aumento di capitale e determinazione del prezzo delle azioni di

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AUMENTO DI CAPITALE E DETERMINAZIONE DEL PREZZO DELLE AZIONI DI
NUOVA EMISSIONE
Le Società, 7 / 2002, p. 828
Capitale sociale
AUMENTO DI CAPITALE E DETERMINAZIONE DEL PREZZO DELLE AZIONI DI NUOVA EMISSIONE
Gianfilippo Scifoni e Piero Alonzo
L'analisi propone un approfondimento in merito alla corretta determinazione del prezzo di emissione delle
azioni nel quadro di un aumento di capitale a pagamento, a fronte di un'operazione di conferimento in
natura. In particolare, viene valutata la possibilità di procedere all'emissione delle nuove azioni al valore
nominale, senza emersione contabile del sovrapprezzo.
Sommario: Compiti degli organi societari ex art. 2441 c.c. - Il meccanismo del sovrapprezzo Limiti alla determinazione del prezzo di emissione - Modalità operative per l'emersione del
sovrapprezzo - La prassi contabile internazionale sul sovrapprezzo
In occasione di un'operazione di conferimento di beni in natura, l'aumento di capitale cui la società
conferitaria è tenuta a procedere - a fronte degli apporti ricevuti dai soggetti (persone fisiche e/o
giuridiche) conferenti - è disciplinato dagli artt. 2343 e 2441, quarto e sesto comma, c.c.
Tralasciando i precetti normativi sanciti dall'art. 2343 c.c. - riguardanti, in primis, la congruità del bene
conferito rispetto all'aumento di capitale deliberato quale corrispettivo - si propone di seguito un
approfondimento in merito alla corretta determinazione del prezzo di emissione delle azioni in sede di
aumento di capitale sociale da parte della società conferitaria.
L'art. 2441, quarto comma, c.c., riguardo all'aumento di capitale da liberarsi a fronte di un conferimento
in natura, prevede espressamente l'esclusione del diritto di opzione (ordinariamente sussistente a favore
dei soci preesistenti) e il successivo sesto comma impone agli amministratori la redazione di una
«apposita relazione» dalla quale devono risultare le ragioni del conferimento, nonché i criteri adottati per
la determinazione del prezzo di emissione. In linea generale, è bene sin da ora precisare che, ai fini della
quantificazione del prezzo in questione, occorre fare riferimento al valore del patrimonio netto inteso
nella corrispondente espressione economica (anziché in quella meramente civilistico-contabile) [1]
tenuto conto, per le società emittenti azioni negoziate in mercati regolamentati, dell'andamento fatto
registrare dalle relative quotazioni nel corso dell'ultimo semestre [2].
Compiti degli organi societari ex art. 2441 c.c.
La fissazione del prezzo di emissione delle nuove azioni da liberare a fronte di un conferimento in natura
è rimessa alla volontà dell'assemblea dei soci, laddove i criteri di determinazione sono inizialmente
proposti dagli amministratori e, in seguito, sottoposti ad un giudizio di congruità ad opera del collegio
sindacale ovvero, per le società quotate, della società di revisione.
Gli amministratori, più precisamente, devono illustrare i criteri da seguire per la determinazione del
prezzo di emissione delle azioni e, altresì, individuare un valore minimo cui fare a tal fine riferimento, nel
rispetto dei parametri fissati dall'art. 2441, sesto comma, c.c.
A loro volta, i sindaci (ovvero la società di revisione) devono esprimere il loro parere sulla congruità dei
valori in tal modo determinati, ove quest'ultima rappresenta la misura della rispondenza dei criteri
adottati dagli amministratori rispetto ai canoni di valutazione metodologicamente corretti e fondati su
dati e assunzioni dotati di un appagante grado di attendibilità. Il parere di congruità richiesto al collegio
sindacale (ovvero alla società di revisione) non sembra avere ad oggetto (quanto meno ad oggetto
esclusivo) la valutazione della «perdita» sofferta dal socio a causa della privazione del diritto di opzione,
ma piuttosto la compatibilità del prezzo di emissione delle azioni con il relativo valore effettivo o di
mercato, secondo i criteri indicati dagli amministratori nella loro relazione [3].
L'assemblea, di fatto, deve stabilire il prezzo di emissione delle azioni alla stregua delle valutazioni
elaborate dagli amministratori e ritenute congrue dal collegio sindacale (ovvero dalla società di revisione)
ed è libera di scegliere, nell'ambito dei valori così individuati, quello ritenuto più conveniente, pur nel
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limite dei parametri che la legge espressamente impone.
La ratio della disposizione in argomento - premettendo considerazioni in seguito ulteriormente sviluppate
- è quella di tutelare (in un'ipotesi di esclusione ex lege del diritto di opzione, quale quella che ricorre in
sede di sottoscrizione di nuove azioni emesse a fronte di un conferimento in natura) gli interessi dei soci
di minoranza attraverso la considerazione, nella fase di determinazione del prezzo di emissione, del
valore economico maturato sino alla data di aumento del capitale.
Conseguentemente, come già osservato, nella determinazione del prezzo di emissione occorre prendere
a base il valore economico della società conferitaria e considerarne, nel caso di società quotate,
l'andamento registrato in Borsa nell'ultimo semestre. Questo significa che la delibera di aumento del
capitale sociale deve prendere atto dello scostamento tra il valore nominale delle azioni ed il loro valore
effettivo, che, nel linguaggio contabile e giuridico, prende il nome di sovrapprezzo [4].
La giurisprudenza, al riguardo, ha in più occasioni sottolineato l'esigenza di tutelare i vecchi azionisti
attraverso la determinazione di un sovrapprezzo di emissione, la cui definitiva quantificazione è, come
sopra precisato, di competenza dell'assemblea.
A tal fine, l'elaborazione giurisprudenziale di riferimento ritiene la fissazione di tale sovrapprezzo
obbligatoria, al precipuo scopo di evitare che il plusvalore del capitale sociale sia disperso
proporzionalmente a vantaggio dei nuovi soci [5]. Il sovrapprezzo mira, in effetti, ad impedire che i terzi
conferenti (diventati nuovi soci per effetto del conferimento) sottoscrivano azioni di nuova emissione il
cui valore nominale sia inferiore a quello attribuibile in base al valore effettivo [6], il quale, tra l'altro,
tiene conto delle riserve e degli utili accumulati nei precedenti esercizi grazie anche al «sacrificio» dei
vecchi azionisti.
Individuata in tal modo la ratio della norma in esame, la giurisprudenza e, altresì, una parte della
dottrina arrivano a concludere nel senso dell'obbligatorietà della fissazione del sovrapprezzo [7].
Occorre, peraltro, rilevare come (a testimonianza del non univoco orientamento dottrinario registrabile in
merito) vi sia una corrente di pensiero - altrettanto qualificata - che non si mostra, in linea di principio,
contraria all'eventualità che la determinazione del prezzo di emissione delle azioni destinate al conferente
non sia accompagnata dall'emersione di un sovrapprezzo.
Il meccanismo del sovrapprezzo
Appare opportuno ribadire che la discussa questione dell'obbligatorietà dell'emersione del sovrapprezzo,
in occasione di un aumento di capitale a servizio di un conferimento in natura, si pone in quanto - ai
sensi dell'art. 2441 c.c. - qualora l'aumento di capitale sociale avvenga attraverso un'operazione di
conferimento, si verifica, quale automatica conseguenza legislativamente prescritta, l'esclusione del
diritto di opzione a favore dei soci preesistenti.
Il legislatore, attraverso la previsione del sovrapprezzo, ha inteso, in effetti, istituire un meccanismo che
consentisse la tutela dei diritti patrimoniali dei soci preesistenti anche nell'ipotesi di esclusione del diritto
d'opzione in loro favore.
La giustificazione logicamente sottesa allo strumento del sovrapprezzo può essere efficacemente
sintetizzata in tal modo: poiché ogni azione rappresenta virtualmente una quota del patrimonio sociale e
non soltanto del capitale sociale, si realizzerebbe una sperequazione se i nuovi soci, col semplice
versamento del valore nominale delle nuove azioni, fossero ammessi a partecipare della situazione
economica vantaggiosa che essi trovano nella società; di qui l'espediente (di ordine economico)
rappresentato dal versamento del sovrapprezzo [8].
La funzione del sovrapprezzo, ad avviso della dottrina maggioritaria, consisterebbe, in altre parole, nel
mantenere inalterato il rapporto tra capitale sociale e patrimonio sociale (quest'ultimo da intendersi nella
sua espressione economica) in modo che il valore delle partecipazioni dei vecchi azionisti non ne risulti
ingiustificatamente diluito [9].
Il meccanismo del sovrapprezzo, come descritto in precedenza, è formalmente sancito dall'art. 2441 c.c.
che, al sesto comma, prevede, nell'ipotesi di un aumento di capitale deliberato a servizio di un
conferimento in natura, che il prezzo di emissione delle azioni di nuova emissione sia determinato «(...)
in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in Borsa, anche
dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre».
La formulazione letterale della norma dischiude, per la verità, perplessità e incertezze interpretative in
merito alla definizione del prezzo di emissione delle azioni [10].
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La dottrina appare decisamente concorde nel ritenere che i criteri previsti dal legislatore del codice civile
per la determinazione del prezzo in parola attribuiscano all'assemblea dei soci un certo margine di
flessibilità.
Tale orientamento trova il suo fondamento principalmente nella lettera della norma che sembra dettare
dei parametri non strettamente vincolanti, o, ad ogni modo, meno stringenti rispetto a quelli contemplati
da altre disposizioni codicistiche concernenti la determinazione del valore del patrimonio sociale [11].
L'utilizzo della locuzione in base, preferita ad altre già adoperate dal legislatore, quale, ad esempio, in
proporzione (art. 2437 c.c.), nonché l'indicazione di tenere conto, per le società con azioni quotate,
anche dell'andamento dei corsi borsistici, hanno indotto gli interpreti ad individuare la concessione
all'assemblea di un certo ambito di discrezionalità riguardo alla decisione in esame [12].
Un ulteriore argomento a sostegno della tesi appena descritta può essere rinvenuto nel fatto che la
riforma del 1986 (attuata con il D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30) [13] - che ha, tra l'altro, modificato il
testo dell'art. 2441, sesto comma, c.c. - ha espressamente disposto l'indicazione, nella relazione all'uopo
predisposta dagli amministratori, dei criteri seguiti nella determinazione del prezzo di emissione delle
azioni.
La dottrina, pertanto, ha quasi unanimemente interpretato la suddetta previsione quale ulteriore
conferma dell'elasticità concessa dal legislatore agli amministratori nella definizione dei criteri di
determinazione del prezzo delle azioni di nuova emissione e all'assemblea nella fissazione del medesimo.
Se, infatti, la disposizione in parola dovesse interpretarsi nel senso di non lasciare alcun margine di
discrezionalità agli amministratori, ci si è autorevolmente domandati [14] per quale ragione la legge
abbia loro imposto di illustrare i criteri adottati nella determinazione del prezzo di emissione delle azioni.
Il margine di discrezionalità individuato dalla dottrina trova, comunque, il proprio limite nel necessario
riferimento al valore del patrimonio netto, che costituisce il criterio primo e fondamentale ai fini della
definizione del prezzo in oggetto [15].
Limiti alla determinazione del prezzo di emissione
Una volta stabilito che il valore del patrimonio netto rappresenta il principale termine di riferimento posto
dalla norma in esame, nell'intorno del quale è consentito un certo margine di manovra nella fissazione
del prezzo di emissione delle azioni, si pone il problema della legittimità di una delibera assembleare che,
nella decisione in esame, si discosti dal valore del patrimonio netto. Occorre, pertanto, delineare
adeguatamente i confini dell'ambito di flessibilità concesso dalla predetta norma [16].
La dottrina largamente prevalente ritiene che nella disposizione in esame non sia ravvisabile
l'individuazione di un limite superiore alla fissazione del sovrapprezzo, con la conseguenza che la società
sarebbe libera di elevare il sovrapprezzo fino al massimo economicamente conseguibile [17].
D'altro canto, appare ragionevole riconoscere come il prezzo corrispondente al valore patrimoniale
rappresenta, solo tendenzialmente, un limite inferiore: la società ben potrebbe scendere al di sotto di
quest'ultimo, qualora ciò si rivelasse necessario, ad esempio, per il collocamento delle azioni [18] e, in
tal modo, per rendere le stesse «competitive» sui mercati.
Tale facoltà emerge direttamente dalla formulazione letterale del testo della disposizione codicistica che,
come già sottolineato, non prescrive vincoli particolarmente rigidi al riguardo.
In tal senso l'interesse della società al buon esito dell'operazione di aumento di capitale costituirebbe un
sufficiente motivo di valida deroga al limite tendenzialmente inferiore sancito dalla norma.
A tale riguardo, è opportuno rilevare come, in linea di principio, nelle operazioni aventi ad oggetto il
collocamento dei titoli azionari sul mercato le condizioni di emissione delle azioni debbano incontrare il
favore dei soggetti interessati, i quali, altrimenti, non procedono all'operazione [19] (sebbene
nell'operazione di conferimento tale problema sia meno evidente dal momento che le azioni sono
riservate al soggetto conferente).
Una posizione dottrinale più intransigente ritiene, peraltro, che il valore patrimoniale delle azioni
costituisca il limite inferiore al di sotto del quale non appare legittima la determinazione del prezzo di
emissione [20].
Tale tesi si basa sulla considerazione secondo la quale difficilmente è rintracciabile un interesse in
presenza del quale gli organi sociali potrebbero procedere alla fissazione di un prezzo di emissione
inferiore al valore patrimoniale delle azioni, dal momento che ciò consisterebbe in una palese
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sopraffazione degli interessi patrimoniali dei vecchi soci, la cui tutela ha ispirato la disposizione
normativa in oggetto [21].
Da tali considerazioni emerge chiaramente la mancanza di una pacifica posizione dottrinaria circa la
latitudine dell'ambito di discrezionalità concesso dal legislatore ai fini della determinazione del prezzo
delle azioni di nuova emissione.
La tesi maggiormente accreditata individua nel valore del patrimonio netto il limite tendenzialmente
inferiore del prezzo di emissione delle azioni, al di sotto del quale la società può lievemente spingersi,
purché in presenza di un adeguato interesse, peraltro non ben definito, che giustifichi il sacrificio
patrimoniale che ne risulterebbe per i soci preesistenti.
Al predetto limite inferiore non si contrappone, come detto, alcun limite superiore, poiché si riconosce
alla società la facoltà di estendere il prezzo in parola sino al massimo conseguibile, coniugando, in tal
modo, la tutela degli interessi patrimoniali dei vecchi soci con l'interesse sociale alla massima
valorizzazione del patrimonio.
A supporto di quanto sin qui argomentato, è da rilevare, inoltre, che, stante la ratio della norma in
commento, finalizzata a non recare pregiudizio ai vecchi azionisti che vedrebbero penalizzata la loro
posizione con una distribuzione implicita di riserve ad un soggetto terzo (nella specie il conferente), ciò
che sembra significativo è non tanto il rapporto tra valore reale delle vecchie azioni e prezzo di emissione
delle nuove azioni quanto, piuttosto, la conservazione dell'equivalenza di valori effettivi tra ciò che viene
conferito e ciò che viene assegnato a seguito del conferimento.
In altre parole, ciò che assume rilievo, in virtù della norma in discorso, è il mantenimento dell'equilibrio
tra il costo sostenuto dal soggetto (conferente) beneficiario dell'aumento di capitale a lui riservato ed il
sacrificio sopportato dai vecchi soci esclusi dalla possibilità di partecipare all'aumento.
In definitiva, occorre sottolineare che i problemi legati ad un'operazione di aumento di capitale a servizio
di un conferimento di beni in natura, relativamente alla definizione del rapporto tra il valore dei beni
conferiti ed il valore delle azioni emesse in corrispettivo, non sembrano differire dai problemi che si
pongono in sede di determinazione del rapporto di concambio in occasione di operazioni di fusione per
incorporazione o scissione, ove, secondo un costante orientamento interpretativo, non si rende
necessaria l'emersione nella contabilità della società incorporante o della beneficiaria dell'eventuale
maggior valore acquisito rispetto a quello contabile.
A sostegno di tale ultima considerazione, si pone un'ulteriore argomentazione che prende le mosse
dall'esplicita formulazione dell'art. 2343 c.c.
A norma di tale articolo l'esperto nominato dal presidente del Tribunale deve attestare che il valore del
bene «non è inferiore al valore nominale, aumentato dell'eventuale sopraprezzo, delle azioni emesse a
fronte del conferimento».
Dalla considerazione del tenore letterale della disposizione emerge come non sia da escludere che
l'emissione di nuove azioni al valore nominale possa combinarsi con il corretto adempimento del dovere
di attestazione imposto al perito dalla norma in parola. Ciò laddove si ritenga che la suddetta
attestazione e la seguente assunzione di responsabilità da parte del perito implichino una connessione,
anche solo formale, tra il valore oggettivo del bene indicato nella perizia ed il prezzo di emissione delle
azioni, comprensivo, dunque, di valore nominale ed eventuale sopraprezzo.
Modalità operative per l'emersione del sovrapprezzo
Si pone a questo punto l'ulteriore questione di verificare le concrete modalità operative attraverso le
quali consentire l'emersione di tale sovrapprezzo in occasione dell'aumento di capitale deliberato a fronte
di un'operazione di conferimento in natura.
Si tratta, in altre parole, di appurare se gli interessi e le legittime aspettative dei soci, specie di quelli di
minoranza, possano ritenersi sufficientemente soddisfatte dalla determinazione di un congruo
sovrapprezzo in seno alla delibera assembleare di aumento del capitale o se, invece, non si renda
necessario, al fine di garantire una più adeguata tutela alle predette istanze, l'esplicita emersione di tale
posta contabile in sede di bilancio.
Neanche in relazione a tale ultimo punto, peraltro, è possibile registrare un orientamento
sufficientemente definito da parte della dottrina. La maggior parte degli autori si limita, in effetti, a
sottolineare l'obbligatorietà dell'emersione del sovrapprezzo in contesti analoghi a quello di cui trattasi,
del resto in perfetta aderenza con la giurisprudenza dominante, senza porre l'accento sull'ulteriore
questione dell'imputazione di tale plusvalore in bilancio.
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È doveroso segnalare l'esistenza di un circoscritto, ma al tempo stesso autorevole, indirizzo dottrinario
che sostiene la necessità di fare emergere esplicitamente in bilancio il sovrapprezzo deliberato in sede di
aumento del capitale sociale conseguente a un conferimento in natura, quasi che si venisse a realizzare
un transito automatico di tale surplus dalla sede assembleare a quella del progetto di bilancio di esercizio
[22].
Tuttavia, si rende necessario compiere un'ulteriore riflessione, al fine di evitare conclusioni affrettate che
rischierebbero di rivelarsi incomplete, attesa, si ribadisce, la mancanza di un consolidato orientamento
giurisprudenziale e dottrinario in merito alla questione in parola.
È appena il caso di rilevare come nell'ipotesi - affine a quella oggetto di discussione - di aumento di
capitale mediante sottoscrizione in denaro, l'operazione può realizzarsi esclusivamente con
l'evidenziazione di un sovrapprezzo da indicare nell'apposita posta del patrimonio netto [23].
Nella diversa eventualità di un aumento di capitale a servizio di un conferimento in natura, al contrario,
non appare irragionevole ritenere che il valore economico e l'andamento di Borsa dei titoli possano
essere considerati nella determinazione del prezzo di emissione, senza, peraltro, essere espressi in una
specifica posta di patrimonio netto, procedendo di tal guisa ad un aumento di capitale sociale al
nominale.
Sembrerebbe, infatti, possibile tenere conto - in sede di relazione degli amministratori - del valore
economico della società conferitaria al fine della determinazione del prezzo di emissione ed allo stesso
tempo non prevedere alcuna allocazione contabile a titolo di sovrapprezzo.
La relazione degli amministratori dovrà in tal caso, comunque, considerare il valore di mercato delle
azioni della società conferitaria al fine della determinazione del numero di azioni - da emettere al valore
nominale - riservate ai nuovi soci in funzione del valore periziato dei relativi conferimenti.
Tale linea di condotta permetterebbe, a ben vedere, di non pregiudicare i diritti dei soci di minoranza:
questi ultimi, in effetti, vedrebbero pur sempre riconosciuto nell'aumento di capitale il valore economico
maturato dalla società sino a tale data [24].
La prassi contabile internazionale sul sovrapprezzo
La legittimità - pur con le precisazioni ricordata - di tale pratica appare ulteriormente confermata dai
recenti sviluppi della prassi contabile internazionale in tema di trattamento contabile del sovrapprezzo.
Come si è più volte ricordato, la ratio della norma [25] in questione - relativamente all'aumento di
capitale eseguito a servizio di un conferimento di beni in natura - va rintracciata principalmente
nell'esigenza di tutelare i soci (in specie quelli di minoranza) privati ex lege del diritto di opzione, che a
seguito di tale operazione assistono alla diluizione della misura della propria partecipazione.
La riduzione della percentuale di partecipazione al capitale sociale è, peraltro, controbilanciata
dall'incremento patrimoniale in precedenza indicato che dovrà essere considerato nella valutazione del
prezzo di emissione delle azioni.
Come appena detto, pare ragionevole sostenere che tale ultima garanzia possa essere ottenuta anche
senza l'evidenziazione del sovrapprezzo, ovvero senza l'emersione contabile del premio che i soggetti
conferenti versano nelle casse della società conferitaria a tale titolo.
Ci si riferisce, più precisamente, all'ipotesi in cui il conferimento venga effettuato a valori di libro e
l'emissione delle nuove azioni, conseguentemente, avvenga al nominale: una tale pratica deve, senza
alcun dubbio, essere ritenuta legittima, purché gli amministratori - nel determinare il rapporto di
concambio tra il valore delle azioni emesse e quello dei beni ricevuti in conferimento - tengano
adeguatamente conto dei rispettivi valori reali (cd. valori «correnti») e ne forniscano una debita
descrizione nella relazione di accompagnamento all'operazione di conferimento.
Un tale operato - se può far sorgere qualche dubbio di legittimità in considerazione del consolidato
orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto - è pienamente riconosciuto e ammesso dalla prassi
contabile internazionale.
I principi contabili internazionali recepiti nel nostro ordinamento [26] prevedono tale possibilità, non
ponendo a carico della società conferitaria alcun obbligo di evidenziazione nel proprio patrimonio netto di
una riserva in cui allocare il sovrapprezzo delle azioni di nuova emissione [27].
Va al riguardo sottolineata - in considerazione dell'autorevolezza della fonte - la recente introduzione di
nuove regole contabili che forniscono un'ulteriore conferma della legittimità della pratica descritta.
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Nel mese di giugno 2001, più in dettaglio, l'organismo di regolamentazione contabile statunitense
(Financial Accounting Standard Board - F.A.S.B.) ha approvato due principi contabili che non
mancheranno di incidere sensibilmente sui bilanci delle imprese nordamericane in occasione della
contabilizzazione di operazioni di concentrazione aziendale (cd. business combinations).
I citati principi [28] prevedono rispettivamente che le operazioni di acquisizione societaria, fusioni,
conferimenti, etc., devono essere rilevate a valori correnti [29] con l'emersione dei maggiori valori delle
attività e delle passività rispetto ai valori storici di libro e con l'imputazione dell'eventuale ulteriore
differenza ad avviamento il quale non dovrà più essere ammortizzato sistematicamente, ma rettificato
solo in caso di riduzione di valore [30].
Anche se la posizione americana sembra discostarsi dalla prassi internazionale (che, mediante il «pooling
of interests method», prevede l'iscrizione delle attività e delle passività a valori di libro, senza la
rilevazione dell'avviamento) l'affermazione del principio per cui in ipotesi di conferimenti in natura
l'eventuale eccedenza del valore delle azioni emesse rispetto al valore nominale debba essere
direttamente imputata ad avviamento, rappresenta un'altra attestazione tesa a smentire quella parte
della dottrina che sostiene la necessità che tale surplus, qualora rilevato, debba transitare per l'apposita
riserva sovrapprezzo [31].
A ben vedere, un'altra conferma della possibilità di procedere in una tale ipotesi a un aumento di capitale
al nominale si trae dalla considerazione del profilo fiscale dell'operazione.
Occorre in proposito accennare brevemente al regime fiscale opzionale previsto con riferimento ad
operazioni di conferimento di partecipazioni societarie di controllo o di collegamento [32], applicabile
ogniqualvolta tra i soggetti coinvolti nell'operazione di conferimento non rientrino persone fisiche.
Il D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 [33], consente in merito, al verificarsi di precise condizioni, l'adozione di
un regime tributario sostitutivo delle imposte sui redditi, mediante applicazione di un'imposta sulla
plusvalenza realizzata con aliquota del 19% [34].
In particolare, il valore di realizzo, ai fini della determinazione della base imponibile cui applicare
l'imposta in parola, può essere determinato mediante il c.d. «metodo a valori fiscalmente riconosciuti»,
che consiste nel prendere a riferimento, quale valore di realizzo, il valore «attribuito alle partecipazioni,
ricevute in cambio dell'oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, se
superiore, quello attribuito all'azienda (...) conferite (conferita, n.d.a.) nelle scritture contabili del
soggetto conferitario» [35].
Il rilievo di tale ultima disposizione ai fini della questione sinora esaminata appare di tutta evidenza.
Il tenore letterale, infatti, testimonia con chiarezza come, almeno da parte del legislatore fiscale, venga
ammesso - ai fini della determinazione del valore di realizzo necessario per la determinazione
dell'eventuale plusvalenza tassabile - che le partecipazioni attribuite al conferente in cambio dell'apporto
effettuato possano essere valutate secondo il rispettivo valore nominale [36].
Ulteriore testimonianza di come, almeno con riferimento ai profili contabili e tributari dell'operazione in
oggetto, si ritenga possibile (rectius, sia espressamente autorizzato) compiere un aumento di capitale a
fronte di un conferimento in natura senza che si realizzi l'emersione contabile di alcuna posta a titolo di
sovrapprezzo.
Note:
[1] Vedasi, anche per la numerosa dottrina richiamata, B. Quatraro - S. D'Amora - R. Israel - G.
Quatraro, Trattato teorico-pratico delle operazioni sul capitale, Milano, 2001, 400.
[2] Tale ultimo parametro, peraltro, non rappresenta un criterio vincolante al quale ci si debba
necessariamente attenere ogniqualvolta i titoli della società conferitaria siano quotati in un mercato
regolamentato, ma rappresenta un semplice elemento indicativo - seppur dotato di indubbio valore
segnaletico - di cui si può anche non tener conto. «L'andamento delle quotazioni non rappresenta quindi
il limite superiore della valutazione, ma esclusivamente un ulteriore parametro di riferimento», cfr. B.
Quatraro - S. D'Amora - R. Israel - G. Quatraro, op. cit., 402.
[3]
In tal senso, G. Mucciarelli, Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, 170.
[4]
B. Quatraro - S. D'Amora - R. Israel - G. Quatraro, op. cit., 401, dopo aver riconosciuto che «ai fini
della determinazione del sovrapprezzo assume perciò grande importanza la stima del valore economico
della società emittente» rilevano - riprendendo la posizione autorevolmente espressa da P.G. Marchetti come «l'assemblea, per contro, gode anche del potere discrezionale di fissare il prezzo di emissione delle
nuove azioni senza la matematica correlazione con il valore del patrimonio netto; il limite alla
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discrezionalità dell'assemblea è rappresentato da un abuso di potere della maggioranza o, in altri
termini, dalla evidente ed immotivata irragionevolezza».
[5]
Cfr. Trib. Verona 22 luglio 1993.
[6]
Cfr. Trib. Milano 10 novembre 1989.
[7]
Cfr. Cass. 28 marzo 1996, n. 2850; App. Milano 23 luglio 1998, decr.; Cass. 14 gennaio 1987, n.
174. Per la dottrina si vedano, in tal senso, G. F. Campobasso, Diritto commerciale, 2, Torino, 2000, 463
ss.; P. Balzarini, Le azioni di società, Milano, 2000, 105; B. Quatraro - A. Fumagalli - S. D'Amora,
Deliberazioni assembleari e consiliari, I, Milano, 1996, 665; F. Ferrara jr. - F. Corsi, Gli imprenditori e le
società, Milano, 2001, 575; F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1999, 371; G. Gavelli, I
conferimenti in società dopo il d. lgs. n. 358/1997, Rimini, 1999, 64.
[8]
Così, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, I, 1, Milano, 1953, 515.
[9]
«Il sovrapprezzo, pertanto, nella sua funzione normale, costituisce un mezzo tecnico di conguaglio
della consistenza del patrimonio sociale per evitare la diminuzione del valore delle vecchie azioni»: in tal
senso, B. Visentini, Compatibilità del sovrapprezzo con il diritto di opzione, in Banca, borsa tit. cred.,
1961, I, 31.
[10]
Si veda, per questa come per numerose altre condivisibili osservazioni, L. Pozza, L'operazione di
aumento di capitale a fronte di conferimento di un ramo d'azienda: riflessioni sul prezzo delle azioni di
nuova emissione, in Riv. dott. comm., Milano, 1992, 822.
[11]
Vedasi, ex pluribus, P.G. Marchetti, Modificazioni alla disciplina delle società per azioni, in
accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperative (D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30), in
Nuove leggi civ. comm., n. 1-2, 1988, 185; R. Nobili - M. Vitale, La riforma delle società per azioni,
Milano, 1975, 374; G.C.M. Rivolta, Profili della nuova disciplina del diritto di opzione nelle società per
azioni, in Riv. dir. civ., 1975, 535 ss.; G. Spatazza, Le società per azioni, I, in Giur. sist. dir. civ. comm.,
Torino, 1984, 283.
[12]
Cfr. L. Pozza, op. cit., 823.
[13]
D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30, Modificazioni alla disciplina delle società per azioni, in accomandita
per azioni, a responsabilità limitata e cooperative, in attuazione della direttiva del Consiglio delle
Comunità europee n. 77/91 del 13 dicembre 1976, ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 412 (pubblicato
in G.U. 18 febbraio 1986, n. 40.
[14]
Vedasi G. Giannelli, Esclusione del diritto di opzione e D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30, in Riv. soc.,
1988, 770 ss.; G. Mucciarelli - M.S. Spolidoro, Diffusione delle azioni fra il pubblico, ammissione alla
quotazione e determinazione del soprapprezzo, in Riv. soc., 1986, 46-47.
[15]
Così A. Mignoli, Determinazione dell'entità del sopraprezzo, in Riv. soc., 1982, 527.
[16]
Sull'argomento vedasi, diffusamente, G. Mucciarelli - M.S. Spolidoro, op. cit., 40 ss.
[17] Così, G.B. Portale, Opzione e sopraprezzo nella novella azionaria, in Giur. comm., 1975, 222. Nello
stesso senso vedasi G. Frè, Società per azioni, Artt. 2325-2461, in Commentario Scialoja - Branca,
Bologna-Roma, 1982, 797, il quale afferma che la disposizione normativa in esame «tutela l'interesse
della società alla massima valorizzazione del patrimonio, che si coniuga, inoltre, con il complementare
interesse dei vecchi soci a mantenere inalterata la grandezza della propria partecipazione».
[18]
Cfr. R. Nobili - M. Vitale, op. cit., 374. In tal senso vedasi anche G. Giannelli, op. cit., 774; P.G.
Marchetti, Problemi in tema di aumento di capitale, Aumenti e riduzioni di capitale, Atti delle giornate di
studio CRNL, Milano, 1984, 84; A. Mignoli, op. cit., 526; G.B. Portale, op. cit., 219, il quale osserva che
«... alla società è concesso un margine di flessibilità nello stabilire quel prezzo il quale, quindi, non deve
essere necessariamente uguale al valore patrimoniale, potendo anche scendere lievemente al di sotto di
esso se ciò risultasse opportuno per la riuscita dell'aumento del capitale sociale». Rivolta, op. cit., 538,
riconosce come «il prezzo di emissione possa scendere anche notevolmente al di sotto del valore
patrimoniale delle nuove azioni, se ciò risulta necessario per la riuscita dell'aumento di capitale».
[19]
Sul tema vedasi F. Fenghi, Questioni in tema di aumento di capitale, in Riv. soc., 1983, 969 e 972 e
R. Zaffaroni, Sul sovrapprezzo nell'emissione di azioni, in Riv. soc., 1984, 590, che osserva come «un
cenno particolare merita il caso di aumento di capitale contro conferimenti in natura, in cui l'attendibile
valutazione del sopraprezzo è garantita nel migliore dei modi dal mercanteggiamento tra le parti
contraenti, la società e il conferente, i quali tendono nello scambio al massimo vantaggio».
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[20]
Cfr. G. Mucciarelli - M.S. Spolidoro, op. cit., 47 ss.
[21]
G. Mucciarelli - M.S. Spolidoro, op. cit., 50, i quali rilevano che «... non può passare sotto silenzio
che, fra gli interessi che possono entrare in gioco, uno solo può dirsi con certezza tutelato dall'art. 2441,
sesto comma, nella vecchia come nella nuova versione; quello dei vecchi soci, privati del diritto di
opzione, a non vedere intaccato il valore della loro partecipazione al patrimonio sociale. Per questo
motivo si può ritenere che l'interprete sia vincolato a considerare come assolutamente primaria la tutela
di quell'interesse, fino a che non sia dimostrato ... che la norma tutela altri interessi, oltre a quello che
sicuramente l'ha ispirata e che tali interessi possono rivelarsi, in certi casi, prevalenti, fino a degradare la
tutela del primo, confidandola alla libera disponibilità degli organi sociali».
[22]
Cfr. F. Di Sabato, op. cit., 371; G. Gavelli, op. cit., 63; G. E. Colombo, Il bilancio di esercizio, in
Trattato Colombo - Portale, 7, I, Torino, 1994, 508.
[23]
Alla voce A) II (Riserva da sopraprezzo delle azioni) del Passivo dello schema di Stato patrimoniale
di cui all'art. 2424 c.c.
[24]
Anche se, così operando, tale riconoscimento non verrebbe formalmente evidenziato nel patrimonio
netto della società conferitaria, privando, pertanto, i soci di minoranza di quella sorta di garanzia
rappresentata dall'emersione contabile del valore in questione.
[25]
Art. 2441, sesto comma, c.c.
[26]
Emanati dall'International Accounting Standards Committee - I.A.S.C.
[27] Cd. «Pooling of interests method» espressamente previsto dallo I.A.S. n. 22: «Qualsiasi differenza
tra il valore rilevato come capitale azionario emesso sommato all'eventuale ulteriore corrispettivo
sottoforma di disponibilità liquide o di altre attività e il valore contabilizzato per il capitale azionario
acquisito deve essere rettificata a fronte del patrimonio netto» (cfr. I.A.S. n. 22, Business combinations,
§§ 77 ss. - versione rivista nel 1998).
[28]
F.A.S. n. 141 e F.A.S. n. 142.
[29]
Cd. «Purchase method» (F.A.S. n. 141).
[30]
Metodo «Impairment approach» (FAS n. 142).
[31] È utile precisare come la posizione americana sia stata recepita anche dal Canada, dall'Australia e
dalla Nuova Zelanda; lo I.A.S.C. non ha ancora espresso posizioni ufficiali in merito, ma considera il
riesame di questo argomento come un progetto prioritario.
In Italia, peraltro, al presente momento si è ancora in attesa dell'emanazione - da parte dell'apposita
commissione dei dottori e dei ragionieri commercialisti - del principio dedicato al trattamento contabile
delle operazioni societarie straordinarie (fusioni, scissioni, conferimenti d'azienda, ecc.).
[32]
Ai sensi dell'art. 2359 c.c.
[33]
D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, Riordino delle imposte sui redditi applicabili alle operazioni di
cessione e conferimento di aziende, fusione, scissione e permuta di partecipazioni (pubblicato in G.U. 24
ottobre 1997, n. 249).
[34]
L'aliquota, originariamente prevista nella misura del 27%, è stata successivamente ridotta al 19%
ad opera dell'art. 6, L. 21 novembre 2000, n. 342 (cd. «collegato fiscale» per l'anno 2000),
relativamente ai conferimenti posti in essere a partire dal periodo d'imposta per il quale il termine per la
presentazione della dichiarazione dei redditi scade successivamente alla data di entrata in vigore di tale
ultima legge.
[35]
Cfr. art. 3, D.Lgs. n. 358/1997.
[36]
Per completezza di trattazione si ricorda che dal punto di vista fiscale la legge disciplina le seguenti
ipotesi di conferimento:
1) conferimento a valori contabili: in tal caso la società conferitaria iscrive gli oggetti del conferimento in
natura per gli stessi valori in cui essi figuravano iscritti nella contabilità della società conferente; il
conferimento è, pertanto, concepito non come un trasferimento di beni, ma come un atto di
organizzazione aziendale, teso a favorire una modifica dell'assetto imprenditoriale. In tale regime il
conferimento avviene, per così dire, a «valori contabili»;
2) conferimento a valori contabili civilistici rivalutati, ma in sospensione d'imposta (cd. «doppio
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binario»): tale soluzione (cfr. art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 358/1997) è applicabile dalle società di capitali
in alternativa alla precedente, nell'ipotesi in cui il conferimento abbia ad oggetto aziende possedute da
almeno tre anni. I valori di iscrizione nella contabilità della società conferitaria delle attività e delle
passività conferite possono anche divergere da quelli contabili della società conferente (per esempio, per
aderire a quelli della valutazione del perito nominato dal presidente del tribunale). L'operazione si svolge
in tal caso in base al principio della «neutralità fiscale» per la società conferitaria che avrà quale unico
obbligo quello di allegare alla propria dichiarazione dei redditi un apposito prospetto di riconciliazione tra
i dati esposti in bilancio e quelli fiscalmente riconosciuti (in base ai quali continuerà ad essere
determinato il reddito imponibile);
3) conferimento a valori fiscalmente rivalutati: tale ipotesi è quella cui si è fatto riferimento nel testo. In
tal caso si farà luogo all'applicazione dell'imposta sostitutiva introdotta dal D.Lgs. n. 358/1997. La
plusvalenza emergente dal confronto tra i maggiori valori iscritti dalla società conferitaria rispetto a quelli
contabili figuranti nel bilancio della conferente verrà assoggettata in capo a quest'ultima ad imposta
sostitutiva con aliquota del 19% (frazionabile in cinque rate annuali di pari importo). Nella società
conferitaria assumeranno rilevanza fiscale i nuovi maggiori valori. Tale conferimento, pertanto, avviene,
per così dire, a «valori correnti».
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