“L´uomo di verità” di Jean-Pierre Changeux

annuncio pubblicitario
©2009 Neuroscienze.net
Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-01-05
“L´uomo di verità” di Jean-Pierre Changeux
di Andrea Lavazza
Abstract
Non disponibile.
e
“Mettere in rapporto, se possibile in modo causale, l’organizzazione anatomica e gli stati di attività del nostro cervello con quelle funzioni cognitive
per eccellenza che sono l’acquisizione della conoscenza e la verifica della sua verità”. Un progetto ambizioso per sua stessa ammissione quello che
il biologo e neuroscienzato francese Jean-Pierre Changeux ha intrapreso negli ultimi anni e riepilogato di recente (Changeux, 2003).
Una sfida che la neurobiologia sarebbe pronta ad accettare grazie alle progressive acquisizioni sulla struttura dell’architettura cerebrale umana.
Le premesse e i problemi sono chiaramente enunciati: “Il mondo altamente sofisticato che abbiamo costruito nei secoli appoggiandoci sulle nostre
conoscenze scientifiche testimonia in realtà del rapporto di corrispondenza, della “conformità” che può esistere tra fatti e oggetti del mondo esterno,
da una parte, e oggetti di pensiero, stati interni, prodotti dal nostro cervello, dall’altra. Come è possibile questo accordo? Come si stabilisce? Come
viene messo alla prova? Come evolve?”. (Changeux, 2003:11)
Non si tratta, è evidente, di un punto di partenza neutro, ma già contiene assunzioni forti, alcune delle quali potranno trovare giustificazione solo alla
fine del percorso. Che infatti esista un mondo esterno, che tale mondo noi siamo capaci in qualche modo di “rispecchiare” e che la verifica della sua
“verità” consista una corrispondenza biunivoca sono infatti affermazioni ontologicamente impegnative e non indiscusse.(D’Agostini, 2002; Luper,
2003).
Nella prospettiva esplicitamente “materialista” assunta da Changeux (la descrizione in termini molecolari con il linguaggio della fisica e della
chimica è necessaria e sufficiente), l’explanandum è la storia concreta dell’attività cognitiva dell’uomo, l’explanans la fisiologia del cervello nella
sua evoluzione.
L’approdo apparente del percorso conduce a una psicologia e a una epistemologia evoluzionistiche. L’uomo interagisce con la realtà esterna, tramite
meccanismi di mutazione/selezione/adattamento migliora la sua fitness non solo fisica ma anche cognitiva, incorpora nel suo patrimonio genetico
parte della conoscenza e la capacità di rispondere epigeneticamente alla complessità delle sfide ambientali, mentre lo sviluppo di supporti
mnemonici e computazionali esterni, paragonabili a una mente allargata – dalla scrittura al computer – permette la crescita cumulativa della
Pagina 1/4
“cultura”. (Barkow, Cosmides, Tooby, 1992; Pinker, 1997).
Ovvero, come dice l’Autore, sono “sopravvissute le specie capaci, a partire dal loro patrimoni genetico, di formarsi dell’ambiente circostante
rappresentazioni sufficientemente ‘vere’ da garantire loro l’omeostasi e la possibilità di riprodursi”. L’intera realtà cognitiva si spiega in questi
termini, la difficoltà riguarda la comprensione dei meccanismi specifici all’opera nel cervello. (Popper, 1983). E Changeux si propone di fare luce
su di essi, proprio perché la sua sintesi originale si occupa della “scatola nera” del sistema nervoso centrale (Snc) che i teorici lasciano inesplorata.
Il primo elemento fondamentale di novità rispetto al modello evoluzionistico classico riguarda l’attività neuronale spontanea. “Il cervello si
comporta naturalmente come un sistema autonomo che proietta in permanenza informazione verso il mondo esterno, invece di riceverne
passivamente gli influssi. L’attività intrinseca spontanea del cervello è una delle sue principali componenti. Essa si manifesta attraverso potenziali
d’azione prodotti spontaneamente dalle cellule nervose” (Changeux, 2003:28). Responsabili di tale attività sono gli oscillatori molecolari, costituiti
da almeno due proteine-canale antagoniste strettamente accoppiate. Le fluttuazioni lente del potenziale elettrico della membrana neuronale da essi
prodotte, al di là di una certa soglia, scatenano scariche spontanee.
L’altra caratteristica essenziale del cervello è la sua plasticità. “Il termine designa la generica capacità del neurone e delle sue sinapsi di cambiare
proprietà in funzione del loro stato di attività. Questa proprietà fondamentale contraddice l’impressione ingenua secondo la quale il cervello sarebbe
una sorta di automa rigido costituito esclusivamente da rotelle e ingranaggi” (Changeux, 2003:30).
Dall’”apertura” del sistema nervoso discende la sua “motivazione”. “[Il cervello] opera anche in senso contrario, come produttore di
rappresentazioni che vengono proiettate sul mondo esterno. L’attività spontanea di insiemi specializzati di neuroni spinge l’organismo a esplorare e
a sperimentare continuamente l’ambiente fisico, sociale e culturale, a cogliere le risposte e a confrontarle con quanto ha in memoria. Di
conseguenza il cervello sviluppa sorprendenti capacità di ‘autoattivazione’ e quindi di autoorganizzazione” (Changeux, 2003:37).
Si tratta, a quanto sembra, di una capacità cablata nel Snc dall’evoluzione darwiniana la cui storia filogenetica meriterebbe di essere indagata e le
cui tappe non sono facilmente ricostruibili, né il metodo da seguire individuato con certezza (Sterelny, 2004).
Uno dei meccanismi chiave messo in evidenza da Changeux è quello della “ricompensa mentale”. In studi famosi e più recenti (Olds, 1958; Di
Chiara, 1999) si è accertato che la liberazione di dopamina nel corpo striato (e nel nucleo accumbens in particolare) produce il “piacere della
ricompensa” che può essere associato alle droghe ma anche a comportamenti conoscitivi. Fondamentale è la cosiddetta anticipazione: uomo e
animale imparano a prevedere la ricompensa e a cercare le condizioni in cui possono ottenerla, e questa capacità costituirebbe una risorsa per la
predisposizione ad acquisire conoscenze. “Se contribuisce all’anticipazione di una ricompensa e all’elaborazione dell’errore, la dopamina può
intervenire anche nell’adattamento delle strutture corticali superiori a condizioni nuove. In fin dei conti, i neuroni dopaminergici (insieme con altri)
ci aiutano non soltanto in caso di situazioni già note, ma anche risolvere i problemi posti da situazioni nuove e a elaborare nuovi concetti per
affrontarli” (Changeux, 2003:50).
Forte di queste caratteri, l’Autore può parlare di oggetti mentali all’interno di una neurosemantica sperimentale: “Lo schema più corrente è quello
dell’attivazione di una popolazione di neuroni, fermo restando che ogni neurone attivato può possedere una ‘singolarità’ che gli è propria. Insiemi
distinti di neuroni presenti in mappe sensoriali, motorie, associative o d’altro genere, sarebbero legati tra loro in una medesima unità distribuita (...)
In queste condizioni, significati differenti attiverebbero popolazioni anch’esse differenti di neuroni situate in aree corticali corrispondenti ai tratti
particolari del significato proprio dell’’oggetto’ e investite di un ‘peso’ differente. Per esempio, la parola (o l’immagine) di un canguro attiverebbe
popolazioni di neuroni distribuiti tra le aree attivate dagli animali (corteccia temporale), tra quelle che sono stimolate dalla percezione del colore
bruno (corteccia visiva) nonché da quelle che intervengono nella percezione del movimento (corteccia visiva e parietale) le quali individuano il
tratto caratteristico che i canguri saltano e non corrono” (Changeux, 2003:55-56).
Si tratta di una interpretazione “forte” del brain imaging, dato che implica una semantica rigidamente compositiva, tale da poter costituire un
dizionario basato su definizioni neurologiche, ma con la difficoltà di individuare gli elementi minimi non ulteriormente scomponibili e di spiegare le
differenze riscontrabili tra idiomi o mappe concettuali. Se poi basta essere “animale bruno che salta” per venire identificato come canguro, è arduo
immaginare la composizione e la discriminazione di concetti astratti complessi. Il problema del riferimento, al di là dei più semplici oggetti
materiali, resta comunque tra i più resistenti sia per la filosofia sia per la scienza (Picardi, 1999). Tuttavia studi interculturali sulla costanza della
categorizzazione dell’esperienza, come quelli sui colori (Berlin&Kay, 1969) o sulle emozioni (Ekman, 1992), dimostrerebbero l’esistenza di “verità
innate”, geneticamente specificate.
L’Autore sembra poi proporre, per spiegare il rapporto contestualizzato coerente tra significante e significato, “un processo per prove ed errori che
sfrutterebbe un sistema di ricompense integrate a livello individuale e insieme condivise a livello sociale”. Processo che si avvarrebbe di
meccanismi di proiezione dall’interno (prove) e selezionisti (errori o conferme esterne).
E ciò si basa sull’ipotesi più importante (ed euristicamente promettente), quella delle pre-rappresentazioni, dalla cui selezioni risulterebbe
l’acquisizione della conoscenza. “Le ‘pre-rappresentazioni’ corrisponderebbero a stati di attivazione dinamici, spontanei e transitori di popolazioni
di neuroni capaci di formare combinazioni multiple. L’introduzione di un elemento di variabilità così determinante invita a tentare un’analogia con
Pagina 2/4
le variazioni genetiche darwiniane, ma, qui, a livello del fenotipo e non più, come nell’evoluzione della specie, a quello genotipico” (Changeux,
2003:63).
Vale la pena di riportare per esteso il probabile funzionamento. “Una rappresentazione può essere stabilizzata o meno in funzione del segnale
ricevuto dal mondo esterno (...) Questo test permette di scoprire se essa ‘dia senso’ o meno e potrebbe fondarsi su due meccanismi plausibili. Il
primo è la selezione per ricompensa (valutazione delle azioni) (...) I segnali ricevuti dall’ambiente attivano certe vie neurali che intervengono nella
motivazione e/o nel piacere della ricompensa. Le ricompense ricevute dal mondo esterno scatenano la liberazione di sostanze neuromodulatrici
come la dopamina o l’acetilcolina, o entrambe. Direttamente o indirettamente, i neuromodulatori stabilizzerebbero la pre-rappresentazione sulla
quale verte il test, modificando l’efficacia delle sinapsi che uniscono i neuroni coinvolti. In altri termini, la coincidenza nel tempo della
pre-rappresentazione generata in modo interno e della risposta positiva evocata in modo esterno porterebbe a stabilizzare l’’ipotesi’ adeguata. Una
risposta negativa (una punizione) avrebbe effetto inverso (...) Potrebbe darsi anche un altro scenario fosse più adeguato nel caso della percezione
sensoriale (...) [esso] si fonda sulla corrispondenza tra l’attività percettiva suscitata da stimolazioni sensoriali e la pre-rappresentazione esistente al
momento della percezione sensoriale. Queste due modalità di selezione comporterebbero la stabilizzazione - l’accumulo - di significati o di
conoscenze sotto forma di “mappe” di rapporti funzionali materializzati da una rete neuronale distribuita e variabile. Un modello ridotto e
semplificato, neuronale e quindi fisico, della realtà esterna sarebbe così selezionato e archiviato in memoria nel cervello. Questi oggetti di memoria
esisterebbero ‘realmente’ nel nostro cervello sotto ‘forme’, latenti composte da tracce neuronali stabili. In ogni caso, per via della selezione il
numero delle pre-rappresentazioni dovrebbe diminuire nel corso dell’esperienza sul mondo” (Changeux, 2003:65-66).
E’ chiara l’analogia con il modello selezionista in immunologia, dimostrato da Susumu Tonegawa (Tonegawa, 1980) rispetto alla diversità e alla
specificità degli anticorpi, la cui capacità di adattarsi all’antigene da colpire non deriva da un’istruzione “appresa” nel contatto, ma dal
rimescolamento genetico precedente, il quale fornisce l’enorme varietà necessaria a fornire il giusto anticorpo. Ma riecheggia anche le forme pure
dell’intuizione e le categorie, precondizioni e principi d’ordine della sensibilità e della costruzione della conoscenza oggettiva, ben note da due
secoli alla filosofia (Kant, 1787).
Changeux avverte che vi sono vincoli “strutturali” alla produzione di pre-rappresentazioni, dato che nella possibile esplosione combinatoria non
sarebbe statisticamente facile imbattersi in pre-rappresentazioni adeguate al mondo esterno (potremmo “raffigurarci” molti animali senza mai
pensare a niente di simile a un canguro...). C’è comunque un’obiezione teorica di circolarità: come si è evoluto in questa direzione il Snc, se è
proprio il suo essere fatto in un certo modo a costituire il trampolino per il suo sviluppo cognitivo? Ovvero come ha fatto a diventare un produttore
efficiente di pre-rappresentazioni se devono essere le pre-rappresentazioni efficienti a farlo evolvere cognitivamente? Ma il vero test sarà quello
empirico: qualora si identificassero pre-rappresentazioni neuronali, avremmo fatto un passo importante nella comprensione del nostro cervello.
L’elemento delle pre-rappresentazioni si integra poi un tentativo di dare conto della coscienza come spazio di lavoro globale (Baars, 1996)
“costituito da un insieme distribuito di neuroni corticali eccitatori assai ampiamente interconnessi e caratterizzati da lunghissimi assoni proiettantisi
orizzontalmente e in modo reciproco attraverso la corteccia” (Changeux, 2003:93). Si tratta in particolare delle cellule piramidali degli strati 2 e 3,
che creerebbero circuiti e quindi anelli di “autovalutazione”, attivati dal contenuto dello spazio di lavoro, senza interazione diretta con l’ambiente
esterno. Qui si produrrebbero, grazie anche ai ricordi immagazzinati, rappresentazioni intenzionali di alto livello, e una sorta di comportamento
volontario elementare risultante dalla “sintesi di autovalutazioni di programmi d’azione concorrenti”.
Per quanto riguarda l’ontogenesi del singolo cervello, Changuex insiste sul ruolo dell’epigenesi con variazione aleatoria e selezione nella
formazione della struttura sinaptica, rifiutando lo stretto determinismo genico (Edelman, 1995). L’idea è quella della sovrapposizione all’azione dei
geni, in seguito all’apprendimento e all’esperienza, e di uno sviluppo coordinato e organizzato. E questa “apertura” permette di superare la
semplicistica contrapposizione di innato e acquisito.
Da ultimo, l’Autore ripropone il teorema di variabilità per superare il paradosso della costanza, dell’invarianza di numerose funzioni cerebrali
nonostante la forte variabilità dell’organizzazione neuroanatomica del cervello. Il teorema afferma che “in una rete data, il medesimo messaggio
afferente può stabilizzare distribuzioni di connessioni diverse, ma presentando i medesimi rapporti tra ingresso e uscita e ciò nonostante il carattere
deterministico del modello” (Changeux, 2003:205). In altri termini, connessioni neuronali diverse tra individui producono funzioni e/o
comportamenti simili. Ciò potrebbe addirittura essere considerata una nuova legge-ponte tra neurologia e psicologia. Ma è lo stesso Changeux ad
avvertire della difficoltà: individuare le invarianti funzionali in seno a reti anatomicamente variabili.
Changeux cerca poi di estendere il suo ampio quadro del funzionamento neuronale ai meccanismi che presiedono al progresso scientifico
contemporaneo, ai cambi di paradigma (Kuhn, 1978) e alla diffusione del sentimento religioso. Benché molte siano, per ora, solo ipotesi affascinanti
o poco convincenti, emerge confermata l’ambizione del progetto di naturalizzazione del mentale. Una naturalizzazione riguardo la coscienza che
trascura, per ora, gli aspetti soggettivi e fenomenici, i cosiddetti qualia, e che si compie sul piano strettamente scientifico, rinunciando a una
sistematizzazione concettuale-filosofica (Dretske, 1995) adottata sia da chi ridimensiona la coscienza (Dennett, 1993) sia da chi vorrebbe eliminare
il mentale (Churchland, 1986). Una metodo arduo da sostenere finché le evidenze empiriche non saranno numerose e concordanti e, secondo alcuni
Pagina 3/4
(Di Francesco, 1996 e 2000), anche allora non conclusivo perché la scienza, che non riesce ad essere riduzionista al suo interno, non potrebbe
pretendere di spiegare tutti i livelli del mentale e i loro nessi causali riportandoli al piano puramente molecolare.
permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=2&arid=380
Pagina 4/4
Scarica