CONOSCIAMO STELLE E PIANETI 2B – Stelle

Conosciamo e osserviamo stelle e pianeti – Secondo incontro – 15/5/2013 Stelle che nascono, stelle che muoiono e stelle che… piovono! # Titolo 14 Le stelle Appunti Durante il giorno possiamo vedere un’unica stella: il Sole. Durante la notte in un cielo terso e scuro possiamo vedere molte stelle: 3000‐4000 circa. Esse sono come il Sole, solo enormemente più lontane: producono energia (tra cui la luce che vediamo) fondendo idrogeno in elio, come abbiamo imparato. Come facciamo a studiare le stelle e sapere che assomigliano al Sole? Grazie alla spettroscopia, visto che sono troppo lontane per raggiungerle. Anche se appaiono molto meno luminose del Sole a causa della distanza, gli spettri si possono ottenere facilmente. L’immagine mostra gli spettri di diverse stelle: si nota che la parte più brillante è quella di colori diversi. Infatti le stelle hanno colori diversi, in vari casi lo si vede anche a occhio nudo. Come ho detto prima per il Sole, il colore per il quale l’emissione è massima indica la temperatura della stella: quelle più in alto sono più calde (anche 40000K) e sono prevalentemente blu, quelle in basso sono meno calde (3000K) e prevalentemente rosse. Le stelle sono state così suddivise in classi spettrali proprio in relazione al fatto che hanno spettri simili e in fin dei conti si tratta di una suddivisione in base alla temperatura. Qui vedete le principali: le più calde sono di tipo O, le più fredde tra queste di tipo M. Si chiama classificazione di Morgan‐Keenan‐Kellman (ogni tipo spettrale sarebbe diviso in 10 sottoclassi, da 0 a 9). Il Sole per esempio è una nana gialla, tipo G2. Le righe nere negli spettri indicano quali elementi chimici sono presenti nelle atmosfere delle stelle: più evidenti sono le righe, più abbondante l’elemento. 15 La distanza delle Come si misura la distanza di una stella? stelle Il metodo della parallasse funziona fino a circa 200 parsec (con il satellite Gaia, che sarà lanciato nel 2012), poi gli angoli diventano troppo piccoli. Altri metodi consistono nel cercare di capire la luminosità intrinseca della stella. Una volta nota questa, confrontandola con la luminosità vista dalla Terra sarà possibile calcolare la distanza (sperando che lo spazio in mezzo sia vuoto e non assorba la luce). Immagini 16 La classificazione delle stelle 17 Diversi tipi di stelle 18 Nascita delle stelle Il diagramma HR fu inventato indipendentemente da Hertzsprung e Russell. Immaginiamo per ogni stella di misurare la luminosità e la temperatura (che è legata al colore e al tipo spettrale). Possiamo allora fare un grafico: il diagramma HR. In questa versione schematizzata si vede in quali zone si dispongono i puntini rappresentativi delle stelle. I colori rispecchiano i colori delle stelle. Più esse stanno a sinistra e più sono calde; più sono in alto e più sono luminose. Le stelle non si dispongono a caso, ma lungo una linea chiamata sequenza principale (la fascia trasversale). In basso a destra abbiamo stelle fredde e poco luminose (nane rosse). In alto a sinistra ci sono le stelle brillanti e calde. Il sole sta in mezzo. Sulla sequenza principale ci sono tutte le stelle nella loro fase “normale” di vita, quella di equilibrio in cui si trova attualmente il Sole, nella quale trasformano idrogeno in elio. In alto ci sono le giganti e supergiganti (abbiamo visto prima le giganti rosse, che sono molto luminose perché enormi, ma fredde); in basso a sinistra ci sono le nane bianche, molto calde ma poco luminose perché piccolissime. In base alla posizione di una stella sul diagramma HR, quindi, gli astronomi possono farsi un’idea della massa e della fase evolutiva in cui si trova. Inoltre la sequenza principale ci permette di distinguere i vari tipi di stelle dire e quali sono più abbondanti nell’universo. Partiamo dal Sole, che è chiamato nana gialla: esistono stelle di sequenza principale molto più grandi, ma anche più piccole, le nane rosse. Prendere con le molle le dimensioni: sono indicative perché misurarle è molto difficile vista la lontananza. In generale infatti le stelle appaiono puntiformi anche nei telescopi più potenti. Cosa possiamo dire della frequenza con cui si trovano stelle di dimensioni diverse? Pare che le stelle di piccola massa siano molto più abbondanti di quelle di grande massa, e che le nane rosse siano circa l’85%. Il meccanismo di formazione delle stelle è circa simile, indipendentemente dalla loro dimensione. Esse nascono in nubi molecolari (nebulose diffuse, vedi foto), a densità relativamente alta (rispetto al gas interstellare), composte soprattutto di idrogeno (75%) ed elio (25%) con tracce degli altri elementi. Si tratta di nubi enormi (migliaia di anni luce) in cui il gas è estremamente sparso (rarefatto) rispetto alla concentrazione delle stelle o dell’atmosfera terrestre. Le stelle presenti in queste nubi le fanno brillare con colori spettacolari. Un’esplosione o una collisione tra galassie può aumentare la densità in una zona, superando il valore critico che da il via al collasso: la gravità fa sì che il gas si schiacci su se stesso e attiri in questo punto dell’altro gas. Si formano i cosiddetti globuli di Bok, dei bozzoli scuri che si contraggono (foto). La compressione del 19 Sequenza principale 20 Dopo la sequenza principale gas causa il suo riscaldamento: quando si è messa insieme abbastanza materia e la compressione riesce a scaldare il centro fino a 10 milioni di gradi, si innescano le reazioni di fusione dell’idrogeno e la stella si accende. Questa fase di contrazione è rapida per stelle massicce (100000 anni) e meno per quelle più piccole (anche 10‐15 milioni di anni). Di solito si formano dei dischi di accrescimento attorno alla protostella, da cui si formeranno pianeti come la Terra o Giove (foto). Ricapitoliamo: tutto ha origine dalla nebulosa diffusa; poi si formano i Globuli di Bok (foto, nella nebulosa Carina). Questi globuli possono contenere anche 50 masse solari. Poi il globulo si contrae, la stella si accende e intorno si formano dischi protoplanetari: questi sono nella nebulosa di Orione. Le stelle sotto 0,08 masse solari non riescono ad accendere le reazioni di fusione: si formano le nane brune. Questa foto mostra una nana bruna, ritratta dal telescopio spaziale Hubble. Esse irraggiano un po’ di energia per contrazione gravitazionale e per raffreddamento; hanno temperature tra 2300 e 700 C; queste stelle dovrebbero essere molto comuni, ma molto difficili da osservare perché debolissime. Le stelle fino a 8 masse solari hanno un periodo di instabilità (stelle pre‐sequenza principale) prima di raggiungere l’equilibrio. Quelle più massicce vanno direttamente in sequenza principale. Il tempo di vita di una stella in sequenza principale è legato alla massa. (Notare che per “vita” si intende il tempo di permanenza in sequenza principale, all’equilibrio) Ad esempio per il Sole è circa 10 miliardi di anni. Più massiccia è la stella, più alta la temperatura centrale e più rapide le reazioni. Le stelle grosse sono per così dire più voraci e consumano più rapidamente il combustibile. Stelle massicce come Spica rimangono in equilibrio solo per 30 milioni di anni, mentre nane rosse come Ross 128 possono vivere per centinaia di miliardi di anni, più dell’età dell’universo. Il tempo nella sequenza principale è circa (10 miliardi di anni)/n2,5, dove n è la massa rapportata a quella del Sole. La vita è espressa in miliardi di anni, la durata è approssimativa. Altre cose che influiscono (ma in maniera più complessa) con la durata della vita sono la metallicità, il campo magnetico, il vento stellare. Per le stelle di massa inferiore a 8 masse solari il destino è lo stesso del Sole: nebulosa planetaria e nana bianca. Tuttavia le stelle tra 0,08 e 0,8 masse solari hanno una vita più lunga dell’età dell’universo, quindi ancora nessuna è uscita dalla sequenza principale. Una nebulosa protoplanetaria (cioè una nebulosa planetaria in formazione) è la Egg Nebula. La fase in cui si forma la nebulosa planetaria richiede circa 10000 anni. Questa nebulosa è detta “rettangolo rosso” ed ha una forma molto strana per le planetarie. Dovrebbe essere una stella (tipo il Sole) morente, che 14000 anni fa ha iniziato ad espellere il gas esterno e sta formando la planetaria. In realtà sono non una, ma 2 stelle gravitazionalmente legate. La sottilissima linea scura che si vede in centro e divide la luce in due dovrebbe essere un disco di materia. Vediamoci alcune nebulose planetarie, perché sono spettacolari. 21 Dopo la sequenza principale Le stelle di massa superiore a 8 masse solari evolvono dapprima come quelle più piccole, diventando supergiganti rosse (qui Betelgeuse ripresa da Hubble). Poi possono avvenire (a seconda della massa) una serie di compressioni con riscaldamenti sufficienti ad innescare le fusioni di elementi come carbonio ed ossigeno ed anche più pesanti. La stella ha così una struttura a cipolla (immagine). Più pesanti sono, più alta deve essere la temperatura e una volta raggiunto il ferro non è più possibile effettuare altre fusioni (in realtà si forma un isotopo di Nichel, che decade subito in Ferro). Tutti gli elementi chimici di cui siamo fatti noi e la Terra, dunque, sono stati prodotti nelle stelle, in particolare in quelle più grosse. Dall’origine dell’universo infatti erano presenti praticamente solo idrogeno ed elio. La catena degli ultimi bruciamenti viene completata in pochi giorni. I moti convettivi possono portare in superficie elementi pesanti e causare un forte vento stellare. Oggetti di questo tipo sono le stelle Wolf‐Rayet. Il nucleo aumenta in massa via via che avvengono le reazioni e quando supera il limite di Chandrasekar (1,44 masse solari) collassa: gli elettroni e i protoni fondono formando neutroni; vengono liberati molti neutrini ed avvengono decadimenti beta che fanno esplodere la stella: supernova di tipo II oppure Ib o Ic. L’energia liberata è enorme: per pochi giorni (poi si affievolisce) la stella diviene più luminosa dell’intera galassia nella quale si trova. L’immagine è della galassia NGC5584 detta Purple Rose con la SN2007af. Tenete presente che una galassia può contenere centinaia di miliardi di stelle. Una stella come Rigel, lontana più di 700 anni luce ma appartenente alla nostra galassia, quando esploderà diventerà luminosa come 100 lune piene. L’altissima energia permette anche la sintesi di elementi ancora più pesanti, come l’oro (nucleosintesi delle supernove). 22 Resti di Supernova 23 Supernova: l’esplosione L’esplosione scaglia nello spazio la maggior parte della materia che componeva la stella. La parte di stella espulsa forma una nebulosa, chiamata resto di supernova. Una delle più famose è la Nebulosa del Granchio (foto), nella costellazione del toro, resto della supernova esplosa nel 1054 dc, il 4 luglio. I cinesi ed anche gli arabi hanno scritto nei loro annali che era visibile anche di giorno, per ben 23 giorni consecutivi, e di notte per 653 giorni. Si trova nella nostra Galassia, a 6300 anni luce da noi, ed era molto probabilmente di tipo II. Probabilmente anche dei nativi americani, Mimbres e Anasazi, videro l’evento e lo registrarono nelle loro pitture rupestri. Altri esempi: la nebulosa bolla (foto). Il gas nei resti di supernova può essere sparato a 200 km/s al secondo e sono oggetti effimeri perché si dissolvono in poche migliaia di anni. Comunque se ne osservano diversi perché le esplosioni di supernove sono frequenti, una ogni qualche decina di anni. Questo è il resto della supernova di Tycho del 1572 (diventò più brillante di Venere, anche se non visibile di giorno). È stata l’ultima osservata ad occhio nudo e nella nostra galassia. Si trova nella costellazione di Cassiopea. L’immagine che vedete è una sovrapposizione d’immagini in lunghezze d’onda diverse. La sn più studiata è la 1987A, esplosa nella Grande Nube di Magellano che è distante 168000 anni luce. Che effetti potrebbe avere l’esplosione di una supernova su di noi, tranne il fatto di essere molto luminosa? L’esplosione di una supernova vicino alla Terra potrebbe rappresentare una grave minaccia: nel film “2012: supernova” la fantomatica fine del mondo del 2012 viene attribuita ad una supernova, esplosa 200 anni prima (a 200 a.l. di distanza). 200 anni dopo, l’”onda” arriva nel sistema solare e la si vede avanzare distruggendo Plutone e gli altri pianeti. La soluzione trovata dal protagonista è di far esplodere una serie di testate nucleari nello spazio; le sostanze radioattive, insieme alla magnetosfera terrestre, dovrebbero formare uno scudo capace di fermare le radiazioni provenienti dalla supernova, impedendo che distruggano la Terra. Quindi, possono realmente causare danni alla Terra? Le supernovae pericolose sono solo quelle vicine, entro 100 anni luce. I danni maggiori sono causati dai raggi gamma, che inducono reazioni nell’atmosfera: l’azoto si legherebbe con l’ossigeno formando ossidi e impoverendo lo strato di ozono. La Terra resterebbe esposta alle radiazioni solari, dannose per la vita. Il fitoplancton sarebbe gravemente danneggiato. Tuttavia una stella come Betelgeuse (640 al) dovrebbe essere a 26 al o meno perché esplodendo come SN II distrugga metà dello strato di ozono della Terra. Si stima che esplosioni di supernovae a questa distanza avvengano circa ogni 24 Stelle di neutroni 25 Buchi neri miliardo di anni (ma la stima è molto incerta). Questi eventi catastrofici sono già accaduti nel corso della vita della Terra? Alcuni sostengono che ce ne siano le prove nella ricchezza di ferro‐60 in alcuni strati geologici o nella presenza di nitrati in alcuni strati di ghiaccio antartico; altri le collegano all’estinzione di massa dell’Ordoviciano. Comunque queste prove sono tutt’altro che definitive. Invece le supernovae potrebbero dare il via alla condensazione gravitazionale e quindi alla formazione di nuove stelle. A parte il resto di supernova, cosa rimane della stella originaria? Se la massa del nucleo è compresa tra 1,44 e 3,8 masse solari, si forma una stella di neutroni o pulsar. Essa è fatta di un materiale degenere, il neutronio, composto soprattutto di neutroni e particelle esotiche, tipo i quark. In pratica queste stelle assomigliano a nuclei atomici giganti, ma in realtà la vera natura di questa materia non è ancora ben compresa. La loro densità è elevatissima: la materia contenuta in un cucchiaino peserebbe circa 100 milioni di tonnellate. Queste stelle hanno solo 20 km di diametro! La densità è quella che si otterrebbe compattando una portaerei alle dimensioni di un granello di sabbia. Questa immagine (raggi X) è della pulsar della nebulosa Vela e si vede un getto. La gravità superficiale di queste stelle è fortissima: se per sfuggire alla gravità terrestre bisogna raggiungere la velocità di 11 km/s, per sfuggire ad una stella di neutroni ci vogliono 100000 km/s. Queste stelle ruotano con periodi da 1 a 30 s, molto veloci (conservazione del momento angolare). Questo crea un campo magnetico particolare e forti emissioni di radiazioni. Crea anche un effetto faro (la cosa è possibile a causa del disallineamento tra asse del campo magnetico ed asse di rotazione, come per la Terra): se questo faro è allineato con la Terra, si vedranno degli impulsi elettromagnetici molto regolari. Quando furono osservati per la prima volta (nel 1967 da Jocelyn Bell e Antony Hewish) furono scambiati per segnali provenienti da un’intelligenza aliena. Le pulsar rallentano perché l’energia emessa va a spese dell’energia rotazionale. Le pulsar hanno anche dato una nuova conferma della teoria della Relatività: essa prevede una perdita di energia rotazionale per l’emissione di onde gravitazionali, cosa puntualmente osservata. Esistono anche le pulsar millisecondo (periodi di rotazione di alcuni millisecondi): sono probabilmente accelerate dal momento angolare della materia ricevuta da una compagna o disco di accrescimento. Quando il nucleo della stella ha massa maggiore di 3,8 masse solari, nessuna forza conosciuta può più arrestare il collasso e si forma un oggetto ancora più compatto della stella di neutroni: il buco nero. Per la teoria si tratta di un oggetto infinitamente denso, ma le condizioni sono così estreme che le leggi della fisica oggi note non sono più valide (all’interno del buco nero). La densità non può essere infinita, ciò significa che l’oggetto si trova in uno stato degenere ancora ignoto. Ad ogni modo un oggetto diventa un buco nero se il suo raggio è inferiore al raggio di Schwarzschild=GM/c2, nella relatività generale. Questo raggio individua un confine per il buco nero, una superficie sferica immaginaria tale che se un corpo si trova all’interno di essa è impossibile che ne esca. Si chiama orizzonte degli eventi. Proprio perché è una superficie immaginaria non può avere una crepa, come si dice in un episodio della serie Star Trek – Voyager, e quando la sia attraversasse non succederebbe nulla, non sarebbe possibile rendersene conto. L’impossibilità di uscire vale anche per la luce, per questo si parla di buco nero: non può emettere luce. L’area all’interno dell’orizzonte degli eventi è molto piccola: se il Sole diventasse un buco nero, il suo raggio di Schwarzschild sarebbe circa 1,5 km. Si sa della presenza di un buco nero a causa degli effetti della gravità: la materia entra in rotazione attorno ad esso formando un disco di accrescimento. Pian piano cade spiraleggiando al suo interno e nel farlo emette molta energia sotto forma di raggi X. Possiamo «vedere» un buco nero grazie alla radiazione emessa dalla materia che ha attorno. Il disco di accrescimento si può formare ad esempio attorno a buchi neri in sistemi binari (binarie X perché emettono raggi X) e la materia del disco viene dal buco nero sottratta all’altra stella. Un buco nero di taglia stellare dovrebbe trovarsi nella costellazione del Cigno ed è chiamato Cygnus X‐1. Si conoscono circa una quindicina di candidati a buchi neri stellari. In prossimità di un buco nero la gravità è talmente elevata che è fondamentale usare la teoria della relatività. Essa fa delle previsioni per noi strane, come mostra l’episodio « A matte of time » della serie TV Stargate SG‐1. Essa deriva dal film Stargate, che forse qualcuno di voi avrà visto: i militari americani possono viaggiare nello spazio grazie a dei dispositivi alieni chiamati Stargate, che collegano pianeti diversi. Se osservassimo un evento nelle vicinanze dell’orizzonte del buco nero, lo vedremmo rallentato, perché il tempo scorre più lentamente in prossimità di corpi di grande massa (es: i GPS). L’evento rallenterebbe tanto più quanto maggiore la vicinanza al buco nero. Per noi osservatori esterni ci vorrebbe un tempo infinito per vedere una navetta entrare nel buco nero, mentre per i passeggeri il tempo scorrerebbe normalmente. 26 Vita di una stella La vita delle stelle può essere a grandi linee riassunta in questa tabella (immagine) il cui succo è: la vita di una stella dipende dalla sua massa. 27 Stelle doppie Le supernovae si possono generare anche in modo un po’ diverso (infatti quelle di cui abbiamo parlato sono le tipo Ib oppure II). Oggi si sa che molte stelle sono doppie, cioè le vediamo vicine in cielo e ruotano una attorno all’altra. Molti sistemi hanno anche più componenti. La stella più massiccia evolverà per prima formando una nana bianca. Ad esempio Sirio ha una compagna nana bianca (foto). Le nane bianche sono stelle ormai inerti, fatte di carbonio‐ossigeno derivato dalla fusione dell’He. Si dovrebbero solo raffreddare. Ma soprattutto se la compagna evolve e diventa una gigante rossa, la nana può risucchiare materia da essa, la sua massa può accrescere tanto da innescare la fusione del carbonio. Potrebbe (non è detto che sempre succeda) così superare il limite di Chadrasekhar di 1,44 masse solari; s’innescherebbe quindi una reazione incontrollata che porterebbe una grande produzione di energia, capace di distruggere la stella in una grande esplosione: una supernova di tipo Ia. Infatti, siccome la nana bianca è degenere, all’aumento di temperatura per l’innesco della fusione non corrisponde un aumento di pressione (che regolerebbe la temperatura): questo causa l’esplosione. In pochi secondi carbonio e ossigeno vengono fusi in elementi più pesanti e la temperatura raggiunge miliardi di gradi. La materia espulsa viaggia tra 5000 e 20000 km/s. Queste esplosioni sono tutte tra loro simili (soprattutto come luminosità assoluta) quindi vengono usate come candele standard per misurare la distanza. Se invece l’accrescimento è lento (e non supera il limite) si hanno solo delle piccole esplosioni dovute al bruciamento dell’idrogeno che cade e si scalda; si ha una variabile cataclismica, ma la nana bianca non viene distrutta. Si parla di novae. Queste piccole esplosioni possono avvenire più volte durante l’accrescimento (che dura magari alcuni milioni di anni) prima dell’esplosione a supernova. Non è per forza necessario che la compagna sia una gigante rossa. Un altro possibile modello è la fusione di due nane bianche in modo che la massa totale superi il limite. Le nane potrebbero inizialmente orbitare una attorno all’altra, e la distanza si ridurrebbe per l’emissione di onde gravitazionali e per le interazioni magnetiche. Ad un certo punto una nana verrebbe smembrata, formando un disco di accrescimento quasi degenere; al superamento del limite ci sarebbe l’esplosione. Questo meccanismo dovrebbe però essere molto più raro. Poiché questi sistemi sono più difficili da scoprire, le snIa potrebbero essere più pericolose delle supernove II perché non previste. Comunque gli effetti sono paragonabili: per essere dannosi, dovrebbero essere entro 10 parsec (26 al).