DAL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ GALILEANA ALLA RELATIVITA’ RISTRETTA I parte A Galileo era già noto che le leggi della fisica non possono dipendere dal sistema di riferimento scelto dall’osservatore (punto di vista dal quale effettuare le misure) . In un celebre passo del “Dialogo sui massimi sistemi” egli affermava che in una nave in viaggio a velocità costante sul mare completamente calmo, possiamo verificare gli stessi risultati di un esperimento condotto in un qualsiasi laboratorio sulla terra. Come si può osservare nell’immagine di sopra: un corpo che cade dall’albero di una nave ancorata, cade lungo la verticale, ai piedi dell’albero. Nella foto in basso si nota che la stessa cosa accade anche se la nave dovesse mettersi in movimento con velocità costante in mezzo al mare, in condizioni di assenza di vento o di correnti. Viene detto RIFERIMENTO INERZIALE un riferimento nel quale è possibile verificare le leggi della dinamica (come nell’esempio precedente della caduta!) Esistono infiniti riferimenti inerziali che sono equivalenti tra loro per la descrizione dei fenomeni fisici. Un laboratorio posto in un qualsiasi punto della terra. Una barca ancorata in mezzo al mare calmo La stessa barca in moto rettilineo uniforme nel mare in condizioni di massima calma Ma in realtà la terra non costituisce un riferimento rigorosamente inerziale, in quanto è costretta ad un moto accelerato attorno al sole ed attorno a sé stessa… quindi non è in moto uniforme rispetto alle stelle fisse nell’universo … Galileo, rendendosi conto che la terra non poteva considerarsi un riferimento rigorosamente inerziale, si è chiesto : Grazie alle prime osservazioni telescopiche Galileo si rese conto che vi erano sulla sfera celeste delle stelle che, per la loro enorme distanza da noi, apparivano immobili … Ciò lo spinse a considerare un riferimento rigorosamente inerziale quello con origine nel sole e con gli assi cartesiani orientati verso le stelle fisse. In questo riferimento inerziale delle stelle fisse la descrizione dei fenomeni fisici diveniva la più semplice. Nel 1870 J.C. Maxwell pubblicava il “Trattato di elettricità e magnetismo” nel quale dimostrava che tutte le leggi che governano i fenomeni elettrici e magnetici sono riassumibili in 4 equazioni che prendono il suo nome. Queste equazioni prevedono l’esistenza nello spazio fisico di onde elettromagnetiche, che si propagano alla velocità di circa 300 000 Km/sec Nel 1888 Hertz riuscì a produrre e a rilevare le onde di cui Maxwell aveva previsto l’esistenza con questo apparecchio … Ma tutte le onde, come quelle del mare, o quelle lungo una corda vibrante, hanno sempre bisogno di un mezzo nel quale potersi propagare. Quale sarà la sostanza attraverso la quale le onde elettromagnetiche potrebbero propagarsi come le onde nel mare? La sostanza nella quale si sarebbero propagate le onde elettromagnetiche fu individuata nell’ETERE … una sorta di materia leggerissima, trasparente, la quinta essenza di Aristotele. L’etere, la sostanza che traghetterebbe le onde elettromagnetiche, dovrebbe risultare assolutamente ferma rispetto alle stelle fisse. Essa stessa, pertanto, costituirebbe un RIFERIMENTO INERZIALE PRIVILEGIATO. Rispetto a questo riferimento le onde elettromagnetiche – in base alla teoria di Maxwell – dovrebbero viaggiare alla velocità c di circa 300000 Km/sec. In questo riferimento fermo rispetto all’universo le leggi della fisica assumerebbero la forma più semplice. Consideriamo ora un osservatore inerziale sulla sponda di un fiume che osserva la velocità v con cui transita davanti a lui una barca … Indichiamo con v′ la velocità della barca rispetto all’acqua e con v. quella della corrente ... l’osservatore penserà … La velocità della barca rispetto a me che sono sulla sponda è: v = v ′ + v. E’ nota come legge di trasformazione delle velocità di Galilei Analogamente all’esempio di prima supponiamo di avere 2 osservatori: A fisso sulla terra e B posto su una pedana in moto rettilineo uniforme alla velocità v. rispetto ad A. Se l’osservatore B lancia verso A un corpo alla velocità v ′, la velocità v misurata dall’ osservatore A sarà: v = v ′ + v. v′ v. Ma se il corpo lanciato fosse un raggio di luce varrebbe ancora questa legge? Verso la fine del 1800 ci furono numerosi fisici che si occuparono di fare misure della velocità della luce in diversi riferimenti inerziali: rispetto alla terra, rispetto ad una stella e rispetto all’etere . In base alla legge delle trasformazioni di Galileo, la velocità della luce misurata sulla terra avrebbe dovuto essere c + v. , essendo v. la velocità della terra rispetto alle stelle fisse e quindi all’etere. Se l’etere esistesse, la terra dovrebbe muoversi attraverso essa durante i suoi moti di rotazione e di rivoluzione. Un osservatore sulla terra dovrebbe allora avvertire un “vento d’etere” della stessa entità della velocità della terra attraverso di essa. Una situazione del tutto simile a quella di topolino... Poiché la velocità della luce è molto più grande di quella della terra (e quindi del vento d’etere), gli effetti prodotti sarebbero stati così piccoli che solo un esperimento molto accurato avrebbe potuto apprezzare. Fu l’americano Michelson a mettere sù nel 1881 un esperimento destinato a diventare storico! Un fascio di luce proveniente da una sorgente S fissa sulla terra, è decomposto dallo specchio semiargentato in due fasci che fanno due percorsi diversi L1 e L2 per poi interferire nel cannocchiale. Per effetto dei due diversi percorsi ottici sullo schermo si osservano una serie di bande di interferenza costruttiva e distruttiva In seguito ad una rotazione di tutto l’apparato di 90°, se si tiene conto della diversa composizione delle velocità della luce con quella del vento d’etere, ci si dovrebbe aspettare uno spostamento di circa mezza frangia di interferenza. Furono eseguite osservazioni durante il giorno e la notte (in quanto la terra ruota attorno al suo asse) e durante le stagioni dell’anno (per il moto di rivoluzione), ma non fu rilevato lo spostamento delle frange di interferenza che ci si aspettava. Ciò spinse lo stesso Michelson ed altri ricercatori a ripetere l’esperimento nei successivi 50 anni. Ma il risultato fu sempre lo stesso: non c’era alcun spostamento di frange! Ciò indusse Michelson nel 1887 ad affermare: “Sembra ragionevolmente certo che se c’è un movimento relativo tra la terra e l’etere lumifero, questo deve esser molto piccolo.”