UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
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ASSEMBLEA GENERALE UNIONE INDUSTRIALI DELLA
PROVINCIA DI PAVIA
19 GIUGNO 2006 – ALMO COLLEGIO BORROMEO - PAVIA
Ringrazio per questo invito i vertici dell’Unione industriali della Provincia
di Pavia, in particolare il Presidente, ing. Piero Bellani e il Presidente di
Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.
La presenza dell’Università di Pavia, così come quella del Comune, della
Provincia e della Regione, a questo appuntamento, in cui i vertici
dell’Unione industriale del territorio si incontrano in assemblea non è
casuale. Testimonia la precisa volontà di condividere un progetto comune
di rilancio del territorio, puntando sulla qualità di competenze e strutture e
soprattutto il comune desiderio di fare sistema. Sono davvero lieto di
annunciare che proprio oggi l’Unione degli Industriali della Provincia di
Pavia e l’Università degli Studi di Pavia hanno siglato un protocollo
d’intesa
che apre la strada a nuove forme di collaborazione e
cooperazione, ad azioni sinergiche che saranno di sicuro vantaggio per lo
sviluppo di Pavia e della sua Provincia.
Cosa può offrire al contesto industriale del territorio pavese una Research
University come la nostra, inserita in progetti internazionali e attestata su
risultati superiori alla media italiana in ambito di ricerca come hanno
evidenziato i dati CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della
Ricerca)?
La qualità dei risultati è un obiettivo costante del campus pavese, che ha
un’Università storica tra le più antiche d’Europa, fondata nel 1361, dove
hanno insegnato e insegnano maestri di fama internazionale.
Oggi punto di forza della nostra Università è il fatto di essere un ateneo
pluridisciplinare e interdisciplinare, in cui l’incontro e il dialogo tra i saperi
genera ulteriore conoscenza. Anche i dati sui brevetti delle Università
italiane ci pongono ai primissimi posti, a conferma della propensione
dell’Università di Pavia al trasferimento tecnologico della ricerca. In questo
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senso l’accordo con l’Unione industriale è quanto mai foriero di buoni
auspici.
Alla qualità dei risultati dell’intero sistema pavese concorrono, oltre
all’appena costituito IUSS, anche i 16 collegi universitari, soprattutto gli
storici Borromeo e Ghislieri e quelli cui si accede per merito. Il Collegio
Borromeo, che ci ospita, dal 1561 seleziona e accoglie giovani di
eccellenti doti e di condizioni economiche non agiate, secondo il progetto
di san Carlo Borromeo, condiviso anche da Papa Pio V, fondatore del
Collegio Ghislieri.
Questo Ateneo, dunque, può sicuramente offrire elevate competenze
professionali, sia nell’ambito della ricerca di base che della ricerca
applicata, competenze che possono essere messe a disposizione delle
piccole e medie imprese, che caratterizzano il territorio, come pure delle
grandi industrie che in provincia di Pavia già dispongono di propri centri
di ricerca.
Anche grazie al Centro per l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico
recentemente istituito dall’Ateneo pavese sarà possibile agire soprattutto
su ricerca e innovazione, operando sul trasferimento di know how ad
ampio raggio nel territorio, ricercando nuovi processi e sistemi per
migliorare ad esempio i prodotti del comparto industriale, costruendo
nuove forme di integrazione trasversale tra operatori e soggetti diversi.
Proprio in questi giorni ho avuto modo di partecipare a Roma, insieme ad
alcuni esponenti del mondo politico, oltre che dell’accademia, al Forum
che Confindustria ha dedicato al piano strategico per il rilancio
dell’Università italiana. È urgente avviare quel processo di cambiamento e
innovazione indispensabile per consentire all’università italiana di tornare
a essere competitiva, di sprigionare le proprie energie latenti e crearne di
nuove.
Guardando con la dovuta attenzione al panorama nazionale e
internazionale, molto lavoro deve essere fatto verso gli obiettivi da
raggiungere e molti passi devono essere compiuti perché il sistema
universitario italiano sia davvero competitivo e possa fare sistema con le
imprese in modo efficace, per il rilancio del Paese.
L’Italia non compare tra le prime 100 università del mondo valutate dal
Times Higher Education Supplement; compare al 97° posto (su 100) in
quella della Università Jiao Tong di Shanghai.
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E’ evidente la scarsa attrattività del “Sistema Italia” verso l’esterno:
investitori e studenti stranieri non puntano sull’Italia (almeno non in via
prioritaria), ma, quel che preoccupa anche di più, è in crescita anche il
numero degli studenti italiani che, conseguito il diploma di scuola
secondaria superiore, decidono di frequentare l’Università all’estero.
Le università italiane, soprattutto quelle pubbliche, sono luogo elettivo di
produzione della conoscenza, impegnate nella formazione del capitale
umano e nella ricerca, e soprattutto oggi devono saper rispondere a tutte le
domande che le investono, dalla formazione di base all’altissimo
perfezionamento, devono cioè rispondere alle richieste da parte della
società e del mondo produttivo.
In questo momento è necessario puntare l’attenzione su quella che tutti ci
riconoscono come nostra risorsa primaria: il capitale intellettuale (almeno
potenziale). Diventa essenziale valorizzare il talento, essere selettivi per
produrre risultati di qualità che si trasformino in innovazione e
competitività,
attrarre
studenti,
anche
stranieri,
potenziando
l’internazionalizzazione dei nostri Atenei, inserendoci in network di ricerca
con atenei e scuole di alta formazione nel mondo.
Per poter formare e attrarre “cervelli” è necessario – anzi, direi
indispensabile - poter contare su strutture adeguate, su una rete capillare di
relazioni con le istituzioni e le imprese del territorio e su adeguati
finanziamenti, che sappiano valorizzare i risultati ottenuti per migliorare la
qualità di ricerca e formazione.
Guardiamo al MIT (al primo posto nelle classifiche mondiali delle
università scientifiche), dove l’80% dei fondi, in gran parte di natura
privata, dipende dalla selezione e dalla competizione. In Italia la spesa per
l’istruzione universitaria è inferiore a quella degli altri paesi e con una
distribuzione fra pubblico e privato sbilanciata verso il pubblico.
Il confronto coi principali paesi dell’Ocse per il finanziamento
dell’istruzione terziaria ci vede fortemente penalizzati: gli Atenei di Nord
America e Asia possono contare su finanziamenti che per il 50% hanno
provenienza pubblica e per il 50% privata; in Corea la percentuale privata
sale addirittura al 90%, in Italia la situazione è esattamente rovesciata, col
90% di finanziamento pubblico.
Se vogliamo migliorare la qualità dell’Università italiana per far crescere e
rendere più competitivo il paese, è necessario innanzitutto poter valutare e
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di conseguenza finanziare la qualità, ipotizzando quindi anche l’intervento
dei privati, mediante incentivi di defiscalizzazione.
Per poter valutare la qualità dei progetti, in vista dei finanziamenti, ritengo
essenziale l’istituzione di un’Autorità o Agenzia terza, autonoma rispetto
ai soggetti interessati. Compito di questa autorità terza di valutazione,
dovrebbe essere la rigorosa, “scientifica” neutrale valutazione, per poi
procedere alla definizione degli incentivi di finanziamento per premiare il
merito di quegli Atenei che hanno ottenuto i risultati migliori.
L’autonomia universitaria consente ai singoli Atenei di incrementare le
risorse pubbliche con risorse private reperite da fonti alternative, su basi
competitive. L’università pubblica deve cioè poter contare su
finanziamenti aggiuntivi, erogati in base alla qualità degli esiti ottenuti.
Facendo riferimento alle richieste avanzate dal Presidente della CRUI, il
Fondo di Finanziamento Ordinario dovrebbe aumentare del 10% all’anno
nei prossimi 5 anni per avvicinare alla media europea la percentuale di PIL
italiana per ricerca e formazione.
Propongo che questo 10% in più elargito dal Ministero, per i prossimi 5
anni, vada a finanziare in misura massiccia la ricerca, portando al 40% le
quote relative all’attività di ricerca. In aggiunta ai finanziamenti
ministeriali, ulteriori fondi potrebbero giungere da fonti esterne, private,
con fondi reperibili mediante incentivi fiscali alle imprese. Questo
vorrebbe dire valutare e dunque incentivare con finanziamenti aggiuntivi
gli Atenei che si distinguono sia per la qualità della produzione scientifica
e la capacità di attrarre fondi sia per la qualità delle prestazioni didattiche,
dato che la formazione d’alta qualità è strettamente legata alla ricerca ad
alto livello.
Se i fondi vengono distribuiti in larga misura in base a parametri
qualitativi, misurati da una agenzia “terza”, allora è evidente che converrà
a tutti elaborare i progetti “migliori” e avere i ricercatori “migliori”.
Oggi la quasi totalità dei finanziamenti si basa su criteri quantitativi, sul
numero degli studenti immatricolati, un criterio che penalizza quegli Atenei
di medie dimensioni, che spesso sono tra quelli più antichi, com’è nel caso
di Pavia, che pure è al di sopra della media nazionale per la qualità della
ricerca.
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Un ulteriore dato interessante di cui tener conto per valutare non solo la
qualità della didattica di un Ateneo, ma anche la sua proiezione verso la
ricerca, è il rapporto tra numero degli iscritti ai corsi di laurea e il numero
degli iscritti a corsi post laurea, dottorati, scuole di specializzazione, corsi
di perfezionamento e master; si tratta di un indicatore chiaro della presenza
di centri di ricerca di alto livello, in grado di attrarre studenti interessati
all’altissimo perfezionamento e selezionati in base al merito. Pavia col 14%
è ai primissimi posti.
L’Italia continua a essere agli ultimi posti in Europa per grado di istruzione
elevata, nonostante il tasso di crescita dei laureati di questi ultimi anni. È
necessario che quegli Atenei che per ragioni storiche, scientifiche,
strutturali, per rapporti col territorio, sono riconoscibili come Atenei che
hanno una precisa identità formativa possano ricevere una valutazione
della qualità dei loro esiti e contare sull’eventuale intervento dei privati.
Sottolineo che la valutazione della qualità è un aspetto molto sentito dalle
Università che mostrano maggiore apertura internazionale. In Europa uno
dei modelli di riferimento è la Gran Bretagna, dove il finanziamento della
ricerca avviene su base molto selettiva, (a differenza di quanto accade,
invece, per la didattica). Noi aspiriamo a uno spazio adeguato alla qualità
della ricerca e della didattica, perché una ricerca di alto livello porta con sé
un’ottima didattica.
In questo modo, infatti, sarà possibile potenziare i campus universitari e
mettere a disposizione degli studenti quei servizi di alta qualità che
facilitano la formazione in senso pluridisciplinare, interdisciplinare e
internazionale. Per mettere al centro gli studenti, favorendone la mobilità
verso Atenei di maggior prestigio, bisogna garantire servizi di qualità, a
partire dalla docenza, ma anche collegi e residenze. In questo senso
l’Università di Pavia è uno dei pochi esempi in Italia di campus
universitario dove migliaia di ragazzi e ragazze possono crescere in una
comunità interdisciplinare davvero vivacissima. Ai migliori di questi
giovani sono garantiti posti gratuiti, esenzione dalle tasse universitarie,
borse di studio, scambi con l’estero: il sistema universitario pavese, cioè,
investe sulle loro capacità, consapevole del fatto che sta investendo sul
futuro.
Mettere gli studenti al centro dell’Università, favorendo la scelta
dell’Ateneo in base alle loro capacità è quindi possibile, ma sono necessari
finanziamenti adeguati e aggiuntivi, da parte del Ministero e da parte di
privati.
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Ritengo estremamente importante che su questi temi il mondo
imprenditoriale stia lavorando per aprire un dialogo con le Università e il
Ministero: è il segnale che siamo consapevoli dell’enormità del problema e
del fatto che stiamo parlando dell’investimento più importante (a mediolungo termine), finora troppo trascurato.
È necessario uno sforzo comune per definire i profili professionali di cui, a
vari livelli, il Paese ha bisogno per essere competitivo: in Italia c’è carenza
di sbocchi, sia per i laureanti di primo livello che per i giovani con una
solida formazione post laurea, che hanno conseguito il dottorato (per
questi sono quasi nulli gli sbocchi extra-universitari). Quando confronto la
situazione ad esempio in California e Massachusetts (ma anche in Europa)
con la nostra difficoltà a generare start up e spin off, non posso che
concludere che veramente dobbiamo programmare e lavorare insieme,
confrontandoci con la dovuta continuità, decisi a fare ognuno la propria
parte, fino in fondo.
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