Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori RIASSUNTO Il successo del trapianto d’organo dipende principalmente da un utilizzo appropriato dei farmaci immunosoppressori. Questo è particolarmente importante per le molecole caratterizzate da un indice terapeutico ristretto. Idealmente si dovrebbe riuscire a somministrare una quantità di farmaco capace di garantire un livello adeguato di soppressione del sistema immunitario limitando al tempo stesso la comparsa di effetti collaterali. La farmacocinetica, una disciplina che studia i processi che determinano la quota di farmaco disponibile nel sito d’azione, è stata proposta negli ultimi anni come strumento affidabile, capace di personalizzare la terapia immunosoppressiva per ogni paziente. In questo articolo sono riassunte le conoscenze attuali relative alla farmacocinetica dei principali farmaci anti-rigetto, focalizzandoci sui processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione. Sono inoltre descritte le principali interazioni farmacologiche capaci di influenzare l’esposizione giornaliera verso i diversi farmaci ed eventualmente il decorso clinico dei pazienti sottoposti a trapianto d’organo. Parole chiave Farmacocinetica, trapianto d’organo, farmaci immunosoppressori, monitoraggio terapeutico. Immunosuppressive agents monitoring SUMMARY In large part the success of solid organ transplantation lies in the appropriate utilization of immunosuppressive medications. This of particular relevance for narrow therapeutic index agents. Indeed, one would like to administer a dosage that provide adequate immunosuppression while at the same time avoid drug-related toxicity. Pharmacokinetics, the discipline that can be defined as the study of the processes that lead to the availability on an agent to its site of action, has been proposed as a reliable tool to tailor the best drug dose for each patient. In this review we will deal with the actual knowledge on the pharmacokinetics of the most common immunosuppressive agents, focusing on absorption, distribution, metabolism and excretion processes. As additional aim, we will also describe the most important pharmacological interactions that might affect daily drug exposure and clinical outcome. Key words Pharmacokinetics, organ transplantation, immunosuppressive agents, therapeutic drug monitoring. 180 4/ 2005 Dario Cattaneo Sara Baldelli Simona Merlini Stefania Zenoni Norberto Perico Giuseppe Remuzzi Dipartimento di Medicina Specialistica e dei Trapianti, Ospedali Riuniti di Bergamo Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” Centro per le Ricerche sui Trapianti “Chiara Cucchi de Alessandri & Gilberto Crespi” Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori l D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 Introduzione L’utilizzo ottimale dei farmaci immunosoppressori richiede una buona conoscenza delle loro caratteristiche farmacocinetiche, soprattutto per le molecole caratterizzate da un ristretto indice terapeutico. In questo caso piccole variazioni nel profilo cinetico possono determinare l’eccessiva esposizione al farmaco e quindi la comparsa di effetti collaterali anche gravi, oppure un livello di immunosoppressione inadeguato, con il rischio di rigetto acuto o cronico dell’organo trapiantato. In questo articolo verranno riassunte le principali caratteristiche cinetiche e le possibili interazioni dei farmaci immunosoppressori oggi utilizzati nella pratica clinica, escludendo azatioprina e steroidi, per i quali l’indice terapeutico è ampio e non è suggerito alcun monitoraggio terapeutico. l Ciclosporina La Ciclosporina A (CsA) è il farmaco immunosoppressore più utilizzato per la prevenzione del rigetto acuto nel trapianto d’organo. La sua commercializzazione, avvenuta all’inizio degli anni ‘80, ha notevolmente contribuito a migliorare la sopravvivenza dell’organo trapiantato. Per esercitare la sua azione immunosoppressiva, la CsA si lega nel citoplasma dei linfociti T al suo recettore, la ciclofillina. È questo complesso citoplasmatico che inibisce l’attività della calcineurina, l’enzima critico per la trascrizione dell’interleuchina-2 e dell’interferone-γ, essenziali per l’attivazione dei linfociti T. La CsA si somministra per via orale sotto forma di microemulsione o per via endovenosa. Dopo somministrazione orale il farmaco viene assorbito nel tratto superiore dell’intestino tenue attraverso un processo bile-dipendente. La maggior parte della CsA circola legata agli eritrociti ed alle lipoproteine; essendo di natura lipofila questo farmaco tende ad accumularsi nel tessuto adiposo. La CsA viene metabolizzata a livello epatico e gastrointestinale ad opera di isoenzimi della famiglia del citocromo 3A4/5; attualmente sono stati identificati oltre 30 metaboliti, tutti scarsamente attivi. Il metabolismo della CsA può essere alterato in pazienti con ridotta funzionalità epatica e renale, nei pazienti anziani e in quelli con diminuiti livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL). L’eliminazione del farmaco avviene per il 90% nella bile e per il 6% nelle urine1. Gli effetti collaterali legati all’utilizzo della CsA comprendono nefrotossicità, ipertensione, dislipidemia, diabete, iperplasia gengivale, irsutismo e tremore1. Diversi studi hanno dimostrato che la comparsa di tossicità legata all’utilizzo di CsA è correlata con i livelli ematici del farmaco. La CsA è inoltre caratterizzata da un ristretto indice terapeutico, da significative variazioni intra- ed inter-paziente nell’esposizione giornaliera al farmaco, e da possibili interazioni farmacologiche (tabella I). Per questi motivi è richiesto un costante monitoraggio delle concentrazioni ematiche del farmaco come guida all’ot- 181 Tabella I. Ciclosporina: interazioni farmacologiche evidenziate in fase clinica. Farmaci che aumentano i livelli di ciclosporina Amiodarone Bromocriptina Cimetidina Claritromicina Contraccettivi orali Danazolo Diltiazem Doxociclina Fluconazolo Imipenem-cilastatina Ketoconazolo Macrolidi Metilprednisolone Metiltestosterone Metoclopramide Nicardipina Norfloxacina Ranitidina Verapamil Farmaci che riducono i livelli di ciclosporina Carbamazepina Fenobarbital Fenitoina Isoniazide Rifabutina Rifampicina Farmaci che danno nefrotossicità additiva o sinergica con ciclosporina Aciclovir Aminoglicosidi Amfotericina B Captopril Diclofenac Doxorubicina Indometacina Sufametoxazolo Trimetoprim Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 timizzazione della terapia. Il parametro che meglio rappresenta l’esposizione giornaliera a CsA e che meglio correla con l’outcome clinico è l’area sottesa dalla curva concentrazione-tempo (AUC) da 0 a 12 ore2. Nel primo periodo post-trapianto sono consigliati valori di AUC0-12 compresi tra 9500-11000 ng *h/mL per garantire un livello di immunosoppressione adeguato. Tuttavia, la determinazione dell’AUC0-12 richiede un campionamento ripetuto per tutto l’arco delle 12 ore successive alla somministrazione di CsA ed è quindi molto laborioso. Per ovviare a questi problemi sono state studiate nuove strategie di “campionamento limitato” che, attraverso un numero ridotto di prelievi ematici (solitamente 2 o 3), sono in grado di stimare l’esposizione giornaliera al farmaco. Nel nostro laboratorio abbiamo sviluppato una strategia di campionamento limitato che prevede l’utilizzo di un’equazione con tre punti (0, 1 e 3 ore dopo la somministrazione di CsA) e che ha dimostrato una correlazione ottimale con l’AUC0-12 misurata sperimentalmente2. Come approccio alternativo, alcuni autori hanno proposto la misura dell’AUC0-4 per valutare l’esposizione giornaliera al farmaco. Va tuttavia sottolineato che l’uso di questo parametro cinetico diventa inaffidabile nei pazienti caratterizzati da un profilo di assorbimento atipico (circa il 20% dei pazienti che assumono il farmaco). Anche le strategie di campionamento limitato sono però di difficile gestione in condizioni ambulatoriali. Per ovviare a queste difficoltà, sin dagli inizi degli anni ‘90 si è scelto di monitorare l’esposizione giornaliera alla CsA utilizzando la concentrazione ematica “di valle” (livello trough o C0) che si ottiene immediatamente prima dell’assunzione del farmaco al mattino2. È stato infatti dimostrato che questo parametro ha una buona correlazione con l’AUC. Studi più recenti hanno però messo in discussione il valore di C0 come marker dell’esposizione giornaliera alla CsA, dimostrando la scarsa capacità di questo parametro nel predire la comparsa di rigetto acuto e/o nefrotossicità2. La ricerca di campionamenti alternativi al C0 ha portato, negli ultimi anni, a prendere in considerazione la misura delle concentrazioni a 2 ore dalla somministrazione di CsA (C2), come possibile marker surrogato del picco di concentrazione massima (Cmax), un parametro che correla significativamente con l’outcome clinico del paziente trapiantato2. È stato recentemente dimostrato che la misura dei livelli di C2 correla sia con la comparsa di rigetti acuti che con la tossicità legata all’utilizzo di CsA3. Tuttavia, i risultati di un trial multicentrico che ha coinvolto oltre 330 pazienti con trapianto di rene hanno documentato che i livelli di C2, a differenza di C0, misurati nei primi giorni dopo il trapianto di rene non predicono la comparsa di episodi di rigetto acuto nei 6 mesi successivi4. Inoltre, analizzando retrospettivamente i profili farmacocinetici completi di 58 pazienti con trapianto di rene da almeno un anno è stato confermato che, anche nel paziente stabilizzato i livelli di C0, ma non quelli di C2, sono predittori significativi di deterioramento della funzione del rene tra- 182 Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 piantato nel tempo5. Questi risultati lasciano quindi ancora aperto il problema relativo al reale valore del monitoraggio terapeutico di CsA basato sui livelli di C2. Va inoltre considerato che questo parametro presenta notevoli difficoltà di valutazione legate alla correttezza del tempo di campionamento in regime ambulatoriale. La misura delle concentrazioni di CsA viene eseguita su sangue intero (CsA si trova prevalentemente nei globuli rossi) ed il metodo di riferimento è la cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC), poiché determina selettivamente la molecola discriminandola dai suoi metaboliti. Questa metodica è piuttosto laboriosa, pertanto di difficile applicazione nelle analisi cliniche di routine. Per ovviare a questo problema sono state messe a punto metodiche immunoenzimatiche che tuttavia tendono a sovrastimare le concentrazioni di CsA, soprattutto in presenza di elevate concentrazioni dei suoi metaboliti, che possono dare reattività crociata con gli anticorpi utilizzati per questa analisi. Recentemente è stato eseguito uno studio comparativo tra HPLC e tre metodiche immunoenzimatiche – selezionate tra quelle più frequentemente utilizzate dai laboratori di analisi (ACMIA, EMIT-VIVA, CEDIA plus) – in 150 campioni ematici da pazienti con trapianto di rene a vari tempi dall’intervento chirurgico. Nonostante una buona correlazione tra le diverse serie di dati (specialmente per i livelli di C2), nessuna delle metodiche immunoenzimatiche rientrava nelle specifiche dettate dalle linee-guida internazionali6. Considerando il ristretto indice terapeutico di CsA e l’impatto che potrebbe avere un errato monitoraggio delle concentrazioni del farmaco, le metodiche immunoenzimatiche andrebbero utilizzate con cautela nella pratica clinica. l Tacrolimus Il tacrolimus è un macrolide derivato dall’actinomicete Streptomycens tsukubaensis con un meccanismo d’azione analogo a quello di CsA. A differenza di quest’ultima, l’inibizione della calcineurina è mediata dal complesso che si forma tra tacrolimus e FKBP12, una immunofillina strutturalmente diversa rispetto alla ciclofillina. Anche il profilo di tossicità è simile, nonostante alcuni studi abbiano dimostrato una minor incidenza di dislipidemie, ipertensione, e una maggior incidenza di diabete e di infezioni da polyomavirus con tacrolimus. Dopo essere stato assorbito nel tratto gastrointestinale, il tacrolimus si lega avidamente agli eritrociti (95%), mentre una piccola quota (5%) si trova associata alle proteine plasmatiche (principalmente la glicoproteina α-1 acida). Il farmaco viene metabolizzato ad opera degli isoenzimi della famiglia del citocromo 3A4 (CYP3A4). Il metabolismo extraepatico, mediato principalmente dal CYP3A4 presente a livello dell’epitelio gastrointestinale, è responsabile dell’eliminazione pre-sistemica di circa il 50% della dose assorbita, mentre l’effetto di primo passaggio epatico è responsabile del 10% della quan- 183 Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 tità di farmaco eliminata7. La quantità di tacrolimus assorbita a livello gastrointestinale è regolata non solo dai sistemi citocromiali ma anche dalla glicoproteina P presente negli enterociti. Questa proteina – che agisce da trasportatore transmembrana che si oppone al passaggio di diversi xenobiotici dal lume intestinale alla circolazione sistemica – è strettamente connessa con CYP3A4 ed è in grado di riportare il tacrolimus e i suoi metaboliti dall’enterocita verso il lume intestinale. L’elevato metabolismo pre-sistemico limita la biodisponibilità orale del farmaco, che è circa il 20-25%. Tuttavia, l’attività degli enzimi metabolizzanti e della glicoproteina P varia considerevolmente tra individui e razze, il che richiede di individualizzare la dose ottimale del farmaco per ottenere l’esposizione giornaliera attesa. Il tacrolimus viene eliminato principalmente attraverso le feci (92%), e ha un emivita di 32-48 ore. La clearance del farmaco non è influenzata dalla funzione renale, mentre si osserva la tendenza all’accumulo del farmaco in pazienti con insufficienza epatica severa. Come evidenziato in tabella II, i farmaci che possono interferire con l’esposizione giornaliera a tacrolimus7,8 sono simili a quelli riportati per la CsA (tabella I), con alcune eccezioni. I pochi dati disponibili suggeriscono infatti che la contemporanea somministrazione di sirolimus riduce in modo proporzionale l’AUC di tacrolimus. Questo effetto non è stato documentato per CsA7. Inoltre, mentre esistono evidenze del duplice ruolo di substrato e inibitore svolto dalla CsA sul citocromo 3A4, i dati relativi a tacrolimus sono contrastanti. Ciò potrebbe spiegare perché il tacrolimus, a differenza della CsA, non influenza la farmacocinetica delle rapamicine. I livelli C0 di tacrolimus hanno una buona correlazione con i valori di AUC0-12 e sono oggi universalmente utilizzati per monitorare l’esposizione giornaliera al farmaco. In regimi di triplice terapia i livelli C0 di tacrolimus non dovrebbero essere inferiori a 3-5 ng/mL per garantire un livello di immunosoppressione adeguato, e non superare i 12-15 ng/mL per limitare la comparsa di tossicità. Va tuttavia sottolineato che alcuni autori hanno evidenziato la scarsa capacità di questo parametro farmacocinetico di predire l’esposizione giornaliera, proponendo anche per tacrolimus strategie di campionamento limitato per il calcolo dell’AUC9. La metodica di elezione per il monitoraggio di tacrolimus è l’HPLC con spettrofotometria di massa. Negli ultimi anni sono stati sviluppati inoltre diversi dosaggi immunoenzimatici (MEIA, ELISA, EMIT, ecc.) che tuttavia, oltre ad avere una tendenza alla sovrastima dei livelli di farmaco, possono diventare poco affidabili in pazienti con valori di ematocrito e/o di albumina sierica particolarmente ridotti10. l Acido micofenolico Il micofenolato mofetil (MMF) è l’estere 2-morfolinoetilico dell’acido micofenolico (MPA), un prodotto ottenuto dalla fermentazione di specie fungine del genere Penicileium. MPA è un potente inibitore 184 Tabella II. Tacrolimus: interazioni farmacologiche evidenziate in fase clinica Farmaci che aumentano i livelli di tacrolimus Bromocriptina Cimetidina Cisapride Claritromicina Cloramfenicolo Clotrimazolo Danazolo Diltiazem Etinil-estradiolo Eritromicina Fluconazolo Inibitori delle proteasi Itraconazolo Ketoconazolo Metoclopramide Mibefradil Nefazodone Nicardipina Nifedipina Teofillina Troleandromicina Verapamil Farmaci che riducono i livelli di tacrolimus Antiacidi Carbamazepina Desametasone Fenobarbital Fenitoina Metilprednisolone Rifabutina Rifampicina Sirolimus Sodio bicarbonato Farmaci che danno nefrotossicità additiva o sinergica con tacrolimus Aminoglicosidi Amfotericina B Cisplatino Ibuprofen Diuretici K+ risparmiatori Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 non competitivo e reversibile dell’inosina monofosfato deidrogenasi (IMPDH), un enzima critico nella sintesi de novo delle purine durante la proliferazione cellulare. I linfociti T e B utilizzano di preferenza la via de novo per la sintesi delle purine e perciò sono particolarmente sensibili all’azione del farmaco rispetto ad altre popolazioni cellulari che sono in grado di sintetizzare le purine anche attraverso vie biochimiche alternative (via di salvataggio). MMF è disponibile in Italia per uso orale in capsule da 250 mg e in compresse da 500 mg (in altri Paesi è presente anche in formulazione per uso endovenoso). Dopo somministrazione orale MMF è rapidamente assorbito nell’intestino e idrolizzato a MPA, il metabolita attivo. In circolo, il farmaco si lega alle proteine plasmatiche, in particolare all’albumina (97%); studi in vivo e in vitro hanno dimostrato che solo la quota libera, quella non legata all’albumina (circa il 3%), è in grado di inibire l’enzima IMPDH. MPA viene metabolizzato a livello epatico dalle glucuroniltranferasi; il principale metabolita è il glucuronide fenolico di MPA (MPAG); recentemente sono stati inoltre identificati altri due metaboliti, prodotti in minor quantità, l’acilglucuronide (AcMPAG) e il glucoside fenolico di MPA. Di questi tre metaboliti, solamente l’AcMPAG inibisce l’IMPDH in vitro. Il metabolismo del farmaco non è alterato in pazienti con danno epatico. Una frazione trascurabile del farmaco (<1%) viene escreta come MPA; circa il 94% del farmaco somministrato è eliminato per via renale come MPA glucuronide e il restante 6% per via intestinale11. Alcuni studi hanno dimostrato che i livelli plasmatici di MPA totale (legato e non legato all’albumina) non variano significativamente nei pazienti con insufficienza renale. Tuttavia in queste condizioni la quota di farmaco non legata all’albumina aumenta – in alcuni casi dal 2-3% al 10% – esponendo potenzialmente il paziente a rischio di sovradosaggio12. Attualmente però non esistono linee-guida e target terapeutici consigliati per il monitoraggio dei livelli di MPA libero nel paziente sottoposto a trapianto d’organo. L’emivita di MPA è di circa 16 ore, con la comparsa di un picco di concentrazione massima iniziale (Cmax) a circa 1 ora dalla somministrazione e di un picco secondario tra le 4 e le 12 ore dovuto a recircolo enteropatico dove MPAG, escreto dal fegato nella bile, viene riconvertito a MPA mediante un processo di deconiugazione sostenuto dai batteri presenti nella flora intestinale. MMF viene comunemente somministrato in dose fissa di 2 g/die. Tuttavia, recenti evidenze suggeriscono che questa posologia potrebbe non essere il miglior approccio per i pazienti trapiantati; infatti, il profilo farmacocinetico di MPA mostra una elevata variabilità intrae interpaziente dopo somministrazione della dose fissa13. Parametri predittivi del rischio di rigetto acuto e della tossicità legata al farmaco sono C0 e AUC0-12. Uno studio multicentrico in 150 pazienti con trapianto di rene ha dimostrato una correlazione significativa e inversa tra i livelli di C0 e di AUC0-12 e l’incidenza di rigetto acuto confermato da biopsia14. Analogamente altri studi hanno dimostrato as- 185 Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 sociazioni importanti tra i parametri cinetici di MPA e la funzione renale dopo trapianto d’organo, o la comparsa di tossicità legata al farmaco. Negli ultimi anni sono state riportate interazioni farmacologiche tra MMF ed altri farmaci usati in associazione (tabella III). In passato, alcuni autori avevano riportato aumenti significativi delle concentrazioni plasmatiche di MPA in pazienti trattati con tacrolimus rispetto a quelli trattati con CsA. Inizialmente era stato ipotizzato che tacrolimus, ma non CsA, potesse inibire il metabolismo di MPA, con conseguente aumento delle concentrazioni. Tuttavia, successivamente, è stato dimostrato che la concomitante somministrazione di MMF e tacrolimus produce livelli di MPA comparabili a quelli ottenuti in regimi di monoterapia con MMF, che sono significativamente maggiori di quelli ottenuti in duplice terapia MMF-CsA. Le osservazioni più recenti hanno quindi permesso di concludere che non è tacrolimus che aumenta i livelli di MPA, ma è CsA che li riduce, inibendo la proteina MRP2 (Multidrug Resistance Associated Protein 2), responsabile dell’escrezione nella bile dei prodotti di coniugazione, come MPAG15. Ad ulteriore conferma, è stato dimostrato che la CsA riduce l’esposizione giornaliera a MPA, mediante l’inibizione del recircolo enteropatico anche quando viene confrontata con un regime di immunosoppressione con MMF e SRL16. Va inoltre sottolineato che anche i glucocorticoidi, mediante l’induzione della glucuroniltransferasi, interferiscono con il metabolismo di MMF17. Farmaco Effetto su MPA Acyclovir/Ganciclovir Aumento concentrazioni Valaciclovir Aumento tossicità Antiacidi (Mg(OH)2, Al(OH)3) Diminuzione assorbimento Colestiramina Diminuzione concentrazioni Rifampicina Diminuzione concentrazioni Ciclosporina Diminuzione concentrazioni Steroidi Diminuzione concentrazioni Sono state proposte linee-guida per il monitoraggio di MPA nella pratica clinica. I range consigliati per mantenere un livello di immunosoppressione adeguato in pazienti in terapia con CsA e steroidi sono 1-3,5 mg/L se si considera il monitoraggio basato sulla misura dei livelli C0, e 30-60 mg*h/L per l’AUC0-1212. Mancano tuttavia linee-guida per gli altri regimi di immunosoppressione. Inoltre, nonostante siano oggi disponibili diversi saggi immunoenzimatici, l’HPLC rimane il metodo da preferire per la misura dei livelli plasmatici di MPA. Diversi studi hanno infatti rilevato una sistematica sovrastima dei risultati ottenuti con immunoassays rispetto a quelli ottenuti con HPLC, per la reattività crociata dei metaboliti di MPA con gli anticorpi utilizzati nelle metodiche immunoenzimatiche. Numerosi studi hanno dimostrato che MMF è generalmente ben tolle- 186 Tabella III. Acido micofenolico: interazioni farmacologiche clinicamente rilevanti. Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 rato. Tuttavia, l’uso di questo farmaco può essere associato a disturbi a carico dell’apparato gastroenterico quali diarrea, nausea, vomito e dolori addominali. Nel tentativo di ridurre la tossicità legata all’uso di MMF, recentemente, è stata sviluppata una nuova formulazione di MPA, il micofenolato sodico, una molecola dotata di un rivestimento gastro-resistente che permette il rilascio del principio attivo nell’intestino e non nello stomaco. Attualmente, i dati disponibili suggeriscono che le due formulazioni sono comparabili in termini di efficacia, tossicità e bioequivalenza, sia nell’immediato periodo post-trapianto che in pazienti stabilizzati11. Rimane tuttavia da dimostrare l’efficacia a lungo termine di questa nuova formulazione. l Rapamicine Sirolimus ed everolimus sono lattoni macrociclici caratterizzati da potente attività antiproliferativa e immunosoppressiva. Il primo è stato isolato dall’actinomicete Streptomyces hygroscopicus18, mentre il secondo è un derivato chimico ottenuto mediante introduzione di una catena 2-idrossietilica in posizione 40 nella struttura di sirolimus19. Questi farmaci bloccano l’attivazione dei linfociti T ad uno stadio cellulare più avanzato rispetto a quello degli inibitori della calcineurina: il complesso farmaco-FKBP inattiva l’enzima mammalian target of rapamycin (m-TOR), bloccando la proliferazione delle cellule T. Sirolimus è disponibile sul mercato come sospensione orale (1 mg/mL) e come compresse da 1 o 2 mg, mentre l’everolimus è commercializzato in compresse da 0,25, 0,5, 0,75, o 1 mg. Entrambi i farmaci vengono assorbiti rapidamente nell’intestino, con un Tmax di circa 1-2 ore. Con sirolimus si deve somministrare una dose iniziale di carico pari a circa tre volte la dose di mantenimento: ciò è dovuto al tempo necessario per raggiungere lo steady state (circa 10-14 giorni), più lungo rispetto a quello di everolimus per il quale sono necessari solo 5-7 giorni. In questo caso non è richiesta la somministrazione di una dose di carico. Per limitare le possibili fluttuazioni nell’esposizione giornaliera si raccomanda che i pazienti assumano i farmaci in modo consistente sempre a stomaco pieno o a stomaco vuoto. È stato infatti osservato che un pranzo ricco di grassi determina una diminuzione di Cmax (34% per sirolimus e 60% per everolimus), e un aumento di Tmax (3,5 volte per sirolimus e 1,25 per everolimus) e di AUC (35% per sirolimus e 21% per everolimus)20,21. Entrambe le “rapamicine” sono caratterizzate da una limitata biodisponibilità orale, sebbene l’everolimus mostri una biodisponibilità superiore rispetto a sirolimus. Nel sangue sirolimus ed everolimus si trovano prevalentemente nei globuli rossi e in quantità minore nel plasma, legati all’albumina e alle lipoproteine18,19. Ambedue i farmaci vengono metabolizzati dai citocromi 3A4 e 3A5 presenti a livello epatico ed intestinale. Le vie principali di metabolizzazione prevedono reazioni di dealchilazione e/o di ossidrilazione. I metaboliti di sirolimus hanno attività immunosoppressiva inferiore al 10% rispet- 187 Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 to al farmaco nativo, mentre l’attività immunosoppressiva o tossica dei metaboliti di everolimus non è nota. In pazienti con compromissione epatica è stato osservato un aumento nei valori medi di AUC ed emivita di sirolimus (61% e 43%, rispettivamente). Questo effetto è particolarmente marcato con everolimus: infatti in pazienti con disfunzione epatica l’AUC e l’emivita del farmaco aumentano in modo significativo (rispettivamente 115% e 84%)19. L’emivita di sirolimus è circa 60 ore, e per questo motivo il farmaco viene somministrato una sola volta al giorno. Il tempo di scomparsa di everolimus è molto più breve (18-35 ore) e sono quindi previste due somministrazioni giornaliere. Entrambi i farmaci sono eliminati principalmente con le feci (90%), mentre la quota urinaria è inferiore al 3%. Non è quindi necessario modificare le dosi in pazienti con insufficienza renale. Le rapamicine hanno una sostanziale variabilità farmacocinetica intrae inter-paziente non riconducibile ad età, sesso e peso o ad altre variabili antropometriche19,22. In aggiunta questi farmaci hanno una finestra terapeutica ristretta. Per questi motivi l’utilizzo attuale prevede il monitoraggio terapeutico delle concentrazioni ematiche di entrambi i farmaci. Poiché esiste una correlazione elevata tra C 0 e AUC, i livelli basali vengono oggi utilizzati come misura dell’esposizione a sirolimus o everolimus. È stata inoltre riportata una buona correlazione tra i livelli C0 di sirolimus e l’incidenza di rigetti acuti e di eventi avversi (principalmente ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, trombocitopenia e leucopenia) legati all’uso del farmaco22. Risultati analoghi sono stati riportati per everolimus23. Negli ultimi anni sono state segnalate possibili interazioni farmacologiche tra rapamicine e altri farmaci comunemente somministrati al paziente trapiantato, come documentato in tabella IV18,19. Dato il peculiare meccanismo d’azione degli inibitori di m-TOR, essi possono agire in sinergia con CsA e tacrolimus permettendo una riduzione delle dosi e degli effetti collaterali conseguenti all’utilizzo di questi farmaci. È quindi importante valutare attentamente l’entità delle possibili interazioni con altri farmaci immunosoppressori. È stato osser vato che la concomitante somministrazione di CsA aumenta dell’80% l’AUC di sirolimus: per questo motivi i farmaci vengono somministrati a quattro ore di distanza. Anche in queste condizioni, tuttavia, le concentrazioni basali di sirolimus, a parità di dosaggio, sono superiori rispetto a quelle misurate in regimi con tacrolimus e micofenolato24. I pochi dati disponibili sembrano suggerire che l’interazione tra CsA ed everolimus sia di grado più modesto. Alla luce di tutte queste evidenze la misura dei livelli ematici di sirolimus e everolimus deve essere vista come uno strumento importante per la personalizzazione della terapia. Il range terapeutico per le concentrazioni ematiche basali di sirolimus nei pazienti in terapia concomitante con inibitori della calcineurina e corticosteroidi dovrebbe essere compreso tra 5 e 15 ng/mL22. Nei protocolli che prevedono una graduale sospensione della CsA, l’intervallo terapeutico 188 Tabella IV. Rapamicine: interazioni farmacologiche clinicamente rilevanti. Farmaci che aumentano i livelli di rapamicine Bromocriptina Cimetidina Ciclosporina Cisapride Danazolo Diltiazem Eritromicina Fluconazolo Itraconazolo Inibitori delle proteasi Ketoconazolo Metoclopramide Nicardipina Rifampicina Farmaci che riducono i livelli di rapamicine Carbamazepina Fenobarbital Fenitoina Rifabutina Ticlopidina Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 target dovrebbe essere innalzato a 10-20 ng/mL (20-30 ng/mL se misurato con immunoassay). Per l’everolimus è stato documentato un aumentato rischio di rigetto acuto se i livelli basali del farmaco sono inferiori a 3 ng/mL in terapia combinata con CsA e steroidi, e un maggior rischio di eventi cardiovascolari per livelli superiori a 12-15 ng/mL23. Rimangono ancora da definire le finestre terapeutiche per regimi farmacologici che prevedono la riduzione di inibitori della calcineurina o degli steroidi associati a terapia di induzione con nuove molecole (Campath-1H, Belatacept, ecc.). In analogia con quanto descritto per gli altri immunosoppressori, in letteratura sono presenti diverse procedure cromatografiche in HPLCUV o con la spettrofotometria di massa (LC-MS) per la quantificazione di sirolimus ed everolimus. In passato era stato utilizzato un metodo immunoenzimatico (IMx Analizer) per la misura di sirolimus; tuttavia, la sostanziale sovrastima delle concentrazioni rispetto alla procedura HPLC ha determinato il ritiro dal commercio di questo dosaggio immunoenzimatico. Per l’everolimus è stato adottato un dosaggio immunologico a fluorescenza con luce polarizzata (Innofluor Certican), e le prime analisi comparative hanno dimostrato che questo dosaggio sembra fornire valori in linea con i metodi HPLC. l Conclusioni Molti progressi sono stati fatti nella comprensione della farmacologia dei farmaci immunosoppressori da quando la posologia di queste molecole veniva modificata semplicemente basandosi sulla risposta clinica del paziente. Nell’ultimo decennio sono emerse evidenze che sottolineano la notevole variabilità interindividuale nei profili farmacocinetici dei farmaci anti-rigetto, legata a diversità nelle caratteristiche di assorbimento gastrointestinale e metabolismo, a sua volta influenzato dalla terapia concomitante. Di conseguenza sono state applicate metodiche farmacocinetiche che, attraverso la misura delle concentrazioni del farmaco nel sangue o nel plasma su un singolo campione prelevato in prossimità della somministrazione del mattino, hanno permesso di identificare surrogati dell’esposizione giornaliera del paziente ad un particolare farmaco immunosoppressore. Il risultato è stato il miglioramento nell’impiego di farmaci anti-rigetto (con ristretto indice terapeutico), ottimizzandone le proprietà immunosoppressive e minimizzando i potenziali effetti tossici. Tuttavia, molto deve essere ancora fatto prima che si possa realmente parlare di “individualizzazione” della terapia. In particolare, sono necessari studi più approfonditi per identificare approcci ottimali per la predizione dell’esposizione giornaliera ai farmaci nei pazienti “atipici”, come quelli che presentano profili di assorbimento irregolari, o che sono affetti da malattie, come il diabete, che possono influenzare la disponibilità dei farmaci. L’avvento della farmacogenomica – la scienza che studia come il genoma possa influenzare la ri- 189 Monitoraggio dei farmaci immunosoppressori D. Cattaneo et al. Trapianti 2005; IX: 180-191 sposta individuale verso uno o più farmaci – potrebbe contribuire a chiarire questo complesso scenario25. L’obiettivo finale resta tuttavia lo sviluppo di algoritmi capaci di elaborare le informazioni cliniche del paziente con quelle relative alla farmacocinetica, alla farmacodinamica, e alla farmacogenomica, che potrebbero rappresentare l’avanzamento più innovativo per individualizzare la terapia anti-rigetto nella medicina del trapianto. 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