Iperlipoproteinemie e Fattori di Rischio metabolici: diagnosi e terapia. Antonio Gaddi 1.0 Terminologia In alcuni campi dell’epidemiologia clinica, e ancor più nel complesso settore delle malattie del metabolismo lipidico, è tutt’oggi avvertito il problema delle definizioni, a causa di una discreta confusione terminologica evidentemente non rimossa dal pur lodevole impegno degli studiosi del settore. La convenzione che proponiamo al lettore di adottare, anche per la pratica clinica, prevede: a) di usare il termine Fattore di Rischio in senso proprio, ovvero rispettandone l’esatta definizione (illustrata nei paragrafi successivi); b) di ricorrere all’uso dei pochi acronimi assolutamente indispensabili in quanto comunemente adottati dalla letteratura internazionale (VLDL=Very Low Density Lipoprotein, LDL= Low Density Lipoprotein, HDL= High Density Lipoprotein, C= Colesterolo, TG= Trigliceridi, Apo= Apolipoproteine); c) di utilizzare sempre il termine iperlipoproteinemia, abolendo i termini confondenti “*.lipidemia” in quanto non sono in realtà i soli “lipidi” ad aumentare nel sangue, fatto salvo il caso di aumento isolato del glicerolo libero e/o degli acidi grassi liberi, che attualmente non ha dignità nosografica. Anche il suffisso “dis.*” può essere confondente: infatti nel sistema classificativo attualmente adottato l’aspetto quantitativo prevale largamente su quello qualitativo: anomalie qualitative delle lipoproteine sono in realtà sempre presenti, ma non rappresentano, salvo eccezioni, il determinante maggiore di malattia1. 2.0 Aspetti di carattere metodologico Le ricerche effettuate negli ultimi venti anni per identificare le cause dell’ateromasia precoce e definire i fattori capaci di innescarne le complicanze cardiovascolari sono state decine di migliaia, assai diversificate per scopi e per metodologie. La difficoltà intrinseca delle problematiche trattate, assieme alla approssimazione che necessariamente consegue all’ansia di voler dare definizioni semplici e univoche di fenomeni in realtà complessi, hanno ritardato l’approfondimento delle problematiche della lipidologia clinica ed hanno forse indotto una certa diffidenza verso questa malattia. L’aterosclerosi è infatti poco visibile anche al più esperto occhio clinico e la sua gravità è in realtà decifrabile solo attraverso l’adozione di applicazioni statistiche (stima del rischio) e di metodi complessi (laboratoristici, strumentali) fino a pochi anni orsono al di fuori della portata della maggioranza dei pazienti e degli stessi medici. In altri settori della medicina il grande numero di ricerche convergenti su poche e ben determinate etiopatogenesi, o, paradossalmente, all’opposto, l’esistenza di pochi dati sperimentali, hanno di fatto orientato le scelte dei medici e portato a “definizioni di malattia” accettate o comunque ritenute convincenti. Viceversa nel caso dell’aterosclerosi e dei suoi fattori di rischio gli studi effettuati, spesso molto diversi per scopi e per metodi, non sono bastati a fare chiarezza. Da questo punto di vista a poco sono valse le varie Conferenze del Consenso succedutesi negli anni, che hanno avuto un impatto formativo e informativo abbastanza modesto, almeno fino ai primi anni novanta, ovvero fino al momento in cui la svolta epocale data dai grandi trials clinici di prevenzione primaria e secondaria con i farmaci ipolipidemizzanti ha mosso interessi e opinioni ed ha annullato quasi tutte le diffidenze “ideologiche” che in precedenza si erano consolidate. L’aterosclerosi è ovviamente rimasta la stessa: malattia “sistemica complessa”, “insidiosa e lenta” in alcune fasi, “esplosiva” (anche sotto il profilo dei sintomi) in altre; è l’attenzione del mondo scientifico e clinico che è radicalmente cambiata da quando abbiamo trovato le armi per combatterla. Dato che a metodologie di ricerca diverse possono corrispondere impostazioni cliniche e classificazioni delle malattie del pari differenti, e dato che i risultati di linee di ricerca diverse non sempre sono miscelabili a piacere dal singolo osservatore, proponiamo una attenta lettura della tabella I, che chiarisce alcune definizioni chiave essenziali sia sotto il profilo clinico sia sotto quello dell’epidemiologia clinica. 1Il termine da usare sempre sarebbe quello, pesante, di iperdis(lipo)(apo)proteinemia. In alcuni casi, ad esempio nella broad beta disease (tipo III), l’anomalia qualitativa è particolarmente evidente; in altri casi lo è meno, come per le anomalie di struttura e dimensioni delle LDL nell’ipercolesterolemia familiare. L’aumento delle lipoproteine nel plasma è comunque sempre la caratteristica più facile per classificare queste malattie (in attesa di marker genetici) 1 Come evidenziato in Tabella I e II, i “fattori di rischio lipidici” sono cosa diversa dalle iperlipoproteinemie. Queste sono vere e proprie malattie del metabolismo, mentre i fattori di rischio (anche quelli metabolici: ad es. il “colesterolo totale”) devono avere una serie di caratteristiche, tra le quali: Coerenza. L'associazione fattore-malattia è coerente coi risultati di diversi tipi di ricerche: sull’uomo, sull’animale, in vitro. Consistenza. L'associazione è dimostrata in più studi in differenti popolazioni: centinaia di studi hanno dimostrato che i fattori di rischio maggiori predicono gli eventi coronarici in molte popolazioni diverse per area geografica e razza. Forza dell’associazione. Il rischio relativo associato al fattore è alto (es.: come per la pressione arteriosa o la colesterolemia). Fattori di rischio “minori” possono determinare un costante, ma modesto incremento di rischio, di scarso interesse pratico: questo è il motivo per cui non possono essere inclusi in programmi di prevenzione su larga scala. Indipendenza. Il tratto è associato all'incremento del rischio anche quando altri fattori di rischio conosciuti o sospetti siano stati rimossi2. Plausibilità biologica: l’azione del fattore nel determinismo della malattia è plausibile e congrua con le altre conoscenze (vedi anche “coerenza”). Precedenza cronologica rispetto alla malattia. Gli studi longitudinali (cioè condotti sulla stessa popolazione per un lungo periodo di tempo) forniscono questa indicazione, verificando l'insorgenza dell'evento in relazione all'esposizione al fattore nel tempo. Predittività: è la caratteristica principe del fattore di rischio, dalla quale discendono molte delle altre. La misura del fattore effettuata (anni) prima degli eventi clinici deve predirne l’incidenza “futura”, entro accettabili intervalli di confidenza. La predittività ha valore su popolazioni molto estese e mal si presta all’applicazione sul singolo. E’ la caratteristica che giustifica in termini scientifici la dizione “fattori di rischio” (rischio= probabilità di ammalare). Rapporto dose risposta. Più accentuato è il tratto, più è alto il rischio (come ad es. per il colesterolo sierico, la pressione arteriosa sistolica e il fumo). Il rapporto dose risposta può mancare o essere sovvertito in singoli individui in cui fattori additivi giochino un ruolo determinante. Reversibilità. E’ la dimostrazione che vi è riduzione dell'incidenza della malattia associata a eliminazione (o riduzione quantitativa) del fattore di rischio. Rappresenta la condicio sine qua non per la decisione terapeutica. Specificità. Il tratto predice solo una malattia. Caratteristica non sempre determinante per classificare i fattori di rischio (ad es. il fumo è un fattore importante anche se poco specifico in quanto associato a numerose neoplasie, a patologia polmonare, all’infarto miocardico, etc.) La Tab.2 mette in evidenza dette caratteristiche, che hanno un peso differenziato sulla “definizione” di fattore di rischio, sul loro significato eziopatogenetico e che influenzano in modo nettamente diverso il momento decisionale clinico (ad esempio la valutazione se iniziare la terapia farmacologica). L’analisi di queste caratteristiche dimostra come siano necessari centinaia di studi diversi, condotti su casistiche consistenti, prima di poter asserire che una determinata variabile è veramente un “fattore di rischio” cardiovascolare. Per questa ragione la letteratura più quotata attribuisce la dizione fattore di rischio lipidico a pochi parametri, e segnatamente al colesterolo plasmatico totale, LDL3 ed HDL (che assume segno negativo nelle soluzioni delle funzioni di calcolo del rischio in quanto è un f. protettivo); i trigliceridi plasmatici totali sono un fattore di rischio “contestato” da alcuni Autori (non vi è riproducibilità degli esiti di studi diversi, ne viene messa in dubbio l’indipendenza rispetto ai bassi valori di HDL-C, etc.), mentre altri (la Lp(a), le LDL piccole e dense, le VLDL ricche in colesterolo, anche le VLDL dense, le varie lipoproteine “ossidate” o “ossidabili” e tanti altri) sono in corso di studio ed una risposta univoca sul loro ruolo non appare probabile, almeno in tempi brevi, anche per ragioni 2 Alcune variabili risultano associarsi alla malattia quando considerate singolarmente (analisi univariata), ma le stesse possono perdere significato statistico se associate ad altre variabili (analisi multivariata). Ad esempio l'obesità viene estromessa in analisi multivariate quando in esse si introducono altri fattori di rischio come diabete e ipertensione 3 Il secondo (LDL-C) potrebbe sostituire completamente il colesterolo ttotale, ma esistono varie ragioni che inducono a fare riferimento anche al colesterolo totale (ad es: gli studi epidemiologici più datati, -ma con maggiore follow-up,- non consentono il calcolo del LDL-C; l’uso di formule di calcolo per il LDL-C non è esente da critiche e il dosaggio diretto delle LDL-C è complesso e non standardizzato. 2 metodologiche, tra cui l’assenza di gold standard di laboratorio, bassa riproducibilità dei dati, scarsa conoscenza delle fonti di variabilità preanalitica, e altre.. Oggi ci troviamo di fronte ad un numero altissimo di ipotesi di lavoro sui fattori di rischio, ma, assieme, la “medicina basata su prove” ci invita alla massima cautela, soprattutto nelle scelte terapeutiche. La misura di un fattore di rischio è pertanto realmente utile quando: a) il fattore spiega una quota rilevante del fenomeno osservato (ad es. colesterolo, pressione arteriosa sistolica, fumo ed età nei riguardi della CHD: assieme spiegano i 2/3 di tutti i casi nell’adulto maschio), b) il fattore è facilmente misurabile c) Il fattore è reversibile (nell’esempio la sistolica il colesterolo, per i quali è dimostrato che al diminuire del livello del fattore si riduce l’incidenza degli eventi fatali e non fatali), e, assieme, d) la sua riduzione determina variazioni rilevanti del fenomeno osservato (sempre nell’esempio, una riduzione dalla colesterolemia o della pressione sistolica possono determinare variazioni di mortalità e/o morbidità cardiovascolare del 20-40%)4. 4.0 Criteri generali di classificazione delle iperlipoproteinemie primitive. Le iperlipoproteinemie primitive, per quanto talora non distinguibili sotto il profilo fisico dalla presenza di un certo fattore di rischio5 hanno, rispetto a questi, una definizione ben diversa e, in qualche modo, più semplice. Si tratta infatti di ben definite malattie del metabolismo, di cui si conosce (o comunque è misurabile) la prevalenza nelle varie regioni geografiche, la cui patogenesi è usualmente nota così come l’eziologia (spesso genetica) e che sono caratterizzate da quadri clinici usualmente omogenei e riproducibili in nuclei familiari diversi. La Tab. 3 illustra le differenze pratiche tra fattore di rischio lipidico e iperlipoproteinemie familiari, al fine di evidenziare al lettore le implicazioni decisionali dell’adozione dell’una o dell’altra strategia classificata. La classificazione delle iperlipoproteinemie primitive e familiari non può prescindere da due elementi: le analisi laboratoristiche e lo studio della famiglia. 4.1 Il laboratorio Come recentemente ribadito dal comitato di esperti in rappresentanza delle società di medicina e biochimica di laboratorio italiane, le analisi essenziali nella diagnosi di iperlipoproteinemia sono quelle della Tab.4. Regola generale per effettuare una valutazione corretta del profilo lipidico è l’esecuzione dei test in almeno due diverse occasioni intervallate fra loro di circa due mesi (ciò anche in relazione alla variabilità preanalitica di alcuni dosaggi); il paziente, nei giorni precedenti il prelievo, manterrà lo stile di vita e la alimentazione abituale, sospenderà almeno per 20 giorni i farmaci che possono modificare i test ed osserverà 12 ore di digiuno. Le analisi dei lipidi perdono valore diagnostico (pur mantenendo una certa utilità orientativa) in gravidanza, in caso di patologia flogistica non completamente superata e nei primi sei mesi dopo un infarto miocardico (n.b.: la presenza di ipercolesterolemia dopo un infarto miocardico deve comunque far scattare immediate decisioni terapeutiche). L’esecuzione dell’assetto lipidico (colesterolo, trigliceridi, HDL), eventualmente completato dal dosaggio di glicemia e fibrinogenemia, risulta molto informativa, di basso costo e si presta a risolvere diverse situazioni cliniche; il colesterolo LDL dovrebbe essere sistematicamente calcolato (quando TG<400 mg/dl), attraverso la formula di Friedewald [LDL-C=CT-(TG/5+HDL)], dal laboratorio o dal Medico. L’uricemia, spesso alterata nelle ipertrigliceridemie e nelle sindromi X metaboliche, può integrare la richiesta di analisi standard. E’ auspicabile che entro qualche anno siano disponibili informazioni (e metodiche di laboratorio standardizzate) tali da consentire l’utilizzo a fine diagnostico anche dell’apo B (per la quale ultimamente è stato adottato un programma nazionale di standardizzazione e quality control, pur in assenza di un gold standard), della Lp(a), nonché di alcuni markers genetici di malattia. 4.2 L’anamnesi familiare 4 Mancano prove conclusive sull’efficacia della somma di più terapie (ad es. ipolipidemizzante + ipotensiva + antitrombofilica); è probabile che i benefici siano maggiori, ma l’entità del beneficio non è assolutamente derivabile dalla somma delle riduzioni dei rischi relativi o assoluti ottenuto con le singole azioni terapeutiche. 5 A tal punto che, in certi casi, la singola malattia “combacia” con lo stato di rischio così come definibile sulla base del livello di un certo fattore di rischio, come ad esempio nel caso della ipercolesterolemia multigenica a fenotipo Iia stabile, indstinguibile di fatto dal “mero” aumento del LDL-colesterolo. 3 Non si può prescindere (in Italia anche per ragioni medico legali) 6 da una attenta anamnesi familiare che dovrà documentare, o escludere: a) La presenza di familiarità per cardiopatia ischemica precoce (o per vasculopatia periferica o cerebrale); si definisce precoce, orientativamente, un evento precedente i 60 anni nell’uomo e i 65 nella donna. L’anamnesi familiare dovrebbe avvalersi sempre dell’uso grafico dei tradizionali alberi genealogici; l’elemento diagnostico utile, quasi sempre ben ricordato dal paziente, è l’età all’evento maggiore nei familiari (ad es. Infarto miocardico o ictus, fatale o meno). La diagnosi esatta può essere ricostruita in modo certo (ad es. IMA diagnostica dopo ricovero ospedaliero) o lasciare dubbi (ad es. nelle morti improvvise extraospedaliere, attribuibili a infarto m., morte elettrica, emorragia cerebrale, etc). Nella maggioranza dei casi l’anamnesi familiare è comunque molto informativa, se eseguita accuratamente. I casi dubbi andrebbero riportati sull’albero con annotazione specifica. In questo contesto anamnestico hanno particolare valore i “non eventi certi” (ad es. molti familiari longevi e sani mai ricoverati in ospedale). L’abitudine al fumo (da segnare sull’albero) e il sesso possono spostare in modo marcato l’età all’evento (di 5-10 anni ognuno). L’albero genealogico deve riportare anche le analisi strumentali positive (o negative) per ateromasia (ad es. ecografia ai tronchi epiaortici). b) La presenza nella famiglia di eventuali iperlipoproteinemie. E’ un elemento anamnestico di più difficile ricostruzione e si presta a errori, soprattutto in sede di prima visita. Il probando dovrebbe portare, essendone autorizzato dagli interessati, le analisi (o altra documentazione sanitaria) dei parenti sapendo specificare se eseguite in assenza di terapia ipolipidemizzante. Nella maggioranza dei casi appare comunque suggeribile l’estensione delle analisi ai familiari7, che può consentire l’identificazione di tutti nuovi candidati all’evento della famiglia. 4.3 Gli esami strumentali Dato che l’ateromasia precoce accompagna in modo quasi sistematico le iperlipoproteinemie severe primitive e/o familiari, tutti gli adulti (>18 anni se uomini, >25-30 se donne) dovrebbero essere studiati con ecografia (non doppler) del distretto epiaortico ed eventualmente aorto-femorale. Per il distretto coronarico tradizionalmente si impiega l’elettrocardiogramma da sforzo e l’ecocardiogramma da stress (fisico o farmacologico); in caso di soggetti adulti a rischio altissimo o malati genetici severi, la coronarografia costituisce la scelta elettiva. Gli usuali algoritmi diagnostici proposti dalle società cardiologiche non sono però tarati specificamente per questi pazienti, e il medico deve ricordare che la probabilità a priori di falsi negativi (in particolare dopo ECG da sforzo) è, in questi malati, eccezionalmente elevata. 4.4.1. Iperchilomicronemia massiva isolata (Fenotipo I secondo Fredrickson). Malattia rara, autosomica recessiva, causata da un deficit della lipasi lipoproteica e/o dell'apo CII (suo attivatore); l’organismo è quindi incapace di catabolizzare i chilomicroni, il cui livello plasmatico aumenta fino a indurre trigliceridemie >2gr/dL, mentre le concentrazioni delle altre classi lipoproteiche risultano ridotte. E’ frequente causa di coliche addominali severe e resistenti alla terapia medica e/o di pancreatiti acute (quando la trigliceridemia supera i 4-5 gr/dL). 4.4.2. Ipertrigliceridemia familiare (o Iperlipemia Familiare, fenotipo IV o V ) Malattia frequente nei paesi occidentali, trasmessa con carattere dominante e caratterizzata da un aumento selettivo delle VLDL plasmatiche. I pazienti sono per lo più asintomatici (raramente possono sviluppare xantomi cutanei tubero eruttivi). La diagnosi si basa sull'anamnesi familiare, e sugli esami di laboratorio (Ipertrigliceridemia senza variazioni del colesterolo-LDL) dopo aver escluso le forme secondarei (in particolare: diabete mellito e abuso di alcool). La presenza contemporanea di errate abitudini alimentari, endocrinopatie o obesità può “amplificare” il difetto metabolico trasformando il quadro IV in V con persistenza di chilomicroni nel sangue dopo 12 ore di digiuno. Le complicanze piu’ frequenti sono le vasculopatie ateromasiche, a volte precoci, e i conseguenti quadri 6 Riconoscimento delle malattie genetiche del metabolismo ai fini della prescrizione in classe A di alcuni farmaci, ai sensi dei disposti del Comitato Unico del Farmaco, più volte pubblicati in G.U. 7 Il costo di un assetto lipidico è minimale, il tempo per eseguirlo è trascurabile, la potenza diagnostica molto elevata, la possibilità che un familiare del probando sia a sua volta colptito da IMA e/o trasmetta il gene alla discendenza è altissima (50%, come ordine di grandezza), in alcuni casi la presenza di relativi acquisiti a loro volta iperlipoprotienemici deve dar luogo a un colloquio informativo o a una visita in consultorio familiare, tutti i membri della famiglia a rischio dovrebbero essere sottoposti a idoneo percorso diagnostico e/o a terapia medica. 4 clinici, pancreatiti acute ricorrenti e ingravescenti, litiasi colecistica. La coesistenza di basse HDL o di anomalie qualitative delle VLDL e LDL aggrava il rischio cardiovascolare di questi pazienti. 4.4.3. Iperlipoproteinemia familiare combinata (a fenotipi variabili: la malattia rientra sia nelle ipercolestrolemie sia nelle iperlipidemie familiari)8 Disordine metabolico caratterizzato dall'aumento della colesterolemia e/o della trigliceridemia in più relativi di una stessa famiglia, apparentemente trasmesso con pattern autosomico dominante. I membri di queste famiglie possono, pertanto, mostrare un fenotipo lipidico apparentemente “normale”, IIa, IIb o IV, variabile nello stesso soggetto e nel tempo. L’alterazione del fenotipo lipidico compare in genere solo dopo la seconda o terza decade. Il principale difetto metabolico sembra essere una aumentata sintesi epatica di apo B-100, diversamente associata ad altre alterazioni metaboliche più o meno note, tra cui un possibile coinvolgimento della lipasi lipoproeica. La malattia è documentabile nello 0.5-2% della popolazione presunta sana, decorre asintomatica per anni e le manifestazioni xantomatose sono eccezionalmente rare. Questa iperlipoproteinemia è frequentemente associata al diabete tipo II, all’obesità, all’iperinsulinismo e all’ipertensione arteriosa che ne costituiscono, almeno dal punto di vista della successione temporale, frequenti complicanze. La manifestazione clinica più tipica è la patologia ischemica su base ateromasica: l’iperlipoproteinemia familiare combinata è la più grave causa metabolica di ateromasia precoce a cui segue una elevatissima mortalità cardio- e cerebro-vascolare precoce (circa il 12%) già nella IV-V decade di vita, usualmente non preceduta da segni premonitori, salvo il riscontro della iperlipoproteinemia. Esistono segnalazioni di complicanze gravi o gravissime anche in campo pediatrico, nel caso di omozigosi o di doppia eterozigosi per due difetti diversi. La diagnosi di questa grave malattia e’ difficoltosa. Utili criteri sono: 1. presenza nella famiglia di soggetti con fenotipo IIb primitivo e/o, meglio, 2. rilevamento nel propositus e/o in parenti di primo grado di fenotipi lipidici diversi in tempi di osservazione differenti e/o 3. documentazione (anamnestica, clinica o strumentale) di ateromasia precoce o di eventi cardiovascolari nel propositus o nei familiari, e, 4. assenza di lesioni xantomatose L’ipotesi diagnostica andrebbe comprovata con accertamenti specialistici e/o con una adeguata indagine familiare, verificando la variabilità del fenotipo nel tempo. 4.4.5. Iperlipoproteinemia di tipo III (o Malattia della larga banda beta o Iperlipoproteinemia da remnants, Fenotipo III). Malattia trasmessa con carattere recessivo, estremamente rara (1/106); le complicanze cliniche compaiono quando, nell’omozigote per un gene polimorfo che codifica l’isoforma 2 dell'apo E, si sommano altri fattori scatenanti (anche di ordine autoimmunitario). In queste circostanze le beta-VLDL - lipoproteine anomale caratteristiche degli omozigoti E2 - divengono eccezionalmente aterogene e in grado di causare severe lesioni ateromasiche multidistrettuali già in I-II decade. Sono frequenti le manifestazioni cutanee con depositi lipidici, quasi patognomonici (ma non sempre presenti) gli xantomi palmari. La malattia e' usualmente svelata dalle complicanze cardiovascolari precoci abbinate al riscontro di elevati livelli di colesterolo e trigliceridi; la diagnosi definitiva è affidata ad accertamenti specialistici e a un attento studio clinico-strumentale. 4.4.4. Ipercolesterolemia familiare (fenotipo IIa). Malattia autosomica dominante, nella forma eterozigote di facile riscontro nella nostra popolazione (1 cittadino ogni 300 circa). E' causata da mutazioni del gene che codifica per il recettore preposto all’uptake delle LDL, il cui catabolismo risulta ridotto alla metà (nell'eterozigote) o quasi assente (nell'omozigote). Ne consegue un forte aumento della concentrazione plasmatica delle LDL stesse (350-450 mg/dL nell’eterozigote e oltre 700 mg/dL nell’omozigote). Le complicanze cardiovascolari (anche fatali) nei primi anni di vita sono frequenti nell’omozigote; nell’eterozigote l'infarto miocardico rappresenta la piu' frequente causa di morte (80%), con un'età media all’evento di circa 45 anni e al decesso di poco superiore ai 50 anni nei maschi e una incidenza fino a 30 volte superiore a quella dei controlli. Nella donna sono abbastanza frequenti l’infarto miocardico e l’ictus, ma (salvo eccezioni) ad età più avanzate . Si stima che il 5-10% circa della mortalità totale per infarto miocardico precoce nell’uomo sia sostenuta da questa malattia. Il quadro clinico è completato dagli xantomi o xantelasmi, che nell’omozigote compaiono quasi costantemente nei primi anni di vita, mentre nell’eterozigote sono poco frequenti e comunque compaiono nell'eta' adulta. La diagnosi si basa sul riscontro di una marcata ipercolesterolemia (senza aumento dei trigliceridi) e sulla evidente trasmissione verticale (di padre in figlio) dell’ipercolesterolemia. 8 Consideriamo in questo capitolo anche la “iperapobetalipoproteinemia”, da larga parte della letteratura considerata come equivalente e/o sovrapponibile alla iperlipoproteinemia familiare combinata. 5 4.4.5. Altre ipercolesterolemie monogeniche e poligeniche severe (fenotipo IIa) Esistono altre malattie causa di marcato aumento del LDL-C, clinicamente molto simili all’ipercolesterolemia familiare. Tra queste le mutazioni dell’apo B che la rendono incapace di legarsi col suo recettore specifico. Altri geni sono in grado di condizionare fortemente il livello LDL-C nel plasma, anche in assenza di vere “mutazioni”. Ad es. una isoforma della apo E, (la E4), presente in una bassa percentuale della popolazione, puo’, in concomitanza con altri fattori genetici, far aumentare nettamente il livello di LDL. Ci sono poi le ipercolesterolemie così dette multigeniche, assai frequenti nella nostra popolazione, la cui genesi dipende dalla variabile interazione di più fattori genetici e talora anche da fattori ambientali (es.: dieta) 9. La presenza di una forma multigenica puo' essere sospettata quando vi sia “familiarità" per ipercolesterolemia, senza che sia evidenziabile la trasmissione verticale del tratto, tipico delle forme monogeniche e senza oscillazioni della trigliceridemia. Infatti in questi malati la variabilità inter-individuale e intra-familiare della colesterolemia è molto elevata in quanto dipende dal numero di geni polimorfi interessati e dalle abitudini del singolo soggetto affetto. I portatori di queste malattie presentano una incidenza di infarto miocardico nettamente superiore a quella della popolazione sana di pari sesso ed età; il “rischio” è proporzionale al livello “attuale” di LDL (e non alla presenza della specifica anomalia genetica, come invece si verifica nelle iperlipoproteinemie da “mutazione”). Pertanto tra le forme multigeniche, quelle che hanno una più evidente espressione fenotipica sono anche quelle a rischio maggiore. Per questa ragione, nelle forme multigeniche è consigliabile l’adozione di una strategia diagnostica e terapeutica basata principalmente sulla stratificazione del rischio (Tabella I) valutando con particolare attenzione la presenza di fattori di rischio non lipidici eventualmente associati. 4.4.6 La sindrome plurimetabolica (s. X metabolica; fenotipo spesso presente: IV). Viene definita sulla base della contemporanea presenza di due o più dei seguenti fattori: sovrappeso, ipertrigliceridemia, diabete, iperglicemia, iperinsulinemia, s. da insulino-resistenza, iperuricemia e ipertensione. Può esservi anche moderata ipercolesterolemia e riduzione dell’HDL-C. La s. plurimetabolica è “familiare” ma non è attualmente possibile proporre un modello semplice che spieghi le modalità di trasmissione. L’incidenza di malattie cardiovascolari risulta molto più elevata nei soggetti con s. plurimetabolica o comunque ove siano presenti cluster di tre o più fattori tra quelli sopra elencati. Puo’ essere pero’ difficoltoso scindere questa situazione morbosa dalla semplice sommazione casuale di più fattori (con conseguente moltiplicazione del rischio). Probabilmente la s. da insulino-resistenza “per se” gioca un ruolo centrale sia nell’induzione del quadro metabolico sia nell’aumento del rischio cardiovascolare. La diagnosi è difficoltosa e, in alcuni casi, la s. plurimetabolica può essere indistinguibile da una iperlipoproteinemia familiare combinata (“complicata” da ipoglicotolleranza o diabete e ipertensione) o da un NIDDM primitivo (ad es. in un soggetto obeso e con ipertrigliceridemia secondaria) (Figura 1). Solo la conoscenza esatta di tutti i familiari e la descrizione della evoluzione clinica intraindividuale negli anni potrebbero consentire (e non sempre) una diagnosi circostanziata. Appare probabile che l’identificazione di più marcatori genici possa permettere, in futuro, la tipizzazione esatta dei portatori di questa grave sindrome clinico-laboratoristica. In questi casi, scopo del Medico Pratico non deve essere tanto la ricerca della “diagnosi di certezza” ma il tentativo di correzione “razionale”, “graduale” e “progressiva” di tutti i parametri metabolici alterati, ricorrendo agli stessi interventi dietetico-farmacologici che si adotterebbero nelle singole situazioni e dando precedenza a quelli per i quali si hanno prove di un effetto preventivo nei riguardi dell’Infarto miocardico. 4.4.7 Le iper-lp(a)emie (fenotipo “normale”; casi estremi possono simulare un IIa). La Lp(a) è una lipoproteina simile alle LDL contenente, oltre all’apo B-100, la apo(a) che ha una struttura simile a quella del plasminogeno, ed è codificata da un gene caratterizzato da un forte polimorfismo, cui corrispondono Lp (a) strutturalmente diverse l’una dall’altra. La Lp(a) non ha distribuzione gaussiana e non esistono studi prospettici sui nessi tra variazioni della Lp(a) e variazioni di incidenza della cardiopatia ischemica o dell’aterosclerosi nelle nostre popolazioni. Inoltre i metodi di dosaggio non sono standardizzati. Pertanto, nonostante alcuni diversi pareri della letteratura, la lp(a) non può ancora essere considerata come un Fattore di Rischio in senso stretto, ne’ possono essere identificati valori di vera “normalità”. Dato pero’ il suo possibile ruolo aterogeno, trombogeno o antifibrinolitico, nel caso di riscontro occasionale di valori estremi di Lp (a) (ad es. >100 mg/dL), o di soggetti con ateromasia grave e precoce in assenza di alterazioni lipidiche e di altri fattori di rischio, è suggeribile l’invio presso centri ad alta specialità, ove il malato sarà studiato estensivamente e quindi anche per la possibile presenza di alterazioni genetiche della Lp(a). Le iper-Lp(a)emie potrebbero infatti spiegare molti casi di infarto miocardico in soggetti apparentemente “normolipoproteinemici”. L’assenza di misure di laboratorio affidabili e di mezzi terapeutici efficaci, consiglia comunque di non adottare (per ora) il dosaggio della Lp (a) negli screening di massa.. 9 Dieta il cui valore nella genesi delle ipercolesterolemie non è da enfatizzare: è ben noto che solo il 30% della varianza fenotipica totale del LDL-C è di orgine ambientale (20-25% dietetica) 6 4.4.8 Le iperlipoproteinemie secondarie. Sono elencate in Tabella 5: Ricordiamo che: a) nelle forme secondarie, e salvo casi particolarmente gravi, deve essere compensata la malattia di base prima di affrontare il problema terapeutico della iperlipoproteinemia; b) nel diabetico è particolarmente difficile stabilire “quando” e “di quanto” l’iperlipoproteinemia sia secondaria; visto l’elevato rischio cardiovascolare che comunque caratterizza l’associazione diabete-iperlipoproteinemia, è opportuno compensare con la dieta (ed eventualmente con i farmaci) entrambe le alterazioni. 4.4.9 Le ipoHDLemie (ipoalfalipoproteinemie). In corso di Ipertrigliceridemia Familiare, ipertrigliceridemie secondarie, diabete, sindrome plurimetabolica, etc., il riscontro di bassi livelli di HDL-colesterolo è molto frequente. Esistono inoltre situazioni in cui i bassi livelli di colesterolo sono trasmessi geneticamente e sono essi stessi causa di altre anomalie del metabolismo, tra cui l’aumento (non sempre costante) dei trigliceridi. La letteratura suggerisce che queste “ipoHDLemie” (primitive o associate a ipertrigliceridemia), siano particolarmente gravi sotto il profilo cardiovascolare. Attualmente non è proponibile una classificazione clinica che distingua le ipoHDlemie primitive da altre iperlipoproteinemie con riduzione delle HDL. Si suggerisce pertanto di valutare sempre il colesterolo HDL, tenendone conto a livello prognostico e terapeutico più che non a livello diagnostico, tranne che nel raro caso di una netta (<30 mg/dL) ipoHDLemia familiare non accompagnata da altre anomalie lipidiche, ma non per questo meno grave. Esistono d’altronde casi di iperHDLemie familiari (con valori di HDL-C superiori a 85-100 mg/dL), usualmente non gravi10 o addirittura abbinate a longevità. Il dosaggio dell’apo AI potrà, in futuro (e in presenza di una definitiva standardizzazione dei metodi) affiancare efficacemente l’HDL-C per l’identificazione di queste forme. 4.4.10 Le ipolipidemie Esistono numerose condizioni familiari in cui si riscontrano ridotti livelli di colesterolo totale (<<150 mg/dL) e LDL (<<80) e con colesterolo-HDL normale. Queste situazioni vengono usualmente classificate come “ipobetalipoproteinemie” (forma meno appariscente) e “abetalipoproteinemie” (forma più grave con LDL quasi assenti). Le ipocolesterolemie genetiche possono determinare ritardi dello sviluppo psicomotorio e veri deficit neurologici, nel bambino e nell’adulto. Sia le sintomatiche gravi, sia quelle, più frequenti, asintomatiche o paucisintomatiche, sono caratterizzate da assenza di ateromasia e, le seconde, addirittura da longevità. E’ probabile che solo i quadri più rari e gravi siano stati approfonditamente studiati anche in termini genetici e clinici, mentre che le informazioni sulle forme frustre siano meno dettagliate: cio’ consiglia prudenza prima di emettere “prognosi” eccessivamente favorevoli (longevità) o negative (rischio neurologico), in particolare in bambini e giovani adulti a- o pauci- sintomatici con livelli di colesterolemia border-line. 5.0. Prevenzione dell’ aterosclerosi: aspetti strategici L’aterosclerosi può e deve essere prevenuta, cercando di evitare o di ritardare la comparsa dell’ateroma o di di rallentarne l'evoluzione (prevenzione pre-primaria e primaria),, oppure di evitare l’insorgere delle complicanze cardiovascolari (prevenzione primaria) o il loro recidivare (prevenzione secondaria). Non è facile per il Medico pratico, misurare con precisione l’efficacia delle misure preventive, soprattutto se volte alla prevenzione primaria, così come è difficoltoso verificare la regressione della malattia, oggi inducibile con più mezzi farmacologici. Per queste e altre ragioni in medicina preventiva si preferisce adottare delle norme generali che siano di riconosciuta efficacia preventiva sulla maggioranza delle persone, mentre si lascia il controllo analitico dell’andamento della malattia solo ai casi più gravi (ad es. iperlipoproteinemie genetiche e pazienti in prevenzione secondaria). Possiamo comunque distinguere: a) la prevenzione primaria, volta alla riduzione sostanziale e permanente dei fattori di rischio, attuata attraverso indicazioni di educazione alla salute (e quindi non medicalizzante) e che ha come obiettivo tutta la popolazione adulta (e, in sede educativa istituzionale anche i bambini e i giovani). La prevenzione primaria e’ fondata principalmente sulla correzione soft, convincente e continua delle abitudini di vita, come quelle nutrizionali, l’attivita’ fisica, lo stress, il fumo, il sonno, e le “network-diseases” da abuso di input, in particolare audiovisivi. Potenzialmente utili alcuni farmaci, ma con rapporto costo/beneficio non sempre favorevoel. Ad essa puo’ inoltre essere abbinata la: b) diagnostica precoce dei fattori di rischio e delle iperlipoproteinemie genetiche: stratificazione dei pazienti in categorie di rischio tramite controllo della pressione arteriosa, rilievo di familiarità per iperlipoproteinemie, diabete, obesità e cardiovasculopatie precoci, fumo, esecuzione dell’assetto lipidico ed eventualmente di fibrinogenemia e glicemia, senza aggiungere altri costosi quanto inutili esami di laboratorio. Una visita con ricerca di polsi, soffi 10 salvo eccezioni, assolutamente infrequenti ma recentemente enfatizzate da parte della ltteratura 7 vascolari ed eventuali lesioni cutanee, completerà il quadro. Quando necessario, su una minoranza di pazienti, potrà poi seguire la: c) prevenzione secondaria e la diagnostica approfondita, sia di laboratorio sia strumentale, entrambe riservate ai malati già colpiti da infarto miocardico o ictus, con lesioni ateromasiche severe (anche asintomatici) e/o con iperlipoproteinemie genetiche (in questo caso anche se asintomatici o senza precedenti anamnestici). Il rapporto beneficio/costo della prevenzione secondaria appare nettamente superiore a quello di altre strategie preventive e terapeutiche, pertanto dovrebbe essere attuata in modo sistematico su tutti i pazienti sopra indicati. La prevenzione secondaria si fonda sulla stretta osservanza delle norme di prevenzione primaria affiancate alla terapia farmacologica ipolipidemizzante, ipotensiva, antitrombofilica, etc... I farmaci per uso preventivo devono essere somministrati cercando la dose efficace in funzione dell’azione desiderata sul fattore di rischio, e quindi controllandone gli effetti con le relative misure (di pressione, di laboratorio, etc), verificandone la tollerabilità, e, soprattutto, devono essere somministrati in modo cronico. In alcuni casi la terapia farmacologica andrà concordata con gli specialisti e/o attuata seguendo le linee guida e mantenuta con costanza e precisione. E’ infine essenziale ribadire che la terapia farmacologica e, nei più gravi, la scelta della LDL aferesi o della chirurgia vascolare, devono essere sempre decisi in base agli esiti della diagnostica strumentale. Appare pertanto evidente come la diagnosi e la terapia delle iperlipoproteinemie, necessariamente e principalmente finalizzate alla prevenzione primaria e/o secondaria dell’aterosclerosi e delle sue complicanze cardiovascolari, debbano rientrare in un ambito di Medicina Preventiva Clinica Integrata, e quindi debbano sempre tenere conto: a) della valutazione costante di tutti i principali fattori di rischio; b) della ricerca di una eventuale origine genetica dell’anomalia metabolica e della sua correzione; c) del riscontro clinico o strumentale di lesioni ateromasiche (o, in casi piu’ gravi, di precedenti eventi clinici con danno d’organo). La Figura 2 chiarisce questi concetti. I mezzi oggi disponibili per attuare la prevenzione primaria e secondaria sono numerosi e diversificati. Tra questi 5.1 La correzione delle abitudini alimentari L’obiettivo che essa si propone non è di imporre un certo regime alimentare (la “dieta”, usualmente seguita dal paziente per un mese o due), ma di correggere poco a poco gli errori nutrizionali maggiori di quel soggetto che, alla lunga, potrebbero agevolare l’ateromasia o una diatesi trombofilica11. Lo stesso termine “dieta” andrebbe, per quanto possibile, evitato. Non esiste infatti la “dieta” da applicare ai singoli casi, esiste piuttosto un modo sano di nutrirsi che, di base, puo’ considerarsi corretto per numerose situazioni diverse. La Tabella 8 riporta alcuni consigli per una sana alimentazione facilmente spiegabili ai cittadini. Concetto fondamentale da far comprendere al paziente è che dovrà seguire sempre un regime nutrizionale corretto, ma che in occasioni particolari potrà anche deviare da questi dettami ritornando per al più presto allo schema nutrizionale di base. Ricordiamo infatti che l’aterosclerosi è una malattia cronica per cui qualche deviazione momentanea dalla corretta alimentazione è ragionevolmente ininfluente sulla progressione del processo. Questo permetterà al paziente di affrontare il problema alimentazione in maniera più serena senza arrivare ad eccessi sia nel senso restrittivo che nel senso del completo abbandono del regime consigliato. L’utilizzo di schemi dietetici con il peso degli alimenti da consumare (e con l’indicazione a NON abbandonare mai la dieta, ovvero a evitare anche le “eccezioni”) va riservato ai con malattie del metabolismo particolarmente gravi (ad es. diabete, ipertrigliceridemia massiva, etc) o in situazione cardiovascolare già abbondantemente compromessa. In questi casi l’idea è: evitare che la dieta possa avere anche un effetto “scatenante” (come ad esempio nel caso della ipertrigliceridemia massiva e della pancreatite acuta). Accanto alle indicazioni alimentari generali (come da Tabella) nelle ipercolesterolemie può essere suggerito anche il consiglio di utilizzare prodotti a base di proteine di soya. E’ infatti dimostrato che le proteine di soya (ma non la lecitina) determinano una riduzione molto marcata dei livelli di colesterolemia totale e LDL (fino al 20-30%). Altra indicazione da utilizzare sistematicamente dovrebbe essere quella di bilanciare l’apporto di olii da condimento preferendo quelli ad alto tenore di ac. linoleico (olio di mais, meglio se addittvato di vitamina E), che, da solo può indurre una evidente riduzione della colesterolemia, e di ac. oleico (l’olio di oliva, ma extra-vergine e ben 11 Se, ad es., con un colloquio e fornendo materiale illustrativo o spiegazioni, si riesce a convincere una famiglia (o un soggetto) a consumare il 25% di burro in meno e a friggere due volte in meno al mese, avremo ottenuto, nel lungo termine, un beneficio superiore a quello derivante dalla “imposizione” a un membro della famiglia di uno schema dietetico “perfetto” ma seguito solo per qualche settimana una due volte l’anno. 8 selezionato). Potenzialmente utili anche l’eicosapentaenoico e il docosaesaenoico (dal pesce o da integratori dietetici) in particolare nelle ipertrigliceridemie. Si noti che i trials più recenti segnalano che ai fini della prevenzione cardiovascolare, in particolare nella donna, la quota lipidica totale (circa 30% delle calorie totali) non va ridotta ma redistribuita sostituendo i saturi, i grassi idrogenati e i trans con poli- e mono-insaturi. 5.2 I farmaci ipolipidemizzanti In Tabella 9 sono sinteticamente illustrati i principi attivi ipolipidemizzanti indicati nelle principali iperlipoproteinemie. La terapia delle iperlipoproteinemie severe associate ad altri fattori di rischio si basa comunque anche su altri farmaci: (ad es. ipotensivi e/o antitrombofilici), sebbene gli studi che dimostrino il maggior beneficio clinico delle associazioni sono tutt’ora pochi. Viceversa sono stati recentemente pubblicati i favorevoli risultati di numerosi trial sugli ipolipidemizzanti sia in prevenzione primaria e secondaria sia con verifica angiografica/strumentale della progressione/regressione della malattia. Gli studi, concordemente, dimostrano sia l’efficacia di questi farmaci (in particolare pravastatina e simvastatina) nel ridurre il numero di eventi cardio- e cerebro- vascolari indipendentemente dalla terapia associata (ad es. ipotensivi o antiaggreganti), sia la loro efficienza terapeutica. Sono in corso, e quindi in attesa di risultato, studi di prevenzione primaria e secondaria con le statine di più recente immissione in commercio (fluvastatina, atorvastatina e cerivastatina). Gli obiettivi di massima della terapia ipolipidemizzante sono: colesterolo totale <200 mg/dL, colesterolo LDL <130 mg/dL (<100 mg/dL nel postinfarto e in prevenzione secondaria), trigliceridi <200 mg/dL, HDL-C >45 (uomo) e >50 mg/dL. Detti obiettivi sono da raggiungere entro i primi sei-otto mesi di cura: le dosi e il tipo di farmaco (e le eventuali associazioni) possono essere assestati in relazione alla risposta individuale (almeno nei malti genetici e in primaria). Per la prevenzione secondaria i tempi in cui ottenere il goal sulle LDL si accorciano sensibilmente, infatti nei trials farmacologici i risultati sugli eventi cardiovascolari sono significativi già dopo i primi 6 mesi e il tipo di farmaco e le dosi dovrebbero essere più vicine possibile a quelle indicate dai trial (pravastatina: 40 mg; simvastatina: 20-40 (33 !) mg). I documenti più recenti sottolineano come, soprattutto nel caso delle LDL, il raggiungimento di questi valori sia essenziale in presenza di un elevato rischio cardiovascolare di base. In soggetti senza altri fattori di rischio, l’obiettivo puo’ essere leggermente meno impegnativo (e quindi più facile da raggiungere con basse dosi di farmaco). Rimandiamo alla lettura dei documenti originali per ulteriori dettagli; resta comunque il concetto di proporzionare la qualità e l’intensità della terapia al rischio individuale tenendo conto anche dei referti di eventuali accertamenti strumentali. La Legge ora in vigore (537 del 24/12/93) inserisce tra i farmaci salva vita o “documentatamente efficaci" del Nuovo Prontuario Terapeutico due nuove "voci" (13= ipercolesterolemie familiari; 14= iperlipemie familiari), ognuna corrispondente a alcune categorie di farmaci. Per i portatori di quelle malattie genetiche che rientrano sotto la voce 13 e/o 14 (le principali sono elencate in Tab. 10) l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria costituisce un diritto, anche se la norma di legge e’ nata con palesi finalita’ di contenimento della spesa farmaceutica. La regola generale di fondo da adottare per tutte le diverse condizioni cliniche su esposte è che la terapia sia cronica, le dosi (o le associazioni) adeguate e i controlli laboratoristici proposti con idonea scansione temporale (da pochi mesi, in fase iniziale di aggiustamento del farmaco, a una o due volte l’anno in terapia di mantenimento). Analogamente in prevenzione secondaria. Malati con entrambi le condizioni (iperlipoproteinemie genetiche in prevenzione secondaria) andranno guardati con particolare attenzione, senza esitare a ricorrere a misure terapeutiche o diagnostiche anche invasive. 5.3 La chirurgia e le procedure terapeutiche speciali: Il by-pass digiuno-ileale e lo shunt porto-cavale sono stati impiegati in passato per indurre una drastica riduzione della colesterolemia, ma risultano vie poco praticabili e da riservare a casi estremi; analogamente solo in casi estremi (omozigoti gravissimi, forme secondarie ad atresia delle vie biliari) si ricorrerà al trapianto di fegato. Di più frequente impiego sono invece gli interventi chirurgici destinati alla rimozione di stenosi potenzialmente infartigene (e non solo quelle emodinamicamente significative), come i by-pass, l’endoarteriectomia, l’angioplastica, lo stenting etc.. Vi è poi la LDL aferesi metodica non invasiva capace di rimuovere selettivamente le LDL inducendo regressione delle lesioni ateromasiche. Detto metodo è oggi disponibile in centri ad alta specializzazione abbastanza ben distribuiti sul territorio nazionale italiano. L’affinamento di queste ed altre delle tecniche semi invasive, i progressi in campo chirurgico (e della ormai nata chirurgia “micro”invasiva) sono tali da lasciar prevedere, per il futuro, un piu’ ampio ricorso a queste metodiche e un 9 miglioramento netto del loro rapporto beneficio/rischio e beneficio/costo in particolare nel caso specifico dei maschi adulti con iperlipoproteinemia familiari e nei non responder alla terapia farmacologica massimale. 6.0 Cenni sugli schemi di trattamento proposti dalle linee guida internazionali. Le linee guida internazionali (cfr. bibliografia essenziale) contengono molte indicazioni dettagliate atte a realizzare la miglior correzione possibile di tutti i fattori di rischio. La logica generale cui rispondono è la seguente : a) valutare il rischio globale del soggetto (tenendo presente che la coesistenza di più fattori è causa di moltiplicazione e non di sommazione del rischio) b) verificare l'esistenza di alcune priorità specifiche, stratificando i malati in categorie; ad esempio: 1) soggetti con CHD accertata o altre malattie vascolari aterosclerostiche; 2) soggetti asintomatici a rischio particolarmente elevato (iperlipoproteinemia genetica o severa, diabete, ipertensione, soggetti con fattori di rischio multipli); 3) relativi di primo grado di pazienti con esordio precoce di CHD 4) pazienti genericamente classificabili come a rischio maggiore di quello della popolazione di pari sesso ed età per sommazione di più fattori (fumo, pressione, iperlipoproteinemie, etc..) 5) l’intera popolazione di riferimento (sempre passibile di misure indirette di educazione alla salute e di verifica periodica dei Fattori di rischio). In realtà seguire analiticamente gli algoritmi decisionali delle linee guida e/o calcolare il rischio individuale secondo precise funzioni è particolarmente difficoltoso per l’ambulatorio non specialistico: i rilievi finora effettuati dicono che la maggior parte dei medici non riesce di fatto a trasferire nella sua pratica clinica quotidiana i dettami delle linee guida internazionali, e ciò rende più difficoltoso il raggiungimento dei nuovi obiettivi del Piano Sanitario Nazionale che in Italia, come in altri paesi europei, prevede come obbiettivo primario un marcato abbattimento dell’incidenza sia di infarto miocardico sia di ictus. Per questa ragione, in attesa di documenti nazionali semplificati, che entro il 2000 dovrebbero essere predisposti, si preferisce rinforzare solo i concetti strategici cardine per l’identificazione e la terapia delle iperlipoproteinemie. Si può infatti ad oggi stimare che se venisse migliorata (del 20-30%) la diagnostica precoce delle sole quattro iperlipidemie genetiche causa di precoci complicanze cliniche (ipercolesterolemia familiare eterozigote, ipercolesterolemia multigenica severa, iperlipoproteinemie familiare combinata e ipertrigliceridemia familiare) e se, su tutti gli altri cittadini, fosse migliorata del 20% la “stratificazione del rischio” al fine di riorientare le prescrizioni terapeutiche, ma possibilmente sulla base di algoritmi derivati da 10 Tabella I: Tipo di Obiettivo classificazione Fenotipica Suddividere “singoli pazienti” in relazione al fenotipo lipidico di laboratorio Epidemiologica Identificare gruppi di soggetti a diversa probabilità di sviluppare l’evento Metodologia base Campo d’applicazione Osservazioni clinica e Singolo misura di variabili in Paziente singoli soggetti o in piccoli gruppi Studi longitudinali in Intere popolazioni; popolazioni o applicazioni di modelli collettività statistici. Clinicogenetica Identificare malati (=portatori di precise anomalie genetiche); identificare quali fattori genetici sono abbinati all’evento o alla malattia Studio della famiglia; tecniche di biologia molecolare applicate a nuclei familiari o popolazioni. Clinicoterapeutica Misurare l’efficacia della terapia e identificare le caratteristiche del candidato alla terapia, ovvero di colui che può trarne il massimo vantaggio col minimo rischio13 Usualmente schemi sperimentali codificati secondo modelli standard (good clinical practice) Esempi di utilizzazione reale in campo lipidologico Classificazione di Fredrickson Classificazione di Stone e Thorp e altre POSSIBILE UTILITÀ CLINICOTERAPEUTICA ATTUALE Primo screening di malati a visite occasionali Non utile per inquadrare i fenotipi variabili – di dubbia utilità per l’inquadramento terapeutico Stratificazione del rischio e 1) prevenzione primaria e secondaria in identifica-zione di cut off popolazioni o in comunita’; 2) linee guida; 3) points adeguati per popolazioni prevenzione clinica integrata (vedi) (utilizzati in parte anche dal NCEP, dalla EAS, etc) “extraordinary Identificate e caratterizzate 1) prevenzione primaria e secondaria; 2) diagnostica precoce dell’aterosclerosi; 3) In phenotypes”12; numerose malattie genetiche Identificati numerosi geni Italia, secondo la vigente disciplina, esenzione nuclei putativi ateromasia e/o dalla partecipazione alla spesa sanitaria; 4) familiari; gruppi di trombosi e/o infarto miocardico prevenzione integrata popolazione o precoci di malati Casistiche Identificati i farmaci utili nella 1) Prescrizione terapeutica corretta; 2) In reclutate sulla prevenzione dell’infarto e/o Italia, secondo la vigente disciplina, esenzione base di precisi antiaterogeni (cfr. oltre). dalla partecipazione alla spesa sanitaria criteri di Per il futuro: identificare i inclusione / farmaci protettori di parete Esclusione14 12 Sempre i primi, e un tempo gli unici (!!) ad essere studiati. 13 Questa seconda finalità è stata ben poco ricercata. In realtà molti trials clinici cercavano esclusivamente di verificare l’effetto del farmaco (studi iatrocentrici e non antropocentrici) sui soggetti potenzialmente responder. 14 Sfortunatamente larga parte dei trials clinici ha accettato come criterio di inclusione maggiore la classificazione fenotipica (prima riga); in compenso l’esatta definizione delle categorie che beneficiano del trattamento sulla base di criteri e di cut off point precisi rende ben riproducibili, nel singolo paziente, i risultati ottenuti nel trial. 11 PER l’EDITORE: lasciare i BOLD TAB.2. Fattori di rischio (FR): Criteri di relazione causale e di rilevanza decisionale Definizione di FR RelazioneCausale Rilevanza decisionale SI SI Modesta Consistenza SI Modesta Dose/Risposta SI (?) Forza dell’associazione SI/NO SI Coerenza e plausibilità biologca Indipendenza SI SI NO Predittività SI SI SI Reversibilità NO In parte SI (irrinunciabile) Sequenza temporale SI SI (?) Specificità NO In parte NO 13 Tabella 3: differenze tra “fattore di rischio lipidico” e “iperlipoprotienemia” FATTORE DI RISCHIO LIPIDICO IPERLIPOPROTEINEMIA Utile per Popolazioni o gruppi di individui con comuni caratteristiche Singoli individui o famiglie Nesso con l’ateromasia coronarica Difficilmente quantificabile (dati ancora insufficienti) Preciso, noto e usualmente riproducibile, a parità di condizioni, in individui diversi Nesso con l’incidenza di infarto miocardico Usualmente ben definito e di natura Di tipo quasi deterministico probabilistica Nesso con l’età all’evento (i.m.) Variabile, poco studiato Usualmente costante entro limiti abbastanza ristretti Peso di altri fattori di rischio Sempre determinante nel definire il A volte ininfluente maggiori rischio finale reale di infarto m. Terapia Dieta e/o farmaci, secondo linee guida (Evidence Based medicine) Dieta più farmaci e/o terapia invasiva, secondo linee guida ma con personalizzazione della terapia; possibile LDL aferesi 14 Tab. 4: analisi di laboratorio suggerite per la valutazione delle iperlipoproteinemie; in neretto le analisi essenziali. Utilita’ nella valutazione clinico-genetica Utilita’ nella valutazione del rischio Utilita’ nel monitoraggio terapeutico (*) 290 (forme genetiche) 210 (prevenzione secondaria) 160-175 (a seconda della forma genetica) SI SI SI SI SI SI SI SI <35 SI SI SI > 250 (forme genetiche) SI SI SI SI SI ? Si ? SI SI Parametro Valori desiderabili (mg/dL) Soglia decisionale (mg/dL) (^) Apo AI Apo B-100 Colesterolo totale >130 <130 Adulti <200 Bambini <180 LDL Col. Adulto <130 < 100 in prev. sec. Maschi >40 Femmine >45 <300 <95 Non definibile <200 HDL Col. Fibrinogeno Glicemia Lp(a) Trigliceridi (“) le disposizioni CUF prevedono ulteriori criteri per la diagnosi definitiva e per l’adozione di misure terapeutiche a carico del SSN. (*) utili anche alcuni parametri di tollerabilità (ad es. CPK, morfologico, transaminasi, etc) 15 Tab. 5: Prevalenza e caratteristiche di base delle principali iperlipoproteinemie primitive Iperlipoproteinemie primitive Corrispondenza Corrispondenza Prevalenza con le classi di con le classi di nella Fredrickson rischio popolazion cardiovascolare e (*) Ipercolesterolemia familiare IIa Eccezionalmente 1/300elevato 1/500 Ipercolesterolemia IIa Variabile 1/25-1/50 multigenica Iperlipoproteinemia Normale, IIa, IIb, Eccezionalmente 1/100-1/50 familiare combinata IV elevato Iperlipidemia di tipo III III Eccezionalmente 1/10-5 elevato Iperlp(a)emie Possibile IIa Cfr. testo Cfr. testo Ipertrigliceridemia familiare IV-V Elevato 1/100 Ipertrigliceridemie (altre IV-V Non valutabile 1/10-3 forme) Iperchilomicronemia I Nessuno 1/10-6 massiva IpoHDLemie -Cfr. testo 1/500 Sindrome plurimetabolica IV (V) Elevato 1/100 Prevalenza tra i malati con infarto precoce 5-10% 20% 10-20% <<1% -2-5% 1-2% 0 Molto frequente Molto frequente (*) valori indicativi 16 Tab. 6. Principali fattori in grado di determinare iper (o ipo) lipoproteinemie secondarie Fattori comportamentali Lipidi alimentari (!) – Alcool (!) – Caffè – Fumo di sigaretta Vita sedentaria - 0besità –Anoressia nervosa Alterazioni metaboliche Diabete mellito scarsamente controllato (!) – Glicogenosi Ipercalcemia idiopatica Endocrinopatie Ipotiroidismo (!) – Ipopituitarismo – Acromegalia Morbo di Addison – Morbo di Cushing Condizioni parafisiologiche Gravidanza – Menopausa Malattie ematologiche Disgammaglobulinemia – Mieloma multiplo Porfiria acuta intermittente Malattie epatiche Cirrosi biliare primitiva – Colestasi – Epatite alcoolica Malattie renali Sindrome nefrosica – Insufficienza renale cronica Trapianto renale Farmaci Estrogeni – Progestinici – Androgeni – Corticosteroidi (!) Retinoidi B-bloccanti (!) – Tiazidici (!) Amiodarone – Fenotiazine – Ciclosporina – Interferone 17 Tab. 7: Caratteristiche cliniche delle iperlipoproteinemie principali Iperlipoproteinemie primitive Ipercolesterolemia familiare (eterozigote) Ipercolesterolemia familiare (omozigote) Ipercolesterolemia familiare combinata Ipercolesterolemia multigenica Iperlipoproteinemia tipo III Epoca di Sintomi/segni Complicanza piu’ comparsa frequente della iperlipidemia (^) Prenatale – Nessuno (talora Infarto miocardico 2 anni presenza di xantomi / ictus, altre / xantelasmi / poliartralgia) Prenatale Xantomi/xantelasmi/ Infarto soffi vascolari / altro miocardico/altre > 20 anni (^) Giovane adulto di Bambinogiovane Ipertrigliceridemia familiare > 20-30 anni Sindrome X metabolica Adulto Nessuno o Nessuno Xantomi palmari / xantomi in altre sedi / soffi vascolari Nessuno (possibili xantomi eruttivi) Paucisintomatica, salvo diabete Epoca di comparsa delle complicanze (*) >40 (m) >55 (f) 1-15 anni Infarto miocardico >40 (m) / ictus >55 (f) Infarto miocardico Variabile, spesso > 60 Infarto miocardico 10-30 / altre Pancreatite/vasculo > 65 patia periferica/ infarto miocardico/ ictus Infarto > 60 miocardico/PVD/al tre (^) il dato si riferisce al quadro lipidico conclamato e stabilizzato. Variazioni transitorie dei lipidi possono essere osservate soprattutto sotto stress metabolico, dietetico o endocrino, anche in epoche precedenti. (*) il dato è indicativo; nelle donne l’età di comparsa e’ spesso piu’ avanzata. 18 Tab. 8: Indicazioni generali per una sana alimentazione (Esempio di tabella potenzialmente distribuibile ai pazienti) Utilizzare molti carboidrati complessi (pane, pasta, riso, etc.) – non abusare di zuccheri semplici, ne’ di dolcificanti (salvo indicazione specialistica). Il 50-55% delle calorie totali giornaliere deve essere fornito da cardoidrati Il 30% delle calorie puo’ essere fornito dai grassi, ma solo 1/3 di questi deve essere costituito da grassi saturi (di origine animale). Condire con olio di mais e d’oliva senza abusarne (tutti gli oli hanno altissimo contenuto calorico). I grassi del pesce possono essere utili. Evitare di friggere e non riutilizzare mai l’olio fritto Bilanciare l’apporto proteico complessivo (18-20% delle calorie totali) tra proteine vegetali (legumi) e animali (carne e pesce) Inserire cibi ricchi in fibre. Utilizzare il vino con moderazione (ad es. 400-500 ml di vino da tavola al di’ per un uomo adulto), evitando i superalcoolici. Non invitare mai i giovani ad assumere alcoolici. Non utilizzare troppo sale. Preparare buoni sughi utilizzando il pomodoro, spezie, aromi, olio, vegetali e, in piccola quantita’, anche carne, evitando di soffriggere. Evitare i “dietetici”, salvo precise indicazioni terapeutiche ed evidenza di efficacia. Il Medico deve porsi il problema di quali dietetici siano documentatamente utili (alcuni lo sono) Evitare diete monotone e cambiare spesso i cibi, preferendo quelli freschi. Frazionare i pasti nella giornata (almeno: colazione, pranzo e cena). Insegnare a chi e’ in cucina a dedicare alla amorevole preparazione dei cibi il tempo necessario, curando la ricerca del “buon sapore”, e non solo della “dieteticità” Non abbinare al pranzo (salvo quando assolutamente necessario) l’uso di farmaci. Spegnere la televisione quando si mangia. Lasciare che il paziente assesti da solo le proprie abitudini, ma essere pronti, nelle visite di controllo e mediante l’anamnesi alimentare, a correggere eventuali errori residui Quando possibile (ovvero nella stragrande maggioranza dei casi) dare indicazioni nutrizionali generali uguali per tutti e ugualmente applicabili per l’intera Famiglia Insegnare al paziente a gustare quello che mangia e non mandarlo a tavola per “punizione”. Non adottare per gli anziani regole più restrittive rispetto a quelle sopra indicate, salvo casi particolari 19 Tabella 9: farmaci suggeriti nella terapia delle iperliporpoteinemie (ac. nicotinico e suoi i derivati non sono inclusi in quanto non risultano disponibili in Italia). Iperlipoproteinemie Dieta primitive Ipercolesterolemia familiare P. dietoresistenti. La dieta va comunque (eterozigote) prescritta. Possibile uso terapeutico di diete ad alto tenore di proteine di soya, in particolare nei giovanissimi. Ipercolesterolemia familiare P. dietoresistenti. La dieta va comunque (omozigote) prescritta Ipercolesterolemia familiare Pochi dati corretti disponibili. Dieta combinata prudente mediterranea (saturi < 10%) Ipercolesterolemia multigenica Farmaci Possibili associazioni. Nota (^) Statine (a dosi medie o alte) Resine a scambio ionico (dosi alte) Suggeribili le associazioni: Resine + statine a bassa dose oppure resine + fibrati/probucolo. Possibile la LDL aferesi 13 Scelta dei f. da affidare a centri specialistici. Possibile utilizzo delle statine Fibrati e/o statine, in relazione al fenotipo “contingente” o prevalente. Attesi trials. Quasi sempre necessaria l’associazioni di più farmaci e la la LDL aferesi Utile l’associazione resine + fibrati. Con prudenza pravastatina o fluvastatina + fenofibrato o bezafibrato. Forse possibili altre combinazioni Di solito non necessarie 13 e DM 1-2-91 13 e 14 Ridurre i saturi (<10%), aumentare i Statine a bassa dose 13 polinsaturi (7-10%). Possibile impiego Resine a scambio ionico (dosi medie) proteine di soya o sitosteroli. Iperlipoproteinemie Possibile impiego poli-insaturi omega 6 e Correggere prima la malattia di base (cfr. testo) NO secondarie omega 3 Iperlipoproteinemia di tipo III Utile dieta prudente generica. Scelta dei f. da affidare a centri specialistici Spesso utili piu’ farmaci e forse le procedure 13/14 e DM 1e I, ipohdlemie, iperlp(a)emie, afereiche, 2-91 altre Ipertrigliceridemia familiare Dieta ipolipidica, no alcool, no zuccheri Fibrati Di solito non necessarie 14 semplici. Potenziale uso omega 3. Utile comunque bilanciare saturi e polinsaturi. Ipertrigliceridemie massive, Diete speciali con trigliceridi a catena media Fibrati Fibrati + EPA/DHA a dosi farmacologiche ? 14 forme farma-coresistenti Sindrome plurimetabolica Dieta complessa, adeguata alle Fibrati Da valutare caso per caso 14 caratteristiche del singolo paziente. Attività fisica Tutte le ipercolesterolemie, - Pravastatina 40 mg/die o Simvastatina 20-40 Nota 13 compresa la forma combinata, mg/die, in attesa di trials su altri farmaci modificata in prevenzione secondaria. Tutte le ipertrigliceri-demie e Dieta prudente con adeguato consumo di Fibrati (??) NO i pazienti con ridotte HDL, in olio; utile impiego omega 6, possibile prevenzione secondaria impiego omega 3, attività fisica Resine= resine a scambio ionico; statine= atorvastatina, cerivastatina, fluvastatina, (lovastatina, non in italia) pravastatina, simvastatina,; fibrati=bezafibrato, gemfibrozil, procetofene (fenofibrato). EPA = eicosapentaenoico (e altri acidi grasssi poliinsaturi), presenti in commercio come farmaco e come dietetico, in preparazioni con caratteristiche diverse. (^) voce di corrispondenza del nuovo prontuario terapeutico ai cui sensi il farmaco puo’ essere prescritto in esenzione dalla spesa sanitaria (*) minori evidenze di efficacia oppure uso riservato a casi particolari. (?) attese conferme dalla letteratura 20 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE – LETTURE CONSIGLIATE Ricci G., Urbinati G.C. (eds). Consensus Conference italiana 1986-1996: abbassare la colesterolemia per ridurre la cardiopatia ischemica. CIC Edizioni internazionali, Roma (1997). 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