PERSONAGGI CALABRESI
DELLA MAGNA GRECIA
Anassilao
Tra i personaggi
della Magna Grecia di
Calabria, Anassilao
fu certamente un tiranno
potente ed incisivo.
Anche se per pochi anni,
riuscì ad unire
le città di Zancle e
Rhegion,
odierne Messina e Reggio
Calabria.
• Al nome di Anassilao è
legato il periodo di maggiore
potenza militare e politica
dell’antica colonia calcidese
di Rhegion,
a lui si deve
la creazione del potente
Stato magnogreco dello
Stretto che univa
politicamente le odierne città
di Reggio Calabria e
Messina.
• Tale Stato, che solo per un
breve periodo riuscì a
controllare i traffici marittimi,
rappresenta storicamente il
primo tentativo di ricondurre
ad unità politica le due
sponde dello Stretto.
• Disegno del Tetradramma d'argento di
Reggio con l'effige di Anassilao assiso in
un carro tirato da 1 o 2 mule.
• Dall'altro lato una lepre fuggente con la
scritta "REC o RECINON"(468 a.C.)
• Morì nel 476 a.C. dopo 18 anni di
indiscusso potere, passando alla storia
come il primo uomo ad aver unito lo
Stretto di Messina sotto un'unica
autorità politica.
• A Reggio, al tempo della tirannide di
Anassila(Anassilao), sorse la scuola
pitagorica che portò la città a
primeggiare tra tutte le altre città della
Magna Grecia
SCULTORI - CLEARCO
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- A Reggio nacque una scuola di scultura che ebbe tra le sue
fila Clearco, uno dei massimi esponenti del dopo Fidia.
La bottega di Clearco era la più rinomata bottega in bronzo
della Magna Grecia considerata alla pari di quella di Fidia ad
Atene.
A Reggio esisteva una tradizione assai viva nel campo della
lavorazione del bronzo. Questa attività raggiunse le vette
dell'arte con lo scultore Clearco, discepolo di Eurichio di
Corinto e fondatore della scuola, le cui opere erano così note
ed apprezzate da essere ospitate anche nei migliori templi
della Grecia. Pausania parla di una statua in bronzo di
Clearco, rappresentante Zeus Hypatos, conservata nel tempio
di Atena Calcica, a Sparta. La singolarirà di quest'opera
consisteva nel fatto che la statua non era fusa, ma costituita da
tanti pezzi in bronzo inchiodati fra loro, tecnica di lavorazione
tanto arcaica da far affermare allo stesso Pausania che la
statua di Clearco fosse la più antica opera realizzata in bronzo.
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PITAGORA REGGINO
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Nacque nell'isola di Samo; nel 496 a.C., al tempo
del tiranno reggino Anaxilas, si trasferì, con altri
abitanti di Samo, a Rhegion (l'attuale Reggio
Calabria), fiorente città della Magna Grecia; qui fu
discepolo del grande maestro Clearco di Reggio.
PITAGORA REGGINO , discepolo di Clearco, è
annoverato tra i cinque maggiori scultori ellenici
del dopo Fidia.
Realizzò molte opere in tante polis, da Atene a
Siracusa.
Fu il primo a tenere in considerazione le
proporzioni delle statue e ad avere molta cura di
particolari come capelli, arterie e vene.
Le caratteristiche della sua arte, descritte dai più
rinomati studiosi greci e latini, gli hanno fatto
attribuire molti capolavori e supportano la tesi di
molti studiosi contemporanei come il più probabile
autore dei Bronzi di Riace.
Tra le altre opere ricordiamo le statue dell’atleta
Astilo e del corridore Imnesco, di Eutimo, Lentisco
e Cratillo Mantineo, il bronzo raffigurante il toro
che trasportava Europa, figlia di Agenore, la testa
di Perseo, conservata al museo di Londra e, quasi
certamente, la statua dell’auriga di Delfi,
commissionata da Anassila.
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Vissuto nel V secolo a.C. nella colonia calcidese di Rhegion, lo
scultore Pitagora è considerato tra i cinque maggiori statuari greci
vissuti dopo Fidia, certamente il più grande della Magna Grecia di
Calabria. Invero le origini dello scultore sono tutt'ora dibattute, poichè
dai riscontri storici non emerge la città natìa, che per la similitudine
del nome, qualcuno ritiene possa essere l'isola greca di Samo, da
dove proveniva il ben più famoso Pitagora filosofo e matematico.
E' certo però che nella Rhegion del V secolo a.C. visse ed operò un
famoso scultore di nome Pitagora, discepolo del grande maestro
Clearco, anch'egli tra i massimi esponenti della statuaria della Magna
Grecia
di
Calabria.
Conosciuto anche col nome di Pitagora il Reggino, egli fu il primo
scultore a prendere in considerazione il problema delle proporzioni
stilistiche durante la creazione delle statue, introducendo quindi nella
scultura greca quel principio di equilibrio e sobrietà già adottato in
architettura.
Pitagora di Reggio fu anche il primo a curare minuziosamente i
particolari delle statue come i capelli, la barba o le vene del corpo. Le
caratteristiche del suo lavoro, descritto e ammirato dai più rinomati
studiosi greci e latini hanno permesso di attribuirgli molti capolavori
scultorei dell'arte greca, tra cui la celebre Auriga di Delfi, oggi
conservata presso il Museo Archeologico di Atene, o la celebre Testa
di Perseo, conservata al Britsh Museum di Londra.
• I capolavori scultorei di Pitagora furono apprezzati subito sin
dall'antichità, lo stile armonioso unito alla minuziosa attenzione
per i particolari, rendeva le sue sculture unicamente
riconoscibili. Plinio il Vecchio, secondo il quale l'arte di
Pitagora era superiore a quella di Fidia, così descriveva il
lavoro dello scultore reggino: ".. a Siracusa fece poi uno zoppo
tale che anche a chi lo guarda sembra di sentire il dolore della
sua piaga. Pitagora di Reggio fu il primo a riprodurre i tendini e
le vene, e il primo a trattare i capelli con maggiore diligenza di
altri, suddividendoli con precisione".
• Tra le sue opere certe ci sono le belle statue di atleti come
Astilo di Crotone, Eutimo di Locri Epizefiri, il corridore
Imnesco, tutte portate ad Olimpia, purtroppo non giunte sino a
noi.
• Ma la sobrietà delle forme e l'equilibrio perfetto delle strutture
oltre che la minuziosa lavorazione di barba, capelli e vene,
induce molti studiosi contemporanei a credere che Pitagora di
Reggio possa avere scolpito i celeberrimi Bronzi di Riace.
SOSTRATO, allievo e nipote di
Pitagora reggino
IPPI (Hyppis): storico,oratore, poeta
•
IPPI(Hyppis), oratore e poeta, è lo storico greco di Reggio che per
primo analizzò e riportò i dati storici dell'occidente ellenico.
• La sua collocazione nel tempo la si può ricavare da quanto riporta la
Suida, che lo inquadra in piena attività di storiografo durante le guerre
persiane del V secolo a.C.
[ La Suida (o Suda) è un lessico enciclopedico, compilato intorno al
1000 sulla base di fonti precedenti. Si era pensato che “suda” fosse il
nome dell'autore, ma oggi si ritiene sia il titolo dell'opera, nel significato
di 'roccaforte' (del sapere), tratto dal latino. E' il più vasto lessico greco
che ci sia pervenuto, un'enciclopedia generale articolata in circa 30 mila
voci, ordinate alfabeticamente, e attinenti a tutte le discipline: geografia,
storia, letteratura, filosofia, scienze, grammatica, usi e costumi, ecc.]
•
Gli vengono attribuiti il trattato “Colonizzazione dell'Italia”, da intendersi
Italia greca, cioè la Calabria e la Sicilia, due lavori dedicati alla Sicilia e
dei racconti in prosa.
•
Il tempo ci ha consegnato pochi frammenti dell'opera storiografica pur
vasta del reggino.
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Nell’etica della dottrina pitagorica trovò fondamento la Scuola Lirica di
Reggio, che vantò la creazione di un nuovo mondo poetico, pieno di luce e
di incanto, intriso di finalità spirituale che innalzò la poesia ad un livello
superiore, attribuendo alla Scuola una posizione di rilievo nei confronti delle
altre.
A dar lustro alla scuola sono stati soprattutto Toagene, Glauco e Ibico.
Di Toagene, critico letterario, non esistono opere originali in versi, ma fu,
comunque uno dei più antichi interpreti di Omero, nel cui poema egli ravvisò
numerose allegorie. Si dà per certo che fu cittadino di Reggio, mentre non si
hanno notizie attendibili riguardo l’anno di nascita che, secondo alcuni, si
aggira intorno al 529-522 a. C. Con l’opera “Intorno agli antichi musici e
poeti”, Glauco lasciò ai posteri un prezioso documento.
I pochi frammenti che sono pervenuti sono sufficiente testimonianza della
fama da lui raggiunta nella poesia, nella musica,e nel canto, che gli ha
consentito di essere considerato il poeta più vicino a Ibico, che, a sua volta,
fu il più grande rappresentante della Scuola Lirica, uno dei maggiori lirici
della Grecia, i cui versi furono tenuti in così tanta considerazione da essere
oggetto di studio da parte dei giovani.
Ibico raggiunse il massimo splendore in Reggio, sua cittadina natale, nella
prima metà del V secolo a. C. Pare che abbia scritto 60 libri in versi, in
lingua dorica, molto vicini, per sentimento e metrica, a quelli di Anacreonte,
conosciuto dal poeta alla corte di Policrate.
POETI
- TEAGENE
Nato in una data imprecisata tra il 529 a.C. e il 522 a.C., fu il primo
esegeta dell'Odissea e il primo critico letterario in assoluto.
Teagene curò il testo di Omero e ne diede un’interpretazione
razionalistica, assolutamente nuova, assimilando gli dei alle forze
della natura.
Franco Mosino, noto grecista reggino, cogliendo singolari
coincidenze, tra le quali la contemporaneità tra l’Odissea e la
fondazione di Reggio, la presenza a Reggio di Teagene, primo
esegeta dell'Odissea e le incongruenze che fanno credere all'opera
di due diversi autori di Iliade e Odissea, arriva ad affermare che
l’Odissea non sarebbe altro che il romanzo delle avventure lungo lo
Stretto di Messina dei Calcidesi che fondarono Reggio.
IBICO
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IBICO poeta greco di Reggio del VI secolo a.C., di famiglia
aristocratica, ha vissuto alla corte di Policrate (o del padre di lui,
Eace) a Samo, finché questi venne ucciso dai persiani nel 522. Il
poeta viaggiò così per la Magna Grecia in cerca di altre corti.
Secondo la leggenda, la sua morte, seppure avvenuta in tarda
età, avvenne per mano di ladroni, i quali vennero scoperti per
l'intervento di uno stormo di gru.
La leggenda nasce forse per l'analogia tra il nome del poeta ed il
nome, appunto, di una specie di gru.
Le sue composizioni poetiche celebrative - restano 100
frammenti di poesie, tra i quali un lungo encomio al figlio di
Policrate - secondo gli antichi compilatori erano riunite in sette
libri, si trattava di carmi lirici di contenuto eroico (encomii) e
poesie d'amore sopratutto in lode della bellezza degli efebi.
•
Il contenuto della lirica di Ibico è essenzialmente erotico tanto da
essere accusato corruttore della gioventù. Cantò la dea Diana,
venerata a Reggio e, secondo alcuni storici, fu inventore di uno
strumento musicale, di forma triangolare, chiamato ibicino.
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Cicerone lo lodò, considerandolo il poeta d’amore più ardente tra
tutti i poeti della Calabria e della Magna Grecia.
• Il contenuto della lirica di Ibico è essenzialmente erotico
tanto da essere accusato corruttore della gioventù.
Cantò gli amori di Talo e di Radamanto, gli eroi della
guerra di Troia, la dea Diana, venerata a Reggio e,
secondo alcuni storici, fu inventore di uno strumento
musicale, di forma triangolare, chiamato ibicino.
• La vita del grande poeta si perde spesso nei meandri
della mitologia tanto da far sorgere, in alcuni, dubbi sulla
sua esistenza.
• Si innamorò di Nereide, una giovane ateniese, promessa
però in sposa, dal padre, al ricco Euforione.
• La giovane, che contraccambiava l’amore di Ibico,
fingendosi consensiente al desiderio del padre, cercò in
tutti i modi di rimandare la celebrazione delle nozze
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Un atteggiamento di collera di Euforione verso uno schiavo che aveva rotto un vaso
fece venir meno il matrimonio, mentre Ibico, su consiglio di Nereide si recò
dall’oracolo Anfiarao, dio dei sogni, per chiedere la guarigione di un male agli occhi e
per avere notizie sul suo futuro.
Giunto al tempio, Ibico ottenne la guarigione dopo aver strofinato gli occhi con
l’acqua della fontana di Anfiarao, ma non buon auspici per il matrimonio.
Ibico, non curante del parere dell’oracolo, partì per Atene per sposare la giovane , ma
smarritosi nell’aperta campagna, fu trucidato dai ladroni.
Sempre secondo la leggenda, invocò, prima di morire, la testimonianza di uno stormo
di gru che era di passaggio nel tragico momento. Fu facile arrestare e condannare a
morte gli assassini, che nel mercato di Atene, vedendo passare le gru, le additarono
ai loro amici come i testimoni di Ibico.
Non è da trascurare l’importanza avuta da Cleomene, un altro poeta reggino, anche
se non ha fatto parte della Scuola Lirica di Reggio.
Fu contemporaneo e amico di Alessandro Magno, al quale, sembra abbia scritto delle
lettere in cui non tratta di poesia ma di bagordi.
Anche se di lui non sono giunti frammenti, viene ricordato come autore di ditirambi, di
un commento al poema di Esiodo e di qualche biografia dello stesso.
• GLAUCO, di lui si conosce l'opera “Intorno agli
antichi musici e poeti”, di cui purtroppo
conserviamo solo pochi frammenti.
- CLEOMENE fu contemporaneo e amico di
Alessandro Magno. Delle sue opere non ci sono
giunti frammenti, viene ricordato come autore di
ditirambi, di un commento al poema di Esiodo e
di biografie dello stesso.
Tra i personaggi della Magna Grecia di Calabria, la poetessa Nosside di Locri fu certamente
l'unica donna illustre e famosa. Amò spesso definirsi l'unica poetessa d'Occidente come Saffo
lo era stata potessa d'Oriente.
•
O straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti per cogliere il fiore delle grazie di Saffo, dì che io fui
amica delle Muse, che nacqui a Locri e sai che il mio nome è Nosside". Le poche note biografiche sulla
vita e sulla poesia di Nosside, la più grande poetessa della Magna Grecia, vissuta a Locri Epizefiri tra il IV
ed il III secolo a.C. sono contenute proprio nell'ultimo dei dodici epigrammi di questa autrice, giunti fino a
noi tramite l'Antologia Palatina, ed ancor prima raccolte da Meleagro nella sua Corona.
I dodici epigrammi, unici frammenti di una produzione poetica presumibilmente assai vasta se la stessa
autrice si vanta di essere "l'unica poetessa d'Occidente, come Saffo lo era stata di Oriente", bastano a
testare la grandezza di Nosside e, di riflesso, la straordinaria importanza, per la civiltà occidentale, della
colonia locrese. Fu infatti Locri Epizefiri la prima civiltà dell' Occidente ad avere un codice di leggi scritte,
la cosiddetta legislazione di Zaleuco, ma fu anche notevole centro di attività culturali ed artistiche in cui le
donne ebbero un grande ruolo, come attesterebbero le tracce di matriarcato e di prostituzione sacra nei
suoi ordinamenti. In questo straordinario clima culturale, fiorirono in Locri Epizefiri, già nel V secolo a.C.
fenomeni letterari e poetici, come attesta Pindaro nella II Pitica, che assegna alla colonia locrese la
produzione di "canti delle vergini". La produzione di Nosside s'innesta in questa tradizione ma, nello
stesso tempo, se ne distacca, sia per l'impostazione filosofica dei suoi versi, sia per la tecnica espressiva.
Emerge evidentemente, dalla lettura degli epigrammi superstiti, l'intenzione di Nosside di emulare Saffo,
la più celebre poetessa greca, vissuta a Lesbo tra il VII ed il VI secolo a.C. La poesia di Nosside è, come
quella saffica, un inno alla vita e all'amore. Se Saffo aveva affermato: "Alcuni dicono che la cosa più bella
sulla terra sia un esercito di cavalieri, alti di fanti, altri di navi, ma io dico che la cosa più bella è ciò di cui
uno si innamora", Nosside, in una poetica vigorosa, rincarava: "Nulla è più soave dell'amore, ma ogni
altra
delizia
è
seconda,
anche
il
miele
sputo
dalla
bocca".
Le rose sono i fiori di Afrodite ed il confronto con gli altri valori della vita è espresso, in modo deciso e
certamente efficace, dalla supremazia dell'amore nei confronti dello stesso miele che era considerato cibo
degli dei. Negli altri epigrammi e nelle dediche in essi contenute, si rivelano altri aspetti della cultura
locrese e del ruolo straordinario che le donne ebbero in quella colonia: il matriarcato, il culto di Afrodite e
quello di Hera, la prostituzione sacra, l’uso di offrire alla dea i Pinakes, le tavolette votive in uso a Locri
nel V secolo a.C.
LEGISLATORI REGGINI
•
Tra i cittadini illustri della Reggio della Magna Grecia, si annoverano coloro che si distinsero nella
formulazione delle leggi destinate non solo ai propri concittadini, ma anche alle popolazioni delle
altre città della famosa Regione.
Dei legislatori reggini si conoscono solo sei nomi, ma non è da escludere che ce ne siano stati
molti altri, ai quali non si attribuisce la cittadinanza reggina in quanto divenuti, per vari motivi,
famosi in località diverse dalla natia.
- ANDRODAMO, Primo in ordine cronologico. Secondo quanto detto da Aristotile nel secondo
libro della Politica, egli scrisse leggi per i Calcidesi che vivevano nella Tracia. L’unica sua opera
giunta ai posteri è una raccolta di leggi intitolata “ De caede et de haereditatibus”.
- TEETETO, filosofo e legislatore che visse Intorno alla centesima Olimpiade. Secondo alcuni
critici storici fu amico di Platone il quale gli intitolò il libro primo della Scienza.
- ELICAONE e FITIO, Ancora meno notizie si hanno di Elicaone e di Fitio citati da Giambico,
iniziatore del neoplatonismo, nel suo libro “De secta Pythagoreorum”, come fondatori delle
Repubbliche Reggine, poiché ebbero il compito di procedere alla riforma delle leggi e degli
ordinamenti che venivano superati di volta in volta dal succedersi degli eventi.
Altri due illustri filosofi e legislatori Reggini furono ARISTOCRATE, di cui si tratta in un capitolo
della vita di Pitagora di Giambico, e IPPARCO che, vissuto intorno al 380 a. C., venne espulso
dalla Scuola Pitagorica per aver reso noti i segreti della scuola stessa. Per questo motivo fu
considerato morto prima di esserlo e gli fu dedicata una colonna sepolcrale. Anche Liside con una
sua lettera lo rimproverò, dopo l’espulsione, pregandolo di essere diverso perché anche lui non
fosse costretto a considerarlo morto.Di lui Stobeo ha lasciato molte sentenze relative alla sua
personalità e alla sua onestà.
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Tra i cittadini illustri della Reggio della Magna Grecia, si annoverano coloro che si
distinsero nella formulazione delle leggi destinate non solo ai propri concittadini, ma
anche alle popolazioni delle altre città della famosa Regione.
Dei legislatori reggini si conoscono solo sei nomi, ma non è da escludere che ce ne
siano stati molti altri, ai quali non si attribuisce la cittadinanza reggina in quanto
divenuti, per vari motivi, famosi in località diverse dalla natia.
Primo in ordine cronologico, pare sia stato Androdamo. Secondo quanto detto da
Aristotile nel secondo libro della Politica, egli scrisse leggi per i Calcidesi che
vivevano nella Tracia.
L’unica sua opera giunta ai posteri è una raccolta di leggi intitolata “ De caede et de
haereditatibus”. Intorno alla centesima Olimpiade visse l’altro filosofo e legislatore
Teeteto. Secondo alcuni critici storici fu amico di Platone il quale gli intitolò il libro
primo della Scienza.
Ancora meno notizie si hanno di Elicaone e di Fitio citati da Giambico, iniziatore del
neoplatonismo, nel suo libro “De secta Pythagoreorum”, come fondatori delle
Repubbliche Reggine, poiché ebbero il compito di procedere alla riforma delle leggi e
degli ordinamenti che venivano superati di volta in volta dal succedersi degli eventi.
Altri due illustri filosofi e legislatori Reggini furono Aristocrate, di cui si tratta in un
capitolo della vita di Pitagora di Giambico, e Ipparco che, vissuto intorno al 380 a. C.,
venne espulso dalla Scuola Pitagorica per aver reso noti i segreti della scuola stessa.
Per questo motivo fu considerato morto prima di esserlo e gli fu dedicata una colonna
sepolcrale.
Anche Liside con una sua lettera lo rimproverò, dopo l’espulsione, pregandolo di
essere diverso perché anche lui non fosse costretto a considerarlo morto.
Di lui Stobeo ha lasciato molte sentenze relative alla sua personalità e alla sua
onestà.
Zaleuco
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Nonostante la straordinaria importanza per tutta la cultura occidentale, di Zaleuco
sappiamo veramente molto poco. Egli, nativo della colonia di Locri Epizefiri, fu senza
dubbio il primo legislatore del mondo occidentale, ad aver creato un codice scritto di leggi
e pene, citato da diversi storici antichi tra cui anche Strabone. Se lo storico Eusebio
colloca cronologicamente la nascita di Zaleuco tra il 663 ed il 662 a.C. oggi alcuni studiosi
ne mettono in dubbio la reale esistenza. In particolare il Bentley ritiene che il nome stesso
Zaleuco, potrebbe significare "il luminoso", e sia da riferire ad una divinità, che avrebbe
donato ai locresi il primo codice scritto, che comunque è certo sia nato a Locri Epizefiri.
A parte la dicutibile tesi del Bentley, che parte da una semplice analisi etimologica,
alquanto discutibile anch'essa, l'importanza di Zaleuco sta non nella sua vita, ma nel
codice di leggi scritte, che purtroppo non è giunto a noi, ma che era conosciuto nel mondo
antico anche e sopratutto dai romani. Lo stesso Cicerone nel suo "De Legibus" cita
esplicitamente Zaleuco come padre del primo codice occidentale di leggi scritte, codice in
vigore nella città di Locri Epizefiri. L'importanza di questo codice è davvero notevole in
quanto, per la prima volta, le leggi venivano scritte e quindi venivano sottratte all'arbitrario
uso che ne facevano i magistrati nei tempi antichi. Questa novità, fortemnente
democratica, viene sottolineata da Strabone, il quale affermava che "mentre prima si
affidava ai giudici il compito di determinare la pena per ciascun delitto, Zaleuco la
determinò nelle Leggi stesse". Quelle locresi venivano considerate leggi moderne e
democratiche che in alcuni casi precorrevano i tempi di molti secoli, come nel divieto
espresso di possedere schiavi, vigente nella città di Locri Epizefiri. Altre invece erano
espressione della civiltà locrese, come la regolamentazione della prostituzione sacra, o
l'uso
della
matrilinearità
nella
discendenza
nobiliare.
Purtroppo il corpus delle leggi di Zaleuco non si è conservato sino ai nostri giorni, ed oggi
conosciamo ne solo alcune grazie al fatto che ci sono state tramandate, attraverso la loro
citazione, in opere di autori e storici antichi quali Cicerone e Polibio. La natura democratica
delle leggi di Zaleuco, consentì alla città di Locri Epizefiri di prosperare a lungo.
Alcmeone di Crotone
• Padre fondatore della
medicina antica, e del
metodo scientifico della
ricerca, Alcmeone fu
certamente fra i
personaggi più illustri di
tutta la Magna Grecia,
scoprendo nel cervello il
centro motore delle
attività umane
• Crotone città della medicina! Qui nacque la
scienziato magnogreco Alcmeone, scopritore
del nervo ottico e della tromba di Eustachio (un
condotto che collega l'orecchio medio alla
faringe). L'importanza della medicina dell'antica
grecia è tale che ancor'oggi i giovani medici
proferiscono il Giuramento di Ippocrate (altro
medico ellenico) per vincolare il loro operato al
rispetto dei principi della scienza e della
salvaguardia della vita.
Tra le sue varie dottrine, due sono le più importanti:
1) Strettamente legata alla dottrina pitagorica, era la concezione di
salute e malattia.
Per elaborare questa teoria, egli studiò accuratamente il corpo
umano e lo interpretò in analogia con il funzionamento della politica.
Per lui infatti malattia e salute corrispondevano a due precise
situazioni politiche.
La salute corrispondeva alla democrazia (più in particolare
Alcmeone parla di "isonomia", uguaglianza di leggi), mentre la
malattia alla monarchia.
Come nel corpo si ha la salute quando c'è un equilibrio tra gli
organi, così nella politica per Alcmeone c'è la democrazia quando
tutte le parti sono in equilibrio e tutte possono dire la loro.
Invece, così come nel corpo umano c'è una malattia quando un
organo prevale sugli altri impedendo loro di agire, così nella politica
si ha la monarchia quando prevale un individuo sugli altri e viene a
rompere l'equilibrio.
2) Molto interessante fu anche la sua teoria su quale fosse l'organo
principale del nostro organismo: fu il primo a rispondere che era il
cervello, avanzando così un'ipotesi enfalocentrica.
Generalmente si era creduto che l'organo fondamentale fosse il
fegato o il cuore, mentre il cervello non fu mai preso in
considerazione perchè è un organo insensibile.
E' interessante notare come Aristotele credesse che il cervello fosse
un organo di raffreddamento e fu sostenitore della teoria
cardiocentrica.
Alcmeone fece accurati esperimenti su animali e scoprì i nervi che
collegavano il cervello ad altri organi vitali (per esempio agli occhi) e
ipotizzò che svolgesse la funzione di coordinamento delle mansioni
sensitive.
Così Alcmeone fu il primo a dire che il cervello fosse l'organo più
importante
Pitagora di Samo
• Pitagora di Samo,
fondatore della scuola
pitagorica, a cui
appartennero:
Filolao di Crotone,
Alcmeone di Crotone,
Archita di Taranto,
Timeo di Locri
•
Pitagora
di Samo
Pitagora
Filosofo originario di Samo, Pitagora, scelse Crotone,
celebre per l'atletismo e la sua scuola medica, come sede
del suo esilio dalla patria nel 530-29 a.C., per sfuggire al
tiranno Policrate. Nella città achea, prostrata dopo la
disastrosa guerra con Locri, ridiede vigore alla cittadinanza
con un intensa attività filosofica, politica, educativa e
moralizzatrice.
Il suo insegnamento, tuttavia, era rivolto ad una cerchia
ristretta di discepoli - scelti dopo tre anni di osservazione di
vari fattori (estrazione familiare, comportamenti ed altro) che formavano così una setta filosofico-religiosa improntata
a rigida disciplina ed insegnamento esoterico e in cui vigeva
una sorta di carattere ascetico nella regola di vita da cui era
bandita qualsiasi intemperanza e che faceva sua la regola
del silenzio totale e prescrizioni rituali anche
nell'alimentazione (celebre era il divieto di mangiare le
fave). La dottrina pitagorica influenzò anche il governo della
città tanto da portare alla guerra con Sibari, governata da un
tiranno.
Il problema della gestione della Sibaritide e del suo impero
sottomessi da poco e il malcontento di una parte dei
Crotoniati alimentarono una sommossa guidata
dall'aristocratico crotoniate Cilone, nominato esarca dei
Sibariti (cioè governatore). Pitagora in questa occasione
fuggì da Crotone mettendosi in salvo a Metaponto (o forse
era già lì o addirittura fuori della Magna Grecia). Nella città
della Lucania il filosofo avrebbe condotto gli ultimi anni della
sua vita e dopo la sua morte (497/6 a. C.) la sua casa fu
trasformata in tempio.
• Tra i filosofi pitagorici reggini ricordiamo: Pitone,
cittadino di Reggio vissuto al tempo di Dionigi,
tiranno di Siracusa.
• Trovandosi egli esule a Siracusa, fu avvicinato
dal Tiranno con l’obiettivo di far leva su di lui per
conquistare Reggio.
• Ma il filosofo avvisò i Reggini esortandoli a
scagliare pietre e frecce anche contro di lui che
era stato posto in prima linea su una macchina
costruita per espugnare la città. Furono così
respinte le truppe di Dionigi, il quale considerò il
sacrificio del filosofo segno di ingratitudine per
chi lo aveva ospitato.
• Altro filosofo pitagorico reggino, considerato padre
adottivo del poeta tragico Licofrone, fu Butera Lico, che,
pare, sia stato ucciso per gli inganni tramati da Demetrio
Falereo.
• Non meno noto il filosofo Ippone, accusato di ateismo
anche dallo stesso Aristotile, forse a causa del modo di
vivere corrotto che conduceva.
• Filosofo, oratore, storico e poeta fu Ippi, vissuto ai tempi
di Dario e Serse, autore di una storia sulla Sicilia, di un
trattato sulle origini italiche e di tre libri di dicerie oziose.
• Nessuna traccia è rimasta dei precetti morali di cui fu
autore il filosofo reggino Astilo, mentre dei filosofi
pitagorici Aristide, Atosione, Opsimo, Euticle e
Mnesibolo conosciamo solo i nomi
ATLETI
• Astylos
• Astylos è un atleta famoso perché fu l'ultimo vincitore crotoniate ad
Olimpia nel 480 a.C. e perché rinnegò la sua città di origine nelle
due ultime olimpiadi.
Vinse la prima volta nel 488 a.C. e nuovamente nel 484 ed infine nel
480 a.C., nelle specialità stadio (corsa di circa 190 m) e diaulos
(corsa doppia). Inoltre in almeno una occasione vinse anche
nell'oplite. Rinomato per lo stile di vita tenuto negli allenamenti, per
le sue vittorie gli fu eretta una statua in bronzo, dell'artista di
Pitagora di Samo (che svolse la sua attività a Reggio, dove si era
trasferito).
Nel corso delle due ultime vittorie Astylos si dichiarò siracusano,
forse per compiacere Ierone (Pausania VI, 13, 1). A tale notizia i
suoi concittadini confiscarono la sua casa e la trasformarono in un
carcere ed distrussero la sua statua nel santuario di Hera Lacinia.
Eutimo di Locri Epizefiri
•
Eutimo, figlio di Asticle, fu un valoroso atleta locrese vincitore di tre Olimpiadi
nella categoria del pugilato. La sua fama era conosciuta in tutto il mondo ellenico,
come avveniva per i pluriolimpionici, e la sua città natia, Locri Epizefiri, gli fece
erigere una sua statua presso Olimpia, venerandolo come fosse un eroe della
mitologia antica. Pausania, infatti ci tramanda una leggenda secondo la quale i
locresi credevano che Eutimo fosse figlio del fiume Cecino, che all'ora divideva il
territorio
della
città
di
Locri
Epizefiri
con
quello
di
Rhegion.
Dunque Eutimo vinse tre Olimpiadi non consecutive, la prima fu la LXXIV
Olimpiade del 484 a.C. ma in quella successiva il pugile locrese venne sconfitto da
Teagene di Taso, il quale secondo Pausania, nelle Olimpiadi del 472 e 476 a.C. si
rifiutò di combattere contro Eutimo per volontà divina, concedendogli quindi la
vittoria. La leggenda più famosa del pugile Eutimo vuole che gli abitanti di Temesa,
colonia fondata da Locri Epizefiri, chiesero aiuto ai locresi per liberarsi da un
mostro che pretendeva ogni anno il tributo di una vergine tra le più belle della
città. Pausonia ce la racconta in questi termini: "Dicono che Ulisse vagando dopo
la presa di Troia approdasse per azione dei venti in diverse città d’Italia e di Sicilia,
e giunse anche a Temesa con le navi; uno dei suoi marinai, ubriaco, violò una
vergine, e per questo delitto venne lapidato dagli abitanti. Ulisse non tenendo in
alcun conto la sua perdita ripartì, ma l'anima dell'uomo lapidato continuamente
uccideva gli abitanti di Temesa e infuriava contro ogni età, finché la Pizia, mentre
non permetteva loro di lasciare del tutto l’Italia, come intendevano, ordinò di
placare l'eroe riservandogli un recinto sacro ed edificando un santuario, e
consacrandogli ogni anno la più bella delle vergini di Temesa".
Eutimo, venne chiamato a Temesa per salvare la vita di una bellissima vergine,
della quale il pugile stesso si innamorò a prima vista. Egli partì dalla sua Locri
Epizefiri e giunse a Temesa, qui scese giù dal mostro e vincendolo in duello lo
costrinse a liberare la città dal tributo di sangue. Un'altra leggenda sulla vita di
Eutimo, raccontata solo da Pusania, vuole il pugile locrese vissuto addirittura sino
all'epoca augustea, qualcosa come 400 anni.
MILONE DI CROTONE
Diretto discendente della stirpe di Eracle e pugile imbattuto per oltre venti anni, Milone fu l'atleta
più illustre di tutta la Grecia antica. Vinse 5 Olimpiadi, 10 gare Istmiche, 9 gare Nemee e 6 volte i
giochi Pitici.
Tra i personaggi più illustri della Magna Grecia e certamente l'atleta più forte di tutti i tempi, il
grande Milone fu pugile e lottatore imbattuto per oltre vent'anni. Nato e vissuto nell'antica
Kroton del VI secolo a.C. grazie alle sue gesta sportive e non, divenne tra gli uomini più
influenti del gruppo aristocratico che governava la città di Miscello. Il suo dominio sportivo
cominciò nel 540 a.C. quando vinse la sua prima olimpiade nella lotta categoria ragazzi,
seguirono 5 vittorie olimpiche consecutive nella gara del pugilato, fino all'ultima del 516 a.C.
nella quale il suo avversario rifiutò di combattere, per celebrare la gloria di un uomo a cui gli
dei
diedero
in
dono
la
forza
e
la
disciplina.
Milone vinse anche per 10 volte le gare Istmiche, 9 volte le Nemee e 6 volte i Giochi Pitici di
Delfi che si tenevano in onore di Apollo. Tanta gloria rese Milone uno dei personaggi più illustri
e famosi del mondo antico, conosciuto ovunque per la sua proverbiale forza e considerato eroe
leggendario appartenente alla stirpe degli Eraclidi, discendente diretto di Eracle. La sua forza
proverbiale salvò l'intero gruppo aristocratico guidato da Pitagora che governava la potente
città di Kroton. In occasione di un terremoto che colse il gruppo dirigente mentre era in
riunione proprio in casa del filosofo samio, Milone si sostituì ad una colonna spezzata dal
sisma reggendo sulle sue spalle il soffitto dell'abitazione per quei minuti necessari a
sgomberarla completamente salvando i convenuti. Milone fu comandante dell'esercito
crotoniate in occasione della famosa battaglia contro i sibariti del 510 a.C. che sancì la sconfitta
e la distruzione dell'opulenta colonia di Sybaris. Milone vestito a mò di Eracle, con la clava e la
pelle di leone sulle spalle, guidò l'esercito crotoniate verso una delle vittorie più schiaccianti
della storia antica. Persino Democede, crotoniate e medico personale del re Dario di Persia, per
tornare a casa contro il parere del re persiano, sposò in tutta fretta una figlia di Milone,
costringendo Dario a desistere dai suoi piani. La storia di Milone si fonde spesso con la
leggenda, tramandata da autori tardo-ellenistici come Ateneo, Luciano e Porfirio. Una di queste
vuole Milone dopo la vittoria ad Olimpia, caricarsi sulle spalle un toro di quattro anni, e dopo un
giro completo di stadio, divorarlo tutto fino all'ultimo boccone. Nell'antica Grecia il grande
appetito era sinonimo di forza sovrumana, e Milone di fame doveva averne davvero tanta.
Intorno alla sua morte la leggenda narra di un grosso albero di ulivo sezionato da un fulmine,
posto nel bosco sacro di Hera sul promontorio lacinio. Milone, un po invecchiato, infilò le mani
per divaricarne il tronco, ma abbandonato dalle forze l'Olimpionico rimase bloccato e finì
dilaniato dalle belve feroci. Nel museo del Louvre una statua lo ritrae mentre viene divorato da
un leone.
• Chi è stato il più grande atleta italiano di tutti i tempi? Forse
qualcuno si sorprenderà, ma noi incoroniamo Milone di Crotone!
Milone (circa 555-500 a.c.) infatti, è stato il più celebre lottatore
dell’antichità.
La sua specialità era il pancrazio: il termine (dal greco pan = tutto e
kràtos = potere, forza) significa “intera forza (del corpo)”. Apparve
per la prima volta come disciplina olimpica nel 648 a.C. ed era un
misto di lotta e di pugilato; i combattenti erano a mani nude e
potevano usare quasi tutti i mezzi per superarsi: sgambetti,
proiezioni, leve articolari, pugni e calci. Non mancavano neppure:
ginocchiate, gomitate, unghiate, morsi ed acrocorismo (torsione e
rottura delle dita delle mani) e non di rado gli incontri si
concludevano con la morte di uno dei due atleti
•
Milone nasce e vive nella colonia di Crotone nella Magna Grecia, cittadina che darà i
natali a molti atleti olimpici dell’antichità. Questo formidabile atleta, per la sua
longevità sportiva, non è stato eguagliato neppure dai professionisti moderni:
partecipò infatti per ben 28 anni alle Olimpiadi risultando sempre vincitore.
Il suo palmarès è davvero impressionante: tra il 540 e il 512 a.c. vinse per sette volte
le Olimpiadi; la prima volta già da ragazzino, a poco più di 15 anni, quando si
aggiudicò la 60a Olimpiade nella lotta, categoria fanciulli. In seguito fu campione
assoluto di pancrazio dalla 62a alla 67a edizione ininterrottamente. Vinse anche
molte altre importanti competizioni: sei volte i giochi Pitici a Delfi, dieci volte i giochi
istmici a Corinto e nove volte i giochi a Nemea. Un curriculum davvero eccezionale,
in virtù del quale ottenne per cinque volte il titolo di periodonikes, cioè vincitore
nell’anno in tutte le quattro manifestazioni del circuito panellenico: una sorta di
Grande Slam dell’antichità.
Si aggiudicò inoltre moltissime altre gare locali divenendo, oltre che campione
assoluto, anche ricchissimo, e soprattutto celebre in ogni luogo; si pensi solo che il
famoso medico dell’antichità Democede, anch’esso crotoniate, si vantò con il re
Persiano Dario di aver sposato la figlia di Milone, sapendo che Milone era stimato
anche dal Re dei Re di Persia.
Nelle competizioni Milone non aveva avversari e molte volte vinceva senza
gareggiare, tale era la paura di chi lo doveva affrontare. Le sue tecniche erano tutte
di forza e di potenza e i sollevamenti con proiezioni violente al suolo erano la sua
specialità. Era un esperto nella lotta corpo a corpo in piedi e nessuno lo riusciva a
farlo cadere. Le sue prese ai polsi e al collo erano delle morse che causavano
disorientamento e confusione negli avversari.
•
LE LEGGENDE
L’immensa fama di cui godette è testimoniata dalla lunga serie di leggende
che fiorirono sul suo conto e che lo scrittore Pausania raccolse
accuratamente in un simpatico repertorio. Teniamo conto che Pausania
(Viaggio in Grecia VI, 14, 2-3) scrive nel II secolo d.C., quindi ben ottocento
anni dopo Milone: eppure Milone era un personaggio talmente radicato
nella tradizione orale greca, che svariati autori nel corso dei secoli
successivi lo citano come un personaggio noto a tutti, e narrano aneddoti
che lo riguardano.
I crotoniati gli eressero una statua ad Olimpia, opera dello scultore-tifoso
Dameas: Milone era rappresentato su un disco unto di olio, con i piedi uniti,
un melograno nella mano sinistra e cinto da una benda sulla fronte. Questi
attributi hanno un significato ben preciso: il disco oliato rappresenta il suo
senso dell’equilibrio perfetto, perchè niente al mondo poteva farlo cadere al
suolo; il melograno nessuno poteva toglierglielo, neanche cercando di
sollevare le singole dita, tanto era la forza di questo campione; e la benda si
diceva che Milone riuscisse a romperla solo gonfiando le vene del capo.
Il geografo greco Strabone ci racconta anche di una volta che durante una
riunione, crollò il soffitto e Milone lo sorresse fino a quando tutti si
salvarono.
Come ogni eroe anche il nostro atleta vide la parabola discendente della
sua carriera: si dice che ormai maturo, Milone abbia sfidato un pastore per
vedere chi era il più forte. Il pastore Titorno sollevò una pietra pesantissima
e la scaraventò lontano, Milone cercò di fare altrettanto ma vide che non
riusciva ad alzare la pietra neanche alle ginocchia e allora esclamò: “O
Zeus, generasti forse un altro Ercole?”.
•
L’ALIMENTAZIONE E L’ALLENAMENTO
•
Numerose sono le leggende riguardanti l’appetito insaziabile del campione. Si narra
che, ad Olimpia, Milone che abbia lottato e poi ucciso un toro di quattro anni e poi se
lo sia caricato sulle spalle, portandolo per un intero giro dello stadio, e che se lo sia
mangiato tutto nello stesso giorno.
Lo scrittore Ateneo di Naucrati racconta anche che, in uno stesso giorno, Milone
aveva ingurgitato più di dieci chili di carne e bevuto più di dieci litri di vino. Tutto ciò
potrebbe apparire frutto di pura fantasia e del gusto tardo-ellenistico per l’aneddoto
curioso e sensazionale, però, a un’analisi più attenta, la ghiottoneria di Milone, da un
lato, si rivela un espediente di matrice letteraria che intende collegare la sua figura a
quella mitica di Eracle. Infatti, Eracle è una figura costantemente connessa al mondo
sportivo greco, nonché emblema mitico della forza e della vigoria fisica, e numerosi
sono anche gli aneddoti sulla voracità di Eracle.
Da un punto di vista più pratico invece, l’introduzione da parte degli atleti crotoniati
come Milone della carne nella loro dieta, fu estremamente importante. Oggi è
scontato, ma allora fu un’innovazione rivoluzionaria, probabilmente fatta seguendo le
indicazioni di Pitagora (proprio quello del teorema!) che visse a Crotone in quegli anni
fondando la sua famosa scuola. Infatti la carne era alla base delle prescrizioni
dietetiche fornite dal filosofo all’atleta Eurimene di Samo, al quale aveva consigliato
una particolare alimentazione ricca di proteine animali al posto della dieta allora
tradizionale a base di fichi e formaggio.
In più Milone e la scuola crotoniate introdussero per primi anche il cosiddetto
allenamento con sovraccarico: Milone infatti sin da ragazzo prese a sollevare un
vitellino e man mano che i giorni passavano il vitello cresceva e anche i muscoli di
Milone si adattavano al maggior peso.
Questi primi elementari accorgimenti di allenamento e dieta sportiva, resero la piccola
e lontana colonia di Crotone la più forte scuola sportiva greca dopo quella di Sparta.
•
CONDOTTIERO E L’UOMO POLITICO
Ma Milone non è stato solo un grande lottatore:
dopo il ritiro dalle gare fu anche un condottiero
militare, che guidò la sua città Crotone, alla vittoria
nello scontro con la vicina Sibari (510 a.C.): in
questa occasione ci viene presentato dalle fonti
(Diodoro Siculo, Biblioteca storica) munito proprio
degli attributi di Eracle: la pelle di leone e la clava,
prova che la percezione a livello popolare del
personaggio doveva essere quella di un eroe
eccezionale.
Esponente di punta dell’aristocrazia di Crotone,
Milone ebbe un ruolo importante anche nella vita
religiosa e culturale della città: sacerdote presso il
santuario di Era, si interessò anche di cultura e
politica. Discepolo del filosofo e matematico
Pitagora, la sua casa divenne punto d’incontro sia
della scuola pitagorica che delle riunioni cittadine.
La notizia del matrimonio con la figlia di Pitagora,
benché probabilmente leggendaria, conferma
comunque la grande familiarità che esistette tra i
due.
•
MORTE
La morte di Milone fu sicuramente particolare
e sfortunata, secondo il racconto dello scrittore
latino Aulo Gellio (Notti attiche, XV, 14):
“Milone di Crotone, famoso atleta, che le
cronache riportano essere stato incoronato per
la prima volta nella 62° olimpiade, finì la
propria vita in modo miserevole e strano.
Mentre egli era già avanti negli anni e aveva
abbandonato l’arte atletica, camminando da
solo in luoghi boscosi d’Italia, scorse presso la
via una quercia che nella parte media era
spaccata da una fenditura. Allora, penso, per
voler provare se gli fossero rimaste delle forze,
introdusse le dita nella cavità dell’albero,
tentando di spaccare e squarciare la quercia.
Egli riuscì infatti a spaccare e svellere la parte
mediana; ma la quercia, spaccata in due parti,
quando Milone, credendo di aver raggiunto lo
scopo che si era prefisso, rilasciò le mani, per
esser cessata la pressione, riprese la primitiva
posizione, trattenne e imprigionò le sue mani,
essendo di nuovo unita e stretta; ed espose
così quell’uomo a essere fatto a pezzi dalle
belve.”