Appunti di economia e organizzazione aziendale I La teoria del prezzo di mercato (domanda e offerta di un bene) Abbiamo accennato nella lezione precedente che il metodo di studio che utilizzeremo in microeconomia è quello dell’equilibrio economico parziale, sviluppato dall’economista Alfred Marshall, detto metodo della scuola di Cambridge. E’ opportuno ricordare che questo metodo si basa sul presupposto che nell’analisi di un mercato rimangano costanti tutte le variabili che stanno al di fuori di quel mercato. In particolare la teoria del prezzo di mercato determina il prezzo (P) e la quantità (Q) di equilibrio di un mercato, a parità di tutte le altre condizioni, cioè tenendo ferme tutte quelle grandezze economiche che non siano il prezzo e la quantità scambiata con riferimento a quel mercato (quindi P e Q di altri mercati, ma anche i salari dello stesso mercato, tasso di interesse, disoccupazione, ecc.). E’ questa una premessa che non va mai dimenticata. La teoria del prezzo considera la domanda dei consumatori come una curva decrescente posta su un grafico i cui valori sono il prezzo (P) e la (Q). Questo significa che la domanda di un determinato bene, qualunque esso sia, è una funzione inversa del prezzo alla quantità Q= f(P). In altre parole la condizione che è alla base del ragionamento è che la quantità domandata diminuisce all’aumentare del prezzo e aumenta al diminuire del prezzo. Questa relazione inversa è rappresentata graficamente da una curva decrescente e, da un punto di vista matematico, dal segno negativo di una delle 2 variabili Q= f(-P). Al crescere di una variabile l’altra diminuisce e viceversa. Il ragionamento che porta ad una domanda inclinata negativamente è abbastanza intuitivo: è infatti verosimile ritenere che i consumatori riducano la quantità domandata di un certo bene se il prezzo di questo aumenta, mentre sono portati a domandarne di più se il prezzo si riduce. Purtroppo però in economia il ragionamento che porta ad una determinata conclusione non può limitarsi ad essere intuitivo e quindi nella lezione successiva (la nr. 3) vedremo qual è la teoria economica che “sta sotto” alla curva di domanda e ne giustifica l’andamento decrescente. Per adesso è sufficiente affermare che la curva di domanda esprime una relazione inversamente proporzionale tra P e Q. Quanto abbiamo detto a proposito della domanda possiamo ripetere per l’offerta da parte delle imprese di un certo prodotto, qualunque esso sia. Qui però notiamo che l’andamento della curva di offerta è crescente, perché esprime una relazione diretta tra la quantità offerta dai produttori e prezzo del bene. Più aumenta il P e più i venditori sono incentivati ad aumentare la quantità offerta sul mercato e viceversa. Anche questo è un ragionamento abbastanza intuitivo, perché il produttore che vede salire il P del suo bene è stimolato ad offrirne di più sul mercato, per aumentare il suo guadagno e viceversa in caso di diminuzione del P. Pure in questo caso però l’andamento crescente della curva d’offerta è spiegato da una teoria economica, che vedremo nella lezione nr. 4. Da un punto di vista strettamente matematico la relazione diretta tra P e Q nell’offerta di un bene è espressa dalla funzione Q= g(+P). A questo punto per giungere alla situazione di equilibrio del mercato è sufficiente mettere insieme le 2 curve di domanda e offerta nello stesso grafico, ma prima definiamo il concetto di equilibrio di un mercato qualsiasi. Secondo questa teoria della domanda e dell’offerta, un mercato è in equilibrio quando si determinano un P ed una Q scambiata che sono stabili, cioè destinati a perdurare nel tempo. Ogni altro valore, non di equilibrio, di queste 2 variabili (P e Q) comporta un’instabilità del sistema, perché le forze di mercato spingeranno sempre P e Q verso i valori di equilibrio. Vediamo ora in concreto come si forma l’equilibrio di mercato. Nella figura vediamo sia la funzione di domanda (decrescente), sia la funzione d’offerta (crescente). Ricordiamo che i punti sopra la curva di domanda indicano le quantità domandate dai consumatori, in quel mercato, per ogni livello di prezzo del bene, mentre i punti sulla curva d’offerta individuano, per ogni prezzo, le quantità che i venditori sarebbero disposti ad offrire. Ebbene, si dimostra, che la situazione di equilibrio si realizza nell’unico punto del grafico (E) dove la quantità domandata dai consumatori è la stessa quantità offerta dai venditori a parità di prezzo. Ovvero c’è equilibrio quando il P è tale per cui le 2 quantità domandate e offerte sono esattamente uguali. Solamente quando le due grandezze prezzo e quantità assumono i valori P* e Q* il mercato è in equilibrio, cioè stabile, senza tendenze alla modificazione. Il punto E è l’unico punto che uguaglia la Q domandata e la Q offerta e determina il prezzo (P*) e la quantità scambiata (Q*) d’equilibrio. Dal punto di vista grafico questo punto E è quello d’intersezione delle due curve, mentre in ottica matematica è quello per il quale le due funzioni di domanda e offerta si uguagliano: (Q= f(-P)) = (Q= g(P)). Ma perché l’equilibrio del mercato si forma proprio in quel punto ? La risposta si può desumere dalla seguente figura. Se il prezzo fosse più alto di quello di equilibrio, per es. P1, ci sarebbe nel mercato un eccesso di offerta, corrispondente alla distanza tra B e A. In questa situazione si accumulerebbero le scorte di magazzino a causa della merce invenduta, costringendo i venditori ad ordinare (o produrre) minor quantità di quel bene, per mancanza di domanda da parte dei consumatori. La restrizione della quantità offerta, accompagnata dal minor prezzo a cui gli offerenti sarebbero disposti a vendere pur di eliminare le giacenze di magazzino, spingono il mercato verso un prezzo più basso e precisamente verso il prezzo di equilibrio P*. Il discorso è analogo, ma speculare, nel caso che il mercato avesse un prezzo più basso di quello di equilibrio, per es. P2. Nel caso prospettato ci sarebbe un eccesso di domanda, corrispondente alla distanza tra Q2 e Q1. Al prezzo P2 una parte dei consumatori non avrebbe la possibilità di acquistare il bene e vi dovrebbe rinunciare, per cui questi consumatori, pur di avere il bene che domandano, sono disposti a spendere un po’ di più. L’eccesso di domanda porta quindi a spinte al rialzo del prezzo, causate dalla mancata soddisfazione di alcuni consumatori. I venditori assecondano questi consumatori accompagnando l’aumento del prezzo con una maggiore offerta. Tutto ciò porta il mercato ad aumentare il prezzo, fino a raggiungere quello di equilibrio P*. In ambedue i casi, le tendenze del mercato si arrestano quando si raggiunge il punto d’intersezione tra le due curve di domanda e offerta. Solo il prezzo d’equilibrio P*, determinato dal punto E, provoca la stabilità del mercato e causa il venir meno di spinte al rialzo o al ribasso dei prezzi. L’equilibrio si realizza esclusivamente laddove la quantità domandata è uguale a quella offerta ed i conseguenti valori del prezzo (P*) e della quantità (Q*) sono gli unici che stabilizzano il mercato. • Quando le variazioni riguardano i valori degli assi, cioè prezzo (P) e quantità (Q), allora ci spostiamo sulle curve di domanda e offerta. • Quando le variazioni riguardano altre grandezze economiche (il salario, il tasso di disoccupazione, il prezzo di altri mercati, le quantità domandate o offerte di altri mercati, il tasso d’inflazione, i gusti dei consumatori, ecc.), diverse dal P e Q di quel mercato, allora c’é lo spostamento (traslazione) delle curve di domanda e offerta. In particolare, la domanda si sposta verso l’alto e a destra quando cresce (perché a parità di P la quantità domandata è maggiore) e verso il basso e a sinistra quando diminuisce. L’offerta si sposta verso il basso e a destra quando cresce (perché a parità di P la quantità offerta è maggiore) e verso l’alto e a sinistra quando diminuisce. Categorie di beni economici Diamo ora alcune definizioni di beni economici che saranno molto importanti nelle lezioni successive. Beni sostituti (o succedanei) e beni complementari. Due beni sono tra loro sostituti (o succedanei), quando sono così simili da soddisfare in modo equivalente gli stessi bisogni. Per es. burro e margarina. Due beni sono invece tra loro complementari, quando sono utilizzati congiuntamente per soddisfare determinati bisogni. Per es. caffè e zucchero. Secondo la relazione tra P e Q, Un bene è sostituto di un altro quando l’aumento del P del primo implica l’aumento della Q domandata (spostamento della curva di domanda in alto e a destra) del secondo e viceversa. Un bene è complementare di un altro quando l’aumento del P del primo implica la riduzione della Q domandata (spostamento della curva di domanda in basso e a sinistra) del secondo e viceversa. Beni normali e beni inferiori. La distinzione verte sulla reazione della domanda dei beni alle variazioni del reddito dei consumatori (relazione tra Q e Reddito). Un bene è normale se l’aumento del reddito comporta un aumento della sua domanda (spostamento in alto della curva) e viceversa in caso di diminuzione del reddito. Un bene è inferiore se l’aumento del reddito comporta una diminuzione della sua domanda (spostamento in basso della curva) e viceversa in caso di diminuzione del reddito. Elasticità della domanda e dell’offerta Un importantissimo concetto, di cui non solo gli economisti, ma anche gli operatori di mercato (venditori e produttori) dovrebbero sempre tenere conto, è quello di elasticità della curva di domanda o d’offerta. Diciamo subito che quello che affermeremo sull’elasticità della domanda vale anche per l’elasticità dell’offerta, tuttavia la più importante in assoluto è sicuramente la prima, perché attraverso la considerazione dell’elasticità della domanda è possibile trarre, oltre a molte considerazioni di teoria economica, anche notevoli spunti per comprendere il comportamento dei venditori nelle loro politiche di offerta. L’elasticità della domanda rispetto al prezzo misura la reattività della quantità domandata ad una variazione percentuale del prezzo, cioè indica di quanto varia la quantità domandata di un bene se il suo prezzo aumenta o diminuisce di una certa percentuale. In termini matematici l’elasticità è rappresentata dal coefficiente davanti alla variabile che si modifica (il prezzo). Per es. se questa è la funzione della domanda Q= a - bP, l’elasticità è data dal valore di b. In termini grafici l’elasticità è la pendenza della curva di domanda. Se per es. aumentando il prezzo di una unità, il nuovo punto sulla curva di domanda, corrispondente al nuovo P, determina una diminuzione della quantità domandata di 3 unità, l’elasticità della domanda è 3. In figura sono rappresentate 2 curve di domande con 2 diverse elasticità (pendenze), come possiamo vedere dalla diversa reazione, in termini di diminuzione della Q domandata, in risposta alla stessa variazione (aumento) di P. La formula matematica dell’elasticità è questa: elasticità della domanda = ∆%Q =(variaz. % della Q domandata) / (variaz. % del P) ∆% P dove (variaz. % della Q domandata) = (delta Q/Q) x 100 e (variaz. % del P) = (delta P/P) x 100 L’elasticità della domanda rispetto al prezzo può assumere tantissimi valori (ai quali corrispondono curve di domanda più o meno inclinate). Una classificazione dei diversi valori di elasticità è la seguente: a) Elasticità = 0 Non c’è reattività della domanda. Qualsiasi variazione del P lascia indifferente la quantità domandata. Graficamente la domanda è una retta verticale. Si dice in questo caso che la domanda è rigida o anelastica. b) Elasticità = 1 La variazione % del P determina la stessa variazione % della Q domandata. c) Elasticità < 1 C’è poca reattività della Q alle variazioni di P. L’inclinazione della domanda è vicina a quella verticale. Si dice che la domanda è poco elastica. d) Elasticità > 1 C’è molta reattività della Q alle variazioni di P. La pendenza della domanda è vicina a quella orizzontale. Si dice che la domanda è molto elastica. e) Elasticità = infinito La reattività è massima. Qualsiasi piccola variazione di P provoca una grossa risposta della Q domandata. La domanda è una retta orizzontale. La domanda in questo caso è perfettamente o infinitamente elastica. Domande infinitamente elastiche non esistono (è un caso limite ipotetico). Esistono però domande rigide (con elasticità = 0), per esempio la dipendenza di alcuni paesi dall’importazione del petrolio fa considerare la loro domanda per quel combustibile come rigida. Questo spiega il motivo dell’alto prezzo del petrolio in certi periodi storici: esso era determinato unicamente dalla variazione dell’offerta (riduzione) da parte delle nazioni arabe produttrici (OPEC). Un’ultima considerazione. Quando l’elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo è inferiore a 1, si dice che quel bene è di prima necessità. Quando l’elasticità di un bene è maggiore di 1, si dice che quel bene è un bene di lusso. La curva di Phillips. In macroeconomia, la curva di Phillips è una (a seconda dei punti di vista, ipotetica) relazione inversa tra inflazione e disoccupazione. L'economista britannico A.W. Phillips, nel suo storico contributo del 1958 The relationship between unemployment and the rate of change of money wages in the UK 1861-1957 («La relazione tra disoccupazione e il tasso di variazione dei salari monetari nel Regno Unito 1861-1957»), pubblicato su Economica (la rivista della prestigiosa London School of Economics), osservò una relazione inversa tra variazioni dei salari monetari e livello di disoccupazione nell'economia britannica, nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni vennero presto osservate in altri paesi, e nel 1960 Paul Samuelson e Robert Solow, a partire dal lavoro di Phillips, proposero una esplicita relazione tra inflazione e disoccupazione: allorché l'inflazione era elevata, la disoccupazione era modesta, e viceversa. Non altrettanto noto è che l'economista statunitense Irving Fisher aveva proposto una relazione analoga a quella osservata da Phillips negli anni '20. D'altra parte, la curva originariamente proposta da Phillips descriveva il comportamento dei salari monetari (comunque collegati all'inflazione). A motivo di ciò, secondo alcuni la curva di Phillips dovrebbe essere più propriamente chiamata curva di Fisher. Negli anni immediatamente successivi al contributo del 1958 di Phillips, diversi economisti nei paesi maggiormente industrializzati furono convinti che i risultati di Phillips indicassero una relazione stabile, permanente, tra inflazione e disoccupazione. Un'implicazione di questa conclusione per la politica economica sarebbe che i governi potrebbero controllare inflazione e disoccupazione, tramite una politica Keynesiana, risolvendo così in generale un problema di trade-off tra i due obiettivi della politica economica scegliendo un punto sulla curva di Phillips La curva di Phillips non è altro che l’espressione della scelta fra una minor inflazione o una minor disoccupazione, per un sistema economico. Nell’esempio, passando dal punto E al punto E’, cresce l’occupazione e, quindi, migliora il PIL della collettività, ma il prezzo da pagare è una ben più alta inflazione. La curva elaborata da Phillips ha avuto un grande seguito per l’importanza pratica che assume. Infatti, essa è stata utilizzata dai pubblici poteri di tutto il mondo per fissare degli obiettivi di PE che riducessero una delle due grandezze, compatibilmente con un certo peggioramento dell’altra. In pratica, i governi dei paesi che utilizzano la curva di Phillips, hanno impostato la propria PE cercando di raggiungere degli obiettivi, in termini di combinazione inflazionedisoccupazione, che rappresentassero il male minore per la collettività. In realtà quello che i pubblici poteri dovrebbero cercare di ottenere non è il raggiungimento di un certo punto sulla curva che sia accettabile dal paese, ma lo spostamento della curva stessa verso l’interno (verso l’origine del grafico), in modo da migliorare entrambe le grandezze economiche: inflazione e disoccupazione. Ciò è possibile mettendo in campo un mix di politiche monetarie e fiscali, nonché di politiche legate all’offerta (sussidi e incentivi), in grado di indirizzare l’economia verso risultati possibili e certi, che siano migliorativi di tutte le grandezze economiche in gioco. TASSAZIONE Se il governo impone una tassa su un bene, dobbiamo fare attenzione a quello che vogliamo dire quando parliamo del 'prezzo del bene perché ci sono di fatto due prezzi - il prezzo pagato dagli acquirenti ed il prezzo ricevuto dai venditori. La differenza tra i due è semplicemente la tassa - presa dal governo. Questa può essere costante o può variare (dipendendo dal prezzo, per esempio) secondo il genere di tassa che il governo impone. Se è una tassa 'flat rate' (a tasso piatto) allora la tassa è costante - un determinato ammontare per ciascuna unità del bene comprata e venduta. Se è una tassa 'ad valorem' - come l'IVA allora aumenta all'aumentare del prezzo. Ci sono altro generi di tassa, ma questi sono i due che considereremo in questa lezione. Cominciamo con una tassa 'flat rate'. Cominciamo con la posizione prima che la tassa sia imposta. Per semplicità assumiamo domanda ed offerta lineari - ma l'analisi è la stessa con altre forme di domanda e offerta. Si può vedere che il prezzo d'equilibrio è 55 e che 45 unità sono scambiate. Ora supponiamo che il governo imponga una tassa 'flat rate' di 10 per unità del bene comprato e venduto. Questo vuole dire che il prezzo pagato dall'acquirente è sempre 10 in più rispetto al prezzo ricevuto dal venditore - perché il governo prende 10 per ciascuna unità comprata e venduta. Cosa significa questo per la domanda e l'offerta? Per prima cosa notiamo che il punto cruciale per gli acquirenti è il prezzo che pagano e il punto cruciale per i venditori è il prezzo che ricevono. Nella figura sopra noi non abbiamo avuto bisogno di distinguere tra loro perché senza una tassa questi due prezzi coincidono. Tuttavia con una tassa dobbiamo essere accurati. Possiamo fare l'analisi con uno dei due prezzi. Cominciamo col prezzo pagato dagli acquirenti, che è la variabile sull'asse verticale nella figura 27.2. Poiché questa è la cosa che importa agli acquirenti, la curva di domanda nella figura 27.2 è esattamente la stessa della figura 27.1. Tuttavia questo non è vero per la curva d'offerta: quello che determina l'offerta è il prezzo ricevuto dai venditori e questo è 10 in meno (in questo esempio) del prezzo pagato dai compratori. Così per trovare l'offerta a un qualsiasi prezzo pagato dagli acquirenti abbiamo bisogno di trovare l'offerta a quel prezzo meno la tassa. Così l'effetto sulla curva dell'offerta è semplice: la muove verso l'alto di una distanza pari all'ammontare della tassa - in questo caso un ammontare costante pari a 10. Per indurre i venditori ad offrire una data quantità il prezzo pagato dagli acquirenti deve essere 10 in più di prima. Il nuovo equilibrio è dove la nuova curva d'offerta e la curva di domanda si intersecano. Possiamo vedere che l'effetto è di ridurre la quantità scambiata - in questo esempio da 45 a 40 - e aumentare il prezzo d'equilibrio pagato dagli acquirenti a 60. Da questo possiamo calcolare il nuovo prezzo d'equilibrio ricevuto dai venditori - 10 in meno del prezzo d'equilibrio pagato dagli acquirenti - e quindi 50. Alternativamente possiamo lavorare col prezzo ricevuto dai venditori sull'asse verticale. Vediamo la figura 27.3. Poiché questo prezzo è ciò che importa ai venditori la curva di offerta nella figura 27.3 è la stessa della figura 27.1. Tuttavia la curva di domanda è diversa perché il prezzo che pagano è uguale al prezzo ricevuto dai venditori più la tassa - in questo caso 10. Per trovare la domanda ad un qualsiasi dato prezzo ricevuto dai venditori abbiamo bisogno di chiederci cosa sarebbe la domanda a quel prezzo più la tassa. Possiamo vedere perciò che la curva di domanda nella figura 27.3 è quella di figura 27.1 spostata in basso di una distanza pari a 10 (l'ammontare della tassa). Per indurre gli acquirenti a comprare una quantità data, il prezzo ricevuto dai venditori ha bisogno di essere 10 in meno rispetto a prima. Il nuovo equilibrio è dove la nuova curva d'offerta e la curva di domanda si intersecano. Possiamo vedere che l'effetto è di ridurre la quantità scambiata - in questo esempio da 45 a 40 - e diminuire il prezzo d'equilibrio pagato ai venditori a 50. Da questo possiamo calcolare il nuovo prezzo d'equilibrio ricevuto dai compratori - 10 in più del prezzo d'equilibrio pagato ai venditori - e quindi 60. Vediamo perciò che otteniamo lo stesso risultato finale qualunque prezzo usiamo come variabile sull'asse verticale dobbiamo solo essere accurati. L'effetto della tassa è di ridurre la quantità scambiata (in questo esempio da 45 a 40) e di aumentare il prezzo pagato dagli acquirenti (in questo esempio da 55 a 60) e di decrescere il prezzo ricevuto dai venditori (in questo esempio da 55 a 50). In questo esempio l'effetto è simmetrico - possiamo dire che la tassa è pagata metà dagli acquirenti e metà dai venditori. Ma questa è una conseguenza delle particolari curve di offerta e di domanda che abbiamo assunto - come vedremo. Mettiamo tutti i grafici in una sola figura. Le curve sottili sono le curve di domanda e di offerta originali e quelle spesse sono le curve nuove. E' chiaro quello che è accaduto: la tassa inserisce un cuneo tra domanda ed offerta e la quantità di equilibrio nuova è dove c'è un a distanza verticale tra le curve di offerta e di domanda nuove pari alla tassa. L'effetto della tassa sui surplus Ora possiamo vedere quello che la tassa fa ai surplus - a quello totale e alla sua distribuzione. La posizione iniziale è mostrata sotto. L'area blu è il surplus del compratore e l'area rossa il surplus del venditore. Ricordatevi la situazione con la tassa - la figura 27.4 sopra ma con le curve originali spesse. E' chiaro che possiamo liberarci delle nuove curve e ottenere una figura più chiara nella quale mostrare i nuovi surplus. Il nuovo prezzo pagato dai compratori è 60, quindi il loro suplus è l'area blu nella figura 27.7. Il nuovo prezzo ricevuto dai venditori è 50 quindi il loro surplus è l'area rossa nella figura 27.7. L'area verde è il rendimento tale della tassa - pari alla tassa (per unità di bene) moltiplicato per il numero di unità scambiate. cosa cruciale - non soltanto i surplus del compratore e del venditore sono ridotti (a causa della tassa) ma esiste anche una perdita di surplus che non è più generato dal mercato - il triangolo bianco nella figura. Questa è chiamata perdita secca a causa della tassa . Ed è una perdita per la società - il mercato non genera più lo stesso surplus di prima, anche contanto il surplus che ora affluisce al governo. Fallimento del mercato In economia, un fallimento del mercato è una situazione in cui i mercati non organizzano la produzione in maniera efficiente, o non allocano efficientemente beni e servizi ai consumatori. Dal punto di vista degli economisti, il termine si riferisce normalmente a situazioni in cui l'inefficienza risultante è notevole, o quando istituzioni esterne al mercato potrebbero essere impiegate per raggiungere un risultato preferibile. Nel linguaggio di tutti i giorni, d'altra parte, il termine è impropriamente utilizzato per designare le situazioni in cui le forze di mercato non appaiono servire ciò che è percepito come interesse pubblico. ASIMETRA INFORMATIVA BENI PUBBLICI IL POTERE DI MERCATO Asimmetria informativa Si è in presenza di asimmetria informativa quando l'intera informazione rilevante non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico, ovvero i casi in cui una parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione. Il concetto viene usato e studiato in economia, dove si suppone la presenza di asimmetrie informative per spiegare i differenti comportamenti dei soggetti economici. La presenza di asimmetrie informative spiega per esempio perché i risparmiatori preferiscono ricorrere ai servizi di investimento offerti dalle banche benché siano costosi. Rispetto ai risparmiatori, le banche possiedono infatti informazioni migliori su un maggior numero di possibili investimenti. La minore conoscenza da parte del risparmiatore lo induce quindi a ricorrere a un operatore specializzato nella raccolta e nell'elaborazione delle informazioni circa i possibili modi di investire il denaro. Si possono presentare due distinti casi di asimmetria informativa: • • Pre contrattuale selezione avversa (adverse selection) Post contrattuale azzardo morale (moral hazard Selezione avversa Si ha il fenomeno della selezione avversa quando una sola delle parti coinvolte in un contratto dispone di un'informazione e la usa a proprio vantaggio. In questa situazione una delle due parti, normalmente detta principale, tende a selezionare la controparte del contratto, detta agente, in modo controproducente. In altre parole, il contratto è conveniente solo per quegli agenti che hanno caratteristiche inferiori alla media, mentre non lo è per quelli con caratteristiche superiori alla media. Di conseguenza i primi stipulano il contratto e i secondi no. Il principale non seleziona quindi gli agenti migliori, ma quelli peggiori. Un esempio Nel caso delle macchine usate, il venditore conosce la reale qualità dell'auto che vende, mentre chi l'acquista, in base alle statistiche, può essere al massimo a conoscenza della qualità media di una vettura di quella marca, quel modello, di quella stessa età. Ciò fa sì che il prezzo dell'auto usata non ne rifletta effettivamente la qualità, ma si stabilisca attorno al valore che ha la vettura media di quel tipo immatricolata in quel determinato anno. Gli effetti della selezione avversa sul mercato non sono trascurabili. Un proprietario di auto di qualità superiore non troverà conveniente vendere a quel prezzo, mentre chi possiede un'auto qualitativamente inferiore sarà invogliato a portarla sul mercato perchè ne riceverà un prezzo superiore al valore effettivo. Di conseguenza la qualità media delle auto presenti sul mercato delle auto usate tende ad abbassarsi, inducendo un ribasso dei relativi prezzi. Azzardo morale Il caso di azzardo morale è un caso che si verifica durante il rapporto assicurativo. Il consumatore, avendo stipulato un contratto che lo tutela e lo risarcisce in caso di accadimento dell'evento negativo, è portato a non usare più strumenti e accortezze cautelari che lo prevengano dall'evento. Il fatto di essere assicurato induce l'individuo a ridurre l'attività di prevenzione o parallelamente a sovrautilizzare la disponibilità di risorse a lui dovute più di quanto non necessiti. Beni pubblici In economia, un bene pubblico è un bene che è difficile, o impossibile, produrre per trarne un profitto privato. Per definizione, un bene pubblico è caratterizzato da: Assenza di rivalità nel consumo - il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non implica l'impossibilità per un altro individuo di consumarlo, allo stesso tempo (si pensi ad esempio a forme d'arte come la musica, o la pittura); Non escludibilità nel consumo - una volta che il bene pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione da parte di consumatori (si pensi ad esempio all'illuminazione stradale). Beni pubblici puri possiedono in senso assoluto tali proprietà. D'altra parte, poiché i beni pubblici puri sono rari (sebbene includano importanti casi quali il sistema dei diritti di proprietà o la difesa nazionale), nel gergo degli economisti il termine bene pubblico è in genere riferito a beni pubblici impuri, o pubblici soltanto con riferimento a un particolare sottoinsieme di consumatori. È importante al riguardo osservare che un bene pubblico può essere fruito da parte dell'intera società, laddove un bene che è utilizzato soltanto da un suo sottoinsieme dovrebbe essere considerato un bene collettivo. Un bene pubblico puro può essere inoltre definito in opposizione a un bene privato, ossia un bene caratterizzato da rivalità nel consumo ed escludibilità. Una pagnotta è ad esempio un bene privato: il suo possessore può impedire ad altri di consumarla, e una volta che essa è stata consumata, non può esserlo nuovamente. Il libero mercato è in genere incapace di produrre un ammontare ottimale/efficiente (in senso paretiano) di beni pubblici. Importanti beni, come il sistema dei diritti di proprietà, saranno "prodotti" in ammontare insufficiente, a causa di problemi normalmente associati ai beni pubblici, quali il free riding. Nella pratica, tali difficoltà sono normalmente affrontate e risolte tramite l'intervento dello Stato nell'economia. Questa soluzione non è tuttavia libera da critiche, in quanto alcuni argomentano come possa condurre alla produzione/erogazione di beni pubblici in quantità eccessiva; inoltre, una soluzione centralizzata che passi tramite l'intervento governativo non è l'unica possibile; almeno in via teorica, soluzioni decentralizzate quali tradizione e democrazia possono svolgere un ruolo analogo. Il concetto economico formale di bene pubblico non è, infine, da confondere con l'uso informale del termine, spesso assimilato al pubblico interesse, che in generale rimanda a un giudizio di tipo etico, estraneo alla teoria economica dei beni pubblici. Il potere di mercato Monopolio Il monopolio è una forma di mercato dove un unico venditore offre un prodotto o un servizio per il quale non esistono sostituti stretti. In una economia così può venirsi a creare una situazione di monopolio: • Esclusività sul controllo di input essenziali (es. diamanti grezzi de Beers); • Economie di scala, laddove la curva del costo medio di lungo periodo è decrescente, ossia che un aumento della produzione, "spalmando" i costi su più unità di prodotto, ne riduce l'incidenza media (questa condizione può dare luogo a un monopolio naturale); un esempio è il (discusso) caso delle ferrovie; • Brevetti; • Licenze governative. Forme di monopolio I monopoli sono spesso caratterizzati in base alle circostanze da cui hanno origine. Tra le categorie principali si hanno monopoli che sono il risultato di leggi o regolamentazione (monopoli legali), monopoli che hanno origine dalla struttura dei costi di un dato sistema produttivo (monopolio naturale). I fautori del liberismo in economia sostengono che una classificazione più fondamentale dovrebbe distinguere tra monopoli che nascono e prosperano grazie a una violazione dei principî del libero mercato (monopolio coercitivo) e quelli che si mantengono tali grazie alla superiorità del prodotto o servizio offerto rispetto a quello dei potenziali concorrenti. L'oligopolio L'oligopolio è una forma di mercato con pochi ma importanti venditori (offerenti), ognuno dei quali sa che ogni sua decisione avrà influsso sulle decisioni della concorrenza. Un esempio di oligopolio viene, ad esempio, dall'industria automobilistica. Il Duopolio è - per contro - un oligopolio con soli due offerenti. Teoria dei giochi La Teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli, ovvero uno studio delle decisioni individuali in situazioni in cui vi sono interazioni tra i diversi soggetti, tali per cui le decisioni di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte di un rivale, secondo un meccanismo di retroazione. Le applicazioni e le interazioni della teoria sono molteplici: dal campo economico e finanziario a quello strategicomilitare, dalla politica alla sociologia, dalla psicologia all'informatica, dalla biologia allo sport, introducendo l'azione del caso, connessa con le possibili scelte che gli individui hanno a disposizione per raggiungere determinati obiettivi, che posso essere: comuni comuni, ma non identici differenti contrastanti. Possono essere presenti anche aspetti aleatori. Nel modello della "Teoria dei Giochi", tutti devono essere a conoscenza delle regole del gioco, ed essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola mossa. La mossa, o l'insieme delle mosse, che un individuo intende fare viene chiamata "strategia". In dipendenza dalle strategie adottate da tutti i giocatori (o agenti), ognuno riceve un "pay-off" (letteralmente il "pagamento d'uscita", o meglio la vincita finale) secondo un'adeguata unità di misura, che può essere positivo, negativo o nullo. Un gioco si dice "a somma costante" se per ogni vincita di un giocatore v’è una corrispondente perdita per altri. In particolare, un gioco "a somma zero" fra due giocatori rappresenta la situazione in cui il pagamento viene corrisposto da un giocatore all'altro. La strategia da seguire è strettamente determinata, se ne esiste una che è soddisfacente per tutti i giocatori; altrimenti è necessario calcolare e rendere massima la speranza matematica del giocatore, che si ottiene moltiplicando i compensi possibili (sia positivi sia negativi) per le loro probabilità. Tipologia di giochi I giochi possono essere classificati in base a diversi paradigmi: • Cooperazione • Giochi non cooperativi Se i giocatori perseguono un fine comune, almeno per la durata del gioco, alcuni di essi possono tendere ad associarsi per migliorare il proprio "pay-off". La garanzia è data dagli accordi vincolanti. Si posso avere due sottogeneri, i giochi NTU ed i giochi TU. Giochi NTU "Non Transferable Unit": a utilità non trasferibile o senza pagamenti laterali. In questi casi, nel campo dell'economia industriale, in una situazione di oligopolio può insorgere il fenomeno della Giochi TU "Transferable Unit": a utilità trasferibile o con pagamenti laterali, nei quali deve esistere un mezzo, denaro o altro, per il trasferimento dell'utilità. La suddivisione della vincita avviene in relazione al ruolo svolto da ciascun giocatore, secondo la sua strategia ed i suoi accordi (per i "giochi TU" vanno aggiunti i pagamenti o i trasferimenti ottenuti durante il gioco). I giocatori non possono stipulare accordi vincolanti (anche normativamente), indipendentemente dai loro obiettivi. A questa categoria risponde la soluzione data da John Nash con il suo Equilibrio di Nash, probabilmente la nozione più famosa per quel che riguarda l'intera teoria, grazie al suo vastissimo campo di applicabilità. Equilibrio di Nash La prima formulazione di questo teorema, che costituisce la nozione di equilibrio più famosa della teoria dei giochi per quel che riguarda i "giochi non cooperativi", appare in un brevissimo articolo del 1949 dove John Nash, ancora studente a Princeton, spiega la sua idea di fondere intimamente due concetti apparentemente assai lontani: quella di un punto fisso in una trasformazione di coordinate, e quella della strategia più razionale che un giocatore può adottare, quando compete con un avversario anch'esso razionale, estendendo la teoria dei giochi ad un numero arbitrario di partecipanti, o agenti, e dimostrando che, sotto certe condizioni, esiste sempre una situazione di equilibrio, che si ottiene quando ciascun individuo che partecipa a un dato gioco sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare la sua funzione di retribuzione, sotto la congettura che il comportamento dei rivali non varierà a motivo della sua scelta (vuol dire che anche conoscendo la mossa dell'avversario, il giocatore non farebbe una mossa diversa da quella che ha deciso). Tutti i giocatori, possono dunque operare una scelta dalla quale tutti traggono un vantaggio (o limitare lo svantaggio al minimo). Una differenza sostanziale rispetto al caso dei giochi a "somma zero" studiati in precedenza da John von Neumann, dove la vittoria di uno dei due (unici) partecipanti era totale e necessariamente accompagnata dalla sconfitta all'altro. • Rappresentazione Giochi ad informazione perfetta, giochi in cui, in ogni momento, si conosce con certezza la storia delle giocate precedenti. In termini più tecnici, si tratta di giochi in cui in ogni momento del gioco si può capire in quale nodo della rappresentazione ad albero del gioco (rappresentazione estesa) ci si trova. (esempio gli scacchi) • Numero di giochi Giochi finiti, giochi in cui il numero delle situazioni di gioco possibili è finito. (esempio il tris) • Somma Giochi a somma zero in cui la somma delle vincite dei due contendenti in funzione delle strategie utilizzate è sempre zero. Negli scacchi ad esempio significa che i soli tre risultati possibili, rappresentando la vincita con 1 la perdita con -1 e il pareggio con zero possono essere (1,-1), vince il bianco, (-1,1) vince il nero, (0,0) pareggiano. Non esiste ad esempio il caso in cui vincono entrambi o perdono entrambi. Giochi a somma non zero in cui la somma di cui al punto precedente non è zero almeno in un caso. L’impresa nel breve periodo Ipotesi isoquanto convesso ( ) Qb = Q K , L I) Qa Tgα produttività media λ La dQ in a produttività marginale Tgβ = λ' dL Il punto B (flesso) è il punto di massimo per λ ' Fino al punto B la produttività marginale è maggiore della produttività media, nel punto C le due produttività sono uguali, Dopo il punto C, la produttività media è maggiore della produttività marginale.Tutto ciò significa che assumere lavoratori il prodotto marginale è crescente dopodiché diminuisce… II) Il punto C è il punto di massimo rendimento per l’impresa Costi dell’impresa C t = C f + C v (costo totale = costi fissi + costi variabili) C f = C k , C h ( C k costo capitale, C h costo gestionale ) C v = C mp + C mdo (costo materie prime + costo manodopera) ciò che è rilevante è C mdo C v = WxL (salario unitario x lavoratori) Q Q quindi sappiamo che λ = allora L = L λ Q C v = Wx questa relazione dice che esiste un rapporto inverso tra costi variabili e produttività λ III) IV) Tgα C va Qva costo medio Tgβ = dC dQ costo marginale V) Il punto P, è un punto di uscita dal mercato, perché al di sotto del punto X Sotto il punto PX c’è l’uscita dal mercato L’area compresa tra X e J, rappresenta “l’uscita nel breve periodo” Dal punto J in su si realizzano gli extraprofitti In concorrenza perfetta il punto J è il punto di equilibrio Concorrenza = prodotto omogeneo, grande numero di imprese, assenza di barriere di ingresso Ipotesi isoquanto a coefficienti fissi Lungo periodo Tratto 1 = impresa con un certo tipo di tecnologia Tratto 2 = stessa impresa con tecnologia meno efficiente del tratto 1 Tratto 3 = stessa impresa con tecnologia meno efficiente del tratto 2