica inerente alla questione bioetica è paragonata alla questione operaia affrontata poco più di un secolo fa da Leone XIII nella Rerum novarum, con cui si inaugura l’insegnamento ufficiale della dottrina sociale della Chiesa. Questo taglio specifica il problema della vita come la «questione sociale» del nostro tempo (cfr. n. 5). Tale parallelismo, peraltro tradizionale, considera il problema della vita come parte integrante della dottrina sociale cristiana e perciò del vangelo di liberazione affidato alla Chiesa. Dalla questione operaia (Rerum novarum) si passa alla questione sociale (Quadragesimo anno), ai diritti umani e al problema della pace (Pacem in terris, Mater et magistra, Gaudium et spes), al problema dello sviluppo (Populorum progressio, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus) per approdare al problema della vita (Humanae vitae, Donum vitae, Veritatis splendor ed Evangelium vitae, Dignitas personae). Non è che la coerenza con il primato della persona e con il principio fondamentale della morale sociale cristiana del «ripartire dagli ultimi» o della «scelta prioritaria degli ultimi» «quale forma speciale di primato nell’esercizio della carità» (cfr Sollicitudo rei socialis, n. 42; Centesimus annus, n. 11), che individua nelle categorie a rischio della vita i nuovi soggetti della cura della carità: i proletari del terzo millennio sono proprio i bambini ancora non nati, i malformati, i malati, specie terminali, gli anziani. Come si vede, il principio del «ripartire dagli ultimi» ha uno spettro più ampio di applicazione della mera sfera economica. Una sfida questa che investe cittadini e legislatori, chiamati a programmare nuove politiche sociali, per realizzare una società a misura di uomo (n. 101; cfr.n. 77). La cura del più debole richiama anche il principio della «destinazione universale dei beni» che è l’ossatura dell’insegnamento sociale cristiano ancorato a un’antropologia comunionale in cui la persona si autocomprende ed esprime come dono sincero di sé. Ne consegue non solo il diritto sacro e inviolabile di ogni forma di vita che costituisce «un bene indivisibile», ma anche della sollecitudine e del rispetto «di tutta la vita e della vita di tutti», compresa quella della vita inanimata e della vita vegetale e animale Questo rispetto delle minoranze e dei meno forti costituisce la cartina di tornasole e il banco di prova di ogni sviluppo autenticamente democratico soprattutto per le future generazioni, pena la prospettiva di aprire la porta a un vero e proprio totalitarismo. Anche per questo la Evangelium vitae è stata considerata come enciclica politica. La prospettiva di una morale individuale viene coniugata in forma articolata con la prospettiva sociale avendo cura di porre in primo piano gli aspetti socio-politici. Il tema della vita è affrontata con la categoria teologica di «struttura di peccato», mentre la responsabilità soggettiva, termine che ricorre ben tre volte (nn. 12, 18, 66), per evidenziare l’imputabilità delle singole persone, viene ricompresa nel contesto della socialità del sentire comune morale cui inevitabilmente la coscienza fa riferimento nella formazione del suo giudizio e a cui spesso non sa sottrarsi. Si dimentica troppo spesso che le biotecnologie significano il potere di alcuni esperti sugli altri uomini col rischio di concedere ad alcuni uomini di fare di altri ciò che vogliono. Per la costruzione di una società giusta, bisogna «riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere» (n. 71). L’aspetto politico della vita umana è presente, soprattutto per richiamare i responsabili del bene comune sulla minaccia che incombe sulla radice del vivere democratico. Va detto, infine, che Veritatis splendor e Fides et ratio offrono un notevole arricchimento a Humanae vitae per le enucleazioni delle tendenze distruttive del moderno e postmoderno di fronte alle quali l’Humanae vitae propone la sfida cristiana dell’azione morale giusta. Anche l’ultima istruzione Dignitas personae dell’8 dicembre 2008 si pone in continuità e sviluppa la ricaduta sociale dell’Humanae vitae. Conclusioni Il messaggio dell’Humanae vitae non è solo e primariamente la proposta di un’etica meramente individuale, che voglia normare e guidare la formazione del giudizio della coscienza coniugale, ma appare quale visione fondativa dell’essere umano in società, in compagnia con gli uomini e la creazione nel suo ritorno fraterno e cosmico a Dio. La contraccezione, infatti, induce necessariamente una revisione della vita umana in senso materialistico, ponendo le basi per una diversa società da quella che la fede cristiana testimonia nella sua fede nell’unico Dio, che lo chiama ad amare Dio e il prossimo con le tre forme fondamentali in cui si dà l’amore umano: l’avere, il potere e il sesso. Proprio per questo ci sembra di potere affermare che il vigore profetico di Humanae vitae, è capace di scoprire i punti nevralgici di diverse tendenze della cultura moderna occidentale, quali l’influsso «della ragione strumentale dell’individualismo nel progetto di valori e di criteri etici in una visione integrale dell’essere umano corporeo e spirituale e delle sue relazioni». La coscienza ecologica sviluppata del nostro tempo riconosce la necessità di rispetto dei processi biologici, compresi quelli umani, a fronte della critica diffusa all’Humane vitae di biologismo. In un mondo globalizzato, l’enciclica pone seri interrogativi ai popoli del mondo di non discriminare e di non progettare e imporre politiche riproduttive lesive della famiglia e dell’uomo. Il vigore profetico di Paolo VI offre lo sviluppo cristiano di un ambiente etico e spirituale per l’esercizio responsabile della riproduzione umana, e propone l’elogio della giustizia e della gratuità quale sfida evangelica di guarigione di molte tendenze del nostro tempo. E la sfida si fa testimonianza e annuncio anticipato, per nulla conservatore, di una società a misura dell’uomo e di ogni creatura. Conclusione: visione unitaria teologico-etica della sessualità Si capisce perché, nella visione cattolica, il contenuto teologico-eico della castità o del progetto dell' amore sessuale viene così condensato: «la consegna sessuale totale tra uomo e donna è lecita solo nel contesto del matrimonio legittimo. Ma le condizioni oggettive (indipendentemente dall'intenzione o volontà degli sposi o del singolo) richieste per la moralità del rapporto sono la realtà procreativa degli atti e quella unitiva (amorosa). Nessuno di questi significati in ogni singolo atto può essere positivamente escluso, sebbene possa, per motivi diversi, la significatività o finalità procreativa non essere raggiunta». A completamento e a fondamento della visione cristiana va tenuto presente l’unità delle seguenti proposizioni: •il rispetto dell’unità del matrimonio: richiede il legame indissolubile e la reciproca fedeltà e l’impegno reciproco a non diventare padre e madre che l’uno insieme e attraverso l’altro; •il rispetto della paternità/maternità umane nell’integrazione delle loro dimensioni fisiche, psichiche, sociali, morali e spirituali; •il rispetto del diritto del figlio di essere concepito, gestato, messo al mondo ed educato dai propri genitori; •il rispetto dell’essere umano e del suo diritto alla vita dal momento del suo concepimento e a tutti gli stadi di sviluppo della sua esistenza. In questa sintesi normativa viene consegnata al popolo cristiano una maniera di vivere che costituisce la piattaforma di un progetto sociale rilevante. La castità apre la porta sulla sessualità o sul progetto dell' amore come proposta di vita sociale. Infatti, non soltanto la vita chiusa o l'isolamento e la schiavitù cui può condurre la masturbazione sono una realtà espunta da questo progetto morale, ma anche i rapporti prematrimoniali e le convivenze di fatto, i rapporti e le famiglie di omotropici o omosessuali, i rapporti extraconiugali, ogni forma di violenza e di esercizio commerciale della sessualità, le diverse devianze della sessualità dallo sfruttamento dei minori alla bestialità o alla necrofilia, ecc., vengono confinati in un progetto sociale considerato non degno dell'uomo e della sua liberazione. Inoltre il matrimonio monogamico, che attribuisce al partner il valore di unicità e di non interscambiabilità, costituisce il grembo della vita tale da non permettere che essa possa nascere al di fuori del rapporto matrimoniale non solo attraverso l'esercizio di rapporti extraconiugali ma anche con tutte quelle forme di fecondazione che il progresso della tecnologia rende possibile allo stato attuale le quali fossero sostitutive e non di sostegno dell’atto coniugale. Cosicché il progetto morale, cui è chiamata ad educarsi la castità, è il rifiuto non solo di ogni promiscuità ma anche del ricorso alla tecnologia, lesivo del diritto della persona di nascere nell'ambito del matrimonio legittimo e di sapere il nome, se non il volto, dei suoi genitori. Non fa parte del progetto sociale cristiano programmare la nascita di figli "orfani", tanto meno da un single o persona omosessuale che desideri farsi fecondare dello sperma di un donatore.