La celebrazione eucaristica I gesti del corpo durante la celebrazione eucaristica Soprattutto nelle celebrazioni comunitarie non è indifferente la posizione del corpo, perché, oltre ad alimentare gli atteggiamenti corrispondenti, manifesta pure l’unità del corpo mistico di Cristo. Tuttavia non bisogna neanche assolutizzare un determinato atteggiamento. Quando è possibile, rimanere fedeli alle indicazioni date è sempre preferibile ad ogni intimistico e personalistico modo di stare a Messa. E’ il segno della sua libertà di redento da Cristo, della sua condizione di figlio, della sua confidenza in Dio. Stare in piedi manifesta la dignità di Risorto che il credente ha ricevuto nel Battesimo. Nella comunità cristiana antica nelle domeniche e per tutto il tempo di Pasqua i credenti non si inginocchiavano mai proprio per questa consapevolezza. Questo atteggiamento del corpo esprime pure il rispetto per una persona importante, indica l’attenzione, la prontezza, la disponibilità. Quando si sta in piedi: · Dall’inizio della celebrazione fino alla preghiera di Colletta · Durante l’acclamazione al Vangelo e la sua proclamazione · Dalla professione di fede alla preghiera dei fedeli · Dall’orazione sulle offerte al Santo · Dal Mistero della fede fino alla comunione eucaristica · Durante la preghiera finale fino al congedo Questa posizione del corpo favorisce ed esprime alcuni atteggiamenti interiori, primo tra tutti quello dell’ascolto. Dice pure atteggiamento di pace e distensione, di presenzialità o attesa. Stare seduti è anche la posizione più favorevole alla concentrazione e meditazione. E’, infine, l’atteggiamento che solitamente assume il discepolo nei confronti del maestro manifestando ricettività e attenzione. Quando si sta seduti: · Durante l’ascolto delle letture prima del Vangelo, il salmo responsoriale e l’omelia · Durante la presentazione e preparazione dei doni · Se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione Tale posizione del corpo può esprimere diversi atteggiamenti interiori: l’umiltà alla presenza del mistero, l’adorazione, la penitenza, la preghiera personale. Generalmente chi si mette in ginocchio esprime i sentimenti caratteristici di fronte alla grandezza e all’amore di Dio. Quando ci si inginocchia: · Dalle norme riportate nel Messale Romano emerge che in un solo momento l’assemblea viene invitata a mettersi in ginocchio, cioè durante la consacrazione. Ci si inginocchia al momento dell’epiclesi (momento in cui il sacerdote impone le mani sul pane e sul vino e invoca il dono dello Spirito) e si ritorna in piedi quando il sacerdote proclama: Mistero della fede. L’abitudine, dunque, a rimanere in ginocchio fino alla dossologia (Per Cristo, con Cristo…) non è corretta. Le braccia aperte e alzate sono da sempre un atteggiamento della persona in preghiera. Sono il simbolo di uno spirito rivolto verso l’alto, di tutto un essere che tende a Dio. Con questo atteggiamento la preghiera riveste un tono di richiesta, ma anche di intercessione. Quando si allargano le braccia: · Mentre chi presiede è invitato ad assumere questa posizione in diversi momenti della celebrazione, soprattutto durante le orazioni e la preghiera eucaristica, i fedeli possono pregare allargando le braccia durante la preghiera del Padre nostro. I vescovi italiani precisano che questo gesto, opportunamente spiegato, deve essere fatto con decoro e in un clima fraterno di preghiera. Il canto liturgico Il canto nella liturgia non è un di più. Infatti non si canta per rendere più solenne un rito, ma esso è parte integrante della celebrazione. Cantare e suonare è un servizio che viene reso a Dio e all’assemblea: a Dio perché cantando si esprime la fede in lui; all’assemblea per aiutarla a celebrare bene anche attraverso il sostegno del canto. Ciò prevede che nella scelta dei canti si tenga conto delle capacità, delle possibilità e delle conoscenze dell’assemblea radunata. A queste condizioni il servizio è reale. Il canto nella celebrazione eucaristica si colloca secondo diversi gradi di importanza; quelli più importanti sono i canti che appartengono alla struttura del rito e nascono come tali: l’Alleluia, il Santo, l’Agnello di Dio, il Gloria insieme alle altre acclamazioni quali Mistero della fede, Tuo è il regno. Un altro blocco di canti ha lo scopo di commentare la Parola risuonata, la giornata che si sta celebrando, o accompagnare un’azione come nel caso del canto di comunione. Poiché il canto è come la colonna sonora di un film, deve essere coerente all’azione che commenta e calcolato secondo il tempo necessario all’azione stessa. Quando il servizio del canto è autentico? · Quando cantando si prega. · Quando in tutto quello che si fa non si cerca tanto la personale soddisfazione, quanto il bene e la crescita dell’assemblea. · Quando ci si ricorda che si è innanzitutto cristiani convocati dal Signore per ascoltare e pregare insieme agli altri; il compito del coro, perciò, non si conclude quando si termina un canto permettendo ai cantori il lusso di sfogliare il libretto dei canti o di chiacchierare. · La preziosità del servizio passa attraverso due cose: l’esecuzione bella del canto e la testimonianza dello stare a Messa. E’ nato intorno al V sec. poiché prima di questo periodo la celebrazione cominciava con il saluto del celebrante e le letture. Il canto d’ingresso ha diversi scopi: aprire la celebrazione, favorire l’unione dei presenti, introdurli al tempo liturgico o alla festività che si sta celebrando, accompagnare la processione introitale; quindi deve essere scelto in base a questi criteri. Utile è fare riferimento all’antifona d’ingresso proposta dal Messale che indica già che tipo di canto proporre. Di conseguenza, quando si canta, tale antifona non si proclama. Tale canto può cominciare prima dell’ingresso del sacerdote e continuare fino a che non sia giunto alla sede. E’ un canto di gioia e di ringraziamento; si tratta di un inno appartenente alla storia più antica della cristianità. Per sua natura dovrebbe essere sempre cantato con una musica trascinante e spirito gioioso. Tuttavia può essere anche ascoltato come un qualsiasi inno civile o patriottico. La parola Alleluia è di origine ebraica e significa Lodate il Signore; questo canto esprime la gioia e la festa di chi sa riconoscere il Risorto che viene a parlare alla comunità radunata. In quanto acclamazione, l’Alleluia va sempre cantato con larga partecipazione popolare. Il cantare questa acclamazione è talmente importante che le norme del Messale arrivano a dire che se non si canta, l’Alleluia venga tralasciato (PNMR 39). Se è possibile anche il versetto alleluiatico venga cantato; tuttavia può essere letto da un solista o da tutti. E’ bene che non venga sostituito da altri versetti poiché è la chiave di lettura del Vangelo e non è indifferente proporre l’uno o l’altro testo. E’ nato per accompagnare la processione e la presentazione dei doni facendo da sfondo a un’azione rituale. Pare che sia stato introdotto per la prima volta a Cartagine al tempo di S. Agostino (IV sec). Poiché il momento della presentazione dei doni è di passaggio, il testo di questo canto può essere di diversa natura: di benedizione, di offerta, di intercessione, di meditazione della Parola annunciata, mariano, ecc. Non si tratta di un canto obbligatorio per cui può essere anche sostituito dal solo suono dell’organo o dal silenzio. E’ il canto acclamatorio più nobile e ispirato della liturgia cristiana poiché di radice biblica; è un’esplosione di gioia e di adorante riconoscenza, a conclusione del Prefazio. Poiché deve essere cantato da tutti è necessario che sia facile, solenne e aderente al testo liturgico. Questo canto ha lo scopo di esprimere l’unione spirituale dei comunicandi e la gioia del cuore di chi si accosta a ricevere il Corpo di Cristo. Per sua natura deve avere un chiaro riferimento al tema eucaristico senza tener conto principalmente del tema liturgico del giorno. Anche qui il Messale prevede un’antifona di comunione che può dare validi suggerimenti per la scelta del canto; naturalmente essa non si proclama quando si canta. La suppellettile liturgica La prima epoca cristiana non conosce l’abito liturgico; c’è piuttosto la convinzione per tutti di andare alla celebrazione in abito festivo. Con l’epoca costantiniana il clero fu equiparato agli alti funzionari imperiali ricevendo particolari insegne come la stola, il manipolo, il pallio e l’anello. Le vesti liturgiche vere e proprie compaiono nel V sec. quando, abbandonata la tunica e la doga quale abito romano, si dà spazio, nel mondo profano, al vestiario gallico-germanico con i pantaloni e la giacca; i ministri della liturgia, a questo punto, manterranno le antiche vesti festive romane che diventeranno paramenti liturgici. Le vesti liturgiche non sono indispensabili alla celebrazione, perché ciò che conta è la presenza della comunità e del ministro; tuttavia diventano di aiuto per chi vi partecipa in quanto mettono in evidenza alcune cose: 1. che l’azione liturgica è altra, cioè è un’azione diversa da quelle abituali poiché si ha a che fare in maniera più forte con il mistero di Dio; 2. la veste chiarisce il compito di chi presiede sottolineando che non sta compiendo un’azione propria, ma di Cristo; 3. distingue i vari ministeri liturgici poiché ad ognuno è riservato un abito particolare. Va abbandonata, così, ogni interpretazione allegorica delle vesti in riferimento alla vita di Cristo. La stola : si tratta di quella striscia di stoffa, tipo sciarpa, che il presbitero mette attorno al collo facendola, poi, scendere verso il basso. Essa vuole richiamare la grazia presbiterale che avvolge il ministro e grazie alla quale può svolgere il suo compito. La casula : è la veste liturgica a forma di campana che il presbitero indossa per la celebrazione eucaristica. Sia la stola che la casula possono essere di diversi colori ad esprimere la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati in quel giorno, e il cammino dell’anno liturgico La stola : a differenza del presbitero, il diacono la mette in senso diagonale a partire dalla spalla sinistra per allacciarla sul fianco destro; essa richiama le ali dell’angelo pasquale che annuncia il Vangelo della risurrezione mettendo in evidenza uno dei compiti del diacono: dare voce al Cristo Risorto attraverso la proclamazione del Vangelo. La dalmatica : allude al grembiule di chi serve, proprio per richiamare il suo ruolo nella comunità, cioè di essere immagine del Cristo servo. Tutti i ministri hanno in comune l’alba (= bianco) o il camice che è la veste lunga, erede dell’antica tunica romana. Il periodo iniziale del cristianesimo non conosce oggetti particolari destinati al culto, ma vede utilizzata la stessa suppellettile domestica per il rito liturgico. Più avanti i cristiani cominceranno a riservare alcuni oggetti, soprattutto quelli usati nelle celebrazioni presiedute dagli apostoli, testimoni di Cristo e primi destinatari del suo comando. Nasce così la suppellettile sacra, cioè riservata a determinate azioni cultuali. La dimensione artistica e la preziosità del materiale utilizzato metteranno bene in evidenza il valore dato alla celebrazione e a ciò che il vaso sacro dovrà contenere. Tra la suppellettile liturgica un posto del tutto particolare ce l’ha il calice. E’ un oggetto carico di simbologia naturale e religiosa. Esso rimanda agli eventi salvifici della storia, in maniera particolare all’antica alleanza celebrata con il sangue dei giovenchi (Cfr Es 24, 4 - 8); ripresenta, poi, l’ultima cena di Gesù quando egli stesso prese il calice e lo diede ai suoi discepoli caricandolo di un nuovo significato; rimanda, infine, al compimento di questi eventi nella liturgia celeste. Nel rito della Nuova Alleanza il sangue non viene asperso, come nell’Antica, ma viene bevuto per mettere meglio in risalto la comunione con Dio. Questa comunione richiede di riconoscere in quel calice il sangue di Cristo e di conseguenza il dovere di fedeltà alla sua parola. Il calice di Cristo è il calice della salvezza e della gioia, è garanzia di fedeltà delle promesse fatte da Dio al suo popolo (Cfr Sal 23, 5- 6; 16,5), ed è contemporaneamente il calice drammatico e amaro del sacrificio bevuto da Cristo per donare a noi la gioia della salvezza. Il calice, dunque, nella liturgia non è solo un oggetto, ma deve richiamare tutto questo mistero di amore e di sofferenza compiuto da Gesù per l’umanità. Così nella purezza delle sue linee, la preziosità del materiale e la decorazione pertinente devono far sì che il calice, inserito nella celebrazione, faciliti il rimando a questo contenuto. Fine Grazie per la vostra partecipazione!