Lezione III Preservanti Sterilizzazione Prodotti Cosmetici Test Animali Liofilizzazione Il problema della conservazione delle preparazioni farmaceutiche e cosmetiche è alquanto complesso. Tale complessità è accresciuta dal gran numero di problemi che si pongono per ogni diversa formulazione, dato che ogni caso presenta delle caratteristiche particolari che sono in relazione con diversi fattori. Tra questi possiamo ricordare: A) La forma del preparato: - soluzione - emulsione - unguento - polvere - massa lipoidea B) Fattori che influenzano la crescita di microorganismi: -sostanze nutritive -grado di umidità -pH, temperatura Ecc. C) Fattori che influiscono sull’ efficacia del conservante - Concentrazione del preservante - natura della contaminazione (tipo di microorganismo) - presenza di sostanze incompatibii o inattivanti - Presenza di componenti i quali siano già di per sé microbiostatici od antiossidanti - Purezza delle materie prime, pulizia delgi apparecchi e dei locali di produzione. Per quanto siè detto è evidente che l’ alterazione può dipendere da cause fisiche, chimiche, microbiologiche, ed enzimatiche. L’ evidenza dell’ alterazione può essere accertata organoletticamente, cambiamenti di odore, colore, consistenza. Un agente antimicrobico o antiossidante, dovrebbe possedere le seguenti qualità: -Risultare efficace nelle condizioni del suo impiego; ciò vuol dire che esso non deve dare luogo a incompatibilità (fisiche o chimiche); deve mantenere la sua efficacia in un ampio arco di pH e non deve alterare il pH stesso della preparazione -Essere sufficientemente solubile per l’ ottenimento di una concentrazione efficace. -Essere incolore ed inodore -Essere stabile e capace di una azione prolungata nel tempo -Essere incorporabile nella forma farmaceutica o cosmetica -Essere atossico Protezione dai microorganismi I microorganismi che possono inquinare le preparazioni farmaceutiche e cosmetiche sono coprattutto muffe o funghi tra cui: Penicillum , aspergillus, Rhuzopus, mucor, alternaria, cladosporium..ecc Lieviti, e batteri tra cui, bacillus, aerobacter, pseudomonas ecc. I fattori che influenzano la crescita dei microorganismi nelle preparazioni medicinali e cosmetiche sono assai numerosi: -presenza di fattori nutritivi nelle preparazioni come glucidi, glucosidi (gomme, mucillagini, pectine, amidi, destrine, zuccheri) -Alcooli (glicerolo, mannitolo, e alcooli grassi) -Acidi grassi e loro esteri, oli, cere ecc -Steoridi (colesterolo, ergosterolo, fitosteroli) -Proteine, peptidi e amminoacidi -Vitamine -Ioni metallici -Ammoniaca Tra gli altri fattori che condizionano lo sviluppo dei microorganismi ricordiamo le vitamine del gruppo B, l’ acqua, il pH 4-6, la temperatura di 3037°C per i batteri 20-30°C per le muffe, l’ ossigeno. Un discorso a parte va fatto per l ‘ acqua. Infatti differentemente rispetto ai medicinali che va usata acqua con certe caratteristiche di purezza, per i cosmetici questo non è obbligatorio. La presenza in acqua di sostanze di natura organica può fornire un eventuale nutrimento ai microbi, e la carica batterica dell’ acqua potabile può essere fonte di contaminazione dei cosmetici. Per esempio, lo pseudomonas aeruginosa, vive nei tubi e si può moltiplicare anche negli impianti di produzione, è difficile allontanarlo per filtrazione e può danneggiare ad esempio le emulsioni, provocando la separazione delle fasi. Per ottenere procedimenti di lavorazione esenti da contaminazione è importante controllare periodicamente il sistema di ventilazione, comprire tutti i recipienti durante ciascuna fase, eseguire lavori di mescolamento, riempimento e magazzinaggio dopo accurata pulitura con getti di vapore surriscaldato. Bisogna tenere presente che un batterio nello spazio di 5 ore ne può originare 1 milione. Preservanti iscritti nella FU Acido benzoico Acido citrico Acido salicilico Etanolo Fenolo Formaldeide Metile salicilato Timolo Acido cinnamico Acido sorbico Isopropanolo Essenze agrumarie tipo limonene, Contenenti: zolfo, solfiti ciclici Bronopol Clorexidina È una polvere bianca, con p.f. 132°C quasi insolubile in acqua e poco solubile nei solventi organici. Si possono usare i suoi sali che invece sono più solubili. Questi sono attiviti nei confronti dei gram positivi, dei gram negativi e di alcuni tipi di funghi e lieviti. Le dosi vanno dallo 0.025% allo 0.100% I sali di clorexidina sono incompatibili con tensiattivi anionici, gli alginati, il sale sodico della carbossimetil cellulosa, glicerina, gomma dragante ecc. Sterilizzazione dei preparati In dipendenza dei procedimenti di produzione, di controllo e di confezionamento dei prodotti cosmetici, si ha inevitabilmente la presenza di un certo numero di microorganismi nel prodotto finito. Si parla in tal caso di: Carica batterica, ed è unanimamente riconosciuto il vantaggio di contenere al massimo tale fenomeno. In campo farmaceutico è relativamente diffuso l’ impiego del calore per sterilizzare i preparati, nel campo dei cosmetici l’ impiego di autoclavi, è sempre da escludere. Due sono le possibilità di impiego della sterilizzazione: A)impiego di sterilizzanti chimici B) oppure la sterilizzazione fisica Sterilizzanti chimici Rientrano in tale categoria le sostanze aggiunte nelle formulazioni cosmetiche tali da rendere il prodotto autosterilizzante per un certo tempo. Tuttavia per procedere ad una sterilizzazione di prodotti cosmetici, su base chimica , indipendentemente dalla presenza di antibatterici nel prodotto, si ricorre ad atmosfere particolari contenenti una certa concentrazione di ossido di etilene o propilene. Questi prodotti sono infiammabili, attivi chimicamente e molto tossici, devono perciò essere usati con molta precauzione. Per ottenere una buona sterilizzazione è necessario procedere a controlli molti accurati sia della concentrazione del gas, che della umidità relativa, della massa del prodotto da sterilizzare, della permeabilità dei contenitori nei confronti del gas. La sterilizzazione ad ossido di etilene (EtO) viene principalmente utilizzata per sterilizzare prodotti medici e farmaceutici non in grado di sopportare la tradizionale sterilizzazione a vapore ad alta temperatura, come i dispositivi che includono componenti elettronici, imballaggi di plastica o contenitori di plastica. Il gas EtO viene immesso nell'imballaggio e nei prodotti stessi per uccidere i microrganismi rimasti dai processi di produzione e di imballaggio. Questo gas, miscelato ad aria con un rapporto di almeno il 3% di gas EtO, forma una miscela esplosiva. Il punto d'ebollizione del gas EtO puro è pari a 10,73 °C a pressione atmosferica. Nella maggior parte dei casi viene miscelato con azoto o CO2. Questa condizione esplosiva impone la suddivisione in zone (direttiva ATEX) per materiali intrinsecamente sicuri, per la sicurezza delle persone e del processo stesso. Per via degli effetti nocivi dell'EtO sugli esseri umani, la sicurezza del personale è una questione di primaria importanza. Le zone contaminate devono essere dotate di allarmi utilizzando rilevatori di gas, collocati in diversi punti, per monitorare le eventuali fughe. I locali devono essere dotati di sistemi d‘ allarme visivi e sonori. Il sistema deve segnalare all‘ operatore quando una cella di sterilizzazione contiene gas EtO. Il nome deriva dalle parole ATmosphères ed EXplosibles È stata pubblicata la Nuova Direttiva ATEX 2014/34/UE (relativa ad apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva) del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relativa agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva che sostituirà la Direttiva ATEX 94/9/CE. La Nuova Direttiva ATEX 2014/34/UE è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea (n° GU UE L96) del 29 Marzo 2014 ed è in vigore dal 30 marzo 2014. Zona 0 Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o spesso un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia. La presenza è superiore alle 1000 ore all'anno. Zona 1 Area in cui durante le normali attività è probabile la formazione di un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia. La presenza rientra nell'intervallo 10-1000 ore/anno. Zona 2 Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un'atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia e, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata. La presenza è inferiore alle 10 ore/anno. Sterilizzazione fisica Per sterilizzazione fisica si intende l’ eliminazione dei microorganismi ad opera di agenti fisici: Calore: utilizzabile per prodotti in polvere resistenti al calore e confezionati in contenitori termostabili, si può ricorrere alla sterilizzazione in autoclave o in adeguate stufe riscaldate a secco, ma sono casi sporadici, di solito non è effettuabile a causa della labilità del prodotto cosmetico. Filtrazione: la filtrazione su membrana è quella attualmente più usata per la purificazione dei prodotti cosmetici. I filtri a membrana per le loro caratteristiche possono essere considerati di superficie, per cui tutte le particelle il cui diametro sia superiore a quello dei pori della membrana usata, sono separate dal fluido che passa attraverso il filtro e trattenute in superficie. Un filtro è costituito da materiale poroso attraverso il quale viene fatta passare la soluzione da sterilizzare; il diametro dei pori deve essere tale da permettere il passaggio del liquido, ma impedire il passaggio dei microrganismi. Le dimensioni delle particelle che devono essere eliminate nella sterilizzazione per filtrazione sono molto variabili: le cellule batteriche più grandi possono avere diametro superiore al 10 mm mentre le dimensioni di alcuni batteri possono essere inferiori a 0,3 mm I filtri sono usati frequentemente anche in virologia (i virus, sono di dimensioni ancora più piccole, circa 10 nm). Radiazioni UV: La luce ultravioletta , di lunghezza d’ onda compresa tra 180 e 300 micrometri, svolge azione battericida. L’ effetto è in rapporto all’ intensità della radiazione, cioè della potenza radiante. Anche il mezzo dove si trova il batterio influisce. Ad esempio il vetro assorbe tutta la radizione che risulta inefficace. l'UV distrugge i legami molecolari del DNA dei microorganismi, producendo dimeri di timina nel loro DNA e distruggendoli, rendendoli inoffensivi o impedendone la crescita e la riproduzione. È un processo simile all'effetto dell'UV di maggiore lunghezza d'onda (UVB) sull'uomo, per esempio le bruciature solari o l'effetto accecante della luce. I microorganismi hanno una scarsa protezione dall'UV e non possono sopravvivere ad un'esposizione prolungata. Raggi gamma: le sorgenti irradianti sono isotopi del Cobalto 60 o Cesio 137 che emettono energia sufficiente alla penetrazione . E’ importante notare che nei prodotti sterilizzati non c’è radioattività residua in quanto i valori sono bassissimi oltre la rilevabilità. Le spore necessitano di maggiore dose di radiazione essendo più resistenti. I raggi gamma sono onde elettromagnetiche ad alta energia, della stessa natura della luce e dei raggi X. Attraversano la materia abbattendo o distruggendo la carica microbica senza lasciare alcun residuo, senza alterazioni e senza alcun aumento della temperatura. Hanno un elevato potere penetrante, per questo sono particolarmente efficaci su prodotti già confezionati. La tecnologia dei raggi gamma emessi dal Cobalto-60 (Co-60) è conosciuta e sfruttata a livello industriale da più di 50 anni per diversi scopi applicativi L’ azione delle radiazioni sulle cellule batteriche non è completamente chiarita, comunque si ritiene che risulti una lesione diretta della cellula. L’ effetto battericida aumenta in presenza di ossigeno. Concetto di sterilità come espressione numerica Un buon sistema per valutare l’ efficienza della sterilizzazione consiste nello stabilire il rapporto tra numero di microorganismi presenti prima e dopo il procedimento di sterilizzazione. In tal modo, se sono presenti un miliore di microorganismi prima del trattamento, su 10^6 e sopravvivono solo 100 microorganismi cioè 10^2, il fattore di inattivazione di tale procedimento nei confronti di quel batterio è 10^4. Con l’ ossido di etilene e il calore si possono raggiungere fattori di inattivazione di 10^13 e 10^18 rispettivamente. Ad esempio se in una unità di prodotto sono presenti 100 batteri, e il metodo adottato ha fattore di eliminazione 10^8, questo vuo dire che rimane un margine di 10^6, cioè che in un milione di unità c’è la possibilità di trovare un batterio. Conoscendo il fattore di inattivazione di un procedimento nel confronto dell’ organismo più resistente, il margine di ricurezza richiesto, si può scegliere la giusta dose di agente sterilizzante, indipendentemente dal mezzo. Conservazione nei confronti di processi ossidativi e autoossidativi I preparati farmaceutici così come i cosmetici , e gli alimenti contenenti oli, grassi naturali, soprattutto se con elevato numero di insaturazione, sono suscettibili ad azione ossidativa, o come si dice comunemente irrancidiscono. La composizione dell’ olio o del grasso influisce sul grado e sulla rapidità dell’ ossidazione. Ad esempio se sono presenti due o più doppi legami in un sistema coniugato, la reazione ossidativa procede a velocità più alta. La presenza di sostanze altamente insature può scatenare una reazione ossidativa a catena. Rancidità I grassi e gli oli, sono rancidi se contengono dei prodotti di ossidazione, derivati dalla scissione dei loro componenti insaturi tale da consentire la rivelazione organolettica della loro presenza. Tecnicamente la rancidità è espressa dal numero di perossidi presenti al di sopra di un certo valore. Mediante un test chiamato di Swift, si va a misurare la formazione di perossidi, se esso è inferiore a 5 milliequivalenti di perossidi per Kg, allora il prodotto è fresco e possono essere agiunte sostanze antiossidanti per preservarli, se il valore è maggiore di 10 allora l’ aggiunta di preservante è inutile. Gli antiossidanti, ritardano l’ alterazione ossidativa, e quindi anche i cambiamenti di colore, di odore e consistenza del preparato. Possono ritardare anche la degradazione di vitamine liposolubili. I cosmetici che fanno più uso di antiossidanti sono le emulsioni, lozioni, e capsule gelatinose. La rancidità ossidativa dei grassi e degli oli è dovuta alla formazione di perossidi sulle posizioni insature delle molecole, con rottura e formazione di derivati chetonici o aldeidici, che sono odorosi. Alcuni grassi contengono antiossidanti naturali, ma la maggior parte viene perduta nella raffinazione. Alcune sostanze acide come l’ acido citrico, l’ acido ascorbico e altri sono sostanze antiossidanti, mentre metalli tipo ioni ferro, rame, nickel, stagno, sono sostanze che favoriscono l’ ossidazione. I grassi insaturi agiscono all’ ossigeno atmosferico per formare piccole quantità di perossidi. Durante il periodo di induzione, questi perossidi iniziano a distruggere gli antiossidanti naturali, e poi iniziano il processso di irrancidimento vero e proprio. Anche temperatura, umidità, luce, ossigeno e certi metalli o leghe possono favorire il processo di ossidazione, o anche agenti proossidanti contenuti nella preparazione, ad esempio benzaldeide, alcool benzilico, acetofenone ecc queste sostanze inattivano gli antiossidanti sintetici. Ad esempio, dall’ acido oleico, si formano per ossidazione una serie di sostanze irritanti: Acido formico Acido ossalico Aci caprilico Acido suberico Ac pelargonico Ac. azelaico Meccanismo d’ azione degli antiossidanti Gli antiossidanti agiscono: 1) Prevenendo l’assorbimento di ossigeno da parte della sostanza perossidante 2) Lasciandosi ossidare da essi Meccanismo di autoossidazione Il meccanismo di autoossidazione di molecole organiche è un meccanismo radicalico a catena. Gli iniziatori della catena di reazione che porta all’ autossidazione possono essere di varia natura, anche radiazioni UV (esposizione alla luce solare dei prodotti) ioni metallici, ossigeno (esposizione all’ aria) e altri agenti che formano radicali liberi. Gli stadi sono: RH + iniziatore R. R. + O2 ROO. RH + ROO. ROOH + R. E quindi poi la reazione procede a catena Il preservante AH agisce legandosi al radicale R. In questo modo ROO. + AH ROOH + A. R. + A. RH + A. A.+ A. AA A.+ ROO. ROOA Queste ultime reazioni pongono fine all’ attività di autoossidazione. E’ necessario che il radicale del preservante non funga anche esso da iniziatore di perossidazione. Quindi non deve poter interagire con la molecola organica RH che invece deve proteggere. Classificazione di antiossidanti: La lista di queste sostanze è molto lunga e viene continuamente ampliata. Si può grossolanamente sudvidere in: 1)Composti fenolici, in questo gruppo numeroso sono presenti sostanze come il butilidrossianisolo BHA, il gallato di prolile, idrochinoni alchilici, tocoferoli naturali. BHT BHA 2)Composti amminici aromatici Questi composti svengono impiegati di rado, ad esempio p-amminofenoli 3) Composti organici dello zolfo, es, acido tio-di-propionico e il di-laurilrisopropionato 4) Antiossidanti naturali A questo gruppo appartengono i tocoferoli, ricavati dalla corteccia di un albero, la lecitina, l’ olio di germe di grano, flavonoidi, semi di anice, quercetina, pula di riso, spezie naturali, e melassa, sesamo e altri. 5) altri composti, ad esempio etanolammine, glicoderivati, monoesteri grassi di acidi tipo amminoacidi alifatici. Dosi consentite di antiossidanti Nei grassi e negli olio commestibili, nonchè negli oli e nei concentrati vitaminici il butilidrossianisolo viene impiegato a dosi di 200 PPM. I gallati di propile e di ottile fino a 100 PPM E’ consigliabile che l’ antiossidante venga aggiunto all’ olio o grasso il più presto possibile. Il BHA e BHT vengono utilizzati anche per prodotti alimentari e ritandano l’ ossidazione. Valori ottimali sono ottenuti in seguito a test di conservazione, effettuati a T ambiente o con un metodo accelerato, per misurare la resistenza del prodotto all’ ossidazione, ad esempio alzando la temperatura, o con ossigeno attivo. Prodotti Dermatologici Cicatrizzanti I cicatrizzanti possono essere suddivisi in due categorie fondamentali: 1) Sostanze che contribuiscono a ristabilire le condizioni tissutali necessarie alla cicatrizzazione normale. Appartengono a questo gruppo le vitamine A, D, E, C, e certi ormoni anabolizzanti, amminoacidi e lisati proteici, acidi nucleici, acidi grassi poliinsaturi. 2) Sostanze che agiscono per stimolazione specifica del processo di cicatrizzazione. Tra questo gruppo troviamo: - Sostanze responsabili dell’ accrescimento attivo dell’ organismo animale (sostanze ematopoietiche) Farmaci ad attività stimolante tissutale (o farmaci cicatrizzanti propriamente detti) Tra i farmaci dotati di attività stimolante tissutale rientrano gli azocoloranti (rosso scarlatto e epidermolo), insieme alla clorofilla, e ad altri derivati tiolici hanno un’ azione stimolante dei processi di riparazione epiteliale. Come conseguenza della delocalizzazione p, gli azocomposti arilici hanno colori vividi, specialmente rossi, arancioni e gialli. Pertanto, sono usati come coloranti noti col nome coloranti azoici. asiaticoside Tra i farmaci ad azione cicatrizzante ricordiamo: Asiaticoside, un principio ottenuto dalla Cetella Asiatica, è un trisaccarside legato con legame estereo a un aglicone detto acido asiatico, è una saponina triterpenoide. allantoina Allantoina, è la 5-ureido-idantoina Da molti anni viene usata come cicatrizante e stimolante della neoformazione tissutale normale. Si usa al 2%. Acido acesamico, è usato come unguento o fiale, per il trattamento delle piaghe cutanee, ulcere, ustioni. Demulcenti Sono sostanze che hanno un’ azione anti-irritante, sono sostanze come polialcooli, gomme, prodotti amilacei, mucillagini. I demulcenti più comuni sono: Glicerina: largamente impiegata come veicolo per molti prodotti dermatologici. Glicole prolilenico: anche questo usato come veicolo Metil cellulosa e carbossimetilcellulosa: sono sostanze di semisintesi, sucedanee di gomme naturali, prevalentemente impiegate come colloidi protettivi ed agenti disperdenti per farmaci ad azione attiva. Cheratolitici Queste sostanze agiscono particolarmente sullo strato corneo dell’ epidermide e sono farmaci capaci di rammollire la cheratina e gli epiteli corneificati. Sono impiegati nel trattamento delle veruche, di dermatomicosi, le sostanze più note sono l’ acido salicilico e l’ acido retinoico: Acido salicilico Acido retinoico L’ acido retinoico è l’ acido corrispondente della vitamina A (che è l’ alcool). La sua azione bilogica è molto diversa da quest’ ultima. L’ applicazione locale sotto forma di pomata, ha un effetto intenso cheratolitico, è usato per l’ acne. Rubefacenti Si considerano rubefacenti le sostanze capaci di produrre iperemia reattiva; se l’ azione locale progredisce si manifestano reazioni più intense che possono portare alla formazione di pustole. In passato la terapia rubefacente è stata largamente impiegata; attualmente il suo impegno è ancora diffuso, ma limitato ad alcune forme di applicazione. Tra le principali sostanze rubefacenti figurano: Mentolo Questa molecola possiede tre carboni asimmetrici ed esiste in 8 forme stereoisomere. Quando il mentolo viene applicato sulla pelle provoca vasodilatazione periferica, e quindi dà sensazione di fresco seguita da effetto analgesico. Ditranolo L’ 1, 8,9-antracentriolo, è un irritante locale, e non deve venire in contatto con occhi e mucose. È usato nel trattamento della psoriasi, di dermatomicosi e di dermatosi croniche. Esteri dell’ acido nicotinico Sono irritanti per le mucose e gli occhi, si impiega un unguento all’ 1-5% per il trattamento della psoriasi, o infezioni micotiche. Insettorepellenti Gli insettorepellenti sono prodotti che applicati sulla pelle sotto forma di creme , lozioni, o spray, hanno capacità di tenere lontano gli insetti. Un buon repellente dovrebbe essere: - perfettamente tollerato dall’ uomo e dagli animali - avere la massima attività a concentrazioni minime - azione prolungata, - assenza di odore. - dovrebbe inoltre avere attività verso il più grande numero di insetti possibile. Per un lungo periodo, l’ acido lattico e i suoi composti sono stati ritenuti i maggiori responsabili dell’ attrazione degli insetti verso l’ uomo. Recenti studi condotti in america, hanno dimostrato che una cute molto sudata attira maggiormente gli insetti, tale attrazione viene però compensata da una aizone repellente manifestata dai grassi cutanei superficiali. Questi esperimenti sono stati condotti con sudore, lipidi umani ed animali, insetti maschi e femmine e correlati a vari esperimenti effettuati in presenza di vari classi di composti ad attività repellenti es: Solfonammidi , urea, esteri , eteri. Sulla base dei dati sperimentali ottenuti si può affermare che l’ attrazione degli insetti non è costante per tutti gli individui nè per uno stesso individuo nel tempo, che il sudore attrae molto più l’ esemplare femmina che non il maschio e infine che mantine il suo potere attrattivo per molto tempo. Per quel che riguarda il potere repellente dei lipidi, la frazione dotata di maggiore attività è quella costituita dagli acidi grassi insaturi. Quindi probabimente la composizione individuale cutanea, dovuta alla dieta o ad altri fattori influenzano la insettorepellenza congenita. I primi insettorepellenti in commercio furono rappresetati dagli oli di citronella, bergamotto, ed eucaliptus. Poi soprattutto dopo i composti studiati dagli americani nel corso della II guerra mondiale, per proteggere i soldati nelle zone tropicali, si progettarono i composti di sintesi molti più attivi di quelli naturali. Fra questi ricordiamo: Ftalato dimetilico Si prepara dall’ acido ftalico, per sintesi dell’ anidride ftalica con alcool metilico. É liquido incolore, si usa come crema o lozione, è attivo contro molti insetti. Il suo derivato butilico,è particolarmente adatto contro le zecche. Dietiltuluolammide Liquido incolore, di lieve odore gradevole, è insolubile in acqua. Questo repellete è uno dei migliori per le zanzare. E’ attivo anche contro la zanzara che trasmette la malaria e la febbre gialla. Lo si impiega al 5-7% in alcool etilico, e dura molte ore. DEET Melanizzanti, antisolari, abbronzanti, demelanizzanti La pelle è la parte del corpo umano più esposta alle radiazioni che vengono assorbite dai tessuti in base alla loro lungheza d’ onda. Il meccanismo è diverso a seconda che si tratti di radiazioni ionizzanti (raggi gamma, o raggi X) o di radiazioni non ionizzanti (luce visibile, IR, UV). Le radiazioni agiscono sulla cute provocando effetti chimici, termici e fotochimici. Fototipi Il fototipo di una persona è una classificazione utilizzata in dermatologia, determinata sulla qualità e sulla quantità di melanina presente in condizioni basali nella pelle. Esso indica le reazioni della pelle all'esposizione alla radiazione ultravioletta ed il tipo di abbronzatura che è possibile ottenere tramite essa. Conoscere il proprio fototipo è il punto di partenza fondamentale per preservare la salute della propria pelle e per comportarsi correttamente durante l’esposizione alla radiazione ultravioletta della luce solare. L’ energia della radiazione è funzione della lunghezza d’ onda e più precisamente è inversamente proporzionale: E= h*c/l h è la costante di Plank c è la velocità della luce nel vuoto l è la lunghezza d’ onda Nome Abbreviazione Lunghezza d'onda (range in nanometri) Energia per fotone (in elettronvolt) Note / nomi alternativi Ultraviolet UV 400 – 100 nm 3.10 – 12.4 eV Ultraviolet A UVA 400 – 315 nm 3.10 – 3.94 eV onde lunghe UV, luce nera o luce Wood Ultraviolet B UVB 315 – 280 nm 3.94 – 4.43 eV onde medie UV Ultraviolet C UVC 280 – 100 nm 4.43 – 12.4 eV onde corte UV, germicida Near Ultraviolet NUV 400 – 300 nm 3.10 – 4.13 eV intervallo spesso visibile a diverse specie di uccelli, insetti e pesci Middle Ultraviolet MUV 300 – 200 nm 4.13 – 6.20 eV Far Ultraviolet FUV 200 – 122 nm 6.20 – 10.16 eV Hydrogen Lyman-alpha H Lyman-α 122 – 121 nm 10.16– 10.25 eV Extreme Ultraviolet EUV 121 – 10 nm 10.25 – 124 eV Vacuum Ultraviolet VUV 200 – 10 nm 6.20 – 124 eV Le radiazioni che interessano i preparati antisolari sono quelle ultraviolette che possono provocare sulla cute sia eritemi che abbronzatura a seconda dello loro lunghezze d’ onda. Sono eritematose quelle fino a 3000 A e pigmentose quelle da 3000 a 4000 Armstrong. Da 2000 a 3000 giungono nella zona papillare in cui provocano l’ insorgere di eritemi. Il massimo effetto eritematoso è dovuto alle radiazioni di 2967 a. Da 3000 a 4000 prenetrano fino alla profondità di 2 mm circa. Sono queste radiazioni che sollecitano le cellule melanofore provocando il richiamo in superficie della melanina e quindi l’ insorgere dell’ abbronzatura. I componenti cutanei cui è dovuta l’ azione di assorbimento delle radiazioni ultraviolette sono le proteine e gli acidi nucleici. Nel corso dell’ esposizione normale alla luce solare la pelle presenta dapprima un leggero rossore, che cambia in bruno-marrone in seguito all’ accresciuta funzione del pigmento Se l’ esposizione alla radiazioni è esagerata, si possono creare alterzioni cutanee paragonabili a delle gravi scottature, accompagnate da formazione di vesciche da febbre e da brividi. L’ abbronzatura della pelle è quindi un meccanismo di autodifesa dell’ organismo contro l’ azione troppo energica delle radiazioni solari. La melanina si forma nei melanoblasti dello strato basale dell’ epidermide. Il meccanismo biologico precedentemente. di questa trasformazione è stato descritto L’ eritema si manifesta circa 10 ore dopo l’ irradiazione, l’ acme si manifesta dopo circa cento ore e la sua scomparsa coincide con la formazione del pigmento. Tipi di filti solari FILTRI INORGANICI Ossido di zinco Biossido di titanio Molecole organiche I filtri chimici sono sostanze chimiche di sintesi che hanno la proprietà (per la loro struttura molecolare) di catturare l‘ energia degli UV evitando il danno alle cellule cutanee. In genere hanno nella loro molecola degli anelli aromatici che assorbono gli UV, bloccandone l’energia. Questa energia, che deve essere liberata, può essere eliminata come calore o come fluorescenza. Però nel caso di filtri fotosensibili, si può anche verificare un danno strutturale ed i prodotti di degradazione che si formano possono essere molto dannosi per le cellule cutanee. Ecco perché si cercano sostanze (filtri fotostabili) che, all'interno della loro struttura, subiscono modificazioni conformazionali in grado di restituire in forma termica l'energia assorbita. Il ritorno della molecola alla conformazione originale si presenta con la trasformazione dell‘ energia radiante nociva assorbita in energia termica inoffensiva. Soddisfare questo test di verifica è molto più difficile per un filtro UVA che per un filtro UVB. La fotosensibilità varia con gli individui, è stato osservato che la tollerabilità delle radiazioni solari dipende dal colore degli occhi. Le persone dagli occhi scuri hanno tendenza ad abbronzare senza che si formi l’ eritema, mentre quelle dagli occhi azzurri presentano nelle stesse condizioni i sintomi di un eritema ben caratterizzato. La pigmentazione della pelle è anche influenzata da: -fattori interni come avitaminosi (pellagra) disfunzioni epatiche, morbo di addison, gravidanza, -fattori esterni, come ustioni solari, foglosi della pelle, impiego di fotosensibilizzanti. Ci sono persone che a causa di una maggiore quantità di porfirina nel sangue sono vittime di un eczema ostinato (dermatosi attinica) che si localizza sulle parti del corpo scoperte (faccia, mani). Nei casi di tubercolosi e di lupus si osserva, invece una iposensibilità alle radiazioni ultraviolette. L’ abbronzatura della pelle è un fenomeno molto complicato in cui le reazioni fotodinamiche interessano molti processi biologici che si esplicano a livello cellulare. Melanizzanti Gli ormoni sessuali hanno influenza sul processo di abbronzatura; il testosterone regola nei due sessi una pigmentazione uniforme e soddisfacente. Anche la dieta , secondo alcuni autori, influisce sulla pigmentazione; una dieta acida aumenterebbe la sensibiltià ai raggi UV, una dieta alcalina clorurata abbasserebbe questa sensibilità. Alcuni prodotti farmaceutici come ad esempio i sulfamidici ed in modo particlare il Prontosil producono una maggiore sensibilità alla luce. Secondo recenti riceche le furocumarine, presenti in molti oli essenziali come il bergamotto ,il legno di cedro e la lavanda provocano una fotosensibilizzazione dell’ epidermide. Filtri solari Abbronzanti: Fra i molti prodoti usati come pigmentanti superficiali senza sole, il più in uso è il diidrossiacetone. Si ottiene per ossidazione del glicerolo, agisce in soluzione o lozione al 3%, come una semplice tintura. Provoca una pigmentazione sulla parte cornea superficiale, senza partecipazione della melanina, e senza reazione cellulare. Si complessa ad acune proteine dello strato corneo , dando luogo alla colorazione CH2(OH)-CO-CH2(OH) Demelinizzanti: Usati nel caso di patologie da operpgmentazine locale, tipo lentiggine, o macchie della perlle dovute al morbo di addison o alla gravidanza. Agiscono impedendo la formazione di melanina. (uso topico) Tra i prodotti più usati abbiamo il p-metossifenolo, e il p-benzilossifenolo. Test Dei cosmetici su animali I test dei cosmetici sugli animali sono dei test usati per verificare la sicurezza, l’ allergenicità o altre proprietà tossiche dei prodotti per uso umano. L’ uso di test su animali per lo sviluppo di un cosmetico, può coinvolgere sia il prodotto finito che gli ingredienti da soli, spesso vengono usati conigli, topi, ratti o altri animali A causa di forti pressioni delle associazioni animaliste, sono attualmente banditi nei paesi dell’ UE, norvegia, Israele, India. Sono invece permessi negli stati uniti e giappone, dove a causa delle stringenti regolamentazioni sulla sicurezza, non si riescono a raggiungere certificazioni di sicurezza sufficienti senza condurre i test su animali. METODI -I metodi per condurre i test cosmetici sugli animali, incudono irritazione della pelle o degli occhi (draize test), -Sensibilizzazione cutanea, sensibilizzazione delle vie aeree, calcolo della LD50 (dose letale nel 50% degli animali) Draize Test Il test è un test di tossicità acuta, messo a punto nel 1944 dalla FDA, (Dr Draize). Il test prevede l’ applicazione di 0.5 mL o 0.5 g della sostanza da testare nell’ occhio di un coniglio, cosciente, e poi osservarne l’ effetto per 14 giorni. Gli animali vengono osservati per eritema, o edema, rossore, lacrimazione, ulcerazioni, emorragia, opacizzazione o cecità. Liofilizzazione Di recente alcuni preparati cosmetici a base di prodotti polivitaminici, e fitoterapici sono stati confezionati sotto forma di liofilizzati. Per liofilizzazione si intende l’ essiccamento sotto vuoto spinto di soluzioni (o materiale contenente acqua) preventivamente congelate, mediante sublimazione del ghiaccio , cioè l’ acqua viene eliminata tramite il passaggio diretto dallo stato solido allo stato di vapore. Lo scopo di questa operazione è quello di ottenere un prodotto che conservi il più a lungo possibile le caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e biofisiche del prodotto originario in modo che, dopo un certo periodo di tempo, possa essere riportato allo stato iniziale mediante semplice aggiunta di acqua. Il congelamento provoca il blocco di qualsiasi processo di alterazione o degenerazione del materiale e l’ essiccamento sotto vuoto permette di avere un prodotto a bassa concentrazione di umidità e quindi ben conservabile. La liofilizzazione è una tecnica relativamente recente, si applica a prodotti biologici, plasma, sieri, vaccini, vitamine, sostanze alimentari, e batteri. Procedimento Il procedimento della liofilizzazione si svolge secondo le seguenti fasi: Precongelamento Essiccamento Condensazione Essiccamento primario Essiccamento secondario Precongelamento Il congelamento della soluzione viene comunemente detto precongelmento, perché precede l’ operazione caratteristica della liofilizzazione che è l’ essiccamento. Una soluzione uniforme di acqua e NaCl ad esempio viene congelata raffreddandola. La temperatura quindi si abbasserà in maniera lineare fino a circa 0°C; quindi a questo punto la temperatura rimane costante poiché si ha l’ emissione del calore latente di congelamento, per il tempo in cui avviene il congelamento di una certa quantità di acqua, mentre il resto della soluzione di concentra di NaCl, cioè perdita di energia cinetica delle molecole. La temperatura torna poi a diminuire fino al punto in cui, a circa -22 °C non si osserva il congelamento di tutta la soluzione salina con altra perdita di energia. In cosmetica non si ha di norma a che fare con soluzioni di Sali minerali, ma con emulsioni, estratti organici, enzimi, quindi è molto difficile determinare il punto in cui tutta la soluzione solidifica, quindi nei liofilizzatori si tende a usare una temperatura molto bassa di congelamento fino a -40°C sotto zero. Generalmente nell’ industria farmaceutica o cosmetica si usano dei cilindri, flaconcini o fiale a bocca larga riempiti con strati di 1-2 cm. I contenitori sono messi su vassoi, uno accanto all’ altro, e poggiati su piani surgelatori. Essiccamento Si può dividere in primario e secondario Con essiccamento primario si può eliminare tutto il ghiaccio libero, e con quello secondario l’ acqua di assorbimento, di cristallizzazione, o comunque l’ acqua non congelabile. Si effettua nella camera di essiccamento, che è a chiusura ermetica e capace di resistere ad una pressione esterna, in quanto all’ interno si crea il vuoto spinto. Generalmente sono fatte di acciaio inossidabile, a forma cilindrica e con pareti rinforzate. Essiccamento primario Il collegamento diretto fra pompa, condensatore e autoclave determina il flusso verso il condensatore. Durante la sublimazione del ghiaccio, come in tutte le evaporazioni si verifica un assorbimento di calore perché le molecole acquistano energia cinetica. Quindi la soluzione raffrettata a -40 °C diminuisce ancora di più la temperatura, da qui sorge il problema di mantenere sempre la differenza di temperatura rispetto al condensatore, e quindi le piastre devono poter essere riscaldate per cedere il suddetto calore. Quando tutto il ghiaccio è sublimato il valore della pressione nell’ autoclave diminuisce rapidamente fino ad allinearsi a quello della pompa, a questo punto l’ essiccamento primario è terminato. Essiccamento secondario Nella maggior parte dei casi dopo l’ essiccamento primario, il prodotto non è ancora sufficientemente secco. Per questo un ulteriore essiccamento, per togliere i residui di umidità è necessario. Per fare questo si metterà direttamente il prodotto sotto vuoto, scaldandolo, fino al massimo consentito dalla natura delle sostanze. L’ essiccamento in alto vuoto si protrarrà generalmente per un’ ora o due. La percentuale di umidità residua in questo caso può oscillare tra 0.5-1%. Condensazione Avviene in un recipiente di forma cilindrica munito di serpentina, per il raffreddamento collegato da una parte alla pompa a vuoto e dall’ altra con l’ autoclave e munito anche di una resistenza elettrica per lo sbrinamento. E’ stato calcolato che un buon impianto deve avere un salto termico di 1520°C, quindi per esempio se il prodotto è raffreddato a -40°, il condensatore deve essere a -60°C Pompe Per l’ essiccamento si usano pompe ad alta capacità di vuoto , che in pochi secondi sono capaci di abbassare la pressione nell’ autoclave a 0.1 mm di Hg. La sublimazione del ghiaccio a questa pressione inizia a circa -35°C. Scarico del liofilizzato Dopo aver chiuso la pompa e interrotto il riscaldamento si fa entrare nell’ autoclave dall’ esterno mediante un rubinetto , aria deumidificata e sterile, si apre quindi il portello e si toglie il liofilizzato che viene chiuso in contenitori ermetici quanto più rapidamente possibile. I controlli che vengono effettuati sui prodotti liofilizzati sono: -Analisi chimica e biologica -Determinazione dell’ umidità -Prove di sterilità Nel caso che il prodotto cosmetico debba risultare sterile è necessario osservare in tutte le operazioni una rigorosa asepsi. Quindi la soluzione viene filtrata in recipienti preventivamente sterilizzati attraverso appositi filtri a membrana, o setti porosi capaci di trattenere i microorganismi. Anche le fiale, le siringhe gli aghi i tubi e le macchine infilatrici sono sterilizzati in autoclave. Il personale deve indossare tute, cappucci, maschere, guanti, ecc. sterilizzati. L’ impianto dell’ aria condizionata deve essere munito di filtro totale. La stanza in cui avviene il riempimento e la chiusura delle fiale deve essere mantenuta sterile con lampade a raggi ultravioletti e sotto lieve pressione.