Mercati e globalizzazione. Gli incerti cammini del diritto

Mercati e globalizzazione. Gli incerti cammini del diritto
MARIA ROSARIA FERRARESE
1. Globalizzazione dei mercati ed intelligenza giuridica
Quale rapporto tra diritto e mercato? In che termini si può parlare di uno statuto giuridico
del mercato? Questi interrogativi non sono certo nuovi ma oggi trovano nuove ragioni per
essere riproposti ed attendono forse nuove risposte in un contesto storico che vede i mercati
esposti alla sfida della globalizzazione. In questo contesto, ad un osservatore frettoloso, la
regolazione giuridica dei mercati potrebbe apparire avviata verso un assetto unitario, che
cancella le differenze ed omologa i mercati all'interno di modelli e comportamenti comuni.
Questa visione, tuttavia, trascura un aspetto importante: se infatti è vero che i processi di
globalizzazione tracciano nuove regole e standard comuni che attraversano le differenze, è
vero altresì che le differenze non vengono puramente e semplicemente cancellate ma
piuttosto chiamate ad interagire con tali standards, producendo esiti di diversificazione dei
mercati e dei relativi statuti giuridici secondo linee nuove ed inesplorate.
D'altra parte, a rendere complicata l'analisi del rapporto tra diritto e mercato contribuisce
non poco il fatto che la stessa pluralità dei mercati oggi non coincide più (se mai ha
coinciso nel passato) con la mappa dei confini nazionali: essa viene ridisegnata da nuove
dinamiche, che si differenziano in maniera duplice rispetto ai confini statali. In primo luogo
infatti tali dinamiche possono avere sia carattere istituzionale che carattere non
istituzionale. In secondo luogo possono avere sia carattere sovranazionale, come mostra
l'importante esempio dell'Unione europea, sia carattere infranazionale, come avviene ad
esempio quando protagoniste di accordi sono regioni o aree che possono appartenere allo
stesso stato o a più stati1.
Così, quando si parla di pluralità o di diversità dei mercati, nel contesto della
globalizzazione, ci si riferisce a realtà diverse, in parte disegnate da processi istituzionali, in
parte disegnate da processi spontanei ed informali. Anzi i processi informali marcano
differenze non meno significative dei processi formali nel caratterizzare i mercati. Ad
esempio, lo stesso mercato "europeo", che pure è prodotto da una chiara dinamica
istituzionale, è segnato da consistenti diversità culturali che si riproducono in diverse
culture giuridiche, cosicché ci si scontra col problema di scegliere o meno un regime
giuridico comune che superi il dualismo civil law/common law (cfr. Legrand 1996). Le
1
Come ha osservato Turow 1996, 129, "Il salto da un'economia nazionale all'economia mondiale è un
passo eccessivo da compiere tutto in una volta. Di conseguenza si assiste all'emergere di blocchi commerciali
a livello regionale come trampolino di lancio verso un mercato veramente mondiale. L'esistenza di tali blocchi
tuttavia determina alcune tendenze contraddittorie. Ciascun blocco si sforza di liberalizzare il commercio al
proprio interno, ma allo stesso tempo i governi controllano sempre più gli scambi che intercorrono tra i vari
blocchi. È possibile che il libero scambio mondiale aumenti contemporaneamente al controllo sugli scambi
stessi (perché la liberalizzazione degli scambi all'interno dei blocchi compensa l'aumento dei controlli sugli
scambi tra blocchi diversi)".
1
cosiddette "tigri asiatiche", d'altra parte, più che dalla comune area geografica e dalla
parziale vicinanza culturale, sono caratterizzate dalla posizione economica di late-comers e
da contesti politici di incerta democratizzazione: in realtà esse fanno riferimento a modelli
politici e statali piuttosto variegati e di certo non dispongono di misure giuridiche unificate.
Come si vede, paradossalmente, proprio mentre la globalizzazione potrebbe far pensare
ad una quasi realizzata unificazione dei mercati, si diffonde l'uso di metafore che servono a
identificare diversità delle aree di mercato non tanto in virtù di criteri propriamente
giuridici, quanto di geografie territoriali e culturali. Insomma, il mercato "globale" non
esiste se non come dimensione potenziale di scambi a misura del mondo e come crescente
capacità dei soggetti economici di intraprendere scambi a dispetto delle distanze
geografiche, culturali ed anche giuridiche.
I confini degli stati non segnano più i confini dei mercati: si tratta dunque di fare i conti
con nuovi modi e nuove fonti di normazione dei mercati, che in gran parte non coincidono
più con le sovranità nazionali né hanno necessariamente carattere "pubblico".
Pensiamo al ruolo svolto da importanti istituzioni economiche internazionali2: soggetti
come il World Trade Organization sono difficili da collocare da una parte o dall'altra della
linea di divisione tra pubblico e privato: esse infatti hanno un'identità composita che
registra al contempo impulsi provenienti da stati e comunità internazionali, così come da
importanti gruppi economici privati. Altrettanto difficile da collocare lungo quella linea è la
cosiddetta lex mercatoria3 che, se da un lato è il segno più vistoso della capacità che hanno
gli stessi soggetti privati del mercato di disegnare istituti e regole per i propri scambi,
dall'altra diventa una fonte di normazione che travalica le frontiere tra forme giuridiche
"tipiche" e forme giuridiche "atipiche", ridisegnando la sostanza degli scambi di mercato.
Si può insomma parlare di nuove forme di "intelligenza giuridica", prodotte al contempo
da vari soggetti pubblici e privati, che accompagnano la vita dei mercati. Con tale
espressione si intende sottolineare che non ci si trova più tanto in presenza di regole
giuridiche che sono un prodotto finito, ma piuttosto di un continuo work in progress, che
progetta sempre nuove condizioni organizzative e soluzioni giuridiche per gli scambi (si
veda Dezalay 1997). In altri termini, si potrebbe dire che i mercati registrano, accanto alle
tradizionali misure giuridiche statali, la produzione di nuove forme giuridiche che non
hanno più un carattere prestabilito, ma assumono piuttosto modalità adattive, seguendo i
mercati nei loro disparati bisogni. Esse non si propongono più tanto il fine di normare e
governare le relazioni economiche, quanto di costruirle, ampliarle, legalizzarle,
rispondendo volta a volta a finalità organizzative, di contrattazione, di flessibilità ecc.
A questa complessa impresa di produzione di intelligenza giuridica partecipano soggetti
sempre più numerosi e diversi e sempre meno distinguibili in base alla dicotomia
pubblico/privato. Peraltro, questo cambiamento non è senza effetti sia sulla natura delle
istituzioni economiche, che assumono una valenza politica (cfr. Strange 1996), che su
2
Come osserva Smelser 1994, 226 si può ritenere "che il futuro della sociologia economica stia
principalmente nel campo dell'analisi delle istituzioni economiche internazionali".
3
Per una storia di questo diritto privato si veda Galgano 1993.
2
quella degli stati, che per converso assumono come proprii moduli di azione economica,
come quello della competizione (si vedano Stopford & Strange 1991).
Il diritto dei mercati viene dunque prodotto sia da soggetti pubblici che da soggetti
privati. Nel primo caso si può trattare di trattati internazionali o decisioni prodotte da
soggetti sovranazionali o infranazionali; nel secondo caso a produrre diritto possono essere
le cosiddette transnational corporations, nonché altri possibili soggetti privati a carattere
professionale, o istituzioni economiche sovranazionali o infranazionali, o altre
nongovernmental organizations.
Sia che siano prodotte da soggetti pubblici che da soggetti privati, queste forme
giuridiche solo in parte continuano a rispondere, weberianamente, alla funzione di
assicurare ordine e prevedibilità delle transazioni economiche. Questa tradizionale funzione
si trova infatti ad essere sfidata su vari terreni. Si pensi allo sviluppo dei mercati speculativi
che sono basati proprio sul rischio e sulla specializzazione ad assumerlo da parte di alcuni
soggetti (cfr. Knight 1960): essi hanno prodotto misure giuridiche, come i contratti a
termine o le opzioni sui titoli, che nell'incertezza trovano la propria naturale premessa. Più
in generale, come si dirà più estesamente nelle pagine finali, le funzioni di rassicurazione e
"calcolabilità" svolte tradizionalmente dal diritto vengono a patti con una contestuale
funzione di partecipare alla produzione di un continuo rinnovamento delle condizioni dello
scambio, forzando il quadro normativo esistente.
Ci si trova così a fare i conti con nuove forme di complessità degli statuti giuridici dei
mercati. La complessità deriva da svariati fattori: in primo luogo dall'accresciuto numero di
soggetti produttori di diritto; in secondo luogo dal carattere privato ed invisibile di alcuni di
tali soggetti; in terzo luogo dalla tendenza ad una crescente pressione degli interessi sulle
regole giuridiche che produce una conseguente variabilità delle stesse; infine da una certa
opacità delle regole, che è dovuta all'interazione tra elementi formali ed informali. Il quadro
giuridico assume insomma carattere composito: si compone di numerosi elementi, come un
mosaico; ma, a differenza di un mosaico, non è mai statico e contempla una continua
interazione tra i vari elementi che li compongono. L'interazione riguarda sia soggetti ed
elementi di natura istituzionale che soggetti ed elementi di natura informale.
Si disegnano così due importanti tendenze giuridiche relative ai mercati. Da un lato una
consistente tendenza alla privatizzazione dei meccanismi di produzione giuridica relativa ai
mercati. La crescente privatizzazione si delinea via via che la globalizzazione economica
porta con sé uno scivolamento di potere dagli stati alle forze economiche dei mercati, che
assumono così una valenza politica (cfr. Strange 1996). Lungo questo processo, d'altro lato,
è inevitabilmente destinato a crescere il peso che fattori di natura informale esercitano sulle
misure giuridiche dei mercati.
In altri termini, gli statuti giuridici dei mercati sono soggetti a continue sfide. Via via che
la frontiera pubblico/privato si ridisegna a vantaggio del privato, la barriera che divide il
diritto dagli interessi si fa sempre più debole ed intorno ad essa si istituzionalizza una
complessa interazione di soggetti diversi per continue ridefinizioni giuridiche che
rispondano meglio a fini di "acquisizione".
E' destinata a crescere altresì, all'interno dei vari stati, la dialettica tra i diversi
"formanti" (si veda Sacco 1979), a seconda della loro rispettiva capacità di incontrare le
3
esigenze della globalizzazione. In questa situazione di estrema complessità, appare utile il
suggerimento di indagare le differenze tra sistemi giuridici su quattro piani: le prescrizioni
di diritto positivo; le interpretazioni dei professionisti e degli accademici; le
implementazioni da parte di attori istituzionali; le implementazioni da parte di attori
individuali (avvocati, imprese, cittadini): "alcune culture giuridiche realizzano obiettivi a
livello normativo, altre nella fase dell'implementazione, mentre altre le iniziative regolative
e la lotta per la giustizia al livello di attori organizzati o non organizzati. E' perciò
completamente fuorviante comparare le culture giuridiche solo ai primi due livelli delle
leggi e delle opinioni giuridiche dei professionisti e degli accademici" (Gessner 1995, 89).
Il diritto si ristruttura insomma secondo moduli essenzialmente procedimentali, che
permettono un'immissione crescente di elementi e contenuti variabili, in virtù di spinte
informali e privatistiche. Ed il cambiamento è il risultato di rapporti dialettici che si
instaurano tra diversi produttori di diritto (pubblici e privati, statali e sovrastatali o
infrastatali) e tra elementi formali ed elementi informali (ad es. schemi contrattuali e diversi
modi di intenderne l'adempimento, a seconda di usi e costumi locali). I risultati di queste
continue e reciproche interazioni raggiungono di volta in volta una relativa strutturazione,
ma non sono mai stabili e definitivi. Anzi, poiché non esiste un progetto di necessaria
armonizzazione tra diritto prodotto da soggetti istituzionali e diritto prodotto da soggetti
privati, si può pensare altresì ad una competizione strisciante tra queste diverse modalità di
produzione giuridica.
2. Mercati e comunicazione: verso i dialetti giuridici
La globalizzazione economica pertanto coincide con la messa in moto di processi giuridici
segnati da una grande complessità. La complessità è data dal fatto che sono aumentati i
soggetti protagonisti dei processi giuridici e che tali processi sono, per un verso, sospesi tra
un carattere pubblico ed un carattere privato e, per un altro verso, tra un carattere formale
ed un carattere informale.
E' anzi ragionevole prevedere che l'importanza dei fattori informali è destinata a
crescere, via via che si accentuano i processi di globalizzazione: questi, infatti, pur
implicando la tendenziale convergenza ed assimilazione dei mercati, non potranno certo
sopprimere le diversità lungamente sedimentate: innanzitutto quelle create dalla storia e
dalla tradizione; in secondo luogo quelle create da specifici contesti e bisogni locali. Queste
diversità non sono destinate semplicemente a soccombere, ma piuttosto ad interagire col
nuovo, trovando nuovi modi di espressione. Del resto, la storia ha non solo un generico
rilievo culturale, ma anche un preciso peso economico, come si sforza di dimostrare quella
4
nuova direzione di ricerca storica detta "cliometria"4 e come, attraverso il peso dato alle
istituzioni nel costruire efficienza economica, fa lo stesso neo-istituzionalismo5.
In altri termini, ci si può ragionevolmente attendere che fenomeni di crescente
pluralizzazione dei mercati coesistano paradossalmente con la cosiddetta globalizzazione
dell'economia. Il paradosso si può così riassumere: via via che nuovi paesi, come quelli
seguiti al crollo del blocco sovietico (si veda Rhodes & van Apeldoorn 1997) si affacciano
ad una economia di mercato, si trovano sottoposti ad una duplice pressione: da un lato
quella di fare i conti con la propria storia precedente, sia pure per cambiarla, e dall'altro
quella di saper rispondere alla sfida di una globalizzazione che, richiamandosi a leggi
"oggettive" dell'economia a cui non ci si può sottrarre e producendo "imperativi" comuni
(si veda in proposito Lebaron 1997), sembra richiedere una sorta di neutralizzazione di tale
storia6.
Questa tensione, per così dire, tra storia e non-storia, tra condizionamenti locali ed
imperativi universali non può che produrre forme di diversificazione dei mercati, che
corrispondono alle diverse maniere in cui si articolerà in ciascun paese. Così si daranno
interazioni creative tra il livello della decisione giuridica statale e quello della decisione
giuridica internazionale o sovranazionale (si pensi al problema dell'attuazione di una
direttiva). Ed interattivo sarà il rapporto tra le forme giuridiche esplicite ed altre forme
giuridiche implicite ma largamente condivise in quanto sedimentate nella tradizione di un
gruppo o di una comunità.
Del resto, nonostante la crescente egemonia del modello americano, il capitalismo
registra ancora una diversità di modelli (cfr. Albert 1994), che non può scomparire dall'oggi
al domani7. La diversificazione non può non riprodurre le specifiche forme di regolazione
che i vari mercati sapranno darsi, facendo interagire le normazioni con i vari contesti
informali. Come hanno mostrato alcune ricerche, infatti, occorre considerare
adeguatamente il ruolo svolto dai contesti informali che danno un proprio senso ed una
specifica applicazione a norme giuridiche astrattamente intese.
Il merito di aver aperto questo interessante filone di indagine spetta a Macaulay (1963),
che in una ricerca svolta nel Wisconsin, mostrò che nel mondo degli affari, laddove
insorgano relazioni contrattuali stabili, prevale la tendenza dei partners ad evitare sia la
4
Prendendo il nome da Clio, musa della storia, questo indirizzo di ricerca economica sottopone la storia
al vaglio dei modelli economici formali, per valutarne il rendimento in termini di efficienza/inefficienza.
5
Si veda North & Thomas 1976, dove si attribuisce lo sviluppo europeo, fin dall'uscita dal Medioevo, alla
creazione di efficaci strutture di protezione della proprietà privata.
6
Significativamente Douglas (1995, spec. 5), antropologa di fede durkheimiana, critica la tendenza ad
assumere estensivamente il modello economicistico dell'azione sociale, descrivendo l'homo oeconomicus
come uno "straniero" che "non ha famiglia, parenti o amici. Non ne conosciamo la storia, ha sentimenti
diversi dai nostri, non ne comprendiamo la lingua, e tanto meno gli intenti".
7
Cfr. Dore 1996 che si chiude con un riferimento all'incognita rappresentata dalla Cina: "da un lato c'è la
borsa di Shangai e joint ventures che agiscono secondo modelli americani. Ma mi dicono che occorre stare
attenti a non sottovalutare l'importanza delle vecchie imprese statali, il loro peso nell'economia, la loro
capacità di riformarsi e gli aspetti in cui, soprattutto nella gestione di personale, assomigliano alle corporation
giapponesi. Chi sa? Certo è che il nostro futuro globale potrebbe dipendere proprio dalla direzione di sviluppo
intrapresa dal capitalimo cinese" (Dore 1996, 1026).
5
stesura di contratti troppo dettagliati, sia l'uso delle sanzioni previste in caso di
inadempienze. Macaulay non cita Coase nel suo articolo ma le conclusioni a cui giunge
sembrano un'illustrazione di ciò che Coase aveva affermato nel suo celebre studio
sull'impresa: "Più lungo è il periodo contrattuale di fornitura della merce o del servizio,
meno possibile e in verità meno desiderabile è per l'acquirente specificare cosa ci si aspetta
dall'altra parte contrattuale" (Coase 1995, 80). La tendenza del mondo degli affari ad
evitare una stretta pianificazione degli scambi corrispondeva alla volontà di evitare
complicazioni e "red tape", preferendo puntare sui meccanismi dell'intesa informale e della
fiducia piuttosto che sulle sanzioni giuridiche8.
Sarebbe importante verificare empiricamente se i modi di intesa informale conservino
una uguale importanza nel mercato globalizzato; ma non è azzardato ipotizzare che, in una
situazione in cui la flessibilità delle relazioni commerciali diventa ancor più importante,
date le differenze allargate che intercorrono tra i contraenti, le intese informali assumano un
ruolo persino più rilevante: ciò che importa, infatti, si potrebbe dire parafrasando Macaulay,
non è solo ciò che c'è scritto nei contratti, quanto la "cultura del contratto" che è propria di
contraenti che appartengono a diversi contesti culturali9.
D'altra parte, merita di essere considerato, ancor più in un contesto di globalizzazione,
un aspetto a cui già Macaulay fa riferimento, per spiegare l'atteggiamento detto degli
uomini d'affari: l'esistenza di tecniche assicurative per la riduzione o il frazionamento del
rischio di inadempimento o di vizi nell'adempimento. L'estensione delle tecniche
assicurative, in altri termini, può essere adatta a controbilanciare i rischi di un mercato più
esteso, esonerando almeno in parte il diritto da questo problema, per permettergli di
elaborare piuttosto forme che potenzino le possibilità di scambio.
Ellickson, a sua volta, pubblica una ricerca in cui sottopone a verifica empirica il celebre
teorema di Coase (Ellickson 1991), dopo averlo assunto acriticamente per anni, da studioso
di law and economics, scopre che quando si verificano casi come quello ipotizzato da
Coase, il conflitto di interesse tra l'allevatore di bestiame e l'agricoltore che ha visto il
proprio terreno invaso dal bestiame del primo, può non trovare aggiustamento secondo le
linee ipotizzate da Coase (1982). La ricerca, svolta a Shasta County, una comunità della
California, mostra che sono le norme informali lì vigenti a determinare le soluzioni,
peraltro secondo linee di cooperazione, anziché di conflitto10. Coase avrebbe pertanto, nel
formulare il proprio teorema, omesso di considerare "che in alcuni contesti, i diritti iniziali
possano sorgere da norme generate attraverso processi sociali decentrati, piuttosto che dal
diritto" (Coase 1982, 139).
8
Spesso, nota Macaulay 1963, 58, gli uomini d'affari preferiscono affidarsi "alla parola", "anche quando
la transazione comporta esposizione a seri rischi".
9
Gessner 1993, ad esempio, sottolinea la differenza tra culture "inclusive" e culture "esclusive" del
contratto.
10
Le norme formali vigenti a Shasta County contemplano la responsabilità dell'allevatore trespassor in
caso di closed range; in caso di open range, al contrario, egli non è mai responsabile. Queste norme formali
divergono sensibilmente dalle norme informali adottate dagli abitanti, che prevedono che il proprietario del
bestiame sia responsabile degli atti dei suoi animali, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno recinzione.
6
Scopriamo così che il problema dei diritti informali si presta a molti sviluppi anche da
un'ottica di law and economics: come ha osservato Calabresi (1996, 409), "poiché il
riconoscimento o l'individuazione di diritti comporta un costo, spesso gli individui
originariamente creano diritti in modo informale, rispettando norme che vengono elaborate
sotto il profilo culturale". E conclude: "L'interazione tra diritti culturali e diritti giuridici è
un'area di grande importanza e di crescente interesse da parte degli studiosi".
Con la globalizzazione questo settore di studio acquista rilevanza non solo per gli
studiosi, ma altresì per gli operatori economici e per i giuristi che li assistono per il
raggiungimento dei loro obiettivi pratici. Come osserva Gessner (1993, 70) "ciò che
sorprende è l'osservazione che la maggior parte degli attori internazionali tenga in grande
considerazione, oltre agli aspetti strutturali, gli aspetti culturali dell'arena globale. Sembra
che l'attenzione che tali soggetti pongono sui problemi causati dalle differenze tra le diverse
culture politiche, amministrative e giuridiche derivi dalla loro concreta esperienza
quotidiana. Essi tematizzano altresì frequentemente le differenze socio-culturali che
complicano la gestione di piani industriali esteri o la vendita di merci all'estero".
Più di tutti, a dare sistemazione all'idea che, al di là delle norme positive, siano decisive
"le regole del gioco" con cui esse sono chiamate ad interagire, è stato North (1994; cfr.
Ferrarese 1995). Si tornerà più avanti su questa impostazione neo-istituzionalista, per
approfondirla meglio. Qui basti dire che essa sottolinea il fatto che ogni aggregato sociale è
dotato di propri filtri culturali alla luce dei quali legge ed applica i vari messaggi normativi
ufficiali: i soggetti sono immessi in reti di "significati impliciti", come li chiama M.
Douglas, che servono a facilitare la comunicazione ed a risparmiare sui costi di
informazione. Ora, i diversi sistemi istituzionali vanno al di là delle norme formali e
partecipano alla costituzione di questi nessi di significato, orientando gli attori sociali verso
un uso piuttosto che un altro delle informazioni: in un processo informativo che è costoso
ed imperfetto, a differenza di quanto assumono i neo-classici, oltre alle leggi, alle decisioni
giudiziarie, al fisco e all'insieme dei vincoli istituzionali espliciti, saranno i problemi di
trattamento delle informazioni a dire l'ultima parola in fatto di efficienza (si veda North
1994, 155ss.).
Queste reti di significato istituzionalizzate assumono un'importanza persino maggiore in
un contesto di globalizzazione: i mercati sono infatti chiamati ad accentuare i propri
caratteri di "strutture di comunicazione". Spetta ad alcuni indirizzi di ricerca economica il
merito di aver segnalato l'importanza di questo tema, attraverso l'analisi dell'imperfezione
informativa. Questo settore, oggi sempre più studiato11, com'è stato notato, "riporta
l'attenzione sul fatto che il mercato è principalmente un luogo di comunicazione, dove gli
agenti gareggiano nel piegare a fini di guadagno tutti gli strumenti di comunicazione che
trovano disponibili nella cultura sociale, e nell'inventarne di nuovi" (Dardi 199?, 55).
11
Si deve al neo-istituzionalismo economico questa attenzione al tema dell'incompletezza informativa
dell'attore economico, collegato al tema dei limiti di razionalità. La teoria dei giochi, peraltro, ha anch'essa
contribuito a sottolineare le valenze comunicative del mercato attraverso il dibattito su informazione e
signaling. Si veda l'applicazione in campo giuridico di Baird, Gertner e Picker 1994, spec. 79ss.
7
Ora, tra gli strumenti di comunicazione di cui dispongono i soggetti del mercato, il più
importante è sicuramente il diritto. Il diritto, nel processo di giuridificazione ha svolto da
sempre una funzione di strumento comunicativo, un medium non dissimile dal denaro
nell'assolvere a fini di collegamento interpersonale12. Ma nel contesto della globalizzazione,
il tema della comunicazione assume nuove valenze e diventa centrale anche per ripensare i
nuovi percorsi della giuridicità. Ad esempio, le norme giuridiche a dimensione globale,
piuttosto che produrre un unico statuto giuridico del mercato, interagendo con diversi
contesti istituzionali, creeranno assetti regolativi diversificati in via di fatto.
Globalizzazione dell'economia non implica dunque unificazione dei regimi giuridici dei
mercati, ma piuttosto crescente capacità di tali regimi di comunicare per convergere verso
un allargamento degli scambi.
In una situazione di allargamento dei confini delle relazioni economiche, il diritto è
pertanto chiamato a svolgere funzioni in parte nuove. Mentre il diritto di impronta
positivista era chiamato a svolgere la funzione di un linguaggio scritto, con una propria
esclusiva grammatica, oggi il diritto globalizzato si avvicina di più a svolgere il ruolo di
una lingua parlata in ambito internazionale: una sorta di passepartout linguistico, che
permette di comunicare a persone di diverse nazionalità, ma che ognuno parla a modo suo,
con le proprie inflessioni e costruzioni lessicali. All'interno di questa generale struttura
comunicativa, i singoli mercati elaborano propri dialetti giuridici, piegando a proprio modo,
in maniera più o meno significativa, termini ed espressioni del linguaggio comune,
registrando impulsi culturali e spinte informali.
La pluralità di statuti giuridici dei mercati che così si crea corrisponde, del resto, ad una
parallela tendenza che si produce in economia e di cui si parlerà più avanti: come non ha
senso parlare di un mercato ideale che fa naturalmente avanzare la frontiera paretiana, così
ha poco senso ipotizzare che le norme giuridiche, solo perché esistono, livellano i
comportamenti indipendentemente da specifici contesti culturali.
Lo strumento giuridico, declinato a livello sovranazionale, del resto, non si rivolge più
tanto a compiti direttamente prescrittivi, quanto piuttosto a predisporre principi operativi e
filosofie organizzative di carattere generale, che stanno a monte dei mercati e che
inevitabilmente sortiscono effetti diversi. Si pensi ad esempio ai principii antitrust, che
all'apparenza sono votati alla difesa della concorrenza, in realtà possono servire scopi
mutevoli e persino opposti13. Specie nel mercato globale possono funzionare come "uno
strumento dei paesi industrializzati per difendere i loro mercati e per aggredire e
colonizzare quelli dei paesi emergenti" (Amato 1997, 123; cfr. Jordan & Teece 1995).
La globalizzazione economica induce insomma crescente variabilità di contenuti dietro
etichette, formule e principii giuridici generali. In un certo senso, potrebbe essere evocato
l'ordine giuridico medievale che, mentre era costruito su misure di diritto "comune",
presentava poi elementi fattuali e di radicamento al territorio che compensavano la
generalità di quelle misure (si veda Grossi 1995). Così, mentre si generano comuni standard
12
Si veda Habermas (1986, 1022ss.), dove il diritto viene esplicitamente trattato come "medium".
L'antitrust non può che essere "un insieme di regole relative, storicamente variabili e mutevoli, così
come altrettanto variabili e mutevoli sono i suoi scopi e la sua ratio" (Rossi 1995).
13
8
di carattere formale (essenzialmente di carattere procedimentale), l'esperienza giuridica si
riproduce in forme differenziate che poggiano su diversi network comunicativi.
In sostanza, nel processo di globalizzazione economica, il diritto assolve al bisogno di
accentuare le proprie valenze comunicative attraverso due strade: da un lato assumendo
moduli espressivi più fluidi e di tipo procedimentale, dall'altro accentuando i propri nessi
con i contesti informali. Ne derivano importanti cambiamenti nel significato stesso della
giuridicità, che assume forme inedite, che si allontanano dai nostri consueti modelli, come
si dirà meglio più avanti. Qui basti sottolineare questi due aspetti del cambiamento: da un
lato il fatto che la giuridicità perde quei connotati hard che aveva soprattutto nella
tradizione positivista europea (nesso esclusivo con la sovranità, verticalità del suo assetto
rispetto alla società, grammatica di tipo normativista); dall'altro il fatto che questo ritrarsi
della giuridicità dai suoi consueti tratti istituzionali, questa perdita di rigidità, creano il
bisogno di nuove forme di sostegno non più necessariamente di carattere formale, bensì
anche di carattere informale.
Si produce così una giuridicità destrutturata e multiforme che è sospesa tra un'apparenza
universalistica ed esiti affidati ad una più accentuata elaborazione sociale. Ma, come si dirà
più avanti, i dialetti giuridici sono solo una delle facce giuridiche della globalizzazione.
3. Il diritto dei mercati tra elementi formali ed informali
Nelle pagine precedenti si è già ripetutamente sottolineata l'accentuata importanza degli
elementi di natura informale che, negli spazi allargati della nuova giuridicità, rispondono a
finalità comunicative. La giuridicità è così apparsa sospesa tra una dimensione globale ed
una dimensione locale, come un lungo millepiedi, che, per toccare gli estremi del globo, ha
bisogno di appoggiarsi su tante gambe. Lo scopo delle prossime pagine è quello di
approfondire la conoscenza di questi elementi di natura informale, che contribuiscono a
strutturare i comportamenti giuridici, partecipando al disegno di nuove forme di giuridicità.
Agli occhi del giurista tradizionale, la normazione dei mercati può apparire identificabile
con i soli dati normativi14; ma questa impostazione di tipo giuspositivistico se poteva
trovare maggiori giustificazioni fino a che gli stati nazionali erano sovrani, oggi rischia
davvero di essere fuorviante perché impedisce di cogliere l'importanza degli elementi di
bargaining nella vita giuridica dei mercati, che cresce via via che i mercati si fanno più
estesi e agguerriti. I mercati non sono mai fermi non solo in senso economico ma anche in
senso giuridico: in tal senso il mercato non coincide mai completamente con l'astratto
disegno dei suoi istituti giuridici poiché è attraversato da infinite pratiche di bargaining
che, come si dirà meglio più avanti, non risparmiano gli stessi istituti giuridici.
L'importanza delle pratiche di bargaining per i mercati corrisponde ad una ineliminabile
fonte di elementi informali che interagiscono con i dati normativi ufficiali.
14
Irti 1998 ad esempio, ha di recente sostenuto vigorosamente questa tesi, con l'intento ideologico di
contrapporsi a quelle tesi liberiste che identificano frettolosamente la libertà di mercato con l'assenza di
vincoli giuridici. Cfr. la recensione a tale volume in Ferrarese 1998.
9
Soprattutto in un mondo che corre verso la globalizzazione, individuare la pluralità delle
strade che danno accesso all'informale nella vita giuridica del mercato non è meno
importante che identificare gli elementi formali. Se lo statuto giuridico del mercato fosse
solo un repertorio di leggi e convenzioni internazionali, il compito di dar conto di esso
sarebbe relativamente facile. Il problema attuale della regolazione giuridica dei mercati sta
invece nel fatto che essa è sempre meno enunciata e visibile: alcune zone di essa restano
invisibili, sono informali, ma possono essere significative non meno della parte formale e
visibile perchè, almeno per una parte, assolvono a funzioni comunicative che diventano
tanto più importanti quanto più si allargano i confini dei mercati.
La globalizzazione induce due tendenze che rendono più importante il peso degli
elementi informali. In primo luogo, essa, come si è detto, estendendo il raggio delle
relazioni giuridiche, trova nelle reti di comunicazione informale un supporto importante a
compensare l'astrattezza delle misure giuridiche, un mezzo per "radicarle" in contesti
specifici.
L'informalità diventa in tal modo riappropriazione sociale di misure giuridiche che non
hanno più uno specifico riferimento ad una data società. Del resto, le misure giuridiche
sembrano confezionate apposta per questo: esse non rispondono più tanto alla tradizionale
essenza normativa, ma fanno spazio piuttosto a modalità regolative soffici e flessibili,
pronte a recepire elementi informali ed istanze localizzate.
Contestualmente, tuttavia, la globalizzazione tende a rovesciare i tradizionali rapporti
esistenti tra diritto e mercato, almeno secondo l'impostazione positivista seguita nell'Europa
continentale. Laddove questa impostazione, incentrando nella sovranità statale
l'organizzazione giuridica del mercato, instaurava un nesso di dipendenza dell'economia
rispetto al diritto, la globalizzazione, sciogliendo il nesso tra mercati e stati, rende i mercati
registi, sia pure non esclusivi, dei propri statuti giuridici. Ciò significa che si creano nuovi
percorsi, in gran parte invisibili, che eludono le tradizionali strade della giuridicità e
passano piuttosto, come si dirà, per gli uffici delle law firm o dei revisori dei conti.
Con esiti paradossali in termini di socialità del diritto. Per un verso, infatti, alcuni
caratteri sociali del diritto non solo non scompaiono ma acquistano nuova rilevanza nel
mercato globalizzato, via via che i rapporti giuridici collegano sempre più culture diverse e
distanti. Poiché tendono a crescere le istanze di efficacia del diritto, diventa necessario
riferire il diritto a contesti localizzati, per assolvere a finalità di reale convergenza e di
corretta comunicazione. Così il diritto sempre più scopertamente appare "costruzione
sociale", ossia prodotto dell'interazione di significati che si producono in specifici contesti
sociali e culturali. Il diritto si presta dunque sempre più ad essere osservato attraverso gli
strumenti della sociologia del diritto e del diritto comparato: della sociologia, per prestare
adeguata attenzione ai fattori informali che condizionano la "vita" del diritto, e che
smentiscono "che le istituzioni giuridiche si fondino esclusivamente sulle norme del diritto"
(Ehrlich 1976, 72)15; del diritto comparato, per sviluppare la teoria della "dissociazione tra
15
L'autore ricorda che "l'influenza delle norme extra-giuridiche fu riconosciuta per la prima volta, nel
modo più esplicito, a proposito dei contratti di credito: essi distinguono l'investimento di capitale, moralmente
ineccepibile, dall'usura, che è sempre condannata dalla morale e, di solito, anche dal diritto" (ibid., 74).
10
regole e discorsi giuridici", mostrando che il diritto non è costituito solo da regole, ma è un
linguaggio più ampio, che serve "per inquadrare il mondo" (Mattei & Monateri 1997,
23ss.).
Per un altro verso, la vita giuridica del mercato tende a presentare aspetti nascosti,
invisibili, che sembrano contraddire questa socialità e sfuggire al circuito della
comunicazione sociale. L'invisibilità riguarda non solo e non tanto legislatori dal volto
sconosciuto che creano norme influenti per il mercato. Riguarda ancor più prassi giuridiche
e percorsi di legalizzazione che sono sempre più incontrollabili e opachi.
Noi ci occuperemo di entrambe queste sfere di rilevanza dei fattori informali, sia di
quella che assuma natura sociale, sia di quella che si annida nelle invisibili stanze del potere
economico e dei suoi svariati tecnici.
Sotto il primo profilo, individueremo vari gradi di interferenza che elementi di natura
informale possono esercitare rispetto alle relazioni giuridiche in ambito economico: le
componenti di tipo informale possono infatti insediarsi sia al livello dell'azione individuale,
sia al livello dell'ambiente sociale, sia a vari stadii intermedi, che riguardano la vita di
specifiche comunità, imprese o altri ambiti specificamente caratterizzati.
Sotto il secondo profilo, individueremo alcune tra le più importanti di quelle stanze
invisibili del potere economico, in cui si producono diritto e circuiti di legalità. Vale la pena
notare che non tutte le segrete stanze sono uguali. Per un verso, infatti, la creazione di
norme, istituti giuridici atipici, o altre misure prodotte dalla lex mercatoria somigliano a
beni che, se pur se prodotti privatamente, sono facilmente appropriabili anche da soggetti
che non hanno sostenuto i costi della loro produzione: torna così a delinearsi un profilo
sociale di questo diritto, ancorché prodotto per fini privati. Per un altro verso, invece
vengono prodotti privatamente altri "beni giuridici" che hanno caratteristiche del tutto
diverse: laddove si producano istituti giuridici o circuiti di legalizzazione, che, mentre
favoriscono alcuni soggetti o imprese, possono produrre costi sociali anche elevati. Si
pensi, ad esempio, alla legittimazione, prodotta per via contabile, di un'impresa che in realtà
ha buchi nel bilancio. In questo caso, il bene giuridico viene prodotto esportando rischi su
soggetti ingannevolmente catturati in un circuito di fiducia sostenuto da una legittimazione
fasulla.
Torneremo più avanti di questi circuiti informali che ricalcano gli interessi delle forze
del mercato. I prossimi paragrafi saranno invece dedicati all'analisi dei motivi informali che
interferiscono con il diritto rispettivamente a livello dell'azione individuale e a livello
dell'intera società.
4. Diritto e moventi economici dell'individuo
Prima di inoltrarsi nell'analisi dei vari livelli di interferenza degli elementi informali nella
vita giuridica del mercato, occorre spendere qualche parola sul rapporto che esiste tra questi
vari livelli e soprattutto tra il livello dell'azione individuale ed il livello sociale. Sotto
questo profilo, com'è stato notato, la teoria sociale ed economica è rimasta spesso divaricata
tra due opposte concezioni relative al rapporto tra comportamento razionale ed ambiente
11
sociale. Da un lato vi è la visione "sottosocializzata" dell'azione razionale, che è propria
della tradizione utilitaristica e che vede il soggetto economico atomizzato e non integrato in
rapporti sociali; dall'altro lato vi è la visione "ultrasocializzata" del comportamento
economico, che lo vincola strettamente ai rapporti sociali, fino al punto da non poterlo
separare da essi. Rispetto a queste visioni estremistiche, la tesi del "radicamento", proposta
da Granovetter, si pone in posizione intermedia, ponendo l'accento su concrete strutture di
rapporti sociali, che definiscono specifici contesti di fiducia e di ordine, decisivi per la vita
economica (si veda Granovetter 1992)16.
Peraltro è possibile ipotizzare che tra il livello dell'azione individuale ed il livello
dell'ambiente sociale si possano individuare delle enclaves sociali, ad esempio specifiche
imprese, routines organizzative17 o gruppi di tipo familiare, religioso o etnico, che
presentano propri caratteri e specificità che li differenziano sia dal modello puro dell'azione
economica utilitarista, sia dalla più ampia cultura socio-economica in cui sono immessi. Ad
esempio, come spiegare la diversità dei risultati economici ottenuti dai diversi gruppi etnici
negli Stati Uniti? E, più in generale, come spiegare il "ruolo che gruppi sociali particolari
hanno giocato nel commercio: si pensi, ad esempio, all'intermediario cinese in Asia; agli
ebrei in certi periodi storici; ai quaccheri in altri; e così via. E' chiaro che sono le
caratteristiche di questi gruppi che contano (si veda Swedberg 1994, 147). Trascurando
queste variabili culturali, si ricade in una sopravvalutazione di variabili economiche, che
invece non bastano a spiegare le differenze: sarebbe ad esempio un grave equivoco spiegare
con variabili di tipo puramente individualistico atteggiamenti economici che sono radicati
in una specifica cultura di carattere collettivo. D'altra parte, sarebbe altrettanto erroneo
spiegare la "produttività" dei cinesi immigrati in America come un riflesso della cultura
della produttività che impera negli Stati Uniti.
Analizzare il ruolo che gli elementi di natura informale svolgono nella vita giuridica del
mercato significa dunque fare i conti sia con i caratteri strutturali dell'azione economica
individuale, sia con culture sociali più o meno generalizzate. La ricerca neo-istituzionalista
ci fornirà preziose indicazioni per esplorare entrambe queste direzioni di indagine. Nel
prossimo paragrafo, soprattutto attraverso la lezione di D. C. North, scopriremo come la
costante interazione tra norme formali e norme informali sia la vera trama per leggere non
solo i rapporti giuridici in una data società, ma anche le sue conseguenze in termini
economici18. In questo paragrafo, esamineremo invece la presenza di elementi informali a
livello dell'azione individuale, utilizzando specialmente il contributo di Williamson.
16
E' da notare che in questo saggio l'autore è molto critico nei confronti del neo-istituzionalismo, che
identifica soprattutto con Williamson, e che vede schiacciato su una visione sottosocializzata, tant'è che
persino le istituzioni vengono spiegate da un punto di vista neo-classico. E tuttavia, se si pensa all'approccio
neo-istituzionalista di North che verrà descritto più avanti, le distanze rispetto all'ipotesi del "radicamento"
appaiono assai ridotte: North infatti, pensa alle istituzioni in termini di diverse reti di significato che
conducono a diverse grammatiche normative.
17
Sul ruolo delle routines organizzative si veda Nelson & Winter 1994 in (Egidi & Turvani 1994).
Diffuse informazioni su questo approccio altresì nelle introduzioni dei curatori.
18
Cfr. Ferrarese 1995, dove si ripercorre brevemente anche il percorso di questo filone di ricerca.
12
Sotto questo profilo, relativo all'azione individuale, rileva dunque la particolare
condizione ambientale del soggetto che compie operazioni giuridiche nel mercato. La sfera
di azione dei soggetti è infatti collocata al crocevia tra diritto ed economia: più
precisamente, il diritto è esposto all'interferenza dell'economia e ciò crea un sistematico
apporto di motivi informali che interferiscono col diritto formale. Si può in tal senso parlare
di una particolare località dell'agire giuridico nel mercato, poiché il soggetto si trova
esposto a due riferimenti che possono anche entrare in contraddizione.
Non sempre questa particolare località dell'azione sociale che si svolge nei mercati è
stata adeguatamente osservata e compresa nelle implicazioni che essa comporta sulla vita
giuridica (si veda Ferrarese 1992, 86ss.). I giuristi hanno interpretato l'agire economico
secondo le proprie lenti, ignorando i problemi che derivano proprio da questa confluenza di
motivazioni economiche e giuridiche. Così, in ambito giuridico, si è ricaduti in una forma
di sottovalutazione dell'economia a vantaggio del diritto: i vincoli giuridici sono stati
considerati come capaci di per sé di determinare i comportamenti, secondo presupposti di
tipo normativista, trascurando il fatto che il soggetto economico è portato a piegare le
norme giuridiche alla propria razionalità e che lo farà tanto più, quanto più la cultura
giuridica non è improntata a parametri normativisti. La sociologia giuridica, d'altra parte,
soprattutto nella versione weberiana che ha dominato in Europa, è rimasta troppo sensibile
ai dogmi del giuspositivismo per percepire la sfida che l'economia poteva costituire per le
prescrizioni giuridiche19. E laddove, come nei sistemi di common law, e specie in quello
nordamericano, lo strumento giuridico era già costruito in modo da rispondere ai bisogni
dell'economia20, questa sfida era assai meno visibile per essere colta dall'analisi
sociogiuridica.
I contributi in ambito economico, pur ricadendo spesso in una sopravvalutazione
dell'economia a scapito del diritto, del tutto simmetrica rispetto a quella compiuta dai
giuristi21, offrono tuttavia maggiori occasioni per cogliere questa sistematica interferenza
tra diritto ed economia. Così, se il dibattito si è spesso arenato in una sterile
contrapposizione tra sostenitori e detrattori ad oltranza dello schema dell'azione razionale,
schema peraltro considerato isolatamente dal contesto delle prescrizioni giuridiche, non
sono mancati preziosi contributi capaci di indirizzare l'analisi verso una più adeguata
considerazione del rapporto tra variabili giuridiche ed economiche.
Approcci come la teoria dei costi di transazione hanno cominciato a ragionare in termini
di naturali collegamenti che esistono tra economia e diritto e che sono stati
tradizionalmente trascurati. Come osserva Coase (199?, 45): "nella teoria economica
dominante si ipotizzano per la maggior parte come dati l'impresa e il mercato e non sono
19
Rinvio in proposito ai miei scritti Il diritto americano e l'imprenditorialità dei privati, cit., e An
Entrepreneurial Conception of the Law? The American Model trough Italian Eyes, cit.
20
Ho sviluppato l'ipotesi che il common law risponda meglio del diritto scritto ai bisogni dei soggetti
economici è sviluppata in Ferrarese (1996).
21
L'applicazione più estesa dello schema dell'azione razionale ai comportamenti individuali viene fatta da
Becker, che interpreta dal punto di vista della "massimizzazione" anche comportamenti non economici. E'
recentissima la pubblicazione in italiano dei suoi principali contributi, specie relativi alla famiglia. Si veda
Becker 1998.
13
fatti essi stesso oggetto di ricerca. Risultato di ciò è stato che il ruolo cruciale del diritto nel
determinare le attività condotte dalle imprese e nei mercati è stato largamente ignorato".
Coase (1995) scopre i costi di transazione, ossia la costosità delle contrattazioni di mercato
e, nel suo famoso studio sull'impresa, ne spiega la nascita in termini di risparmio di quei
costi che il mercato tende a produrre in abbondanza. L'idea che le contrattazioni siano
costose non ha riflessi solo sul versante economico. I costi di transazione sono sfide che si
pongono di continuo nei confronti di un dato sistema giuridico: non si tratta solo di una
perdita in termini di efficienza economica, ma altresì in termini di efficacia del diritto.
E' stata poi soprattutto la ricerca di Williamson a declinare la lezione dei costi di
transazione coasiana in una direzione di ricerca utile per comprendere l'atteggiamento
soggettivo dell'attore economico e i suoi riflessi sulle relazioni giuridiche. E' sugli assunti
comportamentali dell'individuo, si potrebbe dire, che Williamson edifica la sua teoria
dell'impresa. Laddove "la visione prevalente dell'uomo economico (un massimizzatore
meccanico dedito alla semplice ricerca dell'interesse egoistico) effettivamente rimuove lo
studio del contratto dall'agenda della ricerca", nota Williamson. "l'analisi delle transazioni
richiede il riconoscimento dei principali attributi comportamentali degli agenti umani"
(Williamson 1994b, 221). Centrale nell'analisi di Williamson è infatti la nozione di
"opportunismo", termine che indica l'atteggiamento di perseguimento del proprio interesse
da parte del soggetto economico, attraverso l'uso di informazioni distorte o ingannevoli, per
realizzare i propri fini (si vede Williamson 1975, 7-10). E' l'opportunismo a generare i costi
di transazione e i problemi di "razionalità limitata". Anche laddove l'opportunismo non si
presenti nelle forme estreme, che Williamson chiama "manifeste" e "subdole", e assuma la
sua forma "naturale", "comporta una forzatura del sistema ai margini" (Williamson 1994b,
45). Questa nozione, insomma, conduce a considerare le tensioni che ne derivano nelle
relazioni contrattuali ed a ridefinire tali relazioni in funzione dei rischi che presentano, in
modo da permettere ai contraenti di assumere e richiedere "impegni credibili". Ne deriva un
programma che conduce a sviluppare ipotesi di associazione tra diversi tipi di transazione e
corrispondenti tipi di strutture di governo adatte a contenerne i rischi transazionali.
Quanto questa direzione di analisi contrasti con la visione tradizionale dei giuristi è
facile da vedere: le tradizionali teorie del contratto hanno sempre assunto che le regole
giuridiche siano generalmente efficaci e vengano applicate nei tribunali "in maniera
documentata, dettagliata ed a basso costo" (Williamson 1994b, 236). Questo atteggiamento
riflette una tradizione di "centralismo legale" che assume che le controversie legali del
mercato ricadano sotto il controllo delle agenzie giuridiche, ignorando che la gran parte di
esse vengono risolte con altri mezzi22. Anzi, come tutti sappiamo, la tendenza dei "grandi
affari" ad evitare le aule di tribunale è una costante della vita giuridica non solo in casa
italiana ma anche altrove. Piuttosto, saranno gli arbitrati, "ordinamenti privati", a
intervenire "a sostegno di transazioni che prevedibilmente sperimentano una tensione
contrattuale e per le quali la continuità della contrattazione viene perseguita" (Williamson
1994b, 237).
22
Lo stesso Williamson cita in proposito Galanter 1981. Ma non si può certo evitare di ricordare in
proposito lo studio di Macaulay 1963.
14
Così la ricerca neo-istituzionalista ci fa incontrare una trama comunicativa
continuamente insidiata dall'opportunismo, dalle mire di guadagno dei soggetti economici 23.
Gli elementi informali e privati appaiono sia come minacce agli accordi giuridici formali,
sia come elementi alla luce dei quali programmare le istituzioni giuridiche in modo da
ridurre la loro esposizione al rischio. Anche se il programma neo-istiuzionalista di
Williamson non esaurisce il panorama delle possibili interferenze che i motivi informali
individuali possono esercitare rispetto al diritto24, offre certamente una prospettiva feconda
per pensare alle relazioni ed alle tensioni tra diritto ed economia.
5. Istituzioni giuridiche ed efficienza dei mercati
A livello sociale gli elementi informali possono corrispondere a tradizioni, tendenze ed
abiti collettivi strutturati, che assumono un potere di conformazione, una capacità di
influenzare gli atteggiamenti individuali, quasi al di là della consapevolezza dei soggetti,
investendo al contempo la rete delle aspettative sociali.
Non tutti i mercati sono uguali, dunque, e le varie culture economiche possono essere
più o meno coerenti con le norme giuridiche ufficiali. Ciò equivale a dire che il mercato,
nel suo insieme, è non solo somma di razionalità economiche private ed individuali, ma
altresì ambiente collettivo, soggetto a un imprimatur culturale ed a proprie forme di
"learning by doing". Sotto questo profilo il mercato può essere considerato un meccanismo
di socializzazione e di controllo sociale. Le regole che si diffondono sul mercato sono
pertanto soggette ad essere imitate ed a creare "ordinamenti di fatto", non necessariamente
di carattere legale (cfr. Magatti 1994, 71)25: basti pensare alle cosiddette economie "nere"
che sono veri e propri tessuti connettivi di comportamenti illegali.
Come si è detto, è stata la ricerca neo-istituzionalista, soprattutto nella versione di North
a sottolineare come il sistema istituzionale è composto da due strati - formale ed informale che possono interagire diversamente, producendo diversi esiti in termini di efficienza
economica. Nei paesi occidentali ad economie di mercato è il livello formale ad avere la
meglio su quello informale, determinando un contesto di affidabilità per chi intraprenda
attività di scambio; viceversa, "nel terzo mondo il sistema istituzionale è privo dei
meccanismi formali (e delle garanzie di applicazione) che sottostanno ai mercati efficienti.
23
Era dunque inevitabile che questa direzione di ricerca si incrociasse la teoria dei giochi, ossia con
quell'indirizzo di ricerca, sorto negli anni quaranta, che analizza i soggetti come attori impegnati in partite
strategiche, ossia orientati a guadagnare ai danni del loro interlocutore. Per un ritratto essenziale si veda Kreps
1992.
24
Come osserva Elster (1990, 66-7), "ci sono molti aspetti peggiori del self interest:l'invidia, la malizia, il
disprezzo, lo spirito vendicativo, il fanatismo", che spesso lavorano contro l'auto-interesse individuale.
Inoltre, le motivazioni costituiscono solo una parte degli input della natura umana: al di là delle motivazioni
vi sono "le cognizioni", che spesso corrispondono a modelli di pensiero che generano fallacie e distorsioni
interpretative.
25
Si può tuttavia obiettare a Magatti che la diffusione di modelli di comportamento corrisponda ad una
reale convenienza dell'attore individuale: si può in altri termini ipotizzare che in molti casi la tendenza
imitativa vinca a dispetto del fatto che l'individuo non veda rispettate le proprie convenienze.
15
Tuttavia, in quei paesi si sviluppano spesso settori informali (vere e proprie economie
nascoste) che operano per favorire l'emergenza di strutture di scambio. Il loro costo è
elevato perché la mancanza di tutele giuridiche dei diritti di proprietà riduce l'attività
economica a un sistema di scambi personalizzati"26.
In tal senso, l'istituzione mercato appare incline all'autoregolazione giuridica: occorre
tenere in debita considerazione il fatto che i mercati possono essere considerati ordinamenti
tendenzialmente "spontanei", come sostiene Hayek, e, come tali, interpretabili in chiave
evoluzionista: ciò significa che essi reagiscono in maniera adattiva ai comandi formali.
Questi pertanto saranno tanto più efficaci quanto più potranno combinarsi positivamente
con i messaggi e le indicazioni informali che incontreranno nello specifico contesto. Al
contrario, quando i messaggi giuridici formali si scontrano con "le regole del gioco"
informali, essi andranno incontro all'inefficacia.
Così gli apparati istituzionali, intesi come intreccio di norme formali ed informali,
diventano la variabile chiave dello sviluppo economico, perché incidono sulla produzione
dei costi di transazione: questi saranno elevati dove la struttura istituzionale non riesce a
proteggere i diritti di proprietà e gli accordi contrattuali; di conseguenza i soggetti hanno
scarsi incentivi ad impegnarsi in attività di mercato. Laddove invece i costi di transazione
vengono ridotti da un efficace sistema istituzionale, la strada per lo sviluppo economico è
spianata e si può attendere la diffusione di atteggiamenti di tipo imprenditoriale, il
superamento di atteggiamenti risk-adverse, il radicamento di usanze commerciali
condivise. North conclude nel senso che il mercato ipotizzato dai neo-classici, come luogo
dell'efficienza, non esiste: esso è sempre "una miscela di istituzioni diverse; alcune ne
aumentano l'efficienza, altre la diminuiscono"27.
Per la verità, già Coase, Arrow e Williamson avevano espresso una critica nei confronti
del sistema dei prezzi nella versione neo-classica, facendo riferimento ad elementi come la
fiducia o l'incertezza a cui solo organizzazioni diverse dal mercato possono dare risposta (si
vedano (si vedano Arrow 1986, Williamson 1987)28. Ma North porta a compimento le loro
anticipazioni con un modello di riferimento sul rapporto tra elementi formali ed informali
che ci aiuta enormemente a capire non solo le differenze di efficienza tra i vari mercati, ma
altresì le differenze di effettività giuridica. Vi è in tal senso un parallelismo tra i percorsi
dell'efficienza economica e quelli dell'efficacia giuridica.
Com'è stato osservato, avere un problema economico, non sempre significa risolverlo in
una maniera economica29. Così, mentre la visione economicistica porterebbe a pensare che
il mercato sia abitato solo dall'homo oeconomicus, noi possiamo constatare molteplici
aspetti e comportamenti che non rispondono ai suoi caratteri. Esaminiamone alcuni.
26
Cfr. D. C. North, cit., p. 105.
Ivi, p. 108.
28
Sempre in tema del ruolo svolto dalla fiducia e di fallimento del mercato perfetto, si vedano altresì
Akerlof, 1970 e Shiller 1981.
29
La ricerca storica di Polanyi è stremamente utile sotto questo profilo, perché tipizza tre possibili modi
di risolvere problemi di natura economica attraverso la politica, i sistemi di reciprocità ed i mercati. Si veda
Polanyi 1974.
27
16
Il cosiddetto "effetto dotazione", ad esempio, esprime che la tendenza ad evitare le
perdite spesso prevale rispetto al bisogno di acquisizione: questa "asimmetria degli
atteggiamenti verso la perdita e verso il guadagno" esprime una inclinazione allo status
quo, che richiede di essere spiegata (cfr. Douglas 1995 16). Ugualmente va spiegata
l'esistenza di altre forme di economicità dell'agire, che paradossalmente confliggono con la
razionalità economica: ad esempio, la path dependency, pur comportando "attenuazioni di
razionalità" nel senso economico, corrisponde ad un diverso progetto di razionalità,
consistente nel voler evitare i costi che comporterebbe modificare una situazione
consolidata.
Hirschmann e Lindblom, d'altra parte, sottolineano anch'essi la tendenza dell'economia
ad assestarsi su livelli subottimali, laddove affermano che "le risorse di un'economia non
devono mai ritenersi rigidamente fisse dal punto di vista quantitativo (...). L'assunto
cruciale, ma plausibile, è che esista un 'ristagno' nell'economia, e che mediante meccanismi
di pressione sia possibile spremerle investimenti addizionali, ore di lavoro, produttività e
decisioni" (Hirschman & Lindblom 1962).
Una prova di questo ristagno è dato dal fatto che gli imperativi di efficienza vengono
diversamente piegati in funzione non solo della cultura economica prevalente in una data
società, ma anche di specifiche appartenenze di gruppo: se, come si è visto
precedentemente, i vari gruppi etnici ottengono risultati economici variabili in funzione
delle diverse culture di appartenenza, ciò significa che i gruppi che sono non troppo
dissimili da quelli più efficienti costituiscono una potenziale riserva di efficienza.
D'altra parte, anche in una situazione di piena efficienza del mercato, questo non è
costantemente impegnato in una ricerca di innovazione e di innalzamento dell'efficienza:
com'è stato notato, "un utile punto di partenza per riconsiderare le questioni della
performance e della competitività è la consapevolezza che il successo economico spesso
deriva dal saper trovare nicchie di un qualche tipo che forniscano un sollievo temporaneo
dalla diretta pressione competitiva" (Crouch & Streeck 1997, 13)30.
Ogni mercato ha pertanto carattere composito e mescola "in dosi e forme diverse,
burocrazia, consuetudine e concorrenza" (Dardi 199?, 66). Ciò significa che i mercati sono
naturalmente sospesi tra razionalità ed irrazionalità, tra efficienza ed inefficienza, tra
tendenze all'innovazione e tendenze alla conservazione, tra il disordine creativo della
concorrenza e la tendenza dell'ordine creato a voler sopravvivere. Essi possono coniugare
l'imperativo dell'efficienza in modi assai diversi. Finora abbiamo considerato quei fattori di
natura informale, che a livello istituzionale (come lo intende North) o sociale
contribuiscono a spingere in alto o in basso la frontiera dell'efficienza.
Ora, come non ha senso parlare di un mercato ideale che fa naturalmente avanzare la
frontiera paretiana, così non ha senso ipotizzare che le norme giuridiche esistenti suscitino
una naturale osservanza; piuttosto, "la questione dell'efficienza risulta legata non al fatto
che nel sistema economico ci sia o no una riserva di miglioramenti paretiani possibili, ma al
fatto che il sistema si dia da fare oppure no per produrne" (Dardi 199?, 76). Vi sono
insomma diverse dinamiche sociali che interagiscono con le potenzialità di mercato,
30
Gli autori riprendono la tesi da Kay 1993.
17
trasformando il "potenziale inattivo" in "potenziale attivo" (ibid., 77). Il termine mercato
insomma può coprire realtà economiche assai diverse. D'altra parte è vero che "il mercato
può essere più o meno stagnante, ma è nella sua natura di dinamizzatore sociale di non
consentire mai che concorrenza ed innovazione si azzerino del tutto, che una situazione
appaia senza vie d'uscita desiderabili" (ibid., 86).
6. Il mercato, la concorrenza e le deboli frontiere della legalità
L'intento di questo paragrafo è analizzare che rapporto vi sia tra la tendenza del mercato
all'innovazione tramite concorrenza e la sua evoluzione giuridica.
La concorrenza, come insegna Schumpeter, tende naturalmente verso la destrutturazione
di situazioni e rapporti consolidati31. Essa configura un'irresistibile tendenza al
cambiamento, che va ben oltre il prezzo e la qualità dei prodotti ed investe qualunque
aspetto sia suscettibile di far muovere il mercato. Vi è in tal senso un'implicita tendenza a
distruggere legacci o "strati protettivi", di qualunque genere, che possano bloccare questa
corsa. Peraltro, proprio la mancata comprensione della pervasività di questa valenza
"distruttrice", che non cessa mai di rivelare nuovi aspetti, ha portato alla tendenza
prevalente a studiare "come il capitalismo amministri le strutture esistenti, laddove il
problema essenziale è come le crei e le distrugga" (Schumpeter 1997, 80).
In questo contesto Schumpeter considera il ruolo corrosivo che il capitalismo svolge
rispetto allo stesso diritto: gli isituti della proprietà e della contrattazione, ad esempio, sono
costantemente sotto assalto e vengono continuamente svuotati e riempiti di nuovi significati
e caratteri Schumpeter (1997, 136-7) parla di "evaporazione" della proprietà e, del resto, già
Berle e Means (1932) avevano sottolineato che la proprietà, configurandosi in termini
monopolistici, tendeva a rafforzare il potere dei managers. Turow (1996, 305), sessant'anni
dopo, descrive l'ulteriore "svuotamento" del concetto di proprietà, osservando che
l'imprenditore, oggi, "non è più necessariamente il proprietario del capitale, o qualcuno che
svolge il ruolo di radunare diversi capitali. Il suo ruolo è quello di riunire i cervelli giusti".
Insomma, laddove il mercato è stato più attivo, come negli Stati Uniti, esso ha configurato
nei confronti della proprietà sfide non inferiori rispetto a quelle configurate dallo stato
sociale (si veda Horwitz 1992, 156-7).
Forse, proprio per sottolinearne la pracarietà, Schumpeter parlava delle istituzioni
giuridiche non come di una solida struttura, ma piuttosto usando termini quali "forme",
"impalcatura", "intelaiatura". Ed osservava che, in questo continuo processo di distruzione
e di rinnovamento istituzionale, si crea un "vuoto" destinato ad essere riempito da "una
vegetazione tropicale di nuove strutture giuridiche" (Schumpeter 1997, 136).
31
La concorrenza si può esprimere non solo attraverso il prezzo o la qualità del prodotto, ma attraverso
molteplici altre modalità: "l'impulso che aziona e tiene in moto la macchina capitalistica viene dai nuovi beni
di consumo, dai nuovi metodi di produzione e di trasporto, dai nuovi mercati, dalle nuove forme di
organizzazione industriale, che l'intrapresa capitalistica crea". Cfr. Schumpeter 1997, 78.
18
Queste straordinarie intuizioni di Schumpeter annunciano tendenze evolutive che
portano assai lontano, ed appaiono particolarmente utili per interpretare aspetti della
dinamica giuridica presente nella globalizzazione.
Se si guarda alle nuove forme di giuridicità disegnate dalla globalizzazione, si vede
facilmente la loro tendenza ad essere contrassegnate dalla presenza di vuoti: la giuridicità
non è una terra compatta, come appariva quando era asserragliata nei confini statali;
somiglia piuttosto ad un arcipelago dove, come nelle key West, le varie isole sono collegate
da ponti, ma restano separate da un vuoto. Questo processo di decentramento giuridico è
inevitabile conseguenza della crescente frammentazione del potere politico che
accompagna la globalizzazione. Non a caso S. Strange, descrivendo il progressivo ritrarsi
degli stati dalle loro tradizionali aree di potere e responsabilità ed il passaggio di consegne
ai mercati, evoca anch'essa l'idea di un "vuoto": "al centro dell'economia politica
internazionale esiste un vuoto, un vuoto non riempito adeguatamente da istituzioni
intergovernative o da un potere egemonico che eserciti la leadership nel comune interesse"
(Strange 1996, 14).
Questo vuoto di potere corrisponde ad un'accresciuta presenza di informalità nelle
relazioni giuridiche: l'immagine schumpeteriana di un diritto che cresce come la
"vegetazione tropicale" occupando il vuoto istituzionale che si crea nel processo
capitalistico allude a caratteri di imprevedibilità, di disordine, di casualità e di abbondanza
che mal si conciliano con la costruzione giuspositivista di tipo kelseniano o con l'idea di
diritto come "sistema", a cui siamo abituati nella tradizione giuridica europea-continentale.
Almeno due punti di contrasto sono evidenti. In primo luogo perché l'immagine
schumpeteriana fa pensare ad un diritto guidato da un vitalismo organico, che nasce dal
basso, piuttosto che da un dio-legislatore che predispone e programma dall'alto. In secondo
luogo perché contrasta con l'idea che il diritto garantisca ordine e "calcolabilità", per
riprendere l'espressione weberiana: fa pensare piuttosto ad un diritto radicato nel mondo dei
fatti e guidato dall'instabile agenda degli interessi privati. L'instabilità è proporzionale al
numero di soggetti che creano diritto, spesso in competizione, o che intervengono ai
margini dei suoi istituti, per riforgiarli e indirizzarli in maniera compatibile con i propri
interessi.
Nell'impersonalità dei mercati, nei loro confini incerti, nelle loro dinamiche invisibili,
nella loro perenne mutabilità, si annida un percorso giuridico sempre più incerto e
accidentato, sempre meno formale, sempre meno leggibile nei soli testi di diritto o nei
trattati internazionali. Il mondo globalizzato è contrassegnato sempre più da "zone grigie"32,
da aree di incertezza, da una legalità precaria e artificiale, che si fa spazio tra il pubblico e il
privato. Possiamo riconoscere varie zone di produzione di questa giuridicità nuova ed
incerta.
La più tradizionale e nota è la zona della cosiddetta lex mercatoria, espressione con cui
si intende l'insieme di misure giuridiche commerciali prodotte privatamente dal mondo
imprenditoriale, che hanno insieme il carattere della "specialità" e quello della
"universalità". Questo diritto cosmopolita, apparso per la prima volta nel mondo medievale
32
Strange usa quest'espressione, riprendendola da Minc 1993.
19
prima della nascita degli stati, si ripropone oggi con grande vitalità nel mercato
globalizzato, come una forma di comunicazione universale che supera le barriere statali si
veda Galgano 1993). L'ordine giuridico creato privatamente dai mercati ha sempre più un
carattere composito e complesso. Esso corrisponde non solo alla creazione di attività "semilegislative", ma anche alla redazione di altri strumenti che in vario modo organizzano
comportamenti e creano regole: direttive, codici di comportamento con diverso potere
sanzionatorio, moduli e standard per contratti uniformi, condizioni generali per le
transazioni (si veda Gessner 1993, 67ss.).
Se le forze private del mercato utilizzano modalità e moduli semi-ufficiali per dare
regole alle transazioni commerciali, le stesse istituzioni pubbliche inventano nuovi
strumenti "quasi-normativi" per aggirare le difficoltà di un circuito giuridico allargato ma
ancora ostacolato da importanti barriere. L'esempio dell'Unione Europea illustra molto bene
questa tendenza: in ambito comunitario si è diffuso l'uso di uno strumentario che non ricade
nelle classiche categorie giuridiche e sembra indirizzato verso finalità pratiche, specie
comunicative: Comunicazioni (della Commissione), linee-guida, direttive-cornice e, più in
generale, "regole di condotta che, in linea di principio, non sono dotate per legge di forza
vincolante, ma che, nondimeno, possono produrre effetti pratici" (Snyder 1993a, 19).
Questo soft law, com'è stato chiamato, è dunque indirizzato innanzi tutto verso un fine
pratico, "di efficacia, e poi forse a quello di legalità, e comunque ad entrambi a dispetto
della legittimità" (Snyder 1993b).
Si produce così un variegato repertorio di strumenti giuridici che, piuttosto che seguire i
classici percorsi della legalità, asseconda e promuove dinamiche giuridiche compatibili con
l'estensione del raggio d'azione delle relazioni economiche. Questa giuridicità
camaleontica, dal carattere spiccatamente adattivo e teleologico è chiamata a servire i
mutevoli bisogni del mercato.
Lo strumentario giuridico può essere prodotto da soggetti istituzionali o semi-pubblici
(quali le grandi associazioni internazionali) alle prese con la scommessa della
globalizzazione: in tal caso l'inventiva giuridica corrisponde alla ricerca di formule e
strumenti che sappiano mediare tra le tradizionali misure normative e finalità che invece
sono piuttosto comunicative, promozionali e di indirizzo. Lo stesso concetto di
"sussidiarietà", tracciato nel trattato di Maastricht, sembra rispondere ad una logica di
articolazione flessibile del rapporto tra pubblico e privato, che si presta a diverse
interpretazioni e forzature, in funzione di "considerazioni di efficienza od efficacia"
(Antoniolli Deflorian 1996).
Lo strumentario giuridico può altresì essere acquistato dalle imprese sul mercato, grazie
ai solleciti servizi delle law firms internazionali: sotto questo profilo, l'acquisto di servizi
giuridici non è diverso dall'acquisto di altre forme di competenza tecnica: ai livelli più
elevati, le capacità imprenditoriali sono impegnate prioritariamente nel reperimento e
nell'organizzazione di formule tecniche vincenti, come osservava Turow. Tende dunque a
crescere la rilevanza che hanno le professioni e le competenze tecniche nella vita
economica. Non si tratta di un ruolo di mero supporto esterno, che fa da sponda giuridica al
potere economico delle corporations: si tratta della costruzione di nuovi percorsi di legalità
che sono strettamente intrecciati con la vita e le vicende delle imprese.
20
Dezalay, nell'analisi dei complicati percorsi di ristrutturazione economica e finanziaria
internazionale, ci mostra come le grandi law firms di cultura giuridica americana (anche se
europee), si contendono "il mercato dell'autorità giuridica", senza peraltro rimettere in
discussione integralmente l'ordinamento giuridico o il ruolo degli stati (cfr. Dezalay 1997).
Strange, d'altra parte, ci ricorda che sole sei compagnie di revisione contabile33 hanno in
mano il controllo di oltre il 90% delle grandi imprese a livello mondiale. Queste "big six"
non hanno solo una chiara funzione di revisione contabile e mescolano questa funzione di
controllo con funzioni di consulenza, assistendo le imprese in operazioni di fusione, così
come nell'elusione fiscale: anzi la consulenza "ha quasi finito per eclissare il lato contabile
dell'attività"34. Si crea così uno strano connubio di funzioni di controllo e funzioni di
consulenza che qualunque manuale di diritto ispirato ai vecchi pricipii dello stato di diritto
descriverebbe come un monstrum.
Le professioni partecipano significativamente a costruire punti di incrocio tra pubblico e
privato che moltiplicano e disperdono le vie del rischio e della responsabilità nella vita
economica o risolvono i conflitti in maniera discreta35. Così, paradossalmente, mentre nella
vita politica si vanno riscoprendo un po' ovunque le ragioni del federalismo e della
sussidiarietà, che avvicinano le sfere della decisioni alle società in cui dovranno funzionare,
nella vita economica avviene proprio il contrario: proprio quando essa diventa detentrice
sempre più importante di decisioni di rilievo collettivo, i luoghi in cui queste decisioni
vengono assunte diventano sempre più chiusi e lontani dalla società in cui esplicheranno
esse esplicheranno i propri effetti. Ed è proprio il carattere giuridico di queste decisioni, che
permette di sottrarle al controllo sociale o politico, immettendole in un altro circuito
comunicativo.
Si costruisce così una giuridicità multiforme e dinamica, in gran parte affidata ad un
sistema incrociato di saperi professionali che conducono alla legittimazione delle scelte
delle imprese, rimpiazzando forme di legalità che si sono dissolte con i confini statali: "gli
assicuratori e gli avvocati aumentano i propri profitti, i contabili proseguono ad ampliare la
propria attività, e tutti quanti ricevono una fetta della torta dei profitti. Il sistema sembra
costituire una sorta di legittimazione liberale, da parte dei contabili, di tutto quanto venga
fatto o non fatto dal management, permettendo a quest'ultimo di spostare liberamente i
confini stabiliti come e quando desidera"36.
Se pensiamo ai percorsi della giuridicità in campo economico, via via che i mercati si
estendono a dimensione globale, appare evidente il discostamento da alcuni connotati
classici del diritto di marca giuspositivista37. Possiamo contrassegnare due principali aspetti
di questi nuovo percorsi della giuridicità nell'ambito dei mercati.
33
Cfr. Strange 1996. Per un quadro sui caratteri di queste società nel nostro ordinamento, si veda
Bussoletti-Petrucci-Bazzoni 1993, e Cusa 1997.
34
Ivi, p. 203.
35
Si pensi ai grandi arbitrati nazionali ed internazionali, che tengono i conflitti interni al mondo delle
imprese al riparo dalle ingerenze dei giudici, così come dalla pubblica opinione.
36
Ivi, p. 206, corsivo mio.
37
Va tuttavia osservato che all'interno della tradizione giuridica occidentale, il diritto mercantile ha, fin
dalle origini medievali, avuto caratteri e specificità che annunciano linee di evoluzione che si compiono nella
21
In primo luogo la fine di una giuridicità governata o guidata esclusivamente dagli stati.
Gli stati diventano piuttosto soggetti alla pari con altri soggetti pubblici e privati. E, d'altra
parte, laddove intervengono, gli stati spesso si limitano paradossalmente ad assecondare
privatizzazioni e deregolazioni, ricorrendo a rappresentazioni simboliche che raccolgano
consenso intorno a questi obiettivi ( si veda Crouch- Streeck 1997) e cercando di
"mantenere le proprie irrequiete multinazionali a casa ed attirare le imprese straniere
fornendo un ambiente economico favorevole" (Dore 1997). La giuridicità così finisce per
somigliare sempre più ad una terra aperta in cui penetrano e svolgono un ruolo significativo
anche soggetti che non sono classificabili come giuridici. Soprattutto, appare sempre più
evidente che le grandi imprese a carattere transnazionale guidano in buona parte i percorsi
di questa giuridicità. Persino i meccanismi di legittimazione e legalizzazione si fanno
sempre più segreti e privati, sottraendosi all'uso dell'argomentazione pubblica e scegliendo
piuttosto i percorsi assai più nascosti della negoziazione (si veda Elster 1995).
In secondo luogo i percorsi della giuridicità sono costantemente insidiati e resi instabili
dalla concorrenza. L'istituzione mercato non solo tende alla variabilità giuridica, ma diviene
esso stesso un elaboratore di novità giuridiche. Ciò significa non solo che gli istituti
giuridici esistenti vengono continuamente riforgiati in funzione degli interessi presenti sul
mercati, ma anche che l'innovazione giuridica si fa essa stessa strumento di concorrenza. La
contrattazione e la concorrenza intorno agli istituti giuridici diventano in tal senso
imprescindibili elementi di dinamizzazione dei mercati38. Il che porta a forzare
continuamente le categorie giuridiche "tipiche" per far posto all'atipico in cui trovano
rifugio nuove intuizioni e invenzioni di scambio. Inventando nuove formule di scambio, le
forze del mercato riescono a spostare risorse da una parte all'altra, ma altresì a creare di
continuo nuovi beni e nuovi rapporti di fruizione39.
Il diritto insomma non fornisce più nicchie sicure in cui ripararsi dalla pressione della
concorrenza e viene continamente insidiato da nuovi giochi che ne spostano le linee
coprendole con chiaroscuri, dove le luci si confondono con le ombre.
7. Il diritto americano: metafora del diritto globalizzato?
Le linee evolutive appena tracciate contrastano vistosamente con il modello
giuspositivistico e con le sue ambizioni normative. L'idea di un "vuoto" giuridico prodotto
dal processo capitalistico nella sua costante tendenza all'innovazione confligge con la
tradizionale immagine di sovranità soprattutto dei paesi dell'Eurora continentale, dove gli
globalizzazione. Si veda Berman 1998, 311ss., dove il diritto mercantile, che nasce con caratteri di
cosmopolitismo e transnazionalismo, viene visto come una delle novità più significative nel panorama
giuridico dominato dal diritto romano.I
38
Com'è stato osservato, il bargaining, penetrando ovunque nel mercato, non risparmia le stesse regole
giuridiche. Si veda Dardi 199?, 70.
39
Ad esempio, inventando la formula della multiproprietà, si può spostare in questa direzione una quota
di consumi turistici. Al contempo, l'invenzione giuridica muta sensibilmente le qualità dei beni ed i rapporti di
fruizione.
22
stati avevano il monopolio40 della creazione giuridica per via legislativa: qui il diritto era
un'"impalcatura" piuttosto invadente e stabile che, pur riconoscendo spazi all'autonomia
privata, aveva ambizioni di governo dell'economia41.
Il contrasto è assai meno appariscente se invece rivolgiamo il nostro sguardo agli Stati
Uniti, dove l'idea stessa di un monopolio del legislatore è stata sempre fieramente avversata
e i "vuoti" sono stati a lungo parte strutturante della vita giuridica, nel senso che l'intervento
del legislatore era puramente residuale. Il diritto è dunque sempre cresciuto in modo
disordinato e spontaneo, senza darsi troppe preoccupazioni di ordine e coerenza, ed
ispirandosi piuttosto ad un "paradigma fattuale" (si veda Legrand 1996)42. Possiamo
individuare la principale ragioni di questo spontaneismo e "disordine" della vita giuridica
del mercato nel fatto che l'evoluzione giuridica negli Stati Uniti è avvenuta
prevalentemente sotto l'impulso diretto dei privati43. Sono gli interessi privati a muovere il
sistema giuridico attraverso il judge-made law, che viene disegnato nelle corti in risposta
agli scontri tra interessi che via via si determinano nella vita economica. Negli Stati Uniti si
parla da sempre di facilitating law per indicare un diritto concepito come strumento per
facilitare le trattative private44. Ma non va dimenticata altresì quella concezione "open door"
che permea lo stesso diritto legislativo, rendendolo disponibile ad ascolare voci, richieste e
bisogni della società45.
Hurst descrive l'evoluzione giuridica americana come un riuscito connubio di drift e
direction, di elementi alla deriva e di tentativi di imprimere loro una direzione (Hurst 1972,
28ss.). Ciò è particolarmente rispecchiato nel diritto del mercato. Questo non è mai stato
negli Stati Uniti una sorta di infrastruttura predisposta dallo stato per la conduzione delle
transazioni o per le risoluzioni dei conflitti. Era piuttosto un prodotto che in gran parte i
vari operatori economici si procacciavano sul mercato come acquirenti quando ne avevano
bisogno: con ciò non si vuole alludere a pratiche corruttive o ad argomenti simili a quelli
utilizzati dagli autori di Public Choice; si pensa piuttosto ad una legalità che, trovando nelle
corti il più importante canale di scorrimento, ha fatto sempre ampio ricorso alle competenze
professionali private: si pensi al ruolo rilevantissimo svolto dagli avvocati o a da altre
figure di "esperti" nel judge-made law46.
40
Per la verità, il monopolio giuridico dello stato nei mercati non è mai stato completo neanche nei paesi
europei, se non altro perché la lex mercatoria ha sempre avuto qualche spazio.
41
Max Weber può essere considerato il più importante esponente di questa visione giuridica, che vede il
diritto privato basato su "principi giuridici di autorizzazione". Si veda Weber (1980, vol. 3, 86).
42
Le osservazioni svolte dall'autore rispetto al diritto di common law inglese, valgono ancor più rispetto
al diritto americano.
43
Basti pensare alla resistenza sempre dimostrata dagli americani nei confronti della codificazione,
nonostante gli auspici di Bentham e dei suoi seguaci. Gli stessi Restatements o l'Uniform Commercial Code
che gli Stati Uniti si sono dati in campo commerciale, sono una mera ratifica di quanto costruito dalle pratiche
giuridiche del mercato, piuttosto che un coerente progetto di unificazione giuridica costruito a tavolino.
44
Per un'esposizione generale dell'idea di facilitating law si veda (Summers 1986, 533ss.).
45
L'idea di un diritto legislativo "open door" era connessa con l'ideale democratico di incontrare bisogni,
istanze e domande sociali diffuse. Si veda Hurst 1982.
46
Sul ruolo svolto da avvocati ed esperti nel contesto odieno di law explosion, si veda Olson 1992.
23
Come si vede, negli Stati Uniti, l'idea che la competizione attraversi il sistema giuridico
è stata sempre presente, in primo luogo nella competizione tra diversi attori, pubblici e
privati, che possono produrre diritto.
Ma, al di là della competizione tra attori pubblici e privati e tra gli stessi attori pubblici47,
si può riconoscere in quel sistema giuridico altresì la competizione tra diversi tipi di diritto
e persino tra diversi stati. L'evoluzione giuridica vede infatti affermarsi negli Stati Uniti
uno stile che potremmo chiamare "inglobante", piuttosto che "escludente": vi è tendenza
cioè a sommare nel sistema giuridico tipi di diritto eterogenei e persino contrastanti 48,
mettendoli in competizione, piuttosto che a cercare un ordine formale, privo di contrasti e
di incoerenze. D'altra parte, la competizione tra stati per attrarre risorse e mercati trova una
perfetta illustrazione nel corporate law, che consente alle corporations di scegliersi
liberamente lo stato che preferiscono (cfr. Romano 1993).
Le tendenze giuridiche che si disegnano nel processo di globalizzazione presentano
significative affinità con i tratti dell'esperienza giuridica statunitense appena richiamati. La
storia giuridica americana ci ha insegnato per prima come il mercato possa funzionare da
struttura di comando e di pianificazione, mentre la politica possa recepire quegli elementi
della contrattazione e dell'accordo che sono tipici del mercato (cfr. Hurst 1982, 93ss.). Essa
sembra insomma contenere nel proprio DNA tutti i caratteri che si annunciano come tipici
della globalizzazione. Non ultimo, il carattere ambivalente e composito del diritto del
mercato: che da un lato si presenta come un diritto continuamente alimentato e "parlato" dai
soggetti sociali e dall'altro consegna una parte della propria elaborazione a soggetti privati
potenti ed in gran parte invisibili.
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47
Si pensi alla competizione tra soggetti pubblici statali e soggetti pubblici federali o a quella tra
legislatore e corti, che negli USA è resa possibile dal potere di judicial review.
48
Ad esempio, common law e statute law, libertà di mercato e regulation, concezione attiva e concezione
passiva del giudiziario. Su quest'ultimo aspetto, rimando a Ferrarese 1998.
24
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