la dimensione storica e sociale della psicoterapia

LA DIMENSIONE STORICA
E SOCIALE DELLA PSICOTERAPIA
Marco Inghilleri
Nella maggior parte della letteratura, il discorso scientifico è visto
come
§
§
indipendente rispetto al fluire storico
indipendente rispetto al contesto sociale in cui prende
origine.
Questo vale soprattutto per la psicologia e la psicoterapia, le
quali, quando vengono studiate da un punto di vista storico, sono
spesso trattate come una collezione di idee e teorie che si
susseguono e prendono forma solo grazie all’intervento di chi
riesce ad incarnare l’antico mito di Prometeo.
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Un simile atteggiamento è frutto delle scelte compiute dai primi
teorici e storici delle discipline psicologiche, i quali per
giustificarne l’inclusione nella realtà accademica, le hanno ritratte
come dottrine apolitiche e transtoriche.
Pertanto, con l’obiettivo di sottolineare l’opportunità di esaminare
i prodotti della scienza anche nei loro aspetti storici e sociali
§
si presenteranno le analisi condotte dai teorici della
sociologia della conoscenza
§
si evidenzieranno alcuni parallelismi tra le caratteristiche
storiche e culturali di alcune epoche della società occidentale,
l’affermarsi di specifiche teorie e prassi psicologiche e le relative
configurazioni del sé.
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Lo scopo è quello di mostrare in che modo gli psicologi
costruiscano, mantengano e risanino la sfera del privato che l’era
moderna ha posto all’interno del soggetto stesso.
La cultura psicologica infatti ha descritto la forma di questa sfera
privata ed ha fornito, attraverso le prassi psicoterapeutiche, una
base razionale per accedervi, prescrivendo modalità
autorappresentative sempre più funzionali alle esigenze di una
particolare epoca e di una determinata società.
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La sociologia della conoscenza e le sue
implicazioni epistemologiche
Dalle critiche di Popper al neopositivismo si è sviluppata, in filosofia
della scienza una riflessione sui significati della scienza, che ha
condotto all'adozione di una prospettiva storica. Questa si è
declinata in un maggior interesse per la descrizione della natura
dei contesti della ricerca scientifica e per i modi in cui gli scienziati
decidono quali teorie accettare e quali obiettivi perseguire nella
ricerca. Autori come Kuhn, Laudan, Lakatos, Feyerabend e Bartley
hanno fatto proprie queste posizioni. La loro opera non è però del
tutto rappresentativa di ciò che è stato prodotto in questa direzione.
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L’area di ricerca indicata come sociologia della conoscenza
ha, infatti, principalmente origini tedesche. Si può attribuire a
Karl Mannheim (1936) il merito di aver riconosciuto come la
conoscenza si formi necessariamente in particolari situazioni
storiche e sociali ed è quindi plasmata, a sua volta, da tali
contesti. Le tesi di Mannheim sostengono, in modo ancora più
radicale, come i rapporti sociali influiscano sulla forma stessa
del pensiero. L’epistemologia stessa è quindi il prodotto di
formazioni sociali e varia di conseguenza da un’epoca alla
successiva.
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La sociologia della conoscenza occupa oggi una
posizione di particolare rilievo nelle discussioni
metascientifiche per numerose ragioni. La prima
coincide con il crescente “potere” della sociologia
accademica nel periodo successivo alla seconda
guerra mondiale. La seconda si La seconda si ritrova
nella storia della filosofia e in particolare nel pensiero
del “secondo” Wittgenstein:
l’esame del linguaggio non rivela la realtà come è
in sé, in un certo senso esso crea la realtà o ciò
che considera reale.
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Lo studio della scienza come sistema
sociale
Un aspetto che ha influito sull’approccio alla metascienza, proprio della
sociologia della conoscenza, si individua nei risultati delle ricerche
empiriche, compiute a partire dagli anni ’50, volte allo studio della scienza
come sistema sociale
La scienza non opera in un vuoto culturale e, considerando come la
tecnologia formi la base stessa della società attuale, ne consegue come
la scienza non possa essere separata dal proprio contesto sociale.
Il tema di fondo è comprendere come la dimensione sociale della
scienza influisca sulla forma stessa della conoscenza scientifica.
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Queste forme di influenza sembrano plausibili quando si tiene conto
della struttura sociale della comunità scientifica
Si deve considerare come i processi per mezzo dei quali vengono
formati gli scienziati sono i medesimi che forniscono ad alcune idee
uno status ontologico mentre ne confinano altre ai margini del
dibattito scientifico o al vaglio di un dubbio sistematico.
§
Gli scienziati imparano gradualmente come comportarsi
all'interno della comunità scientifica. Essi apprendono quali tipi di
pratiche siano accettabili e quali no. Imparano come eseguire con
successo ricerche sperimentali e teoriche.
§
Vengono a conoscere quali tipi di problemi siano
potenzialmente risolvibili e degni di esame.
§
Come sostiene Polanyi, imparano ad avere una sorta di sesto
senso circa quali ricerche siano sane e attendibili e quali non valga
invece la pena di compiere.
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In questo quadro non va dimenticato il sistema di controllo
sociale che opera all'interno della comunità scientifica,
principalmente attraverso il sistema della valutazione per opera
dei propri colleghi.
Tutte le ricerche vengono esaminate da "lettori" specialisti prima della
pubblicazione in periodici scientifici, e il processo di valutazione
continua anche dopo la pubblicazione, attraverso recensioni, relazioni
annuali ecc...
Attraverso questo processo lungo e complesso di setacciamento
viene gradualmente stabilita quale sia la "conoscenza certificata" su
cui la comunità scientifica sente di poter fare affidamento.
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Sociologi della conoscenza come Berger e Luckmann (1966) hanno sottolineato che
il mondo quale è noto a noi è una realtà costruita socialmente. Tutto ciò che conosciamo
è necessariamente il prodotto di una mediazione sociale. I due autori ipotizzano che la
costruzione del mondo avvenga attraverso "quadri" o "cornici" (frames), i quadri però
non hanno caratteri universali ma sono socialmente determinati e possono variare da un
sistema all’altro, o da un'epoca a quella seguente. Ciò che vale come conoscenza
scientifica, oggettiva, è dunque, ciò che è certificato dalla comunità scientifica,
attraverso convegni, periodici, recensioni, libri ecc.. La conoscenza scientifica quindi
risulta essere un "costrutto sociale".
Bloor sostiene che la conoscenza non è "credenza vera", bensì tutto ciò che gli uomini
considerano conoscenza. Egli mostra come anche la matematica possa essere legata a
particolari circostanze culturali e conclude come le immagini sociali forniscono i quadri
epistemologici di riferimento.
Anche le ricerche di Latour e Woolgar pongono in evidenza il fatto che l'attività
scientifica non sia "sulla natura", ma si configuri una dura lotta per costruire la realtà. I
due autori sottolineano come i fenomeni scientifici sono "costituiti" dalle apparecchiature
usate in laboratorio, le quali sono esse stesse i prodotti di una costruzione umana, e
quindi influenzati da tutti i processi sociali che avvengono all'interno della comunità
scientifica, i quali determinano il grado di attendibilità delle diverse apparecchiature.
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È lecito affermare che la “verità scientifica” poggia essenzialmente
sull’intersoggettività e cioè sull’accordo della comunità scientifica,
socialmente e culturalmente connotata.
E’ scientifico ciò che è riconosciuto come tale dalla maggioranza degli
scienziati.
Pertanto, se questo è il quadro che disegna i caratteri della scienza e
dell’evoluzione della ricerca, non possono non essere sottoposte a
revisione critica tutte quelle posizioni che hanno tradizionalmente definito
i criteri di scientificità delle affermazioni degli scienziati.
Lo stesso metodo sperimentale, assunto a partire dal XVII secolo come
“il metodo”, l’unico in grado di produrre una conoscenza certa e definitiva,
è sottoponibile a una profonda revisione.
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Quadro teorico di riferimento
Ponendo quindi l’accento, nelle discipline psicologiche, su quanto ha messo
in evidenza la sociologia della conoscenza possiamo affermare che ogni
società e ogni epoca possono essere studiate sulla base dei giudizi
riguardanti:
§
§
§
§
la configurazione predominante del sé;
i disagi caratteristici del sé;
le istituzioni e gli operatori addetti al trattamento di tali disagi;
gli strumenti usati dalle istituzioni e dagli operatori per curare.
N.B. Delineando le mutevoli configurazioni del sé nelle diverse epoche della
società occidentale, è possibile collocare storicamente l’attuale psicologia,
orientata all’indagine e al trattamento delle problematiche che affliggono la
modalità odierna di concepire “l’anima”.
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Il sé nell’era moderna
L’affermarsi dell’individualismo, iniziato in occidente nel periodo
rinascimentale è sia un’espressione che una ragione del mutamento
delle strutture socioeconomiche del tempo.
L’individualismo moderno, infatti, mina le fondamenta del sistema feudale
e porta alla crescita e al cambiamento del mercato finanziario grazie al
contributo del capitalismo mercantile.
L’industrializzazione, l’urbanizzazione e la secolarizzazione conducono ad
un rinnovato interesse per il mondo fisico, per gli studi umanistici, per la
scienza, per il commercio e per la razionalità.
Il sé in trasformazione, sempre più individualizzato, pone
nuovi problemi per l’emergente stato moderno.
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Per Foucault, in questa nuova realtà, lo Stato è costretto a
mettere a punto nuovi sistemi di controllo adatti ad un
individuo isolato, ad un umano raffigurato come
microcosmo e maggiormente indipendente dall’autorità
divina.
Inizialmente si avvale di un nuovo tipo di esperto: il
filosofo moderno, che diventerà poi lo scienziato sociale, il
quale comincia a sviluppare tecniche per osservare,
quantificare, predire e controllare il comportamento dei
nuovi individui.
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Una caratteristica fondamentale di questo nuovo sé è il suo
senso di autocoscienza; il pensiero intellettuale da Montaigne
(1580), Descartes (1637) a Locke (1690) contribuisce a
costruire un sé che si auto-osserva continuamente e che pone
domande sulla sua stessa natura ed essenza. Questo tipo di
pensiero delinea un mondo in cui il soggetto è scisso
dall’oggetto, l’anima dal corpo e la ragione dal sentimento.
Il concetto del privato, del soggettivo, in quanto
sede del pensiero indipendente e della resistenza
all’autorità, contribuisce al capovolgimento del
sistema feudale: lo stato moderno si trova a
dover individuare nuove forme di controllo
sociale.
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La sfera del privato è di fatto percepita come potenzialmente
sovversiva in quanto non disponibile al controllo pubblico.
Pertanto, la nuova filosofia e le scienze sociali, mentre cercano la
giustificazione e i mezzi per penetrare all’interno del sé, gettano le
basi per la nascita di un sé che non solo si attende di essere
penetrato, ma che arrivi addirittura a desiderarlo.
Nel corso del tempo il sé è modellato per accettare l’idea di
essere dominato, osservato e tenuto sotto controllo.
N.B. Questo processo non è ascrivibile ad una oligarchia che
cospira per manipolare gli individui, al contrario, si ipotizza che la
cultura, le pratiche della vita quotidiana, dell’arte e del pensiero
intellettuale interagiscano reciprocamente, in modo complesso,
compartecipando alla costruzione di determinate realtà.
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Il Sé vittoriano
Il periodo vittoriano rappresenta l’apice dell’ideale moderno
Il sé borghese è un sé
§
secolare,
§
razionale,
§
soggettivo,
§
diviso,
§
sessualmente in conflitto,
§
lineare,
§
che considera il mondo come oggettivabile e quantificabile.
Il potere della religione diviene più limitato e il lavoro assume un ruolo
totalizzante e quasi trascendente.
L'epoca Vittoriana si divide in 2 grandi archi temporali, l'era delle macchine, che va dal 1837 (anno in cui Vittoria
divenne regina in Inghilterra) al 1886, caratterizzata da un enorme progresso tecnologico e nell'epoca imperiale, che
va dal 1886 al 1901 caratterizzata dall'Impero commerciale britannico Con epoca Vittoriano si indica un clima
culturale che caratterizza non solo l’Inghilterra, ma tutta l’Europa. L’epoca vittoriana fu un periodo pieno di
contraddizioni, di industrializzazione diffusa e progresso tecnologico, di estrema povertà, di sfruttamento degli
operai e di grande guadagno per iAssociazione
proprietari delle
fabbriche,
di riforme
Italiana
di Psicologia
e sociali senza precedenti, di scoperte
scientifiche e irrequietezza religiosa.
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La mutazione del luogo di lavoro, dalla fattoria rurale o dalla
corporazione
medievale
alla
fabbrica
urbanizzata
e
industrializzata o all’ufficio, produce sia nei lavoratori, sia nei
dirigenti un senso di crescente alienazione.
Le donne sono sempre più costrette, desessualizzate ed escluse
dai ruoli di potere e come conseguenza le differenze tra i due
sessi aumentano ulteriormente.
Prima del diciannovesimo secolo, la vastità del mondo ha
sempre rappresentato l’elemento “sconosciuto”, ma con
l’aumento della fede nella razionalità, nella scienza e nella
possibilità di previsione, l’ignoto è eliminato dal mondo fisico
esterno e collocato altrove. Freud (1915) lo “scopre” celato
all’interno del sé, in un luogo segreto: l’inconscio.
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Le quattro malattie psicologiche predominanti del sé vittoriano sono:
l’isteria,
la
nevrastenia,
la perversione sessuale,
il comportamento criminale violento.
I medici sviluppano teorie contrastanti sull’eziologia e sul trattamento di
queste malattie, ma le teorie freudiana riescono ad avere la meglio
La “causa” delle malattie vittoriane viene così individuata nell’emergere di
impulsi primitivi, intrapsichici sessuali ed aggressivi, denominati pulsioni,
che l’individuo non riesce a tenere efficacemente sotto controllo. Basandosi
sulla fisica del diciannovesimo secolo, Freud concepisce la mente come un
sistema idraulico, una macchina alimentata da una energia, la libido, che
deve essere liberata in un modo o nell’altro. Se viene repressa, l’energia
assume altre forme, può essere proiettata, rimossa o sublimata, ma prima o
poi deve essere espressa.
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Poiché molti di questi impulsi aggressivi o sessuali
sono riconosciuti come potenzialmente pericolosi per
gli altri e per l’ordine sociale, si configura la necessità
di controllare e curare efficacemente la macchina mente in modo che la libido trovi sfogo in un’attività
socialmente appropriata e produttiva. In tal senso le
principali istituzioni responsabili della cura delle
malattie vittoriane sono la medicina e lo stato.
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Inizio e sviluppo della psicoterapia nella
forma attuale
Le principali caratteristiche del panorama culturale vittoriano sono:
il vuoto spirituale,
la confusione morale,
e un forte bisogno di religiosità.
Sotto varie denominazioni come:
“mesmerismo”,
“filosofia della cura della mente”,
“pensiero positivo”.
Emerge una psicologia popolare, religiosa, ma posta al di fuori della chiesa
ufficiale, che si diffuse in maniera particolare nella seconda metà del XIX
secolo.
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Il mesmerismo, e in special modo i suoi derivati, sono i precursori di
molte forme di psicoterapia del XX secolo, nonché di certi gruppi
contemporanei ristretti, come le sette religiose, le maratone
psicologiche di massa e i programmi esperenziali della New Age.
Esso è solo il primo di una lunga serie di tentativi di curare
contemporaneamente i problemi psicologici, la sete spirituale e il
disorientamento dell’Occidente.
Gli storici individuano nel mesmerismo e nei suoi sviluppi molte
premesse alla psicoterapia attuale; alcuni concetti promossi da questo
movimento diventeranno parte integrante delle teorie psicologiche del
XX secolo.
Questa dottrina afferma che gli individui soffrono di malattie interiori,
spirituali o emotive, causate da inadeguatezze personali e da
deprivazioni spirituali, senza relazione con le condizioni politiche in cui
le persone vivono. Si basa su un cognitivismo ante litteram, che ritiene
come il disagio psicologico sia scatenato da pensieri inadeguati e che
la salute dipenda direttamente
dalla capacità di ideare “pensieri giusti”.
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Le tecniche di guarigione pongono
trasformazione “mistica” del soggetto:
Da
l’accento
sulla
un sé quotidiano “falso”, a un sé più autentico e vero.
Si
ritiene che la sofferenza sia situata nella dimensione psichica
del soggetto e non abbia relazioni con le norme, i ruoli e i
significati sociali.
sostiene l’esistenza di una relazione diretta tra la cura
psicologica e l’acquisizione del benessere economico; la ricchezza
personale dipende solamente dalla dimensione psicologica
dell’individuo, non dalla sua condizione socio-economica o dalla
diversa suddivisione del potere nelle classi sociali.
Si
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In sostanza si favorisce lo sviluppo di una interiorità
apolitica.
L’attenzione posta dalla cultura occidentale sulla produttività economica
è presente anche nell’approccio medico alla psicoterapia, la quale
fornisce al lavoro assume un ruolo sempre più importante, necessario
per la “redenzione” dell’individuo. La malattia peggiore è considerata la
mancanza di produttività, attraverso il trattamento psichiatrico si può far
tornare la donna ad occuparsi della propria casa e si permettere
all’uomo di volgersi nuovamente al mondo del commercio e del lavoro.
N.B. Queste argomentazioni non sostengono che lo Stato solleciti i
medici a falsificare le loro diagnosi e a modificare l’obiettivo dei
trattamenti, ma evidenziano come la teoria e la pratica della psicoterapia
siano prodotti sociali e, in quanto tali, riflettono la configurazione del sé e
delle malattie del tempo.
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I prodotti di una certa società, come le istituzioni politiche, le teorie della
psicologia, le forme della psicoterapia e le comuni malattie psichiatriche
possiedono un denominatore comune, individuabile in una comune
matrice simbolica di riferimento.
In epoca vittoriana sono presenti due configurazioni del sé:
La
prima vede il sé come la sede di istinti socialmente pericolosi e
combacia con il tentativo dello Stato di giustificare il suo ruolo di
supervisore dei sé individuali.
La
seconda delinea un sé energico, ambizioso, alla ricerca di un
miglioramento spirituale e pratico, che combacia con la visione dello Stato
come garante di sé individuali indipendenti ed economicamente produttivi.
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Psicoanalisi e CURA della mente
La psichiatria occidentale della prima decade del XX secolo, fondata sul
modello fisiologico della malattia e della cura, si distingueva dalla psicoanalisi
che presentava un approccio contemporaneamente psicologico e scientifico.
La psicoanalisi, più adeguata e sofisticata della “filosofia della cura della
mente” e più scientifica del “pensiero positivo” e del “mesmerismo”, si
collocava in uno spazio sia medico sia psicologico e forniva, in un’epoca
ancora profondamente coloniale, un nuovo territorio vergine, una nuova
frontiera interiore.
Il concetto di inconscio apre, indirettamente, nuove possibilità economiche e
produttive e fornisce le basi per l’indagine psicologica, divenendo terreno di
controllo per psicologi e psicoanalisti, ampliando anche il significato e la
portata del concetto di psicoterapia.
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Le trasformazioni che la vita moderna esige dai cittadini (come il
continuo sviluppo della propria personalità, i successi economici,
la mobilità geografica, l’uso creativo del tempo libero,
l’indipendenza dagli altri e l’adattabilità a nuovi ambienti e a nuovi
ruoli) assumono con la scoperta dell’inconscio un forma più
medicalizzata e affascinante.
La “guarigione terapeutica” appare contemporaneamente più
comprensibile e diviene il campo d’azione di un gruppo di esperti
che utilizzano procedure nuove, complesse e forse anche
scientifiche.
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La psicoanalisi offre implicitamente enormi opportunità in altri campi,
come la pubblicità, lo spettacolo e la politica. Il concetto di inconscio
possiede delle caratteristiche, ben integrabili nel sistema sociale
occidentale, le quali possono essere organizzate per ottenere
vantaggi economici; la psicoanalisi, grazie a queste sue peculiarità, si
colloca naturalmente nel mondo del capitale.
Con Freud (1926), il concetto di terapia assume un significato più
profondo e il miglioramento terapeutico diviene un fenomeno
psicologico infinitamente più complesso e molto meno naturale e
automatico di quanto i difensori della “cura della mente” avrebbero
mai potuto immaginare.
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Il contributo del comportamentismo
Un’altra importante tendenza nell’ambito delle teorie psicologiche fa la
sua comparsa negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale. Essa
esprime il tentativo riuscito da parte degli psicologi sperimentali di definire
la psicologia come una branca sperimentale puramente oggettiva della
scienza naturale, il cui scopo teoretico è la predizione e il controllo del
comportamento.
Con questo approccio, la psicologia viene definitivamente utilizzata dal
mondo economico, essa diviene quindi un consigliere scientifico di sistemi
caratteristici del XX secolo: la pubblicità e l’organizzazione del personale.
Moderando le teorie più radicali, il comportamentismo riesce a mettere a
punto delle applicazioni utili per la vita di ogni giorno, per l’ufficio e per la
fabbrica.
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La linea di teorizzazione comportamentista contribuisce allo sviluppo della
psicologia cognitiva, una forza crescente nella pratica della psicoterapia. In tal
senso e in maniera del tutto paradossale, perfino la meno “interiore” fra tutte
le psicoterapie, il comportamentismo, ha dovuto soccombere alla tendenza
culturale di situare i principali eventi psicologici all’interno dell’individuo.
Si può quindi sostenere che agli inizi del XX secolo il sé è considerato un
contenitore di vari ingredienti della personalità che possono essere esibiti
socialmente, per permettere all’individuo di ottenere notorietà, popolarità e
successo nel mondo emergente del consumismo e dei mass- media. Nel
contenitore c’è anche un inconscio nascosto, concettualizzato come qualcosa
di imprevedibile, che necessita di un controllo continuo.
Gli psicoterapeuti, gli psicologi del lavoro e i pubblicitari sono quindi i titolari
della trasformazione terapeutica. Questi professionisti adottano varie
tecniche: i pubblicitari mettono in relazione i prodotti con modi di essere
immaginari, gli psicologi del lavoro impiegano i primi strumenti di valutazione
e l’esortazione personale, mentre gli psicoterapeuti utilizzano pratiche
conversazionali.
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La psicoterapia negli anni venti
Gli anni venti vedono una crescente elaborazione delle più importanti forme di
psicoterapia, in particolare la psicoanalisi e il comportamentismo. In questo
periodo gli psicologi si adoperano per cercare un modo di integrare le
influenze dell’ambiente sociale con quello che viene considerato il patrimonio
ereditario dell’individuo, ovvero le sue capacità e i suoi meccanismi
intrapsichici. Gli psicologi tentano anche di delineare e giustificare la propria
posizione nell’ambito universitario e nella pratica medica.
I primi psicologi clinici ritengono che il trattamento debba essere di natura
educativa e mettono a punto le prime tecniche di modifica del comportamento.
L’attenzione verso la delinquenza minorile porta le cliniche per l’assistenza
infantile, che si avvalgono, negli Stati Uniti, di assistenti sociali, a interessarsi
a modelli di interazione familiare. Le crescenti esigenze burocratiche dello
Stato e il bisogno dell’industria e della pubblicità di sviluppare tecniche di
influenzamento e di gestione del personale più efficaci rendono necessarie
tipologie più elaborate e test psicologici più accurati, comprese le tecniche per
le ricerche di mercato.
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Nell’analizzare la posizione della psicoterapia nella realtà del XX
secolo, è necessario tener presente due elementi:
Il primo si riferisce al fatto che la storia della psicoterapia, nel
pensiero occidentale, si sviluppa essenzialmente nel nuovo
continente. La psicoterapia in Europa trova un difficile terreno dove
crescere, sia per l’anti-psicologismo delle dottrine filosofiche
idealiste, sia per le vicissitudini politiche e storiche che costringono
gli studiosi europei a emigrare negli Stati Uniti, trovando una
diversa e più accogliente disponibilità. Questo processo dà vita ad
un singolare fenomeno di reimportazione culturale, secondo cui
approcci teorici originariamente europei ritornarono in Europa
modificati dall’ambiente socio-culturale incontrato nel nuovo
continente
§ Il secondo si inserisce nel principale problema del capitalismo del
tempo: il ristagno economico.
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Le complesse
sostegno:
procedure
di
risanamento
§
dall’enfatizzazione del consumo
§
dall’aumento del controllo tecnico sul lavoro.
hanno
trovato
Questi due processi sono stati ottenuti avvalendosi anche di tecniche
psicologiche per penetrare e controllare la vita quotidiana e la soggettività
L’attenzione posta sull’analizzabilità dell’inconscio e sulle possibilità di
sublimare l’Es pervade la psicoanalisi del caratteristico ottimismo nord
americano e delle preoccupazioni per gli aspetti economici del vivere.
L’inconscio è concepito come un terreno in parte nascosto, che può essere
conosciuto, capito e in tal modo reso finalmente disponibile per propositi
“civili”.
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Le forme attuali di psicoterapia
Molte teorie della psicologia clinica e della psicoterapia assumono come
imperativo la “salute psicologica”.
Per permettere agli individui di essere psicologicamente sani, la
psicoterapia deve aver accesso alla sfera interiore e privata della
persona. Così, il sé del XX secolo viene costruito in modo da
desiderare di essere psicologicamente analizzato.
La perdita del senso della comunità e della tradizione sono i fattori
fondamentali per la costruzione di un sé che anela una guarigione interiore
e una guida. Nel varco lasciato aperto da questa carenza, che assume
sempre più la connotazione di un vuoto spirituale, si inseriscono la
pubblicità e la psicoterapia, ricevendo una positiva accoglienza da parte
delle classi medie.
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I sentimenti e i pensieri dell’individuo, essendo localizzati dalla
psicoterapia all’interno del soggetto, sono considerati dagli
psicoterapeuti come prodotti dei processi intrapsichici e non
come effetti della cultura, della storia o delle interazioni
interpersonali.
Negando l’influenza della storia e della cultura, la psicoterapia
mistifica l’influenza sociale e il controllo esercitato dallo Stato e da
qualsiasi altro tipo di istituzione sociale. Questo dà origine ad alcune
affezioni dell’attuale mondo occidentale, come l’alienazione, il
desiderio di possesso e la competizione portata all’estremo,
considerata come naturale e inevitabile e perciò al di fuori della sfera
di influenza della politica e della storia.
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Durante i 500 anni di evoluzione storica del moderno sé, la
sede dell’iniziativa, del controllo e della trascendenza si
sposta progressivamente dall’esterno del soggetto al suo
interno. È tale fenomeno a contribuire alla disgregazione delle
autorità esterne come lo stato feudale e la monarchia.
Nel XX secolo in particolare, con l’affievolirsi della moralità
religiosa, il soggetto finisce per essere considerato l’unica sede
legittima delle opinioni e dei desideri. Da allora le politiche
liberiste mettono in atto strategie per rendere la propria influenza
invisibile,
suscitando
sentimenti
ed
opinioni
che,
apparentemente, sembrano aver origine all’interno dell’individuo.
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Il controllo invisibile è amplificato dall’ideologia dell’igiene
mentale. La scienza psicologica è presentata come una verità
oggettiva, piuttosto che come un’altra autorità esterna o una
superstizione. Essa è riconosciuta dallo Stato come criterio per
stabilire ciò che è socialmente desiderabile o deviante.
La sede della malattia è posta all’interno della persona e la sua
origine viene individuata nelle disfunzioni o nei conflitti intrapsichici,
senza alcun riferimento alla realtà sociale. Il “modello medico”
esiste per impadronirsi dei problemi sociali e medicalizzarli.
Alla luce di una simile concezione i comportamenti devianti
perdono la propria dimensione sociale e il controllo psicologico
della popolazione viene involontariamente occultato da una
psicologia ignara del proprio ruolo di controllo
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Il sé del dopoguerra
Il sé del dopoguerra non possiede un’interiorità colma di spinte, desideri, sentimenti,
conflitti, istinti, impulsi, fantasie, carattere, morale, valori e opinioni.
Nella società molti elementi confermano che la configurazione del sé, nella classe
media, è quella di un sé vuoto.
Il senso di vuoto inizia a configurarsi come la principale lamentela delle persone che si
rivolgono ad uno psicologo ad uno psicoterapeuta
Molti “sintomi” delineano un sé vuoto che desidera, simbolicamente, essere riempito:
l’eccesso di alimentazione,
le varie forme di dipendenza,
la solitudine interpersonale,
il consumismo sfrenato e compulsivo,
il carrierismo e il lavoro divinizzati ed elevati ad uniche dimensione dell’esistenza.
La pubblicità vende merci lasciando intendere che l’acquisto e il consumo del prodotto
trasformeranno magicamente il consumatore, facendo proprio lo stile di vita
dell’interprete utilizzato nella pubblicità.
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Le merci, quindi, sono divenuti l’oggetto trasformazionale del
nostro tempo e il consumo il fondamentale processo
trasformativo.
Applicando un approccio interpretativo alla cultura popolare, è possibile
individuare molti elementi che confermano la descrizione del sé attuale come
un sé vuoto, affamato di cibo, di merci, di droghe, di celebrità e di leader
carismatici.
In un altro tipo di pubblicità, gli articoli sono raffigurati come se avessero tratti
e personalità umani. La pubblicità di questo tipo opera una scarsa distinzione
tra esseri umani e merci: sembra che non esista più una differenza qualitativa.
Pertanto, se i beni di consumo, le merci sono come gli esseri umani, allora
consumare è come avere delle relazioni: è soddisfacente, calmante,
energizzante, allontana la solitudine, rende la vita ricca e gratificante.
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La risposta al sé vuoto
Tre scuole di psicoterapia cercano di rispondere ai bisogni del sé
vuoto:
la
psicologia umanistica,
la psicologia cognitiva,
la terapia familiare.
Esse sviluppano delle teorie che ampliano il campo della
psicologia, dando vita a pratiche terapeutiche alternative. Tuttavia,
non collocando storicamente il sé, la maggior parte di queste
scuole non riesce a offrire una cura che non produca anche la
malattia.
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La psicologia umanistica inizia come una ribellione contro
l’istituzione psicoanalitica elitaria, gerarchica, formalizzata,
impersonale, meccanicistica e contro un comportamentismo
eccessivamente scientifico, freddo e lontano. Affondando le sue
radici nell’esistenzialismo, nell’umanesimo e nei movimenti di
liberazione degli anni ’60, la psicologia umanistica centra
l’attenzione sulla persona e sulla sua esperienza, enfatizza la scelta,
la valutazione, l’autorealizzazione e lo sviluppo del potenziale
dell’individuo e della sua unicità. Al tempo stesso, tuttavia, non è in
grado di cogliere i problemi inerenti a categorie così poco definite
come “l’esperienza” ed è priva di una prospettiva storica
sull’etnocentrismo e il classismo, fattori impliciti di un individualismo
ipertrofizzato. Abbraccia, senza discussione, la configurazione del sé
del
dopoguerra:
completamente
soggettivo,
isolato
e
antitradizionale.
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La psicologia cognitivista si è sviluppata da una
parte dal comportamentismo, sebbene sembri offrire un
tipo di psicoterapia che non si preoccupa della
costruzione del sé interiore, è possibile notare come i
modelli di elaborazione dell’informazione, si basano
anche sull’interiorizzazione.
La psicologia cognitivista deriva dalla tradizione più
normativa di Hull (1943) e Tolman (1951), i quali furono
i primi a situare i meccanismi mediatori all’interno
dell’individuo, ponendoli al centro della classica diade
stimolo-risposta.
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Il cognitivismo, nelle sue vesti più rigorose, alimenta la
speranza di una pura psicologia scientifica. Tuttavia
l’aspirazione di essere una scienza scevra di valori fallisce,
tanto è vero che gli sono stati imputati gli stessi limiti
individualistici e soggettivi in cui sono cadute le altre scuole
di psicoterapia.
Il comportamento, nella psicologia cognitiva, è una funzione
del mondo soggettivo trasformato e rappresentato
internamente. Il meccanismo di mediazione della
psicologia, la rappresentazione simbolica, viene collocato
entro l’individuo. Riproduce un’ennesima volta un sé
interiore, animato non da oggetti parziali, come nella teoria
delle relazioni oggettuali, ma da rappresentazioni
simboliche di eventi esterni.
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Nella terapia, gli individui vengono stimolati a cambiare
la loro esperienza soggettiva della realtà, piuttosto che a
lavorare per mutare le loro condizioni esterne.
Le strategie della terapia cognitiva privilegiano
l’esperienza interna, soggettiva del cliente e
attribuiscono la responsabilità del comportamento alla
visione del mondo del cliente. L’effetto generale è che
l’attuale concetto del sé e le disposizioni politiche del
potere e del privilegio vengono accettati come dati di
fatto e non vengono messi in discussione.
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La terapia familiare affonda le sue radici nella sociologia, nella teoria
interpersonale e nell’interesse per la terapia infantile e rappresenta il tentativo
di ampliare il concetto di processo interattivo. Il salto che viene messo in atto
in alcune forme di terapia familiare è dal sé individuale, profondo e isolato, a
un più ampio sé di gruppo. Alcune terapie familiari, come la terapia dei sistemi,
trattano i gruppi, come la famiglia o le imprese, isolandoli, estraniandoli dal più
ampio contesto sociale.
In tempi molto recenti, alla terapia familiare è stata applicata una prospettiva
costruttivista. In questi casi l’attenzione è posta principalmente sulla
costruzione dialogica del significato che avviene all’interno del setting
terapeutico, ponendo scarsa attenzione ai fattori storici, sebbene questi
terapeuti si pongano in una relazione non gerarchica, assumendo il ruolo di
co-autori del cambiamento e non prendono pienamente in considerazione
l’impatto sulla famiglia delle più ampie forze storiche e sociali, né le funzioni
politiche della psicoterapia all’interno della società.
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Le nuove prospettive in psicoterapia
Le riflessioni condotte in relazione alla dimensione storica e sociale della
psicoterapia che hanno avuto il loro massimo sviluppo a partire dalla fine degli
anni 60’ hanno definito la messa a punto di nuove forme di intervento, che
attribuiscono una particolare significatività non solamente ai processi interni al
soggetto, ma anche a quella dimensione interattiva che costituisce essa
stessa la matrice generativa del senso di identità del soggetto. Si riferisce quindi
a quella pluralità di situazioni in cui gli individui scoprono un ruolo, un’immagine di
sé, delle regole interpretative e prescrittive che emergono dallo specifico contesto
di interazione.
I processi costitutivi dell’identità personale, situati dal modernismo e dalle
psicoterapie tradizionali all’interno del soggetto, vengono invece visti come
emergenti dalla relazione esistente tra soggetto e le dimensioni sociali e culturali
in cui è immerso, costituendo lo spazio di intervento privilegiato per l’attivazione
dei processi orientati al cambiamento.
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Secondo queste linee, il termine psicoterapia risulta un
termine improprio. Lo si potrebbe considerare come una
figura retorica, un ossimoro professionale, in quanto
sono messi in relazione due termini psico e terapia, che
appartengono a realtà differenti. Mentre il primo è un
costrutto di origine concettuale, il secondo si caratterizza
per la sua natura sostanziale, originata dal modello
medico, dove viene considerata come una modalità per
eliminare le cause che hanno generato un problema e
per ripristinare poi la situazione di partenza.
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Ricodificare la psicoterapia come non più orientata alla cura e quindi
non più riferibile alla condizione di malattia mette anche in discussione
l’impiego di quadri psicopatologici nosografico-descrittivi ed eziologia: la
psicopatologia non è più intesa come caratteristica intrinseca al soggetto,
ma assume attributi diversi, non riconducibili, esclusivamente, a tratti di
personalità, disposizioni intrapsichiche, eventi motivazionali e
disfunzionalità fisiologiche.
La sofferenza ed il disagio psicologico, data la sua appartenenza ad una
realtà di tipo concettuale, si declina attraverso pratiche comunicative,
analogiche e dialogiche, generate dalla matrice culturale di appartenenza.
Essa viene pertanto a configurarsi come l’espressione di una identità
disfunzionale, rispetto ai significati, alle regole, alle relazioni presenti e
condivise in specifiche pratiche sociali.
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Conclusioni
Tre sono gli aspetti sottolineati dalla rilettura storico sociale del sé
contemporaneo in relazione alle pratiche psicologiche e psicoterapeutiche.
Gli
effetti politici e sociali delle due guerre mondiali e la forma particolare del
sistema economico nord occidentale hanno rappresentato un potente motore
per la sviluppo della psicoterapia e della sua accettazione all’interno della
società.
La
collusione della psicoterapia con il programma modernista ha portato ad
individuare nella costruzione e nella cura dell’interiorità personale di ciascun
individuo il proprio compito primario, gli psicoterapeuti sono divenuti “i dottori
dell’interiorità psicologica”.
collocazione del malessere e del disagio nell’interiorità del soggetto, la
sua definizione e la messa a punto dei mezzi tecnologici di intervento
appartengono ad un processo di costruzione sociale e storica, dove la
psicoterapia è soltanto una delle istanze coinvolte.
La
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Il compito di gestire la popolazione nei tempi di crisi
della società o di ristrutturare l’economia è spesso
toccato alle scienze sociali. Il tentativo dello Stato di
controllare una popolazione di individui autonomi ha
dato alla psicologia una ragione per esistere come
disciplina indipendente: l’interiorità personale ha
bisogno di essere protetta, compresa, sostenuta, curata
e fatta prosperare. A sua volta, il pensiero
psicoterapeutico ha fornito una descrizione e una
spiegazione sempre più articolata dell’interiorità ed
organizzato una gamma sempre più ampia di pratiche in
grado di accedervi, con l’obiettivo di svolgere una
cosiddetta azione terapeutica.
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In questa prospettiva, la psicoterapia può essere interpretata come un’insieme
di pratiche che hanno indirettamente creato, adattato e modificato le teorie
psicologiche del sé, per costruire e rifinire il concetto di interiorità. L’idea di sé
vuoto che si è delineata a partire dal secondo dopoguerra, rappresenta l’ultimo
esempio di una lunga sequenza di processi che definiscono il moderno
progetto di un sé circoscritto, dotato di una realtà interiore complessa,
utilizzabile sia socialmente, sia economicamente. Agli psicoterapeuti, in quanto
esperti della sfera interiore, è stato assegnato il compito di prendersi cura e di
rigenerare costantemente l’attuale configurazione del sé.
Se potessimo capovolgere la tendenza degli ultimi 150 anni e se
potessimo collocare storicamente la psicoterapia ed abbandonare
l’obiettivo di costruire e proteggere l’interiorità personale, si
riuscirebbe a contribuire alla creazione di una critica culturale più
completa e produttiva. In tal modo, si potrebbe intervenire sulle matrici
di
significato
sociale
simbolico
che
costruiscono
quella
fenomenologia problematica che costituisce il nuovo campo
applicativo della psicoterapia e della psicologia clinica.
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