Lezione III
Preservanti
Sterilizzazione
Prodotti Cosmetici
Test Animali
Liofilizzazione
Il problema della conservazione delle preparazioni farmaceutiche e cosmetiche è alquanto
complesso.
Tale complessità è accresciuta dal gran numero di problemi che si pongono per ogni diversa
formulazione, dato che ogni caso presenta delle caratteristiche particolari che sono in
relazione con diversi fattori. Tra questi possiamo ricordare:
A) La forma del preparato:
- soluzione
- emulsione
- unguento
- polvere
- massa lipoidea
B) Fattori che influenzano la crescita di microorganismi:
-sostanze nutritive
-grado di umidità
-pH, temperatura
Ecc.
C) Fattori che influiscono sull’ efficacia del conservante
- Concentrazione del preservante
- natura della contaminazione (tipo di microorganismo)
- presenza di sostanze incompatibii o inattivanti
- Presenza di componenti i quali siano già di per sé microbiostatici od antiossidanti
- Purezza delle materie prime, pulizia delgi apparecchi e dei locali di produzione.
Per quanto siè detto è evidente che l’ alterazione può dipendere da cause fisiche,
chimiche, microbiologiche, ed enzimatiche.
L’ evidenza dell’ alterazione può essere accertata organoletticamente, cambiamenti
di odore, colore, consistenza.
Un agente antimicrobico o antiossidante, dovrebbe possedere le seguenti
qualità:
-Risultare efficace nelle condizioni del suo impiego; ciò vuol dire che esso non deve
dare luogo a incompatibilità (fisiche o chimiche); deve mantenere la sua efficacia in
un ampio arco di pH e non deve alterare il pH stesso della preparazione
-Essere sufficientemente solubile per l’ ottenimento di una concentrazione efficace.
-Essere incolore ed inodore
-Essere stabile e capace di una azione prolungata nel tempo
-Essere incorporabile nella forma farmaceutica o cosmetica
-Essere atossico
Protezione dai microorganismi
I microorganismi che possono inquinare le preparazioni farmaceutiche e
cosmetiche sono coprattutto muffe o funghi tra cui: Penicillum , aspergillus,
Rhuzopus, mucor, alternaria, cladosporium..ecc
Lieviti, e batteri tra cui, bacillus, aerobacter, pseudomonas ecc.
I fattori che influenzano la crescita dei microorganismi nelle preparazioni
medicinali e cosmetiche sono assai numerosi:
-presenza di fattori nutritivi nelle preparazioni come glucidi, glucosidi
(gomme, mucillagini, pectine, amidi, destrine, zuccheri)
-Alcooli (glicerolo, mannitolo, e alcooli grassi)
-Acidi grassi e loro esteri, oli, cere ecc
-Steoridi (colesterolo, ergosterolo, fitosteroli)
-Proteine, peptidi e amminoacidi
-Vitamine
-Ioni metallici
-Ammoniaca
Tra gli altri fattori che condizionano lo sviluppo dei microorganismi
ricordiamo le vitamine del gruppo B, l’ acqua, il pH 4-6, la temperatura di 3037°C per i batteri 20-30°C per le muffe, l’ ossigeno.
Un discorso a parte va fatto per l ‘ acqua. Infatti differentemente rispetto ai
medicinali che va usata acqua con certe caratteristiche di purezza, per i cosmetici
questo non è obbligatorio. La presenza in acqua di sostanze di natura organica
può fornire un eventuale nutrimento ai microbi, e la carica batterica dell’ acqua
potabile può essere fonte di contaminazione dei cosmetici. Per esempio, lo
pseudomonas aeruginosa, vive nei tubi e si può moltiplicare anche negli impianti
di produzione, è difficile allontanarlo per filtrazione e può danneggiare ad esempio
le emulsioni, provocando la separazione delle fasi.
Per ottenere procedimenti di lavorazione esenti da contaminazione è importante
controllare periodicamente il sistema di ventilazione, comprire tutti i recipienti
durante ciascuna fase, eseguire lavori di mescolamento, riempimento e
magazzinaggio dopo accurata pulitura con getti di vapore surriscaldato.
Bisogna tenere presente che un batterio nello spazio di 5 ore ne può originare 1
milione.
Preservanti iscritti nella FU
Acido benzoico
Acido citrico
Acido salicilico
Etanolo
Fenolo
Formaldeide
Metile salicilato
Timolo
Acido cinnamico
Acido sorbico
Isopropanolo
Essenze agrumarie tipo limonene,
Contenenti: zolfo, solfiti ciclici
Bronopol
Clorexidina
È una polvere bianca, con p.f. 132°C quasi insolubile in acqua e poco solubile
nei solventi organici. Si possono usare i suoi sali che invece sono più solubili.
Questi sono attiviti nei confronti dei gram positivi, dei gram negativi e di
alcuni tipi di funghi e lieviti. Le dosi vanno dallo 0.025% allo 0.100%
I sali di clorexidina sono incompatibili con tensiattivi anionici, gli alginati, il
sale sodico della carbossimetil cellulosa, glicerina, gomma dragante ecc.
Sterilizzazione dei preparati
In dipendenza dei procedimenti di produzione, di controllo e di confezionamento
dei prodotti cosmetici, si ha inevitabilmente la presenza di un certo numero di
microorganismi nel prodotto finito.
Si parla in tal caso di:
Carica batterica, ed è unanimamente riconosciuto il vantaggio di contenere al
massimo tale fenomeno.
In campo farmaceutico è relativamente diffuso l’ impiego del calore per
sterilizzare i preparati, nel campo dei cosmetici l’ impiego di autoclavi, è sempre
da escludere.
Due sono le possibilità di impiego della sterilizzazione:
A)impiego di sterilizzanti chimici
B) oppure la sterilizzazione fisica
Sterilizzanti chimici
Rientrano in tale categoria le sostanze aggiunte nelle formulazioni cosmetiche tali
da rendere il prodotto autosterilizzante per un certo tempo. Tuttavia per
procedere ad una sterilizzazione di prodotti cosmetici, su base chimica ,
indipendentemente dalla presenza di antibatterici nel prodotto, si ricorre ad
atmosfere particolari contenenti una certa concentrazione di ossido di etilene o
propilene.
Questi prodotti sono infiammabili, attivi chimicamente e molto tossici, devono
perciò essere usati con molta precauzione.
Per ottenere una buona sterilizzazione è necessario procedere a controlli molti
accurati sia della concentrazione del gas, che della umidità relativa, della massa
del prodotto da sterilizzare, della permeabilità dei contenitori nei confronti del gas.
La sterilizzazione ad ossido di etilene (EtO) viene principalmente utilizzata
per sterilizzare prodotti medici e farmaceutici non in grado di sopportare la
tradizionale sterilizzazione a vapore ad alta temperatura, come i
dispositivi che includono componenti elettronici, imballaggi di plastica o
contenitori di plastica.
Il gas EtO viene immesso nell'imballaggio e nei prodotti stessi per uccidere i
microrganismi rimasti dai processi di produzione e di imballaggio. Questo gas,
miscelato ad aria con un rapporto di almeno il 3% di gas EtO, forma una
miscela esplosiva. Il punto d'ebollizione del gas EtO puro è pari a 10,73 °C a
pressione atmosferica. Nella maggior parte dei casi viene miscelato con azoto
o CO2. Questa condizione esplosiva impone la suddivisione in zone (direttiva
ATEX) per materiali intrinsecamente sicuri, per la sicurezza delle persone e del
processo stesso.
Per via degli effetti nocivi dell'EtO sugli esseri umani, la sicurezza del
personale è una questione di primaria importanza. Le zone contaminate
devono essere dotate di allarmi utilizzando rilevatori di gas, collocati in
diversi punti, per monitorare le eventuali fughe. I locali devono essere
dotati di sistemi d‘ allarme visivi e sonori. Il sistema deve segnalare all‘
operatore quando una cella di sterilizzazione contiene gas EtO.
Il nome deriva dalle parole ATmosphères ed EXplosibles
È stata pubblicata la Nuova Direttiva ATEX 2014/34/UE (relativa ad apparecchi e sistemi di
protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva) del
Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l'armonizzazione
delle legislazioni degli stati membri relativa agli apparecchi e sistemi di protezione destinati
a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva che sostituirà la Direttiva ATEX
94/9/CE.
La Nuova Direttiva ATEX 2014/34/UE è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione
Europea (n° GU UE L96) del 29 Marzo 2014 ed è in vigore dal 30 marzo 2014. Zona 0
Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o spesso un'atmosfera
esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas,
vapore o nebbia.
La presenza è superiore alle 1000 ore all'anno.
Zona 1 Area in cui durante le normali attività è probabile la formazione di un'atmosfera
esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas,
vapore o nebbia.
La presenza rientra nell'intervallo 10-1000 ore/anno.
Zona 2 Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di
un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto
forma di gas, vapore o nebbia e, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.
La presenza è inferiore alle 10 ore/anno.
Sterilizzazione fisica
Per sterilizzazione fisica si intende l’
eliminazione dei microorganismi ad opera
di agenti fisici:
Calore: utilizzabile per prodotti in polvere
resistenti al calore e confezionati in
contenitori termostabili, si può ricorrere
alla sterilizzazione in autoclave o in
adeguate stufe riscaldate a secco, ma
sono casi sporadici, di solito non è
effettuabile a causa della labilità del
prodotto cosmetico.
Filtrazione: la filtrazione su membrana è quella attualmente più usata per la purificazione dei
prodotti cosmetici. I filtri a membrana per le loro caratteristiche possono essere considerati di
superficie, per cui tutte le particelle il cui diametro sia superiore a quello dei pori della
membrana usata, sono separate dal fluido che passa attraverso il filtro e trattenute in
superficie. Un filtro è costituito da materiale poroso attraverso il quale viene fatta passare la
soluzione da sterilizzare; il diametro dei pori deve essere tale da permettere il passaggio del
liquido, ma impedire il passaggio dei microrganismi. Le dimensioni delle particelle che devono
essere eliminate nella sterilizzazione per filtrazione sono molto variabili: le cellule batteriche
più grandi possono avere diametro superiore al 10 mm mentre le dimensioni di alcuni
batteri possono essere inferiori a 0,3 mm I filtri sono usati frequentemente anche in
virologia (i virus, sono di dimensioni ancora più piccole, circa 10 nm).
Radiazioni UV:
La luce ultravioletta , di lunghezza d’ onda compresa tra 180 e 300
micrometri, svolge azione battericida. L’ effetto è in rapporto all’ intensità della
radiazione, cioè della potenza radiante. Anche il mezzo dove si trova il
batterio influisce. Ad esempio il vetro assorbe tutta la radizione che risulta
inefficace.
l'UV distrugge i legami molecolari del DNA dei microorganismi, producendo
dimeri di timina nel loro DNA e distruggendoli, rendendoli inoffensivi o
impedendone la crescita e la riproduzione. È un processo simile all'effetto
dell'UV di maggiore lunghezza d'onda (UVB) sull'uomo, per esempio le
bruciature solari o l'effetto accecante della luce.
I microorganismi hanno una scarsa protezione dall'UV e non possono
sopravvivere ad un'esposizione prolungata.
Raggi gamma: le sorgenti irradianti sono isotopi del Cobalto 60 o Cesio 137 che
emettono energia sufficiente alla penetrazione . E’ importante notare che nei
prodotti sterilizzati non c’è radioattività residua in quanto i valori sono
bassissimi oltre la rilevabilità. Le spore necessitano di maggiore dose di
radiazione essendo più resistenti. I raggi gamma sono onde elettromagnetiche ad
alta energia, della stessa natura della luce e dei raggi X. Attraversano la materia
abbattendo o distruggendo la carica microbica senza lasciare alcun residuo,
senza alterazioni e senza alcun aumento della temperatura. Hanno un elevato
potere penetrante, per questo sono particolarmente efficaci su prodotti già
confezionati.
La tecnologia dei raggi gamma emessi dal Cobalto-60 (Co-60) è conosciuta e
sfruttata a livello industriale da più di 50 anni per diversi scopi applicativi
L’ azione delle radiazioni sulle cellule batteriche non è completamente chiarita,
comunque si ritiene che risulti una lesione diretta della cellula. L’ effetto battericida
aumenta in presenza di ossigeno.
Concetto di sterilità come espressione numerica
Un buon sistema per valutare l’ efficienza della sterilizzazione consiste nello
stabilire il rapporto tra numero di microorganismi presenti prima e dopo il
procedimento di sterilizzazione. In tal modo, se sono presenti un miliore di
microorganismi prima del trattamento, su 10^6 e sopravvivono solo 100
microorganismi cioè 10^2, il fattore di inattivazione di tale procedimento nei
confronti di quel batterio è 10^4.
Con l’ ossido di etilene e il calore si possono raggiungere fattori di inattivazione di
10^13 e 10^18 rispettivamente.
Ad esempio se in una unità di prodotto sono presenti 100 batteri, e il metodo
adottato ha fattore di eliminazione 10^8, questo vuo dire che rimane un margine
di 10^6, cioè che in un milione di unità c’è la possibilità di trovare un
batterio.
Conoscendo il fattore di inattivazione di un procedimento nel confronto dell’
organismo più resistente, il margine di ricurezza richiesto, si può scegliere la
giusta dose di agente sterilizzante, indipendentemente dal mezzo.
Conservazione nei confronti di processi ossidativi e autoossidativi
I preparati farmaceutici così come i cosmetici , e gli alimenti contenenti oli,
grassi naturali, soprattutto se con elevato numero di insaturazione, sono
suscettibili ad azione ossidativa, o come si dice comunemente
irrancidiscono.
La composizione dell’ olio o del grasso influisce sul grado e sulla rapidità
dell’ ossidazione.
Ad esempio se sono presenti due o più doppi legami in un sistema
coniugato, la reazione ossidativa procede a velocità più alta.
La presenza di sostanze altamente insature può scatenare una reazione
ossidativa a catena.
Rancidità
I grassi e gli oli, sono rancidi se contengono dei prodotti di ossidazione, derivati
dalla scissione dei loro componenti insaturi tale da consentire la rivelazione
organolettica della loro presenza.
Tecnicamente la rancidità è espressa dal numero di perossidi presenti al di
sopra di un certo valore. Mediante un test chiamato di Swift, si va a misurare la
formazione di perossidi, se esso è inferiore a 5 milliequivalenti di perossidi per
Kg, allora il prodotto è fresco e possono essere agiunte sostanze antiossidanti
per preservarli, se il valore è maggiore di 10 allora l’ aggiunta di preservante è
inutile.
Gli antiossidanti, ritardano l’ alterazione ossidativa, e quindi anche i
cambiamenti di colore, di odore e consistenza del preparato.
Possono ritardare anche la degradazione di vitamine liposolubili.
I cosmetici che fanno più uso di antiossidanti sono le emulsioni, lozioni, e
capsule gelatinose.
La rancidità ossidativa dei grassi e degli oli è dovuta alla formazione di
perossidi sulle posizioni insature delle molecole, con rottura e formazione di
derivati chetonici o aldeidici, che sono odorosi.
Alcuni grassi contengono antiossidanti naturali, ma la maggior parte viene
perduta nella raffinazione.
Alcune sostanze acide come l’ acido citrico, l’ acido ascorbico e altri
sono sostanze antiossidanti, mentre metalli tipo ioni ferro, rame, nickel,
stagno, sono sostanze che favoriscono l’ ossidazione.
I grassi insaturi agiscono all’ ossigeno atmosferico per formare piccole quantità
di perossidi. Durante il periodo di induzione, questi perossidi iniziano a
distruggere gli antiossidanti naturali, e poi iniziano il processso di
irrancidimento vero e proprio.
Anche temperatura, umidità, luce, ossigeno e certi metalli o leghe possono
favorire il processo di ossidazione, o anche agenti proossidanti contenuti nella
preparazione, ad esempio benzaldeide, alcool benzilico, acetofenone ecc
queste sostanze inattivano gli antiossidanti sintetici.
Ad esempio, dall’ acido oleico, si formano per ossidazione una serie
di sostanze irritanti:
Acido formico
Acido ossalico
Aci caprilico
Acido suberico
Ac pelargonico
Ac. azelaico
Meccanismo d’ azione degli antiossidanti
Gli antiossidanti agiscono:
1) Prevenendo l’assorbimento di ossigeno da parte della sostanza
perossidante
2) Lasciandosi ossidare da essi
Meccanismo di autoossidazione
Il meccanismo di autoossidazione di molecole organiche è un meccanismo
radicalico a catena.
Gli iniziatori della catena di reazione che porta all’ autossidazione possono
essere di varia natura, anche radiazioni UV (esposizione alla luce solare dei
prodotti) ioni metallici, ossigeno (esposizione all’ aria) e altri agenti che
formano radicali liberi.
Gli stadi sono:
RH + iniziatore R.
R. + O2  ROO.
RH + ROO.  ROOH + R.
E quindi poi la reazione procede a catena
Il preservante AH agisce legandosi al radicale R.
In questo modo
ROO. + AH  ROOH + A.
R. + A.  RH + A.
A.+ A.  AA
A.+ ROO. ROOA
Queste ultime reazioni pongono fine all’ attività di autoossidazione. E’ necessario
che il radicale del preservante non funga anche esso da iniziatore di
perossidazione. Quindi non deve poter interagire con la molecola organica RH
che invece deve proteggere.
Classificazione di antiossidanti:
La lista di queste sostanze è molto lunga e viene continuamente ampliata. Si può
grossolanamente sudvidere in:
1)Composti fenolici, in questo gruppo numeroso sono presenti sostanze come il
butilidrossianisolo BHA, il gallato di prolile, idrochinoni alchilici, tocoferoli naturali.
BHT
BHA
2)Composti amminici aromatici
Questi composti svengono impiegati di rado, ad esempio p-amminofenoli
3) Composti organici dello zolfo, es, acido tio-di-propionico e il di-laurilrisopropionato
4) Antiossidanti naturali
A questo gruppo appartengono i tocoferoli, ricavati dalla corteccia di un
albero, la lecitina, l’ olio di germe di grano, flavonoidi, semi di anice,
quercetina, pula di riso, spezie naturali, e melassa, sesamo e altri.
5) altri composti, ad esempio etanolammine, glicoderivati, monoesteri
grassi di acidi tipo amminoacidi alifatici.
Dosi consentite di antiossidanti
Nei grassi e negli olio commestibili, nonchè negli oli e nei concentrati vitaminici
il butilidrossianisolo viene impiegato a dosi di 200 PPM.
I gallati di propile e di ottile fino a 100 PPM
E’ consigliabile che l’ antiossidante venga aggiunto all’ olio o grasso il più
presto possibile. Il BHA e BHT vengono utilizzati anche per prodotti alimentari e
ritandano l’ ossidazione.
Valori ottimali sono ottenuti in seguito a test di conservazione, effettuati a T
ambiente o con un metodo accelerato, per misurare la resistenza del prodotto
all’ ossidazione, ad esempio alzando la temperatura, o con ossigeno attivo.
Prodotti Dermatologici
Cicatrizzanti
I cicatrizzanti possono essere suddivisi in due categorie fondamentali:
1) Sostanze che contribuiscono a ristabilire le condizioni tissutali
necessarie alla cicatrizzazione normale. Appartengono a questo
gruppo le vitamine A, D, E, C, e certi ormoni anabolizzanti,
amminoacidi e lisati proteici, acidi nucleici, acidi grassi
poliinsaturi.
2) Sostanze che agiscono per stimolazione specifica del processo di
cicatrizzazione. Tra questo gruppo troviamo:
-
Sostanze responsabili dell’ accrescimento attivo dell’ organismo
animale (sostanze ematopoietiche)
Farmaci ad attività stimolante tissutale (o farmaci cicatrizzanti
propriamente detti)
Tra i farmaci dotati di attività stimolante
tissutale rientrano gli azocoloranti (rosso
scarlatto e epidermolo), insieme alla
clorofilla, e ad altri derivati tiolici hanno un’
azione stimolante dei processi di riparazione
epiteliale.
Come conseguenza della delocalizzazione p, gli
azocomposti arilici hanno colori vividi,
specialmente rossi, arancioni e gialli. Pertanto,
sono usati come coloranti noti col nome
coloranti azoici.
asiaticoside
Tra i farmaci ad azione cicatrizzante ricordiamo:
Asiaticoside, un principio ottenuto dalla Cetella
Asiatica, è un trisaccarside legato con legame
estereo a un aglicone detto acido asiatico, è
una saponina triterpenoide.
allantoina
Allantoina, è la 5-ureido-idantoina
Da molti anni viene usata come cicatrizante e stimolante della neoformazione tissutale
normale. Si usa al 2%.
Acido acesamico, è usato come unguento o fiale, per il trattamento delle piaghe cutanee,
ulcere, ustioni.
Demulcenti
Sono sostanze che hanno un’ azione anti-irritante, sono sostanze come
polialcooli, gomme, prodotti amilacei, mucillagini.
I demulcenti più comuni sono:
Glicerina: largamente impiegata come veicolo per molti prodotti dermatologici.
Glicole prolilenico: anche questo usato come veicolo
Metil cellulosa e carbossimetilcellulosa: sono sostanze di semisintesi,
sucedanee di gomme naturali, prevalentemente impiegate come colloidi
protettivi ed agenti disperdenti per farmaci ad azione attiva.
Cheratolitici
Queste sostanze agiscono particolarmente sullo strato corneo dell’ epidermide
e sono farmaci capaci di rammollire la cheratina e gli epiteli corneificati.
Sono impiegati nel trattamento delle veruche, di dermatomicosi, le sostanze più
note sono l’ acido salicilico e l’ acido retinoico:
Acido salicilico
Acido retinoico
L’ acido retinoico è l’ acido corrispondente della vitamina A (che è l’ alcool). La sua
azione bilogica è molto diversa da quest’ ultima. L’ applicazione locale sotto forma
di pomata, ha un effetto intenso cheratolitico, è usato per l’ acne.
Rubefacenti
Si considerano rubefacenti le sostanze capaci di produrre iperemia reattiva; se
l’ azione locale progredisce si manifestano reazioni più intense che possono
portare alla formazione di pustole.
In passato la terapia rubefacente è stata largamente impiegata; attualmente il
suo impegno è ancora diffuso, ma limitato ad alcune forme di applicazione.
Tra le principali sostanze rubefacenti figurano:
Mentolo
Questa molecola possiede tre carboni asimmetrici ed esiste in 8 forme
stereoisomere. Quando il mentolo viene applicato sulla pelle provoca
vasodilatazione periferica, e quindi dà sensazione di fresco seguita da effetto
analgesico.
Ditranolo
L’ 1, 8,9-antracentriolo, è un irritante locale, e non deve venire in contatto con
occhi e mucose. È usato nel trattamento della psoriasi, di dermatomicosi e di
dermatosi croniche.
Esteri dell’ acido nicotinico
Sono irritanti per le mucose e gli occhi, si impiega un unguento all’ 1-5% per il
trattamento della psoriasi, o infezioni micotiche.
Insettorepellenti
Gli insettorepellenti sono prodotti che applicati sulla pelle sotto forma di creme ,
lozioni, o spray, hanno capacità di tenere lontano gli insetti.
Un buon repellente dovrebbe essere:
- perfettamente tollerato dall’ uomo e dagli animali
- avere la massima attività a concentrazioni minime
- azione prolungata,
- assenza di odore.
- dovrebbe inoltre avere attività verso il più grande numero di insetti possibile.
Per un lungo periodo, l’ acido lattico e i suoi composti sono stati ritenuti i maggiori
responsabili dell’ attrazione degli insetti verso l’ uomo.
Recenti studi condotti in america, hanno dimostrato che una cute molto sudata
attira maggiormente gli insetti, tale attrazione viene però compensata da una
aizone repellente manifestata dai grassi cutanei superficiali.
Questi esperimenti sono stati condotti con sudore, lipidi umani ed animali,
insetti maschi e femmine e correlati a vari esperimenti effettuati in presenza di
vari classi di composti ad attività repellenti es:
Solfonammidi , urea, esteri , eteri.
Sulla base dei dati sperimentali ottenuti si può affermare che l’ attrazione degli
insetti non è costante per tutti gli individui nè per uno stesso individuo nel
tempo, che il sudore attrae molto più l’ esemplare femmina che non il
maschio e infine che mantine il suo potere attrattivo per molto tempo.
Per quel che riguarda il potere repellente dei lipidi, la frazione dotata di
maggiore attività è quella costituita dagli acidi grassi insaturi. Quindi
probabimente la composizione individuale cutanea, dovuta alla dieta o ad
altri fattori influenzano la insettorepellenza congenita.
I primi insettorepellenti in commercio furono rappresetati dagli oli di citronella,
bergamotto, ed eucaliptus.
Poi soprattutto dopo i composti studiati dagli americani nel corso della II guerra
mondiale, per proteggere i soldati nelle zone tropicali, si progettarono i composti
di sintesi molti più attivi di quelli naturali.
Fra questi ricordiamo:
Ftalato dimetilico
Si prepara dall’ acido ftalico, per sintesi dell’ anidride ftalica con alcool metilico. É
liquido incolore, si usa come crema o lozione, è attivo contro molti insetti.
Il suo derivato butilico,è particolarmente adatto contro le zecche.
Dietiltuluolammide
Liquido incolore, di lieve odore gradevole, è insolubile in acqua.
Questo repellete è uno dei migliori per le zanzare. E’ attivo anche contro la zanzara
che trasmette la malaria e la febbre gialla.
Lo si impiega al 5-7% in alcool etilico, e dura molte ore.
DEET
Melanizzanti, antisolari, abbronzanti, demelanizzanti
La pelle è la parte del corpo umano più esposta alle radiazioni che vengono
assorbite dai tessuti in base alla loro lungheza d’ onda.
Il meccanismo è diverso a seconda che si tratti di radiazioni ionizzanti
(raggi gamma, o raggi X) o di radiazioni non ionizzanti (luce visibile, IR,
UV).
Le radiazioni agiscono sulla cute provocando effetti chimici, termici e
fotochimici.
Fototipi
Il fototipo di una persona è
una classificazione utilizzata
in dermatologia,
determinata sulla qualità e
sulla quantità di melanina
presente in condizioni basali
nella pelle. Esso indica le
reazioni della pelle
all'esposizione alla
radiazione ultravioletta ed il
tipo di abbronzatura che è
possibile ottenere tramite
essa.
Conoscere il proprio fototipo
è il punto di partenza
fondamentale per
preservare la salute della
propria pelle e per
comportarsi correttamente
durante l’esposizione alla
radiazione ultravioletta della
luce solare.
L’ energia della radiazione è funzione della lunghezza d’ onda e più precisamente
è inversamente proporzionale:
E= h*c/l
h è la costante di Plank
c è la velocità della luce nel vuoto
l è la lunghezza d’ onda
Nome Abbreviazione Lunghezza d'onda
(range in nanometri)
Energia per fotone
(in elettronvolt) Note / nomi alternativi
Ultraviolet
UV
400 – 100 nm 3.10 – 12.4 eV
Ultraviolet A
UVA
400 – 315 nm 3.10 – 3.94 eV onde lunghe UV, luce nera o luce Wood
Ultraviolet B
UVB
315 – 280 nm 3.94 – 4.43 eV onde medie UV
Ultraviolet C
UVC 280 – 100 nm 4.43 – 12.4 eV onde corte UV, germicida
Near Ultraviolet NUV 400 – 300 nm 3.10 – 4.13 eV intervallo spesso visibile a diverse specie di uccelli, insetti e pesci
Middle Ultraviolet
MUV 300 – 200 nm 4.13 – 6.20 eV
Far Ultraviolet FUV
200 – 122 nm 6.20 – 10.16 eV
Hydrogen Lyman-alpha H Lyman-α
122 – 121 nm 10.16– 10.25 eV
Extreme Ultraviolet
EUV
121 – 10 nm
10.25 – 124 eV
Vacuum Ultraviolet
VUV
200 – 10 nm
6.20 – 124 eV
Le radiazioni che interessano i preparati antisolari sono quelle ultraviolette
che possono provocare sulla cute sia eritemi che abbronzatura a seconda dello
loro lunghezze d’ onda.
Sono eritematose quelle fino a 3000 A e pigmentose quelle da 3000 a 4000
Armstrong.
Da 2000 a 3000 giungono nella zona papillare in cui provocano l’ insorgere di
eritemi. Il massimo effetto eritematoso è dovuto alle radiazioni di 2967 a.
Da 3000 a 4000 prenetrano fino alla profondità di 2 mm circa. Sono
queste radiazioni che sollecitano le cellule melanofore provocando il
richiamo in superficie della melanina e quindi l’ insorgere dell’
abbronzatura.
I componenti cutanei cui è dovuta l’ azione di assorbimento delle radiazioni
ultraviolette sono le proteine e gli acidi nucleici.
Nel corso dell’ esposizione normale alla luce solare la pelle presenta dapprima
un leggero rossore, che cambia in bruno-marrone in seguito all’ accresciuta
funzione del pigmento
Se l’ esposizione alla radiazioni è esagerata, si possono creare alterzioni
cutanee paragonabili a delle gravi scottature, accompagnate da formazione di
vesciche da febbre e da brividi.
L’ abbronzatura della pelle è quindi un meccanismo di autodifesa dell’ organismo
contro l’ azione troppo energica delle radiazioni solari.
La melanina si forma nei melanoblasti dello strato basale dell’ epidermide.
Il meccanismo biologico
precedentemente.
di
questa
trasformazione
è
stato
descritto
L’ eritema si manifesta circa 10 ore dopo l’ irradiazione, l’ acme si manifesta dopo
circa cento ore e la sua scomparsa coincide con la formazione del pigmento.
Tipi di filti solari
FILTRI INORGANICI
Ossido di
zinco
Biossido
di titanio
Molecole organiche
I filtri chimici sono sostanze chimiche di sintesi che hanno la proprietà (per
la loro struttura molecolare) di catturare l‘ energia degli UV evitando il
danno alle cellule cutanee. In genere hanno nella loro molecola degli
anelli aromatici che assorbono gli UV, bloccandone l’energia. Questa
energia, che deve essere liberata, può essere eliminata come calore o
come fluorescenza. Però nel caso di filtri fotosensibili, si può anche
verificare un danno strutturale ed i prodotti di degradazione che si formano
possono essere molto dannosi per le cellule cutanee.
Ecco perché si cercano sostanze (filtri fotostabili) che, all'interno della
loro struttura, subiscono modificazioni conformazionali in grado di restituire
in forma termica l'energia assorbita. Il ritorno della molecola alla
conformazione originale si presenta con la trasformazione dell‘ energia
radiante nociva assorbita in energia termica inoffensiva. Soddisfare
questo test di verifica è molto più difficile per un filtro UVA che per un filtro
UVB.
La fotosensibilità varia con gli individui, è stato osservato che la tollerabilità delle
radiazioni solari dipende dal colore degli occhi. Le persone dagli occhi scuri hanno
tendenza ad abbronzare senza che si formi l’ eritema, mentre quelle dagli occhi
azzurri presentano nelle stesse condizioni i sintomi di un eritema ben
caratterizzato.
La pigmentazione della pelle è anche influenzata da:
-fattori interni come avitaminosi (pellagra) disfunzioni epatiche, morbo di
addison, gravidanza,
-fattori esterni, come ustioni solari, foglosi della pelle, impiego di fotosensibilizzanti.
Ci sono persone che a causa di una maggiore quantità di porfirina nel sangue
sono vittime di un eczema ostinato (dermatosi attinica) che si localizza sulle parti
del corpo scoperte (faccia, mani). Nei casi di tubercolosi e di lupus si osserva,
invece una iposensibilità alle radiazioni ultraviolette. L’ abbronzatura della pelle è
un fenomeno molto complicato in cui le reazioni fotodinamiche interessano molti
processi biologici che si esplicano a livello cellulare.
Melanizzanti
Gli ormoni sessuali hanno influenza sul processo di abbronzatura; il
testosterone regola nei due sessi una pigmentazione uniforme e
soddisfacente. Anche la dieta , secondo alcuni autori, influisce sulla
pigmentazione; una dieta acida aumenterebbe la sensibiltià ai raggi UV, una
dieta alcalina clorurata abbasserebbe questa sensibilità.
Alcuni prodotti farmaceutici come ad esempio i sulfamidici ed in modo
particlare il Prontosil producono una maggiore sensibilità alla luce. Secondo
recenti riceche le furocumarine, presenti in molti oli essenziali come il
bergamotto ,il legno di cedro e la lavanda provocano una fotosensibilizzazione
dell’ epidermide.
Filtri solari
Abbronzanti:
Fra i molti prodoti usati come pigmentanti superficiali senza sole, il più in uso è il diidrossiacetone. Si
ottiene per ossidazione del glicerolo, agisce in soluzione o lozione al 3%, come una semplice tintura.
Provoca una pigmentazione sulla parte cornea superficiale, senza partecipazione della melanina, e
senza reazione cellulare. Si complessa ad acune proteine dello strato corneo , dando luogo alla
colorazione
CH2(OH)-CO-CH2(OH)
Demelinizzanti:
Usati nel caso di patologie da operpgmentazine locale, tipo lentiggine, o macchie della perlle dovute al
morbo di addison o alla gravidanza. Agiscono impedendo la formazione di melanina. (uso topico)
Tra i prodotti più usati abbiamo il p-metossifenolo, e il p-benzilossifenolo.
Test Dei cosmetici
su animali
I test dei cosmetici sugli animali sono dei test usati per verificare la sicurezza, l’
allergenicità o altre proprietà tossiche dei prodotti per uso umano.
L’ uso di test su animali per lo sviluppo di un cosmetico, può coinvolgere sia il
prodotto finito che gli ingredienti da soli, spesso vengono usati conigli, topi, ratti o
altri animali
A causa di forti pressioni delle associazioni animaliste, sono attualmente
banditi nei paesi dell’ UE, norvegia, Israele, India.
Sono invece permessi negli stati uniti e giappone, dove a causa delle stringenti
regolamentazioni sulla sicurezza, non si riescono a raggiungere certificazioni di
sicurezza sufficienti senza condurre i test su animali.
METODI
-I metodi per condurre i test cosmetici sugli animali, incudono irritazione
della pelle o degli occhi (draize test),
-Sensibilizzazione cutanea, sensibilizzazione delle vie aeree, calcolo della
LD50 (dose letale nel 50% degli animali)
Draize Test
Il test è un test di tossicità acuta, messo a punto nel 1944 dalla FDA, (Dr
Draize). Il test prevede l’ applicazione di 0.5 mL o 0.5 g della sostanza da testare
nell’ occhio di un coniglio, cosciente, e poi osservarne l’ effetto per 14 giorni. Gli
animali vengono osservati per eritema, o edema, rossore, lacrimazione,
ulcerazioni, emorragia, opacizzazione o cecità.
Liofilizzazione
Di recente alcuni preparati cosmetici a base di prodotti polivitaminici, e fitoterapici
sono stati confezionati sotto forma di liofilizzati.
Per liofilizzazione si intende l’ essiccamento sotto vuoto spinto di soluzioni (o
materiale contenente acqua) preventivamente congelate, mediante sublimazione
del ghiaccio , cioè l’ acqua viene eliminata tramite il passaggio diretto dallo stato
solido allo stato di vapore.
Lo scopo di questa operazione è quello di ottenere un prodotto che conservi il
più a lungo possibile le caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e biofisiche
del prodotto originario in modo che, dopo un certo periodo di tempo, possa
essere riportato allo stato iniziale mediante semplice aggiunta di acqua.
Il congelamento provoca il blocco di qualsiasi processo di alterazione o
degenerazione del materiale e l’ essiccamento sotto vuoto permette di avere un
prodotto a bassa concentrazione di umidità e quindi ben conservabile.
La liofilizzazione è una tecnica relativamente recente, si applica a prodotti
biologici, plasma, sieri, vaccini, vitamine, sostanze alimentari, e batteri.
Procedimento
Il procedimento della liofilizzazione si svolge secondo le seguenti fasi:
Precongelamento
Essiccamento
Condensazione
Essiccamento primario
Essiccamento secondario
Precongelamento
Il congelamento della soluzione viene comunemente detto precongelmento,
perché precede l’ operazione caratteristica della liofilizzazione che è l’
essiccamento.
Una soluzione uniforme di acqua e NaCl ad esempio viene congelata
raffreddandola. La temperatura quindi si abbasserà in maniera lineare fino a
circa 0°C; quindi a questo punto la temperatura rimane costante poiché si ha l’
emissione del calore latente di congelamento, per il tempo in cui avviene il
congelamento di una certa quantità di acqua, mentre il resto della soluzione di
concentra di NaCl, cioè perdita di energia cinetica delle molecole. La
temperatura torna poi a diminuire fino al punto in cui, a circa -22 °C non si
osserva il congelamento di tutta la soluzione salina con altra perdita di energia.
In cosmetica non si ha di norma a che fare con soluzioni di Sali minerali, ma
con emulsioni, estratti organici, enzimi, quindi è molto difficile determinare il
punto in cui tutta la soluzione solidifica, quindi nei liofilizzatori si tende a usare
una temperatura molto bassa di congelamento fino a -40°C sotto zero.
Generalmente nell’ industria farmaceutica o cosmetica si usano dei cilindri,
flaconcini o fiale a bocca larga riempiti con strati di 1-2 cm. I contenitori sono
messi su vassoi, uno accanto all’ altro, e poggiati su piani surgelatori.
Essiccamento
Si può dividere in primario e secondario
Con essiccamento primario si può eliminare tutto il ghiaccio libero, e con quello secondario l’ acqua di assorbimento, di
cristallizzazione, o comunque l’ acqua non congelabile.
Si effettua nella camera di essiccamento, che è a chiusura ermetica e capace di resistere ad una pressione esterna, in quanto
all’ interno si crea il vuoto spinto.
Generalmente sono fatte di acciaio inossidabile, a forma cilindrica e con pareti rinforzate.
Essiccamento primario
Il collegamento diretto fra pompa, condensatore e autoclave determina il flusso verso il condensatore.
Durante la sublimazione del ghiaccio, come in tutte le evaporazioni si verifica un assorbimento di calore perché le
molecole acquistano energia cinetica. Quindi la soluzione raffrettata a -40 °C diminuisce ancora di più la temperatura,
da qui sorge il problema di mantenere sempre la differenza di temperatura rispetto al condensatore, e quindi le
piastre devono poter essere riscaldate per cedere il suddetto calore.
Quando tutto il ghiaccio è sublimato il valore della pressione nell’ autoclave diminuisce rapidamente fino ad allinearsi a
quello della pompa, a questo punto l’ essiccamento primario è terminato.
Essiccamento secondario
Nella maggior parte dei casi dopo l’ essiccamento primario, il prodotto non è ancora sufficientemente secco.
Per questo un ulteriore essiccamento, per togliere i residui di umidità è necessario. Per fare questo si metterà
direttamente il prodotto sotto vuoto, scaldandolo, fino al massimo consentito dalla natura delle sostanze. L’
essiccamento in alto vuoto si protrarrà generalmente per un’ ora o due. La percentuale di umidità residua in questo caso
può oscillare tra 0.5-1%.
Condensazione
Avviene in un recipiente di forma cilindrica munito di serpentina, per il
raffreddamento collegato da una parte alla pompa a vuoto e dall’ altra con l’
autoclave e munito anche di una resistenza elettrica per lo sbrinamento.
E’ stato calcolato che un buon impianto deve avere un salto termico di 1520°C, quindi per esempio se il prodotto è raffreddato a -40°, il condensatore
deve essere a -60°C
Pompe
Per l’ essiccamento si usano pompe ad alta capacità di vuoto , che in pochi
secondi sono capaci di abbassare la pressione nell’ autoclave a 0.1 mm di Hg.
La sublimazione del ghiaccio a questa pressione inizia a circa -35°C.
Scarico del liofilizzato
Dopo aver chiuso la pompa e interrotto il riscaldamento si fa entrare nell’
autoclave dall’ esterno mediante un rubinetto , aria deumidificata e sterile, si apre
quindi il portello e si toglie il liofilizzato che viene chiuso in contenitori ermetici
quanto più rapidamente possibile.
I controlli che vengono effettuati sui prodotti liofilizzati sono:
-Analisi chimica e biologica
-Determinazione dell’ umidità
-Prove di sterilità
Nel caso che il prodotto cosmetico debba risultare sterile è necessario osservare
in tutte le operazioni una rigorosa asepsi. Quindi la soluzione viene filtrata in
recipienti preventivamente sterilizzati attraverso appositi filtri a membrana, o
setti porosi capaci di trattenere i microorganismi. Anche le fiale, le siringhe gli
aghi i tubi e le macchine infilatrici sono sterilizzati in autoclave. Il personale
deve indossare tute, cappucci, maschere, guanti, ecc. sterilizzati. L’ impianto
dell’ aria condizionata deve essere munito di filtro totale. La stanza in cui
avviene il riempimento e la chiusura delle fiale deve essere mantenuta sterile
con lampade a raggi ultravioletti e sotto lieve pressione.