Croce - prof. Panella

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Intellettuali e politica nell’Italia
del primo dopoguerra:
Croce e Gentile
di
Gianni Balestrieri
 Nella
primavera del 1925, s’interrompe il
lungo e profondo sodalizio intellettuale tra i
due maggiori filosofi italiani della prima
metà del ‘900: Benedetto Croce (1866-1952) e
Giovanni Gentile (1875-1944).
A
questa data, siamo ancora nel cono
d’ombra degli eventi conseguenti al delitto
Matteotti.
 Il
regime fascista è riuscito, a fatica, a
superare una crisi che in alcuni momenti
pareva potesse travolgerlo.
 Gentile,
che era ministro dell’Istruzione del
primo governo Mussolini, aveva rassegnato
le sue dimissioni in seguito al delitto
Matteotti.
 Va
detto però che le sue dimissioni non
vanno viste come una presa di distanza dal
fascismo e di sfiducia nei riguardi di
Mussolini.
 Al
contrario, il suo gesto voleva essere un
modo per dare piena libertà d’azione politica
a Mussolini, al fine di potergli consentire di
muoversi con maggiore determinazione al
superamento delle difficoltà in cui si trovava.
 Gentile,
dunque, anche dopo il caso
Matteotti, non aveva alcuna intenzione di
separare il suo destino da quello del
fascismo.
 Prova
ne è che egli fu tra i promotori di un
convegno per la cultura fascista che si tenne
a Bologna nel marzo del 1925.
 Da
questo convegno uscì un documento,
opera dello stesso Gentile, in cui si tracciava
un profilo del fascismo e del ruolo storico
che aveva svolto nell’Italia del dopoguerra.
È
questo il documento che di solito viene
indicato come il Manifesto degli intellettuali
fascisti.
 Al
manifesto gentiliano, Croce replicò poco
dopo, soprattutto per le sollecitazioni di
Giovanni Amendola, con un altro manifesto,
noto come il Manifesto degli intellettuali
antifascisti.
 La
pubblicazione dei due Manifesti segnò la
definitiva rottura tra i due grandi pensatori
dell’idealismo italiano.
 Ormai
essi erano diventati a tutti gli effetti i
leaders di due schieramenti opposti e fra
loro inconciliabili.
 Certo,
negli anni precedenti, non erano
mancate divergenze filosofiche fra i due.
 Ma
esse non avevano mai portato alla
rottura del loro sodalizio intellettuale.
 Quando
però alla filosofia si aggiunsero i
dissidi politici, allora non fu più possibile
alcuna ricomposizione, e ciascuno prese la
sua strada.
 Leggiamo
in proposito un passo di una
lettera del 24 ottobre del 1924 che Croce
indirizzò a Gentile:
 “Certo
noi da molti anni ci troviamo in un
dissidio mentale, che per altro non era tale
da riflettersi nelle nostre relazioni
personali. Ma ora se n’è aggiunto un altro
di natura pratica e politica, e anzi il primo si
è convertito nel secondo; e questo è più
aspro”.
 Ma
se questo è il punto d’arrivo del rapporto
fra Croce e Gentile, occorre ora fare un
passo indietro per ricostruire come essi
vennero formando la loro posizione sul
fascismo, e quale evoluzione questa ebbe
tra il 1919 e il 1925.
 Si
potrà, così, cogliere il punto esatto su cui
maturò la rottura fra i due filosofi.
 Cominciamo
da Gentile.
 Per
comprendere la posizione di Gentile nei
confronti del fascismo, è opportuno partire
dal giudizio che il filosofo siciliano diede
della guerra e, in particolare, del significato
che essa ebbe per l’Italia.
 Come
molti suoi contemporanei, e tra questi
tanti autentici democratici, Gentile vide
nella guerra la grande occasione storica per
completare l’opera iniziata dal
Risorgimento.
 Il
Risorgimento era stato un’epopea eroica
in cui gli italiani avevano trovato le energie
spirituali per scuotersi di dosso il dominio
straniero e affermare la libertà della patria
da far vivere nell’unità dello Stato.
 Ma,
per certi versi, il Risorgimento aveva
lasciato a metà l’opera, in quanto il
sentimento nazionale era rimasto
circoscritto ad una minoranza.
 l’Italia,
insomma, non si era fatta popolo, e il
popolo non sentiva la patria.
 Questo
limite, poi, non era stato colmato nei
decenni successivi all’unificazione.
 Anche
perché la vita della nuova compagine
politica si era adagiata nella mediocrità.
 Le
forti passioni e lo spirito eroico espressi
nel calore della lotta per la libertà e per
l’indipendenza della patria erano infatti
andati smarriti.
 Con
l’avvento di Giolitti al potere, infine, la
vita civile e politica italiana aveva toccato il
suo fondo.
 Di
Giolitti, Gentile dava un giudizio
estremamente negativo.
 Per
Gentile, Giolitti aveva eliminato dalla
vita politica ogni movente ideale,
schiacciandola invece sulla mera
amministrazione, la quale era stata, per di
più, condotta con una prassi sempre incline
al compromesso e al clientelismo.
 Entro
questa valutazione della storia
postunitaria, la partecipazione alla guerra
dell’Italia diventava allora per Gentile la
necessaria prova per forgiare, finalmente,
attraverso la durezza e i sacrifici, che il
conflitto avrebbe imposto, ma anche la
solidarietà e l’abnegazione che avrebbe
suscitato, l’identità nazionale, come identità
del popolo nella sua interezza.
 Leggiamo
un brano di una lettera del 25
aprile 1915 in cui Gentile, nel disapprovare la
posizione di Croce, chiarisce ivece le sue
ragioni:
 [Croce] “si
lascia sfuggire la gravità del
problema italiano nel momento presente e
troppo spesso si preoccupa dei rischi,
certamente grandissimi, a cui l’Italia si
esporrà in guerra. Tutto il nostro avvenire
dipenderà dalle nostre risoluzioni in questi
giorni, come avviamento alla nostra vera vita
nazionale (finora realmente mancata), o
come fatale declinazione verso il nostro
disfacimento morale”.
 Una
precisazione si rende necessaria : è
interessante notare come la posizione di
Gentile non sia assimilabile a quella dei
nazionalisti.
E
dai nazionalisti, anzi, Gentile non mancò di
prendere esplicitamente le distanze,
criticando la loro concezione naturalistica
della nazione.
 Per
Gentile la nazione era un atto dello
spirito e un atto che andava sempre e di
nuovo rinnovato, perché la nazione vivesse
veramente.
 Di
qui, pertanto, il carattere morale che la
guerra assumeva per Gentile.
 Essa
diventava una prova in cui il vero
nemico prima ancora che stare nella trincea
opposta, stava nell’animo stesso degli
italiani.
Bedeschi, p 112
 Se
mi si consente, si potrebbe utilizzare una
formula gramsciana per indicare la
posizione di Gentile : per lui la guerra
doveva essere una riforma intellettuale e
morale del popolo italiano.
 Se
allora si tiene presente quanto detto, si
possono capire più agevolmente le ragioni
che portarono Gentile ad accostarsi al
fascismo.
 L’Italia
era uscita vincitrice dalla guerra.
 Vi
erano dunque tutte le condizioni per quel
rinnovamento morale auspicato da Gentile.
 Ma,
negli anni tormentati del dopoguerra
italiano, agivano forze minacciose che
operavano per vanificare il patrimonio
morale guadagnato con la guerra.
 Queste
forze erano costituite dai socialisti.
 Il
Partito socialista era, per Gentile, una
forza politica antinazionale, materialista e
che inneggiava alla lotta di classe.
E
nel dopoguerra, adottando la linea del
“fare come in Russia”, aveva messo la
rivoluzione all’ordine del giorno, cioè
l’abbattimento dello Stato nazionale, che per
Gentile era il bene più grande.
 Con
la sua prassi politica, il partito
socialista, mettendo una classe contro l’altra,
stava dunque distruggendo il senso di
appartenenza nazionale e d’identità comune
degli Italiani.
passo Bedeschi p 247.
 Ora,
Gentile riteneva che a questa forza
disgregatrice, portatrice di una visione
materialistica della vita e che proclamava la
necessità della lotta di classe, non era
pensabile opporsi con gli uomini e la prassi
politica dell’anteguerra.
 Insomma,
non era pensabile che il pericolo
rosso potesse essere vinto da Giolitti.
 Anzi,
per Gentile, Giolitti era a sua volta
parte del problema e non della soluzione.
 Infatti,
Giolitti, col suo modo di far politica,
non avrebbe mai potuto restaurare l’autorità
dello Stato e l’identità nazionale minacciati
dai socialisti.
 C’era
piuttosto da pensare che egli favorisse
la capitolazione dello Stato, consegnandolo,
per mancanza di passione e di ideali politici
autentici, nelle mani dei socialisti.
 E’,
dunque, per queste considerazioni che il
fascismo venne a configurarsi per Gentile
come la sola forza capace di lottare, con le
stesse armi dell’avversario, per l’onore e
l’identità della nazione, e che poteva
consentire che la preziosa eredità della
guerra non andasse dispersa.
 In
questo senso, si poteva anche dire che il
fascismo era sorto per una reazione al
socialismo, ma non per questo lo si poteva
ridurre ad un fenomeno di mera reazione,
che non aveva quindi un proprio contenuto
propositivo e specifico.
 Per
Gentile, al fascismo andava addirittura
riconosciuto un carattere rivoluzionario, in
quanto, richiamandosi direttamente al
Risorgimento, spazzava via l’Italietta
dell’anteguerra, conferendo al corpo della
nazione quella idealità e spiritualità che le
aveva fatto difetto.
E
tale nuova idealità altro poi non era,
secondo Gentile, che la moderna concezione
liberale della vita.
 Concezione
liberale che con il suo idealismo
attualistico Gentile aveva contribuito in
modo decisivo a teorizzare e a diffondere.
 Per
quanto apparentemente paradossale, il
filosofo siciliano effettivamente considerava
il fascismo come un movimento liberale,
anzi come l’unica espressione del
liberalismo in Italia.
 Ovvio
che s’impone un chiarimento su cosa
intendesse Gentile per liberalismo.
 Orbene,
per Gentile liberalismo autentico
non aveva nulla a che fare con il liberalismo
di matrice anglo-francese del ‘700.
 Non
aveva nulla a che fare, cioè, con un
liberalismo inteso come difesa e tutela dei
diritti individuali dall’invadenza del potere
statale.
 Quel
liberalismo poteva avere avuto anche il
merito storico di avere contribuito alla fine
dell’assolutismo, ma era, oltre che
storicamente superato, anche figlio di gravi
errori concettuali.
 Il
suo più grave errore consisteva nel
credere che l’individuo avesse dei diritti in
sé, preso astrattamente, cioè prima e al di
fuori della sua concreta esistenza storica,
che poi, per Gentile, era quella statale.
 Partendo
da questa premessa, il liberalismo
settecentesco aveva concepito lo Stato come
un mero strumento al servizio
dell’individuo.
 Quello
da cui, con la sua argomentazione,
Gentile marcava le distanze,
era insomma il liberalismo della libertà
negativa.
A
questo liberalismo, Gentile opponeva il
liberalismo della libertà positiva.
 Scriveva
nel 1923, dopo aver ricevuto la
tessera onoraria del partito fascista, che il
liberalismo autentico era quello della
“libertà nella legge e perciò nello stato forte
e nello stato concepito come una realtà
etica”.
 Il
liberalismo, dunque, non aveva nulla a che
fare con la difesa della libertà individuale.
 Anzi,
il liberalismo per Gentile consisteva
nell’adeguarsi della volontà individuale alla
volontà dello Stato.
 L’individuo
è libero nell’adempimento degli
obblighi e dei doveri che la vita della
comunità prevede.
 Per
tale via, Gentile poteva allora concludere
proclamando l’equivalenza di liberalismo e
fascismo, di liberalismo e totalitarismo.
 Riassumiamo:
 Realizzare
l’identità nazionale;
 La guerra come prova morale;
 Il pericolo socialista;
 Il fascismo restaura il sentimento nazionale
e instaura il vero Stato;
 Liberalismo e fascismo.
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 La
posizione di Benedetto Croce sul
fascismo, almeno fino al 1925, si può
riassumere attraverso tre interviste
rilasciate tra l’ottobre del 1923 e il luglio del
1924.
 Si
tratta dunque di valutazioni, quelle che
considereremo, espresse quando ormai il
fascismo era già al potere.
 Nella
prima intervista, rilasciata al
“Giornale d’Italia”, Croce, dopo aver
ribadito la sua adesione al liberalismo –
frutto peraltro più dall’appartenere alla
generazione formatasi nel clima
risorgimentale che non di una riflessione
filosofica – dichiarava tuttavia che il fascismo
aveva avuto una grande utilità.
 Tale
utilità del fascismo veniva ravvisata
nell’avere posto fine alle gravi turbolenze e
agitazioni del dopoguerra.
 Da
questa premessa, Croce allora replicava,
a chi chiedeva un governo diverso da quello
in carica, cioè diverso dal governo Mussolini,
di non vedere quali forze potessero
“fronteggiare o prendere la successione del
governo presente”.
 Ed
egli, poi, aggiungeva di vedere che assai
forte era ancora la “paura di un eventuale
ritorno alla paralisi parlamentare del 1922”,
e che, quindi, proprio “per un tale effetto,
nessuno, che abbia senno, augura un
cangiamento”.
 All’intervistatore
che lo incalzava,
chiedendogli se non vi era contraddizione tra
il suo dichiarato liberalismo e il suo giudizio
sul fascismo, il filosofo napoletano
concludeva con quest’annotazione:
 “Se
i liberali non hanno avuto la forza e la
virtù di salvare l’Italia dall’anarchia in cui si
dibatteva, debbono dolersi di sé medesimi,
recitare il mea culpa, e intanto accettare il
bene da qualunque parte sia sorto, e
preparasi all’avvenire”.
 Come
si vede, si tratta di un giudizio
tutt’altro che negativo, quello espresso da
Croce sul fascismo.
 Certo,
Croce teneva a tener distinta la sua
posizione da quella fascista. Egli infatti si
dichiarava liberale.
 Nello
stesso però non nascondeva affatto i
meriti che ai suoi occhi si era guadagnato il
fascismo.
 Meriti
che risiedevano nello avere ristabilito
l’autorità dello Stato che così profondamente
era stata scossa dalle vicende del
dopoguerra, e che proprio i liberali non
avevano saputo garantire.
 La
seconda intervista di Croce fu rilasciata il
24 febbraio del 1924 al “Corriere Italiano”.
Con essa, Croce prendeva posizione in vista
delle elezioni che si sarebbero svolte di lì a
breve.
 Ancora
una volta, Croce si esprimeva assai
benevolmente nei riguardi del fascismo.
 In
questa intervista, egli auspicava che gli
italiani sentissero la necessità “di non
compromettere l’opera intrapresa di
restaurazione politica” e, pertanto, li invitava
a dare a Mussolini quella maggioranza
compatta, senza la quale non si poteva
governare.
 Un
punto può essere già sottolineato: a
differenza di Gentile, Croce non apprezzava
il fascismo perché costituiva sul piano
politico una forza nuova e alternativa al
regime liberale dell’anteguerra.
 Sotto
tale riguardo, egli dichiarava che,
nonostante si fosse dedicato a studiare molta
letteratura fascista, non era tuttavia riuscito a
scorgere alcuna nuova dottrina o sistema
politico di cui il fascismo potesse essere
portatore.
 Il
fascismo era pertanto per lui da vedersi
come un fenomeno contingente e, perciò,
passeggero.
 Esso
era sorto dalle condizioni di marasma
del dopoguerra e si sarebbe, di
conseguenza, esaurito una volta che fosse
stata ristabilita la legalità e l’autorità dello
Stato.
 Insomma,
ristabilito l’ordine, il fascismo si
sarebbe costituzionalizzato, rientrando
nell’alveo delle istituzioni liberali.
E
veniamo alla terza e ultima intervista,
rilasciata nel luglio 1924 al “Giornale
d’Italia, come la prima.
 La
data indica che fu rilasciata dopo il
rapimento di Matteotti.
 Ci
si potrebbe pertanto aspettare un netto
mutamento di posizione da parte del filosofo
napoletano.
 Vero
è che in quest’intervista si trovano
espressi motivi di preoccupazione
sostanzialmente assenti nelle due
precedenti.
 E,
infatti, Croce dichiara apertamente il suo
orrore per la vicenda Matteotti, che egli
imputava a un certo “errato indirizzo” preso
dal fascismo che, in alcuni suoi esponenti,
esprimeva effettivamente la tendenza ad
abbattere il regime liberale.
 Ma,
detto ciò, Croce comunque non
auspicava affatto la caduta del fascismo, al
quale continuava a riconoscere il merito di
avere salvato l’Italia dalla deriva bolscevica.
 Tanto
che, nella sua veste di senatore, Croce
addirittura votò la fiducia al governo
costituito da Mussolini dopo le elezioni della
primavera del 1924.
 Egli
considerava il persistere delle violenze
come una conseguenza della sterilità del
fascismo a rappresentare veramente
qualcosa di politicamente nuovo e
alternativo rispetto allo Stato liberale.
 Questo
voleva sostanzialmente dire che, non
essendo nulla di politicamente nuovo, il
fascismo era quindi costretto a mantenersi
con quelle violenze con cui si era affermato.
E
Croce si mostrava però sostanzialmente
sicuro che queste sarebbero cessate, anche
se non vi era modo di determinare quando
ciò sarebbe avvenuto.
 Dobbiamo porci a questo punto una
domanda:

Se questo era il suo pensiero, come allora si
spiega il passaggio di lì a pochi mesi di
Croce a leader dell’opposizione al fascismo,
ruolo che, in una certo senso, la redazione
del Manifesto degli intellettuali antifascisti,
gli conferiva?
 Fu
probabilmente il fatto di essersi accorto
improvvisamente che la sua analisi del
fascismo era in realtà sbagliata,
profondamente sbagliata.
 L’abolizione,
a partire dalla seconda metà
del 1925, delle libertà politiche dello Statuto
Albertino gli fece finalmente percepire che il
fascismo non sarebbe rientrato nei ranghi.
 Implicitamente,
egli dava dunque ragione a
Gentile, per il quale il fascismo non era un
semplice fenomeno di restaurazione
dell’ordine liberale, che si sarebbe dissolto,
una volta che avesse svolto la sua funzione.
 Il
fascismo, al contrario, era sorto per
rimanere un elemento permanente del
panorama politico italiano e dar vita ad una
nuova forma di Stato.
 Certo,
come si è detto, Gentile aveva visto
nel fascismo la più alta espressione proprio
del liberalismo.
 Ma
il liberalismo a cui si riferiva era ben
altra cosa rispetto a quello del liberalismo
della vecchia classe dirigente, a cui
guardava Croce.
 Quando
Gentile vedeva nel fascismo la
realizzazione del liberalismo, poneva,
infatti,questa realizzazione in aperta
discontinuità con la storia più recente
dell’Italia e, in modo particolare, con il
periodo giolittiano.
 In
questo senso, per Gentile il fascismo
rappresentava una rottura con il passato e,
dunque, un fatto nuovo.
 La
valutazione positiva che ne dava,
dipendeva proprio da questo.
 La
posizione di Croce era l’esatto contrario.
 Aveva
apprezzato il fascismo perché lo
riteneva sterile di novità.
 Per
lui, la bontà del fascismo si esauriva
unicamente nel ripristino delle condizioni
politiche dell’anteguerra.
 Fu
dunque solo quando si avvide che
effettivamente il suo antico amico e
strettissimo collaboratore aveva avuto
ragione che si fece antifascista.
 C’è
tuttavia ancora un’annotazione da fare:
nel 1928, nella Storia d’Italia, Croce,
nonostante la sua ormai netta avversione al
fascismo, continuava a dare di Mussolini un
giudizio assai positivo.
 E’ vero
che la sua valutazione si riferiva alla
fase socialista di Mussolini.
 Tuttavia,
il giudizio di Croce nei riguardi del
futuro capo del fascismo era così lusinghiero
che non si può provare una certa meraviglia
nel leggerlo, vista l’evoluzione che nel
frattempo la posizione del filosofo napoletano
aveva conosciuto.
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