La creatura orgogliosa e
inquieta
Introduzione alla filosofia del
Rinascimento
Il contesto storico: l’autunno del
medioevo
•
Gli elementi che caratterizzano il tramonto del medioevo si possono così sintetizzare:
1)Il venir meno delle grandi compagini politiche universali, impero e papato, con il
contemporaneo affermarsi delle monarchie nazionali, autonome e superiorem non
recognoscentes.Quindi la fine della Res publica christiana con le sue istituzioni e il suo
retaggio di valori e convinzioni.
conseguenza:
La visione teocentrica del medioevo non trova più rispondenza anche nell’organizzazione politica di
una società il cui sviluppo non è più orientato dalle prospettive religiose, ma da più terrene
preoccupazioni economiche e civili
2)Uno sviluppo economico da datarsi dopo la crisi del Trecento, che vede la nascita di una
nuova borghesia urbana, promotrice di un’economia aperta, cioè fondata sullo scambio, e
in continua espansione.
conseguenza:
L’uomo non trova più la piena realizzazione nella vita contemplativa ma nell’attivismo delle professioni
e nella riuscita dell’impresa economica e commerciale
3)Le scoperte geografiche e il progressivo venir meno della centralità del mediterraneo.
conseguenza:
(nel tardo rinascimento) la decadenza politica dell’Italia sarà acuita dalla perdita di centralità
economica e commerciale, con il rafforzarsi definitiva delle nuove potenze statali spagnole e
francesi
Il contesto storico (continua)
4)La crisi del papato come centro indiscusso dell’autorità religiosa (con la
Riforma protestante)
conseguenza:
Il disorientamento religioso che favorisce la laicizzazione della cultura, sempre più alla
ricerca di una prospettiva secolare che si emancipi dai conflitti via via più esasperati
tra le diverse confessioni
5)Le nuove invenzioni tecniche (armi da fuoco e stampa su tutte).
conseguenza:
Un nuovo impulso alla vita economica, l’accrescimento della potenza politica di coloro
che dispongono di tecniche innovative che hanno importanti ricadute anche militari.
6) Il formarsi in Italia di principati regionali politicamente deboli e in conflitto fra
loro, ma economicamente floridi e capaci di tradurre la rivalità politica in lotta
per un prestigio e un primato anche culturale.
conseguenza:
Il mecenatismo delle corti che promuove la cultura dando sostentamento e
riconoscimento sociale ed economico agli intellettuali, ai pensatori, ai letterati e agli
artisti
Umanesimo-Rinascimento: le date
• Per Umanesimo-Rinascimento si intende
quel periodo della vita culturale che è
databile dalla fine del Trecento ai primi
decenni del Seicento e i cui limiti estremi
possono essere indicati nelle figure di
Francesco Petrarca (1304-1374) e del
filosofo Tommaso Campanella (15681639).
Umanesimo: la categoria
storiografica
Con il termine Umanesimo ci si riferisce alla
rinascita degli studia humanitatis nell’Italia del
Quattrocento (e poi in tutta Europa). Gli studia
humanitatis valorizzano discipline filologiche
(indagini relative alla lingua, alle sue origini, allo
stile e alla formazione dei testi letterari)
attraverso cui si riprendono con rinnovata acribia
gli scritti della classicità greca, ma soprattutto
latina, considerandoli patrimonio imprescindibile
per lo sviluppo della civiltà.
Rinascimento: la categoria
storiografica
• La categoria “Rinascimento” ha un contenuto
oggettivo ma è anche una categoria valutativa.
Infatti essa indica un periodo particolarmente
florido della cultura (sempre a partire dall’Italia,
nel sec. XVI) con particolare riferimento all’arte,
ma anche in tutte le altre discipline, letterarie,
filosofiche e scientifiche. Tuttavia tale rigoglìo,
tale rinascita, è posta in stretta relazione con
una supposta epoca buia corrispondente ai
secoli del Medioevo, che viene di conseguenza
giudicato in modo abbastanza superficiale e
frettoloso.
Le tre grandi innovazioni nella
cultura
• L’Umanesimo-Rinascimento introduce una laicizzazione
della cultura. La borghesia urbana dedita ai traffici
commerciali e promotrice di una nuova prosperità
economica diventa progressivamente protagonista degli
eventi culturali, portando una ventata di innovazione e la
sua peculiare vocazione tutta terrena al successo
sociale e materiale. La cultura, pur rimanendo permeata
dal cristianesimo, volge lo sguardo verso il basso e
rivaluta tutte le realtà terrene, cercando nei classici una
corrispondenza spirituale che alimenti i suoi interessi e
sancisca con la sua autorità la nuova prospettiva sulla
vita e sul mondo. In particolare quest’ultima muta la
concezione dell’uomo della storia e della natura.
Il mito degli “inizi”
• La cultura deve rifondarsi su basi nuove, alla
ricerca di una nuova autenticità che va ritrovata
innanzitutto nei testi originali dell’antichità, intesi
come depositari di una sapienza più genuina e
originaria. Ciò avviene in un contesto dove ciò
che è antico e “iniziale” viene considerato “non
corrotto” e “puro” e dunque in grado di fungere
da modello anche per il futuro. Così una nuova
civiltà non può che affondare le sue radici nella
terra profonda dei classici e dell’età antica.
Sempre insomma bisogna ritornare al principio
Radici cristiane del mito degli inizi
Tale idea non era completamente nuova ma si inseriva in una lunga
tradizione ben radicata nella mentalità medievale che vedeva ogni
riforma (politica, culturale, ecclesiale) rivolta al futuro, trovare la sua
ragion d’essere nella volontà di ripristinare un’incorrotta situazione
iniziale. Così è per esempio in tutti movimenti di riforma ecclesiale,
che sempre intendono riportare la Chiesa e il cristianesimo alla
primitiva purezza apostolica. Allo stesso modo il Medioevo politico
continua a pensare il futuro come “renovatio” degli antichi fasti
dell’impero romano. L’idea di fondo è qui essenzialmente biblica, e
sottolinea che il cammino dell’uomo verso la meta del futuro di
felicità promesso da Dio, non è che un viaggio verso il guadagno
della primitiva perfezione edenica della creatura umana, che il regno
escatologico potrà finalmente e definitivamente restaurare.
L’uomo rinascimentale
• Il ritorno ai classici e alla cultura pagana, implica una
laicizzazione dell’antropologia. Tuttavia essa non può
riprodurre semplicemente schemi antichi, perché tra
questi e l’epoca rinascimentale, il cristianesimo ha
lasciato un segno indelebile. Dunque l’uomo
rinascimentale non è semplicemente l’ homo laicus, né
riproduce meccanicamente il paganesimo classico, ma è
l’uomo che, NON NEGANDO, ma emarginando la
dimensione religiosa e mistica, valorizza nuovamente la
sua dimensione creaturale. Si costruisce qui una nuova
forma di antropocentrismo, contrapposta al teocentrismo
medievale, ma a ben vedere da quest’ultimo derivata
come radicalizzazione laica del concetto cristiano di
autonomia e libertà della persona.
Fabbro della sua fortuna
• L’uomo è creatura a cui è stata affidata la propria sorte;
egli la deve costruire in piena autonomia. Nell’orazione
De hominis dignitate, Pico della Mirandola, intellettuale e
filosofo vissuto tra il 1463 e il 1494), sostiene che Dio
nella sua creazione ha donato ad ogni cosa e animale
una natura specifica. Solo all’uomo il Creatore non ha
fatto questo dono, poiché ha preferito dargli la più alta
dignità di “libero e sovrano artefice di se stesso”. Dio
dunque lo ha creato nella massima indeterminatezza,
perché fosse lui stesso a darsi la propria forma e
fisionomia e a progettare se stesso e la sua vita nel
mondo.
La libertà
• L’uomo, creatore libero di sé stesso, rimane
però esposto ad una serie di pericoli, che
possono impedire il realizzarsi dei suoi progetti
mondani. Il rinascimento, avendo per ipotesi
espunto la provvidenza sensata di Dio quale
perno attorno a cui ruotano le azioni umane, è
costretto a introdurre l’imprevedibile, il caso, la
fortuna. Queste rappresentano nuove deità
capricciose che evidenziano la consapevolezza
di un limite invalicabile dell’umano e finiscono
con il depotenziare e ridimensionare
l’entusiasmo antropocentrico rinascimentale.
L’uomo microcosmo
• Il centro della creazione è l’uomo. Egli ne è lo snodo e il vertice, nel
senso che da lui sono fatte dipendere le altre realtà, o perché
liberamente ne usufruisca o perché possa liberamente riplasmarle
con la forza del suo intelletto e della sua creatività. Così tutte le
forze della natura,la sua anima vitale e le sue potenze produttive
sono viste come riassunte nell’uomo, che diviene pertanto quella
creatura che, parte del tutto naturale, contiene in sé quello stessa
totalità vivente che si rinviene all’esterno, come se essa fosse
perfettamente riprodotta nella miniatura umana. In base a tale
concezione si possono rinvenire e studiare una serie di
corrispondenze tra uomo e natura, macrocosmo e microcosmo, in
grado, se ben conosciute, di conferire all’individuo un potere
inaudito e magico sulle forze del creato, paragonabile al dominio
che egli detiene sulle sue proprie forze.
Il piacere mondano
Un uomo rivolto alla libera costruzione di sé in un
mondo che Dio pare aver lasciato
completamente nelle sue mani, pone specifica
attenzione alla felicità che può raggiungere
dentro questa vita. Felicità che egli sperimenta
anzitutto in una nuova forma di godimento dei
piaceri mondani, che ha come presupposto il
suo radicamento nell’aldiquà in contrapposizione
netta con l’idea medievale di un uomo pellegrino
verso un Regno che non è di questo mondo.
La storia
• Riconoscere la dimensione storica degli
eventi è uno dei corollari necessari alla
rivalutazione della vita mondana. A ciò
servono le discipline filologiche, intese a
ricostruire il passato in base a documenti
criticamente vagliati e in grado di essere
garantiti nella loro autenticità
Il ritorno ai classici nel loro contesto
La lettura dei testi classici non è una novità rinascimentale.
Anche nel medioevo essi venivano letti e commentati (si
pensi solo al debito della filosofia medievale nei confronti
di Aristotele). Tuttavia se ne medioevo i classici erano
studiati come se fossero dei contemporanei, cioè senza
riguardo al contesto politico, geografico, ideologico in cui
le loro teorie avevano preso piede, cioè senza
preoccupazione per la loro collocazione storica, ora essi
vanno inseriti nel loro peculiare contesto vitale. E’
insomma necessario distaccarsi, prendere le distanze
dal passato, per vederlo nelle sua specificità rispetto
all’epoca contemporanea, proprio per non sovrapporre al
suo messaggio distorsioni provenienti dal nostro modo di
vedere le cose.
Prospettiva spaziale e temporale
• L’interesse filologico-critico per la storia compare
in modo singolarmente parallelo alla nascita
nell’arte della prospettiva. Come nelle arti
figurative la prospettiva spaziale restituiva agli
oggetti la loro precisa collocazione, la loro
individualità nel loro rapporto sia con gli oggetti
circostanti, sia con il soggetto che guardava,
così la prospettiva temporale consentiva di
conoscere gli accadimenti del passato nella loro
originalità e individualità e nell’appartenenza al
loro ambiente e alla loro irripetibile forma civile.
Il soggetto contemplante
• La prospettiva spazio-temporale, non solo
permette di individuare precisamente oggettieventi e rapporti, ma esalta in modo peculiare il
punto di vista di colui che guarda, proiettando gli
eventi nel cono d’ombra costituito dal suo punto
di vista. Questo è posto al centro dell’intera
costruzione in modo da guadagnare non solo
l’autenticità dell’oggetto, ma anche la centralità
ineludibile del soggetto, cioè dell’uomo.
La natura
• La natura è considerata la dai rinascimentali la patria immediata
dell’uomo, dove per immediata si intende la sua collocazione propria
e da tutti subito constatabile (mentre la patria celeste, pur
riconosciuta, appare lontana e circonfusa di nebbie difficili da
diradare).
• Essa porta con sé le infinite forze che producono la vita e la
determinano, anzi sembra che tale capacità produttiva derivi da una
specifica anima che la attraversa e attiva le sue potentissime
energie.
• L’uomo studia la natura con lo scopo di dominare le sue forze, per
ora non tanto attraverso una via empirica e sperimentale, bensì
mediante una strumentazione mistica e magica. Si tratta di porsi in
diretto contatto con le forze misteriose e viventi che la animano per
controllarle e manipolarle a proprio vantaggio. In un simile contesto
la prassi dello studioso assomiglia più al rito che non
all’esperimento, si tratta più di evocare che non di verificare e
sperimentare.
Le correnti della filosofia
umanistico-rinascimentale
• Nel periodo più propriamente umanistico
fioriscono gli studi filologici con i loro protagonisti
italiani, l. Bruni (1370-1444) e L. Valla (14071457), ai quali si associa la rivalutazione dei
classici operata sul piano poetico-letterario da F.
Petrarca.
• Filosoficamente parlando risulta assai
interessante la rivalutazione del piacere
(spirituale) operata dal Valla con una dottrina
che alla prospettiva cristiana associa quella
epicurea in una sintesi originale.
Platone
• Grazie ai contatti con il mondo greco, in
occasione del concilio ecumenico di Ferrara
(1438-39), volto a ricomporre la scissione con la
Chiesa ortodossa, giunsero al seguito di
Giovanni VIII Paleologo, imperatore bizantino,
numerosi intellettuali che portarono con loro
molte opere di Platone, alcune delle quali
sconosciute nel mondo occidentale. Di qui
l’esplodere di studi platonici che ebbero per
protagonisti M. Ficino, fondatore dell’Accademia
fiorentina, N. Cusano (1401-1464) cardinale e
filosofo, G. Gemisto Pletone (1355-1452).
Naturalismo e magia
• Una seconda generazione di platonici, fuse le dottrine
del filosofo greco con quelle di Plotino e dell’esoterismo
neoplatonico degli scritti ermetici (testi neoplatonici a
forte impronta religiosa e magica, databili attorno al II III
sec. d.C., ma ritenuti molto più antichi, e portatori di una
sorta di profezia pagana che avrebbe anticipato temi
cristiani) applicandoli alla costruzione di un sistema di
interpretazione della realtà naturale. Studiati
attentamente dall’Accademia di Ficino, se ne ritrovano
chiare impronte nell’opera di G. Bruno (1548-1600) e T.
Campanella (1568-1639), mentre a carattere più
sensisitico e materialistico risulta l’opera dell’altro grande
naturalista rinascimentale, B. Telesio (1509-1588).
Aristotele
• Lo scopo con cui fu studiato Aristotele nel Rinascimento
fu diverso da quello dei filosofi medievali. Non si trattava
più di utilizzare lo Stagirita per costruire una metafisica
da accordarsi con le prospettive cristiane (Tommaso),
bensì quello di elaborare e raffinare una scienza della
natura secondo rigorose prospettive razionali (i testi più
studiati erano la Fisica e l’Organon, mentre l’università di
Padova era il centro più famoso di studi scientifici
aristotelici) che facesse da premessa ad un’etica di
impronta laica. Pietro Pomponazzi (1462-1525) e Jacopo
Zabarella (1533-1589) ne furono gli esponenti di spicco.
Il pensiero politico
• Particolare rilievo in Italia ebbero le discussioni di
scienza della politica, intesa come scienza autonoma,
sollevate dall’opera di N. Machiavelli (1469-1527), in cui
traluce, oltre all’impronta realistica e disincantata,
l’ammirazione per la grande personalità che ottiene con
raffinata e disinvolta strategia, un successo tutto politico
e che a tale successo consacra la sua vita, senza
ulteriori prospettive ultraterrene. Accanto a ciò si pone
tuttavia l’amara consapevolezza dei limiti della virtù
umana, consegnata ai capricci di una fortuna o di un
caso del tutto indifferenti alle qualità del singolo.
L’organizzazione della cultura
• Nel contesto della laicizzazione umanistico
rinascimentale la Chiesa perde il monopolio
della promozione culturale, che passa nelle
mani dell’iniziativa signorile e della borghesia
urbana. Se nelle università prevale ancora in
certa misura la cultura scolastica, legata alle
prospettive di una civiltà ancorata all’istituzione
ecclesiale come suo centro animatore, nelle città
sorgono le Accademie. Queste sono libere
associazioni di intellettuali legati da interessi
affini e uniti dalla finalità di promuovere la loro
specifica visione del mondo e delle cose.
Le discipline delle Accademie
• Le Accademie si distinguono per collocazione
geografica e per le discipline la cui coltivazione
è in esse prevalente, per esempio:
L’Accademia fiorentina di Marsilio Ficino ha un
interesse principalmente filosofico e promuove
la diffusione del neoplatonismo
L’Accademia romana di Giulio Pomponio Leto è di
carattere archeologico-erudito
L’Accademia napoletana di Giovanni Pontano è di
tendenza letteraria
Bilancio critico: la grandezza dell’io
Non sarà inutile prospettare anche una considerazione
critica circa il complesso delle tematiche qui sintetizzate.
C. Esposito (Filosofia, Laterza, Roma-Bari, 2009, vol II, p.
3) fa giustamente notare che “la concezione
antropologica che si delinea (nel Rinascimento, n.d.r.) è
dunque tale che il singolo io non avverte più il compito di
contribuire con la sua parte all’edificazione di un ideale
comune e di un intero popolo, ma, al contrario, quello di
distaccarsi da ciò che è comune per emergere come
‘distinto’ ed ‘eccelso’. In altri termini la grandezza
dell’uomo non nasce più dalla sua appartenenza a
qualcosa di grande – e più grande anche di se stesso –
ma dall’affermazione della propria grandezza in termini
di riuscita”.
Bilancio critico: la perdita del centro
• Nel medioevo l’uomo dipendeva da Dio,
centro e perno dell’intera esistenza
individuale e sociale, ora invece la realtà
ultraterrena è sentita come remota: Dio è
signore del passato e del futuro, mentre
l’uomo è signore del presente. Quindi la
verità ultima dell’uomo e del mondo viene
relegata in un ordine celeste distaccato
dall’esperienza concreta della vita.
Bilancio critico: la scissione
• L’io rinascimentale è quindi interiormente scisso tra una
verità assoluta ma lontana, e la pressione di un mondo
che richiede ogni impegno ma è destituito del suo più
serio fondamento. La vita e il suo significato ultimo
appartengono ormai a due sfere diverse … se vi è un
significato senza vita (cioè pura affermazione formale
della verità religiosa), la conseguenza è quella di non
poter evitare di vivere una vita senza significato (cioè un
indaffararsi continuo nelle cose del mondo senza
individuare lo scopo ultimo di tale indaffararsi).
Bilancio critico: la malinconia
• Il tentativo di sanare la contraddizione con le
proprie forze da parte dell’uomo rinascimentale,
destinato giocoforza a fallire, genererà in lui
quella “tristezza che sempre accompagna le
raffigurazioni della bellezza o del potere” in
questo periodo, “come quell’inspiegabile
malinconia che segna diffusamente le
magnifiche figure dipinte da Botticelli o
l’inquietudine che rode intimamente i volti dei
ricchi borghesi o dei potenti signori delle città
ritratti da Van Eyck” (Esposito, cit., p. 5).
Bilancio critico: l’orgoglio moderno
La ricerca di una soluzione al sentimento di una perdita,
alla nostalgia per un mondo di pienezza che pur il
medioevo aveva saputo proporre come concreta
esperienza di vita, condurrà l’uomo rinascimentale, fuori
da ogni prospettiva autocritica, a realizzare ancor più
radicalmente il suo abbandono della tradizione religiosa,
giungendo così a determinare quella rivoluzione
moderna destinata a porre l’uomo al centro dell’universo
come un nuovo Prometeo, orgoglioso della sua
solitudine e alla fine in grado di affermare al culmine del
suo disperato cammino: “Ho posto la mia causa sul
nulla”.