Vanna Gessa Kurotschka I saperi sull'umano, il sapere umano e la consulenza filosofica Introduzione Nella primavera del 2002 i dipartimenti di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane , di Neuroscienze e di Tossicologia dell'Università di Cagliari hanno organizzato una serie di seminari interdisciplinari ai quali hanno collaborato le Università di Pisa e di Napoli Federico II in un progetto che, assieme ai filosofi, ha coinvolto neurobiologi e scienziati cognitivi e del linguaggio, storici delle culture e antropologi, filosofi politici, psicanalisti e psichiatri, ingegneri elettronici e storici della letteratura. Dopo il primo degli incontri – dedicato ad approfondire il rapporto fra cervello, mente e coscienza da una prospettiva antropologica ed etica – i seminari cagliaritani sono diventati una ricorrenza annuale. I saggi qui raccolti sono le relazioni, alcune rielaborate, tenute al convegno internazionale I saperi umani e la consulenza filosofica. Riflessioni sull'umano IV (Cagliari/Is Molas 5-8 ottobre 2005) ma soprattutto costituiscono gli esiti del lavoro di questi anni, un lavoro sfociato nella attivazione a Pisa del master interuniversitario di II livello in Consulenza filosofica . L'ipotesi filosofica a partire dalla quale è stata fatta la scelta di dare un carattere fortemente interdisciplinare al lavoro seminariale di questi anni – un lavoro che si nutriva degli esiti delle ricerche condotte nell'ambito dei gruppi di ricerca di rilevante interesse nazionale coordinati da Giuseppe Cacciatore e Giuseppe Cantillo –, è che l'attuale bisogno di riflessione intorno all'umano possa essere soddisfatto solo attraverso un approccio complesso , un approccio che favorisca, dunque, l'incontro di prospettive metodologiche maturate in ambiti disciplinari fra loro molto diversi. Metodologie di lavoro e linguaggi molto distanti, ma anche veti incrociati e pregiudizi reciproci, hanno reso accidentato il percorso di questi anni. Le difficoltà iniziali sono state, però, superate, almeno in parte, attraverso una pratica di lavoro comune nel corso della quale a rigide posizioni riduzioniste, sia degli scienziati che dei filosofi, si sono sostituite la reciproca attenzione e il desiderio di imparare gli uni dagli altri e di correggere la prospettiva strettamente disciplinare a partire dalla quale ognuno di noi lavora, tenendo conto anche della prospettiva diversa che i colleghi ci mettevano a disposizione. Di questi presupposti teorici e di questo lavoro comune si avvale il percorso formativo del master in Consulenza filosofica attivato dalle Università di Pisa, Cagliari e Napoli Federico II, un percorso caratterizzato da una forte attenzione nei confronti degli esiti delle scienze empiriche della vita, neurobiologia e genetica in particolare, e delle scienze cognitive oltre che nei confronti degli sviluppi attuali dell'antropologia filosofica, dell'etica e della filosofia della cultura. Perché è rilevante fare riferimento a tali ricerche, e al significato antropologico ed etico in esse incapsulato, per formulare un concetto di sapere umano che, in quanto sapere complesso , possa costituire il riferimento filosofico adeguato della pratica della consulenza filosofica? I - La Weltbild der Neuzeit : il soggettivo e l'oggettivo La diffidenza dei filosofi nei confronti della ricerca scientifica e degli scienziati nei confronti della filosofia ha le sue radici in una tradizione che aveva differenziato nettamente la scienza dalla filosofia. È stato Martin Heidegger a definire bene i caratteri della Weltbild der Neuzeit che ha costituito la prospettiva all'interno della quale scienziati e filosofi si sono osservati a partire dal Seicento con distacco e diffidenza. In Die Zeit des Weltbildes , testo di una nota conferenza tenuta da Heidegger nel 1938 a Friburgo per un pubblico di scienziati e medici, il filosofo tedesco definisce il carattere della metafisica che nell'epoca moderna contiene la chiave per accedere al significato profondo di due delle sue manifestazioni essenziali, la scienza moderna e la tecnica meccanica . Tale metafisica è per Heidegger notoriamente quella cartesiana che, in tal modo, viene presentata dal filosofo come il fondamento utile a spiegare i caratteri della scienza moderna, della tecnica meccanica e della filosofia che ad esse è strettamente connessa. Se, così Heidegger, è indubbio che si possa individuare “l'essenza del mondo moderno nel fatto che l'uomo si sia affrancato dai legami medievali”, e nel fatto, dunque, che il mondo moderno, liberando l'individuo, abbia fatto trionfare il soggettivismo e l'individualismo, “è altrettanto certo che nessuna epoca precedente abbia elaborato un oggettivismo così spinto e che in nessuna età precedente il non-individuale trovò tanto credito” . “L'essenziale, aggiunge Heidegger, è qui il giuoco reciproco necessario di soggettivismo e oggettivismo” . Tale gioco reciproco di soggettivismo e oggettivismo, nel quale l'uomo e il mondo esperiscono una trasformazione del loro essere , caratterizza l'epoca in modo essenziale. “L'uomo si costituisce come soggetto – subjectum . La parola indica ciò che sta prima e raccoglie tutto in sé” . Divenendo soggetto l'uomo diviene quell'ente in cui “ogni ente si fonda nel modo del suo essere e nella sua verità” . Perché ciò avvenga, perché l'uomo si trasformi in soggetto, è però necessario che anche l'ente nel suo insieme si trasformi. L'ente in quanto ha il suo fondamento nell'uomo divenuto soggetto “è assunto (...) come ciò che egli (…) vuol porre innanzi a sé ( vorstellen ), rappresentarsi” . “L'ente nel suo insieme – dice ancora Heidegger – è perciò visto in modo tale che diviene ente soltanto in quanto è posto dall'uomo che lo rappresenta e produce ( her-stellen )” . Ciò che si deve definire bene per Heidegger è tanto il significato che per l'uomo assume il suo trasformarsi in soggetto che sorregge ( subjectum che è sostanza ), mette innanzi ( vor-stellen ) e produce ( her-stellen ) l'oggetto, sia il significato che tale operazione ha per l'ente posto innanzi e prodotto come oggetto . Il carattere oggettivo del mondo è così definito in Die Zeit des Weltbildes : Che la fisica si sviluppi esplicitamente nel senso di una fisica matematica, - dice Heidegger - viene a significare che attraverso essa e per essa è determinato in anticipo e in un modo precipuo qualcosa di già conosciuto. Questa determinazione riguarda nientemeno che il progetto di ciò che per la conoscenza della natura che si vuol raggiungere dovrà costituire la natura stessa, e cioè l'insieme coerente e in sé chiuso dei movimenti dei punti massa in rapporto spazio temporale ” . Nella struttura complessa che vede soggetto e oggetto strettamente connessi ad interpretare ruoli differenti, la natura viene, dunque, posta e prodotta come oggetto , come quantità di movimento spazio-temporale , e l'uomo si trasforma in soggetto , in fondamento non esteso del progetto di un campo del sapere nel quale afferma il suo dominio. In tale trasformazione del mondo naturale in oggetto esteso e dell'uomo in soggetto non esteso che progetta quel campo del sapere nel quale la natura diviene l'insieme coerente e in sé chiuso dei movimenti dei punti massa in rapporto spazio temporale , non è però solo la natura ad assumere il carattere dell'estensione e ad essere conoscibile attraverso le categorie della fisica meccanica; anche aspetti rilevanti dell'umano vengono posti innanzi e prodotti in quanto oggetto esteso e come tali studiati . II – Soggetto e mondo: i percorsi convergenti della Philosophy of Mind e della filosofia continentale Seguire le vicende intricate che, a partire da Cartesio, fra il Seicento e il Novecento hanno scandito la non lineare storia del soggetto moderno non è qui possibile . Rilevante è però far riferimento al modo in cui il rapporto fra soggetto e mondo è stato concepito agli albori del Novecento, quando la filosofia si è differenziata al proprio interno dando origine a due tradizioni, quella analitica e quella continentale. La contrapposizione fra filosofia continentale e filosofia analitica, una contrapposizione che ancora oggi, nonostante evidenti mosse di avvicinamento da entrambi i lati, si è ricomposta solo parzialmente, ha avuto origine dall'atteggiamento assunto dalla filosofia nei confronti della scienza . Mentre la filosofia analitica si è impegnata a definire lo statuto epistemologico della scienza, considerata come modello a cui ricondurre ogni forma di sapere, e, dunque, anche quello filosofico, la filosofia continentale si è ritratta dall'ambito di ciò che veniva conosciuto in quanto oggetto, dedicandosi al soggettivo, curandone e, per così dire, difendendone la specificità. L'oggettività – anche il corpo dell'uomo - veniva in tal modo dalla filosofia continentale lasciata in mano ai saperi che specialisticamente dovevano occuparsi di essa, mettendone in evidenza quegli aspetti permanenti e uniformi che il progetto moderno della trasformazione del mondo in oggetto aveva decretato come suoi specifici. Se fenomenologi e esistenzialisti percorrevano tale distinzione, ritagliando un campo del non-esteso per il soggetto e divenendo gli specialisti di tale campo, la Philosophy of Mind sottoponeva la mente dell'uomo ad una analisi che ha espunto da essa la prospettiva della prima persona singolare. Anche alla mente, concepita cartesianamente come indipendente dal corpo specifico nel quale essa pare situata del tutto casualmente, dovevano applicarsi i canoni di scientificità validi per quel campo del sapere oggettivo attraverso il quale la fisica meccanica a partire dal Seicento aveva avuto accesso al mondo. La seconda metà del Novecento è stata il teatro del lento manifestarsi di una profonda e giustificata crisi di identità sia nell'ambito della Philosophy of Mind analitica sia in quello della filosofia continentale. Definire almeno per sommi capi il carattere di tale crisi è rilevante sia per chiarire lo stato attuale della questione sia per giustificare il punto di partenza del nostro lavoro di questi anni, dell'esperienza di ricerca a partire dal quale il master in Consulenza filosofica è stato progettato. Interessante è qui per noi definire gli esiti più recenti della discussione intorno ai caratteri della mente in ambito analitico. Il comportamentismo, che con la sua metodologia rigorosamente esternalista non era in grado di tener conto degli stati di coscienza interni nella spiegazione del comportamento, lascia spazio nei tardi anni Sessanta e poi negli anni Settanta alla metodologia funzionalista . La novità che il funzionalismo introduce nella Philosophy of Mind riguarda proprio la pretesa da esso avanzata, quella cioè di riuscire a tener conto di tutti gli aspetti della mente, anche di quelli soggettivi , e dunque, interni di cui il comportamentismo non riusciva invece a tenere conto. La crisi del funzionalismo inizia a consumarsi proprio in rapporto a tale pretesa. Già nel 1974, in un saggio significativamente intitolato What is it like to be a Bat? – saggio divenuto giustamente famoso -, Thomas Nagel ha messo in evidenza che vi è un aspetto della mente di cui il funzionalismo non riesce né a tener conto né a dar conto . Ciò che si prova ad essere quell'essere che si è , è uno stato mentale soggettivo e qualitativo che in quanto tale non viene spiegato dal modello della mente fornito dal funzionalismo. Quale è lo statuto ontologico degli stati soggettivi della mente, di ciò che si prova soggettivamente, dei così detti qualia ? Tali aspetti soggettivi della mente sono un tramite per accedere a conoscenze significative oppure devono essere messi da parte quando si cosce? Mary, la scienziata, cieca specializzata nella teoria della visione, se dovesse riacquistare la vista e, dunque, disporre della sensazione che si prova nel vedere un oggetto, conoscerebbe qualcosa di più intorno al suo oggetto di studio rispetto a ciò che già conosceva scientificamente prima di possedere la sensazione del vedere ? Il filosofo che ha messo in evidenza tutte le conseguenze sia gnoseologiche che ontologiche della discussione che ha animato la Phylosophy of Mind a partire dal saggio di Nagel del '74 intorno agli aspetti soggettivi della mente, al loro statuto ontologico e alla loro funzione gnoseologica, è David Chalmers . The Conscious Mind , il volume pubblicato da David Chalmers nel 1996, ha non solo riordinato una discussione ampia e articolata che infuriava oramai da due decenni, ma ha anche rappresentato il punto di partenza per la definizione di una piattaforma di lavoro nuova e produttiva a partire dalla quale oggi ancora si discute. Chalmers ha distinto fra aspetto fenomenico e aspetto psicologico della mente cosciente. Degli aspetti psicologici della mente cosciente il funzionalismo tiene conto e dà conto in maniera completa. Che una credenza soggettiva sia la causa di un comportamento coerente è ciò che il funzionalismo riesce a spiegare senza problemi. Se io credo che pioverà, certo prenderò, prima di uscire, un ombrello. Se invece sono innamorato e felice e desidero cantare sotto la pioggia, forse prima di uscire non prenderò un ombrello. Il mio comportamento, che ad uno sguardo solo esterno – quello di chi non mi conosce e non sa del mio nuovo amore (il comportamentista) – sembrerebbe inspiegabile, viene spiegato da chi invece tiene conto del mio sentimento soggettivo e lo assume come la causa del mio cantare felice sotto la pioggia (il funzionalista). Occuparsi del carattere fenomenico della mente equivale però a qualcosa di diverso. La domanda filosofica che la questione dei qualia ha fatto sorgere riguarda da una parte la possibilità che le qualità soggettive della mente permettano di conoscere aspetti del mondo che sfuggono alla spiegazione causale. Ciò che provo quando, innamorato e felice, passeggio sotto la pioggia, mi permette di conoscere aspetti del mondo che la fisica si lascia invece sfuggire? Il sapere del mondo a cui accedo tramite quegli aspetti soggettivi della mente cosciente che la fisica meccanica aveva metodologicamente espunto dall'attività conoscitiva, le sensazioni soggettive, per costituirsi sullo spazio-tempo ( estensione e movimento ) assoluti, non è una forma di sapere valida e rilevante? E, dall'altra, tali stati soggettivi, esprimibili solo in prima persona, possono essere conosciuti scientificamente, con la metodologia oggettivante che la scienza a partire dal Seicento ha predisposto, e poi sempre più affinato, una metodologia che ha permesso di accumulare tanti successi conoscitivi? Queste domande, che il libro di Chalmers ha con esemplare limpidità teorica formulato, sono quelle con le quali sia la Philosophy of Mind sia la filosofia continentale si stanno confrontando. Dagli anni Novanta ad oggi lo studio di quell'aspetto della mente che Chalmers ha chiamato fenomenico ha avuto un potente sviluppo ed è stato il campo di ricerca nel quale si è verificato quel produttivo incontro fra filosofia analitica, filosofia continentale e neurobiologia nel quale anche il nostro lavoro in questi anni si è collocato. La mente fenomenica non è né riducibile al suo carattere esperienziale, esprimibile nella prospettiva della prima persona singolare di cui la filosofia continentale si è occupata, né è riducibile alla sua funzione psicologica che ne spiega la capacità di essere la causa di un comportamento. Quell'aspetto della mente che fenomenologia ed esistenzialismo si erano ritagliati, facendo di esso il campo specifico nel quale impegnarsi filosoficamente, un aspetto della mente che né il comportamentismo né il funzionalismo riuscivano a spiegare con i loro modelli della mente e che invece l'ultima Philosophy of Mind individua come eminentemnte rilevante per definire un modello di funzionamento della mente esaustivo, diviene il luogo di un produttivo incontro fra filosofia analitica, filosofia continentale e scienze empiriche della vita quali la genetica e la neurobiologia. Ciò che si prova ad essere quell'essere che si è può essere definito esaurientemente solo attraverso il complesso incontrarsi della prospettiva oggettivante delle scienze empiriche con la prospettiva in prima persona che tradizionalmente la filosofia continentale si era ritagliata per sé, pensandola indipendentemente da ogni dimensione oggettiva. La distinzione fra soggettivo ed oggettivo, su cui la Weltbild der Neuzeit si era costituita, è stata revocata in dubbio in tal modo perlomeno in un ambito del sapere. Per accedere alla conoscenza degli stati qualitativi della mente, quelli che ci riguardano più da vicino - il piacere e il dolore, la gioia, la felicità, la tristezza, l'amore, l'odio e l'amicizia, tutto ciò senza cui né individui né popoli possono avere una specifica identità - la divisione del lavoro sulla quale la scienza moderna aveva costituito il proprio metodo e la filosofia (sia quella analitica sia quella continentale) aveva definito il proprio campo di applicazione deve essere superata e lasciare spazio all'utilizzazione di metodologie complesse . Tali metodologie devono porre in grado i filosofi di pensare il soggettivo tenendo conto degli esiti delle scienze della vita e gli scienziati di conoscere l'oggettività estesa tenendo conto del fatto che vi sono oggetti nel mondo che, pur essendo tali, non sono– direbbe Aristotele – né pietre (prive di sensibilità e pensiero) né astri (costituiti di etere) ma esseri umani ( sin-oli ) . Ciò che si prova ad essere quell'essere che si è permette, inoltre, un accesso a conoscenze intorno al mondo rilevanti nella nostra vita, conoscenze senza le quali il nostro rapporto con il mondo e con gli altri esseri umani sarebbe profondamente trasformato . III - L'alleanza strategica fra biologia, filosofia e etica nel costituirsi del sapere umano Sia la filosofia analitica sia la filosofia continentale convergono, dunque, nel tentativo di elaborare un modello di funzionamento della mente che tenga conto inclusivamente del suo essere incorporata . Il corpo non viene più considerato un impedimento per il pensiero; il sentire, pensare, il parlare e l'agire sono, piuttosto, attività di una mente incorporata. Accostarsi agli esiti della ricerca biologica è un'esperienza affascinante e utile. La biologia riesce oggi ad interagire bene con la filosofia, ricambiando in pieno l'interesse che quest'ultima le riserva. Cosa sta accadendo nell'ambito della biologia di interessante per l'antropologia e l'etica, e, dunque, per la consulenza filosofica? L'ipotesi riduzionista a partire dalla quale anche la biologia per lungo tempo ha lavorato è stata così sinteticamente riassunta da Steven Rose: (...) poiché la scienza è unitaria, e poiché la fisica è la più fondamentale delle scienze, una teoria conclusiva sarà in grado di ridurre la teoria chimica a un caso speciale della fisica, la biochimica alla chimica, la fisiologia alla biochimica, la psicologia alla fisiologia e infine la sociologia alla psicologia, e quindi alla fisica . Tale ipotesi non è più l'ideale conoscitivo della ricerca biologica. Fino ai primi anni Ottanta gli esiti delle ricerche della genetica contemporanea sembravano permettere di avallare l'idea che, possedendo la sequenza completa del DNA di un organismo e un computer abbastanza potente, si sarebbe potuto progettare un modello capace di riprodurre fedelmente tale organismo. Grazie al progresso delle ricerche genetiche, tale ipotesi ha perduto oggi la sua credibilità. Il gene egoista di Dawkins è stato un libro di grande successo . Interpretava bene la fase di trionfalistico ottimismo di una scienza, la genetica, che stava attraversando un processo di rinnovamento rivoluzionario. Rileggere oggi il libro di Dawkins permette di prendere coscienza del peso delle trasformazioni che sono avvenute sia nell'ambito della genetica e della comprensione di sé di tale scienza. L'ipotesi di Dawkins, per la quale il comportamento degli individui viene determinato segretamente dal bisogno di riprodursi dei nostri geni e dalla loro capacità di scegliere – indipendentemente dalla nostra coscienza e dalle scelte che noi crediamo di fare in modo cosciente e libero - le vie migliori per sopravvivere, si è dimostrata decisamente mal formulata se non del tutto falsa. Non vi è una storia del nostro organismo più vera , una storia che si gioca al di sotto di ciò che noi crediamo di sapere di noi stessi e a cui ciò che crediamo di sapere deve essere ridotto per essere conosciuto. La realtà che noi crediamo vera non è, dunque, una scena sulla quale burattini manovrati segretamente vengono mossi senza sapere di esserlo. Fra il corredo genetico e il comportamento degli individui di una specie non vi è quel deterministico collegamento che non solo Dawkins ma tutta la sociobiologia negli anni Ottanta del Novecento metteva a fondamento del suo statuto epistemologico . Quanto contano nella nostra vita le nostre caratteristiche genetiche? Quanto dipendiamo come individui dal patrimonio di geni che ci viene trasmesso da coloro che ci hanno generato? “Tutti nasciamo – dice Boncinelli - condizionati dai nostri geni. Qualcuno subisce da parte del proprio patrimonio genetico un condizionamento capace di condurlo a una esistenza difficile. La maggior parte di noi riceve solo dei piccoli orientamenti in una direzione piuttosto che in un'altra. Se fossimo animali non avremo riparo contro questa sorta di predestinazione (…). Come esseri umani invece abbiamo sviluppato una cultura e una vita sociale che ci permettono di venire a patti entro ampi limiti con la nostra predestinazione genetica (…) Possiamo considerare l'intero processo dell'evoluzione culturale umana come un continuo progressivo affrancamento dalla nostra biologia” . Il corredo di geni che regola la vita del nostro organismo non determina, dunque, il comportamento degli individui di una specie e rappresenta, piuttosto, una base di funzioni e capacità memorizzate nel corpo fisico di ogni individuo ( genotipo ) che solo con il verificarsi di una serie molto ampia, indeterminata e indeterminabile di condizioni ambientali, fisiche, psichiche e culturali, potranno effettivamente giungere ad esprimersi in un comportamento individuale che sarà sempre irripetibilmente singolare ( fenotipo ). “Ogni essere vivente – scrive ancora Boncinelli – vive una doppia realtà. Un sasso è un sasso. Una cellula è una cellula più il suo genoma. (…) La storia di un organismo è una doppia storia. Così organismi che contengono lo stesso genoma possono mostrare differenze significative, dovute agli eventi accidentali della loro storia individuale. Ma se il genoma non ne ha risentito i loro discendenti saranno ancora del tipo originario, perché la loro formazione e la loro vita saranno ancora guidate dalle medesime istruzioni. (…) La vita di ogni individuo biologico costituisce una variazione sul tema rappresentato dal genoma che caratterizza quella specie in quel particolare momento” . Conservazione e varietà devono, dunque, essere coniugate nel modo giusto per capire cosa sia un individuo biologico. Un essere vivente è un'entità fisica “costituita di materia organizzata secondo specifici criteri definiti e controllati dal suo patrimonio genetico, o genoma” . La conservazione è assicurata dal genoma che si occupa di mantenere la particolare forma di organizzazione della materia che costituisce l'individuo biologico. “ Organizzazione deriva da organon , strumento”, dice Boncinelli. “Uno strumento serve ad uno scopo, cioè a compiere funzioni. È evidente che gli esseri viventi sono composti di parti che compiono una funzione, hanno cioè uno scopo determinato” . Il patrimonio genetico, o genoma, è quel complesso di istruzioni biologiche che ad ogni generazione passano di padre in figlio (…) e che contribuiscono (…) a tenere in vita e a fornire di una precisa identità le cellule e l'organismo pluricellulare che contiene” . Se la conservazione dell'organizzazione della materia utile allo scopo che il singolo organismo eserciti una certa funzione, abbia cioè una certa identità , è assicurato dal genoma di quell'organismo, cosa rende possibile la varietà degli organismi? Nessun carattere di un organismo vivente è determinato esclusivamente dal suo patrimonio genetico. Le condizioni ambientali hanno un'enorme influenza sui caratteri somatici di un organismo, soprattutto su quelli multifattoriali, i caratteri cioè che vengono influenzati da più geni. La pleitropia è quel fenomeno per il quale un gene controlla molti tratti fenotipici diversi. Ogni mutazione di un gene che controlla una molteplicità di caratteri fenotipici si pone alla base di molti effetti fenotipici differenti. Se nella specie umana la pleitropia rappresenta la regola e non l'eccezione, le variazioni del fenotipo a parità del genotipo possono riguardare sia la presenza o l'assenza di un determinato carattere sia l'intensità con cui il carattere si presenta. Il primo parametro è misurato dalla penetranza , il secondo dall' espressività genica . Il cammino fra l'identità genetica di un individuo e il carattere del fenotipo è molto complicato, molto lungo e sottoposto a molte interferenze; esso è, dunque, tutt'altro che facilmente prevedibile. Queste interferenze possono derivare sia dall'azione di altri geni sia dalle circostanze della vita individuale di un determinato organismo. Anche a parità di genotipo, dunque, la variabilità del fenotipo, sia per i fattori ereditari monofattoriali sia, a maggior ragione, per i caratteri multifattoriali è enorme. Il neodarwinismo sembra oggi la migliore spiegazione disponibile dei fenomeni che riguardano lo sviluppo e l'evoluzione della vita. Il nucleo centrale della teoria evoluzionista, esposto più di cento anni fa da Darwin, viene oggi riformulato e precisato. La teoria dell'evoluzione mette a disposizione un modello di spiegazione della variabilità che riguarda sia il genotipo sia il fenotipo . Una corretta comprensione della teoria evolutiva permette di riconoscere il ruolo della casualità nell'evoluzione/trasformazione del genotipo . È l'accumularsi di casuali piccoli errori ad essere alla base di una trasformazione genetica che ad un certo punto permane e viene ereditata senza che a priori si possa definire perché ciò avvenga. Il neodarwinismo fornisce anche il modello oggi più convincente per spiegare la variabilità del fenotipo , la identità biologica degli individui di una specie. Il settore degli studi biologici all'interno del quale la definizione dei modelli di variabilità individuale degli organismi ha avuto un grandissimo sviluppo è la neurobiologia . Il cervello è un organo fornito di una enorme plasticità. Non vi sono due cervelli identici perché ogni cervello, sulla base di istruzioni modificabili incorporate che costituiscono il presupposto memorizzato speciespecifico della vita individuale, è in continua evoluzione e si trasforma ininterrottamente nel corso della vita degli individui nella sua struttura fisica in rapporto diretto e immediato con l'ambiente e il mutare delle esperienze. L'ambiente in cui si forma il cervello è prima di tutto il corpo fisico che funge da insostituibile interfaccia con l'ambiente più ampio della natura e degli altri esseri viventi, degli altri esseri umani e, dunque, della cultura. Il cervello funziona e si evolve per selezione . Non è la metafora del computer quella utile a conoscere il funzionamento del cervello. Reti neurali vengono create e si sviluppano ulteriormente quando vengono utilizzate; se, invece, divengono inutili, esse muoiono. La neurobiologia non si occupa solamente di studiare il cervello. Le neuroscienze cognitive si stanno occupando, piuttosto, in maniera privilegiata del rapporto fra il cervello, la mente, la coscienza e, anche, la libertà. Gli umani, ma anche in una certa misura certi animali, sono infatti esseri che interagiscono con il mondo e fra loro per il tramite di un aspetto specifico della mente, la coscienza. La ricerca neurobiologica sulla coscienza è un campo ampio e complesso di ricerca che si incrocia con gli interessi di altre discipline scientifiche e filosofiche. Certamente la filosofia e la psicologia, ma anche l'etica, vengono interrogate con interesse dai neuroscienziati più accorti. “Esiste un qualche punto di discontinuità – si è chiesto Boncinelli - lungo il tragitto che va dal funzionamento della cellula all'integrazione operata dal sistema nervoso, poi al controllo delle azioni quotidiane e infine alla percezione di sé al centro del gran teatro del mondo? (…) L'ipotesi più semplice che si possa fare è che lungo questo tragitto non ci sia nessuna reale discontinuità. Questa resta a tutt'oggi l'ipotesi più ragionevole” . La neurobiologia parte dall'ipotesi che la coscienza sia un evento biologico come un altro. Tale ipotesi non costringe a interpretazioni riduzioniste della coscienza. La coscienza, sia quella che Chalmers ha chiamato psicologica sia quella fenomenica, ha un correlato neurale che deve essere studiato con gli strumenti messi a disposizione dalla biologia. Quando proviamo amore, amicizia, odio, desiderio, quando scegliamo una strategia di azione anziché un'altra, avvengono nel nostro cervello reazioni chimiche specifiche, oggi visibili con gli strumenti nuovi e raffinatissimi che gli scienziati del cervello hanno a disposizione. La descrizione di tali reazioni chimiche, senza le quali certamente la coscienza fenomenica sarebbe assente, non permette però di dare una definizione esaustiva del fenomeno complesso della coscienza. Gli stati di coscienza sono ontologicamente stati soggettivi e in quanto tali devono anche essere conosciuti. È stato John Searle a distinguere fra riduzione causale e riduzione ontologica, una distinzione che il filosofo ha utilizzato per spiegare il rapporto fra cervello, mente e coscienza in maniera convincente. Searle distingue fra riduzione ontologica e riduzione causale come segue. “La forma più importante di riduzione è quella ontologica, grazie alla quale è possibile mostrare che oggetti di determinati tipi sono nient'altro che oggetti di altri tipi: ad esempio, che le seggiole non sono altro che collezioni di molecole” . Per quanto riguarda la riduzione causale invece “si tratta di una relazione tra due tipi di entità dotate di poteri causali in cui si mostra che l'esistenza, e a fortiori i poteri causali, dell'entità soggetta a riduzione possono essere interamente spiegati in base ai poteri causali dei fenomeni a cui essa viene ridotta” . Utilizzando tale distinzione si può allora affermare che le reazioni chimiche che avvengono nel cervello siano la causa della coscienza fenomenica senza per questo affermare che la coscienza fenomenica si riduce ontologicamente al cervello e a ciò che in esso accade. E, ulteriormente, senza affermare che quelle reazioni chimiche ne definiscano esaurientemente la nozione . Gli elementi soggettivi che caratterizzano i fenomeni coscienti infatti richiedono per essere descritti un linguaggio diverso da quello oggettivante della scienza, esigono il linguaggio della filosofia. L'immagine e la descrizione della fisica e della chimica di ciò che avviene nel cervello quando proviamo collera non definisce in modo completo la collera, che è, dunque, un fenomeno non riducibile né al ribollire del sangue nelle vene né all'immagine neurale che è il suo il correlato. Per definire la collera in maniera esaustiva, oltre che della descrizione di ciò che accade al corpo di un essere umano irato, abbiamo bisogno della filosofia. Se un evento provoca in me ira significa infatti che io lo interpreto in un certo modo per cui la reazione adeguata ad esso è l'ira. L'ira è, dunque, ben definita se, oltre che il ribollire del sangue, si tiene conto del fatto cognitivo specifico in essa incapsulato. Ciò che prova un essere dalla caratteristiche ontologiche quale è l'uomo non è accessibile attraverso la descrizione del fenomeno fornita dalla fisica e facendo astrazione dalle cognizioni incapsulate nel fenomeno della coscienza. L'alleanza fra neurobiologia e filosofia è, dunque, consigliabile se si vuole trovare la nozione corretta per definire la specifica modalità di essere degli umani, una modalità di essere di esseri che interagiscono con il mondo e fra loro mossi da cognizioni. A definire bene l'essere umano con i suoi caratteri specifici, che sono differenti da quelli di un essere inanimato – una pietra –, ma anche da quelli di animali forniti di forme elementari di coscienza, non è però sufficiente neanche la strategica alleanza fra biologia e filosofia. Le parti organizzate che costituiscono un organismo biologico hanno infatti uno scopo da realizzare. Gli organismi sono sempre individuali, sono una variazione particolare sul tema definito dal genoma. Abbiamo detto che negli esseri umani la buona attuazione di tale variazione sul tema che è l'individuo biologico è regolata almeno in parte dalla coscienza. La coscienza è nata forse proprio come lo strumento naturale più adatto alla regolazione della realizzazione degli scopi dell'organismo umano. Forniti di tale strumento abbiamo sviluppato una cultura e una vita sociale che ci permettono di venire a patti entro ampi limiti con la nostra predestinazione genetica . Ho ripreso le parole di Boncinelli, più sopra citato, che mi sembra individuino molto bene la rilevante funzione della cultura, delle scelte coscienti degli esseri umani che interagiscono con il mondo e fra loro, nell'evoluzione anche biologica del nostro genere. Se ciò è vero, l' etica è certamente necessaria alla buona definizione dell'essere umano, del suo ben-essere e della sua possibilità di essere appagato, certo non meno necessaria di quanto lo siano la biologia e la filosofia . E, l' etica utile allo scopo di definire quell'organismo speciale che è l'organismo umano non è un'etica che deve affrancarci dalla biologia; è, piuttosto, un'etica che deve completare la biologia di un essere che, senza l'intervento costitutivo della filosofia e dell'etica, non è propriamente individuato e identificabile. L'etica è, dunque, eminentemente bio-etica e assolve ad un compito antropologicamente costitutivo. Il carattere specifico dell'essere umano, la sua specifica ontologia, consiste nel fatto che la sua individualità biologica non è definibile come nuda vita , e necessita di una filosofia e di un'etica in grado di articolarne l' identità attraverso una pratica individuale di vita, attraverso responsabili scelte che lo definiscono anche biologicamente . IV – Il sapere umano e la consulenza filosofica I saperi ai quali il sapere umano deve accostarsi per divenire autenticamente tale sono, dunque, molteplici. Il differente statuto epistemologico di tali saperi non è un impedimento al loro coniugarsi complesso in un sapere umano che deve costituirsi tenendo eminentemente conto degli esiti delle ricerche che nell'ambito di tali saperi si sono raggiunti e che ogni giorno accrescono le nostre conoscenze. Tale legame necessario del sapere autenticamente umano con i saperi molteplici di cui deve tenere conto per costituirsi in quanto tale non ne segnano la subalternità. Uno studio attento dell'evoluzione delle scienze cognitive e delle scienze empiriche mette a disposizione della antropologia, della filosofia della cultura e dell'etica una piattaforma di lavoro comune necessaria a quei saperi. Il sapere umano non è riducibile ai saperi ai quali si collega; è, piuttosto, un sapere creativo, un sapere che ha un compito umanamente costitutivo. E ciò tanto più adesso che la cultura, quello strumento artificiale che gli umani hanno creato e che costituisce l'interfaccia che essi hanno posto fra se stessi e la natura, è in grado di venire a patti con la nostra predestinazione naturale con strumenti ben più agguerriti di quelli che finora sono stati tradizionalmente usati per completare ciò che la biologia non definisce deterministicamente. Assolvere al compito che Socrate assegnava al sapere umano , quello di prendersi cura dell'anima, è oggi rilevante in maniera particolare. L'artificialità, la cultura e la tecnica applicata alla vita, costituisce il nostro bios intimamente e definisce ontologie umane molteplici. Il sapere umano non è contemplativo, ma attivo e pratico. Giambattista Vico lo definiva poetico per la sua efficacia humanante . Ciò che saremo non è solo, o soprattutto, legato alla evoluzione naturale, e, cioè, in gran parte alla casualità. L'innesto dell'artificio nel bios individuale che ci costituisce identitariamente avviene adesso e attraverso una cultura che si è armata di strumenti di penetrazione tecnologicamente raffinatissimi e attraverso tecnologie biologiche propriamente dette che fanno già di ognuno di noi un cyborg . Comunicazione di massa e biotecnologie sembrano in grado di poter determinare ciò che ognuno di noi ontologicamente è e potrà essere molto più efficacemente di quanto finora non abbia fatto la natura. Ciò ci assegna un potere ed una responsabilità rilevantissimi, un potere che dobbiamo riuscire a gestire responsabilmente in modo da creare ben-essere , vita buona , eudaimonia . Il sapere umano , in quanto sapere pratico, non rispecchia ciò che è come è; deve, piuttosto, immaginare e mettere in atto modi di essere dell'umano che permettano il realizzarsi dell' eudaimonia. La consulenza filosofica deve collegarsi a un tale sapere, un sapere che – questa la difficoltà dell'impresa – non è chiuso, definito una volta per tutte, ma, come voleva Socrate, aperto e vago . E il suo oggetto è aperto e vago perché non è propriamente un oggetto . Tale apertura e vaghezza non sono prive di vincoli. I vincoli, però, non sono tali da determinare l'ontologia dell'umano in maniera da rendere ciò di cui il sapere umano si occupa un oggetto da contemplare e riprodurre. Come agire quando si devono compiere scelte per le quali non si posseggono parametri e criteri univocamente fondati e condivisi? Quale cura dobbiamo dedicare a noi stessi e agli altri, alla natura e agli altri esseri viventi sulla terra perché la nostra vita possa svilupparsi e trascorrere nel suo complesso bene e felicemente? Come affrontare le difficoltà e i dolori che necessariamente sono connessi alla vita umana, anche a quella che può essere giudicata la più felice? Quale uso fare delle tecniche che le conoscenze scientifiche ci mettono a disposizione per far in modo che tale uso renda la nostra vita umanamente più rigogliosa e fiorente? Come far convivere prima di tutto in ognuno di noi la molteplicità di culture che costituiscono la nostra vita senza che tale molteplicità faccia scaturire insanabili conflitti? Per cercare le risposte a tali domande è necessario un sapere tanto aperto e vago da poter essere articolato nella forma della prima persona singolare attraverso le scelte etiche di ognuno e tanto vincolato da rispettare l'orizzonte normativo che ad esso offre la dimensione ontologica in cui esso è situato, una dimensione che è quella degli esseri umani . Si veda: M. Heidegger, L'epoca dell'immagine del mondo , in “Sentieri interrotti”, presentazione e traduzione di Pietro Chiodi, La Nuova Italia , Firenze 1968, pp. 71-103. Ibidem , p.85. Ibidem , p. 85. Ibidem , p. 85. Ibidem , p. 86. Ibidem , p. 87. Ibidem , p. 88. Ibidem , p. 75. Su ciò si veda specificamente E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale , pref. di Enzo Paci, trad. di Enrico Filippini, Il Saggiatore, Milano 2002. La ricostruzione storica del cammino percorso dal soggetto moderno è più complessa e articolata di quanto Heidegger non abbia colto con la sua definizione dei caratteri della metafisica moderna. La bibliografia intorno a tale questione è molto ampia. Su ciò si veda: Ricostruzione della soggettività , a cura di R. Bodei, G. Cantillo, A. Ferrara, V. Gessa Kurotschka, S. Maffettone, Liguori, Napoli 2004. Si veda: F. D'Agostini, Guida alla filosofia degli ultimi trent'anni , Raffaello Cortina, Milano 1997. Si veda: G. Ryle, The Concept of Mind , New York , Barnes and Noble, 1949; trad. it. Lo spirito come comportamento , Einaudi, Torino 1955. Si veda: Th. Nagel, What Is It Like to be a Bat? , in «Philosophical Review», 83, 1974, pp. 434-450, trad. it. Che cosa si prova ad essere un pipistrello? , in R.D. Hofstadter, D.Dennett (a cura di), L'io della mente , Adelphi, Milano 1992, pp. 379-392. Su ciò si veda: F. Jackson, What Mary didn't know , in “Journal of Philosophy”, 83, 1986, pp. 291295. Si veda: D. Chalmers, The Conscious Mind , Oxford , Oxford University Press, 1996; trad. it. La mente cosciente , McGraw-Hill, Milano 1999. Su ciò si veda: V. Gessa Kurotschka, La non riducibilità della coscienza fra “Philosophy of Mind” e neurobiologia, in “Iride”, 40 (2003), pp. 467-93. Su ciò in particolare ha lavorato il neurobiologo Antonio Damasio (si veda la nota 27 per indicazioni bibliografiche specifiche). Si veda: G. Guezeldere, “The Many Faces of Consciousness: A Field Guide”, in The Nature of Consciousness. Philosophical Dibates , edited by Ned Block, Owen Flanagan, and Gueven Guezeldere, MIT Press 1997, pp. 3-61. Si veda anche: Andy Clark, Being There: Putting Brain, Body and World Together Again , MIT Press, Bradford Books 1997; e sempre di Andy Clark, Natural-Born Cyborgs: Minds, Technologies, and the Future of Human Intelligence , Oxford University Press, New York 2003. Si veda: Steven Rose, Linee di vita. Oltre il determinismo , trad. it., Garzanti, Milano 1997, p. 106. Si veda: R. Dawkins, The Selfish Gene , Oxford , Oxford University Press, 1976; trad. it. Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente , Zanichelli, Bologna 1979. È stata soprattutto la sociobiologia a trarre profitto dalla ipotesi che l'organismo anche umano sia riducibile al suo corredo genetico e alla sua struttura neuronale. Si vedano: E.O. Wilson, Sociobiology: The New Synthesis , Boston , Harvard University Press, 1975; trad. it. Sociobiologia: la nuova sintesi , Zanichelli, Bologna 1979; Id., On Human nature , Boston, Harvard University Press, 1978; trad. it. Sulla natura umana , Zanichelli, Bologna 1980. E. Boncinelli, I nostri gen i. La natura biologica dell'uomo e le frontiere della ricerca , Einaudi, Torino 1998, p.183. Si veda: E. Boncinelli, Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell'anima , Laterza, Bari-Roma 2003, pp.70-71. Ibidem , p. 59. Ibidem , p. 60. Ibidem , p. 67. “L'illusione di poter mettere insieme individui tutti uguali e tutti perfetti perché geneticamente selezionati per caratteri positivi come l'intelligenza, la bontà, la bellezza e così via, è il sogno della così detta eugenetica positiva. Tralasciando tutte le obiezioni di carattere etico e socio-politico, è difficile immaginare il raggiungimento di questo obiettivo, a meno che non si scelga un solo criterio di eccellenza o al massimo due. La probabilità che selezionando i geni giusti per una dote come l'intelligenza, si selezionino anche quelli per la bontà o per la salute psichica è praticamente nulla”, in E. Boncinelli, I nostri geni, cit ., pp. 123-24. Si veda: G. Edelmann, The Remenbered Present , New York , Basic Books, 1980; trad. it. Il presente ricordato , Rizzoli, Milano 1991; e Id. , Bright Air, Brillant Fire: On the Matter of the Mind , Basic Books, New York 1992; trad. it. Sulla materia della mente , Adelphi, Milano 1993; G. Edelman, G.Tononi, A Universe of Consciousness. How Matter Becomes Imagination , Basic Books, New York 2000; trad. it. Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione , Einaudi, Torino 2000; G. Tononi, Galileo e il fotodiodo , Laterza, Roma-Bari 2003; G. Edelman, Wider Than the Sky. The Phenomenal Gift of Consciousness , 2004; trad. it. Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza , Einaudi, Torino 2004; A. Damasio, Descartes' Error. Emotion, Reason and Human Brain , New York , Putnam, 1994; trad. it L'errore di Cartesio , Adelphi, Milano 1995, e Id. The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness , San Diego , New York , London , 2000; trad. it. Emozione e coscienza , Adelphi, Milano 2000. Si veda: E. Boncinelli, I nostri geni , cit., p. 161. Si veda: J. Searle, The Rediscovery of the Mind , Cambridge ( Mass. ), Mit Press, 1992; trad. it. La riscoperta della mente , Torino, Bollati-Boringhieri 1994, p. 128. Ibidem , p. 129. L'ultima frontiera della discussione fra neurobiologi e scienziati cognitivi (su ciò non possiamo qui entrare nel merito) riguarda la questione della costituzione del sé e quella della libertà del volere e dell'agire. La discussione sulla costituzione del Sé ha preso le mosse da un articolo di Galen Strawson (G. Strawson, The Self , in “Journal of Consciousness Studies”, 4 (1997), nn. 5-6, pp. 405428), e prosegue fino al numero di aprile del 1999 del “Journal of Consciousness Studies”, in cui viene pubblicata la risposta di Strawson agli interventi sulla questione pubblicati dalla rivista nel corso di due anni. Nel 1999 si pubblicano due numeri doppi monografici del “Journal of Consciousness Studies”: The Volitional Brain. Towards a Neuroscience of Free Will , a cura di B. Libet, A. Freeman e K. Sutherland, in “Journal of Consciousness Studies”, 6 (1999), nn. 8-9; Reclaming Cognition. The Primacy of Action, Intention and Emotion , cit. Nel numero dieci del 2000 è uscito poi un saggio di Searle sulla libertà. Cfr. J. Searle, Consciousness, Free action and Brain , “Journal of Consciousness Studies”, 7 (2000), n. 10, pp. 3-23. Ad esso è seguito un saggio di Libet e una risposta di Searle in “Journal of Consciousness Studies”, 8 (2001), n. 8, pp. 59-66. Nel 2001 Searle ha pubblicato sul tema un volume. Cfr. J. Searle, Rationality in Action , Mit Press, Cambridge (Mass.) 2001; trad. it. La razionalità dell'azione , Raffaello Cortina, Milano 2003. Ad esso è seguito il volume di Daniel Dennet dedicato allo stesso problema. Cfr. D. Dennet, L'evoluzione della libertà , Raffaello Cortina, Milano 2004 ed infine di J. Searle, Liberta e neurobiologia: riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere politico (a cura di Eddy Carli), Bruno Mondadori Editore, Milano 2005. Si veda: Il sapere poetico e gli universali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea, a cura di G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna, Guida, Napoli 2004. Si veda: Politica della vita. Sovranità, biopotere, diritti , a cura di L. Bazzicalupo, R. Esposito, Laterza, Roma-Bari, 2003; Umano e post-umano. Potere, sapere, etica nell'età globale , a cura di M. Fimiani, V. Gessa Kurotschka, E. Pulcini, Editori Riuniti, Roma 2004; E. Mazzarella, Vie d'uscita. Identità umana come programma stazionario metafisico , il melangolo, Genova 2004; Biopolitica. Storia e attualità di un concetto , a cura di A. Cutro, ombre corte, Verona 2005. Si veda: M. C. Nussbaum, Nature, Function, and Capability: Aristotle on Political Distribution , in “Aristoteles' “Politik”. Akten des XI. Symposium Aristotelicum Friedrichshafen/Bodensee”, a cura di G. Pazig, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen, 1990, pp. 152-186; Human Functioning and Social Justice: In Defence of Aristotelian Essentialism , in “Political Theory”, 20 (1992), pp. 202246; Woman and Human Development: The Capabilities Approach , Cambridge University Press, Cambridge (Mass.) 2000 (trad. it., il Mulino, Bologna 2001).