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Virgola / 57
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Gustav Seibt
IL POETA E L’IMPERATORE
La volta che Goethe incontrò Napoleone
Traduzione di Monica Lumachi e Paolo Scotini
DONZELLI EDITORE
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Titolo originale: Goethe und Napoleon. Eine historische Begegnung
© Verlag C.H. Beck oHG, München 2008
© 2009 Donzelli editore, Roma
via Mentana 2b
INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL [email protected]
ISBN 978-88-6036-343-5
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IL POETA E L’IMPERATORE
Indice
p.
3
Soldati al Frauenplan
Weimar 1806: un mancato incontro
(ricco di conseguenze) con Napoleone
33
Goethe, un tedesco del Rheinbund
Verso l’incontro con l’imperatore: letture, discussioni, opere
79
«Vous êtes un homme!»
Gli incontri di Erfurt e Weimar
141
«Mein Kaiser»
Il poeta nell’Empire
203
Questo compendio del mondo
Contemplazione dall’alto:
Napoleone nei ricordi del Goethe anziano
233
Postfazione
241 Fonti e bibliografia
257 Indice dei nomi
V
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Il poeta e l’imperatore
Extrait de la publication
Abbreviazioni
FA
HA
MA
WA
PB II, PB III
Grumach VI
Bode II
Frankfurter Ausgabe
Hamburger Ausgabe
Münchner Ausgabe
Weimarer Ausgabe
Politischer Briefwechsel von Carl August, II e III
Goethe. Begegnungen und Gespräche, VI
Bode, Goethe in vertraulichen Briefen, II
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IL POETA E L’IMPERATORE
Soldati al Frauenplan
Weimar 1806: un mancato incontro
(ricco di conseguenze) con Napoleone
Per due volte Goethe rischiò di perdere la vita in guerra. Il primo
di questi momenti di rischio mortale fu il pomeriggio del cannoneggiamento di Valmy, il 20 settembre 1792; il secondo, la notte tra il 14 e
il 15 ottobre 1806, quando la Prussia, sconfitta nella battaglia di Jena e
Auerstedt contro l’esercito napoleonico, minacciava di trascinare nella
propria rovina anche il ducato di Sassonia-Weimar-Eisenach, inclusa
la città di residenza dei duchi, Weimar.
A Valmy, Goethe si cercò da solo il pericolo. Da civile, egli accompagnava il suo signore, il duca Carl August, che aveva il comando di
un reggimento di corazzieri prussiani e che dunque partecipava in
questa funzione alla campagna degli eserciti di coalizione austro-prussiani contro la Francia rivoluzionaria. Goethe, che in quelle settimane
frequentava gli ambienti degli alti ufficiali, era dell’opinione che «chi
si cimenta in una campagna militare, qualunque sia il reparto a cui appartenga, debba rimanere assieme alle truppe regolari senza temere
pericolo alcuno: poiché in tal modo qualsiasi cosa gli accada tornerà
sempre a suo onore»1. Dunque egli rimase alla testa dell’esercito alleato anche nel momento in cui questo si trovò a fronteggiare il nemico
francese e tutto faceva prevedere l’inizio di una battaglia. In un momento di disattenzione, davanti al suo squadrone cominciarono a piovere da un lato decine e decine di proiettili, che andarono a conficcarsi
nel terreno bagnato coprendo di fango cavalli e cavalieri.
Ma Goethe azzardò ancora di più. «Io avevo sentito parlare molto
della febbre da cannone, e desideravo sapere che cosa fosse realmente». Cavalcò dunque in direzione di una fortificazione che era stata
appena espugnata, gettò lo sguardo su tetti sventrati, covoni sparpagliati su cui giacevano soldati feriti a morte e restò a osservare le palle
di cannone che fracassavano i resti dei tetti. Completamente solo, con1
Le citazioni da Campagne in Frankreich sono tratte da MA, 14, pp. 376-84 [le versioni italiane delle citazioni, ove non altrimenti indicato, sono dei traduttori].
3
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Seibt, Il poeta e l’imperatore
tinuò poi a cavalcare lungo le alture: «Ero dunque arrivato in pieno
nella zona in cui le palle sibilavano fitte tutto intorno; il loro suono è
strano, come se fosse composto dal ronzio di una trottola, dal gorgoglio dell’acqua e dal fischio di un uccello». Il terreno intriso di pioggia,
almeno, protegge dal pericolo del rimbalzo dei proiettili.
Quest’esperienza non abbandonò più Goethe per tutta la vita, e
più volte la ebbe a raccontare. Così, la duchessa ereditaria di Weimar,
Maria Pavlovna, una delle sorelle dello zar Alessandro I, nell’aprile del
1806 annotò che Goethe le aveva descritto quella che veniva comunemente detta la «febbre da cannone»; e la principessa scrisse questa parola in tedesco nel proprio testo in francese: «une description de ce
qu’on appelle communément das Kanonenfieber»2. Quindici anni più
tardi Goethe ne dette un resoconto più esaustivo nella sua cronaca militare Auch ich in der Champagne! (Anche io nella Champagne!), il libro comunemente noto con il titolo di Campagna di Francia. Esso rivela la raffinata arte della descrizione propria del Goethe scienziato,
che allontana da sé un momento di minaccia mortale mediante un atteggiamento di distaccata oggettività: «Si aveva l’impressione di essere
in un luogo molto caldo, sentendosi completamente penetrati da quel
calore, e di trovarsi quindi in perfetta armonia con l’elemento di cui si
era circondati. La vista non perde nulla della sua forza e della sua chiarezza, ma il mondo sembra assumere una tinta rossastra, il che rende
ancor più netta la percezione della situazione e degli oggetti. In quanto alla circolazione del sangue, non ho notato niente, piuttosto mi
sembrava che tutto fosse divorato da quel bollore. Da ciò appare chiaro come mai tale stato venga definito con il nome di febbre».
La battaglia poi non ci fu; la sera fu chiaro che i francesi avevano
retto, e quel momento, come noto, segnò per Goethe retrospettivamente la data d’inizio di una nuova epoca della storia mondiale: «E
voi potrete dire di essere stati presenti». Della sua avventata esperienza della «febbre da cannone», tuttavia, raccontava volentieri alle giovani dame, e non soltanto alla principessa ereditaria di Weimar, ma anche al suo ultimo amore, la giovane Ulrike von Levetzow, a cui nel
1822 regalò fresco di stampa il volume della Campagna di Francia.
Tanto più significativo è dunque il fatto che Goethe non abbia in
pratica riferito niente della sua seconda, concreta esperienza di guerra,
la notte di Jena e Auerstedt, sebbene egli stesso abbia messo in rela2
Grumach VI, p. 39.
4
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Soldati al Frauenplan
zione entrambi gli episodi, quello a Valmy nel 1792 e quello a Weimar
nel 1806. Eppure gli avvenimenti del 1806 sconvolsero molto di più la
sua vita della «febbre da cannone» del 1792, anzi, da un certo punto di
vista impressero a quella vita una nuova direzione. Quasi tutto ciò che
sappiamo a questo proposito dobbiamo ricostruirlo dalle notizie che
ci provengono dall’ambiente attorno a Goethe.
Lo scontro finale della battaglia di Jena si era avuto attorno alle
quattro del pomeriggio nei pressi della porta orientale di Weimar, al
«Webicht», un boschetto sulla riva della Ilm. Successivamente, prima
entrarono in città i prussiani in ritirata verso Erfurt, poi a loro fecero
seguito dalle cinque e mezzo circa le prime truppe francesi. Le scarne
annotazioni nel diario di Goethe registrano lo svolgersi degli avvenimenti esterni: «Disfatta dei prussiani la sera alle 5 le palle dei cannoni
volarono attraverso i tetti alle 5½ ingresso degli chausseurs. Ore 7 incendio saccheggio notte terribile. Salvata la nostra casa grazie a fermezza e fortuna»3.
La Weimar amante della corrispondenza, che inviava costantemente fiumi di lettere in ogni direzione, ha lasciato ai posteri numerose
descrizioni ben più dettagliate della «notte terribile», dei suoi saccheggi e atti di violenza. Vi si legge dei colpi alla porta, di chiavistelli spezzati, mobilia fracassata, furti di oggetti di valore e dispense svuotate,
roghi e minacce di morte accompagnate da canti selvaggi e maltrattamenti, nonché di violenze sulle donne. Ma la società colta della città
era sufficientemente cosmopolita e priva di pregiudizi da rendere onore anche agli esempi di correttezza e di cortesia cavalleresca da parte
dei conquistatori francesi, soprattutto del corpo ufficiali, per la maggioranza irreprensibile. Ampio fu il ventaglio delle diverse esperienze.
Christoph Martin Wieland non soltanto poté annotare, lui che vedeva
per la prima volta la guerra all’età di 73 anni, di essere «rimasto del
tutto incolume», e che gli «ussari e i cacciatori che vennero da me si
ammansirono come agnellini non appena mi videro» e si accontentarono di sedici bottiglie di vino, ma addirittura scrisse: «Già il mercoledì mattina» – dunque il 15 ottobre – «tra le sette e le otto, su ordine
del principe Murat si istallò da me un bravissimo Gensd’arme in qualità di sentinella, e pochi attimi più tardi giunse il Maresciallo imperiale Ney in persona ad annunciarmi in nome del suddetto principe che
mi trovavo sotto la diretta protezione dell’Imperatore e a pronunciare
3
Goethe, Tagebücher, 14 ottobre 1806, p. 263.
5
Seibt, Il poeta e l’imperatore
gli omaggi e gli elogi più grandi che mi siano mai stati rivolti»4. In
questo caso, a uno degli autori tedeschi notoriamente più filofrancesi
venne risparmiato ogni tipo di disagio.
All’opposto troviamo invece casi drammatici come quello del cognato di Goethe, lo scrittore e bibliotecario Christian August Vulpius, la cui giovane moglie venne violentata, oppure il tragico destino
del concittadino e amico di Goethe, il pittore francofortese Georg
Melchior Kraus. L’anziano settantenne dirigeva l’Istituto di Disegno
del principe, dove soprattutto le dame dell’aristocrazia e della buona
borghesia si esercitavano nelle arti grafiche. Nella notte tra il 14 e il
15 ottobre Kraus fu vittima dei saccheggi. Dovette consegnare tutto
quello che possedeva, e quando ebbe finito le sue scorte di vino i soldati non soltanto lo malmenarono, ma addirittura distrussero molti
dei suoi raffinati disegni. La sua abitazione venne distrutta dalle fiamme. Rimasto senza un tetto, il vecchio fuggì dapprima al castello ducale, poi dall’editore Bertuch, suo amico. A seguito dei maltrattamenti subiti si ammalò gravemente e morì il 5 novembre, tre settimane
dopo la notte di terrore. Il suo funerale fu l’unico a cui Goethe prese
parte negli anni più tardi della sua vita.
Si verificarono dunque anche vicende di questo tipo, ma se dall’osservazione dei singoli casi si passa a un quadro più generale dobbiamo
riconoscere che Weimar fu fortunata, non ultimo a confronto di ciò
che invece occorse a Jena. Nella residenza dei duchi, che contava poco
più di settemila abitanti, irruppe un esercito di quaranta-cinquantamila
soldati con tutto il loro seguito. Gli uomini erano stremati ed eccitati
dalla recente vittoria, e soprattutto erano assetati e affamati. Le truppe
napoleoniche non utilizzavano lunghe linee di rifornimenti, bensì si
mantenevano tramite requisizioni effettuate nei territori che attraversavano. Il ducato di Weimar non era soltanto il teatro delle operazioni
militari, ma anche uno dei due alleati tedeschi della nemica Prussia –
l’altro era il Braunschweig, la patria del comandante supremo. Weimar
pertanto non poteva illudersi di essere risparmiata. Nelle vicinanze del
castello vennero incendiati cinque edifici, e la colonna di fumo che da lì
saliva al cielo mostrava alle truppe sparpagliate sul territorio il loro
punto di ritrovo. Si credette subito che la città stesse bruciando in tutti
i suoi quattro angoli, e si sparse il panico. Tuttavia, come scrisse Johanna Schopenhauer, «c’erano uomini che volevano distruggere la povera
4
C. M. Wieland, Wielands Briefwechsel, 17.1, p. 143.
6
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Soldati al Frauenplan
Weimar, ma Dio fu misericordioso»5. Il cielo fu benigno: la giornata era
senza vento, il sole tramontò nitido dietro a Erfurt e il fuoco non si diffuse, anzi come per miracolo neppure una scintilla finì sui materiali
esplosivi caduti dalle casse di munizioni dei prussiani in ritirata e rimasti sparpagliati all’aperto lungo le vie circostanti.
La cittadina sfuggì alla catastrofe. Ufficialmente i saccheggi vennero fermati soltanto il 16 ottobre, ma le perdite risultarono contenute.
Oltre alle cinque proprietà bruciate nella Vorwerkgasse, non più di altre due dozzine di edifici risultarono depredati, devastati o dati alle
fiamme, tra questi tuttavia anche quello della signora Charlotte von
Stein. I danni più gravi si ebbero in termini di beni e somme di denaro, così come calcolato da uno storico della città: «Oltre a 139 851 talleri in contanti la popolazione cittadina in un giorno e due notti perse
3242 capi di bestiame da tiro e da macello, tra questi ben 109 cavalli,
6846 staia weimariane di grano, 4643 quintali di fieno, 339 lettiere di
paglia, 40 836 misure di vino, 25 779 di birra, 8605 di acquavite, biancheria per il valore di 56 840 talleri, generi coloniali e tessuti per il valore di 69 403 talleri»6.
Per il ducato di Weimar fu soprattutto la situazione politica a rivelarsi estremamente critica. «Duca di Weimar e Eisenach lo siamo stati
per un momento», avrebbe detto Carl August, il sovrano locale e
amico di Goethe, seduto su un tamburo durante la ritirata a seguito
della sconfitta prussiana7. Appena prima dello scoppio della guerra il
duca si era alleato con la potenza egemone tradizionalmente legata a
Weimar, la Prussia, nonostante il suo consolidato giudizio scettico
sulla politica berlinese e sul re Federico Guglielmo III, e pertanto il
ducato aveva messo a disposizione un battaglione di più di 700 uomini. Ma soprattutto Carl August ricopriva un ruolo importante nell’esercito prussiano, in quanto comandava l’avanguardia che doveva
avanzare incontro ai francesi attraverso la foresta della Turingia verso
la Franconia. Quando tuttavia questo piano fallì in ragione della velocità di movimento di Napoleone, Carl August riuscì a far rientrare
senza perdite un intero distaccamento verso nord, oltre l’Elba, risparmiandolo in tal modo dalla disordinata rotta in cui incorse il resto del
comando militare prussiano. Questo successo certo non sfuggì all’a5
Johanna Schopenhauer al figlio Arthur, 19 ottobre, in H. Kebbel, Weimar in der Zeit
der Befreiungskriege, p. 20.
6
Ibid., p. 26.
7
H. Tümmler, Carl August, p. 159.
7
Extrait de la publication
Seibt, Il poeta e l’imperatore
cume strategico di un Napoleone. In questo caso egli aveva di fronte
un nemico che sembrava essere un po’ più abile degli altri generali
prussiani, della cui incompetenza aveva appena avuto prova in maniera esemplare a Jena e Auerstedt, e qualcuno che osava di più degli
altri sovrani della Turingia, i quali si erano destreggiati con prudenza
per tenersi fuori dalla guerra.
Tuttavia la casa ducale di Weimar aveva un asso nella manica, che
l’imperatore non poteva ignorare: il duca ereditario Carl Friedrich
dal 1804 era sposato con una sorella dello zar, la duchessa Maria
Pavlovna, che abbiamo già conosciuto come una delle ascoltatrici dei
racconti di Goethe. E nei confronti dello zar Alessandro I, alleato
dell’Austria dal 1805 e dunque anche lui un nemico nella battaglia di
Austerlitz, adesso legato alla Prussia e ancora tutt’altro che sconfitto, Napoleone doveva fare attenzione; ma già allora pensava di riuscire a portarlo dalla propria parte. Dunque era d’obbligo non mostrare troppa durezza nei confronti di un sovrano che era un così
stretto parente dell’imperatore russo. Inoltre la politica francese mostrava la tendenza a separare la Prussia dai suoi vicini sassoni e a
puntare, con ciò, a sfruttare gli antichi sentimenti antiprussiani; con
successo, come si sarebbe visto.
Altrimenti il destino del ducato di Weimar sarebbe stato davvero
quello che Carl August si era aspettato per un certo periodo e che era
in effetti toccato al ducato di Braunschweig. E certo non sarebbe stato
l’unico staterello tedesco a scomparire, a quell’epoca, dalla carta geografica. La situazione all’indomani della sconfitta era in ogni caso
estremamente delicata. Il duca si trovava molto lontano, era irraggiungibile e marciava verso nord. La duchessa madre Anna Amalia già il 14
ottobre aveva abbandonato la residenza e i principi duchi prestavano
servizio presso l’esercito prussiano. Pertanto solo la duchessa Luisa,
moglie di Carl August, rimaneva a rappresentare la legittima autorità,
supportata dalla massima istituzione del ducato, il Consiglio Segreto,
composto dalle «Loro Eccellenze» Christian Gottlob Voigt e Wilhelm
Ernst von Wolzogen come pure dal consigliere segreto Johann Wolfgang von Goethe. Questi era responsabile di tutto ciò che riguardava
le questioni culturali, come la direzione del teatro di corte e della biblioteca e non ultimo anche la gestione dell’università di Jena e l’amministrazione delle sue raccolte scientifiche; ma come risulta dall’epistolario con il caro amico e collega Voigt egli era ovviamente bene al
corrente anche di tutte le altre questioni politiche del ducato. E natu8
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Soldati al Frauenplan
ralmente in un momento così critico anche l’opinione di Goethe era
richiesta con urgenza.
Dapprima fu la duchessa Luisa a svolgere un ruolo decisivo. Il castello di Weimar, da poco restaurato sotto la direzione di Goethe, divenne il rifugio di tutti coloro che cercavano aiuto, tra questi Charlotte
von Schiller e la signora von Stein. E qui si attendeva adesso il vincitore, a cui si era preparato alloggio e accoglienza. Nel frattempo la duchessa supplicava i due generali francesi già arrivati in loco – Jean
Rapp e Gioacchino Murat – di fermare i saccheggi, anche se invano, in
quanto soltanto l’imperatore aveva il potere di applicare pietà ai vinti.
Napoleone, il vittorioso imperatore dei francesi, arrivò al castello
di Weimar il 15 ottobre. Le scene che si svolsero quel giorno e quello
seguente tra lui e la duchessa hanno fornito a lungo ampia materia di
studio alla storiografia nazional-patriottica, che vi ha visto un esempio
di impavido orgoglio femminile non dissimile da quello della sua
omonima, la Luisa prussiana. La duchessa avrebbe affrontato il vincitore con dignità e fermezza degna di un uomo, se non superiore.
Quanto a lei, ella preferisce scrivere in una lettera al fratello, redatta in
francese, che l’imperatore in un primo momento la trattò «con molta
scortesia», très impoliment. Un altro testimone oculare riferisce che
Napoleone aveva a malapena rivolto alla duchessa, che lo attendeva in
cima alla scala del castello, un: Je vous plains, Madame, a cui aveva aggiunto: j’écraserai votre mari. «Mi dispiace, signora. Annienterò vostro marito». E poi l’aveva lasciata lì e si era ritirato nelle sue stanze8.
Il mattino seguente, e poi in occasione di un secondo incontro la
sera del 16 ottobre, l’imperatore si mostrò ancora indignato, ma quantomeno disposto al dialogo. E in effetti Luisa non si lasciò troppo intimidire e al fuoco di accuse di Napoleone contro suo marito seppe opporre l’argomento del suo tradizionale patto di alleanza con la Prussia,
nonché il suo onore di soldato, che anche l’imperatore aveva il dovere
di rispettare. Il fatto che Napoleone tuttavia proferisse minacce così
esplicite lascia supporre che egli fin dall’inizio non avesse in mente di
distruggere Weimar. Addirittura cominciò a fare complimenti cavallereschi alla fiera duchessa, complimenti che in seguito ebbe a ripetere
in ogni occasione. La richiesta principale dell’imperatore era che Carl
August si presentasse immediatamente al suo cospetto e che rompesse
subito il patto di alleanza con la Prussia. Entrambe le cose non pote8
E. von Bojanowski, Louise, pp. 287 sgg.
9
Seibt, Il poeta e l’imperatore
vano accadere all’istante, dato che non si aveva nessun contatto con il
duca e che anzi non si sapeva neppure dove si trovasse. Così per il governo provvisorio di Weimar – ora ribattezzato «Conseil administratif» – cominciò una prova di nervi riguardo alla sopravvivenza del ducato che si protrasse per ben due mesi, e cioè fino al 15-16 dicembre
1806, quando a Posen fu siglato un trattato di pace e Weimar venne
inclusa come «stato sovrano» nel nuovo Rheinbund, la «Confederazione del Reno» retta da Napoleone. L’imperatore minacciava, addirittura talvolta si infuriava, mentre al contrario il suo entourage, non
ultimo il ministro degli esteri Talleyrand, calmava e rabboniva gli animi. Carl August, in effetti, si fece subito esimere da Federico Guglielmo III dall’impegno di alleanza con la Prussia, cosa che avvenne in maniera formale tramite le due epistole del sovrano da Magdeburgo il 21
e da Küstrin il 24 ottobre; tuttavia il duca fece in modo di rimandare il
più a lungo possibile la richiesta di presentarsi di persona davanti all’imperatore. Ciò portò alla disperazione i funzionari weimariani
Voigt e Goethe, ma soprattutto il giovane ministro Friedrich von
Müller – in seguito noto come il «cancelliere Müller», un caro amico
di Goethe –, il quale per proseguire le trattative di pace dovette partire
per raggiungere Napoleone, che avanzava rapidissimo di vittoria in
vittoria, e che con le sue vive descrizioni delle udienze presso l’imperatore teneva di volta in volta col fiato sospeso, tra speranza e timore,
il direttivo weimariano.
Il fatto che Carl August e poi anche il principe ereditario non si affrettassero a presentarsi al cospetto dell’imperatore loro vincitore nonostante le pressioni, in particolare, di Voigt e di Goethe, rivela come
minimo un concetto molto sentito di rango e casta. Soltanto il 30 di
novembre il duca si recò a parlare a Berlino con il ministro degli esteri
Talleyrand, e solo dopo la fine dell’anno, ossia dopo che da diverse
settimane ormai la Francia lo aveva riconosciuto di nuovo come legittimo sovrano, egli fece ritorno nel suo ducato. Ma l’esitazione di Carl
August, certo malvista nel clima di isteria allora diffuso a Weimar,
non rivela forse anche una notevole lungimiranza politica? «La nostra
posizione tra Francia e Russia è molto ambigua», scriveva il duca il 5
dicembre da Berlino al Consiglio Segreto. «Non possiamo permetterci di rovinarla del tutto con quest’ultima!»9. Nell’eventualità di un
successivo rovescio di equilibri, la palesata difficoltà a partecipare al
9
PB II,
n. 500, p. 384.
10
Extrait de la publication
Soldati al Frauenplan
sistema di alleanze napoleonico avrebbe costituito un punto a proprio
vantaggio.
«La conferma della nostra minuscola esistenza politica è per noi cosa grandissima», scrisse Voigt il 9 novembre all’ambasciatore Friedrich
von Müller. Tale esistenza al momento era stata garantita, ma il prezzo
pagato era stato così alto da far venire i brividi. In quanto membro della Confederazione del Reno, e dunque di fatto vassallo di Napoleone,
Weimar non solo doveva mettere a disposizione un contingente militare di circa 800 uomini, non solo doveva essere pronta ad alloggiare
circa 80 000 soldati e 22 000 cavalli fino alla primavera del 1808, ma
soprattutto doveva versare un contributo di 2,2 milioni di franchi,
somma pari a un intero introito annuale del ducato. Simili contribuzioni – dopo la pace di Tilsit alla Prussia furono addirittura imposte,
a confronto, richieste molto più pesanti – servivano alla vittoriosa
Francia per finanziare le enormi spese di guerra nonché a mantenere
una pressione costante sui paesi sconfitti, i quali erano costretti a implorare dilazioni e riduzioni senza ottenere alla fine alcun risultato.
«Tutto il benessere spazzato via in un fiato rende molto, molto triste
l’amico della patria che per lungo tempo aveva contribuito alla sua
realizzazione», recita l’amaro resoconto del consigliere segreto Voigt
del 14 dicembre10.
Verosimilmente Goethe fu molto coinvolto da questi avvenimenti.
Nonostante si fosse ritirato da tempo dalle dirette occupazioni politiche, egli apparteneva ancora alla ristretta cerchia delle figure più vicine al duca. Inoltre, la minaccia che incombeva sulla sopravvivenza del
piccolo stato al quale si era legato da trent’anni lo toccava direttamente di persona. Dal ducato di Weimar dipendeva infatti la maggior
parte dei suoi proventi, come pure la sua vita di scrittore e studioso.
Da molto tempo le istituzioni culturali del paese – le biblioteche, le
collezioni, l’università, il teatro – si erano andate strutturando a misura delle sue esigenze. Al riguardo, spesso si è parlato della vita di
Goethe come di un esempio di compromesso aristocratico-borghese;
ma forse sarebbe più preciso definirla come una simbiosi accademico-cortese. Weimar e la sua corte ne rappresentavano, in questo senso, il côté estetico, poiché era qui che gli si offrivano le occasioni, il
pubblico e il palcoscenico per le proprie creazioni letterarie (o per
conferenze di tipo divulgativo), nonché per l’elaborazione di una po10
L. Geiger, Alt-Weimar, p. 115.
11
Extrait de la publication
Seibt, Il poeta e l’imperatore
litica artistica di ampio respiro. Viceversa a Jena, con la sua università,
poteva trovare il proprio spazio il Goethe scienziato e filologo. Qui
egli poteva liberarsi delle convenzioni e degli obblighi di società per
dibattere con amici e colleghi, condurre esperimenti complessi e non
ultimo esercitare un influsso politico-culturale e critico-letterario in
tutta la Germania attraverso le colonne della «Jenaische Allgemeine
Literatur-Zeitung».
Questo sistema sviluppatosi attorno a Goethe nel corso di molti anni non era mai stato, né mai più sarebbe stato così minacciato, in seguito, come lo fu nelle settimane della battaglia di Jena e Auerstedt. I diari,
le lettere e le riflessioni redatte in tarda età nei Tag- und Jahreshefte –
ovvero quegli annali che offrono informazioni sulla vita del poeta fino
al 1822 – documentano una preoccupazione partecipe che aumenta di
giorno in giorno, addirittura di ora in ora. «La sera da Sua Serenissima
per l’addio». «Dal Cons. Voigt a causa della situazione attuale». «A
mezzogiorno a Niederroßla da Sua Serenissima nel quartier generale».
Sono appunti del diario dei giorni dal 16 al 24 settembre. Nei Tag- und
Jahreshefte, ancora venti anni più tardi, Goethe scriveva delle «preoccupate trattative» con Voigt, e di un «fitto colloquio con il mio Duca
nel quartier generale di Niederroßla»11. Goethe non sembra essere stato
molto fiducioso. Quattro giorni prima della battaglia aveva scritto una
«canzone di guerra» con un verso che suonava «La mia causa poggia
sul nulla»; cosa che anche Wieland pare avesse preso male12. E la sera
precedente aveva fatto una passeggiata nell’accampamento prussiano,
dove era rimasto impressionato dal caos che vi regnava. Anche Voigt
era disfattista. Già il 4 ottobre scriveva a Goethe: «I migliori generali
dicono che tutto dipende e va calcolato soltanto sulla base della fortuna. Ma forse che finora la fortuna non è stata sempre dalla parte del nemico?». E lo invitava a riflettere: «Non si tratta però soltanto di fortuna, loro giocano alla guerra come buoni giocatore di scacchi si muovono sulla scacchiera, e noi – noi siamo nuovi, e abbiamo molte teste»13.
Sulla base di simili dubbi non stupisce che Goethe guardasse con scetticismo alla partecipazione del suo principe alla guerra. Cosa intendeva, altrimenti, con quel «fitto colloquio»? «Fitto» suona qui come
«franco» e «foriero di sventure».
11
Le testimonianze sono riportate in esteso in Grumach VI, pp. 136 sgg., nonché nei
commenti all’edizione storico-critica dei Tagebücher.
12
Grumach VI, p. 148 (Falk, 10 ottobre 1806).
13
Goethe, Briefwechsel mit Christian Gottlob Voigt, n. 147 (III, p. 130).
12
Extrait de la publication
Soldati al Frauenplan
A Jena la settimana prima della battaglia Goethe aveva avuto modo
di frequentare da vicino il quartier generale prussiano, pranzando quasi
tutti i giorni con i suoi generali. Il 2 di ottobre aveva dovuto liberare la
propria stanza al castello per ospitare il principe di Hohenlohe, il secondo comandante in capo dell’esercito prussiano; dopo la sconfitta fu Napoleone a occupare lo studio di Goethe. L’ufficiale prussiano Friedrich
Ludwig August von der Marwitz ha lasciato nei suoi ricordi uno schizzo di Sua Eccellenza come di qualcuno che si impegnava «a non mostrare niente dello studioso e del poeta, bensì solo del ministro. Si presentava sempre e soltanto nell’abbigliamento di corte delle grandi occasioni. Incipriato, con la parrucca, in marsina e panciotto ricamato, con
pantaloni di seta nera, calze bianche di seta, spadino, e sottobraccio un
piccolo tricorno in seta al posto del cappello». E a questo segue quella
frase intrisa di orgoglio di casta che tanto avrebbe amareggiato Theodor
Fontane: «Egli era un uomo alto e di bell’aspetto e sapeva assumere la
dignità che gli imponeva il suo rango, sebbene senza quella naturale e
spontanea eleganza propria di un gentiluomo»14.
Intanto Goethe dovette dissuadere il colonnello Massenbach, allora
membro del comando prussiano, dal pubblicare un pamphlet antinapoleonico. Tale gesto di prudenza aveva le sue buone ragioni: poche settimane prima Napoleone in Baviera aveva fatto fucilare l’editore Palm
per aver dato diffusione al violento trattatello antifrancese Deutschland
in seiner tiefen Erniedrigung (La Germania e la sua profonda umiliazione), di autore anonimo. Massenbach in seguito ringraziò il consigliere segreto weimariano per il suo provvidenziale intervento. Stanco
dei continui dibattiti politici, Goethe si riposava alla sua maniera, disegnando e intrattenendo conversazioni scientifiche nelle serate in compagnia del suo amico editore Frommann. Un’ulteriore prova della sua
ferma volontà di non lasciarsi sopraffare dalle vicende politiche è data
dal fatto che Goethe, in qualità di direttore del teatro di Weimar, facesse andare in scena la sera stessa del 13 ottobre una commedia, Fanchon,
la ragazza con l’organetto, nonostante gli attori fossero alquanto demotivati e la sala semivuota, occupata soltanto da alcuni ufficiali prussiani. Da tempo, come spesso accadeva dall’inverno del 1805-1806, militari prussiani erano stati di nuovo acquartierati nell’abitazione di
Goethe sulla piazza del Frauenplan.
14
Grumach VI, p. 142.
13
Extrait de la publication