Diritto e Diritti nel pensiero filosofico e giuridico di Rosmini

Anno LXIII – N. 2 Aprile/Giugno 2010
Diritto e Diritti nel pensiero filosofico e
giuridico di Rosmini
FRANCESCO COCCOPALMERIO1
SOMMARIO 1. Premessa. - 2. L’ontologia. - 3. La persona. - 4. Il diritto. - 5. I diritti umani e la loro fondazione per negationem.
1.
Premessa.
I due capisaldi rosminiani della persona e del diritto
costituiscono un tema tanto fondamentale quanto attuale.
La nostra è una società caratterizzata da un diritto “debole”, perché diritto delle regole e non dei valori, trasformati in desideri e opinioni, e dalle molte ombre sui titoli
spettanti alla persona. Oggi più che mai è pressante
l’esigenza di fondare diritto e giustizia su basi oggettive e
condivise, e molti invocano chiarezza e coerenza in una
materia così delicata che investe il consorzio familiare e
globale, carente di riferimenti stabili e sicuri ed “ingovernabile”. Non meraviglia dunque che la concezione rosminiana del diritto e della giustizia, inscindibilmente legata
alla persona, abbia affascinato eminenti studiosi, da Carlo
Gray a Giuseppe Capograssi, da Felice Battaglia a Pietro Piovani, da Sergio Cotta a Francesco Mercadante. Recentemente, in significativa continuità con i loro studi di grande rilievo, Mario Cioffi ha
criticamente esaminato e ricostruito la nozione di diritto e persona, mettendo in fondamentale e
concreta evidenza la sostanza del basilare principio rosminiano della persona come il “diritto sussistente” e dunque inviolabile, con l’intangibilità della vita umana in ogni sua forma2.
1.
Nato a San Giuliano Milanese, arcidiocesi di Milano, il 6 marzo 1938; ordinato presbitero il 28 giugno 1962; eletto
alla Chiesa titolare di Celiana e nominato ausiliare di Milano l’8 aprile 1993; ordinato vescovo il 22 maggio 1993;
promosso arcivescovo e nominato Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, diviene già ausiliare di
Milano il 15 febbraio 2007. Attuali Incarichi: Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Membro del
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Membro del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei
Cristiani.
2.
M. CIOFFI, Persona e diritto in Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 2005. Il contributo del Cioffi al progresso degli studi rosminiani è stato autorevolmente riconosciuto e messo in risalto da Pier Paolo Ottonello nella prefazione al volume: « Tanto più significativa è questa feconda continuità sia in quanto conferma eccellente, nel suo alto livello, della singolare ed eloquentissima realtà che ha caratterizzato gli studi propriamente tali - non polemici
1
2.
L’ontologia.
L’ontologia di Rosmini, caratterizzata dalla legge del sintesismo delle tre forme dell’essere, ideale,
reale e morale, significa implicanza di dialettica, comunicazione e compresenza, ossia concretezza e
relazionalità. Le tre forme, che dell’essere costituiscono l’organismo ontologico, rappresentano la
prima e fondamentale distinzione che la mente umana nota nell’essere, nel quale la trinità delle
forme è unità non solo logica, ma anche ontologica: all’essere ideale è necessario l’essere reale, il
soggetto personale.
Il Roveretano risolve l’antinomia tra l’uno e i molti, che è il problema fondamentale della metafisica, affermando che entrambi sono condizioni necessarie all’essere, uno quanto all’essenza, ma al
contempo molteplice con le possibili determinazioni dell’essere unico. Poiché l’essere ideale intuito
per natura è indeterminato, ma ha la possibilità di assumere qualsiasi determinazione, Rosmini
supera il dualismo essere-idea o essere-pensiero con un movimento dialettico per il quale l’unicità
fonda le tre categorie o modi dell’essere unico: all’essere ideale, colto dall’intelletto, all’essere reale,
colto dall’esperienza sensibile, egli aggiunge l’essere morale, che è bene in quanto amabile e libera
volontà o amore, necessario per passare dal pensabile o possibile all’atto o all’attuato. La moralità
oltrepassa l’idea e il sentimento, non è riducibile all’oggettività o alla soggettività, pur implicando
e legando insieme le altre due forme dell’essere.
Anche l’ente finito intelligente, l’uomo, in quanto ente o essere col suo termine, è uno nell'essenza e trino nelle forme, che costituiscono la persona nella sua essenza, potenza e sviluppo dinamico. Tranne l’illimitatezza e le relative qualità, tutto ciò che è nell’ente infinito è anche nell’ente
finito, e quest’ultimo, un «reale che ha l’essere», è costituito, per la legge del sintesismo, dai tre termini che sono le forme dell’essere. Per Rosmini la fondazione dell’ente intelligente finito è di interesse primario e così, anteponendo il problema ontologico e metafisico a quello gnoseologico, appronta un’antropologia radicata nell’essere triadico. Anche egli parte dal tanto dibattuto problema
della conoscenza umana, che per lui non si esaurisce nella gnoseologia, ma è mezzo e via ontologica al pensare in grande, all’essere in tutta la sua estensione. La persona, punto di incontro di gnoseologia e ontologia e partecipe dell’assoluto valore dell’essere, ha dignità metafisica e tende ad
uscire dalla propria soggettività, essendo naturalmente orientata alla verità presente nell’essere,
pur non riuscendo ad esaurirla.
L’abate roveretano era persuaso che i suoi contemporanei, imbevuti delle teorie di Kant ed Hegel che facevano dell’uomo un Dio, e delle filosofie sensistiche e materialistiche che lo riducevano
ad un bruto, non fossero più interessati ad una filosofia cattolica ferma a san Tommaso. Per combattere gli errori della filosofia moderna, egli recupera, rinnova e valorizza la tradizione patristica
ed italica dell’interiorità oggettiva, aggiornandola col meglio del pensiero moderno, ed elabora un
vasto progetto culturale capace di mettere in contatto gli uomini e la loro storia con l’annuncio evangelico.
Mediando tra la filosofia antica, di cui autentica le basi oggettive, e la moderna, di cui assicura i
valori prospettandoli alla luce degli eterni principi, Rosmini restaura la filosofia cristiana lungo la
via maestra dell’agostiniano ordo amoris e del tommasiano bonum commune, affermando il primato
dell’essere sul conoscere, di Dio sull’uomo, della morale oggettiva sul soggettivismo e relativismo,
né apologetici - sull’opera del “Prete roveretano”; sia in quanto tale continuità rispecchia quella che ha caratterizzato l’intera opera di Rosmini, nata cresciuta culminata entro il fuoco rigenerante del problema dell’ordine e della
giustizia, giuridico e caritativo. Questo volume contribuisce ad integrare chiarezza e coerenza di principi in ordine
a tali problemi cardinali». Del Cioffi si veda pure Rosmini filosofo di frontiera, Città di Vita, Firenze 2001, relativamente al quale lo stesso Ottonello, nella citata prefazione, attesta che l’autore «ha offerto della figura di Rosmini
una presentazione meritatamente fortunata, per efficace comunicatività e capacità insieme di sintesi e di ampiezza
d’orizzonte».
2
della persona e del diritto sulla società e sullo Stato. Componendo la frattura tra modernità e tradizione, fede e ragione, egli restituisce identità e dignità alla filosofia e con essa alla persona e al diritto, da lui collocati alla massima altezza, nonché alla politica come scienza fondata sulla giustizia.
3.
La persona.
Il concetto rosminiano di persona rappresenta l’esito più rilevante della lunga storia filosofica,
intrecciatasi alla vicenda semantica della parola (prósopon, persona, ipostasi): dalla nozione fittizia e
ludica di Greci e Romani alla persona non più metaforica, ma soggetto sostanziale sussistente, individuale ed individuata, della Patristica. Poiché ad ogni principio corrisponde un termine e ad
ogni facoltà attiva una passiva, Rosmini distingue la persona, ente principio, dall’individuo, ente
termine. L’individuo è «una sostanza in quanto è una, indivisibile, incomunicabile, ed ha tutto ciò
che si richiede per sussistere»3. La persona è «un individuo sostanziale intelligente, in quanto contiene un principio attivo, supremo, ed incomunicabile»4. Dalla definizione emerge l’aspetto ontologico: la persona non è meramente una sostanza, né meramente una relazione, ma una relazione
sostanziale quale si trova nell’ordine dell’essere: «Tanto la parola soggetto, quanto la parola persona
esprime l’ordine intrinseco dell’essere in un individuo senziente, e però ha per base una relazione
fra il principio intrinseco (onde dipende la sussistenza dell’individuo, e onde muove tutta la sua
attività), e tutto il resto che è nell’individuo stesso, e che viene da quel principio sostenuto ed attivato»5.
Persona e natura umana non coincidono: la prima è il più nobile ed elevato dei principi attivi, la
seconda è l’insieme di tutte le attività o potenze che formano un individuo. Tutto ciò che nell’uomo
non costituisce il principio supremo delle sue operazioni non costituisce la persona, ma fa parte
della natura umana. La persona è il fine di tutte le cose impersonali, il fine concreto dell’universo,
secondo il rosminiano “principio di persona”: «Tutto ciò che è, ma non è persona, non può stare
senza che ci sia una persona»6. Metafisicamente questo basilare principio esprime una vera e propria dimensione cosmica della persona, secondo l’ordine intrinseco e razionale dell’essere: tutto è
contenuto nella persona, che è il “contenente massimo” del mondo e «la potenza di affermare tutto
l’essere»7. Unica e irripetibile nella sua singolarità, essa è il centro ontologico dell’universo che,
pertanto, assume significato e gravitazione morale.
Rosmini anticipa Treilhard de Chardin con questa sua concezione della persona come centro
dell’Universo.
Anche la persona è dominata dalla legge del “sintesismo”, che vale ovunque sia essere. L’uomo
«è un soggetto animale dotato dell’intuizione dell’essere ideale-indeterminato, e della percezione
del sentimento fondamentale-corporeo»8. L’essere ideale, lume naturale della ragione, punto di
partenza del “sistema della verità” e parte oggettiva della conoscenza, da un lato, e il sentimento
fondamentale, parte soggettiva, dall’altro, danno vita all’attività dello spirito, in cui soggettività e
oggettività si fondono senza confondersi.
L’innata idea dell’essere, “il primo logico o ideologico” distinto dal “primo teosofico o ontologico” che è l’essere sussistente infinito, cioè Dio, è la forma oggettiva dello spirito, il quale non fa al3.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, a cura di F. Evain, Città Nuova, Roma 1981, p. 427.
4.
Ivi, p. 460.
5.
Ivi. Sintesisticamente la persona è «una relazione sussistente, il che involge una connessione essenziale» tra il principio
personale come volontà ed il lume della ragione (A. ROSMINI, Teosofia, riduzione organica a cura di M. A. Raschini,
Marzorati, Milano 1967, voll. 2, p. 352).
6.
A. ROSMINI, Logica, a cura di V. Sala, Città Nuova, Roma 1984, n. 362.
7.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, a cura di R. Orecchia, Cedam, Padova 1967, p. 66.
8.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, cit., p. 40.
3
tro che ricevere il lume che lo rende intelligente. L’essere ideale, con le sue qualità di universalità
ed eternità, è immanente al soggetto, ma per la sua oggettività lo trascende. Esso fa dell’uomo una
certa immagine di Dio, presente in lui naturalmente per quel “divino” che lo rende intelligente e lo
ordina all’essere assoluto. Per l’essere ideale, lume di tutte le creature intelligenti, l’uomo può aprirsi all’infinito, e la limitazione del soggetto di fronte all’oggetto apre la strada alla metafisica e
alla trascendenza. «Nel problema ideologico - rileva Cioffi - sono così già presenti il problema morale e quello metafisico dell’uomo»9.
Anche il sentimento fondamentale, nel quale Rosmini identifica la forma categorica della realtà,
oltre che immanenza o identità di soggetto umano e corporeità, è trascendenza rispetto al corpo ed
ha, come l’idea, significato non più funzionale ma ontologico. La congiunzione tra anima e corpo
costituisce la vita dell’uomo: l’anima sente continuamente il proprio corpo, e il sentimento che ne
deriva è chiamato dal nostro filosofo “fondamentale”, in quanto sentimento primo, origine e base
di tutti i successivi: «Nel nostro fondamental sentimento esistono tutte queste potenze avanti le loro operazioni, cioè il sentimento di me col mio corpo (sensitività), e l’intelletto. Questo sentimento
intimo, e perfettamente uno, unisce la sensitività e l’intelletto. Egli ha altresì un’attività, quasi direi,
una vista spirituale (razionalità), colla quale ne vede il rapporto: questa funzione costituisce la sintesi primitiva. Se noi consideriamo l’attività nascente dall’unità intima del sentimento fondamentale, in quanto cioè l’Io è atto a vedere i rapporti in generale, ella è la ragione, e la sintesi primitiva diventa la prima funzione della ragione»10. Perché ci sia l’uomo è necessario che avvenga la sintesi
primitiva, che è conoscitiva ed ontologica insieme: «Questa percezione primitiva e fondamentale di
tutto il sentimento (principio e termine) è il talamo dove il reale (sentimento animale-spirituale) e
l’essenza che s’intuisce nell’idea formano una cosa; e questa cosa sola è l’uomo»11.
L’essere ideale oggettivo, intuito dall’intelletto, ed il sentimento fondamentale, cui dà vita l'unione tra anima e corpo, sono i fondamenti di tutto l’uomo naturale, ente sensitivo ed intellettivo
che, da un lato, tende come a suo termine intelligibile all’essere ideale, dall’altro si porta verso il
reale come a suo termine sensibile. La ragione poi, l’atto col quale l’essere oggettivo viene applicato al soggetto umano, ha la facoltà di unire l’ideale ed il reale, l’essere e il sentimento, in modo da
formare un’unica realtà, l’uomo. Solo l’uomo è “io” ed è persona, la quale è «l’essenza umana individua e sussistente, la quale ha l’intelligenza essenziale, cioè l’intuito dell’essere, e che è dunque
atto, e poi l’intelligenza come potenza colla quale applica l’essere e conosce l’altre cose»12.
Il sentimento fondamentale, originario e indeducibile, entra nella costituzione dell’uomo perché, come puro sentimento, può terminare soltanto in un corpo; ma, illuminato dalla presenza dell'idea, si innalza a spirito e diviene sentimento di sé come soggetto spirituale incarnato, diviene anima, cioè «sentimento originario, e stabile, principio unico e unico soggetto di tutti gli altri sentimenti, e di tutte le operazioni umane»13.
Rosmini concilia l’intelletto e il senso: nell’uomo il principio sensitivo rappresenta l’animalità,
ed ha come termine la materia estesa, soggetta alla morte; il principio intellettivo, che rappresenta
l’anima, ha per termine l’essere ideale infinito, ed è immortale come il suo termine. L’essere è per
se stesso manifesto alla mente, il sentimento è sperimentato direttamente dal soggetto attraverso i
9.
M. CIOFFI, Rosmini filosofo di frontiera, cit., p. 33.
10.
A. ROSMINI, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, Bertolotti, Intra 1875-1876, voll. 2, ed. VI, vol. II, p. 293 s.
11.
A. ROSMINI, Psicologia, a cura di V. Sala, Città Nuova, Roma 1988-1989, n. 264. Rosmini intende il reale, che ha natura di principio rispetto ai propri atti, nel significato proprio della dottrina del sintesismo, come il principio della
soggettività o della sussistenza, cui ineriscono la forma ideale e quella reale dell’essere.
12.
A. ROSMINI, Teosofia, cit., p. 190.
13.
A. ROSMINI, Psicologia, cit., n. 129. Per Rosmini «l’anima è il principio del sentire e dell’intendere» (Ivi, n. 432), e più
precisamente «il principio d’un sentimento sostanziale-attivo che ha per suo termine lo spazio ed un corpo» (Ivi, n.
50).
4
sensi: il primo, forma della conoscenza, rende l’uomo intelligente col semplice manifestarsi, il secondo ne costituisce la materia, anzi la materia essenziale. Affermando la centralità della persona
con la sua svolta antropologica14, Rosmini si distingue dalle istanze di un umanesimo storicistico,
che ignora la natura, e da quelle materialistiche, in cui annegano la filosofia e l’uomo come essere
pensante.
Il Roveretano riassume mirabilmente tutta la problematica dell’uomo e della persona: «I molteplici elementi, di cui risulta l’umana natura, formano insieme una perfetta unità. Tutto è connesso
nell’uomo, tutto tendente ad un solo fine. La materia è investita dal sentimento animale, che tende
a dominarla pienamente. Nel sentimento s’inizia e procede e s’acchiude l’istinto: l’unità dell’istinto
costituisce l’individuo. Ma sopra l’animal sentimento sorge un principio maggiore, intuente l'essere ideale, destinato a dominare per intero il sentimento medesimo. Questo principio soggettivo si
manifesta sotto le forme di ragione e di volontà: così esiste la persona, che esprime la primazia di
tutte le attività razionali. Egli è dominato a sua volta da delle leggi ideologiche e fisiche, le quali
sortono dall’ordine intrinseco dell’essere ideale e dell’essere reale. Le leggi che emanano dall'essere
reale tengono una determinata relazione colle leggi che emanano dall’essere ideale, e di qui la moralità. La persona in virtù di questo rapporto diviene morale, entra nella sfera di quelle cose che
partecipano dell’infinito, che acquistano un infinito prezzo»15.
La persona umana, dotata di libertà e di volontà intelligente, è l’ente più elevato del mondo finito, il solo ente reale al quale è comunicato l’essere ideale, il lume che lo costituisce intelligente. Solo
nella persona c’è compresenza delle tre forme dell’essere, solo essa è capace di esistenza propria: la
persona è reale, intuisce l’ideale e tende incessantemente alla pienezza morale. La teoria rosminiana dell’insessione reciproca delle forme dell’essere trova una concreta applicazione nell’uomo, il
quale conosce se stesso perché è il solo essere in natura capace di sintesi compiuta delle tre forme
categoriche.
La tendenza al sentimento essenzialmente piacevole, a cui tende, come “atto maggiore possibile”, il principio reale che è il soggetto uomo, se viene ordinata all’amore dell’essere, si fa morale
per partecipazione. Altrimenti, la tendenza sentimentale che porta l’uomo a “sentire” il più possibile non riveste natura morale, ma appartiene solo alla realtà. Intellettiva e volitiva ad un tempo, la
persona raggiunge il suo fine, l’essere e Dio, attraverso l’agire che procede dalla libera volontà.
Prima che la volontà si determini, non c’è il bene, c’è la verità. Tutto ciò che è vero per l’intelletto è
bene per la volontà, e nella volontà amorosa, che segna il passaggio dall’essere al dover essere, la
persona compie un triplice movimento: esce da sé per amare, si svuota di sé per lasciarsi amare, si
mette in comunicazione accogliendo le differenze. Osserva il Cioffi: «Ciò che è reale ed intelligibile
è anche essenzialmente amabile per opera della beneficenza divina, e nell’integrazione sintesistica
dell’intelligenza dell’essere nell’amore dell’essere, che avviene nell’atto morale, la persona acquista
l’impronta del valore»16.
Ogni persona è inscritta nell’essere, al di fuori del quale è il nulla, e solo nell’orizzonte dell'essere si disegna il suo destino e si compie la sua vocazione. Scrive Rosmini: «Quando l’uomo intuisce
l’essere ideale, dicesi partecipe della verità; quando egli prende l’essere ideale per norma dei suoi sentimenti e delle sue azioni, in quanto da sé dipendono, egli dicesi fornito di virtù; in quanto poi,
condotto dalla norma dell’essere ideale preso nella sua universalità, egli giunge ad amare e a gode-
14.
«La scuola teologica partì dalla meditazione di Dio: io partii semplicemente dalla meditazione dell’uomo, e mi trovai nondimeno pervenuto alle conclusioni medesime» (A. ROSMINI, Il rinnovamento della filosofia in Italia, a cura di D.
Morando, Bocca, Milano 1941, p. 211).
15.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, cit.. p. 488 s.
16.
M. CIOFFI, Persona diritto e politica, nel volume Le ali del pensiero: Rosmini e oltre, Casa Editrice Mazziana, Verona
2009, p. 97.
5
re della pienezza dell’essere, egli dicesi beato. Verità, virtù, beatitudine sono adunque i tre termini
dell’umana persona, ed i fonti purissimi, da cui a lei scaturisce la sua eccellenza, la sua dignità e la
sua supremazia. Di qui si ricava chiaramente, che ogni attentato volto a spogliare l’uomo della verità, o della virtù, o della felicità, è una lesione del diritto formale che è la persona»17.
La persona è essenzialmente morale, ed essendo l’essere morale essenzialmente libertà, anche
l’atto volontario d’amore costituente la persona finita è esso stesso libertà essenziale, definita da
Rosmini «il culmine dello spirito umano, la più sublime delle facoltà soggettive»18. La libertà si identifica con la persona, la quale, creata libera, è così eccellente che «non può sottomettersi a nulla,
fuorché alla verità»19. La libertà è il principio supremo dell’uomo in grado di orientare la volontà
«verso la pienezza del lume della ragione»20, l’attività che rende l’uomo persona e gli permette di
uscire, con il suo atto libero, dal circolo della propria soggettività e diventare arbitro tra il finito e
l’infinito, tra sé e Dio.
L’attività libera, la suprema delle attività umane, è il massimo bene eudemonologico: senza libertà l’uomo non può adoprarsi per la propria felicità, non c’è appagamento per un essere non libero; e solo se libera la persona può perseguire il bene conosciuto e riconosciuto. La libertà «forma
tutta la potenza e l’attività dell’uomo», perché solo nel suo principio «sta il vero agire della persona», con la fondamentale conseguenza che «il massimo bene soggettivo, o meglio, l’unico bene
soggettivo della persona umana trovasi nell’uso dell’umana libertà, nel territorio della moralità»21.
Poiché l’atto morale impegna sinteticamente tutta la persona nella sua intelligenza e volontà,
non c’è intellettualismo, astrattismo o formalismo in Rosmini: «La natura dà a gustare all’uomo un
primo sorso di verità nell’essere ideale che lo informa. Di che scaturisce, come da prima sua fonte,
l’amore della sapienza, che si vuol per se stessa, e quell’ardentissima bramosia di conoscere, che fa
irrequieto il genere umano (…). Ma l’uomo non aspira a puramente conoscere: vuole amare ciò che
conosce. Anzi non v’ha compiuta cognizione che non sia affettuosa; l’amore perfeziona il conoscimento, e l’uomo che conoscendo ama, trova nell’ente amato il bene, termine pieno di quell’atto di
cui egli è potenza. Laonde si può convenientemente definir l’uomo “una potenza, l’ultimo atto della quale è congiungersi all’Essere senza limiti per conoscimento amativo»22.
4.
Il diritto.
Per Rosmini il diritto è una facoltà eudemonologico-morale, un’entità in cui coesistono morale
ed utilità, proprio come nella persona umana, che è la realizzazione sostanziale del diritto. Così
configurato esso si pone come una scienza intermedia tra l’etica e l’eudemonologia, distinta ma
non separata da esse. Ed infatti, anche se la facoltà di fare o patire qualsiasi cosa a sé utile appartiene alla sfera eudemonologica, il diritto non è una mera facoltà eudemonologica, giacché questa
non potrebbe mai definirsi un diritto se non venisse protetta e difesa dalla legge morale che proibisce a chicchessia di intaccarla. Il Roveretano non esita a mettere in rilievo il fattore più elementare
e meno contestabile del diritto, cioè il piacere, anzi l’eudemonologia, innervata alla morale, costituisce il momento iniziale del diritto: «Il piacere, preso nel suo più ampio significato, il bene eu-
17.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p. 201.
18.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, cit., p. 363.
19.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p. 392.
20.
A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, cit., p. 466. Per l’Autore «avvi una superiorità di diritto della
persona sopra tutte l’altre potenze della natura umana. Questa superiorità di diritto, questa eccellenza morale (…)
dee necessariamente scaturire da quel fonte stesso onde procede ogni morale, ogni diritto. È il lume della ragione la
sorgente del diritto, del bene e del male morale» (Ivi).
21.
A. ROSMINI, Filosofia della politica, a cura di S. Cotta, Rusconi, Milano 1985, p. 489.
22.
A. ROSMINI, Teosofia, cit., p. 15.
6
demonologico, quando è protetto dalla legge veniente dall’oggetto, costituisce il diritto»23.
Il diritto è «una facoltà di operare ciò che piace, protetta dalla legge morale, che ne ingiunge ad
altri il rispetto»24. La legge morale, che è legge di giustizia, garantisce l’aspetto oggettivo del diritto
e ne costituisce la forma; l’eudemonologia, definita da Rosmini «la scienza della propria felicità»25,
apporta la materia e rappresenta il momento soggettivo del diritto, la cui nozione consta di cinque
elementi concorrenti: l’esistenza di una attività soggettiva, l’esistenza di una attività personale, che
si esercita dal soggetto mediante una volontà razionale (libertà); un esercizio di questa attività non
inutile, ma buono all’autore di esso; un esercizio di tale attività lecito, cioè non opposto alla legge
morale; una relazione con altri esseri razionali, a cui incombe il dovere di rispettarlo26. L’esame di
questi elementi permette a Rosmini di elaborare una nozione più esplicita e puntuale del diritto,
tale da assurgere a vero e proprio principio della scienza giuridica, il diritto è:«Una facoltà personale o podestà di godere, operando o patendo, un bene lecito, che da altre persone non deve esser
guastato»27.
Per l’esistenza di un nesso imprescindibile tra la persona e l’agire, il Roveretano pone la persona
alla base di tutte le sue teorie etiche e giuridiche, il che gli permette di definire il diritto non con
formule vuote o astratte, ma in relazione ad un soggetto di diritto che è la persona. Questo, in sostanza, significa che unica è la fonte dei due elementi: quello personale, che si trova nell’uomo, è la
volontà intelligente che lo rende artefice delle proprie operazioni; l’attività umana, a sua volta, è
attività spirituale, nella quale il soggetto include i suoi bisogni, i suoi interessi. Né la persona si riduce al diritto, né il diritto si riduce alla persona, e nessuno dei due elementi è superiore all’altro:
essi si sintetizzano in modo che nella loro unità dinamica ed integrale ci sia compresenza, ordine e
rispetto dei valori concorrenti.
Puntando ad un rinnovamento della filosofia attraverso una aggiornata e completa esplorazione
della struttura dell’umano, ridotta dal pensiero moderno alla dimensione sensistica ed intellettualistica, Rosmini parte dalla persona: «Il concetto del diritto suppone primieramente una persona,
un autore delle proprie azioni»28. Essendo un fenomeno tipicamente umano, «acciocché un diritto
esista (…) deve esservi l’intelligenza, e ciò che viene di conseguente nell’uomo, la volontà; questa
solo avendo il potere di determinare le azioni a norma dell’intelligenza: il diritto adunque ha sempre per suo subbietto una facoltà o attività dell’uomo. Un istinto cieco non può adunque da sé solo
costituire alcun diritto»29.
Il principio attivo supremo della persona, cioè la volontà che si caratterizza come adesione all'essere ideale, è la stessa attività del diritto, e intelligenza e volontà sono elementi necessari al diritto, che è dunque antropologicamente fondato: l’entità che “ha” il diritto è necessariamente ciò
che “è” il diritto. Con la sua volontà intelligente, che conferisce all’uomo la prerogativa di essere e
chiamarsi autore e signore dei propri atti, la persona è libertà essenziale e diritto essenziale, l'essenza stessa del diritto.
Solo la persona ha ed è insieme il diritto: i due elementi coincidono, sono la stessa cosa. Se ve23.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p. 104.
24.
Ivi, p. 1.07.
25.
A. ROSMINI, Principi della scienza morale, Vallecchi, Firenze 1932, p. 48.
26.
Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p. 108. Sottolinea Rosmini: «Deve notarsi attentamente che il dovere di rispettare l’altrui libertà morale non è perché questa facoltà sia un diritto; ma viceversa, ella è un diritto, perché vi ha
negli altri questo dovere di rispettarla» (Ivi, p. 118). Ciò significa che «non può esistere un diritto nell’uomo senza
che vi sia in altri il dovere di rispettarlo» (Ivi, p. 127).
27.
Ivi, p. 120. Rosmini fa l’esempio del «ricco avaro (che) non ha diritto all’abuso delle sue ricchezze, e tuttavia ha diritto alle sue ricchezze, ha diritto di non esserne spogliato» (Ivi).
28.
Ivi, p. 106.
29.
Ivi, p. 109.
7
nisse meno questa coincidenza, non si avrebbe più un soggetto di diritto, ma una norma e dei soggetti a questa norma, e si ripresenterebbe il nodo inestricabile dei rapporti tra autorità e libertà. Il
diritto è la pienezza dei diritti dell’uomo, e la persona, che è tutt’uno con quei diritti, è responsabile di fronte a se stessa della loro integrale realizzazione, che è ricerca della perfezione. E poiché la
perfezione ontologica dell’essere si attua nella persona, questa, quale sostanza concreta di giustizia
e libertà e misura dell’ordine sociale, è la sede prima di ogni diritto, anzi la persona dell’uomo è lo
stesso diritto umano sussistente. Verso la persona, unità metafisica che incarna il generale principio ontologico di sussistenza, converge, restandone assorbito, anche il diritto, che svela così il suo
carattere sintetico di attività umana radicata nell’unità dell’essere. Il diritto entra così nella sfera
dell’attività morale e spirituale, in virtù dell’essere ideale che è il principio del diritto e della morale.
Rosmini prende le distanze da quei teorici che nella categoria dei diritti connaturali all’uomo
pongono il diritto della propria personalità: «Questo è un parlare improprio. Non è che l’uomo abbia il diritto della propria personalità: in tal caso si distinguerebbero due persone, l’una avente il
diritto, l’altra costituente il subbietto del diritto. All’incontro, l’avente il diritto è la persona stessa
subbietto del diritto. Convien dunque dire, volendo parlare esattamente, che “la persona dell'uomo è il diritto umano sussistente”: quindi anco l’essenza del diritto. (…) La persona ha per sua essenza tutti i costitutivi che entrano nella definizione del diritto»30.
La persona umana è dunque un diritto vivente protetto dalla legge morale, che nell’incontro
con l’altro riceve il comando di non lederlo, di non disturbarlo nel suo cammino verso l’essere. La
persona è tale dal concepimento alla fine naturale: come diritto sussistente e portatrice di dignità
infinita, è sacra e inviolabile, anche nella debole presenza di una vita che chiede di essere accolta e
amata, anche nella fragile precarietà di una vita al tramonto che chiede sostegno e amore. Nell’infinitamente piccolo e nella fragilità estrema si svela lo stesso immenso essere.
Il nostro filosofo, consapevole dell’importanza del diritto, pensava che per poterlo comprendere
appieno occorreva inquadrarlo nel sistema della filosofia, la dottrina delle ragioni ultime. Egli era
persuaso che sensismo e soggettivismo, che avevano capovolto la morale trasformando l’obbligato
nell’obbligante, avevano anche rovesciato la scienza del diritto. Scrive Rosmini: «Poiché il Diritto
nella sua parte materiale è una facoltà soggettiva che ha per fine l’utilità di chi la possiede, e l’esercita: all’opposto della Morale, che tutta si racchiude nel riconoscimento volontario e riverenziale
dell’oggetto, senza che le conseguenze eudemonologiche formino, od accrescano l’inflessibilità dell’obbligazione, assoluta come la verità. E quella facoltà soggettiva, che è come la materia del diritto, rimane, anche rimossa la morale; ma con la remozione di questa, che è come la forma del diritto
medesimo, essa perde incontanente la dignità e l’essere formale del diritto. La quale dignità mora30.
Ivi, p. 191. Il Capograssi ha sottolineato la forza teoretica e pratica della innovativa identificazione rosminiana di
persona e diritto: «Significa che tutta l’esperienza concreta e storica del diritto, le autorità, le leggi, le obbedienze
che la compongono, mettono capo a questo unico punto vivo che è la persona. Questa specie di anello magico dell'infinito e dell’empirico, è, come tale attività e sovranità: attività perché è la vita stessa che si muove e si organizza
in tutte le sue concrete esigenze, e sovranità perché è l’affermazione della vita come verità cioè della sua destinazione infinita. Per conseguenza la persona è il diritto sussistente, perché nella persona verità e vita, eterno e sentimento, valore e fatto fanno blocco: per essa realizzare la propria vita è adempire un infinito dovere nel quale si
riassumono tutti i doveri della vita. E quindi in essa, per usare il linguaggio preciso dei giuristi, diritto oggettivo e
diritto soggettivo coincidono: l’affermazione della propria vita come tendenza alla felicità è l’affermazione della vita come legge assoluta. Il diritto è la persona. È una verità che Rosmini ci ha detto, ma è una verità che se non tutti
riconoscono, tutti effettivamente seguono e la storia del pensiero giuridico lo dimostra. Rosmini riporta il diritto,
questa nuda e opaca necessità coattiva, all’atto francescano di abbandono, che fa l’essenza dell’individualità personale. In definitiva significa che salvare l’umanità dell’azione e del mondo storico, che è in perenne pericolo di precipitare nella preistoria, spetta all’individuo, e l’individuo l’adempie se arriva ad impedire che la superbia la voluttà e la vendetta riescano a soffocare, nella sua volontà di vita, questo puro atto di amore» (G. CAPOGRASSI, Il diritto
secondo Rosmini, in Opere, Giuffrè. Milano 1959, vol. IV, p. 331 ss.).
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le, che quella soggettiva facoltà d’operare non ha in se medesima, le viene dal di fuori, cioè dalla
morale appunto, che la consacra proteggendola, coll’imporre a tutti gli altri uomini l’obbligazione
di lasciarla intatta e libera ai suoi atti. Lande ristabilita la morale, fermatane immobilmente la base,
è con questo stesso salvato anche il diritto, e la doppia eccellenza delle azioni umane, cioè l’etica e
la giuridica»31.
Per l’abate roveretano non può esistere diritto senza morale, la quale non si poteva restaurare
«senza ascendere col pensiero fino alla teoria dell’essere oggettivo»32. Con il riferimento all’idea
dell’essere, la sola capace di raddrizzare morale e diritto, egli restituisce al diritto individuale e sociale la dignità di scienza fondata sulla giustizia, riconducendo a quest’ultima tutto l’agire della
persona. Il principio della giustizia, che «non è cosa manufatta dagli uomini»33, è il riconoscimento
dell’essere. Essa costituisce l’essenza del diritto corrispondente al lume della ragione, alla verità evidente ed essenziale che luce nella sua universalità, e fonda il principio supremo della morale. I
suoi caratteri di eternità, impersonalità, impassibilità ed imparzialità concorrono a fare della giustizia «una forma a cui si riducono tutte le virtù»34. E come la giustizia «precede e genera il diritto,
così il diritto precede e anche genera la bontà, la quale consiste nell’adoperare il proprio diritto a
fare del bene agli altri»35. Il diritto deriva dalla legge morale scaturente dalla legge oggettiva universale, ed è la potenza di operare liberamente entro i confini posti dalla legge della giustizia, che è
un aspetto della legge universale del vero. Se si nega la natura etica della norma, il diritto viene ridotto a mera forza e perde la sua altissima dignità e la sua peculiare natura36.
La persona è il valore ultimo e fondante, il fondamento del diritto, il diritto stesso, il quale è
personale o non è. Nella dignità della persona, e più propriamente nell’essere ideale che le dà la
sua dignità, è «la ragione universale dei diritti, e prima ancora la scaturigine dei doveri»37 (36).
Non può esservi un diritto senza dovere, mentre non necessariamente ad ogni dovere corrisponde
un diritto, perché il dovere è anteriore al diritto risiedendo nell’obbligatorietà della legge morale. E
poiché il diritto discende da quest’ultima ed è essenzialmente etico, non può esservi un diritto
all’immoralità.
Osserva Rosmini: «Il principio attivo supremo, base della persona, è informato dal lume della
ragione, dal quale riceve la norma della giustizia: egli è propriamente la facoltà delle cose lecite.
Ma poiché la dignità del lume della ragione (essere ideale) è infinita, perciò niente può stare al di
sopra del principio personale, niente può stare sopra a quel principio che opera di sua natura dietro un maestro e signore di dignità infinita (Dio); quindi viene che egli è principio naturalmente
supremo, di maniera che niuno ha il diritto di comandare a quello che sta ai comandi dell'infinito»38.
Essendo la persona attività suprema per sua natura, è ovvio che le altre persone hanno il dovere
morale di non lederla, di non offenderla o sottometterla, spogliandola della sua supremazia naturale.
Il diritto è un’attività sussistente, necessariamente il principio personale o altro a questo princi31.
A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, a cura di P. P. Ottonello, Città Nuova, Roma 1979, p. 32.
32.
Ivi, p. 31.
33.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p. 7.
34.
A. ROSMINI, Teosofia, cit., p. 344.
35.
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., p.131.
36.
Scrive Rosmini: «Quando la forza bruta opprime l’uomo che ha per sé il diritto, allora questi eccita un interesse
straordinario di sé negli altri uomini: il suo diritto pare che brilli da quel momento di uno splendore insolito: esso
trionfa, perché si sottrae all’azione della violenza come un’entità immortale, inaccessibile a tutta la potenza materiale che non giunge pure a toccarlo, rimanendosi tutti i suoi sforzi esclusi da quella sfera alta e spirituale in cui abita il diritto» (Ivi, p. 103).
37.
Ivi, p. 166.
38.
Ivi, p. 191.
9
pio unito attraverso la proprietà, definita da Rosmini «un sentimento (un amore) che lega le cose
alla persona»39. Nata dalla sintesi tra persona e natura umana, la proprietà è il principio della derivazione dei diritti particolari, il principio unificatore di tutta l’esperienza giuridica. Nella connessione vitale con l’essere la persona attinge il proprio sostanziale atto di libertà: l’esistenza della
persona è libertà, e la connessione delle cose con se stessa, che liberamente fa la persona, costituisce la proprietà che rende possibile la libertà, e la libertà rende l’uomo persona, la quale, con la libertà, realizza il proprio fine e si protende amorosamente verso l’essere.
Ledere la natura umana è ledere una condizione, ledere la persona è ledere una sussistenza, che
è il fine di quella condizione. Offendere la persona è violare il diritto, che non è solo disobbedienza
ad una legge, ma un oltraggio ad un essere intelligente, uno sfregio della persona. Il diritto è “naturale”, più forte delle creazioni artificiali, perché risiede nella natura stessa delle cose, nell’ordine
intrinseco dell’essere, e come tale preesiste alla società e allo Stato, che possono soltanto regolare la
“modalità” dei diritti, che anche lo Stato deve rispettare perché propri della persona, la cui dignità
non ha provenienza mondana. Senza base etica i diritti umani sono fragili, e la persona resta esposta ad ogni nefandezza.
La ragione, illuminata dal preesistente lume naturale e promulgatrice, per naturale vocazione,
della legge morale universale, è in grado di proporre un retto giudizio sul valore delle cose, dando
vita ad un diritto oggettivo giusto e vero perché innervato nell’essere, e che «può essere assunto
dai singoli ordinamenti per fondare, in modo coerente e condiviso, i diritti dell’uomo»40.
5.
I diritti umani e la loro fondazione per negationem.
Un’ultima riflessione sulla fecondità e sulla attualità del pensiero di Rosmini nella realtà contemporanea con particolare riferimento ai diritti umani.
E del 1948 la Dichiarazione universale approvata dalle Nazioni Unite. Nel dibattito filosoficogiuridico del secondo dopoguerra, per limitarci alla letteratura italiana, due sono state le interpretazioni sul valore di tale documento.
Una ritiene che il fondamento della Dichiarazione ONU sia il consensus plurium, cioè la approvazione e la adesione ad essa della maggioranza degli Stati. È la posizione, per es., di Umberto Bobbio.
L’altra ritiene invece che la giustificazione dei diritti umani debba essere riportata a un fondamento ontologico, cioè a una realtà pregiuridica che vincoli il diritto positivo. È la posizione, per
esempio, di Giuseppe Capograssi e di Sergio Cotta.
Nel primo caso la base ultima dei diritti umani è solo una convenzione tra Stati, che vale e che
dura tanto quanto vale e dura la volontà sempre mutevole dei contraenti.
Nel secondo caso, al contrario, la base ultima è una realtà oggettiva (appunto la persona così come definita da Rosmini) che non può essere oggetto di manipolazione legislativa né soggetta all'arbitrio del Legislatore e alle convenienze degli Stati.
Rispetto al primo e al secondo modo di fondare i diritti umani, il Beato Rosmini offre, nella ricchezza del suo pensiero, anche un terzo modo, che può catturare il consenso di chi aderisce alla
prima interpretazione e può rendere più efficace e convincente le argomentazione dei secondi.
Scrive infatti Rosmini: «Quando la forza bruta opprime l’uomo che ha per sé il diritto, allora
questi eccita un interesse straordinario di sé negli altri uomini: il suo diritto pare che brilli da quel
momento di uno splendore insolito: esso trionfa, perché si sottrae all’azione della violenza come
un’entità immortale, inaccessibile a tutta la potenza materiale che non giunge pure a toccarlo, ri39.
Ivi, p. 1166.
40.
M. CIOFFI, Persona e diritto in Rosmini, cit., p. 71.
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manendosi tutti i suoi sforzi esclusi da quella sfera alta e spirituale in cui abita il diritto» (Filosofia
del diritto, p. 103).
Rosmini, in questo straordinario passo della sua Filosofia del diritto, offre una giustificazione e
una fondazione dei diritti umani per negationem. Il diritto - egli dice - brilla, cioè si rende evidente e
inconfutabile quando viene oppresso e negato da qualcuno. Chi viene offeso nella propria persona
e in particolare nella sfera della sua patibilità (perché essere offesi nel proprio diritto, cioè come
persona, è soffrire) e il qualcuno che offende, rappresentano l’universalità dell’umano.
Il diritto, dunque, testimonia se stesso, cioè la sua immortalità, quando viene mortificato. E come
non si può negare la particolarità del fatto che qualcuno viene offeso nel suo diritto (sia esso individuo o popolo), così non si può negare la universalità del diritto che si manifesta nelle sue negazioni attraverso l’indignazione morale, attraverso lo scandalo. La civiltà del diritto è anche fondata
sulla capacità di provare lo scandalo per la violazione dei diritti, cioè delle persone.
Nella dialettica, dunque, tra patimento e risentimento si muove e si snoda la difesa e insieme il riconoscimento dei diritti umani. Il patimento provoca il risentimento: sono due negativi che si fondano e si radicano in quel positivo assoluto che è la persona e così la fanno risplendere.
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