Conclusione:
Esiste un
fattore
«trasformante»
Conclusione:
Il
fattore
«trasformante» è il
DNA
Conclusione:
Il DNA è «ereditario»
A partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, grazie soprattutto allo sviluppo e
messa a punto di tecniche microscopiche radioattive, fosforescenti e
fluorescenti, elettroforetiche ecc. la ricerca fece passi da gigante verso la
scoperta dei processi biochimici più intimi delle cellule.
Si riuscì, così, a conoscere:
1. La struttura e i meccanismi di azione dei virus
2. La struttura dei cromosomi (molecole di DNA contenente informazioni
fondamentali per la vita degli organismi).
3. La presenza nei batteri di un solo DNA (grande molecoa a struttrura
circolare e sparsa nel citoplasma
4. L’esistenza, nei batteri, e la struttura di altre 20 /30 piccole molecole
circolari di DNA, indicate con il nome di plasmidi, contenenti informazioni
per caratteri «accessori» (non fondamentali, comunque utili per il batterio
stesso).
5. I meccanismi di variabilità ed «evoluzione» batterica
Ciclo litico: il loro DNA si circolarizza
all’interno del batterio divenendo simile
ad un plasmidio  si duplica e codifica
per le altre componenti virali  le varie
componenti virali si assemblano
formando nuovi virus che, in seguito a
rottura, «lisi» del batterio, fuoriescono
nell’ambiente.
Attivazione
Ciclo lisogeno: Il DNA si
integra nel cromosoma
batterico (viene indicato con il
nome di profago)  si
duplicherà normalmente e verrà
trasmesso ai batteri «figli» 
Rimarrà inerte per
diverso tempo e diverse
divisioni batteriche fino
a che, per cause varie
si attiverà innescando un
ciclo litico.
profago
I virus ad RNA possono aver uno dei seguenti meccanismi
d’azione:
Ciclo della RNA-polimerasi: Se possiedono questo specifico
complesso enzimatico, l’RNA virale verrà utilizzato come matrice
per sintetizzare, a stampo, varie molecole di RNA messaggero
virale che verranno utilizzate per «costruire» le varie componenti
virali, ma anche come «stampo» per nuovo RNA virale.
Il tutto verrà assemblato nei virus «figli».
Ciclo della Trascrittasi inversa: Grazie a questo particolare
complesso enzimatico, l’RNA virale farà da matrice per
«stampare» catene di DNA virale (provirus) definito anche DNA
complementare (cDNA).
Tale molecola si integrerà stabilmente nel cromosoma batterico e,
di tanto in tanto, si attiverà producendo materiale virale.
Ciclo della RNA-polimerasi
Ciclo della Trascrittasi inversa
La variabilità genetica nei batteri
• Mutazione (Errori nella duplicazione del
DNA)
• Ricombinazione
endogena (crossingover: tra parti del
cromosoma, tra
cromosoma e
plasmidi, tra plasmidi)
Trasferimento genico (trasformazione, trasduzione, coniugazione)
Trasformazione
Coniugazione
Trasduzione
Trasformazione
Processo in cui il DNA presente all’esterno del batterio viene
internalizzato nella cellula ospite, integrato nel cromosoma nella
corrispondente regione omologa e stabilmente ereditato con le divisioni
cellulari
La trasformazione artificiale
La maggior parte dei batteri possono essere trasformati artificialmente
Vengono utilizzati shock chimici e termici (CaCl2)
o elettrici (elettroporazione)
Il DNA (cromosoma o plasmide) viene introdotto integro nella cellula
DNA lineare a
doppia elica
DNA plasmidico
integrazione mediante
ricombinazione omologa
replicazione del plasmide
Trasduzione
Modalità si scambio genetico fra batteri mediato da un virus
DNA batterico
DNA virale
Trasduzione generalizzata
I fagi capaci di dare trasduzione hanno un DNA costituito
dall’assemblaggio di frammenti virali molto simili a
frammenti di DNA batterico lisato.
Durante
l’assemblaggio è
possibile lo scambio di
frammenti di DNA
virale con quelli del
DNA batterico
Il fago trasducente (1/103 della popolazione virale)
può infettare un altro batterio ma non iniziare un
normale ciclo di infezione in quanto il DNA virale è
assente o difettoso (particella difettiva).
Risultato alternativo: trasmissione di nuovi caratteri
Fago trasducente
Infetta un’altro batterio
DNA batterico o
ibrido
Il virus, date le piccoledimensioni, può contenere non più del 3% del cromosoma
batterico
Nuovi alleli, o anche nuovi geni, possono essere integrati nel cromosoma ospite.
Dal 70 al 90% del DNA trasdotto non riesce a integrarsi nel cromosoma ospite.
I frammenti non integrati rimangono nel citoplasma ed si esprimono solo per un
numero limitato di generazioni (trasduzione abortiva)
Coniugazione
Pili sessuali: presenti in numero di 1-10 per cellula, sono spessi 9-10 nm
H
F
C
B
K
E
L
A
I
G SD
IS3
gd
IS3
IS2
F
94 Kb
J
oriT inc, rep
+
F
F+
Plasmidi coniugativi
Sono indicati come «fattori F» (o plasmidi F).
Oltre a informazioni varie accessorie, contengono
le informazioni per costruire i pili sessuali
(essenziali per «agganciare» i batteri sprovvisti di
fattore F e «veicolare» il passaggio di materiale
genetico)
F-
F+
Il fattore F, in alcuni casi, riesce a
integrarsi nel cromosoma batterico.
In questo caso si formano le cellule Hfr
(High frequency recombination)
Enzimi di restrizione
Sempre intorno agli anni ‘50 del secolo scorso, alcune esperienze condotte
relativamente ai processi di ricombinazione genetica batterica nell’E. Coli
evidenziarono un comportamento significativo in alcuni suoi ceppi.
Il materiale genetico estraneo, una volta introdotto nel batterio
ospite, veniva frammentato in pezzi più piccoli impedendone la sua
attività (tale fenomeno venne definito come restrizione genica).
Tali ceppi batterici manifestavano resistenza all’infezioni di molti fagi (il DNA
virale veniva «ristretto», frammentato).
Solo qualche decennio dopo vennero identificati, nell’E. Coli, una serie di enzimi
capaci di degradare (restringere) molecole di DNA. Furono, quindi, chiamati
enzimi di restrizione.
Un enzima di restrizione «riconosce»
precise sequenze di nucleotidi del DNA
(siti di restrizione). Vi si aggancia ed
opera dei precisi tagli (rottura dei
legami fosfodiesterici).
Essendo costituito da una cortissima
sequenza di nucleotidi, un sito di
restrizione si ritrova ripetuto varie volte
e a varie distanze sul DNA.
Questo spiega la «frammentazione» di
tale macromolecola.
Gli enzimi di restrizione
(Endonucleasi di restrizione)
Sono enzimi capaci di riconoscere
specifiche sequenze di nucleotidi
(siti di restrizione) e di tagliare
la molecola in quei punti.
I tagli possono lasciare estremità
piatte o sfalsate
In quest’ultimo caso, data la
complementarietà delle basi, i
frammenti risultanti presentano
estremità (o code) coesive (stick
ends).
Sono stati, al momento,
identificati alcune migliaia di
enzimi di restrizione, ma i siti
sono poco più di 200.
I vari frammenti possono «riaccoppiarsi» spontaneamente, grazie proprio
a queste code coesive complementari.
Tuttavia solo l’azione di una DNA-ligasi potrà ricostruire un’unica catena
dai due frammenti.
L’accoppiamento può avvenire anche
tra due frammenti con estremità
«piatte», ma è meno frequente.
L’Eco R-I riconosce e taglia la
seguente sequenza
Enzima
Sito di riconoscimento
EcoR I
GAAT T C
C T TAA G
BamH I
G GATC C
C CTAG G
Hind III
AA G C T T
T T C GAA
KPN I
G G TAC C
C CATG G
NOT I
GCGGCCGC
CGCCGGCG
EcoR V
GATATC
C TATAG
Xho I
CTCGAG
GAGCTC
I primi enzimi di restrizione, isolati dall’E. Coli, furono di tre tipi indicati con
Eco R-I
Escherichia coli ceppo R. Il numero romano indica
Eco R-II
l’ordine di scoperta.
Eco R-III
Una sequenza specifica (sito di
restrizione) non è unica, ma si
riscontra in vari punti e a varie
distanze lungo tutta la molecola del
DNA.
In tal modo un enzima specifico riesce
a creare frammenti di varie dimensioni
(e peso) tutte aventi le stesse «code».
L’elettroforesi su gel è una tecnica
utilizzata per
separare i frammenti di DNA in
funzione delle loro diverse dimensioni.
Sfrutta la carica negativa dell’acido
nucleico (e dei suoi frammenti).
Utilizzando vari enzimi di
restrizione su molecole di DNA
derivanti da un unico ceppo di
batteri (o tipo di cellule eucariote)
è possibile costruire la mappa del
DNA.
La conseguenza più significativa della scoperta degli enzimi di restrizione fu
la possibilità del loro uso per la «manipolazione genetica».
Occorre precisare che gli studi sulla struttura degli acidi nucleici e delle
proteine avevano già evidenziato come la loro composizione chimica
fondamentale è la stessa in tutti gli organismi viventi (4 nucleoidi per gli acidi
nucleici organizzati in triplette e 20 aminoacidi per le proteine riscontrabili in
tutti gli esseri viventi) e che la relativa differenza è da imputare solo nel
numero e nella sequenza specifica delle unità molecolari.
Anche diversi processi metabolici (respirazione, sintesi proteica,
fermentazione ecc.) se non uguali, fu dimostrato essere simili e in buona
parte sovrapponibili nei vari organismi.
Questo fa sì che i frammenti di DNA ottenuti dopo la «restrizione» (taglio),
non siano più riconducibili agli organismi originali.
Se mischiati, i frammenti aventi code «complementari» possono accoppiarsi in
modo casuale e indifferente, indipendentemente dalla loro origine.
Le prime semplici esperienze di ingegneria genetica, basate propri sugli enzimi
di restrizione, furono condotte utilizzando i plasmidi.
Sottoponendo ad uno stesso enzima di restrizione i plasmidi di due ceppi
batterici aventi caratteri accessori differenti (ad esempio uno resistente alla
penicillina, l’altro no), miscelando i vari frammenti ottenuti e trattando il tutto
con DNA – ligasi, si ottennero nuovi plasmidi che introdotti (per
trasformazione) in altri batteri furono in grado di trasmettere a quest’ultimi
caratteri nuovi. Questo procedimento fu nominato tecnica del DNA
ricombinante e i batteri ottenuti furono i primi OGM.
Con tale tecnica è possibile costruire plasmidi completamente «personalizzati»,
contenenti, cioè, una serie di informazioni scelte dall’ingegnere genetico. Di
conseguenza è possibile produrre batteri con i caratteri desiderati per poi
produrne in quantità industriale (data la facilità con cui questi microrganismi si
moltiplicano  clonazione dei caratteri) . Il plasmidio, perciò, è definito
vettore di clonaggio della tecnica del DNA ricombinante.
Questa tecnica è utilizzata per «produrre» farmaci a basso costo (clonaggio
molecolare  antibiotici, ormoni, vaccini ecc.)
Es. l’insulina  plasmide chimerico in E. Coli (in commercio dal 1982).
Rappresentazione schematica del clonaggio
DNA SORGENTE
VETTORE DI
CLONAZIONE
1
DNA BERSAGLIO
Restrizione
Restrizione
2
linearizzazione
frammentazione
3
Plasmide ibrido o chimerico
(DNA ricombinato)
congiungimento DNA bersagliovettore di clonazione
Ligasi
4
Introduzione del DNA nella
cellula ospite (trasformazione) e
isolamento delle cellule con il
gene clonato
5
Produzione della proteina
codificata dal gene clonato
(Clonazione molecolare)
cellula ospite
Riproduzione batterica
(clonazione amplificazione)
L’accoppiamento dei frammenti
è casuale per cui si verificano
varie situazioni:
1) Alcuni frammenti non
riescono ad «assemblarsi» in
modo efficace  non si
forma alcun plasmide.
2) Si riforma il plasmide
originario
3) Si forma il plasmide ibrido
desiderato.
Aggiungendo al gene da clonare
il gene per la resistenza ad un
antiobiotico (es. all’ampicillina), i
batteri che inglobano il plasmide
desiderato acquisteranno tale
resistenza per cui, alla fine
dell’esperienza, saranno gli unici
a sopravvivere al trattamento
con l’antibiotico specifico.
Questo permette di
«purificare» il bioreattore
prodotto.
Utilizzi farmaceutici
Insulina.
Costituita da due catene proteiche (alfa e beta), i rispettivi geni vengono prima
legati al gene per Lac-Z (rende più stabile il plasmide chimerico) e poi impiantati
in plasmidi differenti trasmessi, a loro volta, in batteri di E. coli separati.
I prodotti dei due bio-reattori verranno poi assemblate chimicamente.
Vaccino contro virus epatite B
Prodotto negli anni 1986, questo vaccino è costituito dall’antigene di superficie del virus
(HBsAg) prodotto da un lievito (Saccharomyces cerevisiae).
Precedentemente venivano usati HBsAg estratti da plasma ematico di persone siero-positive
al virus dell’epatite B. Tale vaccino produceva vari effetti collaterali dovute alla presenza di
altre molecole chimiche plasmatiche.
Il vaccino prodotto con la tecnica del DNA ricombinante è praticamente «puro»
Vaccini, ormone della crescita (GH o STH), interferone, fattori di coagulazione, anticorpi,
citochine, LH, FSH, enzimi antiinfiammatori, antitumorali, ecc. ecc.
Libreria genica e genomica
Collezione di una serie di ceppi batterici, ognuno dei quali contenenti un plasmide
con un frammento specifico del DNA di un cromosoma (genica) o di tutti i
cromosomi di un organismo (genomica). La collezione completa contiene tutti i geni
di un cromosoma (genica) o di tutti i cromosomi (genomica).
1
Estrazione del DNA
cromosomico
2
Taglio del DNA con
endonucleasi di restrizione
(digestione parziale o totale)
3
Inserimento di ogni frammento
di DNA in un vettore
4
Trasformazione batterica
I primi farmaci prodotti, tuttavia, risultarono poco o per nulla efficaci. Le
molecole prodotto non erano perfettamente uguali a quelle naturali.
La spiegazione fu trovata scoprendo che l’informazione sul DNA (gene) è
grezza, fatta da introni ed esoni.
Solo con il processo dello splicing a carico dell’RNA messaggero si ottiene la
sintesi di una molecola sgrezzata e perfettamente funzionante.
Ora, tale processo richiede complessi enzimatici specifici, non comuni ai vari
tipi organismi, per cui la stessa informazione del DNA viene processata in
modo differente nei diversi tipi di cellule.
Per ovviare a ciò si utilizza la tecnica del cDNA (trascrittasi inversa)
In questa tecnica, si isola l’RNA messaggero presente nel citoplasma (che,
quindi, ha già subito lo splicing) contente l’informazione sgrezzata della
proteina desiderata.
Si tratta tale RNA messaggero con l’enzima virale trascrittasi inversa per
ottenere il cDNA.
Sarà quest’ultimo a essere utilizzato nella tecnica del DNA ricombinante.
Polymerase Chain Reaction - PCR
La PCR rappresenta la seconda rivoluzione nelle tecniche di manipolazione del
DNA
E’ essenzialmente una tecnica di amplificazione del DNA
E’ usata per ottenere grandi quantità di DNA da campioni limitati (anche da
materiale vecchio e degradato  mummie, fossili ecc.)
E’ una tecnica che «copia» il processo della duplicazione del DNA.
Essa consiste, sinteticamente nel:
1. Digerire gli istoni e le varie proteine che tengono il DNA raggomitolato.
2. Scaldare la molecola a 95° per ottenere la separazione delle catene
complementari
3. Aggiungere specifici primer (si tratta di oligonucleotidi, cioè di brevi
sequenze di nucleotidi) complementari ai primi tratti del gene da
amplificare (ognuno ha il suo primer)
4. Raffreddare a circa 50° per permettere l’accoppiamento spontaneo dei
primer
5. Aggiungere i nucleotidi liberi
6. Aggiungere DNA polimerasi per la formazione di nuove catene.
Il ciclo si può ripetere all’infinito con le molecole man mano prodotte
Identificazione di un gene
Attualmente, per produrre una proteina specifica in quantità industriale:
1. Si studia la struttura primaria della proteina per conoscere la sua
sequenza di amminoacidi
2. Attraverso il codice genetico si risale alla sequenza di nucleotidi
corrispondenti nell’RNA messaggero.
3. Si isola tale mRNA dal citoplasma della cellula
4. Tramite trascrittasi inversa di sintetizza una catena di cDNA utilizzando
nucleotidi marcati radioattivamente.
5. Sui miscela tale catena di cDNA marcato con l’intero genoma della cellula.
6. Il cDNA si «legherà», per complementarietà, in un tratto specifico di un
cromosoma. In tal modo si può identificare ed isolare il gene per la
proteina.
7. Una volta isolato lo si può amplificare e impiantare in un altro organismo.
Vettore virale
Grazie alla scoperta degli enzimi di restrizione, e alla tecnologia del DNA
ricombinante, è stato possibile dotare alcuni batteri di sistemi in grado di
«restringere» il DNA (o RNA) virale in modo tale da fargli perdere la sua
tossicità, ma lasciandogli intatta la capacità di infettare e di integrare il
proprio materiale genetico con quello dell’ospite (ciclo lisogeno)
La tecnologia riuscì anche a ricombinare il DNA virale in modo da
«agganciargli» frammenti estranei.
In tal modo il virus ricombinato diventa vettore genetico. Infetta l’ospite
senza comportrne la morte, bensì una sua ricombinazione.
I vantaggi di un vettore virale sono:
- l’efficienza della ricombinazione (si sfrutta la capacità naturale di
integrazione del DNA ospite)
Gli svantaggi:
- Possibilità di produrre virus patogeni (anche tumori)
- Reazione immunitaria
- Frammenti di DNA piccoli
Vettore Cosmidico
In seguito allo studio del batteriofago lambda (il cui DNA non si integra nel
cromosoma dell’ospite, ma si ciclizza nel suo citoplasma divenendo plasmide,
con possibilità di autoreplicarsi ed esprimersi) furono identificate e isolate
due sequenze nuclotidiche estreme a catena singola complementari (dette
cosR e cosL) responsabili, appunto, della ciclizzazione.
Grazie a tali frammenti è possibile costruire un plasmide artificiale
costituito dalle cos in aggiunta ad altri geni desiderati: si ottiene il cosmide.
Introdotto trasforma l’ospite in modo efficiente senza grossi svantaggi.
Verso la fine degli anni ‘80
del secolo scorso si scoprì
che l’agrobacter
tumefaciens, responsabile
del tumore al colletto di
molte piante, agisce
attuando un meccanismo di
coniugazione con le cellule
vegetali.
In queste veniva
trasferito un plasmide, Il
Ti (tumor inducens).
Il Ti è fatto da un DNA circolare contenente diversi frammenti genici, tra cui:
1. Il T-DNA (8 geni responsabili del tumore)
2. Due frammenti Vir (responsabili dell’integrazione del T-DNA nel DNA
3. Frammenti F per la coniugazione
4. Altri geni accessori
Osservare il DNA
A metà circa degli anni ’70 Frederick Sanger introdusse la prima tecnica per il
sequenziamento del DNA, ovvero per la determinazione della successione di basi
in una sequenza di acidi nucleici (In parole povere la «lettura» del codice genetico)
Tale tecnica è basata sul naturale meccanismo di
duplicazione del DNA (DNA polimerasi) e sull’utilizzo
di di-desossiribonucleotidi (ddNtP).
dNtP
ddNtP
Tecnica di Sanger
1
Si parte da molecole di DNA replicate tramite
tecnica PCR o tramite clonaggio in plasmidi di E.
Coli
2
Ottenuta una certa quantità di
molecole di DNA, si purificano e si
trattano al calore (95°C) in modo da
ottenere catene singole.
3
Il materiale ottenuto si distribuisce equamente in 4
provette
4
In ognuna si aggiunge una pari
quantità dei 4 nucleotidi (dNtP) liberi
5
In ciascuna provetta si aggiunge uno
specifico tipo di
di-desossiribonucleotide (ddNtP), cioè un
desossiribonuclotide mancante di un
ossigeno in posizione 3’ (oltre che in
posizione 2’)
ddATP
ddGTP
ddTTP
ddNtP
ddCTP
DNA-polimerasi + primer
5
In ciascuna provetta si aggiunge il
complesso enzimatico DNA-polimerasi
corredato dal suo primer (sequenza di
nucleotidi che agganciandosi in modo
complementare all’inizio della catena di DNA
permette l’attacco dell’enzima)
5
La DNA polimerasi inizierà la «costruzione» di nuove catene di DNA, a
stampo su quelle originali presenti, utilizzando i nucleotidi liberi a
disposizione.
La RNA polimerasi non distingue i dNTP dai ddNTP, per cui li utilizza
indifferentemente.
Ora, quando «incorpora» nella sequenza un ddNTP, la polimerizzazione si
interrompe in quanto non sarà possibile formare il legame tra il fosfato e lo
zucchero in posizione 3’ (manca il gruppo -OH per la «condensazione».
Dato che, in una provetta, l’ultilizzo di uno specifico ddNTP (ad es,
ddCTP) al posto del corrispondente dNTP (dCTP) è casuale,
l’interruzione si avrà a varie distanza dall’inizio delle varie molecole di
DNA, il che darà, alla fine, frammenti di varia lunghezza tutti terminanti,
però, con lo stesso tipo di ddNTP (nel nostro esempio: ddCTP)
Dato che in ogni provetta si è inserito un diverso tipo di ddNTP, i frammenti di
ognuna saranno caratterizzati da nucleotidi terminali differenti.
Si allestisce un’analisi elettroforetica presentante 4 pozzetti in ognuno dei quali si
appoggia una goccia di ciascuna provetta.
Alla fine dell’esame (trascinamento elettroforetico), si avrà un grafico con bande
colorate in diverse posizioni (a seconda della grandezza dei frammenti in gioco)
da cui si ricava la sequenza finale.
1. Ricavare il Ti (plasmide dell’agrobacter tumefaciens)
2. Trattarlo con enzimi di restrizione appositi per «tagliare» il frammento
T-DNA.
3. Eliminare il frammento T-DNA
4. Miscelare il resto del Ti con geni contenenti informazioni volute
5. Trattare con DNA-ligasi
6. Trasferire il plasmide ibrido in batteri comuni
7. Infettare embrioni di piante.
I batteri trattati saranno in grado di trasferire nelle cellule vegetali infettate
nuovi caratteri, senza determinare tumore.
Piante transgeniche  cibi OGM
Terapia genica
Insieme di procedimenti atti a curare o ad
alleviare una malattia modificando geneticamente le
cellule dei pazienti.
La terapia genica è particolarmente
adatta a certi tipi di patologia:
• le malattie ereditarie monogeniche (dovute a deficienze
genetiche di un singolo prodotto genico o dall'errata
espressione di un gene)
• le malattie infettive (causate dall'infezione di un singolo
agente patogeno sia virale sia batterico)
•le malattie del sistema immunitario (che comprendono
soprattutto le allergie, le infiammazioni e le malattie
autoimmuni)
• i tumori (causati dall'errata prosecuzione della divisione e
della proliferazione cellulare a seguito dell'attivazione di un
oncogene o dell'inattivazione di un oncosoppressore)
Vantaggi teorici della terapia genica
• Possibilità di agire su meccanismi molecolari per i quali risulta
estremamente difficile sviluppare farmaci specifici
•Correzione radicale dei difetti
• Vantaggi economici (se fosse permanente eviterebbe la
necessità di trattamenti ripetuti)
L'idea della terapia genica
è nata verso la fine degli anni '70 quando per la prima volta è stato
clonato un gene.
Il primo gene clonato era quello codificante per la b-globina, una
proteina che da sola costituisce circa il 97% del globulo rosso maturo e
che se viene espressa in modo errato o in quantità ridotta causa la
talassemia.
La possibilità di intervenire su questo gene in modo da ottenere globuli
rossi sani e quindi non più talassemici ha dato il via ai primi numerosi
tentativi di terapia genica.
Per curare la talassemia occorre trasfettare il gene della b-globina nelle
cellule progenitrici del globulo rosso che sono però numericamente
pochi e difficili da isolare.
Inoltre l'emogobina è una proteina espressa in modo strutturale dal
globulo rosso e per correggere la talassemia occorre raggiungere
altissimi livelli di espressione del gene inserito.
La terapia genica si può basare su:
inserimento di geni umani clonati
 inserimento di segmenti genici che possono
derivare da altri genomi
 inserimento di segmenti genici sintetizzati in
laboratorio.

Il materiale genetico può venire trasferito:
direttamente nelle cellule
nelle cellule precedentemente
nel corpo di un paziente
prelevate dal paziente e solo in
seguito reintrodotte nel paziente
stesso
terapia genica in-vivo
terapia genica ex-vivo
Strategie terapeutiche
In caso di mutazioni che hanno reso difettoso o non funzionante un gene.
1)
2)
3)
4)
Individuare la proteina difettosa o non funzionante
Risalire al gene specifico
Isolare tale gene da cellule sane (o sintetizzzarlo)
Impiantarlo nelle cellule malate
Strategie terapeutiche
In caso di mutazioni ad effetto dominante negativo.
1) Si studia la sequenza del gene mutante pericoloso
2) Si individua (o si sintetizza) un gene anti-senso (è una sequenza di nucleotidi
complementare al gene in questione)
3) Si introduce il gene anti-senso nelle cellule malate
4) Il gene anti-senso si legherà al gene mutante bloccandolo.
Strategie terapeutiche
Uccisione diretta di cellule patologiche (in genere tumorali)
Gene che codifica un
oncosoppressore
Virus oncolitico
Strategie terapeutiche
Inserimento di geni
Gene che codifica un
oncosoppressore
Virus oncolitico
Come faccio entrare il DNA nelle cellule, e cosa gli succede quando è entrato?
Vettori non virali
Integrazione
Casuale
o
sito-specifica
Vettori virali
Lentivirus (Es. HIV)
Adenovirus
Herpes simplex
Herpes simplex virus
Gli herpes simplex virus, grazie alla loro naturale capacità di stabilire infezioni latenti nei
neuroni, vengono utilizzati per il trasporto di geni nel CNS.
Il genoma degli herpes virus è costituito da un doppio filamento di DNA di 152kb, contiene
più di 80 geni, la metà dei quali non risulta essenziale per la crescita in cellule di coltura; una
volta eliminati tali geni è possibile inserire un transgene di grosse dimensioni (circa 40-50kb).
DNA nudo
Consiste nell’iniettare il gene terapeutico, legato ad un plasmide o a cristalli di fosfato di
calcio direttamente nella cellula tramite l’utilizzo d’una micropipetta.
Lo svantaggio di questa metodica consiste nel fatto che bisogna iniettare il DNA in ogni
cellula, una per una. Il rendimento, inoltre, è decisamente basso.
L’inserzione di DNA nudo è la procedura più lineare e più semplice ed inoltre permette di
trasferire costrutti genici di grandi dimensioni.
DNA in Liposomi
Usando liposomi cationici è possibile far complessare ad essi il DNA, che a pH neutro
presenta carica negativa.
Il complesso DNA-liposoma può fondersi con la membrana cellulare ma nella maggior
parte dei casi viene internalizzato tramite endocitosi.
Successivamente il DNA viene liberato nel citoplasma, entra nel nucleo e viene espresso.
Sfortunatamente questo processo è a bassa efficienza in quanto si è visto che solo lo 0,1%
del DNA introdotto viene espresso.
Per ovviare a ciò nei liposomi sono state anche inserite proteine ed anticorpi che possano
aumentare l’efficacia della procedura minimizzando la degradazione del DNA e facilitando il
corretto direzionamento della vescicola.
Polimeri cationici
Molto simile alla tecnica dei liposomi è la procedura di trasfezione che
utilizza polimeri cationici, infatti macromolecole dotate di molteplici cariche
positive possono interagire con il DNA, il quale a pH fisiologico è un polianione,
provocandone la condensazione e proteggendolo da aggressivi sia chimici che
enzimatici, oltre che da radiazioni ionizzanti.
Anche i complessi DNA-policatione vengono internalizzati dalla cellula per
endocitosi, e possono essere attivamente indirizzati verso specifiche linee cellulari o
tessuti utilizzando anticorpi o altre molecole direzionanti.
Al momento non esistono studi sull’uomo di questa metodica ma solo su animali.
Principali malattie oggetto di studio per la terapia genica:
Malattie
Deficit
Incidenza
Cellule
bersaglio
SCID
Adenosina deaminasi
IL-2R gamma
Rara
Midollo osseo
Linfociti T
Emofilia A e B
Fattori VIII o IX
1:10,000 maschi
Fegato, musc.
Ipercolesterolemia familiare
Recettore per LDL
1:1,000,000
Fegato
Fibrosi cistica
Gene CFTR
1:3,000 caucasici Vie resp.
Emoglobinopatie (tal., SCA)
Difetti in - o b-globina
Fino a 1:600
Midollo osseo
Enfisema ereditario
1-antitripsina
1:3,500
Polmoni,fegato
Cancro
Vari
> 1 milione/anno
Vari tipi
Malattie neurologiche
Parkinson, Alzheimer,SLA
1 milione/anno
Neuroni, glia
Malattie infettive
AIDS, epatite C
Retinopatia diabetica
Degenerazione maculare
1 milione/anno
CellT, MF,feg.
1 milione/anno
Epitelio
retinico
GENETICHE
ACQUISITE
Malattie dell’occhio
terapia genica
di patologie ereditarie
Fibrosi cistica: malattia autosomica recessiva
•
determinata da un deficit di trasporto degli ioni cloro
attraverso le cellule epiteliali dovuta a mutazioni nel
gene CFTR
•
Quadro patologico:
• distruzione del parenchima polmonare
• insufficienza pancreatica
Terapia genica per trasferire un minigene CFTR utilizza :
1. Adenovirus ricombinante: stabilire prima la massima dose tollerabile
2. Liposomi: più sicuri, ma con efficienza inferiore.
69
terapia genica
contro la cecità
«degenerazione ereditaria della retina»
•
patologia progressiva
•
causata da un’alterazione di un singolo gene
•
RPE65
L’intervento:
Inserire una versione sana del gene nei cromatociti
Il gene è stato «trasportato» all’interno dell’occhio da un
vettore virale, geneticamente modificato, che lo ha
inserito nel DNA delle cellule.
per mandare il gene a più cellule possibili, deve essere
usata una quantità tale di soluzione da consentire di
alzare la retina causandone il temporaneo distacco
University College di Londra
Moorfields Eye Hospital
(The Indipendent, 2007)
70
Limitazioni della terapia genica
•Rischio troppo elevato in presenza di terapie alternative
• Mancanza di efficacia dovuta a problemi tecnici (inefficiente
trasferimento genico, inattivazione del gene terapeutico)
• Costi elevati
• Alto rischio di effetti indesiderati (espressione non regolata,
mutagenesi inserzionale, passaggio delle modifiche alla linea
germinale)
Attuali problemi tecnici della terapia genica
• Efficienza di trasferimento genico
• Selettività del sistema di trasferimento
• Espressione instabile nel tempo
• Espressione non regolata
• Reazioni del sistema immunitario
•Possibili interferenze con il genoma (mutagenesi inserzionale)
• Problemi etici
Terapia cellulare
• Allotrapianto: cellule provenienti da un donatore
della stessa specie
• Xenotrapianto: cellule provenienti da animali di
specie diverse
• Autotrapianto: cellule provenienti dallo stesso
paziente
La clonazione animale
Dolly
Perché qualcuno sta pensando
seriamente alla clonazione umana?
(clonazione terapeutica)
• Il problema principale della terapia cellulare è
l’istocompatibilità  rigetto
• La clonazione permetterebbe di ottenere cellule staminali
totipotenti dotate delle stesse caratteristiche antigeniche del
paziente, da usare per il trapianto direttamente o previa
correzione del difetto tramite terapia genica.
Le cellule staminali
Cellule staminali
Totipotenti (zigote)
E’ la capacità di una singola cellula di dividersi e di
produrre tutte le cellule differenziate di un organismo.
Sono le primissime 6-8 (15-20) cellule derivate dalla
cellula-uovo fecondata e chiamate blastomeri.
Pluripotenti (blastociste)
E’ la capacità di una singola cellula di dividersi e di differenziarsi in uno dei tre strati
germinali:
- Endoderma (rivestimento interno dello stomaco, del tratto gastro-intestinale, i
polmoni);
- Mesoderma (muscoli, ossa, sangue, urogenitale);
-Ectoderma (tessuti epidermici e del sistema nervoso);
Hanno perso parte della propria potenzialità.
Utilizzazione: Biologia applicata
• le cellule staminali possano essere isolate,
caratterizzate e utilizzate comprendendone i meccanismi
di proliferazione e differenziazione, per essere coltivate
con successo in laboratorio;
• le cellule staminali cresciute in laboratorio potranno
essere condizionate per trasformarsi in uno specifico
tipo cellulare;
• le cellule staminali che hanno formato particolari tipi
cellulari potranno essere usate nella cura di pazienti i cui
tessuti sono malati o danneggiati;
• i tessuti e gli organi ottenuti in questo modo possono
svilupparsi normalmente senza che ci possano essere
rischi per i pazienti
Limiti cellule staminali adulte
• Non è facile individuarle (l’unica sistema è studiarne il
funzionamento)
• Sono rarissime (nel midollo osseo del topo le staminali sono
1 su 10.000)
• Crescono molto lentamente e necessitano di particolari cure
in coltura.
Impieghi terapeutici
• Leucemia: trapianto di midollo osseo
• Ricostruzione dell’epidermide
Ipotesi terapeutiche



Cura del diabete
Trattamento dell’infarto e di alcuni tumori
Malattie neurovegetative (in particolare Alzheimer e Parkinson)
Come ottenerle?
• dagli embrioni nei primi stadi di sviluppo (blastocisti) creati attraverso
fecondazione in vitro (quelli che non sono più necessari per il
trattamento dell’infertilità qualche volta detti (embrioni di scorta) o
creati specificatamente per la ricerca.
• dagli embrioni nei primi stadi di sviluppo, creati inserendo il nucleo di
una cellula adulta in una cellula uovo a cui era stato rimosso il nucleo
(sostituzione del nucleo cellulare più comunemente detta clonazione
terapeutica);
• Da embrioni non impiantabili in utero (embrioni soprannumerari):
• dalle cellule del sangue del cordone ombelicale al momento della
nascita;
•
da alcuni tessuti negli organismi adulti (derma, strati proliferativi delle
mucose, parte più interna del cervello …)
• dalle cellule germinali o dagli organi di un feto abortito (no problemi
etici);
Clonazione
Ipotizzata negli anni ’30 del secolo scorso, il primo vero tentativo di
questo genere coronato da successo avvenne per opera di John Gordon, il
quale nel 1962 riuscì a clonare una rana a partire dal nucleo di una cellula
intestinale di un’altra rana adulta.
Tuttavia da questo e dai successivi esperimenti era emerso evidente un
limite alla clonazione di individui adulti: la perdita della totipotenza dei
nuclei di cellule differenziate.
La totipotenza è la capacità che cellule non ancora differenziate
(generalmente cellule embrionarie) hanno di ricostruire l’intero organismo.
Dolly
Questo limite è stato però superato dagli studi del gruppo di ricercatori del
Roslin Institute di Edimburgo che nel 1996 riuscirono ad ottenere pecore vive
a partire da una linea cellulare stabilizzata in vitro.
Queste cellule, in tutto assimilabili a cellule embrionali totipotenti, furono
però indotte in quiescenza mediante deprivazione di siero. Il risultato
dell’esperimento era estremamente importante perché la quiescenza è lo stato
del ciclo cellulare in cui si trovano normalmente le cellule differenziate che
costituiscono l’organismo adulto.
L’anno successivo lo stesso gruppo guidato da Ian Whilmut annunciò di
essere riuscito a clonare una pecora – nota in tutto il mondo con il nome di
Dolly – a partire da un nucleo proveniente da una cellula differenziata.
Perché clonare
Può avere diversa finalizzazione:
Riproduttiva
Terapeutica
Dopo Dolly
•
•
•
•
•
1996 clonazione della pecora Dolly da parte di Wilmut
1998 topi
2000 maiale
2002 Gatto
2002 annuncio della prima clonazione di un embrione
umano (attivazione di una cellula uovo)
• 2003 muore Dolly
• 2005 Snuppy il primo cane e Little Nick (prima clonazione
a pagamento $50.000 dollari)
• 2007 Wilmut annuncia di aver abbandonato la tecnica della
clonazione
Costituzione europea
Art. II-61 Dignità umana
La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata
art. II-63 Diritto all’integrità della persona
Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare
rispettati:
a) il consenso libero e informato della persona interessata secondo le
modalità definite dalla legge
b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come
scopo la selezione delle persone
c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte
di lucro
d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e della dignità di essere umano con riguardo alle
applicazioni della biologia e della medicina
Art. 1
1. E’ vietato qualsiasi intervento volto a creare un essere
geneticamente identico a un altro essere umano vivo o morto.
2.
umano
Ai fini della presente sezione, l'espressione essere umano "geneticamente
identico" ad un altro essere umano significa un essere umano che condivide
con un altro l'insieme dei geni nucleari.