PERSONAGGI CALABRESI DELLA MAGNA GRECIA Anassilao Tra i personaggi della Magna Grecia di Calabria, Anassilao fu certamente un tiranno potente ed incisivo. Anche se per pochi anni, riuscì ad unire le città di Zancle e Rhegion, odierne Messina e Reggio Calabria. • Al nome di Anassilao è legato il periodo di maggiore potenza militare e politica dell’antica colonia calcidese di Rhegion, a lui si deve la creazione del potente Stato magnogreco dello Stretto che univa politicamente le odierne città di Reggio Calabria e Messina. • Tale Stato, che solo per un breve periodo riuscì a controllare i traffici marittimi, rappresenta storicamente il primo tentativo di ricondurre ad unità politica le due sponde dello Stretto. • Disegno del Tetradramma d'argento di Reggio con l'effige di Anassilao assiso in un carro tirato da 1 o 2 mule. • Dall'altro lato una lepre fuggente con la scritta "REC o RECINON"(468 a.C.) • Morì nel 476 a.C. dopo 18 anni di indiscusso potere, passando alla storia come il primo uomo ad aver unito lo Stretto di Messina sotto un'unica autorità politica. • A Reggio, al tempo della tirannide di Anassila(Anassilao), sorse la scuola pitagorica che portò la città a primeggiare tra tutte le altre città della Magna Grecia SCULTORI - CLEARCO • • • - A Reggio nacque una scuola di scultura che ebbe tra le sue fila Clearco, uno dei massimi esponenti del dopo Fidia. La bottega di Clearco era la più rinomata bottega in bronzo della Magna Grecia considerata alla pari di quella di Fidia ad Atene. A Reggio esisteva una tradizione assai viva nel campo della lavorazione del bronzo. Questa attività raggiunse le vette dell'arte con lo scultore Clearco, discepolo di Eurichio di Corinto e fondatore della scuola, le cui opere erano così note ed apprezzate da essere ospitate anche nei migliori templi della Grecia. Pausania parla di una statua in bronzo di Clearco, rappresentante Zeus Hypatos, conservata nel tempio di Atena Calcica, a Sparta. La singolarirà di quest'opera consisteva nel fatto che la statua non era fusa, ma costituita da tanti pezzi in bronzo inchiodati fra loro, tecnica di lavorazione tanto arcaica da far affermare allo stesso Pausania che la statua di Clearco fosse la più antica opera realizzata in bronzo. - • PITAGORA REGGINO • Nacque nell'isola di Samo; nel 496 a.C., al tempo del tiranno reggino Anaxilas, si trasferì, con altri abitanti di Samo, a Rhegion (l'attuale Reggio Calabria), fiorente città della Magna Grecia; qui fu discepolo del grande maestro Clearco di Reggio. PITAGORA REGGINO , discepolo di Clearco, è annoverato tra i cinque maggiori scultori ellenici del dopo Fidia. Realizzò molte opere in tante polis, da Atene a Siracusa. Fu il primo a tenere in considerazione le proporzioni delle statue e ad avere molta cura di particolari come capelli, arterie e vene. Le caratteristiche della sua arte, descritte dai più rinomati studiosi greci e latini, gli hanno fatto attribuire molti capolavori e supportano la tesi di molti studiosi contemporanei come il più probabile autore dei Bronzi di Riace. Tra le altre opere ricordiamo le statue dell’atleta Astilo e del corridore Imnesco, di Eutimo, Lentisco e Cratillo Mantineo, il bronzo raffigurante il toro che trasportava Europa, figlia di Agenore, la testa di Perseo, conservata al museo di Londra e, quasi certamente, la statua dell’auriga di Delfi, commissionata da Anassila. -. • • • • • • • • • Vissuto nel V secolo a.C. nella colonia calcidese di Rhegion, lo scultore Pitagora è considerato tra i cinque maggiori statuari greci vissuti dopo Fidia, certamente il più grande della Magna Grecia di Calabria. Invero le origini dello scultore sono tutt'ora dibattute, poichè dai riscontri storici non emerge la città natìa, che per la similitudine del nome, qualcuno ritiene possa essere l'isola greca di Samo, da dove proveniva il ben più famoso Pitagora filosofo e matematico. E' certo però che nella Rhegion del V secolo a.C. visse ed operò un famoso scultore di nome Pitagora, discepolo del grande maestro Clearco, anch'egli tra i massimi esponenti della statuaria della Magna Grecia di Calabria. Conosciuto anche col nome di Pitagora il Reggino, egli fu il primo scultore a prendere in considerazione il problema delle proporzioni stilistiche durante la creazione delle statue, introducendo quindi nella scultura greca quel principio di equilibrio e sobrietà già adottato in architettura. Pitagora di Reggio fu anche il primo a curare minuziosamente i particolari delle statue come i capelli, la barba o le vene del corpo. Le caratteristiche del suo lavoro, descritto e ammirato dai più rinomati studiosi greci e latini hanno permesso di attribuirgli molti capolavori scultorei dell'arte greca, tra cui la celebre Auriga di Delfi, oggi conservata presso il Museo Archeologico di Atene, o la celebre Testa di Perseo, conservata al Britsh Museum di Londra. • I capolavori scultorei di Pitagora furono apprezzati subito sin dall'antichità, lo stile armonioso unito alla minuziosa attenzione per i particolari, rendeva le sue sculture unicamente riconoscibili. Plinio il Vecchio, secondo il quale l'arte di Pitagora era superiore a quella di Fidia, così descriveva il lavoro dello scultore reggino: ".. a Siracusa fece poi uno zoppo tale che anche a chi lo guarda sembra di sentire il dolore della sua piaga. Pitagora di Reggio fu il primo a riprodurre i tendini e le vene, e il primo a trattare i capelli con maggiore diligenza di altri, suddividendoli con precisione". • Tra le sue opere certe ci sono le belle statue di atleti come Astilo di Crotone, Eutimo di Locri Epizefiri, il corridore Imnesco, tutte portate ad Olimpia, purtroppo non giunte sino a noi. • Ma la sobrietà delle forme e l'equilibrio perfetto delle strutture oltre che la minuziosa lavorazione di barba, capelli e vene, induce molti studiosi contemporanei a credere che Pitagora di Reggio possa avere scolpito i celeberrimi Bronzi di Riace. SOSTRATO, allievo e nipote di Pitagora reggino IPPI (Hyppis): storico,oratore, poeta • IPPI(Hyppis), oratore e poeta, è lo storico greco di Reggio che per primo analizzò e riportò i dati storici dell'occidente ellenico. • La sua collocazione nel tempo la si può ricavare da quanto riporta la Suida, che lo inquadra in piena attività di storiografo durante le guerre persiane del V secolo a.C. [ La Suida (o Suda) è un lessico enciclopedico, compilato intorno al 1000 sulla base di fonti precedenti. Si era pensato che “suda” fosse il nome dell'autore, ma oggi si ritiene sia il titolo dell'opera, nel significato di 'roccaforte' (del sapere), tratto dal latino. E' il più vasto lessico greco che ci sia pervenuto, un'enciclopedia generale articolata in circa 30 mila voci, ordinate alfabeticamente, e attinenti a tutte le discipline: geografia, storia, letteratura, filosofia, scienze, grammatica, usi e costumi, ecc.] • Gli vengono attribuiti il trattato “Colonizzazione dell'Italia”, da intendersi Italia greca, cioè la Calabria e la Sicilia, due lavori dedicati alla Sicilia e dei racconti in prosa. • Il tempo ci ha consegnato pochi frammenti dell'opera storiografica pur vasta del reggino. • • • • • Nell’etica della dottrina pitagorica trovò fondamento la Scuola Lirica di Reggio, che vantò la creazione di un nuovo mondo poetico, pieno di luce e di incanto, intriso di finalità spirituale che innalzò la poesia ad un livello superiore, attribuendo alla Scuola una posizione di rilievo nei confronti delle altre. A dar lustro alla scuola sono stati soprattutto Toagene, Glauco e Ibico. Di Toagene, critico letterario, non esistono opere originali in versi, ma fu, comunque uno dei più antichi interpreti di Omero, nel cui poema egli ravvisò numerose allegorie. Si dà per certo che fu cittadino di Reggio, mentre non si hanno notizie attendibili riguardo l’anno di nascita che, secondo alcuni, si aggira intorno al 529-522 a. C. Con l’opera “Intorno agli antichi musici e poeti”, Glauco lasciò ai posteri un prezioso documento. I pochi frammenti che sono pervenuti sono sufficiente testimonianza della fama da lui raggiunta nella poesia, nella musica,e nel canto, che gli ha consentito di essere considerato il poeta più vicino a Ibico, che, a sua volta, fu il più grande rappresentante della Scuola Lirica, uno dei maggiori lirici della Grecia, i cui versi furono tenuti in così tanta considerazione da essere oggetto di studio da parte dei giovani. Ibico raggiunse il massimo splendore in Reggio, sua cittadina natale, nella prima metà del V secolo a. C. Pare che abbia scritto 60 libri in versi, in lingua dorica, molto vicini, per sentimento e metrica, a quelli di Anacreonte, conosciuto dal poeta alla corte di Policrate. POETI - TEAGENE Nato in una data imprecisata tra il 529 a.C. e il 522 a.C., fu il primo esegeta dell'Odissea e il primo critico letterario in assoluto. Teagene curò il testo di Omero e ne diede un’interpretazione razionalistica, assolutamente nuova, assimilando gli dei alle forze della natura. Franco Mosino, noto grecista reggino, cogliendo singolari coincidenze, tra le quali la contemporaneità tra l’Odissea e la fondazione di Reggio, la presenza a Reggio di Teagene, primo esegeta dell'Odissea e le incongruenze che fanno credere all'opera di due diversi autori di Iliade e Odissea, arriva ad affermare che l’Odissea non sarebbe altro che il romanzo delle avventure lungo lo Stretto di Messina dei Calcidesi che fondarono Reggio. IBICO • • • IBICO poeta greco di Reggio del VI secolo a.C., di famiglia aristocratica, ha vissuto alla corte di Policrate (o del padre di lui, Eace) a Samo, finché questi venne ucciso dai persiani nel 522. Il poeta viaggiò così per la Magna Grecia in cerca di altre corti. Secondo la leggenda, la sua morte, seppure avvenuta in tarda età, avvenne per mano di ladroni, i quali vennero scoperti per l'intervento di uno stormo di gru. La leggenda nasce forse per l'analogia tra il nome del poeta ed il nome, appunto, di una specie di gru. Le sue composizioni poetiche celebrative - restano 100 frammenti di poesie, tra i quali un lungo encomio al figlio di Policrate - secondo gli antichi compilatori erano riunite in sette libri, si trattava di carmi lirici di contenuto eroico (encomii) e poesie d'amore sopratutto in lode della bellezza degli efebi. • Il contenuto della lirica di Ibico è essenzialmente erotico tanto da essere accusato corruttore della gioventù. Cantò la dea Diana, venerata a Reggio e, secondo alcuni storici, fu inventore di uno strumento musicale, di forma triangolare, chiamato ibicino. • Cicerone lo lodò, considerandolo il poeta d’amore più ardente tra tutti i poeti della Calabria e della Magna Grecia. • Il contenuto della lirica di Ibico è essenzialmente erotico tanto da essere accusato corruttore della gioventù. Cantò gli amori di Talo e di Radamanto, gli eroi della guerra di Troia, la dea Diana, venerata a Reggio e, secondo alcuni storici, fu inventore di uno strumento musicale, di forma triangolare, chiamato ibicino. • La vita del grande poeta si perde spesso nei meandri della mitologia tanto da far sorgere, in alcuni, dubbi sulla sua esistenza. • Si innamorò di Nereide, una giovane ateniese, promessa però in sposa, dal padre, al ricco Euforione. • La giovane, che contraccambiava l’amore di Ibico, fingendosi consensiente al desiderio del padre, cercò in tutti i modi di rimandare la celebrazione delle nozze • • • • • • • Un atteggiamento di collera di Euforione verso uno schiavo che aveva rotto un vaso fece venir meno il matrimonio, mentre Ibico, su consiglio di Nereide si recò dall’oracolo Anfiarao, dio dei sogni, per chiedere la guarigione di un male agli occhi e per avere notizie sul suo futuro. Giunto al tempio, Ibico ottenne la guarigione dopo aver strofinato gli occhi con l’acqua della fontana di Anfiarao, ma non buon auspici per il matrimonio. Ibico, non curante del parere dell’oracolo, partì per Atene per sposare la giovane , ma smarritosi nell’aperta campagna, fu trucidato dai ladroni. Sempre secondo la leggenda, invocò, prima di morire, la testimonianza di uno stormo di gru che era di passaggio nel tragico momento. Fu facile arrestare e condannare a morte gli assassini, che nel mercato di Atene, vedendo passare le gru, le additarono ai loro amici come i testimoni di Ibico. Non è da trascurare l’importanza avuta da Cleomene, un altro poeta reggino, anche se non ha fatto parte della Scuola Lirica di Reggio. Fu contemporaneo e amico di Alessandro Magno, al quale, sembra abbia scritto delle lettere in cui non tratta di poesia ma di bagordi. Anche se di lui non sono giunti frammenti, viene ricordato come autore di ditirambi, di un commento al poema di Esiodo e di qualche biografia dello stesso. • GLAUCO, di lui si conosce l'opera “Intorno agli antichi musici e poeti”, di cui purtroppo conserviamo solo pochi frammenti. - CLEOMENE fu contemporaneo e amico di Alessandro Magno. Delle sue opere non ci sono giunti frammenti, viene ricordato come autore di ditirambi, di un commento al poema di Esiodo e di biografie dello stesso. Tra i personaggi della Magna Grecia di Calabria, la poetessa Nosside di Locri fu certamente l'unica donna illustre e famosa. Amò spesso definirsi l'unica poetessa d'Occidente come Saffo lo era stata potessa d'Oriente. • O straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti per cogliere il fiore delle grazie di Saffo, dì che io fui amica delle Muse, che nacqui a Locri e sai che il mio nome è Nosside". Le poche note biografiche sulla vita e sulla poesia di Nosside, la più grande poetessa della Magna Grecia, vissuta a Locri Epizefiri tra il IV ed il III secolo a.C. sono contenute proprio nell'ultimo dei dodici epigrammi di questa autrice, giunti fino a noi tramite l'Antologia Palatina, ed ancor prima raccolte da Meleagro nella sua Corona. I dodici epigrammi, unici frammenti di una produzione poetica presumibilmente assai vasta se la stessa autrice si vanta di essere "l'unica poetessa d'Occidente, come Saffo lo era stata di Oriente", bastano a testare la grandezza di Nosside e, di riflesso, la straordinaria importanza, per la civiltà occidentale, della colonia locrese. Fu infatti Locri Epizefiri la prima civiltà dell' Occidente ad avere un codice di leggi scritte, la cosiddetta legislazione di Zaleuco, ma fu anche notevole centro di attività culturali ed artistiche in cui le donne ebbero un grande ruolo, come attesterebbero le tracce di matriarcato e di prostituzione sacra nei suoi ordinamenti. In questo straordinario clima culturale, fiorirono in Locri Epizefiri, già nel V secolo a.C. fenomeni letterari e poetici, come attesta Pindaro nella II Pitica, che assegna alla colonia locrese la produzione di "canti delle vergini". La produzione di Nosside s'innesta in questa tradizione ma, nello stesso tempo, se ne distacca, sia per l'impostazione filosofica dei suoi versi, sia per la tecnica espressiva. Emerge evidentemente, dalla lettura degli epigrammi superstiti, l'intenzione di Nosside di emulare Saffo, la più celebre poetessa greca, vissuta a Lesbo tra il VII ed il VI secolo a.C. La poesia di Nosside è, come quella saffica, un inno alla vita e all'amore. Se Saffo aveva affermato: "Alcuni dicono che la cosa più bella sulla terra sia un esercito di cavalieri, alti di fanti, altri di navi, ma io dico che la cosa più bella è ciò di cui uno si innamora", Nosside, in una poetica vigorosa, rincarava: "Nulla è più soave dell'amore, ma ogni altra delizia è seconda, anche il miele sputo dalla bocca". Le rose sono i fiori di Afrodite ed il confronto con gli altri valori della vita è espresso, in modo deciso e certamente efficace, dalla supremazia dell'amore nei confronti dello stesso miele che era considerato cibo degli dei. Negli altri epigrammi e nelle dediche in essi contenute, si rivelano altri aspetti della cultura locrese e del ruolo straordinario che le donne ebbero in quella colonia: il matriarcato, il culto di Afrodite e quello di Hera, la prostituzione sacra, l’uso di offrire alla dea i Pinakes, le tavolette votive in uso a Locri nel V secolo a.C. LEGISLATORI REGGINI • Tra i cittadini illustri della Reggio della Magna Grecia, si annoverano coloro che si distinsero nella formulazione delle leggi destinate non solo ai propri concittadini, ma anche alle popolazioni delle altre città della famosa Regione. Dei legislatori reggini si conoscono solo sei nomi, ma non è da escludere che ce ne siano stati molti altri, ai quali non si attribuisce la cittadinanza reggina in quanto divenuti, per vari motivi, famosi in località diverse dalla natia. - ANDRODAMO, Primo in ordine cronologico. Secondo quanto detto da Aristotile nel secondo libro della Politica, egli scrisse leggi per i Calcidesi che vivevano nella Tracia. L’unica sua opera giunta ai posteri è una raccolta di leggi intitolata “ De caede et de haereditatibus”. - TEETETO, filosofo e legislatore che visse Intorno alla centesima Olimpiade. Secondo alcuni critici storici fu amico di Platone il quale gli intitolò il libro primo della Scienza. - ELICAONE e FITIO, Ancora meno notizie si hanno di Elicaone e di Fitio citati da Giambico, iniziatore del neoplatonismo, nel suo libro “De secta Pythagoreorum”, come fondatori delle Repubbliche Reggine, poiché ebbero il compito di procedere alla riforma delle leggi e degli ordinamenti che venivano superati di volta in volta dal succedersi degli eventi. Altri due illustri filosofi e legislatori Reggini furono ARISTOCRATE, di cui si tratta in un capitolo della vita di Pitagora di Giambico, e IPPARCO che, vissuto intorno al 380 a. C., venne espulso dalla Scuola Pitagorica per aver reso noti i segreti della scuola stessa. Per questo motivo fu considerato morto prima di esserlo e gli fu dedicata una colonna sepolcrale. Anche Liside con una sua lettera lo rimproverò, dopo l’espulsione, pregandolo di essere diverso perché anche lui non fosse costretto a considerarlo morto.Di lui Stobeo ha lasciato molte sentenze relative alla sua personalità e alla sua onestà. • • • • • • • • Tra i cittadini illustri della Reggio della Magna Grecia, si annoverano coloro che si distinsero nella formulazione delle leggi destinate non solo ai propri concittadini, ma anche alle popolazioni delle altre città della famosa Regione. Dei legislatori reggini si conoscono solo sei nomi, ma non è da escludere che ce ne siano stati molti altri, ai quali non si attribuisce la cittadinanza reggina in quanto divenuti, per vari motivi, famosi in località diverse dalla natia. Primo in ordine cronologico, pare sia stato Androdamo. Secondo quanto detto da Aristotile nel secondo libro della Politica, egli scrisse leggi per i Calcidesi che vivevano nella Tracia. L’unica sua opera giunta ai posteri è una raccolta di leggi intitolata “ De caede et de haereditatibus”. Intorno alla centesima Olimpiade visse l’altro filosofo e legislatore Teeteto. Secondo alcuni critici storici fu amico di Platone il quale gli intitolò il libro primo della Scienza. Ancora meno notizie si hanno di Elicaone e di Fitio citati da Giambico, iniziatore del neoplatonismo, nel suo libro “De secta Pythagoreorum”, come fondatori delle Repubbliche Reggine, poiché ebbero il compito di procedere alla riforma delle leggi e degli ordinamenti che venivano superati di volta in volta dal succedersi degli eventi. Altri due illustri filosofi e legislatori Reggini furono Aristocrate, di cui si tratta in un capitolo della vita di Pitagora di Giambico, e Ipparco che, vissuto intorno al 380 a. C., venne espulso dalla Scuola Pitagorica per aver reso noti i segreti della scuola stessa. Per questo motivo fu considerato morto prima di esserlo e gli fu dedicata una colonna sepolcrale. Anche Liside con una sua lettera lo rimproverò, dopo l’espulsione, pregandolo di essere diverso perché anche lui non fosse costretto a considerarlo morto. Di lui Stobeo ha lasciato molte sentenze relative alla sua personalità e alla sua onestà. Zaleuco • Nonostante la straordinaria importanza per tutta la cultura occidentale, di Zaleuco sappiamo veramente molto poco. Egli, nativo della colonia di Locri Epizefiri, fu senza dubbio il primo legislatore del mondo occidentale, ad aver creato un codice scritto di leggi e pene, citato da diversi storici antichi tra cui anche Strabone. Se lo storico Eusebio colloca cronologicamente la nascita di Zaleuco tra il 663 ed il 662 a.C. oggi alcuni studiosi ne mettono in dubbio la reale esistenza. In particolare il Bentley ritiene che il nome stesso Zaleuco, potrebbe significare "il luminoso", e sia da riferire ad una divinità, che avrebbe donato ai locresi il primo codice scritto, che comunque è certo sia nato a Locri Epizefiri. A parte la dicutibile tesi del Bentley, che parte da una semplice analisi etimologica, alquanto discutibile anch'essa, l'importanza di Zaleuco sta non nella sua vita, ma nel codice di leggi scritte, che purtroppo non è giunto a noi, ma che era conosciuto nel mondo antico anche e sopratutto dai romani. Lo stesso Cicerone nel suo "De Legibus" cita esplicitamente Zaleuco come padre del primo codice occidentale di leggi scritte, codice in vigore nella città di Locri Epizefiri. L'importanza di questo codice è davvero notevole in quanto, per la prima volta, le leggi venivano scritte e quindi venivano sottratte all'arbitrario uso che ne facevano i magistrati nei tempi antichi. Questa novità, fortemnente democratica, viene sottolineata da Strabone, il quale affermava che "mentre prima si affidava ai giudici il compito di determinare la pena per ciascun delitto, Zaleuco la determinò nelle Leggi stesse". Quelle locresi venivano considerate leggi moderne e democratiche che in alcuni casi precorrevano i tempi di molti secoli, come nel divieto espresso di possedere schiavi, vigente nella città di Locri Epizefiri. Altre invece erano espressione della civiltà locrese, come la regolamentazione della prostituzione sacra, o l'uso della matrilinearità nella discendenza nobiliare. Purtroppo il corpus delle leggi di Zaleuco non si è conservato sino ai nostri giorni, ed oggi conosciamo ne solo alcune grazie al fatto che ci sono state tramandate, attraverso la loro citazione, in opere di autori e storici antichi quali Cicerone e Polibio. La natura democratica delle leggi di Zaleuco, consentì alla città di Locri Epizefiri di prosperare a lungo. Alcmeone di Crotone • Padre fondatore della medicina antica, e del metodo scientifico della ricerca, Alcmeone fu certamente fra i personaggi più illustri di tutta la Magna Grecia, scoprendo nel cervello il centro motore delle attività umane • Crotone città della medicina! Qui nacque la scienziato magnogreco Alcmeone, scopritore del nervo ottico e della tromba di Eustachio (un condotto che collega l'orecchio medio alla faringe). L'importanza della medicina dell'antica grecia è tale che ancor'oggi i giovani medici proferiscono il Giuramento di Ippocrate (altro medico ellenico) per vincolare il loro operato al rispetto dei principi della scienza e della salvaguardia della vita. Tra le sue varie dottrine, due sono le più importanti: 1) Strettamente legata alla dottrina pitagorica, era la concezione di salute e malattia. Per elaborare questa teoria, egli studiò accuratamente il corpo umano e lo interpretò in analogia con il funzionamento della politica. Per lui infatti malattia e salute corrispondevano a due precise situazioni politiche. La salute corrispondeva alla democrazia (più in particolare Alcmeone parla di "isonomia", uguaglianza di leggi), mentre la malattia alla monarchia. Come nel corpo si ha la salute quando c'è un equilibrio tra gli organi, così nella politica per Alcmeone c'è la democrazia quando tutte le parti sono in equilibrio e tutte possono dire la loro. Invece, così come nel corpo umano c'è una malattia quando un organo prevale sugli altri impedendo loro di agire, così nella politica si ha la monarchia quando prevale un individuo sugli altri e viene a rompere l'equilibrio. 2) Molto interessante fu anche la sua teoria su quale fosse l'organo principale del nostro organismo: fu il primo a rispondere che era il cervello, avanzando così un'ipotesi enfalocentrica. Generalmente si era creduto che l'organo fondamentale fosse il fegato o il cuore, mentre il cervello non fu mai preso in considerazione perchè è un organo insensibile. E' interessante notare come Aristotele credesse che il cervello fosse un organo di raffreddamento e fu sostenitore della teoria cardiocentrica. Alcmeone fece accurati esperimenti su animali e scoprì i nervi che collegavano il cervello ad altri organi vitali (per esempio agli occhi) e ipotizzò che svolgesse la funzione di coordinamento delle mansioni sensitive. Così Alcmeone fu il primo a dire che il cervello fosse l'organo più importante Pitagora di Samo • Pitagora di Samo, fondatore della scuola pitagorica, a cui appartennero: Filolao di Crotone, Alcmeone di Crotone, Archita di Taranto, Timeo di Locri • Pitagora di Samo Pitagora Filosofo originario di Samo, Pitagora, scelse Crotone, celebre per l'atletismo e la sua scuola medica, come sede del suo esilio dalla patria nel 530-29 a.C., per sfuggire al tiranno Policrate. Nella città achea, prostrata dopo la disastrosa guerra con Locri, ridiede vigore alla cittadinanza con un intensa attività filosofica, politica, educativa e moralizzatrice. Il suo insegnamento, tuttavia, era rivolto ad una cerchia ristretta di discepoli - scelti dopo tre anni di osservazione di vari fattori (estrazione familiare, comportamenti ed altro) che formavano così una setta filosofico-religiosa improntata a rigida disciplina ed insegnamento esoterico e in cui vigeva una sorta di carattere ascetico nella regola di vita da cui era bandita qualsiasi intemperanza e che faceva sua la regola del silenzio totale e prescrizioni rituali anche nell'alimentazione (celebre era il divieto di mangiare le fave). La dottrina pitagorica influenzò anche il governo della città tanto da portare alla guerra con Sibari, governata da un tiranno. Il problema della gestione della Sibaritide e del suo impero sottomessi da poco e il malcontento di una parte dei Crotoniati alimentarono una sommossa guidata dall'aristocratico crotoniate Cilone, nominato esarca dei Sibariti (cioè governatore). Pitagora in questa occasione fuggì da Crotone mettendosi in salvo a Metaponto (o forse era già lì o addirittura fuori della Magna Grecia). Nella città della Lucania il filosofo avrebbe condotto gli ultimi anni della sua vita e dopo la sua morte (497/6 a. C.) la sua casa fu trasformata in tempio. • Tra i filosofi pitagorici reggini ricordiamo: Pitone, cittadino di Reggio vissuto al tempo di Dionigi, tiranno di Siracusa. • Trovandosi egli esule a Siracusa, fu avvicinato dal Tiranno con l’obiettivo di far leva su di lui per conquistare Reggio. • Ma il filosofo avvisò i Reggini esortandoli a scagliare pietre e frecce anche contro di lui che era stato posto in prima linea su una macchina costruita per espugnare la città. Furono così respinte le truppe di Dionigi, il quale considerò il sacrificio del filosofo segno di ingratitudine per chi lo aveva ospitato. • Altro filosofo pitagorico reggino, considerato padre adottivo del poeta tragico Licofrone, fu Butera Lico, che, pare, sia stato ucciso per gli inganni tramati da Demetrio Falereo. • Non meno noto il filosofo Ippone, accusato di ateismo anche dallo stesso Aristotile, forse a causa del modo di vivere corrotto che conduceva. • Filosofo, oratore, storico e poeta fu Ippi, vissuto ai tempi di Dario e Serse, autore di una storia sulla Sicilia, di un trattato sulle origini italiche e di tre libri di dicerie oziose. • Nessuna traccia è rimasta dei precetti morali di cui fu autore il filosofo reggino Astilo, mentre dei filosofi pitagorici Aristide, Atosione, Opsimo, Euticle e Mnesibolo conosciamo solo i nomi ATLETI • Astylos • Astylos è un atleta famoso perché fu l'ultimo vincitore crotoniate ad Olimpia nel 480 a.C. e perché rinnegò la sua città di origine nelle due ultime olimpiadi. Vinse la prima volta nel 488 a.C. e nuovamente nel 484 ed infine nel 480 a.C., nelle specialità stadio (corsa di circa 190 m) e diaulos (corsa doppia). Inoltre in almeno una occasione vinse anche nell'oplite. Rinomato per lo stile di vita tenuto negli allenamenti, per le sue vittorie gli fu eretta una statua in bronzo, dell'artista di Pitagora di Samo (che svolse la sua attività a Reggio, dove si era trasferito). Nel corso delle due ultime vittorie Astylos si dichiarò siracusano, forse per compiacere Ierone (Pausania VI, 13, 1). A tale notizia i suoi concittadini confiscarono la sua casa e la trasformarono in un carcere ed distrussero la sua statua nel santuario di Hera Lacinia. Eutimo di Locri Epizefiri • Eutimo, figlio di Asticle, fu un valoroso atleta locrese vincitore di tre Olimpiadi nella categoria del pugilato. La sua fama era conosciuta in tutto il mondo ellenico, come avveniva per i pluriolimpionici, e la sua città natia, Locri Epizefiri, gli fece erigere una sua statua presso Olimpia, venerandolo come fosse un eroe della mitologia antica. Pausania, infatti ci tramanda una leggenda secondo la quale i locresi credevano che Eutimo fosse figlio del fiume Cecino, che all'ora divideva il territorio della città di Locri Epizefiri con quello di Rhegion. Dunque Eutimo vinse tre Olimpiadi non consecutive, la prima fu la LXXIV Olimpiade del 484 a.C. ma in quella successiva il pugile locrese venne sconfitto da Teagene di Taso, il quale secondo Pausania, nelle Olimpiadi del 472 e 476 a.C. si rifiutò di combattere contro Eutimo per volontà divina, concedendogli quindi la vittoria. La leggenda più famosa del pugile Eutimo vuole che gli abitanti di Temesa, colonia fondata da Locri Epizefiri, chiesero aiuto ai locresi per liberarsi da un mostro che pretendeva ogni anno il tributo di una vergine tra le più belle della città. Pausonia ce la racconta in questi termini: "Dicono che Ulisse vagando dopo la presa di Troia approdasse per azione dei venti in diverse città d’Italia e di Sicilia, e giunse anche a Temesa con le navi; uno dei suoi marinai, ubriaco, violò una vergine, e per questo delitto venne lapidato dagli abitanti. Ulisse non tenendo in alcun conto la sua perdita ripartì, ma l'anima dell'uomo lapidato continuamente uccideva gli abitanti di Temesa e infuriava contro ogni età, finché la Pizia, mentre non permetteva loro di lasciare del tutto l’Italia, come intendevano, ordinò di placare l'eroe riservandogli un recinto sacro ed edificando un santuario, e consacrandogli ogni anno la più bella delle vergini di Temesa". Eutimo, venne chiamato a Temesa per salvare la vita di una bellissima vergine, della quale il pugile stesso si innamorò a prima vista. Egli partì dalla sua Locri Epizefiri e giunse a Temesa, qui scese giù dal mostro e vincendolo in duello lo costrinse a liberare la città dal tributo di sangue. Un'altra leggenda sulla vita di Eutimo, raccontata solo da Pusania, vuole il pugile locrese vissuto addirittura sino all'epoca augustea, qualcosa come 400 anni. MILONE DI CROTONE Diretto discendente della stirpe di Eracle e pugile imbattuto per oltre venti anni, Milone fu l'atleta più illustre di tutta la Grecia antica. Vinse 5 Olimpiadi, 10 gare Istmiche, 9 gare Nemee e 6 volte i giochi Pitici. Tra i personaggi più illustri della Magna Grecia e certamente l'atleta più forte di tutti i tempi, il grande Milone fu pugile e lottatore imbattuto per oltre vent'anni. Nato e vissuto nell'antica Kroton del VI secolo a.C. grazie alle sue gesta sportive e non, divenne tra gli uomini più influenti del gruppo aristocratico che governava la città di Miscello. Il suo dominio sportivo cominciò nel 540 a.C. quando vinse la sua prima olimpiade nella lotta categoria ragazzi, seguirono 5 vittorie olimpiche consecutive nella gara del pugilato, fino all'ultima del 516 a.C. nella quale il suo avversario rifiutò di combattere, per celebrare la gloria di un uomo a cui gli dei diedero in dono la forza e la disciplina. Milone vinse anche per 10 volte le gare Istmiche, 9 volte le Nemee e 6 volte i Giochi Pitici di Delfi che si tenevano in onore di Apollo. Tanta gloria rese Milone uno dei personaggi più illustri e famosi del mondo antico, conosciuto ovunque per la sua proverbiale forza e considerato eroe leggendario appartenente alla stirpe degli Eraclidi, discendente diretto di Eracle. La sua forza proverbiale salvò l'intero gruppo aristocratico guidato da Pitagora che governava la potente città di Kroton. In occasione di un terremoto che colse il gruppo dirigente mentre era in riunione proprio in casa del filosofo samio, Milone si sostituì ad una colonna spezzata dal sisma reggendo sulle sue spalle il soffitto dell'abitazione per quei minuti necessari a sgomberarla completamente salvando i convenuti. Milone fu comandante dell'esercito crotoniate in occasione della famosa battaglia contro i sibariti del 510 a.C. che sancì la sconfitta e la distruzione dell'opulenta colonia di Sybaris. Milone vestito a mò di Eracle, con la clava e la pelle di leone sulle spalle, guidò l'esercito crotoniate verso una delle vittorie più schiaccianti della storia antica. Persino Democede, crotoniate e medico personale del re Dario di Persia, per tornare a casa contro il parere del re persiano, sposò in tutta fretta una figlia di Milone, costringendo Dario a desistere dai suoi piani. La storia di Milone si fonde spesso con la leggenda, tramandata da autori tardo-ellenistici come Ateneo, Luciano e Porfirio. Una di queste vuole Milone dopo la vittoria ad Olimpia, caricarsi sulle spalle un toro di quattro anni, e dopo un giro completo di stadio, divorarlo tutto fino all'ultimo boccone. Nell'antica Grecia il grande appetito era sinonimo di forza sovrumana, e Milone di fame doveva averne davvero tanta. Intorno alla sua morte la leggenda narra di un grosso albero di ulivo sezionato da un fulmine, posto nel bosco sacro di Hera sul promontorio lacinio. Milone, un po invecchiato, infilò le mani per divaricarne il tronco, ma abbandonato dalle forze l'Olimpionico rimase bloccato e finì dilaniato dalle belve feroci. Nel museo del Louvre una statua lo ritrae mentre viene divorato da un leone. • Chi è stato il più grande atleta italiano di tutti i tempi? Forse qualcuno si sorprenderà, ma noi incoroniamo Milone di Crotone! Milone (circa 555-500 a.c.) infatti, è stato il più celebre lottatore dell’antichità. La sua specialità era il pancrazio: il termine (dal greco pan = tutto e kràtos = potere, forza) significa “intera forza (del corpo)”. Apparve per la prima volta come disciplina olimpica nel 648 a.C. ed era un misto di lotta e di pugilato; i combattenti erano a mani nude e potevano usare quasi tutti i mezzi per superarsi: sgambetti, proiezioni, leve articolari, pugni e calci. Non mancavano neppure: ginocchiate, gomitate, unghiate, morsi ed acrocorismo (torsione e rottura delle dita delle mani) e non di rado gli incontri si concludevano con la morte di uno dei due atleti • Milone nasce e vive nella colonia di Crotone nella Magna Grecia, cittadina che darà i natali a molti atleti olimpici dell’antichità. Questo formidabile atleta, per la sua longevità sportiva, non è stato eguagliato neppure dai professionisti moderni: partecipò infatti per ben 28 anni alle Olimpiadi risultando sempre vincitore. Il suo palmarès è davvero impressionante: tra il 540 e il 512 a.c. vinse per sette volte le Olimpiadi; la prima volta già da ragazzino, a poco più di 15 anni, quando si aggiudicò la 60a Olimpiade nella lotta, categoria fanciulli. In seguito fu campione assoluto di pancrazio dalla 62a alla 67a edizione ininterrottamente. Vinse anche molte altre importanti competizioni: sei volte i giochi Pitici a Delfi, dieci volte i giochi istmici a Corinto e nove volte i giochi a Nemea. Un curriculum davvero eccezionale, in virtù del quale ottenne per cinque volte il titolo di periodonikes, cioè vincitore nell’anno in tutte le quattro manifestazioni del circuito panellenico: una sorta di Grande Slam dell’antichità. Si aggiudicò inoltre moltissime altre gare locali divenendo, oltre che campione assoluto, anche ricchissimo, e soprattutto celebre in ogni luogo; si pensi solo che il famoso medico dell’antichità Democede, anch’esso crotoniate, si vantò con il re Persiano Dario di aver sposato la figlia di Milone, sapendo che Milone era stimato anche dal Re dei Re di Persia. Nelle competizioni Milone non aveva avversari e molte volte vinceva senza gareggiare, tale era la paura di chi lo doveva affrontare. Le sue tecniche erano tutte di forza e di potenza e i sollevamenti con proiezioni violente al suolo erano la sua specialità. Era un esperto nella lotta corpo a corpo in piedi e nessuno lo riusciva a farlo cadere. Le sue prese ai polsi e al collo erano delle morse che causavano disorientamento e confusione negli avversari. • LE LEGGENDE L’immensa fama di cui godette è testimoniata dalla lunga serie di leggende che fiorirono sul suo conto e che lo scrittore Pausania raccolse accuratamente in un simpatico repertorio. Teniamo conto che Pausania (Viaggio in Grecia VI, 14, 2-3) scrive nel II secolo d.C., quindi ben ottocento anni dopo Milone: eppure Milone era un personaggio talmente radicato nella tradizione orale greca, che svariati autori nel corso dei secoli successivi lo citano come un personaggio noto a tutti, e narrano aneddoti che lo riguardano. I crotoniati gli eressero una statua ad Olimpia, opera dello scultore-tifoso Dameas: Milone era rappresentato su un disco unto di olio, con i piedi uniti, un melograno nella mano sinistra e cinto da una benda sulla fronte. Questi attributi hanno un significato ben preciso: il disco oliato rappresenta il suo senso dell’equilibrio perfetto, perchè niente al mondo poteva farlo cadere al suolo; il melograno nessuno poteva toglierglielo, neanche cercando di sollevare le singole dita, tanto era la forza di questo campione; e la benda si diceva che Milone riuscisse a romperla solo gonfiando le vene del capo. Il geografo greco Strabone ci racconta anche di una volta che durante una riunione, crollò il soffitto e Milone lo sorresse fino a quando tutti si salvarono. Come ogni eroe anche il nostro atleta vide la parabola discendente della sua carriera: si dice che ormai maturo, Milone abbia sfidato un pastore per vedere chi era il più forte. Il pastore Titorno sollevò una pietra pesantissima e la scaraventò lontano, Milone cercò di fare altrettanto ma vide che non riusciva ad alzare la pietra neanche alle ginocchia e allora esclamò: “O Zeus, generasti forse un altro Ercole?”. • L’ALIMENTAZIONE E L’ALLENAMENTO • Numerose sono le leggende riguardanti l’appetito insaziabile del campione. Si narra che, ad Olimpia, Milone che abbia lottato e poi ucciso un toro di quattro anni e poi se lo sia caricato sulle spalle, portandolo per un intero giro dello stadio, e che se lo sia mangiato tutto nello stesso giorno. Lo scrittore Ateneo di Naucrati racconta anche che, in uno stesso giorno, Milone aveva ingurgitato più di dieci chili di carne e bevuto più di dieci litri di vino. Tutto ciò potrebbe apparire frutto di pura fantasia e del gusto tardo-ellenistico per l’aneddoto curioso e sensazionale, però, a un’analisi più attenta, la ghiottoneria di Milone, da un lato, si rivela un espediente di matrice letteraria che intende collegare la sua figura a quella mitica di Eracle. Infatti, Eracle è una figura costantemente connessa al mondo sportivo greco, nonché emblema mitico della forza e della vigoria fisica, e numerosi sono anche gli aneddoti sulla voracità di Eracle. Da un punto di vista più pratico invece, l’introduzione da parte degli atleti crotoniati come Milone della carne nella loro dieta, fu estremamente importante. Oggi è scontato, ma allora fu un’innovazione rivoluzionaria, probabilmente fatta seguendo le indicazioni di Pitagora (proprio quello del teorema!) che visse a Crotone in quegli anni fondando la sua famosa scuola. Infatti la carne era alla base delle prescrizioni dietetiche fornite dal filosofo all’atleta Eurimene di Samo, al quale aveva consigliato una particolare alimentazione ricca di proteine animali al posto della dieta allora tradizionale a base di fichi e formaggio. In più Milone e la scuola crotoniate introdussero per primi anche il cosiddetto allenamento con sovraccarico: Milone infatti sin da ragazzo prese a sollevare un vitellino e man mano che i giorni passavano il vitello cresceva e anche i muscoli di Milone si adattavano al maggior peso. Questi primi elementari accorgimenti di allenamento e dieta sportiva, resero la piccola e lontana colonia di Crotone la più forte scuola sportiva greca dopo quella di Sparta. • CONDOTTIERO E L’UOMO POLITICO Ma Milone non è stato solo un grande lottatore: dopo il ritiro dalle gare fu anche un condottiero militare, che guidò la sua città Crotone, alla vittoria nello scontro con la vicina Sibari (510 a.C.): in questa occasione ci viene presentato dalle fonti (Diodoro Siculo, Biblioteca storica) munito proprio degli attributi di Eracle: la pelle di leone e la clava, prova che la percezione a livello popolare del personaggio doveva essere quella di un eroe eccezionale. Esponente di punta dell’aristocrazia di Crotone, Milone ebbe un ruolo importante anche nella vita religiosa e culturale della città: sacerdote presso il santuario di Era, si interessò anche di cultura e politica. Discepolo del filosofo e matematico Pitagora, la sua casa divenne punto d’incontro sia della scuola pitagorica che delle riunioni cittadine. La notizia del matrimonio con la figlia di Pitagora, benché probabilmente leggendaria, conferma comunque la grande familiarità che esistette tra i due. • MORTE La morte di Milone fu sicuramente particolare e sfortunata, secondo il racconto dello scrittore latino Aulo Gellio (Notti attiche, XV, 14): “Milone di Crotone, famoso atleta, che le cronache riportano essere stato incoronato per la prima volta nella 62° olimpiade, finì la propria vita in modo miserevole e strano. Mentre egli era già avanti negli anni e aveva abbandonato l’arte atletica, camminando da solo in luoghi boscosi d’Italia, scorse presso la via una quercia che nella parte media era spaccata da una fenditura. Allora, penso, per voler provare se gli fossero rimaste delle forze, introdusse le dita nella cavità dell’albero, tentando di spaccare e squarciare la quercia. Egli riuscì infatti a spaccare e svellere la parte mediana; ma la quercia, spaccata in due parti, quando Milone, credendo di aver raggiunto lo scopo che si era prefisso, rilasciò le mani, per esser cessata la pressione, riprese la primitiva posizione, trattenne e imprigionò le sue mani, essendo di nuovo unita e stretta; ed espose così quell’uomo a essere fatto a pezzi dalle belve.”