G RUPPO ASTRONOMICO T RADATESE Aprile 2008 7° CORSO DI AGGIORNAMENTO PER INSEGNANTI 4° Lezione: I PIANETI EXTRASOLARI Rel. C.Guaita PIANETI EXTRASOLARI: 10 ANNI DI SCOPERTE.……………………….. Ormai sono noti quasi 300 pianeti extrasolari. Se il metodo dell’oscillazione Doppler periodica delle righe spettrali della stella centrale rimane il metodo principale, sempre più importanza stanno acquisendo due altri metodi: il microlensing gravitazionale e, soprattutto, il metodo dei transiti su cui, tra l’ altro, è basata la missione spaziale KEPLER. Alla fine del 2007 erano stati scoperti circa 300 pianeti extrasolari. Essendo state scrutate per questa ricerca circa 3000 stelle, ne deriva una conclusione ovvia: quella secondo cui , in media, una stella su 10 possiede uno o più pianeti. E’ ben noto che il 90% di queste scoperte è stata effettuata col cosiddetto metodo spettroscopico introdotto nel 1995 dallo svizzero M. Mayor sulla stella 51 Pegasi e subito dopo adottato dal team americano di G. Marcy, il più prolifico a livello mondiale. In sostanza il metodo spettroscopico misura (mediante spostamento Doppler delle righe spettrali) le variazioni di velocità che un pianeta induce sul moto della stella, rivoluzionando attorno ad essa: per queste misure sono necessari spettrometri sensibilissimi, capaci di percepire differenze di velocità di pochi m/s. Il più raffinato di questi spettrometri, denominato HARPS, ed applicato al telescopio di 3,6 m di La Silla, ha permesso in Giugno ’07 al gruppo di M. Mayor di fare una scoperta davvero notevole: quella di tre pianeti attorno alla Gliese 581, uno dei quali dotato di condizioni di abitabilità simili a quelle della Terra. Gliese 581 è una stellina di m=10,56, situata nella costellazione della Bilancia, circa 2° a Nord di BETA LIbrae. Denominata anche OH Librae, è in realtà una stella variabile del tipo BY Draconis, vecchia di 4,3 miliardi di anni: presenta minime variazioni fotosferiche di luminosità (0,006 m) a corto periodo (ore) e variazioni più spinte (0,5m) a lungo periodo (mesi). Gliese 581 è una stella di classe M2, ossia è una nana rossa con una massa che è solo 1/3 rispetto a quella del Sole: questo fa sì che la sua luminosità sia 80 volte inferiore a quella del Sole e che la sua temperatura superficiale non superi i 2500°C. Da questo punto di vista assomiglia a Proxima Centauri, una nana rossa di classe M5 e m=11 nota per essere la più vicina al Sole (4,2 anni luce). E’ importante aggiungere che le nane M (massa compresa tra l’ 8% e il 50% rispetto al Sole) hanno, a causa della piccola massa quindi della lentezza della fusione interna dell’idrogeno, una vita estremamente lunga, di decine di miliardi di anni. Aver scoperto oggetti planetari attorno ad una nana rossa è un fatto molto importante: siccome queste stelle costituiscono il 70% delle stelle della Via Lattea si irrobustisce ancor più l’idea della estrema diffusione dei sistemi planetari extrasolari. E c’è di più. A causa della loro bassa temperatura superficiale, la distanza alla quale la temperatura è compatibile con la presenza di acqua liquida (CHZ=Circumstellar Habitable Zone, fascia di abitabilità) è 10 volte più prossima che nel caso del Sole: diciamo che mentre per il Sole si può parlare di una CHZ tra 140 e 200 milioni di km (è la posizione della Terra con tutta la sua acqua liquida), la CHZ di Gliese 581 si colloca ad una distanza di 1015 milioni di km. Si tratta anche di una distanza alla quale è massima la probabilità di scoprire pianeti extrasolari per via spettroscopica, perché qui è maggiore il loro effetto perturbativo sulla stella centrale. Senza trascurare il fatto che, essendo le nane M di massa modesta, diventa consistente anche l’effetto perturbatore di pianeti di massa terrestre. Questi ragionamenti stanno alla base di un grosso sforzo osservativo che Mayor ed il suo gruppo, utilizzando lo spettrometro HARPS, stanno dedicando da anni alle 100 nane M più vicine al Sole. Il primo risultato relativo alla stella Gliese 581 venne raggiunto nel 2005, quando 20 misure spettrali HARPS ad alta risoluzione permisero di scoprirne il primo pianeta (denominato Gliese 581b): si trattava anche del primo pianeta di taglia nettuniana (17 masse terrestri) situato a 6 milioni di km dalla stella su un’ orbita quasi circolare percorsa in 5,4 giorni. In questa posizione, nettamente più interna della fascia di abitabilità, il pianeta gode di una temperatura torrida, non inferiore a quella di Mercurio: diciamo almeno 150-200°C (quindi è da escludere qualunque abitabilità). C’erano però alcune irregolarità nella forma della sinusoide rappresentativa delle oscillazioni di velocità radiale indotte da Gliese 581b sulla sua stella. Da qui la decisione di raffinare la ricerca con altre 30 misure HARPS ad alta risoluzione effettuate all’inizio del 2007. Con un risultato di tale risonanza da tener banco sui MEDIA di mezzo mondo ancor prima della pubblicazione ufficiale sulla rivista Astronomy&Astrophysics (inizio Maggio 2007). In sostanza le nuove misure hanno evidenziato, attorno a Gliese 581, la presenza altri due pianeti, uno dei quali dotato di una straordinaria peculiarità: quella di orbitare per la prima volta all’ interno della CHZ, ossia della fascia di abitabilità. Ma procediamo con ordine. Il primo dei nuovi pianeti, denominato Gliese 581d, è piuttosto ‘normale’ : ha una massa di 8 volte quella della Terra e presenta un’orbita piuttosto eccentrica percorsa in 84 giorni ad una distanza media di 37,5 milioni di km. Trovandosi al di fuori della fascia di abitabilità, si tratta di un oggetto gelido con una temperatura forse non dissimile da quella di Marte. Ben più interessante il secondo pianeta (Gliese 581c): esso ha infatti una massa minima di 5 masse terrestri (ovvero un diametro di 1,5 volte quello terrestre nell’ipotesi che abbia una composizione rocciosa) e ruota attorno alla stella centrale in 13 giorni da una distanza media di circa 11 milioni di km, quindi ben all’interno della fascia di abitabilità. La massa e le dimensioni di Gliese 581b, generano in superficie una gravità di 2,1 volte quella terrestre, quindi permettono l’esistenza di una buona atmosfera: a seconda che essa sia densa (albedo=0,64 come Venere) o meno densa (albedo=0,35 come la Terra) se ne deduce una temperatura superficiale che va da -3°C a 40°C, ovvero una temperatura media di 20°C. Questo significa che se esistesse acqua su quel pianeta, essa si conserverebbe indefinitamente in forma liquida, rendendo quell’ ambiente particolarmente adatto alla nascita di qualche forma di vita. Anche perché la stabilità del sistema è assicurato dalla longevità (molto superiore a quella del Sole) della stella centrale. Non bisogna comunque dimenticare un fatto: che per l’estrema vicinanza, la stella centrale esercita su Gliese 581b un’azione di marea almeno 400 volte superiore a quella del sistema Terra-Luna. Con l’inevitabile conseguenza di una sincronizzazione del periodo di rotazione e di rivoluzione. In altre parole Gliese 581b dovrebbe rivolgere sempre la stessa faccia alla sua stella, con effetti assai vistosi sulle sue condizioni climatiche superficiali. Si avrebbe infatti un emisfero perennemente illuminato e molto caldo e l’altro emisfero perennemente in ombra e molto freddo. Solo sul confine tra i due emisferi, ossia sul terminatore, le condizioni ambientali sarebbero sufficientemente sopportabili per albergare forme di vita. A meno che lo squilibrio termico tra i due emisferi non stimolasse una circolazione di venti impetuosi in grado di ripristinare periodicamente un certo equilibrio Naturalmente, al momento, nessuno può dire se la vita si sia veramente sviluppata su Gliese 581b, anche perché l’idea che sia presente acqua liquida è solo ipotetica e non supportata da prove spettroscopiche (toccherà a future missioni spaziali dedicate, come Darwin dell’ ESA o TPF della NASA tentare questa ricerca). Una cosa, però, è certa: questo oggetto diventa uno degli obiettivi più ambiti del progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence). Come tale Gliese 581 ( essendo una delle 100 stelle più vicine al Sole) era già stata ‘ascoltata’ due volte nel passato alla ricerca di eventuali segnali intelligenti: la prima volta fu nel 1995 con radiotelescopio di Parks, in Australia, la seconda volta fu nel 1997 con il Radiotelescopio di Greenbank in Virginia (USA). In entrambi i casi il risultato fu deludente ma adesso, dopo le ultime scoperte, è certo che tutti i massimi radiotelescopi del progetto SETI torneranno ad ascoltare con più attenzione quella piccola nana rossa nascosta nella costellazione della Bilancia. Alla fine del 2007, col metodo Doppler, erano stati scoperti 25 sistemi planetari multipli. Tra essi una menzione particolare va data sicuramente alla stella 55 Cnc (Cancri). Nell’ Ottobre ’98 il telescopio IRTF delle Hawaii rilevò, attorno a questa stella, un disco di polvere inclinato di 27°, fornendo anche un punto di riferimento fondamentale per l’inclinazione orbitale (quindi per la massa assoluta) di eventuali pianeti. La cosa straordinaria è che 55 Cnc è una stella doppia, costituita da due componenti (A e B) distanti circa 1000 a.l. . Ebbene, attorno alla componente primaria A, praticamente simile al Sole, sono stati scoperti col metodo Doppler ben 5 pianeti: tra questi il penultimo (55 Cnc f ), distante 0,78 u.a., con massa di 0,14 masse gioviane e periodo di rivoluzione di 260 giorni, si trova in piena zona di abitabilità, quindi potrebbe godere di condizioni climatiche simili a quelle della Terra. Per quanto il metodo spettroscopico rimanga quello principale per la ricerca di pianeti extrasolari, esso mantiene alcuni difetti di fondo. Intanto, per un evidente effetto di selezione, permette di scoprire facilmente soprattutto pianeti di massa gioviana orbitanti assai vicino alla stella centrale ( si tratta dei cosiddetti hot Jupiters, così definiti per l’inevitabile alta temperatura superficiale). Soprattutto è possibile fare una stima corretta della massa del pianeta in questione solo se il piano orbitale di quest’ultimo viene visto esattamente di taglio. Essendo questa eventualità molto rara statisticamente (1% in media), ne deriva che le stime di massa spettroscopiche sono sempre approssimate. L’ideale sarebbe quindi utilizzare il metodo spettroscopico su pianeti extrasolari per i quali si abbia preventivamente la certezza di un piano orbitale visto di taglio dalla Terra. Ebbene, esiste un approccio sicuro per capire se l’orbita di un pianeta extrasolare è vista di taglio. Denominato metodo dei transiti, esso è immediatamente comprensibile se si pensa al passaggio sul Sole di Mercurio del 7 maggio 2003 oppure a quello molto più spettacolare di Venere del 8 Giugno 2004: in sostanza si tratta di misurare il minuscolo (0,01% per pianeti terrestri, fino al 2% per pianeti gioviani) calo di luminosità di una stella in conseguenza del passaggio sul suo disco di uno dei suoi pianeti: Siccome gli attuali sistemi fotometrici non hanno grossi problemi a misurare i pur minimi cali di luce cui si faceva cenno, il metodo dei transiti sta assumendo da un paio d’anni, una diffusione sempre maggiore, anche per il fatto che ormai ha saputo coinvolgere pesantemente anche il mondo degli astrofili. Due, in particolare gli episodi recenti che hanno visto protagonisti astrofili di casa nostra. Nel primo caso (ne parleremo più avanti) si tratta della scoperta originale di due nuovi pianeti (XO-2b e XO-3b) realizzata all’inizio del 2007 dal team del progetto OX che comprende, tra i suoi componenti anche gli italiani Franco Mallia e Gianluca Masi. La cosa interessante è che i due pianeti sono stati scoperti direttamente col metodo dei transiti e solo successivamente confermati col metodo spettroscopico. Nel secondo caso (vedi inserto) le cose sono andate più o meno in senso opposto. In primavera di quest’anno l’americano D. Fisher scoprì col metodo spettroscopico un pianeta molto ‘strano’ attorno alla stella HD 17156 situata a 255 a.l. in Cassiopea: la sua massa (minima) era 3 volte quella di Giove e ruotava in 21 giorni (un periodo ‘lunghissimo’ tra gli extrasolari scoperti) lungo un’orbita estremamente ellittica (e=0,7 !) che portava il pianeta ad una distanza dalla stella variabile da 7 a 40 milioni di km. Grande merito di un folto team di osservatori di varie nazioni (tra cui gli italiani D.Gasparri, E.Guido, C.Lopresti, F.Manzini e C.Sostero) guidati da Mauro Barbieri (che lavora all ‘Università di Marsiglia nell’ambito del progetto Corot) è stato quello di cogliere fotometricamente un transito di HD 17156b (durata=3,1 h) durante la notte del 9-10 Settembre ’07, nonostante che il relativo calo di luminosità sia quasi al limite delle attuali possibilità tecnologiche (0,006%). Oltre a rendere assoluta la massa di un pianeta determinata per via spettroscopioca, il metodo dei transiti ha anche altri vantaggi. Intanto si possono individuare pianeti di qualunque taglia (compresa quella terrestre, inaccessibile col metodo Doppler). Inoltre (cosa importantissima) è possibile fare misure fisiche dirette sul pianeta transitante per via differenziale (sottraendo al contributo stella+pianeta, quello della sola stella quando il pianeta le passa dietro). Il primo pianeta ad essere stato colto mentre transitava sul disco della sua stella fu HD 209458b (‘Osiris’), un pianeta della taglia di Giove, che rivoluziona in soli 3,5 giorni a 6,7 milioni di km da una stella simile al Sole, situata a 150 milioni di anni luce nella costellazione di Pegaso. Accadde il 7 Novembre 1999, quando Greg Henry (Università del Tennessee) riuscì a misurare con un fotometro sensibilissimo un calo della luminosità della stella centrale dell’ 1,7% che si ripeteva periodicamente ogni 3,5 giorni. Dal calo di luminosità che il pianeta produceva passando sopra la sua stella fu possibile definirne un diametro del 70% rispetto a Giove. Siccome già nel 1999 Geoff Marcy ne aveva determinato la massa dall’entità delle oscillazioni che il pianeta produceva sulla sua stella, fu facile risalire alla densità (massa/volume) che risultò molto bassa (0,37): Osiris quindi aveva una composizione completamente gassosa. A questo si aggiungeva una temperatura superficiale prossima a 1000°C (si ricordi che la distanza dalla stella centrale è di soli 6,7 milioni di km) . Come conseguenza di questa elevata temperatura l’ astrofisico francese Alfred Vidal-Madjar ha scoperto nel 2004, grazie al telescopio spaziale Hubble, che Osiris sta letteralmente evaporando, perdendo ogni secondo qualcosa come mezzo milione di tonnellate di idrogeno, ossigeno e Carbonio: Poi, il 21 Febbraio ’07 J. Richardson (NASA Goddard Space Flight Center), utilizzando il telescopio spaziale infrarosso SPITZER in maniera differenziale (leggi: sottrazione dello spettro infrarosso della stella da quello cumulativo di pianeta+stella) ha scoperto che nella rovente atmosfera di Osiris erano presenti le bande dei silicati a 9,65 microns. Ma J. Richarsdon non si accorse che nei pressi delle bande silicatiche c’era qualcosa di ancora più interessante. Si trattava di un assorbimento centrato attorno a 10 micron che mai nessun pianeta extrasolare aveva mostrato in precedenza. La disamina (molto complessa tecnicamente) di questo assorbimento ha permesso a Travis Barman (Lowell Observatory) di pubblicare sull’autorevole Astrophysical Journal Letters del 10 Aprile ’07 una scoperta assai rilevante: quella della possibile presenza di vapor d’acqua. Era la prima volta che dell’acqua veniva scoperta su un pianeta extrasolare anche se, considerando la torrida temperatura, Osiris non ha proprio nulla di affine con condizioni terrestri. Il telescopio spaziale SPITZER è riuscito a determinare (col metodo differenziale) la temperatura di altri due pianeti extrasolari in transito scoperti nel 2005. Il primo, denominato HD 189733b, ruota in 2,2 giorni a 4,8 milioni di km dalla sua stella, situata a 60 a.l. nella Volpetta (si tratta di uno dei pianeti transitanti a minor distanza). Su questo oggetto (HD189733b) di massa e dimensioni gioviane, un team guidato da H. Kuntson (Harvard) ha puntato il telescopio SPITZER per 33 h, realizzando 4 milioni di misure termiche in ogni punto dell’orbita. Si è visto che le temperature vanno dai 950°C diurni ai 650°C notturni e che il massimo di temperatura diurna si raggiunge su una macchia termica delle dimensioni della macchia Rossa di Giove, situata a 30° di Longitudine dal punto subsolare. Da qui la logica deduzione che su quel mondo lontanissimo devono spirare venti fortissimi, che raggiungono i 950 km/h: Il secondo, denominato HD149026b, ruota in 2,9 giorni a 6 milioni di km dalla sua stella, situata a a 256 a.l. in Ercole. Su questo oggetto di massa e dimensioni saturniane (90 masse terrestri), un team guidato da J. Hurrington (Univ. della Florida) ha puntato SPITZER il 24 Agosto 2005, misurando con la camera IRAC (Infrared Array Camera) la diminuzione dell’emissione a 8 micron nel momento in cui il pianeta passava dietro la stella. Ne è risultato il pianeta extrasolare più caldo finora conosciuto, con una temperatura vicina ai 2000°C. Un valore davvero esagerato, anche per un oggetto così vicino alla stella centrale. Da qui l’idea che la colpa risieda in una atmosfera resa scura ed assorbente da una anomala quantità di ossidi metallici (TiO2, VO, forse silicati) mandati in fase vapore dalle torride condizioni ambientali. Per completezza aggiungiamo che si conosce anche un pianeta transitante di massa nettuniana . Esso venne scoperto al Keck I col metodo spettroscopico nel 2004: ruota in 2,6 giorni attorno alla stella Gliese 436, una nana rossa distante 30 a.l. L’orbita altamente ellittica fa supporre la presenza di un secondo pianeta invisibile. Che Gliese 436b fosse pianeta transitante vicino al bordo della stella venne scoperto tramite osservazioni fotometriche condotte in Aprile ’07 dal belga M. Gillon (Univ. di Liegi) con il riflettore OFXB da 0,6 m in Svizzera e in Maggio ’07 col riflettore Eulero da 1,2 m di La Silla. Il transito diede la conferma che la massa di 22 masse terrestri dedotta dalle misure spettroscopiche era corretta, quindi che Gliese 436 b è un pianeta di massa nettuniana con densità di 2 g/cm3 (50% roccia +50% ghiaccio). Il metodo dei transiti, dunque, appare molto efficace e promettente. Unico difetto: la già accennata estrema rarità degli eventi, che solo per pianeti molto prossimi alla stella raggiunge a mala pena l’ 1% di probabilità. Quindi è indispensabile che il numero di stelle controllate sia sufficientemente alto (diciamo qualche migliaio) per avere la ragionevole certezza di incorrere in molti eventi favorevoli. Un concetto, questo, della estrema numerosità delle stelle da testare, che si sta rivelando vincente per tutti i programmi di ricerca di pianeti in transito, sia da Terra che dallo spazio. Microlenti planetarie. Per esempio, un primo enorme impulso al metodo dei transiti è venuto dal programma OGLE III (Optical Gravitational Lensing Experiment), che un folto gruppo guidato da A. Udalsky (Università di Varsavia) ha lanciato nel 2001 presso il telescopio cileno da 1,3 metri di Las Campanas. Lo scopo dichiarato era quello di monitorare con un sensibilissimo sistema fotometrico alcune decine di migliaia di stelle del centro galattico, per ricercare piccoli incrementi di luminosità dovuti all'effetto gravitazionale di reciproci transiti stellari (gravitational micro-lensing). Nel caso che l’oggetto che fa da lente (ad un astro molto lontano) sia una stella circondata da uno o più pianeti, è teoricamente possibile che all’effetto lente primario (ossia all’aumento gaussiano di luminosità che può durare anche molte settimane) si sovrappongano repentini massimi secondari (poche ore o pochi giorni) dovuti all’azione di un pianeta. Si tratta di una possibilità molto importante perché, durante un microlensing planetario, un eventuale pianeta è ben evidenziabile anche se la sua massa è di taglia terrestre: anzi, si tratta dell’UNICO metodo attualmente in grado di ‘vedere’ anche pianeti di massa terrestre. Il primo possibile esempio di un microlensing planetario fu davvero unico nel suo genere e, per questo, rimane tuttora molto controverso. A scoprirlo fu la cosiddetta collaborazione MACHO (Massive Astrophysical Compact Halo Objects), un team allestito nel 1991 da Kim Griest nell’ intento di percepire microlensings di oggetti galattici su qualcuna delle stelle della Grande Nube di Magellano. Denominato MACHO-97-BLG-41, il controverso evento venne colto da P.Bennet (Università dell'Indiana) il 19 Giugno 1997, al riflettore di 1,9 m del Monte Strombo. A far da lente su un oggetto lontanissimo fu una stella doppia (due componenti di classe K ed M separate da 1,8 u.a.) distante almeno 30.000 a.l.: quella notte, durante la fase ascendente iniziale di un evento di microlensing che avrebbe raggiunto il massimo il 15 luglio ’97, venne evidenziato un improvviso aumento secondario interpretabile con la presenza di un pianeta di 3 masse gioviane, orbitante a 7 u.a. dal baricentro della coppia. Se questa spiegazione è corretta, si tratterebbe del primo pianeta extrasolare scoperto attorno ad una stella binaria. Certo che la scoperta di un pianeta tramite microlensing gode di bassissima probabilità statistica (già un microlensing generico è molto raro, figurarsi un micro-lensing con pianeta!). Per questo si è cercato di fare di tutto per aumentare al massimo l’efficienza osservativa di questa tecnica. In sostanza oltre ad un numero di misure sempre maggiore (centinaia di migliaia tra centro galattico e Nubi di Magellano) si è aggiunta a MACHO e OGLE una capillare rete mondiale di siti osservativi che, nel caso della scoperta di un qualunque microlensing, ne riuscisse a seguire l’andamento senza interruzione dall’ inizio alla fine (in modo che non andassero perduti eventuali repentini segnali planetari). Il gruppo più organizzato è PLANET (Probing Lensing Anomalies NETwork) che dal 1995 utilizza, per 24 ore al giorno, una rete mondiale di telescopi di diametro attorno al metro: si va dal telescopio danese da 1,54 m di La Silla, ai Telescopio Canopus da 1 m di Hobart e da 0,6 metri di Perth, in Australia, ai telescopi sudafricani Boyden da 1,5 m e SAAO da 1m. A partire dal 2005 PLANET lavora assieme a RoboNET, una rete inglese di tre telescopi da 2m completamente robotizzati che l’ Università di Liverpool ha collocato a La Palma (nelle Canarie), a Maui (nelle Hawaii) e a Siding Spring (in Australia). Un’altra collaborazione è MOA (Microlensing Observations in Astrophysics) che, dal 1° Dicembre 2005 utilizza dalla Nuova Zelanda un telescopio da 1,8 m, situato sul Monte John. Inoltre c’ è microFUN (Microlensing Follow-up Network) che è il gruppo più numeroso in quanto costituito da una trentina di telescopi professionali e amatoriali da 0,25 a 2,5m distribuiti in ogni continente. Questo spiegamento di forze ha prodotto oltre 2000 casi di microlensing fino alla fine del 2005. Tra questi una cinquantina sufficientemente complessi e sospetti da meritare un approfondimento speciale. Si trattava, in generale di microlensing multipli, dovuti al fatto che le stelle che facevano da lenti erano doppie o multiple. Normalmente, però, i rapporti di massa tra queste componenti erano molto simili, in parole povere si trattava di stelle binarie e ternarie. Ma tra Giugno e Settembre 2003, un folto team di ricercatori dei gruppi OGLE e MOA (da qui il nome di BLG-235/M53), guidato da Ian Bond (Università di Edimburgo) seguì un evento multiplo di interesse assolutamente straordinario: il rapporto di massa tra la copia di oggetti che facevano da lente era almeno di 250 contro 1! Secondo quanto pubblicato dagli autori sul numero del 10 Maggio ‘04 di Astrophysical Journal Letters, il tutto iniziò nel Giugno 2003 quando la luminosità di una debole stella di classe G (m=20) situata a 24.000 anni luce di distanza in direzione del centro galattico (m=20) cominciò a salire per opera del transito di una nana rossa di classe M di 0,3 masse solari, situata a 17.000 anni luce nella costellazione del Sagittario. A sorpresa tra il 15 e il 20 Luglio ’03, quando si era ancora in fase di salita, si è osservato un improvviso e strettissimo raddoppio di luminosità, ripetutosi a distanza di 5 giorni: l'interpretazione più logica era quella della presenza (in orbita a 2.-3 u.a. dalla nana rossa) di un pianeta di 1-1,5 masse gioviane che, distorcendo ad anello la stella lontana, veniva poi evidenziato in doppio in corrispondenza del passaggio sulla linea visuale dei due bordi dell’anello stesso. Si trattava del secondo caso di un pianeta extrasolare scoperto mediante un effetto di micro-lensing gravitazionale e, comunque si trattava del PRIMO caso assolutamente indiscutibile. Ormai questa nuova affascinante tecnica di ricerca di pianeti extrasolari era diventata adulta e sono bastati pochi mesi perché arrivasse l’ annuncio della SECONDA scoperta sicura, presentata sul numero del 16 Novembre ’05 di Astrophysical Journal Letters da un foltissimo gruppo di ricercatori guidati da A. Udalsky (Università di Varsavia). L’evento di lensing planetario, denominato OGLE-2005-BLG-071, venne evidenziato tra il 19 e il 21 Aprile ’05 grazie ad una splendida collaborazione tra astronomi professionisti (OGLE, MOA, PLANET) e astrofili neozelandesi (microµFUN Collaboration). Fu l’equipe OGLE, col riflettore da 1,3 metri di Las Campanas a cogliere il 2 marzo ’05 l’inizio di un micro-lensing (su una lontanissima stella del centro galattico), da parte di una stellina di m=20 di circa 0,5 masse solari situata nel Sagittario, a circa 15.000 anni luce di distanza. Poco prima che la salita di luminosità della stella lontanissima raggiungesse il massimo, un subitaneo ulteriore aumento di magnitudine indicò la possibile esistenza di un pianeta (attorno alla stella-lente). Essendo i microlensing planetari molto brevi come durata, era a questo punto assolutamente indispensabile avere una copertura fotometrica COMPLETA, nelle ore immediatamente successive. Ebbene, questo è stato possibile grazie all’ intervento di due astrofili neozelandesi: Grant Christie di Auckland, che lavora con un Celestron 11 equipaggiato con una camera CCD Apogee AP8p, e Jennie McCormik di Pokurange, che utilizza un Meade 10 cui è applicata una camera CCD SBIG ST-7. Con queste strumentazioni per nulla eccezionali Grane e Jennie hanno realizzato sei ore continue di osservazioni fotometriche. Si è trattato di un contributo decisivo perché queste misure fotometriche hanno coperto la fase discendente di una perfetta doppia cuspide planetaria, esattamente sovrapposta al massimo del microlensing principale. I due componenti del doppietto planetario hanno evidenziato una durata di circa 24 ore ed una separazione reciproca di tre giorni: da qui la deduzione della presenza di un pianeta con massa approssimativa di 7/100 rispetto quella della stella-lente (diciamo di circa 3 masse gioviane), ad una distanza dalla stella centrale di almeno 3 u.a . Va aggiunto che il ruolo essenziale di due astrofili in una scoperta di simile portata è un insegnamento per tutti, nel senso che è evidente che lo studio dei fenomeni di microlensing o, se vogliamo, più in generale dei transiti, sta ormai diventando uno dei campi di punta non solo dei professionisti, ma anche degli astrofili più evoluti di questa generazione. Il TERZO caso accertato di microlensing planetario ha fatto parlare molto di sé. Presentato il 26 Gennaio ’06 su Nature, da un team di ben 73 autori di 12 nazioni (OGLE, MOA, MicroFUN, PLANET), è sicuramente quello più interessante. Tutto cominciò l’ 11 luglio 2005, quando gli scienziati di OGLE individuarono l’inizio di un evento di microlensing prodotto, su un astro del lontano centro galattico, da una stella nana di 0,22 masse solari distante 20.000 anni luce nella costellazione del Sagittario. (trattandosi del 390° evento relativo al centro galattico, ne è derivata la conseguente denominazione di OGLE-2005-BLG-390). L’ immediata allerta lanciata a tutti gli altri gruppi nel mondo, ha permesso di avere una copertura totale del fenomeno che ha raggiunto il massimo (luminosità triplicata) il 31 Luglio ’05 senza apparenti irregolarità. Ben diversa è stata invece la fase discendente. Il 9 Agosto ’05, quando l ‘intero microlensing stava quasi terminando, il telescopio danese da 1,54 m della coordinazione PLANET a La Silla ha percepito un improvviso aumento secondario di luce. Dodici ore dopo il picco secondario era arrivato al massimo, ma ormai si stava facendo alba su La Silla. Così il testimone è passato immediatamente al telescopio australiano di 0,6 m di Perth, che è riuscito a registrare la fine del fenomeno, definendone una durata complessiva di circa un giorno. Le deduzioni tratte da questi dati osservativi sono state di enorme interesse: si è infatti potuto concludere che attorno a quella stellina di 0,22 masse solari, ruota un pianeta di 5,5 masse terrestri ad una distanza media di 2,5 u.a.( circa 380 milioni di km). Un pianeta che, considerando sia la distanza che la piccola massa della stella centrale, dovrebbe avere una temperatura superficiale davvero gelida, dell’ ordine di - 220°C. Ma c’è da considerare che un pianeta di 5,5 masse terrestri deve avere anche una composizione terrestre (deve essere cioè un corpo roccioso e non certo gassoso). Di conseguenza al suo interno deve esserci una quantità notevole di calore geotermico primordiale, tanto notevole da rendere la sua superficie estremamente attiva dal punto di vista geologico. Così è possibile che su quel lontano pianeta la temperatura sia alla fin fine più che sopportabile, che il vulcanesimo riversi in superficie una densa atmosfera ricca di anidride carbonica e vapor d’acqua, che, addirittura, la crosta sia ricoperta da abbondanti depositi di acqua liquida. Con le conseguenze che è facile immaginare… L’ultimo caso di microlensing planetario, denominato OGLE 2006-BLG-109, è stato pubblicato sul numero del 15 Febbraio ’08 della rivista NATURE da un folto team di ricercatori guidati da S. Gaudi e si rifà a misure sincronizzate effettuate da12 Osservatori in tutto il mondo, tra il 28 Marzo ed il 6 Aprile 2006. La cosa interessante è che, per la prima volta, un microlensing ha permesso di scoprire due pianeti attorno ad una stella con massa di 0,5 masse solari: il primo, di tipo gioviano (0,71 masse gioviane) dista dalla stella centrale 2,3 u.a., il secondo, di tipo saturniano (0,27 masse gioviane) dista dalla stella centrale 4,6 u.a. Il metodo dei transiti diventa adulto. Ben presto, però, ci si accorse che lo studio dei microlensing planetari offriva una straordinario possibilità collaterale: quella di misurare piccolissimi (millesimi di magnitudine !) cali periodici di luminosità di qualche stella in conseguenza del transito su di essa di qualche pianeta. Nei primi due anni (2001-2002) il controllo di 155.000 stelle in direzione del centro galattico fornì 137 potenziali candidati. Siccome però sono molteplici le ragioni per cui la luminosità di una stella può variare, fu indispensabile cercare una conferma della presenza di pianeti col metodo spettroscopico dell'oscillazione Doppler della velocità radiale. La prima di queste conferme, molto importante dal punto di vista storico, venne annunciata da M.Konacki (Caltech) durante l’annuale convegno della AAS (Società Astronomica Americana), tenutosi a Seattle in Gennaio 2003: essa riguarda una stellina di m=15,3 situata nella costellazione del Sagittario a 5000 a.l. di distanza. Denominata OGLE-TR-56, questa stellina ha mostrato un calo periodico (1,2 giorni) di luminosità di circa 0,015 magnitudini e una oscillazione della velocità radiale di 160 m\s (Keck II, luglio 2002). Da qui la deduzione della presenza di un pianeta caldissimo (1500°C), di massa gioviana (ma densità di soli 0,5 gr/cm3), in orbita circolare a soli 3,5 milioni di km dalla stella. Due altre conferme, relative alle stelle OGLETR-113 e OGLE-TR-132, sono arrivate nel marzo 2004 grazie a misure di velocità radiale effettuate con lo spettrometro FRAMES collegato ad uno dei quattro telescopi da 8,2 metro dell'ESO sul Cerro Paranal (il VLT-Kueyen). OGLE-TR-113 è una stella di tipo F situata a 6000 a.l.: a 3,4 milioni di km di distanza, c'è un pianeta di 1,4 masse gioviane, che rivoluziona con periodo di 1,43 giorni. OGLE-TR-132 è una stella di classe K situata a 1200 a.l.: a 4,6 milioni di km c'è un pianeta della massa di Giove, che rivoluziona con periodo di 1,69 giorni. Si tratta, assieme al caso di OGL-TR-56, dei primi tre pianeti di nuovo tipo, caratterizzati da un periodo di rivoluzione non superiore a 3 giorni, quindi assai vicini alla stella centrale (e per questo definiti 'Giovi caldissimi', ovvero USPP, Ultra –Short Period Planet)). In Agosto e in Ottobre 2004 è venuta, da parte del team di M. Mayor, la conferma Doppler dell'esistenza di un Giove caldissimo anche attorno a ciascuna delle due stelle di tipo solare OGLE 10 e OGLE 111, entrambe situate a 4900 a.l. di distanza. Un altro esempio molto interessante ed innovativo è il cosiddetto progetto SWEEPS (Sagittarius Window Eclipsing Extrasolar Planet Search) cui si è dedicato lo Space Telescope (HST) dal 22 al 29 Febbraio 2004. In sostanza un team guidato da Koilash Sahu ha utilizzato la camera ACS a bordo di HST per riprendere 520 immagini in un campo di 4° vicino al Centro galattico, popolato da 245.000 stelle, distanti fino a 26.000 a.l. Oltre a 180 binarie ad eclisse, HST ha scoperto 16 possibili pianeti in transito con periodi compresi tra 0,4 e 4 giorni, quindi con distanze che vanno da 7 a meno di 1 milione di km (!). Solo due di questi eventi hanno avuto una conferma indipendente per via spettroscopica (oscillazione radiale delle linee spettrali) da parte del VLT nel Giugno 2004: le masse dei rispettivi pianeti sono risultate di 3,8 e 9,7 m gioviane: Per gli altri 14 candidati non è stato possibile ottenere spettri di conferma a causa della debolezza delle stelle coinvolte (16-19m). E’ comunque interessante ricordare che 5 di questi potenziali pianeti sono del tipo USPP (Ultra Short Period Planet) avendo periodo <1,2 giorni. Il che significa che, per non disgregarsi od essere demoliti dalla loro stella, devono ruotare attorno a nane rosse, ed avere una massa di almeno 1,6 volte quella gioviana. Un’altra peculiarità del metodo dei transiti è che, per esso, non necessitano grossi telescopi ma bastano anche gli strumenti di 10-20 cm di diametro che, ormai, sono a disposizione di moltissimi astrofili. La dimostrazione è il successo del cosiddetto programma TrES (Trans-atlantic Exoplanet Survey) una rete iniziale di tre piccoli riflettori da 10 cm organizzata nel 2004 presso Monte Palomar (Telescopio Sleuth), presso il Lowell Observatory (PSST= Planet Search Survey Telescope) e a La Palma, nelle Canarie (STARE= Stellar Astrophysics and Reserch on Exoplanets). Il primo ‘centro’ di TrES, denominato TrES-1, è stato annunciato nell’estate 2004: si tratta di un pianeta grande come Giove ma con massa circa dimezzata (0,6 mG), orbitante in 3,03 giorni a 6 milioni di km dalla stella GSC 02652-01324, situata a 512 a.l. nella Lira. L’importante conferma che il calo periodico di luce della stella era veramente causato da un pianeta in transito è venuto da misure di velocità radiale effettuate al Keck II (Hawaii) nell’ Agosto 2004. Poi, il 22 maggio ’05, TrES-1 è stato oggetto della prima determinazione di una temperatura superficiale, risultata nel caso specifico di 850°C: merito del telescopio spaziale infrarosso SPITZER, che ha sottratto l’emissione infrarossa della sola stella (con il pianeta eclissato) dall’emissione della stella+pianeta fuori eclisse. A TrES-1 è seguito, nel Settembre 2006, TrES-2, un pianeta di 1,28 masse gioviane, orbitante in 2,5 giorni attorno alla stella GSC03549-02811 di m=11,4 situata a 500 a.l. nel Sagittario (entro il campo che verrà esplorato dalla sonda Kepler il prossimo anno). E’ del Settembre ’06 la scoperta di TrES-3, un oggetto che determina, ogni 1,3 giorni (un record!) un calo periodico del 2,5% nella luminosità della stella GSC 03089-00929 situata a 800 a.l. in Ercole. La conferma che trattasi davvero di un pianeta è stata ottenuta il 27 Marzo ’07 da misure spettroscopiche al Keck 1: la massa è risultata di 1,92 masse gioviane e la distanza dalla stella di soli 3,4 milioni di km, il che implica una temperatura superficiale di almeno 1250°C. Infine risale all’ Agosto ’07 l’annuncio della scoperta di TrES-4, il pianeta extrasolare più ‘voluminoso’ (1,7 diametri gioviani) ma anche il più ‘leggero’ conosciuto (densità di solo 0,2 g/cm3 !). Esso ruota in 3,5 giorni a 7,4 milioni di km dalla stella GSC02620-00648, una sub-gigante dell’età del Sole situata a ben 1400 a.l. nella costellazione di Ercole. E’ estremamente interessante aggiungere che la buona visibilità dei quattro pianeti TrES dall’emisfero boreale estivo ed il fatto che alcuni transitano sul disco della loro stella in posizione prossima al bordo, creando delle eclissi molto veloci (per esempio, il transito di TrES-2 dura solo 1h23m) ne ha permesso l’osservazione fotometrica anche da parte di astrofili di mezzo mondo. Eccezionali, in particolare, le curve di luce ottenute da molti astrofili italiani tra Luglio e Settembre ’07, sotto la guida professionale di Mauro Barbieri (Univ. di Marsiglia). Un’altra prolifica rete di piccoli telescopi è la collaborazione HAT (Hungarian Automated Telescope) costituita da 6 riflettori robotizzati da 11 cm dello Smithsonian Center for Astrophysics, 4 situati presso il Whipple Observatory e due alle Hawaii. Il primo ‘centro’ di HAT è stato annunciato nel Settembre 2006. Denominato HAT-P-1, si tratta di un pianeta 1,38 volte più grande di Giove ma di metà massa (quindi con una densità di soli 0,25 g/cm3). I transiti durano in media un paio d’ore e producono un calo dell’ 1,5% della luce della stella centrale. La cosa interessante (ed in un certo senso sorprendente) è il fatto che il pianeta ruota, ogni 4,5 giorni, a 7,5 milioni di km da uno dei due componenti di un sistema stellare DOPPIO (ADS 16402) situato a 450 a.l. nella Lacerta. Nel maggio 2007 la rete HAT ha annunciato il pianeta transitante più massiccio fino ad allora conosciuto (8 masse gioviane da misure di oscillazione radiale fatte al Keck I). Denominato HAT-P-2, ruota attorno alla stella HD 147506 di m=8,7 (età di 3 miliardi di anni, situata a 440 a.l. nella costellazione di Ercole), con un periodo di 5,63 giorni (il maggiore per un pianeta transitante). Causa una elevata ellitticità dell’orbita (e=0,5!) la sua distanza dalla stella centrale va da 5 a 15 milioni di km. Una cosa molto strana se si pensa che le forze di marea della stella centrale avrebbero dovuto circolarizzarlo da un pezzo. Da qui l’idea che sia un secondo pianeta a rendere stabile l’ellitticità orbitale di HAT-P-2. Risale infine al Luglio ’07 l’annuncio di HAT-P-3, uno dei pianeti transitanti di diametro minore (90% di Giove), di 0,6 masse gioviane e d=1,06 (secondo misure di oscillazione radiale effettuate al Keck in Giugno ’07). Esso orbita in 2,6 giorni a 6 milioni di km dalla stella GSC 03466-00819, una nana K di m=11,56, situata a 140 a.l. di distanza. Ricordiamo infine 15 transiti scoperti fino alla fine del 2007 dalla collaborazione WAPS (Wide Angle Search of Planets) una rete inglese di 8 teleobiettivi da 200 mm posizionati per metà alle Canarie e per metà in Sud Africa) e tre transiti scoperti tra Giugno 2005 e Agosto 2007 dal sistema XO (un doppio teleobiettivo da 200 mm alle Hawaii + varie collaborazioni di astrofili). Il progetto XO (il nome XO deriva da eXOplanet) nacque nel 2003, quando Peter Mc Cullough (Space Telescope Science Institute) allestì sul vulcano Haleakala nell’ isola di Maui (Hawaii) una coppia di teleobiettivi da 200 mm , il cui campo relativamente grande permise di monitorare in due anni migliaia di stelle in cerca di possibili transiti. L’idea vincente di McCullough fu quella di affidare ad una estesa rete mondiale di osservatori professionisti e dilettanti (il cosiddetto E.T.= Extended Team) il controllo fotometrico dei candidati più promettenti. La prima di queste stelle, denominata GSC 02041-01657 e situata a 750 a.l. nella Corona Boreale, fu seguita da Maggio a Settembre 2004 dal già accennato WASP (Wide Angle Search for Planets): vennero colti ben 11 transiti che permisero di attribuire al pianeta responsabile (denominato XO-1b) una dimensione di 1,3 diametri gioviani. Da Giugno a Luglio 2005 XO-1b venne accuratamente seguito anche dal Team ET (allora composto da tre osservatori europei ed uno americano): oltre alla conferma del diametro, ne uscì una misura molto precisa del periodo di rivoluzione ( 3,03 giorni da una distanza di circa 7,5 milioni di km). Misure Doppler di oscillazione della velocità radiale condotte subito dopo con lo Spettrografo ad alta risoluzione HRS del telescopio HET da 11 metri del Mc Donald Observatory determinarono una massa del pianeta orbitante di 0,9 masse gioviane: tenendo presente il diametro, ne risulta una densità di soli 0,54 g/cm3, ovvero una consistenza fondamentalmente gassosa. Il proseguo dell’ attività del progetto XO, che ha portato alla scoperta originale di altri due pianeti transitanti (OX-2b e OX-3b), è molto interessante perché ha coinvolto pesantemente anche gli italiani Franco Mallia (Oss. di Campo Catino) e G. Masi (Virtual Telescope Project) che, nel frattempo, erano entrati a far parte del Team ET assieme ad un’altra ventina componenti. Entrambi questi due nuovi pianeti sono stati annunciati alla fine di Maggio ‘07 ad Honululu, durante l’annuale Congresso dell’ AAS (American Astronomica Society). La candidatura di XO-2b come pianeta transitante è stata confermata dal team ET nel Gennaio 2007: si tratta di un pianeta grande come Giove e ruotante in 2,6 giorni a 6 milioni di km dalla componente Nord della stella doppia GSC 34130-0005, situata a 560 a.l. nella costellazione della Lince. Misure di velocità radiale effettuate al telescopio HET hanno determinato una massa di 0,6 masse gioviane. Ancora più interessante il caso di XO-3b, scoperto transitare davanti ad una stella di 10° m della costellazione della Giraffa in un’orbita molto ellittica (e=0,2) percorsa in 3,19 giorni. La grande peculiarità di XO-3b è la sua massa che, determinata come sempre per via spettroscopica, risulta essere di ben 12 masse gioviane, quindi la maggiore tra tutti i pianeti transitanti finora scoperti. Siccome il confine tra pianeta e nana bruna (ossia il limite di massa minima perché in un oggetto gassoso si inneschino le reazioni di fusione nucleare) si colloca a 13 Masse gioviane, è evidente che il sospetto che XO-3b sia in realtà una nana bruna (quindi che sia nato con la stella primaria e NON da un suo anello di gas e di polvere) è forte. Sospetto che l’orbita estremamente ellittica tende ad aggravare. In totale, dunque, erano 26 i pianeti extrasolari transitanti scoperti alla metà del 2007. Sicuramente la ‘punta dell’iceberg’ di quello che ci attende nei prossimi anni, quando il metodo dei transiti diventerà operativo nello spazio, con satelliti dedicati che scruteranno decine di migliaia di stelle. Il primo di questi satelliti è il francese COROT, che lanciato in orbita polare di 900 km il 27 Dicembre ’06, ha scoperto il suo primo pianeta in transito il 3 Maggio ’07 (1,3 masse gioviane in orbita con periodo di 1,5 giorni attorno a stella solare situata a 15.000 a.l. in Monoceros). In attesa che, nel Novembre 2008, venga lanciato dalla NASA KEPLER (la 10° missione del programma Discovery) che in 4 anni scruterà fotometricamente, con una precisione 100 volte migliore dei migliori fotometri terrestri, qualcosa come 250.000 stelle del centro galattico in una regione di cielo centrata a AR=19h45m e Decl.=+35° (quindi situata tra le costellazioni del Cigno e della Lira). Circa 100.000 di queste stelle sono di sequenza principale e su quelle di m<14 il fotometro di KEPLER farà un accurato controllo per almeno 4 anni. La luce verrà raccolta da un telescopio speciale, dotato di uno specchio di 1,4 metri e di un correttore ottico di 0,95m, in grado di inquadrare contemporaneamente un campo di ben 12° di diametro ! Telescopio+fotometro lavoreranno nello spazio su un'orbita eliocentrica di 372 giorni a partire dal 2009: da questa posizione privilegiata la sensibilità raggiungerà il fantastico valore di 1 parte su 100.000 (quindi 10 volte migliore di quella necessaria per osservare transiti di pianeti come la Terra). Come dire che l’era dei pianeti transitanti è attesa da un futuro pieno di novità e di sorprese.