Fondazione “Peppino Scoppa” di Angri Sabato 18 novembre 2006 “MASTER I LIVELLO PER LA FORMAZIONE DI COORDINATORE PER SERVIZI PSICOSOCIOEDUCATIVI” Dott. Domenico Vaccaro – Pedagogista, Direttore Fondazione “Percorso Verde” Organizzazione dell’intervento educativoriabilitativo LA COMUNICAZIONE NELLE PERSONE DISABILI GRAVI: PROCEDURE POSSIBILI I bambini, gli adolescenti e gli adulti affetti da disturbi dello spettro autistico (Wing, 1977), presentano un ampio fenotipo comportamentale, caratterizzato da un deficit variabile a carico delle aree d’interazione sociale, comunicazione verbale e non verbale, comportamento ed interessi (A.P.A. 1994). In aggiunta sono anche associati in percentuali rilevanti, ritardo mentale, epilessia, anomalie cromosomiche e disordini monogenici e complicazioni dovute a fattori pre-peri e post natali (G.Tripi, 06). L’autismo è caratterizzato da un disturbo nell’ area della comunicazione, dell’interazione sociale e dell’attività immaginativa che comporta gravi difficoltà di apprendimento e di inserimento sociale. L’autismo rappresenta perciò una condizione particolarmente invalidante in rapporto alla possibilità dei soggetti colpiti di sviluppare competenze in un sistema di relazioni, ove molte delle strategie conoscitive fanno ricorso a canali e codici poco accessibili ai bambini autistici, come la comunicazione verbale. Il canale comunicativo normalmente usato è quello verbale, ed è quello maggiormente carente nell’autismo; di conseguenza un processo di insegnamento-apprendimento efficace deve necessariamente far leva su abilità diverse che i bambini autistici normalmente possiedono, come probabilmente le capacità visuo-spaziali. I deficits di comunicazione sono alla base anche delle maggior parte dei problemi di comportamento, frequenti nell’autismo, che ostacolano talvolta non solo l’apprendimento, ma anche la socializzazione. L’incremento del repertorio comunicativo è una delle priorità nell’intervento educativoriabilitativo, soprattutto, perché favorisce le possibilità di relazione e di integrazione delle persone e riduce sensibilmente la probabilità di sviluppo di comportamenti disadattivi. Studi epidemiologici indicano che il 75-80 % dei comportamenti problema possono avere una funzione comunicativa (Derby et al., 1992; Iwata et al., 1994). Le difficoltà comunicative fanno aumentare la probabilità di emissione di comportamenti disadattivi, che diventano, quasi sempre, l’unica modalità a disposizione delle persone con disabilità grave, per far conoscere i bisogni, richiamare l’attenzione dell’ambiente circostante o sfuggire da una situazione non gradita (Coppa, Cardinaletti, De Santis, Costantini, Marconi, Mondani, 1996). Avviare un programma di intervento educativo-riabilitativo presuppone una valutazione complessiva della situazione, sia sotto il profilo medico-clinico, che comportamentale. Da qualche anno, l’attenzione in termini valutativi e di trattamento educativo, si sta centrando sulla indagine di alcuni parametri di seguito descritti. La valutazione della causa del deficit è uno dei parametri. Comprendere il più possibile l’eziologia e l’ evoluzione, significa poter individuare eventuali involuzioni. Valutare come e cosa il bambino comunica, diventa altamente significativo. Molti ragazzi pur avendo “buone” competenze in ambito comunicativo, soprattutto a livello ricettivo, tuttavia raramente esibiscono richieste attive nella comunicazione. E’ importante anche valutare la funzionalità a livello comunicativo e la capacità di discriminare e di leggere foto e pittogrammi. La comprensione di quale sia il sistema più funzionale alle sue possibilità e alle richieste ambientali è importante anche per cercare di comprendere e di programmare un progetto che possa rispondere alle sue capacità di sviluppo e di crescita e possa richiedere il “giusto” tempo per l’insegnamento. Sarebbe, infatti, poco funzionale prevedere un progetto o un programma che richiedesse al ragazzo tempi lunghissimi per l’apprendimento. E’ fondamentale, inoltre, il coinvolgere in ogni fase i genitori. Schopler e Reichler (1971) affermano che i genitori di bambini con autismo, sono componenti critiche del processo di riabilitazione, senza il loro coinvolgimento i miglioramenti non possono essere mantenuti (Lovaas et al 1973). La misurazione e la verifica periodica con follow-up successivi diventa elemento fondamentale per valutare l’esito del trattamento. Intervenire nell’area della comunicazione per le persone con grave difficoltà significa, nella maggior parte dei casi, selezionare un programma di insegnamento-apprendimento che risponda alle caratteristiche della persona. Le difficoltà maggiormente riscontrate nell’intervento educativo-riabilitativo possono essere, inoltre, ricondotte ad una limitata funzionalità dei processi cognitivi, con limiti nella memoria e grosse difficoltà a mantenere l’attenzione. Tutta una serie di esperienze negative, la qualità della comunicazione che il soggetto ha con l’esterno, i comportamenti sostitutivi ed anticipatori dell’adulto, costituiscono elementi che riducono ulteriormente la possibilità di crescita in questa area. Nel corso degli anni siamo intervenuti con una serie di sistemi di comunicazione alternativi a quelli verbali, che presuppongono l’uso di marcatori iconici o di etichette (fotografie, cartoncini, ecc) o talvolta l’uso degli oggetti. L’obiettivo è quello di permettere al ragazzo di comunicare, in maniera funzionale e convenzionale, ma soprattutto attiva. Lavorare con sistemi alternativi significa individuare, come detto precedentemente, il sistema più adatto al ragazzo. Il processo di insegnamento-apprendimento viene individualizzato in relazione alle caratteristiche di ciascuno. LE FORME DI COMUNICAZIONE ALTERNATIVE La difficoltà nell’uso del linguaggio verbale è un limite presente in molte persone con autismo e disturbo dello sviluppo. Si sono individuate una serie di modalità comunicative, alternative, che sono a tutti gli effetti mezzi efficaci per esprimersi e farsi capire. Di seguito si descrive brevemente qualche sistema alternativo. Ovviamente, in base alla disabilità e alle potenzialità della singola persona, è necessario individuare la strategia maggiormente funzionale al ragazzo. La comunicazione oggettuale o segnaletico oggettuale. Si tratta di un sistema di comunicazione basato sulla rappresentazione d’azioni o di situazioni attraverso gli oggetti. Gli oggetti devono essere riconoscibili e significativi, trasparenti, cioè mantenere una buona somiglianza con l'oggetto/situazione originale. Un piatto, un bicchiere, possono essere utilizzati per insegnare al bambino ad esprimere il bisogno di mangiare o di bere. La comunicazione pittografia. Le persone che hanno una buona capacità di riconoscere e/o nominare foto, potrebbero usare il codice pittografico. Lo scambio dei messaggi avviene utilizzando diversi cartellini disegnati che rappresentano oggetti, azioni o situazioni rilevanti. Si possono proporre disegni che raffigurino o simboleggino giocattoli o capi di vestiario, l'attività di mangiare o lavarsi le mani; luoghi come il parco giochi o il negozio, ecc. Le forme di comunicazione (oggettuale e pittografica) rispondono al criterio della corrispondenza tra oggetto e situazione e al principio dello stimolo discriminativi, evento o situazione-stimolo che precede il comportamento. Lo stimolo discrimitativo ha una funzione segnaletica: indica all’organismo le condizioni in cui il comportamento “X” sarà seguito da determinate conseguenze. Ad esempio, prima di iniziare a giocare, al ragazzo, si potrà far manipolare la palla o nel caso si scegliesse la comunicazione pittografica si potrà far vedere la foto, il disegno della palla. Questo oggetto toccato o visto diventa lo stimolo che anticipa la situazione gioco, se tale situazione anticipa sempre la situazione che dovrà vivere, esso assume il significato di segnale comunicativo. Il segnale è utile all’adulto per comunicare al ragazzo la situazione che andrà a vivere. E’ ipotizzabile, chiaramente, che venga realizzata una esatta valutazione delle situazioni da comunicare, in relazione al fatto che non è possibile allargare di molto l’uso di oggetti o foto (il ragazzo potrebbe ad un certo punto, se ampliamo di molto le situazioni da comunicare, confondersi) è importante realizzare una gerarchia di situazioni da comunicare: il più delle volte si inizia da quelle di vita quotidiana come: mangiare, bere, fare la pipì, giocare, ecc. E’ anche preferibile realizzare una graduatoria tra le situazioni individuate (tra le più motivanti per il ragazzo) perché ciò potrebbe aiutarlo nell’apprendimento. In relazione alle potenzialità cognitive del ragazzo sarà possibile individuare le foto, gli oggetti e le loro caratteristiche. Di solito per i disegni si utilizza un cartellino di colore bianco ed un pennarello con tratto nero a punta abbastanza larga. Gli oggetti che vengono generalmente utilizzati all’inizio dell’intervento si trovano in natura o sono dei modellini che rappresentano quelli reali. Gli oggetti vengono riposti, dopo averli selezionati, in una piccola mensola predisposta a reparti o in un contenitore. I cartellini o le foto vengono realizzati secondo le caratteristiche di funzionalità sensoriale di ciascuna persona, possono essere collocate, per una migliore utilizzabilità all’interno di un quadernone a fogli trasparenti e mobili, o appesi in una bacheca. E’ importante che, dalla prima fase puramente di comunicazione “passiva”, il ragazzo dal “subire” le scelte dell’adulto, possa passare ad una fase attiva nella comunicazione, durante la quale utilizzando gli oggetti o le foto possa comunicare ciò che intende fare o desidera fare. Il più delle volte, tali sistemi (oggettuale e pittografico) vengono associati all’uso del linguaggio gestuale (L.I.S.), che fa parte dell’educazione dei sordi. Chiaramente, nelle situazioni di gravità, il linguaggio viene presentato in maniera adattata, cioè reso più semplice, sia per ciò che concerne l’esecuzione motoria, il cui numero di movimenti dovrebbe essere ridotto al minimo, sia per quello che concerne il gesto, che dovrebbe prevedere movimenti e segni simmetrici. Conclusioni Le indicazioni descritte hanno l’obiettivo di offrire una sintetica panoramica sulle possibilità di intervento educativo, entro le quali ciascun operatore, partendo da valori di riferimento condivisi, può liberamente individuare il modello interpretativo ed operativo, ciò in sintonia anche con le linee guida per l’autismo. L’intervento deve divenire un progetto che, partendo dall’osservazione e dallo studio di un caso, giunga all’applicazione di più metodi e tecniche. Nella nostra esperienza un’osservazione di tipo funzionale permette di conoscere in maniera approfondita vincoli e possibilità, definendo così obiettivi specifici di intervento. Bibliografia di riferimento G. Tripi: AMM, nel disturbo dello spettro artistico: studio preliminare, in Autismo e disturbi dello sviluppo, rivista quadrimestrale edizioni Erikson Trento, n° 2 maggio 06; Frith, U: .L'AUTISMO, SPIEGAZIONE DI UN ENIGMA, Laterza, Bari, 1996; Trehin, P.: AUTISMO E DISTURBI DEL COMPORTAMENTO Phoenix ed., 2001; Watson, R.L., Lord, LA COMUNICAZIONE SPONTANEA NELL'AUTISMO, Erickson ed., Cso Buonarroti, 13, Trento, 1997; Koegel L. K. , “ interventi per facilitare la comunicazione nell’autismo” in Autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo Trento- rivista quadrimestrale, Edizioni Erickson, vol.1 n° 2-2003; Crispiani P. e Capparucci L. (2004) Progettare i cambiamenti. Un percorso per una gestione pedagogica dei contesti di vita dei soggetti autistici, in Autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo Trento- rivista quadrimestrale, Edizioni Erickson, vol.2 n° 2; Coppa M.M., Caridinaletti S., De Santis R., Costantini M.,Marconi N.,Mondani L. (1997), La comunicazione segnaletico-gestuale nella riaibltiazione di soggetti pluriminorati, in Caselli M.,Corazza S., (a cura di) , LIS- studi, esperienze e ricerche sulla lingua dei segni in Italia, Del Cerbo, Tirrenia. I comportamenti problematici: valutazione ed intervento educativo. Domenico Vaccaro I comportamenti problematici sono molto frequenti in persone in condizione di difficoltà; la frequenza aumenta se queste persone sono istituzionalizzate. Quando un comportamento può definirsi problematico? La maggior parte degli studiosi sostiene che per essere considerato tale, un comportamento deve o essere pericoloso per la persona e per gli altri, o di ostacolo per l’apprendimento e per l’interazione sociale, essendo quindi motivo di emarginazione. I comportamenti problematici, se non opportunamente analizzati e trattati dal punto di vista riabilitativo, potrebbero creare condizioni psicopatologiche degenerative, penalizzando lo sviluppo adattivo-sociale. L’attenzione degli studiosi è orientata, negli ultimi anni, verso l’individuazione di strumenti di valutazione e di analisi, dimostrando che, con una corretta valutazione della situazione complessiva, è possibile realizzare un intervento efficace; affermazione che mette in discussione un intervento di tipo esclusivamente farmacologico. La valutazione della situazione complessiva della persona e delle variabili ambientali è fondamentale; l’individuazione di eventuali cause organiche e di fattori esterni che possono provocare o innescare comportamenti problematici è il primo passo per arrivare a formulare una ipotesi di intervento. Il modello di riferimento è quello cognitivo comportamentale che tende ad individuare fattori interni (cognitivi, esperenziali, emozionali) ed esterni all’individuo (ambiente, rinforzi, punizioni, etc…) quali elementi antecedenti e conseguenti ad ogni comportamento e quindi inibitori o facilitatori di risposte comportamentali manifeste. In riferimento a questo modello possiamo formulare ipotesi preventive e strategie operanti, cioè che agiscono sulle conseguenze. Nella prima ipotesi, l’intervento dovrebbe orientarsi ad una corretta identificazione delle abilità e delle conoscenze (compiti semplici o complessi potrebbero essere frustranti per la persona), a privilegiare le esigenze della persona, ad evitare l’accanimento educativo e ad intervenire con tecniche di rilassamento. Nella seconda ipotesi le strategie operanti intervengono non sugli antecedenti del comportamento, bensì sulle conseguenze. Lavorando con persone in difficoltà, capita, spesso, di imbattersi in comportamenti piuttosto estremi che a causa dello loro intensità, frequenza o durata, interferiscono negativamente nella vita del bambino, nelle sue capacità di apprendimento di nuove abilità, nello svolgimento di compiti noti, e possono essere anche etero e\o autoagressivi. Di fronte a simili atteggiamenti è necessario intervenire: si va a modificarli con l’aiutare la persona predisponendo le cose in maniera tale che essa non sia più ricompensata per quei comportamenti ma per altri differenti. Non ci si deve, dunque, limitare a rendere meno ‘problematici’ i comportamenti, a diminuirli o eliminarli, ma bisogna insegnare comportamenti adeguati da sostituire ai precedenti. Il comportamento che, infatti, viene eliminato, lascia un ‘vuoto’ che potrebbe essere colmato in qualsiasi modo, è per questo necessario insegnare al bambino nuove abilità e comportamenti adeguati. E’ opportuno all’inizio precisare che in questa sede per “comportamento” si intende “movimento”. Anche se può sembrare alquanto riduttiva questa definizione, si deve però pensare che in realtà il comportamento corrisponde ai diversi modi di muovere il corpo. D’altra parte perché si possa intervenire sul “comportamento” è necessario intenderlo come una serie di movimenti che si possono osservare ( vedere o sentire) e che quindi sono facilmente controllabili. E’ nell’ultimo decennio che si è venuta sviluppando l’ipotesi comunicativa dei comportamenti presi in esame, secondo la quale, questi ultimi, costituiscono un modo per influenzare le persone ed ottenere effetti gradevoli, come l’attenzione, cose concrete molto desiderate, oppure l’evitamento o l’allontanamento di situazioni spiacevoli. Se ci si sofferma a riflettere si può constatare che la maggior parte delle persone impara a raggiungere degli obiettivi comunicando con gli altri, altre, non avendo imparato queste forme comunicative più immediate, sviluppano dei modi personali per esprimere le proprie esigenze. Se si immagina un neonato si può notare che questi comunica con il pianto: quando piange i genitori, lo prendono in braccio e cercano di capire di che cosa il bambino abbia necessità. L’adulto ha in questo caso interpretato il pianto del bambino come comportamento comunicativo e di richiesta. Man mano che il bambino impara ad esprimere le sue esigenze, soprattutto con il linguaggio, il comportamento del pianto si riduce perché non ha più modo di esistere nella sua forma primordiale. Il pianto ed il linguaggio sono dunque funzionalmente equivalenti nel senso che vogliono comunicare la stessa cosa e raggiungere lo stesso risultato. Ciò detto è lecito voler dare anche ai comportamenti problematici una funzione comunicativa. In un intervento sul comportamento è prima di tutto importante definirlo con precisione: definire con precisione il comportamento “bersaglio” significa usare un linguaggio descrittivo (o comportamentale) evitando parole troppo generali (pigro, nervoso ecc.), osservando ciò che fa il bambino e riportando su una scheda le azioni sulle quali si ritiene opportuno lavorare. In una scheda, infatti non serve dire “Nadia è pigra”, ma può essere utile dire che “Nadia impiega un’ora per vestirsi ogni mattina”. Riprendendo le cose dette all’inizio (comportamento = movimento) si può notare che la descrizione esatta del comportamento si basa sull’uso di verbi di movimento e di altre azione osservabili (impiega un’ora per vestirsi). In questo primo momento ci interessa poco l’“etichetta” del bambino (aggressivo, violento….), a meno che non si tratti di problemi derivanti dalla patologia. Accanto alla definizione esatta dei comportamenti è importante anche avere bene presenti gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Oltre alla definizione del comportamento è opportuno anche quantificarlo, infatti misurarne l’entità fornisce indicazioni sulla sua gravità, ma aiuta anche a controllare, in itinere, che il trattamento sia efficace. Se il comportamento target è molto frequente, è opportuno che gli operatori decidano in anticipo di misurarlo solo in per arco di tempo nella giornata (osservazione ad intermittenza), anziché per tutto il giorno. E’ anche necessario scegliere il parametro di misura da utilizzare nella quantificazione del comportamento, infatti, si può decidere di registrarne la frequenza, cioè il numero di volte in cui si verifica, oppure la durata, cioè per quanto tempo esso si presenta, oppure la sua intensità, ossia la ‘forza’ con cui si verifica (quest’ultimo tipo di osservazione è più difficile). Con un’analisi del comportamento (assessment) oltre a definirlo si deve cercare anche di capire che cosa la persona voglia comunicare in quel modo. Per fare ciò è opportuno che gli educatori che lavorano con la persona, sottopongano ad analisi funzionale questi comportamenti. L’analisi funzionale, infatti, si rivela un metodo particolare di osservazione diretta del comportamento. Con l’aiuto della scheda predisposta per l’analisi funzionale si tengono sotto controllo il comportamento, gli avvenimenti che lo precedono e quelli che lo seguono. Le tre componenti di analisi sono definite solitamente l’ABC del comportamento: “Antecedente” ( descrizione della situazione in cui si è prodotto il comportamento), “Comportamento Obiettivo” Behavior ( descrizione dettagliata dei comportamenti oggetto di osservazione), “Conseguenza” (descrizione delle azioni che seguono al comportamento, ossia cosa ha ottenuto il bambino). Nella compilazione della scheda di analisi funzionale è importante ricordare di essere precisi nella descrizione di tutto ciò che accade, di proseguire sistematicamente le osservazioni per diversi giorni, annotando sempre il risultato delle osservazioni e cercando di coinvolgere tutte le persone che lavorano con il bambino. E’ solo in questo modo che si può di capire il “significato” di uno schema di azioni, le cause, ossia le situazioni che mantengono in vita il comportamento indesiderato. Esaminando la scheda dell’analisi funzionale e quella sulla misurazione del comportamento possiamo cercare di capire cosa il bambino ci voglia comunicare e, non di rado, capita che comportamenti simili tra loro siano attivati per richieste diverse. Alcune volte ci sono delle situazioni particolari che portano i ragazzi ad emettere dei comportamenti inadeguati: si tratta di antecedenti quali l’assenza di stimolazioni adeguate, la presenza di stimolazioni inadeguate (persone o oggetti) ecc... D’altra parte i comportamenti che si stanno esaminando possono essere controllati da diversi rinforzi da diverse conseguenze. Spesso capita di non rendersi conto che a volte il rinforzo può essere inconsapevole, oppure che non consiste sempre in qualcosa di tangibile e che non si ha il controllo totale su di essi. I comportamenti inadeguati possono essere controllati da ricompense positive (richiesta di attenzione da parte degli altri o di qualcosa di concreto), da ricompense negative (tentativo di sfuggire o di evitare una determinata situazione) o dalla loro stessa realizzazione dal momento che impegnano il bambino e lo divertono. In genere, capita di rispondere a questi comportamenti con punizioni, cioè con eventi negativi, che possono rivelarsi più dannosi che utili. A questo proposito si deve ricordare che ci sono due tipi di punizione, quella che consiste nel far seguire una situazione spiacevole ad un comportamento negativo (sgridare, mettere in ridicolo), l’altra, invece, consiste nel togliere un rinforzatore positivo dopo il comportamento problematico (non dare una cosa promessa, allontanarlo da un gruppo in cui si sta divertendo). La punizione, di per sé, per funzionare dovrebbe essere immediata, forte e continua. D’altra parte i suoi costi, spesso, sono molto alti, e gli educatori non possono permetterseli. La punizione, infatti, può produrre comportamenti di evitamento, ansia, comportamenti aggressivi, ma la cosa ancora più grave è che può essere danneggiata la relazione insegnante-alunno. Quest’ultimo effetto sarebbe un vero fallimento per l’educatore, infatti si può programmare nel migliore dei modi, ‘teoricamente’, un intervento, ma molta parte della sua buona riuscita dipenderà dal rapporto di stima, di fiducia, di comprensione e di piacere reciproco di lavorare insieme. Premesso dunque che, la punizione è il sistema meno indicato per correggere un comportamento, nella scelta dell’intervento si deve tenere presente il cosiddetto modello del trattamento meno restrittivo. Tale modello, stilato poco tempo fa, prevede che l’operatore abbia ben chiaro che esistono metodi per la modificazione dei comportamenti problematici che sono più punitivi rispetto ad altri che lo sono di meno. In ogni intervento bisogna partire sempre dai metodi meno punitivi e sceglierne uno molto punitivo solo quando ci si è accertato che una meno intrusiva abbia fallito. D’altra parte la scelta di un metodo molto punitivo deve essere giustificata dalla gravità del comportamento ed il programma dovrà essere molto chiaro e firmato da tutti coloro che hanno, a qualsiasi titolo, una responsabilità educativa. L’educatore deve, dunque essere in grado di trovare sempre alternative meno punitive tenendo presente prima di tutto il “perché” di certi comportamenti per poi lavorare sui compiti da proporre al bambino mai superiori alle sue possibilità (non gli si faranno fare sottrazioni se non conosce ancora le addizioni ecc..) Come già si è detto, il più delle volte, è la conseguenza della risposta l’elemento cruciale che mantiene in vita un comportamento, infatti, è ovvio che una persona apprenderà a fare le cose per le quali viene ricompensata e cesserà di fare quelle per le quali non verrà più ricompensata. Proprio partendo da questo presupposto si deve ricordare che uno dei metodi di intervento da poter utilizzare, secondo il modello del trattamento meno restrittivo, è quello dell’estinzione. Tra tutti i metodi è forse il più semplice da descrivere, ma il più difficile da mettere in atto perchè vi entrano in gioco elementi non sempre controllabili. Realizzare un programma di estinzione è un lavoro che presenta gravi difficoltà. L’operatore deve ignorare, cioè fingere che il comportamento non si stia verificando. Sono ovvie, però, le difficoltà, infatti si sa che molti comportamenti problematici sono abbastanza pericolosi per cui risulta difficile ignorarli, d’altra parte l’insegnante potrebbe spazientirsi e questo sarebbe veramente pericoloso per la buona riuscita dell’intervento (rinforzo intermittente). Inoltre, un comportamento può essere rinforzato in molti modi e non su tutti l’insegnante ha un pieno controllo, ma solo su quelli che egli stesso fornisce. Quando si tratta di un rinforzatore sensoriale, intrinseco nello stesso comportamento, è molto difficile intervenire, però alcuni studiosi, negli anni ’80, hanno ipotizzato un metodo di intervento denominato estinzione sensoriale Estinguere un problema, dunque, è l’esatto contrario del rinforzarlo. L’estinsione, però, a volte di per sè è insufficiente e può essere utile abbinarlo ad un altro metodo di intervento che va ad incentivare i comportamenti positivi del bambino: il rinforzamento differenziale. Ci sono tre modi per poter attivare questo tipo di intervento: rinforzamento differenziale dei comportamenti alternativi, in cui si rinforzano i comportamenti che siano fisicamente e funzionalmente alternativi; rinforzamento differenziale di tutti i comportamenti adeguati, in cui si rinforzano tutti i comportamenti adeguati del bambino ed il rinforzamento differenziale dei comportamenti incompatibili, in cui si rinforzano i comportamenti che sono incompatibili con quello inadeguato. Visto che spesso i comportamenti problematici sono di natura sociale esiste anche un quarto modo che è il rinforzamento differenziale di comportamenti comunicativi, che si fonda sul rinforzamento di comportamenti comunicativi (verbali e non) che sostituiscono la funzione di quelli problematici. Quando ci si rende conto che, questi interventi non sono sufficienti, allora è necessario utilizzare metodi più punitivi. Un primo esempio di trattamento punitivo è il cosiddetto blocco fisico che consiste nel bloccare fisicamente la persona in modo da impedire che il comportamento problematico si manifesti. Il blocco fisico deve essere contingente, cioè deve essere utilizzato immediatamente dopo lo scatenarsi del comportamento. E’ ovvio che questo metodo, viene utilizzato solo per i comportamenti particolarmente pericolosi per la persona e per quelli che la circondano. Nei casi in cui ci si avvale di questo metodo di intervento è opportuno accertarsi che il contatto necessario a bloccare l’allievo non sia rinforzante, bisognerebbe per questo, sempre e comunque, associare la procedura del rinforzamento differenziale. Il time out (che in italiano potrebbe essere tradotto con il termine ‘sospensione’) è invece un esempio di punizione di secondo tipo perché consiste nell’allontanare la persona da una situazione rinforzante. Nell’avviare questo tipo di intervento bisogna essere certi che la sospensione di un’attività sia, per il bambino, veramente una punizione e non un rinforzo e che sia immediato. Perché funzioni sarà necessario inserire tale intervento all’interno di un preciso programma in cui si tenga presente che il timeout deve essere preannunciato con precisione all’alunno, deve essere breve, deve essere sempre associato a procedure positive quale il rinforzamento differenziale e non deve trasformarsi in una punizione di primo tipo (mentre il ragazzo è isolato non bisogna sgridarlo, mostrargli ostilità e disapprovazione). In alcuni casi, per allontanare l’alunno dall’ambiente rinforzante, può essere utile anche l’intervento fisico. D’altra parte è necessario comunicare al ragazzo che l’operatore non fa ciò per fargli un dispetto o perché lui lo ha fatto arrabbiare, ma solo per insegnargli qualcosa e che rifiuta il suo comportamento, ma non lui come persona. Un’altra procedura punitiva è quella del costo della risposta, in cui dopo che l’alunno si è comportato male dovrà tenere un altro comportamento riparatore (es. Marco ha alzato le mani contro un compagno, dovrà recarsi dal compagno e chiedergli scusa). Questo tipo di intervento è un esempio di punizione di primo tipo, e rispetto ad altri è più facilmente accettabile e realizzabile con un bambino poco compromesso a livello cognitivo. Come per tutti i procedimenti punitivi è importante ricordarsi, però, di chiarire subito con l’alunno a quali sanzioni si va incontro, accertandosi che ciò che per gli operatori è un costo, per lui non sia un rinforzo e facendo in modo che i rinforzi siano sempre più numerosi delle punizioni e cioè che gli obiettivi fissati dal programma non siano troppo elevati per quell’alunno. Questa procedura punitiva può essere collegabile a quella del contratto educativo che è sostenuta dalla cosiddetta economia simbolica. Per contratto educativo si intende un accordo tra l’educatore ed uno o più allievi. Tale accordo specifica che cosa deve fare il ragazzo o la classe e che cosa si riceverà in cambio quando ci si comporta nel modo desiderato. In una economia simbolica gli accordi vengono ulteriormente concretizzati attraverso l’uso di rinforzatori simbolici o token (gettone). Il valore del token in sè è nullo perché può essere qualsiasi oggetto (bottone, batteria scarica, semplici segni su un foglio, ecc), ma diventa importante come segnale: ad ogni token corrisponde un comportamento adeguato del bambino. Questi in genere sono utilizzati come rinforzatori secondari perchè possono essere scambiati con oggetti o eventi che il bambino trova gratificanti (rinforzatori di sostegno): la funzione del token è quella che, per noi, ha il denaro. L’utilizzo dei token è molto vantaggioso, sia perchè essi possono essere consegnati tempestivamente, senza interferire nelle attività didattiche, sia perchè essendo concreti, anche percettivamente, danno un’idea chiara della quantità che aumenta, o diminuisce, nel tempo. Quando ci sono comportamenti difficili da gestire è a questo punto del contratto che alcuni educatori inseriscono il ‘costo della risposta’: ogni volta che l’allievo avvia un comportamento problematico perde alcuni rinforzatori simbolici. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una persona che ha limitate capacità di comprensione, si può usare lo stesso tipo di contratto, ma bisogna insegnarle con i fatti, anzicchè con le parole, il valore del token. Rispetto ad ostacoli di natura morale su questo tipo di intervento, dobbiamo solo dire che non si tratta di ricatto, ma di contratto. Per finire, vogliamo qui ricordare l’ipercorrezione che è una forma di intervento punitivo su un comportamento inadeguato che consiste nel costringere l’alunno ad esagerare la correzione del suo comportamento problematico dopo che lo ha emesso. Una delle sue caratteristiche è che pur essendo un sistema punitivo di primo tipo, si presta bene ad essere inserito nei programmi educativi. L’ipercorrezione, infatti, pur essendo una procedura abbastanza complessa, rappresenta un passo avanti verso la normalizzazione, si presenta come un affinamento del metodo del costo della risposta e, inoltre, non punta soltanto sul controllo del comportamento inadeguato, ma anche sull’insegnamento di comportamenti positivi. Fin qui si è parlato di una serie di metodi di intervento che possono essere presi in considerazione per cercare di correggere i comportamenti problematici, ma chi lavora, sa bene che per ogni ragazzo sarà difficilmente valido il metodo di intervento preso così alla lettera, ma, in genere, dovrà essere integrato da elementi presi dai vari metodi di intervento. Alla fine, infatti, bisognerà formulare un programma personalizzato che parta da una valutazione globale e complessiva del contesto e che tenda ad intervenire sempre in una ottica di rispetto della persona e in funzione dell’integrazione sociale. Bibliografia - P. Meazzini, Handicap e passi verso l’autonomia, Giunti; - P. J. Larson – J. W. Maag, L’assessment funzionale dei comportamenti problema in classe in Classe in difficoltà di apprendimento, 4 (1999), Erickson; - R. M. Foxx, Tecniche base del metodo comportamentale, Erickson; - A. Nisi- P. Ceccarani, Il comportamento e le sue conseguenze in HD, 11 (1986), Learning Press; - A. Nisi- P. Ceccarani, L’approccio positivo: disagio e comunicazione in HD, 74 (1996), Tecnoscuola. UN PROGRAMMA PER L’EDUCAZIONE AL CONTROLLO DELL’ENURESI DIURNA Controllare gli sfinteri diventa un obiettivo fondamentale per migliorare la qualità di vita e favorire il percorso verso l’integrazione sociale. Molti bambini, con disturbi dello sviluppo, hanno bisogno di un training sistematico e specifico per acquisire abilità nell’usare la toilette. La difficoltà a controllare gli sfinteri è presente nella maggior parte delle persone con disabilità grave e plurima (Lancioni 1992). Infatti, si stima che il 75% della persone con disabilità grave soffre di enuresi notturna e circa il 50% di enuresi diurna. Le difficoltà sono legate non solo ai deficit cognitivi e di apprendimento, ma anche a difficoltà a controllare e gestire lo stimolo. Le persone con disabilità grave rispondono in maniera primitiva a stimoli urinari e fecali. Nella pratica clinica si riscontra spesso che molti bambini hanno imparato o a trattenere la pipì, cioè la trattengono per moltissime ore, oppure ad urinare solo quando hanno il pannolino o degli indumenti. Pertanto questi bambini se messi sul vaso non evacuano, ma non appena si rivestono fanno la pipì nel pannolino. Esistono diverse procedure per il controllo della pipì in individui con disturbi dello sviluppo (Lancioni 1992). Molte procedure utilizzano l’associazione di situazione aversive all’enuresi, tramite tecniche come l’ipercorrezione. Essa prevede che siano associati, contingentemente all’enuresi, una serie di conseguenze aversive come ad esempio “spogliarsi, mettere gli indumenti bagnati in lavatrice, prendere gli indumenti puliti, rivestirsi, lavare a terra, ecc” queste conseguenze dovrebbero essere da deterrente alla perdita di pipì. Tali procedure sono efficaci se ben programmate, diversamente potrebbe esserci il rischio che il bambino possa associare l’ambiente bagno come situazione negativa, condizione questa da evitare. Per ovviare a ciò si potrebbe mantenere bagnato il ragazzo per qualche minuto; spesso, infatti, capita che i ragazzi siano infastiditi dal sentirsi bagnati, ciò potrebbe essere un deterrente. Negli ultimi anni molto è stato fatto in termini educativi per tentare di rendere più semplici alcune procedure, si è posta l’attenzione maggiormente sul concatenamento di stimoli ambientali rilevanti (bagno- water) a stimoli e risposte vescicali o intestinali e a conseguenze in termini ambientali (Wilder & Nachtwer, 2003). Le modalità di insegnamento-apprendimento di queste abilità sono diverse. In questa sezione viene individuato un procedimento semplice da applicare, soprattutto per i genitori, che prevede una serie di rinforzi in caso di evacuazione nel W.C. e l’utilizzo di conseguenze nel caso di incidenti. Vengono di seguito individuati i passaggi propedeutici da realizzare prima di avviare un programma per il controllo degli enuresi: la valutazione della condizione generale della persona: diagnosi, età, benessere psicologico; la valutazione delle aspettative dei genitori; la disponibilità dei genitori in termini di tempo; l’ adeguamento strutturale del bagno. Un momento decisivo è l’accertamento della condizione di salute della persona. Infatti, è importante conoscere, prima possibile, eventuali difficoltà organiche e funzionali che potrebbero impedire il raggiungimento del controllo dell’enuresi; accorgersi successivamente che la persona è in una condizione di impedimento sarebbe molto dannoso. Molti genitori, infatti, investono moltissimo in termini emozionali ed in termini di tempo nel favorire lo sviluppo di tale abilità. E’ molto importante realizzare colloqui con i genitori o con coloro che si prendono cura della persona, per individuare ruoli e funzioni all’interno del nucleo familiare rispetto all’obiettivo e le aspettative in termini di risultati. Ciò permette di progettare un intervento che sia, per quanto ciò sia possibile, rispondente alle esigenze dei caregiver e della persona disabile. Un altro aspetto importante è l’eliminazione di eventuali ostacoli che possano impedire l’accesso autonomo in bagno, in modo particolare per persone non deambulanti autonomamente, (porta stretta, gradini, ecc) e la predisposizione del W.C. in modo che sia funzionale alle caratteristiche fisiche della persona. A volte per i bambini piccoli si rende necessario l’utilizzo di un riduttore da applicare sul WC e una pedana da porre sotto la seduta, al fine di permettere ad essi di mantenere una posizione comoda e tranquilla; se necessario è poi possibile applicare sul muro di lato al wc dei maniglioni, che possano aiutare la persona a sedersi e ad alzarsi in maniera quanto più autonoma possibile. Talvolta si rende opportuno mettere dentro il water un foglio di carta stagnola per dare un feedback uditivo al bambino contingente all’atto dell’evacuazione, offrendo così la possibilità all’educatore di elargire il rinforzo immediatamente all’atto dell’evacuazione. Superata la fase valutativa e la predisposizione generale è possibile passare al monitoraggio delle fasce critiche, cioè all’individuazione degli orari critici di evacuazione. L’individuazione della fascia critica potrà avvenire attraverso la registrazione su un’apposita scheda, per un tempo ed una frequenza preciso, dell’esito del controllo del pannolino (allegato 1). La procedura di registrazione consiste nel controllare se il pannolino è bagnato o asciutto. Alla fine dell’osservazione con molta probabilità si riesce a stabilire gli orari critici cioè più a rischio per l’enuresi. In relazione ai bisogni e alle esigenze della persona e dei caregiver è possibile anche realizzare il monitoraggio solo in alcuni orari (solo di mattina oppure solo di pomeriggio). In questa fase è importante, proprio per rendere oggettiva la registrazione, essere coerenti e costanti nel controllo. Tuttavia, nonostante il corretto utilizzo di detta procedura, non sempre ci troviamo di fronte ad informazioni precise, infatti, potremmo riscontrare dalla lettura della scheda, che il pannolino risulta bagnato ad ogni controllo. A questo punto è importante iniziare l’intervento, individuando una fascia oraria di riferimento. E’ chiaro che quando iniziare l’intervento educativo ed in quali fasce orarie, si stabilisce con chi si occupa di esso. La prima fase dell’intervento consiste nel togliere il pannolino ed iniziare a portare in bagno il ragazzo nei tempi e nei modi programmati. E’importante riportare tutto su di un registro, onde evitare che possano essere utilizzate modalità diverse. A titolo esemplificativo si illustra una possibile procedura. L’adulto toglierà per le due ore previste il pannolino al bambino e, ogni quarto d’ora, lo porterà sul wc, facendolo rimanere seduto per cinque minuti. Allorché il ragazzo farà pipì in bagno dovrà essere rinforzato con un pezzo di cioccolato fondente. Ogni qualvolta farà la pipi, sarà riportato nuovamente in bagno dopo 30 minuti, diversamente ogni 15 minuti. Nel caso in cui dovesse verificarsi un incidente, lo si riporterà fuori dal bagno e si lascerà bagnato per un po’ di tempo prima di portarlo a lavarsi e a cambiarsi. Per aumentare la possibilità che faccia pipì è importante farlo bere (succo di frutta, acqua, ecc) di più nel tempo immediatamente precedente l’ora in cui si intende fare il controllo. Inoltre, nel portarlo in bagno, bisognerà usare un riduttore per il w.c. ed una pedana da metterle sotto i piedi in modo tale da farlo stare il più comodo e tranquillo possibile. L’assunzione di liquidi o di cibi particolari potrebbe essere una variabile esterna da tenere presente nel caso in cui si volesse fare aumentare la probabilità di evacuazione durante le sessioni di toilette. Tale situazione comunque dovrà essere monitorata, attraverso una registrazione dell’evacuazione. Infine il tempo di somministrazione dei liquidi dovrà essere adeguata alle risposte della persona. Un elemento fondamentale consiste sicuramente nell’individuare la modalità comunicativa da utilizzare. L’individuazione di una modalità comunicativa aumenta notevolmente la possibilità che tale abilità possa essere mantenuta e generalizzata. Il più delle volte una delle modalità che maggiormente viene utilizzata è quella della comunicazione segnaletico-oggettuale. L’opportunità di lavorare nel favorire l’acquisizione dell’associazione (segnale, oggetto, pittogramma situazione) non può che favorire l’ autodeterminazione della persona rispetto alla richiesta del bagno. La procedura potrebbe essere così stabilita: il ragazzo prenderà l’oggetto (rotolo di carta igienica) o il pittogramma (foto o disegno del wc) con l’aiuto dell’adulto, ogni qualvolta dovrà recarsi in bagno. E’ bene che il segnale venga messo in un posto, piccolo contenitore, a portata di mano del ragazzo; si potrebbe anche favorire un apprendimento incidentale, mettendo il segnale, prima dello scadere del tempo previsto per il controllo, sul banchetto, nella scatola dell’attività e tra gli oggetti che sta utilizzando, in modo tale che possa in maniera del tutto incidentale afferrarlo. In questo caso l’adulto lo enfatizzerà moltissimo la situazione e lo accompagnerà in bagno. Dopo diverse volte, quando si renderà conto che quel segnale gli anticipa l’andata in bagno, potrà più facilmente capire che può utilizzarlo per comunicare l’esigenza di andare in bagno sarà capace di utilizzarlo ogni qualvolta ne avesse bisogno. Fondamentale è anche l’individuare la situazione gratificante o rinforzante. Associare all’evacuazione in bagno una conseguenza positiva (rinforzo) aumenta la probabilità che il ragazzo possa evacuare nel WC le volte successive. Per rendere maggiormente efficace questo principio, potrebbe essere funzionale che il rinforzo individuato venisse utilizzato solo in tale situazione. Così il bambino potrà ricevere il rinforzo stabilito solo in questa situazione, aumentando così il potere rinforzante della conseguenza.