STORIA
Nel 1861avviene la proclamazione del regno d’Italia grazie all’intersezione di due processi uno
guidato dalla monarchia Savoia, con Vittorio Emanuele II e Cavour, e uno guidato dalla democrazia
con a capo Garibaldi e Mazzini. L’unificazione non avviene solo grazie all’unificazione delle loro
volontà, ma deriva dagli scontri politici tra le due fazioni.
Nel 1857 Garibaldi aderisce alla Società Nazionale Italiana il cui motto era “Italia e Vittorio
Emanuele”, perché per ottenere l’unificazione italiana i democratici si subordinarono al potere
monarchico.
Ma mancavano al Regno ancora il Veneto e Roma. Il primo fu annesso all’Italia nel 1866 grazie alla
III guerra d’Indipendenza che coincideva poi con la guerra austro - prussiana.
La questione romana è invece più complessa, ma viene risolta nel settembre del 1870 quando i
prussiani sconfiggono la Francia. In questo modo vengono a mancare le garanzie politico - militari
per lo Stato pontificio. Tra il 1861 e il 1870 c’erano già stati altri tentativi di assediare Roma da
parte dei democratici, ma sia la campagna del ’62 che quella del ’67 fallirono.
Nel 1864 si tentò anche per via diplomatica con la Convenzione di settembre dove i piemontesi si
accordarono con i francesi affinché questi ultimi ritirassero le truppe dallo Stato pontificio in
cambio della promessa di non prendere Roma. La capitale fu infatti spostata da Torino a Firenze.
Le conseguenze del ’70 fanno postare la capitale a Roma.
Già nel 1864 il mondo cattolico al seguito del Papa si era opposto alle idee del mondo moderno, in
modo ideologico; ora con la formazione del Regno d’Italia il Papa proibisce ai cattolici di
partecipare alla vita politica, cioè di non partecipare né come eletti né come elettori. Questo
riguardava solo la sfera politica, perché in campo amministrativo comunale i cattolici erano attivi.
Era un rifiuto dello Stato dovuto al fatto che il Papa si vedeva privato della sovranità anche se gli
rimanevano delle garanzie e un’indennità.
I cattolici si dividevano in intransigenti che rifiutavano categoricamente lo stato, ma che si
dimostravano più interessati verso i mali della società come i problemi del mondo contadino o della
classe operaia; e i transigenti che cercavano un compromesso con lo Stato e che erano gli eredi di un
filone liberale.
Il cattivo rapporto dei cattolici con lo Stato risale alla I^ guerra d’indipendenza quando il Papa
partecipa alla guerra mandando alcune truppe. Il ritiro di queste truppe segnano la fine della
speranza guelfa che poneva il Papa a capo di un governo federale. I governi della destra avevano
chiuso dei conventi, espropriato la Chiesa di alcune terre...perché questi statisti nonostante fossero
cattolici mettevano lo Stato al primo posto.
Nel 1876 invece la destra storica sarà formata da anticlericali. Un momento di ritrovamento tra i
cattolici e lo Stato si avrà solo nel 1929, quando dopo il patto Gentiloni del 1913 i cattolici si
avvicinano allo Stato mantenendo idee conservatrici, alleandosi con i liberali contro il movimento
socialista.
Nel 1929 i cattolici si avvicinano allo Stato accettando la dittatura fino a diventare la classe
dirigente con la democrazia cristiana tra il 1948 e anni più recenti.
Dal 1870 lo Stato si consolida e il governo della destra arriva al pareggio del bilancio statale nel
1876. Il problema era grave perché il bilancio era andato in rosso per alcune spese fatte per
l’impianto dello Stato, per le guerre, per costruire infrastrutture come le ferrovie.
Proprio la questione delle ferrovie è molto discussa.
La destra composta da un personale politico che guardava all’interesse della nazione era contro la
privatizzazione delle ferrovie ritenendo che avrebbero reso più forte l’Italia se fossero state affidate
allo Stato.
Contro si schierano la sinistra e la destra toscana. La destra cade proprio su questa questione e sale
al potere la sinistra storica che convoca delle elezioni per consolidare il suo potere. Le elezioni
erano a collegio uninominale a turno doppio, cioè tra tanti candidati di un collegio se ne eleggevano
due e poi si faceva i ballottaggio.
Per arrivare al pareggio del bilancio la destra storica aveva attuato due forme di tassazione: una
diretta e una indiretta.
Quella diretta grava in modo particolare sul mondo contadino che in Italia è il ceto più numeroso,
tanto che si faranno delle inchieste per capire meglio i problemi di questo mondo. (Inchiesta Jacini
1884).
La tassazione indiretta è quella che va a colpire i beni di consumo e perciò tassa indistintamente
tutte le classi sociali. Questo metodo è più iniquo soprattutto se tocca beni come il macinato
incarando il costo del pane che era la base dell’alimentazione.
Ancora una volta le tasse gravano sul mondo contadino provocando rivolte più o meno organizzate.
C’era già un problema di ordine a partire dal 1861 ed era quello il brigantaggio che aveva ragioni
sociali e politiche: malessere delle zone meridionali e conquista del sud da parte del Piemonte.
Si tentò di sopprimere questo fenomeno con la violenza con un vero e proprio intervento militare,
con tecniche di rastrellamento da parte dei piemontesi.
La conseguenza è che l’Italia assume l’aspetto di uno Stato accentrato, nelle province esiste un
potere che è rappresentato dal Prefetto e che agisce con poteri amministrativi e politici.
Ritornando al problema dei contadini, l’agricoltura in Italia non era così ricca e con un territorio
così fiorente come si voleva credere. Alcune zone erano ancora paludose, insalubri, non adatte a
essere coltivate; quelle sfruttate a latifondo non erano utilizzate nel modo giusto.
Il governo liberale aveva pensato ad un’Italia impegnata nel settore primario inserita in un discorso
economico internazionale, per questo non si sono sfruttate in un primo momento i potenziali
industriali della siderurgia e del tessile.
Inoltre l’idea di una specializzazione a livello internazionale garantisce che gli esportatori di
prodotti agricoli siano subordinati agli altri.
Solo verso la fine degli anni 70 si ha una mentalità rivolta verso l’industrializzazione.
Dopo la caduta della destra storica sale al governo la sinistra storica che governerà quasi
ininterrottamente fino al 1887. Questo periodo si può suddividere in due fasi con un punto di cesura
nell’82.
La prima fase è caratterizzata da una spinta innovatrice che si esplica con la legge sull’istruzione
elementare per alfabetizzare e svolgere opera di socializzazione nel senso che si educavano le nuove
generazioni a pensare secondo gli schemi dominanti.
Inoltre si vuole ampliare il diritto di voto a tutti coloro che sapevano leggere e scrivere, portando la
percentuale dei votanti da un 2% a un 8% della popolazione.
A partire dal 1882 nasce il fenomeno del TRASFORMISMO, cioè la capacità da parte del governo
di attrarre dei personaggi che erano in origine di destra, ma che vengono inglobati nella
maggioranza. Questo può avvenire facilmente perché non esistevano i partiti, ma un insieme di
persone si riunivano solo in occasione delle elezioni, quindi aveva carattere temporaneo e ristretto.
Inoltre il collegio uninominale era più improntato sulla singola persona piuttosto che su un
programma politico preciso.
In Italia poi non può avvenire un’alternanza delle parti dello schieramento politico perché da una
parte ci sono i cattolici e dall’altra gli estremisti, che significa una spaccatura dell’Italia. Infatti a
differenza di quello che succedeva in Inghilterra non esistevano valori comuni.
Secondo lo storico Salvadori la mancanza di alternanza è tipica del governo italiano infatti alla fine
del regime liberali sale al potere il fascismo e quando finisce il fascismo l’egemonia è nelle mani
della democrazia cristiana.
I partiti intesi come partiti di massa nascono con l’avvento dei partiti socialisti, in modo particolare
di quello socialdemocratico tedesco, e poi si è diffuso anche alle correnti borghesi.
Il partito di massa richiedevano un’adesione cospicua, permanente e avevano un carattere
ideologizzato tenuto insieme da una concezione di potere strutturato e organizzato sul territorio.
Esisteva un centro direzionale diramato su tutto il territorio. Sono partiti di stampo democratico nel
senso che gli organi direzionali venivano eletti dalla base.
All’epoca dell’Italia liberale l’unico partito di massa era il partito socialista.
Dopo il 1882 la spinta progressista si esaurisce, nel 1887 muore Depretis e cambia la politica
economica in Italia.
Sale al potere Crispi che governa fino al n’96 con un’interruzione di due anni nel ‘92-’93. Il suo
governo si esaurisce con la sconfitta militare coloniale ad Adua.
Nel 1887 viene introdotta una tariffa protezionista contro la politica economica dell’inizio del
Regno d’Italia che tendeva ad abolire i dazi doganali.
Ora si introducono tariffe che riguardano alcune merci importate allo scopo di far salire i prezzi per
incentivare le vendite di tali prodotti all’interno del Paese. La tendenza al protezionismo è generale
in tutta Europa anche a causa della Grande Depressione dovuta non alla diminuzione della
produttività, ma al contrario per il suo aumento e la difficoltà a smaltire i prodotti con conseguente
calo dei prezzi.
In Italia vengono protetti i prodotti della cerealicoltura e lo zucchero, mentre dal lato industriale la
siderurgia, la meccanica e il tessile.
In Italia l’agricoltura è diversificata sia come produzione che come struttura sociale.
La cerealicoltura è ancora arretrata perché esige un’agricoltura estensiva, basata sulla quantità di
terreno utilizzato. Viene protetta perché i grandi produttori di cereali sono legati al governo e così
anche quelli dello zucchero. In questo modo gli altri produttori sono svantaggiati, per esempio i
viticoltori.
Nel 1888 nasce una tensione tra Italia e Francia, la cosiddetta guerra del vino.
Per quanto riguarda la siderurgia e la produzione di acciaio la protezione è sui prodotti di cantiere
come quelli navali. Il prezzo dell’acciaio che viene elevato artificialmente si ripercuote sui prodotti
della meccanica perché alla fine della lavorazione hanno un costo troppo elevato.
Il settore cantieristico gode di una protezione particolare nel senso che è lo Stato il committente,
soprattutto di navi da guerra. Inoltre lo Stato può garantire l’apertura di linee navali civili
aumentando la richiesta di prodotti. Vengono aperte nuove linee che attraverso il Canale di Suez
arrivino fino all’Eritrea, colonia italiana.
Questo determina un intreccio tra il governo e gli affari, che verrà criticato dagli economisti
liberisti.
Crispi inaugura un nuovo stile di politica, dando importanza a quella estera che assume caratteri di
aggressività, nazionalismo e si esplicita in una nuova volontà coloniale.
Questo ci fa capire come mai Crispi chiude la sua carriera politica proprio a seguito di una sconfitta
coloniale.
Per quanto riguarda la politica interna ha un atteggiamento autoritario nei confronti degli oppositori,
soprattutto dei socialisti, tanto che viene messo fuori legge il partito socialista nato nel 1892.
Sradica i moti anarchici in Sicilia e Toscana.
Crispi non era un conservatore tradizionale perché aveva un nuovo stile politico che attingeva dal
cancelliere tedesco, anche se in Italia non era possibile svincolarsi dalla maggioranza parlamentare.
Lui voleva parlare direttamente al paese senza avere a che fare con le mediazioni parlamentari,
senza avere vincili. Assecondava la tendenza anti parlamentare della seconda metà del secolo, cioè
quelle nate quando il parlamento assume peso maggiore nelle decisioni politiche.
Crispi non si limita solo ai discorsi ma mette in pratica il suo progetto dando ai ministri nuove
funzioni e ripristinando la figura del prefetto, come rappresentante del Governo nelle varie province.
Nel 1889 il ministro della giustizia Zanardelli costituisce un nuovo codice penale più liberale, che
garantisce più diritti all’imputato. Però attraverso la prassi amministrativa viene tolta l’autorità al
codice.
La politica interna di Crispi era basata sul mantenimento dell’ordine. I metodi più esplicativi erano
le repressioni come quelle contro i fasci siciliani e gli anarchici della Lunigiana nel 1894.
La tattica era quella di punire non chi aveva commesso un reato ma tutti quelli che potevano essere
sospetti. Questo avveniva soprattutto contro i socialisti, repubblicani e anarchici.
Crispi inoltre era anti clericale e quindi teneva sotto tiro anche i cattolici. Nel 1889 aveva lasciato
correre su una aggressione ad un corteo cattolico a Roma e nel 1889 aveva presieduto
all’inaugurazione del monumento di Giordano Bruno.
Per quanto riguarda la politica estera prediligeva la conquista delle colonie e questo contribuiva a
tenere alte le spese militari.
Nel 1882 si stabilisce la Triplice Alleanza che viene ribattezzata sia nel 1887 che nel 1896.
Questa alleanza era un trattato segreto che legava l’Italia alla Germania e all’Austria. Era stato
stipulato dalla sinistra con funzioni conservatrici.
Era a carattere difensivo, l’Italia non guadagnava nulla, mentre i tedeschi cercavano relazioni
internazionali contro i francesi.
Inoltre forti legami politici comportano dei legami commerciali; nel 1894 con capitali tedeschi in
Italia viene fondata la Banca Commerciale.
Per l’Italia c’è però un vantaggio: si chiude la questione romana. Il Papa rivendicava ancora la sua
egemonia su Roma e credeva di poter contare sull’appoggio dell’Austria, nazione cattolica e della
Germania. Ma con la Triplice l’imperatore austriaco non poteva permettere che uno stato alleato
perdesse la capitale.
Nel 1881 la Francia aveva occupato la Tunisia, un territorio che interessava anche agli italiani.
Il cancelliere tedesco aveva aiutato i francesi a conquistare la colonia tenendo lontano un possibile
attacco francese e nello stesso tempo si allea con l’Italia che è contro la Francia.
Nel 1887 il trattato viene rivisto e viene aggiunta una clausola che prevede compensi per l’Italia se
l’Austria avesse approfittato della decadenza dell’Impero ottomano per spostare gli equilibri
balcanici.
Nel 1389 le truppe turche avevano sconfitto gli sloveni ampliando il loro impero fino ai confini con
quello austriaco. Nel 1875 una rivolta di contadini portò a una guerra che durò fino al 1878 e finì
con il trattato di S. Stefano che prevedeva la creazione di uno stato Serbo e il protettorato
dell’Austria sulla Bosnia Erzegovina.
L’Italia avrebbe ricevuto l’Istria e il Trentino se l’Austria avesse spostato il suo baricentro nei
Balcani, ma quando nel 1908 l’Austria occupa la Bosnia l’Italia no riceve nulla in cambio.
Il trattato viene ripreso senza modifiche nel 1896 e durerà per altri 12 anni.
Nel 1896 finisce anche il governo di Crispi e si apre quel periodo chiamato CRISI DI FINE
SECOLO e dura dal 1896 al 1900.
E’ una crisi politico-istituzionale perché dal lato economico questi sono anni ferventi per
l’industrializzazione. E’ una crisi del sistema liberale che non riesce a imporre la propria egemonia
su una società in continuo cambiamento.
Si utilizzano strumenti che guardano al passato: esce un articolo di Sonnino nel 1897 intitolato
“Torniamo allo statuto”.
Lo statuto aveva fatto in modo che la monarchia da costituzionale diventasse parlamentare, il
sovrano manteneva però un potere influente su questioni militari e di politica estera.
Il Parlamento non riesce a guidare l’Italia in questa trasformazione perché si sente oppressa
dall’opposizione.
In questi anni sale al governo il Marchese di Rudinì che era più filofrancese ma concordava con
Crispi sulla necessità di un autoritarismo.
Nel 1898 a causa della guerra tra Stati Uniti e Spagna il prezzo del pane si alza provocando
manifestazioni e rivolte.
La repressione fu durissima anche perché in quel periodo non esisteva un corpo di polizia ma per
mantenere l’ordine venivano utilizzati dei reparti composti da soldati provenienti da ogni parte
d’Italia ma non da quella che andava occupata.
La situazione si placa quando sale al potere il generale Pelloux, gradito dalla sinistra perché durante
le repressioni aveva avuto buon senso.
Presentò però in Parlamento gli stessi decreti di Di Rudinì cioè leggi repressive che vietavano lo
sciopero e controllavano le associazioni e la stampa.
Si crea così del malcontento che contagia anche la sinistra liberale, perché nel contesto politico
avevano assunto un valore politico reazionario.
Conto il generale si schierano quindi la sinistra estrema e quella liberale con una tattica
ostruzionistica, cioè usavano il regolamento della Camera per ritardare le votazioni di certi decreti.
Il generale allora ricorse a decreti legge, cioè decreti del governo con valore legislativo e ne
posticipò l’entrata in vigore.
Zanardelli e Giolitti si opposero al governo perché non si possono fare decretazioni di urgenza su
argomenti costituzionali.
Questo portò alle elezioni del giugno 1900 e il governo venne affidato provvisoriamente a Saracco.
Intanto viene ucciso Umberto I da un anarchico, ma Vittorio Emanuele III evitò manovre repressive
e diede il governo a Zanardelli, che era uno degli ultimi liberali.
Inizia così l’era giolittiana perché Giolitti fu ministro di questo governo fino al 1914.
IL NOVECENTO
Nel 1896 finisce la Grande Depressione provocando un fenomeno di nuova espansione produttiva e
ripercussioni politiche. Ci fu una trasformazione che ha provocato cambiamenti in alcuni settori
dell’economia.
All’inizio della rivoluzione industriale il settore più sviluppato era quello tessile, mentre ora è
quello che comprende il campo siderurgico, l’industri elettrica e chimica. L’industria chimica
permette la trasformazione di materiale naturale o la sinterizzazione di quello che non si trova in
natura: sviluppo della gomma, raffinazione del petrolio...
L’industria elettrica fa cambiare il paesaggio soprattutto urbano per l’introduzione di illuminazioni
pubbliche e private e a livello rurale per la creazioni di dighe o centrali idroelettriche.
Visto che aumentano le unità produttive, aumentano le masse di operai e di tecnici addetti alla
produzione.
Si espande il modello FORDIANO che vuole una grande quantità di operai ma con una
organizzazione del lavoro che faccia risparmiare tempo e che espropri gli operai delle loro
conoscenze. Prima l’industrializzazione avveniva grazie alle capacità tecniche degli operai, ora
tempi e modi vengono imposti dall’alto attraverso l’inserimento di catene di montaggio.
Si cercava inoltre di inserire nelle industrie un operaio non specializzato (unskilled) perché può
essere sostituito molto facilmente.
Queste condizioni di lavoro erano più dure e per questo la trasformazione dell’industria è seguita da
conseguenze sociali e sindacali.
Ford introdusse anche un salario più elevato che serviva a stimolare i consumi. Questo può avvenire
nella sua industria perché i suoi prodotti possono essere acquistati dagli stessi operai (auto di
massa).
Una degli aspetti della politica di Giolitti sarà quella di lasciare una sana conflittualità sociale, così
che gli operai avendo un salario maggiore incrementino le vendite.
Nascono in questo periodo i grandi magazzini prima nelle grandi città e poi diffuse in più parti.
E nasce anche al pubblicità subito vista come una nuova forma di arte.
Nel 1889 nasce una organizzazione sindacale: la Seconda Internazionale.
La Prima Internazionale del 1864 era un’associazione a cui si poteva aderire solo individualmente;
alla Seconda invece è possibile aderire come partiti nazionali. C’è uno sviluppo del movimento
operaio che va via via crescendo dopo lo sviluppo del capitalismo e del socialismo.
Le radici nazionali avranno importanza alle soglie della Prima Guerra Mondiale, perché i partiti
operai vengono inglobati nei movimenti nazionali, dando il loro voto per i crediti di guerra
assumendo valori nazionali e bellici.
Questo avviene perché le strutture all’interno della società avevano creato una cultura che non
consentiva una mentalità rivoluzionaria. O si accettava la guerra o si prendevano posizioni di
intransigenza che subivano una forte repressione.
I sindacati e i partiti non si sovrappongono infatti il primo è a carattere economico-sociale, mentre
l’altro a scopo politico. In Germania nel 1912 gli operai che erano iscritti ai sindacati erano 10
milioni mentre solo 3500000 erano iscritti al partito.
La 3^ Internazionale nel 1919 era a carattere comunista e coincideva con lo Stato Sovietico. La 4^
Internazionale alla metà degli anni 20 assuma un carattere bolscevico.
Un carattere della 2^ Internazionale era quello di informare il popolo del pensiero di Marx.
Il Marxismo è una corrente che si richiama al pensiero di Marx e non è necessariamente uguale,
mentre Marxiano si richiama alle opere di Marx e a lui stesso.
Nel periodo della 2^ Internazionale non tutte le opere di Marx sono note e il suo pensiero è
complesso e pesante perché scrisse soprattutto di economia.
Subentra quindi una forma di divulgazione che può essere a due livelli. Quella più “alta” è una
traduzione di Engels del pensiero di Marx in termini filosofici, utilizzando la corrente positivista
che non era propriamente adatta a rendere il pensiero marxista.
Una divulgazione più “bassa” avviene grazie ad una volgarizzazione e una semplificazione fatta da
vari intellettuali e diffusa nei sindacati anche attraverso le biblioteche di partito.
Anche la 2^ Internazionale, come la 1^, deve fare i conti con gli anarchici che però vengono
emarginati con l’introduzione delle idee marxiste.
Verso la metà degli anni 90 il marxismo viene messo in crisi da un teorico della SPD, Bernstein.
La sua tecnica è il revisionismo che viene applicato ad una filosofia che ormai era diventata
un’ideologia.
Con la fine della Grande Depressione viene a mancare un presupposto del marxismo, cioè la crisi
del capitalismo.
Marx diceva che c’erano delle contraddizioni nel capitalismo che avrebbero portato ad una crisi
dello stesso e alla nascita del socialismo. Il proletariato si sarebbe allargato mentre la classe
borghese sarebbe diminuita. A questo punto la rivoluzione era facilitata e legittima e legata alla
diminuzione dei profitti dei capitalisti.
La fine della Grande Depressione smentii questa previsione.
Per Bernstein lo scopo della socialdemocrazia è quello della riforma del capitalismo e non il suo
abbattimento.
Dopo il 90 in Germania cessano le leggi antisocialiste e si consente al socialismo di organizzarsi e
quindi non si sente più così forte l’esigenza di una dittatura del proletariato.
Il socialismo non è subordinato alla rivoluzione ma diventa accettazione della democrazia.
La socialdemocrazia si inserisce quindi in modo positivo.
Nei fatti la prassi della SPD era revisionista, cioè accettava la situazione dello stato borghese.
Bernstein da una dignità teorica a questo comportamento.
Con la crisi del 1929 gli Stati Uniti sono percossi dalla crisi e il capitalismo sembra cadere e
sembra avverarsi il pensiero di Marx .
Correnti che si richiamano al marxismo dibattono su questi temi.
Norberto Bobbio dice che il comunismo non ha una teoria dello stato che si adatta alle condizioni
della società presente.
Marx credeva in uno stato transitorio governato dal socialismo che sarebbe durato poco perché la
comunità comunista doveva essere astatale.
Lo sviluppo della tecnologia avrebbe portato alla mancanza delle classi sociali e dell’esigenza di
uno stato .
Le leggi antisocialiste propugnate alla fine degli anni 70 non mettono fuori legge il movimento, ma
regolano la loro organizzazione e le loro possibilità associative.
Il nuovo imperatore Guglielmo II nel 1890 le scioglie perché questo sistema non dava frutti perché
il movimento socialista aveva dato vita a organizzazioni anche culturali e sindacali e si era radicata
sul territorio.
IMPERIALISMO è un fenomeno che coinvolge quasi tutti i paesi del mondo tra gli anni 70-80 e la
I^ Guerra Mondiale. E’ un’età in cui ritornano i grandi imperi coloniali che vengono o creati o
ripristinati e ampliati.
Dopo la Conferenza di Berlino del 1884 tutta l’Africa viene coperta dalla dominazione coloniale.
Partecipano tedeschi, inglesi, francesi, belgi, italiani, spagnoli...
La Francia prende possesso di quasi tutti gli stati che si trovano sulla costa settentrionale e della
fascia subsahariana , i belgi con la presenza di Leopoldo II prendono possesso personale del Congo
Belga, i tedeschi occupano la Libia e lo Zambia, mentre gli inglesi occupano la fascia che taglia
l’Africa da nord a Sud attraverso gli stati: Egitto, Sudan, Kenia, Rhodesia, Sud Africa.
Nel 1896 gli inglesi e i francesi si scontrano in un villaggio del Sudan, ma la guerra è scongiurata
perché la Francia decide di cedere il territorio agli inglesi.
Nel 1904 Francia e Inghilterra stringono le premesse per l’Alleanza alla quale si aggiungerà la
Russia che sarà importante durante la I^ Guerra Mondiale.
L’imperialismo si differenzia dal colonialismo da fatto che non è solo un’acquisizione di nuovi
territori, ma ci sono motivazioni e cause diverse.
Ci sono due forme di imperialismo: formale e informale.
Per esempio l’America del Sud non è direttamente dominata, ma lì si concentrano gli interessi degli
Stati Uniti e dell’Inghilterra. Il predominio non avviene attraverso una forma politico militare, ma si
tratta di uno sfruttamento economico governato dal paese colonizzatore.
L’imperialismo ha quindi motivazioni soprattutto economiche , ci si ripropone di trarre dal paese
colonizzato una serie di vantaggi economici.
Si pensa di spostare nelle colonie merci, capitali e uomini.
Uomini per dare sfogo alla eccedenza demografica, come in Italia che per un eccesso della
popolazione si sono verificate forti emigrazioni negli Stati Uniti, in America Latina ma anche nel
resto dell’Europa.
L’esportazione dei capitali si ha quando questi in patria non danno profitto e così si cerca di
impiegarli all’estero.
Per quando riguarda le merci, in Europa è il periodo del protezionismo, per cui si pensa di smaltire i
prodotti eccedenti all’estero.
Lo scambio avviene anche in senso contrario, cioè si esportano dalle colonie i prodotti esotici, come
il thè, la gomma, il petrolio...Inoltre si possono avere a basso prezzo anche minerali che sono o
preziosi come l’oro, l’argento, i diamanti, o di utilizzo come il rame.
Esistono delle motivazioni ideologiche per giustificare l’imperialismo: l’uomo bianco è superiore
degli indigeni oppure l’uomo bianco vivendo in una società progredita si sente in dovere di portarla
anche nelle colonie; si sente un senso di responsabilità.
L’aspetto politico strategico serviva allo Stato per tenere a bada la parte povera della popolazione,
creando il mito dell’Imperialismo o reinvestendo i proventi dello Stato per le classi disagiate.
La conquista delle colonie ha anche una funzione strategica, per esempio gli Inglesi negli anni ’80
controllavano l’Egitto per avere l’utilizzo del canale di Suez.
Quindi l’imperialismo non è solo un gioco economico ma anche politico - strategico.
L’Imperialismo viene analizzato e diventa oggetto di scontro politico all’interno del marxismo.
Ci sono differenze di analisi anche all’interno del pensiero stesso.
Rosa Luxemburg dice che l’Imperialismo è legato all’incapacità delle metropoli di assorbire la
produzione. Ipotesi sottoconsumistica.
Lenin nel 1916 dice che l’Imperialismo è legato alla caduta del tasso di profitto delle imprese.
L’Imperialismo è la fase suprema del capitalismo, cioè il capitalismo deve passare necessariamente
attraverso l’imperialismo e questa è la fase massima.
Altri autori come Kautsky dicono che l’imperialismo non è la fase suprema del capitalismo, ma una
possibile via di sviluppo del capitalismo. Esiste cioè una possibilità di scelta, di indirizzare il
capitalismo verso certe scelte.
La teoria dell’ultraimperialismo vede economie mondiali che tentano di unificarsi.
Appare chiaro che quindi il capitalismo e l’imperialismo sono legati da fattori economici.
Nel 1919 Schumpeter dice che l’imperialismo non è legato al capitalismo ma è esattamente il suo
contrario. L’imperialismo è ATAVISMO, cioè una forma primitiva di relazione tra uomini basate
sul potere, sul puro dominio, è quindi una forma di arretratezza.
L’imperialismo deve essere quindi un legame commerciale e non di scontro politico e militare.
Il capitalismo deve essere caratterizzato da un razionalismo economico, ma senza poterer.
La tesi di Cont dice che l’industrializzazione porta alla fine della guerra , perché questa non è legata
a questioni economiche.
Angel nella “Grande illusione” parla di legami economici che non possono portare a guerre perché
la guerra può essere solo una perdita.
Esistono delle dottrine sociali anche nel mondo cattolico. A partire dalla prima metà dell’800 i
termini di questa dottrina cambiano perché sono cambiate le situazioni sociali con
l’industrializzazione.
All’inizio la reazione della Chiesa è quella puramente diffidente perché si pensava che alcune teorie
portassero turbamento nel mondo cattolico; infatti vengono messi nel Sillabo nel 1764 alcune
dottrine.
Nel 1891 il Papa Leone XIII promulga l’enciclica Rerum Novarum che arriva al mondo cattolico
con una forza prorompente. Si occupa infatti della questione operaia, si accetta che gli stessi si
organizzino in forme di organizzazione indipendenti, diversi dalle Società di mutuo soccorso.
Il Papa accetta queste organizzazioni solo se non sono finalizzate alla lotta di classe, senza lo
sciopero, perché l’idea è quella che tutti sono cristiani e tutti devono attenersi agli insegnamenti del
Vangelo, sia gli imprenditori che gli operai.
La prospettiva è interclassista che porti allo stemperamento dei conflitti sotto l’ala della Chiesa.
Qui nasce l’idea della democrazia cristiana che però ha idee classiste e si avvicina molto al
socialismo.
INGHILTERRA: avviene una alleanza tra conservatori e liberali unionisti, cioè i liberali che
abbandonavano il partito perché non vogliono l’autonomia dell’Irlanda.
All’inizio del 900 le elezioni premiano i liberali laburisti. La prospettiva politica porta all’inizio di
una legislazione sociale e all’introduzione della pensione di vecchiaia. Questa riforma porta un
aumento delle tasse che ora vengono pagate con il metodo della progressività dell’aliquota.
Prima le percentuali erano proporzionali al reddito, ma l’aliquota del 10% sul reddito era uguale sia
per il ricco che per il povero. Ora con la progressività la percentuale incide in modo diverso.
Lo scontento delle classi ricche porta a un conflitto costituzionale. La Camera dei Lord poteva porre
il veto alle leggi. Questa legge viene rivista dal governo, che proibisce alla Camera dei Lord di
imporsi sulle leggi. Questo può avvenire perché in Inghilterra la Costituzione non è scritta.
FRANCIA : la Francia viene sconvolta dal caso Dreyfuss, capitano ebreo che viene ingiustamente
accusato mettendo in luce negativa l’affidabilità degli ebrei.
La Francia si spacca in due: una visione repubblicana e laica con in più i socialisti e una visione
cattolica e conservatrice opposti al comandante.
Nel 1899 i repubblicani vincono le elezioni grazie all’intervento dei socialisti.
Negli anni ’80 la Repubblica francese che era nata dalla guerra franco-prussiana è scossa da
scandali finanziari nei quali sono coinvolti anche esponenti ebrei e questo basta a dare il via a una
visione antisemita.
Il caso Dreyfuss capita in una Francia già antigiudaica in cui la destra voleva riprendersi il governo.
Una parte della destra era formata dall’esercito, che nella società aveva un ruolo importante anche
perché esisteva, e non solo in Francia, una mentalità militarista, nazionalista, propensa verso le
armi.
Anche la Chiesa è antigiudaica, però non nell’accezione di antisemitismo, cioè i convertiti venivano
integrati. Il discorso non riguarda le razze ma è solo religioso.
Quando entra al governo un socialista inserisce una teoria possibilista, cioè la possibilità che i
socialisti collaborino con i radicali.
Una conseguenza del corso Dreyfuss è la laicizzazione dello Stato con la sconfitta della Chiesa che
viene messa al margine. Anche questa era una tendenza forte della storia della Francia.
Sorel crea il mito politico come quello dello sciopero di massa in modo da bloccare tutta la società.
Prevale la componente irrazionale che fa leva sulla componente emozionale al contrario del mito del
progresso che è razionale.
Nel 1908 nasce un movimento di estrema destra che avrà dei contatti con i fascisti che se la prende
con i protestanti, gli ebrei, i massoni, gli stranieri giudicati distruttivi per la Francia.
E’ anche antistituzionale come in Germania nel I^ dopoguerra con la Rivoluzione conservatrice si
voleva andare contro l’istituzione per creare un governo di estrema destra.
In Francia nascono le squadre d’azione con elementi giovanili di destra che erano gli anticipatori del
fascismo.
IMPERO TEDESCO: a partire dalla fine del secolo in Germania nasce una nuova concezione della
politica internazionale per lo sviluppo di un certo ceto sociale che pensa all’espansionismo del
Paese.
Nel 1898 si vuole armare una flotta da guerra che concorra con quella inglese. Questo porta proprio
a un conflitto con l’Inghilterra.
All’interno della Germania si formano gruppi pangermanisti di estrema destra che hanno mire
espansionistiche.
AUSTRIA: gli austriaci sono più antisemiti dei tedeschi.
I problemi più gravi sono dati dalla popolazione slava che abitavano tutti i Balcani fino al cuore
dell’Europa.
Nel 1867 si era istituita la duplice monarchia, cioè l’imperatore regnava sia sull’Ungheria che
sull’Austria. Ora si vuole creare una triplice monarchia accorpando sotto un’unica monarchia i paesi
slavi, ma questo non è possibile a causa dei vari nazionalismi.
L’ETA’ GIOLITTIANA
L’età giolittiana inizia con un governo in cui Giolitti era ministro degli interni, mentre era
presidente Zanardelli. Durante tutto il periodo tra il1901 e il 1914 non giudò lo Stato sempre
Giolitti, ma anche alcuni suoi luogotenenti come Tittoni e Fortis.
Capitò anche al governo uno dei suoi più accaniti oppositori cioè Sonnino, che governò solo pochi
mesi.
Oltre a questo periodo denominato età giolittiana, Giolitti governò incastonato nel governo Crispi
tra il 1892 e il 1893 e poi nel 1920-21 per ristabilire le sorti dell’Italia postbellica prima dell’inizio
del fascismo.
La presenza del partito socialista condiziona parecchio la politica di Giolitti.
Il movimento operaio non esisteva e al suo posto c’erano le associazioni di muto soccorso che erano
alla classe borghese dei partiti progressisti. Avevano un intento solidaristico, ma non erano
associazioni di resistenza o sindacali.
Il partito socialista deriva da una spaccatura delle file anarchiche.
Nel 1882 nasce l’organizzazione del partito operaio italiano dove c’era una forte matrice operaistica
che vedeva la classe operaia come la classe cui interessi erano fondamentali per tutta la società.
Nel 1882 viene eletto al governo il primo socialista, Andrea Costa, ma è un episodio circoscritto.
Il partito socialista vero e proprio nasce a Genova nel 1892 mentre si festeggiavano i quattrocento
anni dalla scoperta dell’America..
Dopo la divisione dagli anarchici, il problema per il partito nascente è quale strategia politica
adottare. Ci si richiama a l marxismo ma anche alle teorie di Turati che vengono dal positivismo.
L’idea del socialismo viene affiancato a un programma di opere concrete che presupponevano
l’inserimento del partito nella struttura politica dello Stato.
Durante l’età giolittiana avvengono entrambe le possibilità: sia un periodo diretto da una
maggioranza riformista insieme a Turati, sia una fase guidata dalla maggioranza massimalista
capeggiato da Ferri.
Il socialismo in Italia si è affermato a livello comunale per esempio con un progetto di creazione di
servizi pubblici organizzati dal comune.
Il periodo iniziale dell’età giolittiana vede Giolitti favorevole alle riforme fino al 1904 anno in cui ci
furono degli eccidi da parte dell’esercito in Sardegna e in Sicilia ai quali i lavoratori avevano
risposto con uno sciopero nazionale. Questa situazione porta ad una radicalizzazione delle parti che
fa tendere Giolitti verso il conservatorismo.
Nel 1903 Giolitti aveva chiesto a Turati di entrare nel governo, ma lui aveva rifiutato perché era
cosciente che il partito si sarebbe diviso in due parti.
La fase progressista è tipica degli anni tra il 1901 e il 1904 quando Giolitti accetta la neutralità dello
stato nelle questioni dei conflitti riguardanti il lavoro se questo si mantiene in un ambito economico
e non deborda in disordini o atti sovversivi. Aumentano così gli scioperi con un conseguente
aumento dei salari e una redistribuzione dei redditi e della produzione in sovrappiù.
Ci sono però dei limiti: non sono possibili scioperi in alcuni settori come quello dei pubblici servizi
e poi l’alleanza politica di Giolitti con la rappresentanza del partito si limita solo alla fascia
dell’Italia del Nord. Questo inoltre è un periodo in cui si accentuano gli squilibri tra Nord e Sud
anche perché lo stesso Giolitti ha degli atteggiamenti diversi verso le due zone.
Al Sud Giolitti utilizza dei prefetti che organizzavano la Malavita per influenzare la vita politica.
Secondo Giolitti non è possibile un’Italia senza una forte base industriale, mentre Sonnino voleva
basare l’economia italiana sull’agricoltura.
La condizione economica dell’Italia era basata sulle industrie cantieristiche, siderurgiche,
meccaniche e ora con nuovi settori che si aggiungono: la produzione elettrica (edison) e chimica
(montecatini).
Giolitti promulga le cosiddette Leggi Speciali per le aree del Mezzogiorno sia per creare
infrastrutture che portino sviluppo sia per aiutare la popolazione colpita da calamità.
Esiste anche una cassa per il Mezzogiorno che però non risolve i problemi di sottosviluppo, ma che
tendono a ingigantirli provocando grandi ondate migratorie verso i Paesi al di là dell’oceano.
Spesso questi trasferimenti erano permanenti e così si rompevano vincoli familiari e si sbarcava
carichi di speranze.
In America l’immigrazione era regolata in modo ferreo e non c’era possibilità di sfuggire ai
controlli.
Si svolgono così una serie di attività pastorali da parte di Monsignor Scolabrini per garantire che
l’emigrazione forzata non fosse un modo per perdere i legami con la famiglia e la fede.
Nel 1905 avvenne al nazionalizzazione delle ferrovie che non crea nessuno scompiglio perché
ormai le ferrovie sono pronte per la gestione nazionale.
Nella seconda fase la politica giolittiana si concentra su due argomenti: uno di politica interna e uno
di politica estera.
La prima è la riforma elettorale del 1912-13 che porta al suffragio universale maschile.
La richiesta di questa riforma non viene solamente dai socialisti, ma anche dal mondo cattolico
moderato. La riforma significa possibilità di voto per il mondo rurale e un’accentuata egemonia dei
proprietari. I socialisti credevano che fosse giusto allargare la possibilità di voto, mentre i
conservatori erano favorevoli per altri motivi.
Comunque questa decisione è un’idea sconvolgente nella società gerarchica di allora.
La possibilità di voto è data a tutti gli uomini che hanno almeno 30 anni o a chi più giovane aveva
già prestato il servizio militare.
I riflessi politici furono sconvolgenti, come nell’82 si era provveduto a lavorare con il trasformismo,
qui si reagisce con il PATTO GENTILONI. Gentiloni era il presidente dell’Unione elettorale
cattolica che aveva sostituito nel 1904 l’opera dei congressi e ha lo scopo di garantire la presenza
sociale dei cattolici.
Nel 1913 in occasione delle elezioni i cattolici nei singoli collegi stipulavano patti con i deputati
liberali che rischiavano di non essere eletti per la presenza dei socialisti. Erano patti segreti che
presupponevano che i liberali non accettassero provvedimenti che andavano contro le idee
cattoliche per avere i voti.
La presenza politica dei cattolici è indiretta ma condiziona la situazione in modo antisocialista.
C’è una presenza di cattolici deputati, una pattuglia di persone non elette perché cattoliche, ma per
sé stessi, non rappresentano la Chiesa.
Nel 1919 le cose cambiano ulteriormente , ci sono deputati popolari che si collocano su posizioni
non di sostegno, ma facendo una politica propria, di centro.
Le elezioni del 13 hanno un impatto politico forte perché permettono di contenere l’avanzata dei
socialisti ma poi vengono resi noti i nomi che avevano sottoscritto il patto. Nasce la polemica
perché tra questi c’erano alcuni deputati anticlericali.
Giolitti decide per la caduta del suo governo, che viene sostituito da Salandra che porterà l’Italia in
guerra.
Per quanto riguarda la politica estera nel 1911-12 si intrecciano interessi economici e politici.
L’Italia si lancia alla conquista della Libia grazie alla crisi dell’Impero Ottomano e gli interessi di
alcuni gruppi nella colonizzazione economica che coinvolgevano alcuni istituti del mondo cattolico.
Era una motivazione economica tutelata dallo Stato.
Nel 1911 anno della 2^ crisi marocchina (la 1^ è del 1906) si cera il problema del protettorato che si
risolve in favore della Francia. Questo ha ripercussioni sulla politica interna della Germania che
crede che non è possibile affermare le mire espansionistiche senza ricorrere alle armi.
L’Italia prende una posizione che favorisce la Francia anche se è legata alla Triplice Alleanza.
I francesi avrebbero contribuito a dare all’Italia una retribuzione se non si fosse intromessa nel
mantenimento della situazione mediterranea.
I problemi con la Triplice Alleanza si creano nel 1898 con l’estensione dell’Impero asburgico in
Bosnia. Questo avrebbe implicato un contributo per l’Italia che però non riceve nulla. Questo
favorisce l’atteggiamento dell’Italia nei confronti della Francia.
Nel caso della Libia i francesi accettano che l’Italia estenda la sua influenza nel mediterraneo.
L’Italia occupa la Libia in breve tempo, prima le coste e poi l’interno. Qui però trovano problemi
perché la popolazione interna comincia una guerriglia che avrà conseguenze fino alla prima guerra
mondiale.
E’ importante perché segna uno spostamento a destra del governo di Giolitti.
La guerra di Libia sfrutta e accresce le difficoltà dell’Impero Ottomano.
Nel 1912 inoltre l’Italia occupa le isole del Dodecanneso.
Questo indebolimento dell’Impero Ottomano accelera i processi delle guerre balcaniche che nel
1912-13 ridisegnano la situazione politica con l’espulsione dei turchi.
Giolitti vide come oppositori gli intellettuali, anche di appartenenze politiche differenti, alcuni che
si riuniscono intorno a riviste nazionalistiche come “Il regno”.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
1. DEFINIZIONE GENERALE DI PROTAGONISTI, SCHIERAMENTI, TEMPI E SPAZI: in che
cosa consiste il fenomeno, le alleanze, i tempi e dove si combatte.
2. CAUSE, RESPONSABILITA’, ORIGINE
3. CARATTERISTICHE DELLA GUERRA: cosa la distingue dalle guerre antiche?
a. MOBILITAZIONE IDEOLOGICA: perché si combatte? Cosa pensano le varie forze politiche?
Quale è il consenso popolare all’inizio, durante e alla fine della guerra? Quale è la reazione del
fronte esterno e del fronte interno? Quale è il ruolo della propaganda e degli intellettuali?
b. GUERRA MODERNA E PRIMITIVA: PROBLEMA DEGLI ARMAMENTI E TECNICHE DI
GUERRA: vengono impiegati nuovi armamenti anche se la guerra rimane per certi versi antica.
c. MOBILITAZIONE TOTALE DELLE RISORSE UMANE: esperienza della guerra da parte dei
soldati; costo della guerra in vite umane e ruolo delle donne.
d. MOBILITAZIONE DELLE RISORSE ECONOMICHE: ruolo dello stato nella produzione
bellica, organizzazione della produzione di materiale a fine bellico.
4. SIGNIFICATO STORICO: valore della guerra nel corso della storia, interpretazione della guerra
come cesura, paradigma e completamento.
a. COME CAMBIA IL SISTEMA DEGLI STATI
b. I TRATTATI DI PACE
c. CONSEGUENZE POLITICHE, SOCIALI, ECONOMICHE.
5. GUERRA ITALIANA
a. ENTRATA IN GUERRA 1914-15
b. MOMENTI DI GUERRA SUL FRONTE
c. VITA POLITICA
d. ITALIA ALLA CONFERENZA DI PACE
CRONOLOGIA
1914
28 giugno: assassinio di Francesco Ferdinando e della moglie a Sarajevo. La Serbia aveva
sconsigliato all’Austria questa visita dei sovrani, anche se in realtà l’attentato non fu un complotto
né dello stato serbo né di quello austriaco.
28 luglio: dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia; l’ultimatum era pesante e fu accolto
quasi interamente tranne nel punto in cui le indagini sull’attentato dovevano essere lasciate
all’Austria.
4 agosto: tutti i principali stati europei entrano in guerra. L’ultima è l’Inghilterra che entra quando
la Germania invade il Belgio distruggendo l’idea dell’Inghilterra di invadere la Francia attraverso il
Belgio.
Agosto: entra in guerra anche il Giappone a fianco dell’Intesa a spese die tedeschi per motivi
economici e di espansionismo.
Inizio settembre: le forze tedesche vengono fermate dai francesi sulla Marna e in questo modo si
stabilizza il fronte occidentale e inizia la guerra di trincea dalla Francia del nord fino alla Svizzera
(800 km circa di trincee). Anche il fronte orientale si stabilizza grazie alla vittoria dei tedeschi sui
russi a Tannenberg. Grazie alla sua estensione non tutto il fronte fu trincerato.
Novembre: entra in guerra la Turchia a fianco degli Imperi centrali che porta ad un intervento
inglese a Bassora, zona strategica per la presenza di pozzi petroliferi.
1915
Aprile : sbarco degli inglesi a Gallipoli che avrà scarsa fortuna. Dopo l’insurrezione in Armenia la
Turchia deporta parte della popolazione armena nel deserto e la massacra: è il primo genocidio
della storia moderna. Questo fatto si sa in breve tempo e infervora la propaganda dell’Intesa che
denuncia gli Imperi centrali di crimini contro l’umanità.
Inizio maggio: viene affondato un piroscafo inglese da un sommergibile tedesco per bloccare gli
scambi mercantili con i paesi neutrali che vengono accusati di passare le armi all’Intesa.
La guerra tedesca con i sommergibili si riapre poi nel 16, il blocco mercantile ha valore politico
perché impedisce la navigazione e ha come conseguenza l’entrata in guerra degli Stati Uniti.
Autunno: La Bulgaria entra in guerra dalla parte degli austriaci che fanno capitolare la Serbia.
1916
Agosto: la Romania entra in guerra a fianco dell’Intesa ma viene subito eliminata.
Presa di Gorizia sul fronte italiano.
1917
6 aprile: entrano in guerra gli Stati Uniti perché la Germania aveva ripreso la guerra sottomarina.
Gli USA erano neutrali anche s e facevano parte della retrovia degli inglesi e gli Stati alleati
contrassero debiti di guerra con questa potenza. Gli Imperi centrali ritenevano che la mobilitazione
degli Stati Uniti sarebbe stata lenta e quindi il blocco dei beni avrebbe fatto cedere l’Inghilterra;
nella realtà invece gli americani si organizzarono velocemente.
Febbraio/Ottobre: la Russai subisce due rivoluzioni che portano turbamenti interni e la perdita di
incisività della potenza nello sforzo militare.
Dicembre: la Russia si ritira dalla guerra con un armistizio e nel marzo la pace di Brest-Litovsk.
Le truppe tedesche impiegate sul fronte orientale vengono ritirate e impiegate sul fronte italiano
dove vincono a Caporetto costringendo le truppe italiane a ripiegare sul Piave.
La presenza degli USA e la ritirata delle truppe russe sono importanti anche dal punto di vista
politico. Gli Stati Uniti sono la potenza leader dell’Intesa anche se non aderiscono agli stessi scopi
di guerra cioè quelli stabiliti con il “patto di Londra”.
L’influenza delle rivoluzioni russe si fa sentire verso la fine della guerra quando nascono anche
negli altri stati tumulti creando la paure dell’espansione di un’ideologia comunista.
I soldati si rifiutano di combattere in linea e si diffondono gli ammutinamenti, cioè la disobbedienza
agli ordini e nasce anche una forma di fraternizzazione, cioè una solidarietà tra i soldati delle due
trincee. Questi comportamenti provocano problemi negli alti comandi ma vengono presto risolti con
la tecnica della decimazione.
La guerra termina tra l’ottobre e il novembre del 1918 con la caduta degli Imperi centrali, che nel
marzo dello stesso anno erano riusciti a far retrocedere i nemici sfondandone le linee, che però
vengono subito tamponate.
La guerra era totale cioè impiegava tutte le risorse, per cui termina non quando sono distrutte le
linee ma quando dall’interno non c’è più la possibilità di supportarla.
CAUSE, RESPONSABILITA’ E ORIGINI
Le responsabilità si cominciano a ricercare appena la guerra viene dichiarata. Ogni Stato è convinto
della necessità della guerra ma nessuno vuole essere responsabile. Durante i primi giorni di guerra
vengono pubblicati documenti diplomatici che dimostravano che uno stato era stato trascinato in
guerra contro la propria volontà.
Solitamente i trattati di alleanza erano segreti mentre questi documenti fanno riferimento
all’opinione pubblica.
Nel 1919 il problema delle responsabilità si ripropone in modo pesante. Nell’art. 231 del Trattato di
pace con la Germania gli Imperi centrali vengono considerati responsabili dello scoppio della guerra
e perciò devono pagare le riparazione di guerra.
Le cause vengono ricercate dalla storiografia che risente delle giustificazioni dei vari stati.
Per la propaganda degli Alleati la guerra era giustificata dalla lotta del principi nazionale contro gli
Imperi centrali che opprimevano perché non erano democratici, ma autoritari.
Dall’altra parte gli Imperi centrali hanno la tendenza a negare la validità delle rivendicazioni
nazionali.
La Germania ha l’idea che gli Imperi centrali combattano per la “cultur” contro la barbarie della
Russa; mentre Francia e Inghilterra vogliono soffocare le aspirazioni della Germania di avere un
posto al sole. Tutte le potenze hanno ideali imperialistici che sono opposti ai grandi ideali
democratici e nazionali e questo si capirà durante le spartizioni territoriali.
Le origini della guerra si ritrovano invece nella seconda metà dell’800, nella fine del Concerto
europeo.
Fino alla metà dell’800 era prevalsa l’idea della santa Alleanza che fosse necessario un equilibrio
diplomatico per evitare che qualche stato potessero aspirare all’egemonia sul continente. Era quindi
una politica internazionale fluida.
Nella seconda metà dell’800 invece questa politica si cristallizza in due blocchi di alleanza: la
Triplice Alleanza (Germania e Austria Ungheria) e l’Intesa che lega Francia, Russia e Inghilterra.
Sono schieramenti rigidi tanto da far scoppiare la guerra. Infatti l’ultimatum alla Serbia non viene
rispettato e questo comporta la mobilitazione dell’esercito russo che ha interessi comuni con la
Serbia e questo porta alla mobilitazione a catena degli altri stati. Esiste un sistema automatico per
cui a una situazione di pericolo corrisponde una mobilitazione degli alleati.
Questo è possibile per la presenza degli schieramenti.
Anche i cambiamenti dell’economia possono essere all’origine della guerra. La situazione di uno
Stato è legata all’estensione della propria economia che può essere causa di uno scontro militare.
C’è chi (Angel, 1910) dice che le guerre non possono nascere per motivi economici perché
sarebbero una perdita per tutti , ma questo viene smentito.
La storiografia porta varie interpretazioni. Per esempio verso l’inizio degli anni ’60 Fischer nel testo
“assalto al potere mondiale” svolge in modo storicamente tradizionale la sua tesi. Vengono presi in
considerazione i documenti diplomatici e si sostiene la tesi per la quale la Germania ha una grande
responsabilità nello scoppio della guerra perché voleva dare l’assalto al potere mondiale. Questa tesi
porta alla convinzione che il comportamento militarista della Germania guglielmina sono le
premesse per la Germania nazista. La storia tedesca viene vista quindi in un’ottica di continuità.
In contrapposizione si trova la tesi di Ritter secondo la quale il nazismo è stato solo un momento di
follia in uno stato giusto.
La Germania stava riprendendo un posto in Europa e nelle istituzioni europee, per cui l’immagine
che i tedeschi potevano avere di sé potevano dipendere da una delle due tesi.
Le opere storiografiche interpretano la coscienza delle comunità nazionali.
IDEOLOGIA, CONSENSO E RUOLO DEGLI INTELLETTUALI
Nel testo di Benda “Il tradimento dei chierici”, il tradimento degli intellettuali è da intendersi nel
senso che gli intellettuali non perseguano più il fine conoscitivo e critico, ma si schierano verso la
guerra e ne fanno una propaganda allo scopo di impressionare le masse.
Per intellettuali si intendono i grandi intellettuali, nomi che sono conosciuti e hanno un certo
prestigio. Nessuno li ha costretti a prendere una determinata posizione dinanzi alla guerra, anche se
il clima politico non permetteva delle scelte libere. Comunque gli intellettuali sono a favore della
guerra; coloro che non collaborano sono messi al bando della società, vengono isolati rendendo
impossibile schierarsi contro. L maggior parte aderiva spontaneamente, altri, come Freud,
sostenevano che la guerra fosse frutto delle pulsioni di morte insite nell’uomo.
Il consenso quindi diventa generale, popolare. Il fenomeno della “Comunità di agosto” mostra come
in quei giorni ci fosse un affratellamento di tutti i cittadini entusiasti di fronte alla prospettiva della
guerra. Tutte le barriere sociali e di classe erano abbattute e sembrava che si fosse formata una
comunità di individui che si riconoscevano uniti senza differenze sociali e culturali, ma come
popolo universale sotto la guida di un progetto.
Una interpretazione non puramente storica fa riflettere sulla aggressività dell’uomo come
caratteristica insita in ogni individuo e che si esprime o attraverso la guerra o altre forme violente.
E’ necessario spiegare il perché l’aggressività delle masse si sfoghi proprio con la guerra e proprio
in quel momento. La risposta è da ricercare nel fenomeno di nazionalizzazione delle masse.
Negli anni precedenti i cittadini di uno stato si erano riconosciuti in una serie di valori proposti
come sacri e unici. L’adesione spontanea alla patria porta ad accettare l’idea della guerra.
Il problema è che nessuno aveva l’idea della guerra, perché le guerre combattute in precedenza
erano di breve durata anche se portavano a grandi cambiamenti.
Per esempio la guerra franco-prussiana del 1870 era durata poche settimane ma aveva portato alla
caduta dell’Impero francese, la possibilità dell’unità tedesca e italiana.
Le guerre coloniali invece non erano conosciute perché si svolgevano lontano dall’Europa.
Per questo motivo il consenso alla guerra varia con il passare del tempo sia all’interno delle società
nazionali, sia dalla parte dei combattenti.
Le condizioni della popolazione civile erano precaria già prima della guerra e con questa i disagi
aumentano tanto che nel 1917 nascono tumulti e una sommossa guidata dalle donne per il prezzo
del pane e per migliorare le condizioni di vita.
GUERRA ANTICA E MODERNA : ARMAMENTI E TECNICHE DI GUERRA
Gli armamenti sono moderni, l’unica nuova arma è il carro armato, anche vengono utilizzate alcune
armi già esistenti ma mai sfruttate in modo significativo come l’aereo.
E’ importante notare come nel giro di pochi anni ci sia stato uno sviluppo tecnologico notevole nel
settore delle armi. Vengono migliorate alcune armi come le mitragliatrici.
Accanto all’aereo vengono utilizzati anche dirigibili, sommergibili, corazzate e armamenti terrestri
come mitragliatrici (usate anche nelle guerre coloniali), lanciafiamme, gas asfissianti.
La Prima Guerra Mondiale è stata sia una guerra primitiva che moderno. Primitiva perché i modi di
combattere riportavano gli uomini a modi di vita primitivi sia in senso psicologico sia per le
condizioni di vita.
La guerra è primitiva perché la vita di trincea riporta a modi di vita primitivi.
La modernità della I^ Guerra mondiale è sia negli armamenti, ma anche nel ruolo fondamentale
dello Stato nell’organizzazione della guerra stessa.
Anche l’industria ha un ruolo consistente perché organizza la produzione delle risorse umane,
trasformando le proprie tecniche di produzione di un bene a quella della morte.
La guerra è importante per una nuova organizzazione industriale più scientifica. Questo avviene
anche durante la II^ Guerra mondiale, quando lo stato tedesco organizza una produzione industriale
di morte che è lo sterminio degli ebrei.
La guerra inoltre è un trauma tale che produce un modo diverso di pensare la vita, soprattutto dal
punto di vista politico.
COSTI UMANI
La Germania alla fine della guerra conta 1.800.000 morti, la Francia 1.600.000, l’Inghilterra
800.000, gli Stati Uniti 116.000 e l’Italia circa 570.000. A questi bisogna aggiungere 1.100.000
morti civili non tanto per le operazioni belliche, ma a causa di epidemie e condizioni di vita
disagiate, 6.000.000 di invalidi e 15.000.000 di feriti.
Di tutti i soldati tedeschi il 33% sono morti, degli uomini in età militare francesi il 20% sono morti.
Solo a Verdun morirono 1.000.000 di soldati. L’8% dei mobilitati italiani muoiono.
Ci sono due fasi della guerra sul fronte italiano, uno che si conclude nell’ottobre del 1917 con la
sconfitta di Caporetto quando il generale Cadorna perde il comando. L’esercito è governato dal
pugno di ferro , sono in vigore punizioni severe e si spara ai soldati che tentennano durante
l’assalto.
La linea di comando era autoritaristica che prediligeva una disciplina rigida perché erano anni di
offensiva, che è più rischiosa della difensiva.
Quando avviene il ripiego sul Piave la tattica diventa difensiva e al comando c’è il generale Diaz.
Ora non si cerca di vincere solo per il concetto astratto di patria, ma questo si concretizza in
un’unità a favore della resistenza.
Diaz capisce che bisogna essere più umani con i soldati per tenere alto il morale delle truppe.
Negli altri paesi non esistono queste fasi, però in generale l’esercito era gerarchizzato, rigido e
classista. Gli ufficiali facevano parte della borghesia mentre i soldati del proletariato.
L’ufficialità inferiore viveva più a contatto con le truppe per cui erano più solidali con loro, mentre i
militari di carriera hanno un rapporto distaccato con i soldati, visti proprio come facente parte del
proletariato e quindi utilizza la forza per mantenere quella disciplina che durante la vita civile non
potevano imporre. Non avevano quindi problemi a mandare a morte i soldati.
Il problema è capire perché i soldati disertavano o avevano comportamenti negligenti.
RUOLO DELLE DONNE
Con l’avvento della guerra le donne cominciano a lavorare nei campi, ma anche in fabbrica.
STATO
percentuale di donne percentuale di donne
nel 1914
nel 1918
Germania
22%
35%
Francia
33%
40%
Inghilterra
26%
35%
Italia
22%
C’è quindi un processo di socializzazione delle donne, che le strappa dalle loro occupazioni
domestiche e le porta in fabbrica . E’ un momento di svolta perché la presenza femminile nel mondo
del lavoro crea diversi modi di pensare. Le donne ora dispongono di soldi e diventano più
indipendenti, frequentano luoghi di socializzazione , cambiano il modo di vestire.
Questo processo tocca tutte le classi sociali, sebbene in modo diverso, ma con effetti devastanti
sulla morale.
MOBILITAZIONE DELLE RISORSE ECONOMICHE
La guerra fu totale anche per quanto riguarda l’aspetto economico.
La produzione nei vari stati doveva essere finalizzata a scopi bellici, per cui doveva esserci una
organizzazione tesa a questo scopo. Ogni stato deve provvedere ad una propria produzione perché è
evidente che la guerra taglia i rapporti con gli altri paesi.
Lo Stato interviene maggiormente nella produzione bellica e indirettamente negli altri settori
industriali.
Questo processo non è una novità assoluta, già alcuni decenni prima lo Stato interviene nel settore
industriale attraverso il protezionismo, le commesse....
Dove era forte il liberismo gli stati sono meno propensi, mentre gli stati più all’avanguardia sono
quelli che avevano già abbracciato il protezionismo.
Lo stato in cui la produzione è meglio organizzata è la Germania.
Nascono in tutti i Paesi nuove organizzazioni industriali:
negli USA nel1917 la War Industries
in Italia nel 1915 l’Istituto per la mobilitazione industriale (prima legato a un sottosegretariato e poi
diventa un ministero per le armi)
in Germania nasce il KRA : ufficio per le materie prime di guerre. Nel 1918 esce un opuscolo “La
nuova economia” che prefigura forme di economia legato allo stato anche in tempi di pace.
SIGNIFICATO STORICO
Ci sono tre interpretazioni della I^ Guerra mondiale che la vedono come: compimento, rottura,
compendio.
La guerra è vista come conclusione di processi storici iniziati nel 19^ secolo. Prima di tutto avviene
la fine del processo risorgimentale con la liberazione dei popoli. Inoltre si ha la speranza della fine
del totalitarismo per la democrazia, ma questa è un’illusione di chi vuole la guerra.
La guerra è anche un elemento di rottura nel senso che finisce l’epoca del Concerto europeo e della
guerra limitata. Avvengono trasformazioni politiche, territoriali e economiche disastrose. Crollano
quattro imperi, avviene la rivoluzione russa e avviene una dislocazione del potere economico con
l’ascesa degli USA e la discesa dell’Inghilterra.
Inoltre la guerra porta esperienze di società di massa, come esperienza di morte di grandi masse di
uomini. Questo è un elemento tipico del ‘900 (sono sia morti per la guerra, per carestia, per
genocidi....). Ci sono forme di morti primitive accanto a quelle dovute al progresso tecnologico.
CONSEGUENZE
Crollano quattro imperi: asburgico, zarista, ottomano e tedesco con conseguenze disastrose che
vengono riassunte in una letteratura di rimpianto per il mondo perduto.
Ci sono quindi trasformazioni rispetto ai valori e alle istituzioni che devono orientarsi verso un
nuovo contesto.
Sul piano politico ed economico le conseguenze sono diverse nei diversi paesi.
La Francia è il paese che ha subito di più tra i vincitori, perché il territorio è devastato per decine di
Km da nord a sud e il sistema produttivo è a pezzi.
Per la Francia la guerra finisce troppo tardi perché quattro anni di guerra hanno distrutto l’intera
nazione, ma è finita troppo presto perché avrebbe voluto sconfiggere completamente la Germania.
La pace del ’19 fu definita “cartaginese” perché fu una pace punitiva per la Germania, alla quale
viene impedita una politica militare tele da condizionare la politica internazionale successiva.
L’Inghilterra invece nel novembre del ’18 aveva raggiunto i suoi obiettivi: la Germania era stata
ridimensionata e la flotta tedesca era diventata una presenza insignificante. Inoltre l’Inghilterra
acquista le colonie perse dalla Germania. Infatti gli inglesi non avevano interessi sul continente e
non volevano una Germania prostrata perché avrebbe significato una perdita per i prodotti inglesi.
Gli USA combattono dal ’17 come potenza associata all’Intesa. Non aderiscono al patto di Londra
dell’aprile del ’15, che definiva i compensi dell’Italia. Quindi alla fine della guerra l’Italia non può
far conto dell’appoggio degli USA né sul piano giuridico né su quello politico.
Gli USA combattono per conto proprio e nel gennaio ’18 propongono i 14 punti di Wilson :
chiedono la libertà di navigazione e di commercio che fa degli USA il paese egemone in senso
commerciale, la fine della diplomazia segreta e la nascita di una Società di Nazioni che raccogliesse
tutti gli Stati del mondo per evitare i conflitti militari.
La Società delle Nazioni viene depotenziata subito perché le elezioni dell’ottobre del ’18 danno una
maggioranza repubblicana al Senato.
Il Senato si occupava di politica estera e i repubblicani erano contrari al fatto che gli USA si
assumessero impegni importanti nella politica internazionale. Perciò la Società delle Nazioni non ha
neanche il sostegno di chi l’aveva proposto.
Dal 1920 al 1932 i repubblicani sono al Senato e optano per una politica di isolazionismo politico,
ma non economico.
Alcuni Stati europei vedono fermenti di sommossa politica e sociale all’interno, che fanno pensare a
movimenti rivoluzionari come in Russia. Questo avviene sia in Germania, che in Italia, che in
Austria. Tra il 1919 e il 1920 questi tumulti sociali che non sono sempre rivoluzionari, ma che
creano scosse politiche.
TRATTATI DI PACE
Si tratta soprattutto di trattati di pace con la Germania.
Si prevedono varie clausole:
art. 231 stabilisce la responsabilità della Germania dello scoppio della guerra e deve pagare i danni.
Le clausole militari prevedono la consegna della flotta e un esercito formato da un massimo di 100
mila uomini senza armamenti per un tempo determinato.
I tedeschi però organizzano un esercito di ufficiali tali da essere in grado di addestrare un esercito
più numeroso. Lo stesso avviene per la marina: si progettano navi civili che possono essere
trasformate in navi militari. Si riorganizzano anche i corpi aerei facendo addestrare i piloti
all’estero, soprattutto in Unione Sovietica.
La Germania dei primi anni del dopo guerra è politicamente conservatrice, ma le necessità politiche
di entrambe le nazioni portano una collaborazione tra Germania e Unione sovietica, perché
entrambe sono escluse dalla Società delle nazioni.
Una collaborazione simile si avrà anche nel 1939 quando firmeranno il patto di non aggressione.
I francesi chiedono che la zona del Reno sia smilitarizzata e che non possano essere istallate
postazioni militari nella zona di confine.
Inoltre ottengono il permesso di creare teste di ponte francesi lungo il Reno e postazioni all’interno
della Germania.
CONDIZIONI TERRITORIALI
Sul fronte occidentale la Germania perde l’Alsazia e la Lorena che tornano francesi. La Francia
vorrebbe lo smembramento della Germania. Alcuni territori tedeschi passano sotto altre istituzioni
ma poi tornano tedeschi, come la Slesia che torna alla Germania nel 1921 e la zona della Sahar (?)
che passa sotto la protezione della Società delle Nazioni e torna tedesca nel 1935 con un
referendum.
Il punto dolente è però la parte orientale : non c’è più l’Austria-Ungheria, ma stati successori come
la Jugoslavia, la Cecoslovacchia e si ricostituisce la Polonia.
I confino orientali della Germania sono poco definiti: è una zona di aspri scontri armati per la
presenza militare della Germania e di altri stati.
Agiscono milizie dell’esercito imperiale che si aggregano intorno a ufficiali e sono una sorta di
compagnie di ventura di estrema destra per il mantenimento dei confini della Germania.
Non c’è continuità territoriale tra la Germania ovest e i territori tedeschi dell’est, ma solo un’area
neutra che li unisce ed è la città di Danzica.
Un altro problema importante è quello delle riparazioni di guerra. La Germania deve pagare una
somma enorme di denaro per i danni di guerra subiti dagli Alleati.
Queste condizioni pesanti a cui è sottoposta la Germania sia militari che territoriali ed economici
fanno nascere un forte nazionalismo.
Tra il 1918-19 ci sono all’interno dei moti rivoluzionari che fanno rinascere l’idea dei partiti
conservatori della pugnalata alle spalle inferta dai socialisti all’esercito.
Gli USA finanziano la Germania che può così pagare le riparazioni di guerra agli Alleati. Questi
stati usano questi soldi per pagare i debiti di guerra agli USA.
Questo favorisce la circolazione monetaria e il riavviarsi dell’economia tedesca.
La potenza dominante ormai sono gli Stati Uniti, chi vince davvero la guerra sono loro, che sono un
gigante economico, ma ancora un nano politico.
La Società delle Nazioni è debole per la mancata partecipazione degli USA e per l’esclusione della
Germania e dell’Unione sovietica. Infatti volere una società che regoli i conflitti mondiali
escludendone gli Stati più problematici vuol dire limitare le capacità di azione.
Negli anni ’30 infatti per risolvere alcune questioni ci si rivolge ad atre organizzazioni, perché per
ricorrere alla Società delle Nazioni bisognava convocare un consiglio di sicurezza che però poteva
decidere solo per sanzioni economiche, ma non aveva potere politico.
Per esempio l’aggressione dell’Italia nei confronti della Libia viene sanzionata attraverso
provvedimenti economici, quindi l’Italia dopo aver pagato può concludere la sua azione militare.
GUERRA ITALIANA
L’Italia vive tre momenti durante la guerra:
1. la neutralità: perché non entra in guerra? Perché dovrebbe e con quali schieramenti? Perché poi
entra in guerra?
2. periodo di guerra: avvenimenti e prospettive dell’Italia dalla guerra.
3. conferenza di pace: problema delle discordanze tra le richieste dell’Italia e la concessione dei
paesi alleati.
Nel momento in cui tutti i Paesi entrano in guerra l’Italia si dichiara neutrale senza contravvenire
alla Triplice Alleanza che prevedeva interventi difensivi.
Da una parte c’è l’impreparazione dell’esercito italiano alla guerra, perché una parte dell’esercito è
impegnato in Libia e non c’è un’idea politica della guerra che maturerà con il tempo.
Sull’entrata in guerra ci sono due posizioni: una neutralista di Giolitti, che si rendeva conto
dell’impreparazione dell’esercito e degli sconvolgimenti politici e sociali che la guerra avrebbe
portato in Italia. Giolitti era l’unico personaggio che non era offuscato dall’ideologia.
Dal neutralismo si potevano ricavare vantaggi , ma sembrava che l’Italia rimanesse neutrale per
motivi mercantili. Ma più procedeva la guerra più era impossibile restarne fuori, perché erano
interrotti tutti i legami con gli altri paesi.
La guerra dà una scossa al sistema politico dell’Italia.
Gli interventisti volevano la guerra proprio per affondare il sistema politico di Giolitti. Questo vale
sia per i nazionalisti che in realtà erano fautori di un potere autoritario e antiparlamentare
all’interno e nazionalista verso l’esterno. Questo vale sia per la destra che per la sinistra.
Ci sono inoltre motivazioni economiche: arrivavano pressioni da parte dell’Inghilterra e della
Francia per entrare in guerra nel loro schieramento.
Il mondo industriale era quindi favorevole alla guerra perché sarebbero aumentate le commesse e e
il commercio con le due potenze dell’Intesa.
La Chiesa sia all’inizio della guerra sia nell’agosto del 1917 era ostile alla guerra sia per
motivazioni religiose sia per motivi politici, perché metteva a repentaglio l’Impero asburgico che
era di fede cattolica.
C’erano però divergenze di opinione: la parte dei cattolici legata al mondo contadino era contrario
alla guerra perché prevedeva costi umani troppo elevati che sarebbero ricaduti sul popolo, mentre i
borghesi erano favorevoli per i legami economici con le altre potenze.
La posizione di Padre Agostino Gemelli (fondatore dell’Università Cattolica), cappellano
dell’esercito è favorevole nei confronti della guerra per motivi di obbedienza all’autorità, che è una
tradizione del mondo cattolico. Grazie a queste idee Padre Gemelli sarà una figura importante del
clero fascista.
Altri esponenti del mondo cattolico erano contrari alla guerra per motivi di intransigenza nei
confronti dello Stato. Ma ormai erano minoritari.
Anche la posizione di Mussolini è particolare. Nel 1912 assume posizioni massimaliste e nel 1914
invece cambia schieramento e fonda il “Popolo d’Italia” che sarà un organo del Partito fascista.
Passa quindi da una posizione contraria alla guerra ad una favorevole.
Mussolini è coerente con le sue idee socialiste, perché in realtà era un sovversivo e vedeva nella
guerra un elemento per sovvertire il governo.
Il salto di ideologia si spiega con la sua psicologia e la sua cultura: era capace di cogliere le
situazioni politiche che si presentavano, anche se erano posizioni contrastanti, era capace di
affermarsi all’interno delle varie situazioni.
Il ministro degli esteri fino al ’14 fu Di San Giugliano che si era mostrato favorevole ad entrare in
guerra a fianco dell’Intesa. Il suo successore fu Sonnino che invece voleva entrare a fianco degli
Imperi centrali.
L’impressione era quindi che l’Italia si schierasse in base ai vantaggi che avrebbe ricevuto.
L’Italia sigla nell’aprile del ’15 il patto di Londra nel quale era racchiuso ciò che l’Italia avrebbe
ricevuto combattendo a fianco dell’Intesa. In realtà era semplice per l’Inghilterra e la Francia
promettere territori che erano di proprietà austriaca.
Comunque l’Italia secondo gli articoli 4 e 5 avrebbe avuto: Trentino, Alto Adige, Trieste e l’Istria,
Dalmazia e altre terre sparse in territorio slavo e turco.
Il patto è però segreto e il Parlamento ne viene a conoscenza solo il 7 maggio. I deputati allora
chiamano Giolitti per far sapere che non sono d’accordo con l’entrata in guerra e Salandra si
dimette.
Ma il re gli ridà l’incarico anche senza avere la maggioranza e il 20 maggio il Parlamento approva i
crediti di guerra. L’Italia entra in guerra senza l’approvazione del Parlamento, se non solo formale.
Manifestazioni nazionaliste iniziano il 5 maggio quando D’Annunzio proclama un discorso da
Quarto. Sono manifestazioni di tipo interventista che avevano lo scopo di imporsi all’opinione
pubblica e assumevano aspetti piuttosto violenti.
Esistevano anche manifestazioni anti interventista, ma la polizia aveva gli ordini di disperderle,
secondo un modello che sarà forte nel dopoguerra.
Lo stato tende a supportare le manifestazioni interventiste in modo anti democratico; in realtà chi
vuole che l’Italia entri in guerra è solo una minoranza di industriali e persone del governo.
Non esisteva uno spirito popolare come negli altri stati, ma anzi c’erano divisioni perché i socialisti
per esempio erano contrari alla guerra.
Il governo era fortemente di destra e una destra autoritaria, che non guardava ai soldati perché
sapeva che non c’era la volontà di combattere e che l’esercito italiano non era pronto alla guerra.
Non ci si rendeva conto per esempio che le zone del Carso si prestavano di più a manovre di tipo
difensivo e inoltre l’Austria aveva avuto tutto il tempo per prepararsi.
Salandra voleva rafforzare lo Stato italiano consolidandone la legittimità all’interno e all’esterno
facendo diventare l’Italia una grande potenza.
Per Salandra lo Stato italiano poteva anche rimanere in piedi, ma con qualche taglio territoriale.
Anche perché la Germania e l’Austria erano due stati conservatori e quindi facevano da scudo
all’Italia.
Un altro obiettivo italiano era quello di contenere l’espansionismo russo nei Balcani, in modo tale
che con alcuni territori italiani tra le terre slave la Serbia avrebbe perso il suo peso e con essa anche
la Russia. Questo stava bene anche agli inglesi.
In realtà questi obiettivi di guerra avrebbero portato allo smembramento dell’Austria, ad una
conflittualità con gli slavi che si organizzano nel ’15 nel Comitato della Iugoslavia e ad una
italianizzazione e militarizzazione della costa dalmata.
MOMENTI DI GUERRA
La tendenza italiana era quella all’offensiva, tranne in alcuni casi come a Caporetto.
L’anno più importante è il 1917 perché avvengono dei cambiamenti che fanno rivedere gli obiettivi
di guerra italiani: per esempio la rivoluzione russa nel marzo e la conseguente ritirata delle truppe
russe nel dicembre. Non c’è più bisogno a questo punto dell’Austria per trattenere gli slavi che
quindi può essere spazzata via anche se contro le idee di Sonnino. La posizione degli alleati però
non è più favorevole all’espansione italiana nei Balcani perché ha perso lo scopo.
Il 6 aprile entrano in guerra gli USA. Questo intervento non è molto significativo per l’Italia perché
non avendo aderito al patto di Londra gli USA non hanno vincoli con l’Italia.
Però nei 14 punti di Wilson si trattava della sistemazione dei confini italiani che avrebbe fatto
acquistare all’Italia il Trentino ed inoltre gli americano guardavano con occhio di riguardo la
situazione slava.
Con Caporetto si ha però un ridimensionamento degli obiettivi dell’Italia. Ci sono vari elementi che
salvano l’Italia in questa situazione: l’allungamento delle linee di rifornimento austriache che
impediscono all’Austria di proseguire l’attacco, la solidità della linea del Piave che era più breve e
quindi meglio difendibile e inoltre i rifornimenti mandati dagli alleati.
Emergono possibilità di accordo tra italiani e slavi con il Patto di Roma del 8 aprile 1918, che dà
diritto ai popoli oppressi di avere un’indipendenza e un’unità statale.
Questa politica però non è accettata dal governo. Il presidente Vittorio Emanuele Orlando è
favorevole ad una politica più flessibile nei confronti dagli slavi, mentre Sonnino è contrario. Il
presidente è troppo debole ed esce vincitore dallo scontro politico proprio il ministro degli esteri.
Quando si arriva alla Conferenza di pace di Parigi sorge un nuovo problema: l’annessione di Fiume.
Il 30 ottobre 1918 le truppe italiane entrano a Fiume e la città proclama la propria italianità.
A Parigi Orlando sarà disposto a lasciare alcuni territori del Patto di Londra per avere Fiume mentre
Sonnino no. Il risultato è che l’Italia chiede tutti i territori del Patto di Londra più Fiume, ma l’Italia
non è abbastanza potente per permettersi questa posizione.
L’ITALIA ALLA CONFERENZA DI PACE
Alla conferenza di pace l’Italia si scontra sia con gli Stati Uniti sia con la Francia che con
l’Inghilterra e gli slavi. Un elemento rilevante che viene rinfacciato all’Italia è l’impressione che si
occupi solo delle proprie faccende e sembri disinteressata alle atre questioni.
Nell’aprile del 1919 c’è un momento di stallo alla Conferenza e i due rappresentanti dell’Italia,
Orlando e Sonnino, tornano in Italia dopo che il presidente americano Wilson prende una posizione
pubblica sulla questione italiana.
Dal punto di vista interno questa ritirata sembra favorevole, ma il vero risultato è che se Sonnino e
Orlando non tornano al più presto a Parigi il patto di Londra nei confronti dell’Italia perde la sua
validità. Così il 7 maggio tornano a Parigi.
Nel giugno però non aderendo ad una soluzione che prevedeva uno stato libero di Fiume i
rappresentanti italiani tornano nuovamente a Roma, ma questa volta hanno contro tutto il
Parlamento.
Il governo cade su una questione di politica estera, ma la questione politica si risolve in fretta con
l’ascesa al governo di Francesco Saverio Nitti.
La crisi più forte nasce però quando comincia a diffondersi il mito della “vittoria mutilata”, cioè
l’idea che l’Italia avrebbe avuto una grande vittoria se la Francia e l’Inghilterra non avessero
impedito questo per i loro appetiti imperialistici.
Il mito è incoraggiato anche da azioni di letterati come D’Annunzio con la “Preghiera di Sermaglia”
Il mito è importante perché ha conseguenze politiche che si riassumono nell’impresa di Fiume: il 12
settembre 1919 D’Annunzio riunisce una truppa di legionari che occupano militarmente la città.
Il governo italiano si trova di fronte ad una situazione difficile da risolvere perché non sapeva se
assecondare la spedizione attirandosi le ira delle altre potenze oppure convincere D’Annunzio a
desistere dall’impresa. Era inoltre impensabile un intervento armato perché l’esercito guardava con
simpatia a questa manovra e si temevano episodi di insubordinazione di fronte all’ordine di sparare
contro i legionari.
L’insubordinazione dell’esercito sarà un problema anche quando si deve decidere se intervenire per
bloccare la marcia su Roma delle camicie nere.
E’ vero che D’Annunzio era l’ispiratore della rivolta ma è anche vero che questa congiura era stata
progettata da tempo negli ambienti nazionalisti come l’organizzazione “Trento e Trieste” presieduta
da Giuriati. A sostenere l’occupazione di Fiume oltre all’esercito c’erano gli industriali.
L’esercito dopo alcuni anni di guerra doveva essere smobilitato e questo significava la perdita di
lavoro e di prestigio sia di soldati che di ufficiali. Mantenendo viva la tensione in politica estera
questo non sarebbe accaduto.
Un ragionamento simile vale per gli industriali perché la riconversione industriale era un problema,
era difficile ritornare a produrre qualcosa che non fosse materiale bellico.
Gli obiettivi dei legionari erano quelli di mantenere un controllo italiano sulla città di Fiume. Inoltre
si voleva far cadere il governo Nitti ritenuto troppo democratico, e questo avviene a metà del 1920
lasciando in sospeso un possibile compromesso tra l’Italia e la Iugoslavia, che prevedeva che Fiume
diventi stato libero e una parte porto diventi zona iugoslava.
Questa soluzione viene rifiutata da D’Annunzio e a questo punto scattano le repressioni militari da
parte del governo che è guidato da Giolitti.
Il risultato è che il 24 dicembre l’esercito italiano viene inviato a Fiume, la città è cannoneggiata e la
questione è risolta.
(La paura di un governo Giolitti rimarrà anche nei fascisti quando per risolvere la crisi interna
decidono di intraprendere la marcia su Roma).
Dopo questo periodo a Fiume rimane la propensione all’uso della violenza che ha come
conseguenza la preparazione dei presupposti per la nascita del fascismo.
Mussolini non partecipa all’occupazione di Fiume anche se dà il suo consenso formale. Infatti da
quest’impresa aveva solo da perdere: se fosse andata male sarebbe finito in galera, se fosse andata
bene il merito sarebbe ricaduto su D’Annunzio.
Nel 1924 viene accettato il patto italo-iugoslavo che prevedeva la sovranità italiana sulla città e su
parte del porto, mentre veniva lasciato agli slavi il territorio circostante e una parte del porto.
RIVOLUZIONE RUSSA
La Rivoluzione russa ha caratteristiche precise in quando rimanda al comunismo e all’espansione di
questa ideologia in una parte consistente del continente. Ma bisogna ben distinguere i due fenomeni.
La Rivoluzione Russa si situa alla confluenza di due fiumi: la storia del marxismo e la storia
generale e particolare della Russia.
C’è bisogno di un innesto delle idee marxiste nell’alveo della storia russa.
E’ necessario distinguere tra il termine marxismo che è l’insieme delle teorie elaborate dopo Marx e
marxiano che invece riguarda il pensiero di Marx stesso.
Nel brano di Salvadori si dice che un conto è il pensiero di Marx che al suo interno presenta delle
tensioni e un conto è il corpus dottrinale che parte da Marx ma va anche oltre.
L’evoluzione del marxismo è sempre vista sotto la luce del pensiero di Marx che il riferimento
legittimante. Molti personaggi pur innovando o elaborando solo parti del pensiero marxiano si
ritengono veri interpreti. Chi non è fedele al pensiero di Marx viene scomunicato, perché il
marxismo è considerato una specie di religione laica.
All’interno del marxismo si trova anche la figura di Bernstein che è un revisionista.
Lenin elabora un pensiero che dovrebbe essere modernizzante rispetto a quello di Marx, ma bisogna
chiedersi quanto il leninismo abbia inverato il marxismo e il pensiero marxiano.
Gli aspetti caratterizzanti della Rivoluzione russa sono stati riconosciuti anche durante
l’elaborazione del pensiero di Marx da parte degli anarchici che con le loro critiche prefigurano
l’andamento della rivoluzione.
E’ vero che il pensiero di Marx ha avuto importanza nella rivoluzione, ma non c’è una linea diretta
perché il marxismo si inserisce in particolari situazioni storiche.
Lo stato per Marx era dittatura di una classe sociale su un’altra per cui con la rivoluzione comunista
lo stato non sarebbe servito perché le classi sociali sarebbero state abolite. Ma per spezzare il
dominio borghese è necessario un periodo di dittatura del proletariato.
Gli anarchici invece volevano un’abolizione immediata dello stato.
Contro le idee degli anarchici inoltre Marx voleva attuare manovre repressive. Il duello tra Marx e
gli anarchici risale al periodo della 1^ Internazionale quando gli anarchici accusano Marx di essere
autoritario. Un’altra differenza si rileva nel fatto che il marxismo si diffonde tra il proletariato di
fabbrica, mentre l’anarchia nel sottoproletariato, ai margini della vita produttiva.
Non si può pensare che alla base di tutto ci siano solo le idee di Marx.
Il problema principale della Russia dell’800 è l’arretratezza economica, sociale, politica determinata
sulla base3 di un riferimento che è la società occidentale, perché i russi stessi si misuravano con
l’occidente.
Il fenomeno più evidente è l’economia che è quasi esclusivamente agricola, mentre nel resto
dell’Europa si diffonde l’industria; inoltre anche questa agricoltura era arretrata perché non
tecnologica. I riflessi sociali sono legati alla presenza di un massa di contadini servi della gleba o
dipendenti dai nobili o dallo stato.
La Russia era governata da un sistema politico autocratico, cioè lo zar governava facendo
riferimento alla sua volontà.
I sudditi non hanno diritti: la legge è lo zar.
Questa situazione era quella dei paesi arretrati perché negli altri regimi autoritari c’era almeno uno
stato di diritto e una costituzione.
All’interno della Russia ci sono due linee di pensiero: gli occidentalisti che si riferiscono all’Europa
per definire la propria identità e gli slavofili che trovavano questa identità nell’etnia e nella religione
slava.
Sembrava che la situazione russa non potesse essere intaccata da nulla: l’unico modo era un attacco
dall’esterno: per esempio la guerra perché mette in relazione gli uomini.
La guerra di Crimea (1853-56) nasce dal desiderio russa di espansione nell’Impero ottomano. Ma
agli stati europei non fa piacere la disgregazione dell’Impero ottomano per cui intervengono contro i
russi. Il risultato è che la Russia perde la guerra e si rende conto della sua debolezza nei confronti
degli altri stati. Inoltre con la guerra i contadini si rendono conto della loro miseria.
Nasce quindi una voglia di cambiamento che si esplica nella liberazione egli schiavi.
Nel 1861 gli schiavi vengono liberati e il provvedimento è tale da suscitare reazioni da parte dei
nobili. In realtà la situazione non cambia in misura drastica: i servi sono liberati dai vincoli
personali e vengono date loro delle terre comprate dallo stato ai nobili, ma che vengono ripagate
dalle tasse di contadini nel giro di 50 anni.
La condizione dei contadini non migliora perché non possono essere indipendenti e in più devono
pagare le tasse. Gli aristocratici ottengono denaro che viene investito in attività finanziarie
produttive come la creazione di ferrovie.
L’industrializzazione in Russia si ha solo verso la fine dl secolo con un intervento dall’alto, cioè
grazie all’intervento statale e di privati esteri.
Ma l’industrializzazione è arretrata perché si affiancano elementi avanzati e arretrati e poi dal punto
di vista territoriale avviene a macchia di leopardo cioè soprattutto intorno alle uniche grandi città:
Mosca e Pietroburgo, mentre le campagne sono ancora arretrate.
Negli anni 1904-05 la Russia si impegna nella guerra contro il Giappone, ma anche in questo caso
perdono. La sconfitta diventa un momento di riflessione e le difficoltà della guerra causano una crisi
di legittimazione del potere. Nasce la rivoluzione del 1905 che ha come episodio determinante la
“domenica di sangue” il 22 gennaio.
Una folla si riunisce davanti al Palazzo d’Inverno per chiedere allo zar la concessione di alcune
riforme e viene mitragliata.
Il popolosi affida allo zar in modo tradizionale; non ci sono posizioni marxiste e la repressione dura
è ingiustificata.
Si crea quindi una frattura tra monarchia e popolo e nasce la rivoluzione che però non ha risvolti
determinanti. A seguito della rivoluzione ci sono concessioni come il Parlamento e la costituzione
che però sono privi di potere elettivo e sono sciolti quando causano fastidi.
Non sono quindi possibili interventi di tipo democratico e la rivoluzione del 1905 non porta
cambiamenti dal punto di vista politico e questo comporta il fatto che chi vuole cambiare è spinto
verso la strada del terrorismo e della radicalizzazione politica.
Gli attentati erano l’unica forma di espressione politica in Russia, perché altri metodi erano
impossibili.
Nel 1905 nasce anche il primo SOVIET degli operai: una organizzazione spontanea degli operai che
assume anche funzioni di governo e quindi è diverso da un sindacato.
All’inizio riguarda solo gli operai mentre nel 1917 riguarderà anche i soldati e i contadini.
Il soviet è una assemblea rappresentativa dove si sperimentano forme di democrazia diretta.
Nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale e questa crisi porta alle due rivoluzioni.
Prima ci fu un ultimo tentativo riformista da parte di Stolypin di creare una classe contadina di
piccoli proprietari che fosse in grado di sostenere l’economia agricola e un connettivo tra il popolo e
lo zar.
Questo progetto fallisce perché il suo ideatore viene ucciso nel 1911 e perché non c’è tempo per
attuare una riforma agraria di quelle dimensioni.
Esiste in Russia la presenza di un contronazionalismo dovuto alla presenza di territori che non
hanno origine slava ai quali vengono imposti lingua e costumi russi.
Sono presenti anche ebrei che non hanno una zona fissa di insediamento. Vengono presi di mira dal
potere perché considerati infidi e una sorta di capro espiatorio su cui sfogare le tensioni popolari.
Gli ebrei si raggruppano nella Lega: una associazione politica socialista che aderisce al partito
socialdemocratico russo alla fine dell’800.
Questa adesione fa sì che i conservatori possano considerare la Rivoluzione russa una congiura
mondiale degli ebrei. Questa era un’idea divulgata dalla polizia zarista con la pubblicazione di falsi
che riguardavano protocolli dei saggi ebrei che avevano pianificato una dominazione mondiale.
In realtà poi l’elemento ebraico verrà perseguitato in forme dure durante la Rivoluzione comunista e
l’antisemitismo è ancora oggi una caratteristica dello stato russo sia nella componente conservativa
sia in quella comunista.
Lettura 1 Il pensiero di Marx e i suoi sviluppi Salvadori
Quanto il marxismo ha influito nella Rivoluzione?
Il pensiero di Marx si sviluppa in varie fasi: una fase giovane e una matura.
Negli anni ’40 c’è la fase giovanile in cui buona parte dei suoi libri non vengono pubblicati o finiti.
Solo a partire dal 1920-30 questi scritti vengono conosciuti e entrano nel panorama storicofilosofico. Il Marx maturo è invece quello del Capitale (per la critica dell’economia politica), meno
filosofo e più economista.
Nel personaggio di Marx ci sono tre figure: filosofo, economista e rivoluzionario.
La filosofia marxista non è solo teoria della conoscenza, ma la conoscenza viene studiata in quanto
porta all’azione. L’importanza è la prassi che esplica la teoria con finalità rivoluzionarie.
I successori di Marx non interpretano il pensiero solo dal punto di vista teoretico, ma in base alla
situazione politica, come Lenin in Russia.
Secondo il Revisionismo il marxismo doveva svilupparsi dal nucleo del pensiero marxiano, che
però doveva essere rivisto. Il pensiero di Marx era fonte di legittimità per cui secondo il pensiero
dell’epoca i revisionisti insultavano il pensiero di Marx.
Anche i marxisti facevano del revisionismo, ma non apertamente, si cercava di adattare il pensiero
di Marx alle nuove situazioni.
Salvadori rifiuta che il comunismo realizzato sia frutto del pensiero di Marx perché non può esserci
un risultato univoco.
Il pensiero di Marx è visto come un’utopia per cui non contiene in sé la possibilità di essere
realizzato. Ma l’idea di Marx è quella di creare un’opera di scienza. Riteneva di aver trovato la
chiave delle leggi dello sviluppo storico.
Marx ha un atteggiamento di tensione verso il futuro. Salvadori dice che il contributo di Marx alla
conoscenza non deriva dal complesso del suo pensiero, ma ogni singolo aspetto della teoria è
importante.
Il marxismo inoltre assume un carattere religioso perché grandi masse di persone hanno seguito
l’ideologia senza discutere la fede.
Lettura 2 : Il leninismo Settembrini
Questa lettura mette in relazione il populismo russo con il pensiero e la pratica di Lenin, che ha la
responsabilità nella organizzazione della Rivoluzione russa.
Quella di Lenin è un’interpretazione teorico pratico del marxismo. Lenin fu soprattutto un
rivoluzionario per un paese arretrato.
Quella di Marx è una teoria per gli Stati capitalistici. Per la Russia quindi il problema è
l’arretratezza del capitalismo., quindi secondo Marx in Russia non sarebbe stata possibile la
rivoluzione.
La soluzione di Lenin prevedeva situazioni di quelle diverse da quelle del populismo anche se
risentono di questa teoria.
Il soggetto politico sono i contadini. Il rifiuto della industrializzazione avviene perché vogliono
evitare la perdita di alcune caratteristica della Russia, volevano mantenere l’assetto sociale e un
socialismo di tipo agrario.
Il compito teorico di Lenin era quello di dimostrare lo sviluppo dell’industria in Russia e la
creazione di un capitalismo con la creazione della classe operaia che per Marx è il soggetto politico
per eccellenza per fare la Rivoluzione.
La coscienza di classe nella classe operaia va innestata, perché quando diventa forte cerca
condizioni di vita migliore e sviluppa una coscienza solo sindacale.
I populisti dicevano però che non si poteva realizzare l’industrializzazione.
L’obiettivo di Lenin invece era quello di creare una società capitalista e inoltre si faceva sempre più
incalzante l’idea della rivoluzione.
I populisti offrivano uno sbocco politico più rapido e anche i marxisti speravano in un anticipo della
Rivoluzione. Lenin accetta l’idea dello sviluppo del capitalismo, ma nei paesi occidentali questa
forma economica è legata ad una politica basata sulla democrazia.
Secondo il revisionismo di Bernstein il quadro politico dei Paesi occidentali erano la condizione
all’interno dei quali si doveva muovere la classe operaia.
Nel 1902 esce il libro di Lenin “Che fare?” che tratta l’argomento principale della concezione
leniniana.
Il partito inteso come organizzazione composta da pochi che si autonominano avanguardia possono
portare la coscienza di classe dall’esterno.
Per Lenin il partito comunista è formato da rivoluzionari di professione, da un nucleo compatto che
conosce il dogma ed è in grado di educare e trascinare la classe operaia.
L’idea organizzativa del centralismo democratico ha un certo futuro e prevede le decisioni seguite
da tutti senza frammentare il partito in linee di idee diverse.
La guida del partito si può imporre attraverso uno stato antidemocratico, cioè restringendo gli spazi
di libertà.
Secondo il centralismo democratico tutto il partito si deve muovere come un sol uomo.
Quando esiste oltre al partito anche uno stato un dissenso politico rischia di essere sanzionato in
modo non solo morale, perché il partito si costituisce come un canone a cui riferirsi.
La teoria di Lenin si può riassumere in “capitalismo di Stato + dittatura del proletariato”, cioè è
necessaria la nascita del capitalismo che deve essere statalizzato, ma in un quadro di dittatura del
proletariato. La differenza con il populismo è proprio nella fase del capitalismo.
Queste teorie si trovano anche durante la rivoluzione e non solo in precedenza. La presenza della
prima guerra mondiale ha un’importanza fondamentale perché porta la crisi del sistema politico che
non regge una tensione simile.
Vengono mobilitati migliaia di contadini che armati diventano rivoluzionari e quindi il regime
zarista viene sommerso dagli avvenimenti. Il regime cade quindi per un crollo interno. I soldati
arrivano inseguito non a sanare la situazione, ma a dare una direzione alla rivoluzione.
Il detonatore è la rivoluzione di febbraio (8 marzo) che si manifesta con una serie di contestazioni
contro la guerra e contro il caro vita che richiama molti operai e non vengono repressi dall’esercito,
perché i reparti militari si uniscono agli scioperanti. Lo zar abdica e nasce una situazione che non è
di anarchia, ma di dualismo di poteri: da una parte i governi provvisori e dall’altra i soviet.
I governi provvisori sono una successioni di governi da quelli più conservatori a quelli
rivoluzionari.
La composizione politica dei governi provvisori è diversa dai soviet che detengono oltre che il
potere anche la fiducia della popolazione in maggioranza menscevica.
La guerra continua ma in modo difficile in Russia fino all’armistizio del dicembre del 1917 e alla
pace del marzo del 1918.
In questo periodo Lenin riesce con l’aiuto dei tedeschi a rientrare dall’esilio in Svizzera e ad arrivare
alla capitale Pietrogrado. I tedeschi aiutano Lenin perché sperano che nell’ambito della guerra la
rivoluzione facesse ritirare la guerra. In realtà questo avviene, ma i tedeschi si ritrovano focolai di
rivoluzione anche in Germania.
L’arrivo di Lenin accelera il processo di rivoluzione , ma non vuole solo seguire il processo degli
avvenimenti bensì con le tesi di aprile la teoria viene radicalizzata. L’obiettivo è la rivoluzione
socialista. Non tutti però accettano la nuova prospettiva.
Lenin prende in mano il partito grazie alla presenza di Trockij che inizialmente non era bolscevico,
ma credeva in una teoria più radicale cioè nella rivoluzione permanente.
Anche Lenin ora crede in una rivoluzione socialista che si può estendere solo se sarà in grado di far
scoppiare una rivoluzione europea. Lenin pensa che all’interno dell’esercito tedesco possa dilagare
la rivoluzione, ma questo avviene solo dopo la sconfitta definitiva.
Lettura 4 Le quattro fasi del 1917 Malia
Questo testo ha una struttura schematica che discute le varie tesi storiografiche, ma senza
narrazione.
Nella prima fase c’è il governo dei liberali. In questo periodo rimane la volontà di combattere in
guerra e la struttura politica cambia da autocratica a liberale, ma gli scopi di guerra sono gli stessi.
Il governo liberale mett6e in crisi l’Alleanza, ma segna un periodo breve e senza legittimazione
interna. La seconda fase è dominata invece da un governo democratico, anche se in una situazione
come quella non era possibile un governo costituzionale e democratico.
Nella terza fase invece si assiste ad un tentativo della destra.
Con l’Ordine n.1, un decreto votato dai rappresentanti dei soviet, avviene un processo di
democratizzazione che disgrega l’esercito. Nelle mani di Trotzkij l’esercito diventerà importante
perché i soldati saranno convinti di quello per cui combattono.
Gli unici che riescono a mantenere il potere sono i bolscevichi che giungono durante la quarta fase.
L’assemblea costituente sembra un punto di approdo della situazione russa, perché potrebbe date un
nuovo assetto al regime.
Gli slogan dei bolscevichi sono “pace”, grazie alla quale si può costruire un potere e “la terra ai
contadini”. Lenin supera ogni politica agricola e chiede una distribuzione delle terre ai contadini.
Questa è una mossa vincente perché lega le sorti della rivoluzione alla maggioranza del popolo
russo.
La NEP è la nuova politica economica che capisce la necessità politica di accettare che le terre dei
contadini siano dello stato solo per una quota.
L’obiettivo dell’assemblea costituente ora non viene più accettata anche perché alle elezioni i
bolscevichi non risultano la maggioranza.
Ci sarà una dialettica democratica tra i partiti rivoluzionari, ma nel 1921 si chiudono.
Nel periodo che segue la pace si manifesta una guerra civile che aumenta grazie alla presenta
dell’Intesa. In realtà questa presenta non è così dominante dato che le truppe sono stanche di guerra,
ma ha una finalità politica e pratica. Inoltre le truppe combattono contro un regime politico che
guardano con simpatia.
Si formano delle armate bianche in Ucraina, Siberia e Russia Nord che si uniscono alle truppe anglo
francesi. L’intervento dell’Intesa ha un significato di ostilità ideologica contro la Russia, ma è anche
legata ad una ostilità relativa alla tutela dei loro investimenti della fine dell’800.
Nel 1920 i polacchi attaccano il potere sovietico per motivi politici e nazionalistici. All’inizio le
truppe polacche riescono a sfondare le linee dell’armata rossa che però riescono a riportare i confine
al luogo originario. La guerra segna una tappa importante per la relazione tra Russi e polacchi.
In precedenza la Polonia era stata spartita tra l’Austria, la Russia e la Prussia, ma nel 1863 era
partita una sommossa polacca. Alla fine della prima guerra mondiale la Polonia si ricompone e tenta
di allargare il suo territorio verso est.
Questa spiegazione segna l’odio dei polacchi verso i russi durante la seconda guerra mondiale.
Il periodo della guerra civile è segnato da una forte carestia e da una politica chiamata comunismo
di guerra che prevedeva la requisizione dei beni che servono a alimentare lo sforzo bellico.
Tra il 1921-28 la guerra civile finisce ma la Russia è segnata da rovine materiali. Lenin rilancia la
produzione agricola e industriale e si accorge della necessità di dare fiato alla produzione.
Si lascia quindi più libertà economica ai contadini e ai piccoli proprietari che si sentono stimolati
dall’interesse privato alla produzione.
Per quanto riguarda la grande industria questa viene affidata allo Stato che però non ha ancora una
competenza dirigenziale.
Il ritorno ad una economia di mercato dà luogo ad una politica economica liberista che però
presuppone una politica repressiva per tenere sotto controllo certi movimenti sociali.
Tra il 1921 e il 1928 si svolge la lotta di successione per prendere il posto di Lenin, che nonostante
la giovane età era malato e si assenta dalla politica fino alla sua morte nel gennaio del 1924.
Tra il ’22 e il ’24 la chiara assenza di Lenin dalla scena politica porta alla necessità di pensare alla
successione. Negli anni precedenti il gruppo dirigente è composto da tre capi massimi, mentre a
livello subordinato stava Stalin.
La lotta per la successione sembra ristretta ai primi tre, ma in realtà è una lotta tra Stalin e Trockij.
In un rapporto al partito comunista nel dicembre del 1922 Lenin redige degli appunti nei quali
tratteggia le caratteristiche che deve assumere il suo successore.
Di ognuno dei possibili vincitori tratta un quadro che mette in luce sia gli aspetti positivi che quelli
negativi.
Di Trockij si dice che aveva un’origine menscevica; invece di Stalin che è “grossolano”, un difetto
importante per un segretario generale e anche per il commissario nel popolo alle nazionalità.
Lenin dà a questo trattato un’impostazione che punta all’analisi delle personalità e non bada invece
ai problemi strutturali.
Alcuni difetti di Stalin erano accettati da Lenin , ma ora cominciano a scontrarsi su alcuni punti.
Il vero problema è quanto potere si possa accumulare nelle mani di una sola persona, al di là della
visione personale. Lenin sembra non accorgersi di questo fattore.
Concentrare la propria critica sulle personalità significa non vedere il problema del fatto che il
problema sovietico era nelle mani di un gruppo dirigente ristretto. In occidente e in Russia già in
precedenza si era intuito che sarebbe finita così.
Criticare Stalin senza rendersi conto che il problema si rivolge alla struttura del governo significa
non ammettere i propri errori.
Lo stesso tipo di analisi torna nel 1956 quando dopo la morte di Stalin nel 1953, si forma il
20°Congresso del partito comunista guidato da Krusciov. Alla fine del congresso vengono riuniti
segretamente i delegati, ma il suo rapporto verrà conosciuto anche in America.
Krusciov sosteneva che Stalin era un criminale, una persona che aveva commesso crimini contro gli
oppositori. Non dice però come una persona sia riuscita a prendere potere contro la legalità
comunista. Ancora una volta si assiste ad un’analisi della personalità, senza prendere in
considerazione la struttura del governo.
Dal 1956 si assiste però ad un cambiamento in Russia che però non riesce a vedere le origini della
crisi del periodo staliniano. Questo tipo di potere non viene più esercitato, ma fino agli anni ’80 non
si assiste ad un cambiamento della struttura statale.
Si tende però a separare la figura di Lenin da quella di Stalin, siccome Stalin si considerava sia
durante il periodo della lotta per la successione sia poi, come successore e erede della teoria
leniniana, usata anche come arma contro gli avversari.
Diffonde l’idea di un suo essere fedele discepolo di Lenin.
In realtà il legame tra Lenin e Stalin viene scisso considerando il primo un bravo rivoluzionario e il
secondo un crudele scellerato.
Vedere la continuità tra i due vorrebbe dire togliere legittimità al pensiero su quale si basa il potere
sovietico e vorrebbe dire togliere liceità alla rivoluzione russa.
Ma Lenin era così diverso da Stalin oppure no?
Lenin aveva scritto cose diverse e contraddittorie; tra le due rivoluzioni aveva pubblicato un libro
“Stato e rivoluzione” che proponeva tesi radicali sulla necessità che lo Stato cessasse, perché
l’apparato statale sarebbe stato guidato dal proletariato, Questa era la visione marxista della
Comune di Parigi della primavera del 1871. Questo esperimento francese però fallisce.
In realtà il libro di Lenin assume caratteri propagandistici; in poco tempo le esigenze del governo e
di Lenin stesso gli fanno abbandonare questa idea che si sviluppa prima in dittatura del partito, poi
di una fazione e alla fine di una sola persona.
Le esigenze di gestione del potere hanno portato Lenin a legittimare anche provvedimenti repressivi
anche di grande rigore. La concezione di Lenin grande rivoluzionario e Stalin dittatore crudele non è
più tanto valida. Sotto questo aspetto la figura di Stalin succede il pensiero di Lenin.
Su alcune questioni come quella georgiana hanno idee differenti: Stalin era commissario alle
nazionalità e aveva la delega a trattare le nazionalità. Aveva proceduto alla russificazione forzata
delle diverse etnie imponendo non solo i governi sovietici, ma tutta la cultura. In questo senso Stalin
è il successore dell’autocrazia zarista.
Al di là di questo esistevano somiglianze tra i due anche se si cerca di nasconderle per dare
legittimazione alla rivoluzione.
I primi giorni della rivoluzione si svolgono senza morti e senza danni; per molto tempo ci fu quindi
simpatia verso la rivoluzione che ora è meno evidente perché dal 1990 sono stati aperti gli archivi
sovietici e pubblicate fonti e documenti.
Il testamento di Lenin non ha importanza storica, perché Stalin e Trockij bloccano il testo.
Nel 1928 Stalin è padrone della Russia ed è il periodo della NEP.
Vengono alla luce alcune questioni: in primo luogo la democrazia interna al partito, problema
sollevato da Trotzkij che si trova in minoranza nel partito dato che molti passano dalla parte di
Stalin. Trotzkij ha quindi bisogno di uno spazio democratico.
Altri problemi sono la situazione internazionale della Russia e il rapporta tra i contadini e gli operai.
Le posizioni dei personaggi politici in Russia spesso sono intercambiabili e alcune teorie nel giro di
qualche anno diventano opposte.
La situazione internazionale tende a stabilizzarsi. Lenin pensava che la rivoluzione russa avrebbe
fatto da detonatore alla rivoluzione tedesca. Di fatto questa non si verifica, prima si pensa ad un
ritardo ma poi ci si rende conto che questa rivoluzione occidentale non si verificherà.
In realtà alcuni moti scoppiano in Europa, ma vengono repressi in fretta.
Trotzkij nel 1905 aveva sostenuto la teoria della rivoluzione permanente, mentre Stalin stabilisce la
teoria del socialismo in un solo paese.
Secondo Stalin c’era la possibilità da parte dei sovietici di costituire il socialismo anche in un paese
arretrato con l’aiuto della III^ Internazionale (internazionale comunista) del 1919. Questa
associazione faceva riferimento ai partiti comunisti i cui aderenti erano rigidamente selezionati e
doveva essere il braccio d’appoggio dell’URSS. Diventa uno strumento di politica estera e non di
rivoluzione.
Verso la metà degli anni ’20 Trockij elabora la teoria dell’industrializzazione forzata, che poteva
avvenire attraverso il drenaggio delle risorse dalla campagna alle industrie, attraverso una politica
che era ostile ai contadini.
Lenin aveva sostenuto che i contadini fossero divisi in poveri, medi e ricchi. Con i contadini poveri
tutti dovevano essere solidali; i contadini medi dovevano collaborare con il governo, contro i ricchi
invece non poteva esserci che la guerra civile.
Il problema che viene dal mondo contadino è la questione agraria, perché avevano interessi
personali, avevano idea di avere terra propria Nel 1917 avviene l’abrogazione della proprietà
privata, ma il governo lasciava le terre ai contadini per coltivarle. Per Lenin questa situazione era
solo temporanea.
I contadini non vogliono la nazionalizzazione delle terre, ma Lenin non è disposto a concedere la
proprietà privata , ma se avesse proceduto con la nazionalizzazione avrebbe avuto contro i
contadini.
Bucharin aveva l’idea dell’accumulazione delle risorse del mondo agrario, per creare con le tasse le
risorse per l’industrializzazione. Questa teoria era quindi contro Trockij.
Kamenev e Zinov’ev si rendono conto che non possono competere con Stalin per avere il potere e
quindi si staccano da Stalin per creare un’opposizione unificata con Trockij, che viene sradicata da
Stalin nel 1927.
Nel 1928 Stalin diventa capo della Russia e nel 1929 Trockij viene esiliato prima in Siberia e poi in
Messico. Le posizioni iniziali di Stalin sono vicine a quelle di Bucharin e crede nell’egemonia degli
operai sui contadini dando il via all’industrializzazione forzata.
L’EUROPA NEL DOPOGUERRA
Scoppiano alcune situazioni rivoluzionarie legate alle situazioni politiche che vedono la crisi della
legittimità dello stato; cioè quei paesi che escono sconfitti dal conflitto mondiale, la Germania e
quel che rimane dell’Impero asburgico.
Anche in Italia sono presenti questi moti rivoluzionari nel 1919-20.
La rivoluzione scoppia in Germania il 28 gennaio 1918 a Kiel, il porto dove aveva sede la flotta
militare. Il comandante della flotta avrebbe voluto compiere un attacco suicida contro la flotta
inglese verso la fine della guerra. L’idea non è condivisa dai marinai che danno il via ad un
ammutinamento e organizzano la divisione della marina popolare.
Intanto la rivoluzione scoppia in altre zone della Germania per esempio in Alsazia e in Baviera dove
viene proclamata la Repubblica bavarese.
La rivoluzione è provocata dalla fine della guerra, ma il fatto che avvenga due settimane prima
dell’armistizio dà adito a propagande di destra che predicavano la “pugnalata nella schiena” da parte
degli esponenti della sinistra.
In Germania sale al governo un capo socialdemocratico accompagnato da 6 membri detti
commissari del popolo tre dei quali facenti parte della SPD e 3 della USPD.
Questo governo riceve legittimità in due forme, la prima attraverso i capi precedenti che danno a
Ebert l’incarico di formare il governo e la seconda dai RATE, cioè i consigli degli operai e dei
soldati che erano come i soviet russi.
In un unico organismo si sommano due forme di legittimazione: una dall’alto e una dal basso.
Il passaggio da una forma di governo ad un’altra è segnata dalle elezioni dell’Assemblea costituente
a suffragio universale, secondo una visuale più tradizionalista. (le elezioni sono fissate per il 19
gennaio). Una visione rivoluzionaria invece sostiene di dare tutto il potere ai RATE e creare una
democrazia proletaria e non borghese.
Nella settimana della rivoluzione esistevano solo i partiti SPD, USPD e KPD.
In realtà esisteva un altro potere: il quartier generale di Spai in Belgio. Il potere dell’esercito era
ancora forte perché era ancora mobilitato e metteva a disposizione dell’alto comando alcuni reparti
operativi. Il problema era che la smobilitazione andava fatta in modo ordinato. Il governo si
impegna a riportare l’ordine ed evitare la situazione rivoluzionaria e l’esercito assicura il suo
appoggio al governo. Questo patto tra Ebert e il generale dell’esercito è uno dei tre patti sui quali si
fonda la Repubblica di Weimar. Il primo patto fu quindi tra il governo e il potere militare in chiave
antirivoluzionaria, il secondo avrà valore costitutivo. Anche Ebert voleva uno stato democratico, ma
non rivoluzionario.
Il governo si regge quindi su un organo come l’esercito che si fonda su valori lontani dalla
democrazia. Questo si vede quando il 5 e il 6 gennaio del 1919 a Berlino il prefetto
socialdemocratico Eichorn viene rimosso dall’incarico.
Nascono alcune manifestazioni di massa tra le quali un intervento armato da parte di un gruppo di
comunisti che occupano alcuni edifici pubblici.
La repressione è organizzata dall’esercito guidato da Noske, che era socialdemocratico, insieme ad
alcuni reparti di soldati che durante la smobilitazione erano rimasti in armi e fedeli ai loro ufficiali.
Questi reparti, che spesso combattevano anche battaglie private per esempio contro i comunisti,
vengono impiegati contro il moto spartachista, che viene fermato dopo una lunga battaglia per le
strade. Nel 1928 si parlerà anche di solcialfascismo , cioè i partiti socialdemocratici che non sono
ammessi nell’Internazionale, si schierano dalla parte del fascismo.
Il 19 gennaio viene indetta la Assemblea costituente che darà risultati clamorosi. Contrariamente a
quel che si vedeva la sinistra non era così maggioritaria. La democrazia di Weimar si fonda
sull’accordo tra i socialdemocratici, la DDP (partito democratico tedesco) e lo Zendrum, cioè i
cattolici. La coalizione alle elezioni ha comunque la maggioranza.
Si dà quindi vita ad una costituzione democratica, che prende anche in considerazione i diritti
sociali.
Nel giro di un anno si tengono le elezioni politiche (giugno 1920) durante le quali la coalizione
perde la maggioranza: passa dal 76% al 48%, mentre la destra passa dal 15% al 29% e i comunisti
ottengono il 20%.
C’è quindi una situazione di parità con i partiti antisistema.
Dopo il ’20 Il governo ha bisogno nella coalizione democratica anche i partiti critici.
Tra il ’20 e il ’24 c’è instabilità economica e sociale che porta alla radicalizzazione dei processi
politici.
Avviene il terzo patto tra Legen, capo degli industriali e Stingers, capo dei sindacati. Questo patto si
svolge a novembre 1918 e prevede degli accordi sugli aumenti dei salari, su una maggiore
partecipazione dei sindacati nelle imprese e la rinuncia da parte dei sindacati a chiedere la
socializzazione delle imprese. Industriali e sindacati si comportano come forze autonome al
governo.
Quando le strutture dello stato cedono queste due forze assumono un rilevante ruolo politico e
danno il via alla democrazia corporativa o corporatismo.
Tra i patti di Weimar l’unico patto formale è quello politico costituzionale. Il potere politico si
regge quindi su regole non formali e questo avviene quando l’assetto complessivo è debole.
Tra i partiti antisistema è presente anche il DAP, il partito da cui prende le mosse Hitler ed è
espressione dell’ideologia militarista. Nonostante questo viene visto con disprezzo dagli ufficiali.
Questo è evidente nel 1938 quando alcuni ufficiali comunicano agli inglesi di non cedere a Hitler.
Lettura 4 La rifondazione dell’ordine borghese Maier
Se si considerano gli anni del I^dopoguerra, ci sono state agitazioni, ma anche una continuità
dell’ordine sociale. Quello che bisogna capire è come si sia verificata questa stabilità in un periodo
di rivoluzione.
Il corporatismo è il passaggio dal potere eletto a forze organizzate. C’è una dislocazione del potere
dalla burocrazia alle forze sociali organizzate.
Questo fenomeno è un’innovazione, ma anche una conservazione, perché c’è una tendenza a
conservare l’assetto politico prebellico promuovendo una trasformazione per mantenere l’assetto
sociale.
In Germania il parlamento, che era il luogo dove tutti gli individui potevano discutere liberamente e
cercavano di perseguire il bene comune, ora conta di meno.
Ora esiste una società di massa dove gli individui non sono più liberi, ma diventano parte di grandi
organizzazioni. In parlamento ciò che conta sono i partiti e il bene comune viene visto come
l’interesse delle organizzazione.
All’interno della società alcuni contrattano i loro vantaggi.
Questi processi esistono anche prima della guerra, ma assumono la loro veste definitiva quando
scoppia la prima guerra mondiale e avviene la mobilitazione economica.
Ci sono due risultati: l’integrazione della classe operaia organizzata sotto la supervisione dello stato
che avviene in termini diversi i base al paese (in Italia è subordinato al capitalismo e al fascismo); il
secondo è il venir meno della distinzione tra settore pubblico e privato durante la guerra.
In Germania l’economia corporatista è evidente, in Italia assume le caratteristiche del fascismo.
Il decennio dal 1919 al 1929 fu una fase cruciale di trasformazione in senso conservatore.
Le classi dirigenti applicano una trasformazione in senso corporatista per mantenersi al potere.
I processi economici e politici possono o essere spontanei oppure interni al processo storico.
Da una parte ci sono processi autonomi per via della guerra, dall’altro le classi dirigenti operano per
trarre profitto da queste trasformazioni.
Dal 1920 al 1925 la Germania ha il problema delle riparazioni che i francesi avevano imposto in
modo duro. L’adesione al trattato di pace oltre ad essere un problema a livello internazionale
diventa un problema interno perché diventa un elemento di scontro non solo politico in senso
democratico, ma anche terroristico. Diventa normale la presenta di assassini politici.
Chi faceva parte dello schieramento democratico veniva ritenuto traditore, mentre chi milita tra i
terroristi trova simpatie in ampie fasce della società, compresi i magistrati e la polizia.
Uno dei problemi delle riparazioni è l’indeterminatezza della quantità, coloro che volevano investire
in Germania non hanno dati a sufficiente. La richiesta era di 132 miliardi di marchi legati al valore
dell’oro più una fornitura di carbone e ferro alla Francia.
Le destre che avevano rifiutato di firmare il trattato di pace ora propendono per non pagare i
risarcimenti, al contrario esistono due politiche di adempimento, una leale oppure una che vuole
dimostrare che la Germania non è in grado di adempiere ai pagamenti.
La politica cambia a seconda di chi detiene il potere: nel 1921 è al potere un cattolico di destra,
Wirth che propende per la seconda possibilità, ma alla fine del 1922 sale al potere un governo
tecnico, guidato da Cuno, proprietario di una compagnia di navi, che vuole adempiere ai pagamenti.
Nel gennaio del 1923 i francesi assaltano la Ruhr e i tedeschi rispondono paralizzando la vita della
Ruhr con una mobilitazione nazionale che arriva fino ad atti di terrorismo.
Bisogna però che questa politica retribuisca questa astensione dal lavoro motivi patriottici.
Lo stato può retribuire questa manifestazione solo o aumentando le tasse o provocando l’inflazione.
L’inflazione assume però dimensioni spropositate, anche se chi ha i beni di prima necessità viene
favorito. Chi ha più difficoltà sono le classi medie, impiegate nelle aziende pubbliche e chi aveva
capitali in banca. La classe operaia invece se la cavava perché aveva un sindacato forte ed era
necessaria per la produzione, anche se gli stipendi non potevano aumentare.
Nell’ottobre del 1923 sale al potere uno dei maggiori uomini tedeschi, Stresemann, che mette fine
alla resistenza passiva.
Uno dei risultati di questa manovra è il tentativo di PUTSCH, di colpo di stato del 8 novembre del
1923 da parte della destra. Si tengono riunioni politiche tra esponenti bavaresi, tradizionalmente
conservatori e nazionalisti, tra i quali era presente Hitler.
L’idea di Hitler è di fare pressioni sul governo bavarese perché si risollevasse contro Berlino per
non mettere fine allo sciopero.
I nazionalisti escono in sfilata e la polizia spara facendo cadere anche Hitler, che viene arrestato ma
rilasciato dopo pochi mesi.
Hitler in questo periodo scrive “La mia battaglia”, un libro teorico dove racconta la sua volontà di
azione politica. Ai tempi era solo un oratore di piccoli gruppi di destra, ma con la crisi degli anni
’30 diventa un importante esponente politico.
Su questo libro avviene una disputa storica. Una scuola crede che l’odio antisemita che Hitler
dichiara nel libro fa pensare ad una premeditazione del genocidio degli ebrei, mentre la scuola
funzionalista prevede che odiare gli ebrei è diverso da ucciderli e che quel che è successo è
avvenuto come risposta a situazioni storico politiche.
Il golpe di Hitler viene sventato con facilità perché non c’è un accordo tra la destra radicale e quella
moderata. Questo avvenne anche nel 1920 quando si era verificato il golpe di Kapp e il governo era
riuscito a far rientrare il golpe grazie all’aiuto degli operai comunisti e socialdemocratici.
La situazione instabile si placa in due anni sia a livello politico che economico.
Dopo aver posto fine alla resistenza passiva si cerca di stabilizzare il marco con l’emissione di
nuovi marchi garantiti sui beni tedeschi. Inoltre grazie al piano DAWES gli USA penetrano nel
commercio tedesco concedendo dei prestiti che consentono alla Germania di pagare i risarcimenti di
guerra. Gli altri paesi con questo denaro pagano agli USA i debiti di guerra.
La stabilizzazione economica diventa politica nel 1925 con l’elezione a presidente della repubblica
del generale di destra impegnato sul fronte orientale.
IL DOPOGUERRA ITALIANO
Glia anni 1919 e 1920 vengono chiamati “biennio rosso” per l’apparente prevalenza di una presenza
di socialisti e di grandi fermenti anche a carattere rivoluzionario.
Il biennio 1921 e 1922 viene definito in contrapposizione “nero” per l’insorgenza dell’ideologia
fascista che attraverso l’uso di sistemi legali o meno rompe l’egemonia socialista e si instaura con il
regime fascista.
Il periodo tra il 1923 e il 1924 invece porta alle elezioni dell’aprile del 1924 quando viene ucciso il
deputato di sinistra Matteotti. Questo assassinio porta dei problemi a Mussolini che ne esce con il
discorso del gennaio del 1925 e le leggi fascistissime del 1926 che danno l’avvio al regime.
In questi anni si alternano al potere Vittorio Emanuele Orlando fino al giugno del 1919, poi in
ordine Nitti, Giolitti, Bonomi e i due governi Facta.
Nel gennaio del 1919 nasce il Partito Popolare italiano.
In precedenza la presenza cattolica era molto forte in campo sociale, ma in quello politico si era
schierata contro lo Stato assumendo una posizione antisistema. Nel periodo tra il 1904 e il 1913
questa tendenza diminuisce gradualmente fino a diventare un’alleanza con i liberali contro i
socialisti durante le elezioni del 1913. Anche questa però fu un’operazione conservatrice che
continuava la mancanza dei cattolici nella vita politica.
Ora invece i cattolici si riuniscono in un organo di parte all’interno della democrazia. In realtà la
situazione democratica dura poco perché all’interno del partito esiste un’ala legata alla concezione
gerarchica della politica.
Il programma del partito mischia rivendicazioni cattoliche come quelle contro il divorzio e per la
scuola privata, a rivendicazioni più democratiche come la richiesta di un nuovo sistema elettorale.
Il partito popolare nasce per volontà di don Luigi Sturzo, il quale colloca il partito su un piano non
del tutto scisso dalla vita ecclesiastica.
Il partito è autonomo rispetto alla Chiesa sia per organizzazione che per principi.
La figura di Sturzo è unificante perché egli è sia sacerdote, sia segretario di un partito.
Inizialmente la Chiesa non si schiera contro il partito perché questo era utile nella guerra contro i
socialisti. In realtà la Chiesa crede che il partito sia un’ipotesi perché l’idea fondamentale era quella
di creare una società autoritaria e non democratica.
Nel luglio del 1923 don Sturzo si dimette perché la Chiesa preferisce accordarsi direttamente con il
fascismo perché condivide l’idea di una società gerarchica e militare.
Il compromesso con il partito porta una politica a favore della Chiesa a volte simbolica e a volte
rilevante. Per esempio viene introdotto il crocefisso nelle scuole che assume un valore forte quando
nel 1924 si istituisce la festa di Cristo re, un’idea indiretta del governo della nazione da parte della
Chiesa; la riforma della scuola “Gentile” che porta l’istruzione della religione nelle scuole….
Uno dei punti di maggiore debolezza del partito è la limitata laicità e la dipendenza dalla Chiesa.
Dopo le dimissioni di Sturzo il partito è preso da De Gasperi.
Un altro elemento di debolezza è la presenza di più anime che hanno idee differenti: c’è la presenza
di una corrente capitanata da Miglieri di estrema sinistra e una di destra che finisce per staccarsi e
unirsi al fascismo.
Il partito socialista nasce nel dicembre del 1918 e viene attratto dal modello leninista che viene
adottato come fine ultimo. In questo modo il partito si condanna a rimanere al di fuori del gioco
politico delle alleanze. In realtà all’interno del partito ci sono anche dei riformisti che sono il gruppo
più numeroso in parlamento.
La presenza di due idee differenti porta varie scissioni. La prima è la nascita del partito comunista
italiano nel gennaio del 1924 a Livorno. Questo avviene perché nel 1920 la III^ Internazionale aveva
posto delle condizioni ai partiti socialisti che volevano aderire: o cambiare il proprio nome in partito
comunista o espellere i riformisti.
Le condizioni non vengono accettate dal partito socialista e quindi una parte con a capo Bordige si
stacca e dà vita al partito comunista.
Nel vecchio partito socialista i riformisti vengono emarginati e si uniscono a formare il partito
socialista unitario PSU.
Ci sono però delle contraddizioni all’interno del partito socialista, si voleva la rivoluzione ma non si
era preparati e organizzati. Questo si nota nei riguardi della violenza fascista, salvo alcuni casi come
a Sarzana nel 1921.
Nel marzo del 1919 nascono i fasci di combattimento con un impasto di istanza socialiste e
autoritarie, un miscuglio di rivoluzionarismo e nazionalismo.
I primi momenti non sono molto significativi perché i gruppi fascisti sono pochi e poco organizzati.
Alle elezioni del novembre 1919 infatti ricevono poche migliaia di voti, ma la sopravvivenza è resa
possibile grazie al fatto che i gruppi fascisti erano composti da militanti giovani.
Nel corso dell’estate del 1919 viene approvata una nuova legge elettorale proporzionale con
scrutinio di lista, cioè venivano presentate liste con un certo numero di candidati e gli eletti erano
scelti in base ai voti della lista.
La riforma favorisce i partiti di massa, perché in circoscrizioni più ampie il rapporto tra candidato e
elettore era ideologico.
Questo mette in crisi i liberali che si ritrovano con quattro gruppi parlamentari e non dispongono
della maggioranza.
Questa legge fu favorita da Nitti il quale voleva essere la cerniera tra i popolari e i liberali.
L’Italia è spaccata in due geograficamente: al centro nord vincono popolari e socialisti, al sud i
liberali. Esistono quindi tre classi politiche che non hanno però la maggioranza. Un’alleanza tra
socialisti e popolari appare impossibile e l’unica possibilità è l’unione tra popolari e liberali che
però dura poco.
Nel 1919 avvengono movimenti sociali che assumono un aspetto quasi rivoluzionario.
Per prima cosa ci furono le lotte contro il caro viveri; la guerra aveva provocato l’inflazione che
agiva sui beni di consumo dei ceti più deboli. I ceti popolari urbani assaltano i forni e chiedono il
prezzo politico del pane, infatti quando Nitti abolisce il calmiere sul pane cade il governo.
Il quadro di incertezza economica forte è gravato dalla smobilitazione, che fu uno dei motivi
dell’impresa di Fiume. Masse ingenti di soldati tornarono a casa e trovarono disoccupazione e una
vita nei campi sempre più dura.
Dopo Caporetto erano state fatte delle promesse ai contadini di riforme sociali al ritorno dalla
guerra, come per esempio la promessa di nuove terre.
Le forti agitazioni sociali in campo agrario so o tipiche del centro sud e sfociano in occupazioni
guidate da associazioni di combattenti e reduci che assumono anche un valore politico come
democratici di sinistra. Nel settembre del ’19 un decreto governativo legittima queste occupazioni.
L’altro settore di malessere era quello operaio legato alle tensioni rivoluzionarie, soprattutto a
Torino dove vengono teorizzati consigli operai simili ai RETE in Germania.
Questo non è accettabile né per i sindacati né tanto meno dagli industriali.
Nel 1920 avviene lo sciopero delle lancette; gli operai chiedevano di togliere l’ora legale imposta
durante la guerra, i padroni si rifiutano e gli operai spostano le ore e vengono licenziati.
Nell’estate del 1920 nelle grandi città industriali come Milano e Torino avviene l’occupazione delle
fabbriche per rivendicazioni salariali. Questa occupazione fu armata perché le armi dopo la guerra
erano facilmente reperibili.
In questo momento è già in atto il governo Giolitti, il quale gestisce la situazione, che sembrava un
atto rivoluzionario che andasse contro la proprietà privata.
Giolitti inizia delle trattative con gli operai e il padronato giungendo ad un accordo salariale e un
accordo generico sul controllo da parte degli operai dell’andamento delle fabbriche, tramite una
commissione. Questa idea riceve l’appoggio dei sindacati che hanno interesse nell’evitare una
radicalizzazione della situazione, per non perdere il potere che avevano acquistato in fabbrica nei
confronti degli operai.
Con la fine del 1920 si ha un periodo di svolta che culmina con l’insorgenza fascista.
La crisi del movimento operaio è legata alla crisi economica che fa aumentare la disoccupazione.
Il fascismo però si sviluppa in un’area che non è propriamente industriale, cioè la bassa padana,
zona rurale, dopo che termina lo sciopero agrario del bolognese.
Il fascismo prende il via dopo la strage a Palazzo d’Accursio, il municipio di Bologna, governato
come la maggior parte dei comuni emiliani da socialisti.
La pressione dell’amministrazione comunale e delle leghe agrarie hanno effetti politici e sociali
forti: i socialisti hanno un’egemonia sui lavoratori agrari.
Dal punto di vista amministrativo imponevano tasse ai proprietari benestanti e i proventi venivano
dati ai più deboli. Inoltre grazie alla lega agraria vigeva l’imponibile di manodopera che permetteva
ai braccianti temporanei di lavorare per un periodo più lungo nell’anno e avere un salario meno
misero.
Inoltre era imposto il controllo sulla manodopera e quindi l’iscrizione ai sindacati.
I padroni della zona non erano molto favorevoli al socialismo e cominciarono a finanziare chi
poteva sciogliere leghe e municipi rossi.
Dopo le elezioni del 1920 cominciano quindi le scorrerie fasciste che non potevano essere fermate
dai socialisti, perché non erano organizzati sul territorio.
Il primo fascismo è quindi agrario, con epicentro nella pianura padana ed è favorito dai proprietari
terrieri anti socialisti e dalle autorità statali periferiche.
Il presidente del consiglio Giolitti da una parte chiede ai prefetti di disarmare le bande e mantenere
l’ordine, ma usa i fascisti per i propri scopi. La sua idea è quella di usare il fascismo contro i
socialisti per rafforzare l’egemonia liberale. Chiede quindi nuove elezioni che si tengono nella
primavera del 1921 facendo delle alleanze locali con i fascisti per avere nel partito maggiore
organizzazione.
Alle elezioni i socialisti perdono molti voti, anche perché nel gennaio era nato il partito comunista; i
popolari guadagnano alcuni seggi, mentre i fascisti entrano in parlamento con 35 seggi, che
costituiscono una forte legittimazione al movimento che più tardi diventerà partito con una base
parlamentare.
Giolitti abbandona quindi il posto a Bonomi, il quale costituisce un governo debole basato sul patto
di pacificazione tra socialisti, sindacati e fascisti. Questo patto stipulato nell’agosto del 1921 serviva
ad evitare nuove violenza da parte dei fascisti.
La situazione però deteriora, perché il patto indica una abdicazione dello stato che non è capace di
reprimere i disordini interni e inoltre le violenze continuano.
Mussolini accetta il patto per dare una legittimazione al movimento, mentre i RAS, i dirigenti
politici più estremisti, non vorrebbero accettarlo. Si trova quindi un compromesso tra le due parti e
il 21 novembre del 1921 il movimento diventa partito.
Intanto la crisi colpisce quelle industrie siderurgiche e dell’acciaio che erano state favorite durante
la guerra. Insieme alle industrie crollano anche quelle banche che avevano finanziato le grandi
imprese.
In particolare fallisce la Banca di sconto, che viene aiutata dall’intervento di Bonomi.
Per questa mossa il governo Bonomi cade e si pensa ad un ritorno di Giolitti, che però viene
ostacolato dai popolari i quali non accettavano la politica filofascista di Giolitti e neanche la sua
finanziaria che andava a toccare gli interessi del Vaticano.
Alla fine di febbraio si sceglie come presidente del consiglio Facta, un luogotenente di Giolitti. Il
primo governo Facta dura fino a che l’ordine del giorno della Camera non vuole cambiarlo per le
continue violenze fasciste. Si entra in una situazione in cui l’autorità statale comincia a perdere la
sua importanza. Non riuscendo a trovare un sostituto nel luglio del 1922 viene richiamato Facta al
governo, ma i socialisti reagiscono proclamando uno sciopero generale che viene fermato dopo 48
ore dalle minacce dei fascisti.
Davanti allo sciopero anche i liberali si schierano con i fascisti provocando una rottura definitiva del
partito socialista che si trova diviso in partito comunista, partito socialista e PSU.
Mussolini sa che i liberali lo avevano sostenuto perché il loro scopo era proprio quello di
sconfiggere i socialisti e ora la missione era compiuta. Così a metà ottobre Mussolini decide di
puntare su Roma sia con trattative politiche sia con la minaccia della violenza.
Mussolini fa balenare l’ipotesi di un governo nel quale i fascisti mantenessero una posizione
subordinata, ma in realtà il suo scopo è quello di comandare il governo da solo.
Tra il 27 e il 28 ottobre Facta fa firmare al re lo stato d’assedio e manda la notizia ai prefetti, ma il
sovrano non firma il proclama. Questo avviene per diversi motivi, forse Diaz consiglia a re di non
far intervenire le truppe a sparare contro gli italiani o forse perché Vittorio Emanuele II vuole
coinvolgere i fascisti al governo per evitare una guerra civile. Il re quindi convoca Mussolini che si
trova a Milano e lo fa arrivare a Roma. Il giorno 30 entrano a Roma anche le milizie fasciste e
Mussolini diventa presidente del consiglio, di un governo al quale partecipano fascisti, popolari e
Diaz come garante della monarchia.
Il primo problema di Mussolini è quello di crearsi una maggioranza.
Due elementi testimoniano la presa di potere del fascismo: la creazione del Gran Consiglio del
fascismo e della milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Il Gran Consiglio era un organo di partito nel quale confluivano anche altri ministri, per cui diventa
una commistione tra stato e partito. Nel 1928 diventerà un organo di stato.
Il fascismo ora può insidiare direttamente la monarchia perché nonostante si riunisca poche volte, si
occupa della successione dei Savoia. Potendo cambiare la successione si altera un elemento
fondamentale su cui si basa la monarchia, la quale non può più sganciarsi dal fascismo.
La milizia volontaria per la sicurezza nazionale era formata dalle squadre fasciste in divisa, che
dava loro un valore ufficiale. Sciolta la guardia regia del 1919 si crea un organismo statale che in
realtà è anche di partito.
Rimangono i carabinieri come arma che si riconosce nella monarchia. Durante la crisi del 1943 i
carabinieri mostrarono fedeltà al re.
L’esercito viene fascistizzato così come a tutti gli impiegati pubblici viene imposto un giuramento
al fascismo. Negli anni 30 l’elemento fondante è la volontà imperialista, ma l’esercito non è pronto.
Anche l’aviazione viene potenziata da Balbo, che organizza la trasvolata dell’Atlantico. Un terzo
momento è quello del cambiamento della legge elettorale. Nelle elezioni del 21 il fascismo ottiene
35 seggi, ma sono pochi per un partito che vuole rimanere al governo. Mussolini cambia la legge
per avere la maggioranza. Nell’estate del 23 la legge Acerbo decreta la maggioranza di circa due
terzi dei seggi per la lista che abbia il 25% di voti a livello nazionale.
Nell’aprile del 23 durante un congresso di popolari Mussolini chiede ai ministri popolari di uscire
dal governo. Inoltre fa pressione sul Vaticano per estromette Sturzo il quale si dimette lasciando il
partito popolare ingovernabile. Con De Gasperi il partito popolare non conterà più nulla.
I liberali vengono convinti in vari modi, con la promessa di inclusione nelle liste elettorali. Si
creano 15 circoscrizioni ma in realtà esiste un’unica circoscrizione nazionale. Nel listone
confluiscono i fascisti e i sostenitori. Nella primavera del 21 i blocchi nazionale includevano la
maggior parte dei liberali, nel 24 ci sono per la maggioranza fascisti. Questo significa che per il
premio di maggioranza i fascisti avrebbero avuto politicamente la maggioranza assoluta.
Per i liberali e i popolari sarebbe difficile unirsi: i fascisti erano l’unico partito organizzato.
Viene creata un’altra lista filogovernativa che serviva a coprire i seggi distribuiti con la
proporzionale. Gli altri partiti erano i socialisti unificati, i comunisti: liste di opposizione che
contavano poco.
Nell’aprile del 24 i fascisti ottengono il 65% dei voti, questo risultato si spiega con il fatto che gli
altri partiti erano divisi al loro interno e non avevano il re dalla loro parte; un elemento
fondamentale fu l’uso della violenza durante la campagna elettorale.
Durante la convalida degli eletti il segretario socialista Matteotti denuncia le violenze fasciste e nel
giugno del 1924 Matteotti scompare. Alla fine di agosto viene ritrovato il cadavere e si apre un caso
giudiziario e politico che fa discutere gli storici. Probabilmente Matteotti viene ucciso non per
quello che ha detto ma per la denuncia che vuole fare verso Mussolini.
Quello che è sicuro è che sia un delitto politico e volontario. Il dubbio è sul mandante dell’omicidio.
Si fanno due ipotesi: una che sia stato Mussolini a ordinare il delitto, ma non potrà mai essere
confermato; la seconda è l’ipotesi Beckett cioè forse qualcuno vicino a Mussolini ha ritenuto di
interpretare certe parole del duce.
Quello che è importante è la crisi politica che si apre con l’omicidio e che mette in grave difficoltà
Mussolini per mesi tra il giugno e il dicembre 1924. Si apre una questione morale: è accettabile che
il capo del governo possa essere sospettato di aver accettato l’assassinio di un avversario politico?
La risposta è la freddezza dei fiancheggiatori e l’atteggiamento “dell’Aventino” degli oppositori,
che si astengono dai lavori parlamentari.
Sembra che l’unico risultato sia la vittoria del fascismo alle elezioni e la morte di Matteotti.
L’unica soluzione della crisi sarebbe stato il ritiro del sovrano, ma questo avrebbe portato ad una
crisi politica.
Nelle prime settimane Mussolini rimane come paralizzato, poi nomina ministro degli interni
Federzoni, un nazionalista che aveva le idee chiare sull’idea di governo autoritario e che è la
garanzia che le illegalità verranno contrastate dal governo conservatore.
La crisi si trascina fino a quando appare un memoriale difensivo di Cesarino Rossi, implicato nel
caso Matteotti, sulle “Pagine del popolo”, giornale diretto dal popolare Donati.
Mussolini premuto dalle frange più estremiste chiarisce la vicenda nel discorso del 3 gennaio del
1925 nel quale sostiene che se il fascismo è una banda di malviventi, allora lui è il capo della banda.
E’ chiaro che Mussolini ha in mano la situazione e le opposizioni sono destinate a perdere.
Da un punto di vista politico comincia la dittatura.
L’agibilità politica dei partiti oppositori è minima e la propaganda è a rischio di vita.
Vengono varate alcune norme che innovano la struttura dello stato. Le leggi sulla stampa mettono a
rischio di sequestro le pagine che diffamano il governo anche dinanzi all’estero. Il fascismo opera
anche per cambiare proprietà, direzione e redazione ai giornali non allineati col regime.
Viene introdotto un podestà che è un funzionario di nomina regia che comanda nei vari paesi al
posto dell’organo elettivo.
A Bologna avviene un attentato contro Mussolini da parte di un ragazzo, Zamboni che spara al duce
mancandolo. Questo fu il pretesto per il proclama delle leggi fascistissime che sciolgono ogni
organizzazione politica e fanno decadere i parlamentari antifascisti. Inoltre vengono presi
provvedimenti restrittivi rispetto alla libertà di parola, di movimento…
Viene ordinato un tribunale speciale per la difesa dello stato che ha competenza su alcuni reati e
agisce in senso repressivo.
Viene istituita l’OVRA, la polizia segreta che ha il compito di smascherare oppositori o gruppi
dissidenti.
Il problema del consenso del fascismo viene affrontato negli anni ’70 dopo la pubblicazione della
biografia di Mussolini dello storico De Felice e di un altro volume nel quale lo stesso De Felice
afferma che il fascismo aveva avuto un grande consenso da parte degli italiani.
Bisogna guardare al fascismo nelle sue varie fasi: a seconda del momento e dell’ambito si ha la
prevalenza della violenza o del consenso.
Durante gli anni trenta ci sono momenti in cui il consenso sembra molto forte.
L’11 febbraio 1919 vengono stipulati i Patti Lateranensi, trattative tra Stato e Chiesa che
comportano tre documenti.
Il Trattato prevede la risoluzione della questione romana, iniziata con la breccia di Porta Pia,
attraverso la creazione di uno stato indipendente all’interno del territorio della Chiesa: il Vaticano.
Lo Stato italiano stipula un trattato internazionale nel quale riconosce l’indipendenza del Vaticano.
Il Concordato è un documento nel quale la Chiesa e lo Stato decidono accordi comuni su materie di
competenza di entrambi. Per esempio si ammette che il matrimonio religioso abbia anche valore
civile, si stabilisce il cattolicesimo come religione di stato…..
E’ un documento politico.
La Convenzione finanziaria.
Lettura 7: “Elementi caratterizzanti del fenomeno fascista: il rapporto con i ceti medi”
R. De Felice
Questo brano è l’introduzione di un volume che dà una interpretazione sul fascismo nel 1970
quando l’opera di De Felice era ancora agli esordi.
Il fascismo è visto come un prodotto di circostanze, un fenomeno storicamente e geograficamente
ben determinato. A seconda del tipo di fascismo si può estendere il concetto anche a fenomeni
europei posteriori.
Se il fascismo è visto come modello sempre attivo si è portati a vedere il fascismo in zone dove non
è mai stato conosciuto storicamente, se si rimane entro determinati limiti invece si intendono i
regimi in altro modo.
Sono tesi storiografiche che però hanno valore politico.
Il fascismo è un fenomeno concluso che vale per l’Italia e per la Germania e non è possibile
attribuire gli stessi caratteri ad altri regimi autoritari.
L’analisi sul fascismo è condotto su un piano sociale e non politico. Si punta l’attenzione sui ceti
medi e sul loro ruolo nell’avvento del fascismo.
Nel dopoguerra era avvenuta una proletarizzazione dei ceti bassi della borghesia che fanno aderire i
ceti medi ad una linea politica che li risollevi dalla situazione.
La tesi di De Felice vede il fascismo come movimento rivoluzionario che vuole affermare i ceti
medi contro il proletariato e la grande borghesia. In questo caso si considera ciò che ha fatto il
fascismo come un cambiamento profondo imparentato con il socialismo.
Il socialismo aveva spaventato i ceti medi sia in quel periodo sia per i partiti comunisti che
attivavano una politica di convergenza con i partiti radicali dal 1934 dando origine al frante
popolare come in Spagna.
All’interno degli anni tra le due guerre non tutti i regimi di destra erano fascisti. De Felice tende a
creare una tipologia del fascismo dividendo e distinguendo i regimi politici l’uno dall’altro. Si
arriva così a dire che il regime italiano è unico e senza modelli.
Se si selezionano certi elementi il fascismo assomiglia a tanti fenomeni e non può esistere
l’antifascismo, se invece si sostiene che esista un solo fascismo con delle differenze interne la storia
del XX secolo può essere vista come lotta tra fascismo e antifascismo.
Lo stesso vale per il totalitarismo.
In un regime autoritario classico la popolazione non si deve occupare di politica come durante il
franchismo, ma il fascismo tende a mobilitare le masse in uno schema determinato e questa è una
caratteristica dei regimi totalitari.
Il fascismo vuole iniziare una nuova era con cambiamenti radicali.
C’è un rapporto diretto con il capo, dialoghi con la folla che danno l’idea della partecipazione
politica. Il consenso della massa è molto spesso attivo, spontaneo in alcuni momenti più che in altri,
come nel ’29 dopo il concordato con la Chiesa e con la guerra di Etiopia che fa nascere l’orgoglio
nazionale di essere una società imperiale.
Secondo De Felice non si può limitare il fascismo solo in chiave antisocialista.
Le caratteristiche del fascismo sono le differenze con gli altri regimi e come il fascismo abbia
trovato il consenso. Ciò che spiega queste differenze è la mobilitazione delle masse.
I diversi rapporti con la folla si possono trovare anche in altri regimi, perfino nei governi
democratici.
Mussolini non chiede alla popolazione la semplice obbedienza, ma politicizza le masse, mentre gli
altri regimi autoritari classici richiedevano solo l’obbedienza.
Il consenso segna la differenza con gli altri regimi ed è ottenuto attraverso il monopolio dei mezzi di
comunicazione e con l’uso della repressione.
Lettura 8: “Il fascismo e la grande borghesia” G.Quazza
Quazza era un partigiano del Piemonte che aderiva al Partito d’Azione e dopo la scissione si
mantenne su posizioni socialiste.
Fu autore negli anni 70 di “Resistenza e storia italiana” dove critica il comunismo da sinistra.
Questo brano è l’introduzione di un volume di autori vari sul fascismo e la società italiana.
Il brano si apre con l’affermazione che il problema storico debba essere studiato dallo storico e
affrontato dal politico.
Bisogna prendere in considerazione un lungo periodo, cioè l’Italia liberale dal 1861 alla prima
guerra mondiale, e quella del capitalismo che parte con la rivoluzione industriale.
Inoltre bisogna tenere conto delle forze che intervengono nella lotta per il potere.
Se il 1926 è la data di inizio del regime fascista è difficile da stabilire la data del suo tracollo. Una
ipotesi potrebbe essere il 1945 con la dissoluzione delle strutture e il 28 aprile la morte di
Mussolini.
Agli inizi degli anni 50 nasce il movimento sociale italiano che recupera la simbologia fascista,
come la fiamma tricolore.
Nel settembre del 1943 viene proclamata la Repubblica sociale italiana, quando Mussolini viene
arrestato dai carabinieri del re e poi liberato dai paracadutisti tedeschi.
Nel 1943 muore quindi il fascismo legato alla monarchia e nasce un nuovo fascismo repubblicano
con forti riferimenti antimonarchici.
La repubblica è detta sociale perché recupera alcuni valori “di sinistra” prima abbandonati.
Tra il 1939-40 scoppia la seconda guerra mondiale e per l’Italia inizia il periodo di non belligeranza.
Il 10 giugno l’Italia entra in guerra dopo il crollo della Francia.
Il momento finale dell’analisi del regime è proprio questo perché la guerra cambia sia le strutture
interne al regime che la politica estera.
Nel 1939 il regime fallisce perché perde il consenso ed appare molto strano che questo avvenga
proprio per un valore tanto inneggiato nella propaganda, cioè il militarismo.
Nel periodo tra il 1926 e il 1939 ci sono vari elementi che caratterizzano il regime: la repressione, il
consenso.
Ci si chiede poi in quale misura il regime fu totalitario, cioè quanto il fascismo non ebbe oppositori
e concorrenti al potere e quindi quanto poté dominare sulla società.
La repressione ha assunto caratteristiche diverse a seconda dei vari cambiamenti del fascismo.
Dal 1922 al 1926 c’è una combinazione tra la repressione ordinata dall’alto e lo squadrismo e
questo consente al fascismo di stabilizzarsi. Vengono istituiti organi atti alla repressione che non
lasciano alcuno spazio agli oppositori che sono costretti o all’esilio, o all’abbandono dell’attività
politica, o con la galera. Questo dipende dal tipo di opposizione, se era radicale era punita con la
galera, se era potenziale invece con il confino (Levi), o erano costretti a emigrare all’estero: Parigi,
Londra (Sturzo), America (Salvemini).
Pochi erano gli oppositori, gli esponenti del partito comunista, che però subiscono una serie di
sconfitte e si riuniscono ancora solo dopo il 25 luglio 1943.
Per esempio Rosselli, antifascista non comunista che partecipa alla guerra di Spagna con il
programma “oggi in Spagna, domani in Italia”. Verrà ucciso in Francia da alcuni sicari forse so
ordine di Roma.
Altri come De Gasperi invece passano in ventennio fascista in Vaticano.
La repressione tocca quelli che hanno a che fare con l’antifascismo storico.
Ci sono infatti due tipi di antifascismo: uno politicizzato e uno esistenziale, che è quello dei giovani
che dopo la guerra criticano il fascismo e entrano a far parte della resistenza.
Il fascismo si basò soprattutto sulla repressione, ma non bisogna trascurare il consenso, cioè
l’adesione al fascismo dei vari strati della società.
La presa del fascismo sulla società aumenta progressivamente. Prima di tutto la durata del fascismo
fa accettare come inevitabile il regime e inoltre il fascismo elabora strumenti organizzativi che
inquadrano la società ottenendone il consenso.
Ci sono due momenti in cui questo consenso è più evidente: il 1929 e il 1936.
L’11 febbraio 1929 vengono firmati i Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa e questo comporta
attraverso il Concordato un vantaggio per la Chiesa, mentre attraverso il Trattato un vantaggio per il
regime.
Con il trattato cade la questione romana e il regime acquista maggior prestigio, ma con il concordato
la Chiesa acquista un maggior spazio di manovra. La Chiesa agisce nella società facendo cadere il
carattere totalitario dello Stato.
Questo comporta dei problemi soprattutto a partire dal 29 settembre quando si apre una crisi locale a
Como all’interno dell’Azione cattolica.
Nel 1931 questo screzio assume dimensioni nazionali.
L’Azione cattolica era un’organizzazione creata nel 1922 con lo scopo di portare la testimonianza
cattolica nella società. Era formata da laici, ma anche da ecclesiastici e copriva molte fasce di
popolazione dai giovani ai laureati alle associazioni professionali.
Questa associazione interveniva nella società soprattutto nell’ambito dell’educazione e
dell’intrattenimento dei giovani.
Il fascismo voleva la sovranità totale mentre i cattolici chiedevano al sovranità di Cristo istituendo
per esempio la feste di Cristo re.
Nella richiesta dei cattolici rientrava anche la proposta di evitare da parte delle autorità civili ogni
occasione di divertimento. In realtà non era una proposta, ma i cattolici volevano l’impegno dello
Stato. Le due mentalità quindi entrano in collisione.
Lo stato proibisce le associazioni dell’Azione cattolica fino a che in settembre si arriva ad un
compromesso. Le associazioni vengono suddivise in organizzazioni a livello provinciale per
limitare gli spazi di azione.
Gli esponenti più compromessi nelle attività non antifasciste, ma afasciste vengono allontanati, per
esempio Montini.
Verso il 1938 si arriva ad una sistemazione soprattutto grazie alla guerra di Spagna che accomuna le
due mentalità in una visione anticomunista.
Ma nell’anno 1938 le cose cambiano.
All’interno della chiesa c’era qualche dissenso, ma molto marginale a livello di personalità come
Sturzo e don. Primo Mazzolari.
Tra la Chiesa e il fascismo ci sono elementi in comune: l’anticomunismo, la contrarietà ai caratteri
di modernità incarnata negli USA, la concezione della famiglia, della demografia e della donna.
La famiglia per esempio è vista dalla chiesa come nucleo della società in senso morale, mentre il
regime afferma l’importanza della famiglia per una politica di potenza.
Le differenze si accentuano nei confronti della guerra..
Ma il culmine delle differenze si ha nel 1938 quando vengono promulgate le leggi razziali
antisemite.
Nella Chiesa vigeva una concezione antigiudaica, ma solo ideologica.
Le leggi razziali erano un aggravamento di quelle tedesche e questo è un indice dell’egemonia
nazista sull’Italia. La chiesa voleva una cattolicizzazione del fascismo, ma non era possibile farlo
con il nazismo. La chiesa si stacca dal fascismo nel momento in cui il nazismo si avvicina al
fascismo.
Un altro momento di consenso è il 1935-36 quando inizia la guerra di Etiopia. Il 9 maggio 1936
viene proclamato l’Impero. Questo valore della romanità imperiale tanto osannato serve a riscattare
le sconfitte dell’Italia liberale.
L’Italia con questa manovra offensiva viene isolata dalla politica internazionale ed è costretta a
pagare delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni.
L’Italia non paga le sanzioni e continua la sua offensiva in Etiopia e inoltre sfrutta il motivo delle
sanzioni per intraprendere una propaganda che vedeva questo provvedimento come una manovra
anti italiana.
Il consenso quindi aumenta quando viene proclamato l’Impero.
L’Etiopia era vista come una valvola di sfogo per la manodopera meridionale in eccesso, ma si
rivelò un fallimento perché fu molto costoso in termini militari.
La politica che si attua nella colonia è una politica di repressioni violente, dovute anche al forte
sentimento razzista.
Il regime fascista non può essere quindi definito totalitario perché è sottoposto alla presenta
opprimente della Chiesa e della monarchia. Anche la monarchia ha un ruolo fondamentale perché
incarna i valori della tradizione e gli italiani ne riconoscevano un valore pari al fascismo.
Nel 1943 sarà proprio la monarchia determinare la caduta del fascismo.
La monarchia è vista come simbolo dell’unità dello stato e ha dalla sua parte alcune forze armate
come la marina e i carabinieri.
Quando il fascismo si incrina la monarchia torna a fare politica e nonostante il 25 aprile il Gran
Consiglio diede la minoranza al fascismo solo l’intervento della monarchia fu decisivo.
Le colpe attribuite alla monarchia sono quelle di aver accettato nel 1922 la marcia su Roma e nel
1938 la leggi razziali; inoltre non si oppose all’entrata in guerra.
Tra il 1943 e il 1946 la monarchia viene attaccata da alcune forze politiche che provocheranno il
rovesciamento.
Il fascismo non è autoritario perché cerca la politicizzazione delle masse e non è totalitario perché
deve fare i conti con la Chiesa e il re.
LA GUERRA DI SPAGNA
Le fotocopie sono tratte dal libro Le due guerre di Spagna nel quale si trovano alcuni interventi.
Uno è di Nino Isaia e E.Sogno. Quest’ultimo era stato esponente dell’ala monarchica e coinvolto in
un presunto tentativo di golpe, una cospirazione antidemocratica negli anni ’70.
Nel 1936 era stato volontario nella guerra di Spagna tra le fila franchiste.
Durante la guerra di Spagna combattono anche truppe italiane mandate dal fascismo e solo in
apparenza volontarie.
Sono presenti nell’introduzione di Sergio Romano, ambasciatore italiano a Mosca e ora svolge
opera di commentatore delle file del centro destra, i racconti di Sogno e Bonfante. Dopo la
pubblicazione dei due racconti si scatena una discussione giornalistica.
Gianni Rocca scrive “Caro revisionista ti scrivo” perché dalla metà degli anni settanta era in atto
una rilettura in chiave revisionista della storia. Esistono due forme di revisionismo storico che
critica i canoni tradizionali di interpretazione: in primo è legato all’esistenza dei campi di
concentramento e viene chiamato negazionismo; altre forme hanno invece valore generale e danno
una nuova interpretazione criticando il comunismo.
Rocca rivisita la storia europea e mondiale per controbattere ai revisionisti. L’ambito è
apparentemente storico, ma ha un valore politico.
Per il paragone tra i due testi bisogna tenere presente:
1. la situazione spagnola prima del ’36
2. la situazione internazionale (la guerra spagnola è considerata importante per le situazioni interne
come per esempio l’unione tra fascisti e nazisti e la presenza dell’URSS in Spagna)
3. il ruolo della Germania nazista e dell’Italia fascista che intervengono fin dal primo momento sia
con materiali che con uomini.
4. il ruolo della Francia e dell’Inghilterra che non intervengono
5. il ruolo dell’URSS di Stalin. Per Romano la guerra di Spagna è iniziata come lotta tra franchisti
e antifranchisti e si è trasformata in lotta tra antifascismo e anticomunismo. Anche per chi non
era fascista acquistava una valore partecipare alla guerra contro i comunisti.
6. Il ruolo di alcune potenze dall’interno della Spagna: Chiesa, anarchismo, franchismo…
7. Che valore danno i due testi per descrivere le stragi che sono avvenute nei campi? Dei franchisti
contro i repubblicani, degli anarchici contro gli ecclesiastici e dei comunisti (Barcellona 1937)
contro anarchici e Trochisti.
8. Tesi generali sostenute dagli autori.
La guerra civile finisce nel febbraio del 1939. Nel periodo successivo scoppia la II guerra mondiale.
Franco era stato sostenuto dall’Italia e dalla Germania ma non entra in guerra. Se fosse entrato forse
il franchismo sarebbe morto con il fascismo nel ’45.
Nel 1940 il franchismo passa dalla neutralità alla non belligeranza.
Nel settembre del ’39 la Germania invade la Polonia e questo non piace a Franco perché la Polonia
è un paese cattolico.
Nel ’40 Hitler è sul fronte occidentale e nel maggio i tedeschi arrivano a Parigi. Questo è il
momento in cui l’Italia entra in guerra. La situazione italiana è simile a quella spagnola infatti
entrambe respingono la Germania che le voleva in guerra dando le stesse motivazioni.
Il 10 giugno 1940 la Germania batte la Francia e Mussolini entra in guerra ma Franco no. Mussolini
vuole avere benefici territoriali in un momento in cui la guerra sembrava vinta ma non è così perché
l’Inghilterra è ancora integra.
Nel momento in cui l’Inghilterra non cede Franco ritorna alla neutralità.
Il suo atteggiamento è ambiguo: concede copertura spionistica ai paesi dell’asse, ma nel ’43 cerca
buoni rapporti con la Francia. Inoltre tratta con la Germania e l’Italia per avere l’Africa del nord
perché non vuole sottomettere la Spagna all’egemonia degli altri due stati.
Il regime di franco è cattolico e guarda di buon occhio la chiesa, è interessato alla guerra il 22
giugno 1941 quando l’URSS viene attaccata per battere il comunismo, ma si limita a mandare
truppe volontarie.
Il periodo tra il 1945 e il 1947 viene chiamato NOCHE OSCURA perché la Spagna rimane isolata e
non viene ammessa all’ONU e i vincitori ritirano le loro rappresentanze politiche.
Il regime non cade perché l’opposizione a Franco è divisa tra repubblicani e monarchici.
L’atteggiamento degli alleati non è antifranchista, ma antispagnolo.
In Italia nel 1935 la Società delle nazioni sancisce una sanzione dopo l’attacco in Eritrea.
Nel 1947 l’alleanza tra USA, Francia, URSS e Inghilterra si sfalda e in Europa c’è posto per una
Spagna anticomunista. Si attenua quindi l’isolamento e si ha un riconoscimento da parte della
Chiesa che nel ’53 stipula un accordo con il franchismo e nel 55 permette l’accesso della Spagna
all’ONU.
A partire dagli anni ’60 si ha una modernizzazione della Spagna attraverso certi processi economici
come l’industrializzazione e l’urbanizzazione e una trasformazione della mentalità.
Il regime attenua la sua presa politica perché l’aspetto repressivo diventa meno forte tranne che
nella zona comunista dove le repressioni sono ancora forti.
Nel 1973 il capo del governo L.C.Blanco viene assassinato dai militanti dell’ETA.
A livello istituzionale le trasformazioni avvengono nel ’45 con una costituzione che dava diritti
limitati e revocabili per motivi di ordine pubblico.
Nel 1975 Franco muore e il regime si sfalda perché era basato sulla sua persona.
A partire dal 1977 la elezioni vengono vinte non più dalla destra, ma dal centro di Suarez.
Nel 1982 le elezioni sono vinte da GONZALES un socialista antifranchista.
Nel 1981 nel parlamento di Madrid Tejero tenta il golpe che però non ha successo.
Nel ’69 Franco elegge un successore Juan Carlos di Borbone. Franco possedeva tutte le cariche
istituzionali per cui formula una legge che gli permette di nominare un successore.
Il re, nipote di Alfonso XIII che abbandonò la Spagna in preda alla guerra civile, è fedele alla
democrazia.
Il franchismo aveva distrutto le autorità locali, le regioni che avevano una propria identità vennero
private della propria lingua . Ora invece la Catalogna ha un’ampia autonomia che è un modello di
federalismo.
Romano nel primo saggio regredisce fino al 1931 quando avviene la fuga del re e la proclamazione
della Repubblica che adotta una politica radicale che scontenta tutti.
Nel secondo saggio invece si torna indietro di molti più anni. Avvengono in Europa numerosi colpi
di stato, per cui secondo Romano, quello del 1936 non è il punto zero della storia di Spagna. Infatti
se lo vediamo come punto fondamentale allora il golpe fu un fatto illegale contro un governo
democraticamente eletto.
Romano si domanda come mai la storiografia di sinistra che non si è mai preoccupata della legalità
delle azioni politiche, proprio su questo punto calca per il golpe franchista.
Romano inserisce il golpe in un sistema più ampio forse per giustificarlo.
Rocca invece si rifà a pochi anni prima del golpe mettendo in rilievo l’illegalità del golpe di Franco,
per cui tende a dare un valore periodizzante al 1936. Si asserisce che la storia fino al 1945 sia una
lotta tra fascismo e antifascismo.
Romano prende in considerazione le reazioni degli altri stati: l’Italia è presentata come titubante e
questo tende a minimizzare l’intervento italiano riducendo tutto al pensiero di Mussolini senza
mettere in rilievo l’azione.
Non si parla della Germania nazista.
Si insiste invece sull’intervento dell’Unione Sovietica. Nel maggio del 1937 l’URSS represse le
forze anarchiche a Barcellona.
Nel 1939-41 l’URSS copre le spalle a Hitler con il patto di non aggressione, con il quale le due
potenze si impegnano a non attaccarsi e l’URSS rifornisce la Germania di viveri.
Questo fu un momento terribile per i comunisti fino all’attacco del 22 giugno del 1922 quando
durante l’operazione Barbarossa la Germania attacca la Russia.
L’URSS quindi non è sempre stata antifascista, quindi non c’è sempre stata la lotta tra fascismo e
antifascismo e questo fa cadere la tesi di Rocca.
Da questo punto in poi il nemico principale furono i comunisti.
Mario Piranesi dice che si portano le logiche conseguenze la guerra doveva essere antisovietica e
accettare l’occupazione nazista dell’Europa. Questa è la politica francese e inglese.
IL TOTALITARISMO
Totalitarismo è un termine che nasce negli anni 20 con la proclamazione del carattere totalitario del
fascismo dato da Mussolini, cioè dall’idea che il regime prendesse potere su tutti gli aspetti della
vita pubblica.
Negli anni 50 il totalitarismo diventa oggetto di studio e vengono pubblicati due libri: “le origini del
totalitarismo” di Anna Arendt, una filosofa ebrea tedesca che vede il totalitarismo nei suoi aspetti
storico-filosofici e quindi parla della perdita dell’essenza umana; e il libro di due storici Friedrich e
Brerzinski “Dittatura e autocrazia”.
Le analisi del totalitarismo hanno valenza scientifica, cioè creano un modello concettuale da
applicare a vari casi per capire se si parla o meno di totalitarismo.
Assume però in alcuni casi valenza ideologica, soprattutto durante la guerra fredda, quando serve a
debellare la Russia di Stalin.
Questo secondo aspetto tende a unificare la Germania nazista al regime comunista. Se le democrazie
occidentali lottano per contro il nazismo, visto come male radicale, così devono fare contro il
comunismo. In questo caso il combattimento non è armato, ma ideologico.
A partire dal 1956, dopo il XX congresso del partito comunista, l’Unione Sovietica è governata da
un regime comunista differente da quello di Stalin, ma la Russia è vista ancora come l’impero del
male.
Spesso anche il valore scientifico ha risentito di quello ideologico, ma oggi è utilizzato anche da chi
non è sospettato di farne un uso strumentale.
Secondo la Arendt il totalitarismo è una forma di dominio di tipo nuovo che non si limita a
distruggere le capacità politiche dell’uomo rispetto alla vita pubblica , ma incide sulle relazioni
private fino ad arrivare alla privazione dell’io.
Lo scopo del totalitarismo è mutare la natura umana e questo vale sia per chi lo subisce che per chi
lo attua perché quest’ultimo non si sente esente dalla possibilità di essere implicato.
Bisogna chiedersi se la disumanizzazione è una finalità o un effetto, se è cioè fatto coscientemente.
Forse nella mente dei dittatori non c’è il concetto filosofico, per cui è un effetto, ma quando il
fenomeno tocca punti molto alti, come nei campi di sterminio, c’è volontà e quindi è un fine.
Gli strumenti del totalitarismo sono l’ideologia e il terrore.
Con l’ideologia si spiega io corso degli eventi attraverso il rifiuto di una verifica empirica, si espelle
l’esperienza perché questa mostrerebbe la falsità dell’ideologia.
Attraverso l’indottrinamento e il monopolio dei mezzi di comunicazione viene inculcata l’ideologia.
In certi casi l’ideologia monopolizza il campo e reinterpreta l’esperienza come quando negli anni
trenta vengono applicate le purghe staliniane ai fedeli comunisti visti come spie dell’occidente.
Nel sistema totalitario l’ideologia è quella situazione che viene portata al massimo livello.
L’ideologia non potrebbe esistere senza l’esistenza del terrore che piega tutti al volere dell’ideologia
e serve a mostrare ciò che l’ideologia teorizza.
Il terrore è un elemento particolare dell’ideologia perché colpisce in modo oggettivo, non vengono
colpiti cioè gli oppositori, ma coloro che in base alle esigenze del regime sono considerati nemici.
E’ il caso degli ebrei che vengono prima estromessi dai diritti civili e poi eliminati sulla base
dell’accusa di essere nemici della razza ariana, senza tenere conto della volontà del singolo.
Questo è evidente in Italia quando dopo le leggi razziali si colpiscono anche quegli ebrei che sono
fedeli al regime.
Quello che differenzia un regime totalitario da una dittatura è che nel secondo è possibile
interessarsi di politica.
I regimi totalitari hanno caratteristiche simili: un partito unico, polizia segreta, ma non sono
monolitici. Questo significa che la volontà scende dall’alto ma non direttamente cioè si passa
attraverso centri di potere in lotta fra loro. Il dittatore sceglie chi appoggiare a seconda dell’esigenza
politica. Questo è una garanzia per il dittatore che ha sempre una polizia schierata in difesa contro
una qualsiasi rivolta militare.
Questo carattere è evidente nel libro di Neumann “Behemoth”. Il titolo si riferisce a un mostro di
terra rappresentato da un elefante che è il simbolo della disgregazione della società.
Nel testo dei due storici ci sono analogie e differenze con quello della Arendt.
Si mette in rilievo il monopolio del potere basato sulla tecnologia, radio, stampa che consentono di
penetrare nella popolazione: strumenti nuovi usati sapientemente dai regimi totalitari.
Il totalitarismo lavora sull’annullamento della società, tutto diventa politica.
La Arendt lavora sul significato filosofico, sul fine, mentre gli altri sulla descrizione. Nel primo
testo si dà importanza al capo carismatico nell’altro no. Inoltre nell’applicazione del concetto di
totalitarismo la Arendt è più ristretta mentre gli altri prendono in considerazione anche la Cina e il
fascismo.
Negli anni sessanta nasce una critica contro queste analisi del totalitarismo che si basa su tre aspetti:
la novità storica, il collegare l’esperienza nazifascista con quella comunista e l’estensione del
modello totalitario agli altri regimi comunisti.
Per quanto riguarda la prima critica si portano come esempio alcune situazioni simili a quelle
totalitarie come la dittatura a Sparta, ma ci sono caratteri del totalitarismo che sono tipici di un’età
moderna.
La possibilità di mettere insieme i vari regimi ha valenza ideologica. Per molti aspetti il comunismo
e il nazismo si assomigliano per altri sono opposti.
L’ideologia comunista è rivoluzionaria e si basa sulla libertà, l’uguaglianza e l’eliminazione delle
classi sociali, mentre il nazismo predica una società gerarchica e la presenza di un popolo di signori
e di popoli che devono scomparire.
Gli scopi sono opposti, ma la prassi per certi versi è simile.
Per quanto riguarda l’ideologia il nazismo può essere considerato peggiore del comunismo, per la
realizzazione pratica no perché il nazismo ha mantenuto le sue promesse, mentre il comunismo ha
fatto l’opposto di ciò che aveva promesso.
Ci sono poi differenze nella struttura di classe, nell’organizzazione economica.
Il modello totalitario è la rappresentazione semplificata che contiene regole per capire la realtà.
Più il modello è dettagliato, più si addice a un campo ristretto della realtà, più è generale più si può
ampliare il campo.
Questo si in senso diacronico, cioè lungo lo scorrere del tempo, sia in senso sincronico, cioè nelle
varie società.
Se si inseriscono caratteristiche sulla struttura sociale, ideologica e economica il modello non può
valere contemporaneamente per entrambe le nazioni.
E’ ormai condivisa l’idea che non è possibile vedere la continuazione del totalitarismo staliniano nai
regimi comunisti posteriori.
Qualche somiglianza si trova al più con la Cina maoista.
LA GERMANIA NAZISTA
Nel 1928 si ha la stabilizzazione della situazione nella repubblica di Weimar. Nel 1928 avvengono
elezioni politiche dove il nazionalsocialismo prende il 2.6 % dei voti.
Nel 1933 Hitler diventa cancelliere della Germania.
La crisi del ’29 aveva devastato tute l’Europa tanto che lo scompiglio economico porta a tensioni
anche politiche e le persone che prima appoggiavano il sistema caduto si trovano deluse e
appoggiano chi ritengono possa risolvere la situazione. E’ infatti evidente che un sistema regge solo
se riesce a soddisfare i bisogni della massa.
Ci sono altri elementi che dagli anni trenta rendono fragile la repubblica. Alcuni riguardano il
sistema politico ma quello fondamentale è la morte di Stresemann cancelliere e ministro degli esteri.
Un uomo capace di catalizzare il consenso.
Da questo momento in poi i cancellieri cercano di governare secondo l’articolo 48 della costituzione
che prevedeva che il cancelliere potesse governare anche senza la maggioranza parlamentare.
Si governa quindi solo con l’appoggio del presidente del Reich.
Nel 1925 si tengono le elezioni presidenziali così come nel 1932 e in entrambi i casi viene eletto
Hindenburg, ma con coalizioni differenti, prima con una di centro destra e poi con una di centro
sinistra. Cambia quindi la situazione politica e si vota un conservatore pur di non votare Hitler.
Dal 1930 al 32 la crisi è parossistica, si radicalizza in modo vorticoso.
Hitler si rafforza attraverso mezzi di intimidazione e squadre di assalto (S.A.) e
contemporaneamente con il consenso elettorale.
Durante le seconde elezioni del 1932 c’è un declino della potenza Hitleriana che però favorisce la
sua posizione. Gli viene infatti offerto dai conservatori il vice cancellierato che lui rifiuta, così che
gli viene conferito il cancellierato il 30 gennaio 1932.
L’elemento repressivo diventa sempre più forte ma per avere ancora più potere si indicono le
elezioni del 30 marzo.
Il 27 febbraio brucia il Reichstag, la sede del parlamento e viene accusato un comunista olandese.
Durante le elezioni Hitler non ha la maggioranza ma i comunisti vengono messi fuorilegge per
l’episodio dell’incendio e viene così limitata l’opposizione.
Questo consente a Hitler di avere la maggioranza assoluta e di poter trasformare la Germania nel
giro di un anno e mezzo.
Hitler considera Mussolini un maestro, ma in questo caso l’allievo supera il maestro.
Comincia la sincronizzazione della vita della Germania sulla volontà di Hitler: vengono sciolti i
partiti e i sindacati e si crea la DPA, un organismo statale che raggruppa datori di lavoro e
dipendenti con il potere decisionale ancora nelle mani dei centri tradizionali.
Si incominciano a costruire anche i primi lager. In Italia si istituisce i confino e il carcere politico,
ma mai campi di concentramento dove internare oppositori, zingari, ebrei, omosessuali e minorati.
Nell’estate del 1934 avvengono due episodi importanti.
Prima di tutto la decapitazione delle squadre S.A. che erano diventate un centro di potere ed erano
politicamente poco accettabili perché mantenevano l’idea anti capitalista. Questo metteva in
imbarazzo Hitler che per giungere al potere si era servito proprio del potere tradizionale e degli
industriali.
Inoltre il gruppo delle S.A. era capeggiato da omosessuali e conteneva all’interno elementi presi dai
bassi fondi. Nel giugno del 1934 durante un festino le SS, guardie personali di Hitler uccidono e
imprigionano gli esponenti delle S.A. e anche altri oppositori interni.
Hitler in questo modo si libera dei concorrenti interni e si ingrazia ulteriormente le forze armate e
gli industriali.
L’altro episodio importante è la morte di Hindenburg nell’agosto. Questo fatto consente a Hitler di
sommare la carica di Presidente a quella di cancelliere. Hitler diventa così Führer, parola che
significa capo di un gruppo.
Il potere si basa quindi sul principio del capo per cui gli ordini partono dall’alto e si ritrovano nello
scontro tra vari centri di potere interni.
La Germania si trova quindi unita sotto un unico capo senza centri di potere alternativi a differenza
dell’Italia dove era presente la Chiesa e la monarchia. Nel 1933 la Chiesa firma un Concordato
anche con la Germania ma ha un senso difensivo, cioè non cerca di cattolicizzare in nazismo; anzi
papa Pio XI con un’enciclica condanna il paganesimo nazista.
Gli ebrei nella società tedesca si trovavano in una condizione di privazione di diritti dalle leggi di
Norimberga del 1935. Con il 1938 e la Notte dei cristalli ci fu un assalto alle sinagoghe, alle case e
ai negozi ebrei con parecchi morti sul pretesto della morte di un diplomatico tedesco ucciso a Parigi.
La soluzione finale non era ancora stata proposta. Ci sono opinioni differenti su come si sia arrivati
all’olocausto. Gli intenzionalisti sostengono che fu una vocazione hitleriana già presente anche
prima della guerra, i funzionalisti sostengono invece che fu un fenomeno non programmato, ma
spiegabile tenendo conto della situazione storica.
La Germania negli anni trenta ebbe una straordinaria capacità di ripresa dopo la crisi del 1929.
Arriva infatti ad una produzione industriale notevole e alla piena occupazione.
Questo miracolo nazista si basa su una economia di guerra. Vengono costruite autostrade con
funzioni militari e strategiche e l’economia tesa alla guerra tende a riarmarsi e quindi a produrre
soprattutto materiale bellico.
I costi della piena occupazione sono dilazionati nel tempo, la Germania li potrà sostenere solo con
risorse future, ampliando il proprio spazio vitale verso est, verso l’Europa orientale e i Balcani.
Questo allargamento fu un progetto anche di Stresemann il quale però prevedeva una contrattazione
diplomatica e un allargamento con mezzi economici.
Il progetto di Hitler invece è militare.
L’ideologia del popolo dei signori prevedeva la conquista dei territori a est per avere risorse per la
produzione a un prezzo più basso.
Il progetto prevedeva un nuovo ordine per l’Europa unita che comprendesse popoli da schiavizzare
(slavi), popoli da eliminare (ebrei, zingari, minorati mentali,..) e popoli alleati (inglesi, francesi).
Nella gerarchia la Germania doveva essere al primo posto in uno spazio eurasiatico.
Bisognava per fare questo predisporre gli strumenti della politica estera revisionando i trattati di
pace.
Nell’ottobre del 1933 si stacca dalle Società delle Nazioni (era entrata nel 1926) e questo provoca
un indebolimento delle società, che avevano già subito uno smacco dai giapponesi che avevano
occupato parte della Manciuria nel 1932 con l’idea di creare uno stato orientale giapponese.
Nel 1935 si fece il plebiscito nella Sahar, regione affidata alle Società e ora ritorna tedesca.
Nel marzo ci fu poi una coscrizione obbligatoria violando il patto che prevedeva che la Germania
avesse un esercito limitato e il 7 marzo la Renania viene occupata militarmente sempre contro il
trattato di pace.
Nel 1936 la Germania poi partecipa alla guerra di Spagna.
Nel settembre del 1938 si firma il patto di Monaco. Hitler aveva fomentato le rivendicazioni dei
Sudeti di un territorio al confine con la Cecoslovacchia. I Sudeti erano trattati democraticamente
all’interno di questo nuovo stato, ma con questa richiesta di unirsi alla Germania si crea una crisi
che porta alla conferenza di Monaco. A questa conferenza partecipano Italia, Germania, Francia e
Inghilterra; rimangono escluse la Cecoslovacchia e l’URSS.
Mussolini viene chiamato per fare da paciere tra le esigenze di Hitler e quelle degli occidentali.
Mussolini si schiera con Hitler e qualche giorno dopo i tedeschi occupano la zona dei sudeti.
L’Inghilterra e la Francia sono soddisfatte perché la loro politica consiste nell’assecondare Hitler per
evitare un conflitto.
Nel 1938 avviene anche l’annessione dell’Austria. I rapporti nazionali all’interno del mondo tedesco
risalgono al secolo precedente quando la Germania vuole unificarsi e tenta di farlo in due direzioni.
Una di queste prevedeva l’annessione dall’Austria avendo però una situazione eterogenea.
La linea che si è davvero verificata è la linea della formazione dello stato “piccolo tedesco”.
Il rapporto contrastato della Germania con l’Austria si ripropone prima dello scoppio della I^ guerra
mondiale quando è l’Austria a chiedere l’annessione e a prevedere una possibile unione.
Contro questa unione si schiera la Francia.
L’Austria è percorsa da problemi politici che nel 1934 culminano in un tentativo di colpo di stato da
parte di nazisti austriaci.
Mussolini mobilita l’esercito al passaggio del Brennero e ritiene inammissibile quest’unione per due
motivi: il primo è un motivo strategico infatti l’Austria fa da barriera tra la Germania e l’Italia e il
secondo perché il cancelliere austriaco ucciso nel colpo di stato apparteneva alla stessa linea di
Mussolini, quella clerico-fascista.
La situazione si placa nel 1938 quando l’Austria viene invasa il 12 marzo da truppe naziste in modo
pacifico e il 10 aprile ci fu un plebiscito nel quale la maggioranza degli austriaci votarono per
l’annessione.
Mussolini non poteva opporsi a Hitler perché i legami tra le due potenze si erano già intensificati
con l’asse Roma-Berlino.
Nel 1938 si realizza qualcosa contro gli interessi sia italiani che francesi. E’ evidente che il
panorama interno dell’Europa è mutato.
L’invasione dell’Austria avviene attraverso il plauso degli austriaci perché tra gli austriaci c’è una
forte componente filo nazista che facilita l’annessione.
Al patto di Monaco le posizioni di Mussolini e Hitler si allineano e il fatto dei Sudeti è giustificato
con l’unione di tutti i tedeschi d’Europa.
La Russia si sente esclusa da un patto stretto tra nazisti e potenze occidentali.
Le potenze occidentali preferirono allearsi a Hitler per evitare una guerra ne questo permette a Hitler
di rafforzarsi.
La Germania in quel momento non era pronta per la guerra. L’esercito infatti non condivideva
l’idea di Hitler perché era legato al vecchio stato prussiano.
Nonostante la vittoria politica i nazisti non erano considerati a certi livelli della società. Non c’era
commistione tra i nazisti e gli alti gradi dell’esercito e le grandi famiglie di industriali.
Ci sono posizioni differenti sulla politica estera Nella visione tecnica e politica si aveva la
sensazione che una guerra in quel momento sarebbe stata disastrosa per la Germania Anche per la
sua posizione geografica. Non a caso Hitler vuole sconfiggere prima un fronte e poi l’altro ma non
ci riuscirà.
Alcuni settori militari vogliono opporsi ma non possono senza un evento esterno.
I francesi e gli inglesi dal punto di vista militare erano rimasti fermi.
Nel 1939 si completa il quadro, Hitler occupa la Boemia, che diventa parte integrante del Reich, e la
Slovenia che diventa un protettorato, senza più la giustificazione dell’etnia.
Mussolini non era stato avvertito di questa manovra e così occupa l’Albania nell’aprile con il
significato di concorrenza diretta alla Germania per il possesso dei Balcani.
Gli stati occidentali cominciano a far intravedere la possibilità di un atteggiamento duro.
Si stabilisce un patto di mutuo soccorso tra Inghilterra e Francia e Russia che viene portato in lungo
perché ci sono punti di vista differenti e la Russia è vista ancora come un pericolo.
Questo è infatti il periodo del rafforzamento russo e il momento delle purghe.
Il 22 agosto 1939 si ha un patto tra il ministro degli esteri russo e quello tedesco, il patto di non
aggressione che prevedeva da parte delle due potenze la promessa di non aggressione e l’invio di
aiuti da parte della Russia.
A questo punto le potenze occidentali si rendono conto che Hitler potrebbe rivolgersi verso ovest.
L’obiettivo successivo di Hitler fu infatti la Polonia, legata alla Francia dalla piccola intesa, ma
soprattutto la città di Danzica e il corridoio neutrale che divide la Prussia dell’ovest da quella
dell’est.
Dopo l’invasione della Polonia è chiaro che Hitler non si sarebbe fermato. A questo punto sono in
gioco elementi di strategia militare e ci si chiede se sia opportuno fare una guerra per Danzica.
Il patto tra Hitler e Stalin aveva clausole segrete che prevedevano annessione di parte della Polonia
e di alcuni stati dei Balcani per la Russia.
I rapporti tra Italia e Germania furono chiariti con il Patto d’acciaio che prevedeva l’aiuto dell’Italia
in caso di guerra. Mussolini chiede però chela guerra sia rimandata di qualche anno e che siano
mandati aiuti militari all’Italia.
Hitler non rispetta i tempi della guerra ma permetta all’Italia una posizione di non belligeranza.
Quello che Hitler non ha fatto è parlare in modo paritario con l’Italia perché in fondo la Germania
pensava di poter fare da sé. Mussolini durante la guerra tenterà lo stesso gioco della guerra parallela
attaccando la Grecia.
Il 1 settembre 1939 Hitler provoca un incidente di frontiera e usa questo pretesto per invadere la
Polonia e con l’uso della forza prende parte del territorio e parte lo lascia alla Russia.
Il 3 settembre le potenze occidentali attaccano la Germania. Per le prime settimane la guerra è
presente solo in Polonia e in un solo campo; sulla frontiera francese no succede niente fino al
maggio del 1940.
LA GRANDE CRISI DEL 1929
Gli anni Venti in America sono detti Venti ruggenti per l’espansione dell’attività produttiva dei beni
di consumo durevoli.
Lo sviluppo rapido e impetuoso dell’economia ha però basi poco solide, come la compressione dei
salari. La produzione aumenta grazie all’aumento della produttività degli operai anche grazie a
teorie come il taylorismo. Cresce la produzione ma i livelli salariali sono bassi. La crisi che nasce
non è ottocentesca, cioè una crisi di produzione, ma è una crisi di consumo.
Il motivo per cui non aumentano i salari è politico, cioè la paura dei Rossi. Per gli americani di
quegli anni tutto ciò che non era cultura americana era comunista. Questo fa sì che forze come i
sindacati del CIO vengano repressi.
Accanto alla situazione degli operai si avvicina anche quella dei neri che sono perseguitati da
pregiudizi anti etnici.
Proposto nel 1917 entra in vigore solo nel 1920 il 18° emendamento che prevede il proibizionismo.
Per legge vengono vietate produzioni, vendite e consumazioni di prodotti alcolici. Questo
emendamento è legato alla presenza soprattutto nelle campagne di associazioni evangeliste.
Questa legge voleva un disciplinamento della società, soprattutto degli strati bassi, secondo norme
non strettamente politiche
Le motivazioni originarie di tale legge sono il boicottaggio delle industrie di birra con nome
tedesco, l’ossessione puritana verso atteggiamenti scandalosi e la solidarietà con i soldati del fronte.
Questa legge incentiva però il contrabbando, la produzione clandestina, il rafforzamento della
criminalità organizzata che diffonde la corruzione anche agli organi di polizia.
Questo emendamento da risultati anche politici: alcuni partiti come quello democratico aveva al suo
interno sia “secchi” che “umidi”, mentre i repubblicani erano tutti proibizionisti.
L’emendamento viene cancellato nel 1932 quando sale al potere Roosevelt.
Mentre l’industria si allarga l’agricoltura va in crisi a causa della concorrenza delle aree europee in
difficoltà.
Questo quadro è dominato da una amministrazione repubblicana dal 1920 al 1932 che è favorevole
a un controllo ferreo delle classi subalterne e a un non controllo dell’attività economica.
I repubblicani si trovano in difficoltà quando nel 1929 nasce la crisi.
Il 24 ottobre e il 29 ottobre si ricordano come ilo lunedì e il giovedì nero. Gli indici della borsa di
Wall Street scendono in picchiata per parecchio tempo.
Nel giro di pochi mesi la crisi è diffusa in tutto il mondo perché l’economia mondiale è integrata.
La Francia è l’ultimo paese a risentire dalla crisi perché ha un sistema economico arretrato, mentre
in area tedesca si fa sentire presto a causa della dipendenza dall’economia americana ancora per i
risarcimenti di guerra.
La crisi è borsistica: negli ultimi anni aumentavano le quotazioni di borsa , la ricchezza provoca la
richiesta di investimento che fa debitare le azioni. Si ha un ribasso delle azioni che fa scattare le
vendite.
All’interno dell’America non ci sono le possibilità di risolvere la situazione.
Il sistema bancario e finanziario non è adatto perché le banche non erano molto grandi ed erano
esposte nei confronti delle aziende e quindi sono in crisi di liquidità.
Inoltre non esisteva una banca centrale.
L’industria entra in crisi perché la crisi economica porta i risparmiatori a non comprare ciò che
l’azienda produce.
Le classi medie potevano permettersi di acquistare, gli operai no tranne quelli che lavoravano alla
Ford che avevano un salario particolare.
A livello internazionale gli USA erano una potenza economica, ma a livello politico no.
Si privilegia ancora la sterlina come moneta di scambio.
Il GOLDEN STANDARD prevedeva l’oro come elemento base di scambi, per cui la produzione di
moneta non poteva essere superiore alle possibilità in oro.
Con il GOLDEN EXCHANGE STANDARD lo scambio avviene invece con la sterlina.
Questo presuppone che la sterlina sia forte.
L’economia inglese non può però sostenere questo valore della sterlina perché è difficile vendere i
prodotti in altri mercati valutati in sterlina. Il prodotto inglese costa troppo.
Questa situazione porta alla svalutazione delle altre monete ed è l’unico modo di rimanere sul
mercato.
Si cerca di proteggere l’economia con protezioni doganali e in questo modo il mondo diventa
frazionato in blocchi plurinazionali.
Chi è favorita è l’Inghilterra che possiede un vasto impero coloniale.
Chi non ha colonie o le conquista o ricerca altri mezzi come l’autarchia, cioè produzione di merci in
un paese non legate da importazione di prodotti finiti.
I sistemi economici ristretti portano una tendenza all’aggressività sui mercati internazionali, anche
in modo militare come avviene tra il Giappone e l’Inghilterra.
L’amministrazione Hoover era liberista tanto da non prevedere un aiuto ai disoccupati in base al
sistema di economia del pareggio del bilancio.
L’America è povera sotto questo punto di vista e c’è un paradosso acuto tra i ricchi industriali e le
classi povere.
Questo assume valore anche politico perché proprio in questo periodo in URSS entrano in vigore i
piani quinquennali e quindi la Russia si trova in una posizione di vantaggio e può mostrare le
pecche del capitalismo.
Nell’estate del 1932 avviene in BONUS ARMI: i soldati smobilitati chiedono al governo chiedono
il pagamento di una somma per il servizio prestato in guerra. Ma vengono dispersi.
Nel 1932 diventa presidente Roosevelt che non presenta un programma innovatore, ma vince grazie
agli errori di Hoover.
Il nuovo presidente inaugura il New Deal, un nuovo modo di intendere l’economia all’interno di una
concezione democratica e capitalista.
All’inizio c’è il caos, perché Roosevelt agisce in modo empirico.
Il New Deal fu un tentativo di incentivare il consumo e quindi la produzione con strumenti diversi.
Il NIRA sostiene l’attività dei sindacati per aumentare i salari e si varano provvedimenti per la
giusta concorrenza che consente accordi per tenere alti i prezzi.
L’A.A.A. mira alla ricostruzione dell’agricoltura e il TVA lavora nel settore pubblico: i lavori
pubblici assorbivano manodopera e modernizzavano zone del paese.
Molti provvedimenti gravano sul bilancio statale ma il presidente non si preoccupa fino al 1937.
Lo stato assume compiti che prima non aveva interviene nel settore economico in modo massiccio.
Aumenta quindi il suo potere federale e la burocrazia sia centrale che negli altri stati.
La Corte Suprema si oppone a questi cambiamenti, vengono cassati provvedimenti come l’Aquila
blu, un bollino messo sui prodotti delle industrie che aderivano al New Deal.
I membri della Corte erano scelti da ogni amministrazione e restavano in carica tutta la vita.
Roosevelt propone di licenziare tutti i membri oltre i 70 anni con 10 anni di servizio.
Da questo momento la Corte suprema si occuperà di più di questioni riguardo i diritti civili.
Il New Deal ricostruisce la situazione americana con lentezza tanto che la stabilità si raggiunge nel
1940 quando c’è aria di guerra.
E’ servito però per dare fiducia in sé agli americani.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Il 3 settembre 1939 Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania dopo che i tedeschi hanno
invaso la Polonia.
I tedeschi sono avanzati dal punto di vista militare: combinano un attacco al suolo con i
bombardamenti. I polacchi rispondono con la cavalleria.
La Polonia viene invasa per metà, l’altra parte spetta ai russi.
Intanto l’URSS muove guerra alla Finlandia perché ha bisogno di avamposti per difendere
Leningrado.
Sul fronte occidentale non succede nulla fino al 10 maggio del 1940 quando truppe tedesche
attraverso il Belgio invadono la Francia. Le armate inglesi e francesi si imbarcano per l’Inghilterra
anche con mezzi di fortuna salvando le truppe.
I tedeschi arrivano a Parigi; il crollo di Parigi determina la formazione del governo di Vichy con a
capo Petain e come primo ministro Lavalle.
Tutto il territorio francese viene occupato dai tedeschi. La parte meridionale e le colonie sono
comprese nel governo di Vichy, la parte settentrionale è amministrata alla parte militare tedesca.
Il 10 maggio viene sostituito il capo del governo inglese Chamberlain con Churchill, un anti
comunista oppositore di Hitler.
Il 18 giugno ci fu un appello del sottosegretario della difesa francese a resistere agli oppressori.
All’interno della Francia ci sono quindi tre stati: il regime di Vichy, il territorio occupato dai
tedeschi e una congregazione di partigiani francesi, senza territorio.
Il territorio occupato dai tedeschi assunse una particolare autonomia grazie alla presenza di
collaborazionisti francesi, che rendono più facili i rapporti con la popolazione occupata.
I governi di collaborazionisti si erano sperimentati anche in Danimarca e Norvegia.
Prima che la Francia sia completamente sconfitta Mussolini, il 10 giugno 1940 dichiara guerra alla
Francia con una mossa che risulta essere sbagliata sia eticamente che militarmente.
In primo luogo la Francia era una nazione sorella per l’Italia e in secondo luogo la guerra sulle
montagne era svantaggiosa per chi attaccava, tanto che l’Italia rimane sconfitta. Questo doveva far
capire che l’esercito italiano non era pronto per una guerra.
Mussolini chiedeva Nizza e la Savoia ma non le ottiene.
A questo punto la Germania credeva di avere il predominio sull’Europa ma l’Inghilterra non era
ancora sconfitta.
A Hitler bastava arrivare a una trattativa, ma l’Inghilterra non accetta. Spostare l’esercito tedesco
oltre la Manica voleva dire garantire la copertura aerea.
Nell’estate del 1940 inizia una guerra aerea tra Germania e Inghilterra che durerà fino al settembre.
Gli inglesi resistono perché possiedono in radar che individuano gli aerei tedeschi e i tedeschi
sbagliano armamento perché sono abituati a combattimenti per terra con coperture aeree.
Questa era una tattica strategica ma non efficace per combattere la contro offensiva.
I tedeschi abbattono per sbaglio un obiettivo civile per sbaglio a Londra e gli inglesi rispondono
bombardando Berlino. I tedeschi bombardano allora obiettivi civili a Londra, obiettivi voluti, invece
che attaccare gli aeroporti, dando agio agli inglesi.
La Germania si accorge di non avere al superiorità aerea e lascia perdere l’assalto agli inglesi.
Questa mossa è sbagliata, l’Inghilterra consentirà l’afflusso di rifornimenti dei soldati americani.
Il 28 ottobre 1940 inizia anche la guerra parallela italiana. Hitler e Mussolini combattevano dalla
stessa parte ma con scopi diversi.
Hitler aveva dato il via alla guerra senza informare Mussolini e aveva invaso la Romania che era
una zona strategica. Mussolini in occasione dell’anniversario della marcia su Roma, invade la
Grecia rischiando di perdere anche l’Albania. Questo provoca il 6 aprile 1941 l’attacco di Hitler alla
Jugoslavia e il bombardamento di Belgrado.
Anche sul fronte africano le cose non vanno bene per l’Italia sia nella cirenaica che nell’Africa
orientale.
Le truppe italiane non reggono l’attacco inglese che proviene dall’Egitto. Il modello di guerra
prevede l’avanzata del vincitore e l’immediata ritirata per lontananza dai rifornimenti.
Nel maggio del 1940 Addis Abeba viene conquistata dagli inglesi.
Fino al 1941 la guerra fu prevalentemente europea.
Con il 1941 avvengono due fatti: l’operazione barbarossa del 22 giugno 1941 che porta l’attacco
tedesco in Russia sfruttando tre direzioni: verso Mosca, verso Leningrado e verso l’Ucraina.
L’avanzata tedesca fu facile e devastante ma si arresta di fronte a Mosca e a Leningrado. Ancora una
volta c’è un successo tattico ma non la sconfitta dell’avversario.
Stalin aveva purgato i quadri superiori dell’Armata rossa, che quindi non può resistere all’offensiva.
Inoltre non aveva creduto ad una spia tedesca che aveva avvertito dell’attacco tedesco.
La linea russa viene stroncata in poche ore.
I russi lasciano le truppe partigiane nel vasto territorio che i tedeschi avevano devastato, ma non
invaso, facendo in modo che sabotassero le retrovie tedesche.
Stalin proclama la resistenza non come guerra comunista, ma come guerra patriottica, riferendosi
alla grande madre russa. In questo modo unisce il popolo russo.
L’operazione barbarossa era stata ritardata perché la Germania era intervenuta in Jugoslavia per
aiutare l’Italia in Grecia. Il ritardo ha degli effetti devastanti dal punto di vista militare perché
prevede l’arrivo delle truppe tedesche in Russia nella stagione delle piogge e del gelo.
I tedeschi creano in Croazia uno stato filo fascista.
Oltre a Creta un altro posto strategico del Mediterraneo era Malta.
Malta era in possesso degli inglesi che impediscono i rifornimenti tra Libia e Italia.
L’attacco alla Russia significa l’apertura di un nuovo fronte di guerra. La Germania pensava di
attuare una guerra lampo, ma non riesce a evitare la sconfitta.
La guerra qui non è più di espansione, ma è una guerra contro i comunisti e contro gli slavi, ritenuti
sotto uomini e importanti solo come forza lavoro.
Questa è quindi una guerra contro i civili. L’attacco alla Russia fa pensare anche all’eliminazione
degli ebrei: i reparti speciali atti all’eliminazione degli ebrei e dei comunisti entrano in Russia e
applicano lo sterminio con mezzi primitivi, con la fucilazione.
Le tecniche tedesche di sterminio diventano tecnologiche: vengono utilizzate camere a gas e forni
crematori.
Hitler non riesce a prendere Stalingrado. Stalin porta le fabbriche sugli Urali così da avere
comunque materiale bellico.
Tra il 1942 e il 1943 le truppe tedesche circondano la città e le forze russe attaccano i tedeschi che
non si ritirano. La sesta armata viene distrutta dall’inverno e dai russi.
L’impeto nazista viene fermato e cambia le sorti delle popolazioni alleate contro i nazisti.
Il 7 dicembre 1941 avviene l’attacco di Pearl Harbour da parte dei giapponesi.
Il Giappone vuole estendere il suo territorio in Cina e nel Sud-est asiatico, disturbando gli interesse
francesi e olandesi.
Gli USA garantivano la stabilità del Pacifico: i giapponesi vogliono evitare un intervento americano
e vogliono un accordo che garantisse al Giappone i due territori. Decidono di rendere inoffensiva la
flotta, ma non riescono perché le portaeree americane non vengono distrutte e queste iniziano la
contro offensiva.
Nel giugno del 1942 gli USA bombardano le portaeree americane a Midway.
Alla fine di ottobre 1942 sul fronte africano avviene la battaglia di El Alamein durante la quale le
truppe italiane vengono sconfitte da quelle inglesi che così possono avanzare.
Dall’autunno del 1942 avviene un momento di svolta per le forze dell’asse fino all’inverno del
1943; è un momento sfavorevole per Italia e Germania.
Nel maggio 1943 l’Italia e la Germania perdono la Libia e la Tunisia. La via per l’invasione della
Sicilia è aperta. Il 10 luglio la Sicilia è invasa: le truppe alleate toccano per la prima volta il suolo di
una delle due potenze nemiche. Cade il regime fascista.
Attaccare l’Italia aveva un valore politico perché si liberava l’area del Mediterraneo e si poteva
puntare sui Balcani, che secondo gli inglesi erano importanti per impedire un’espansione russa.
Questo progetto politico militare non vede d’accordo Stalin che vuole l’apertura di un nuovo fronte
che impegnasse la Germania in Europa centrale, per far finire l’attacco in Russia.
Questo fronte viene aperto in Francia, in Normandia anche se il posto migliore sarebbe stato Calais.
Le truppe anglo - americane arrivano fino a Parigi in agosto e proseguono verso la Germania.
In inverno la contro offensiva tedesca viene fermata, nel marzo le truppe alleate entrano in
Germania e arrivano fino all’Elba, perché dall’altra parte arrivano i russi.
I russi erano scesi verso i Balcani, l’8 ottobre 1944 avevano preso Belgrado, erano arrivati a Vienna
e poi a Berlino dove le truppe tedesche resistono fino alla distruzione sotto ordine di Hitler.
Hitler si suicida il 28 aprile 1944 nel suo bunker e l’8 maggio 1944 finisce la guerra.
Dopo qualche mese avviene il processo di Norimberga.
Sul fronte del Pacifico dopo la battaglia alle Midway, la lotta si fa lunga a sanguinosa. Vengono
colpiti gruppi di isole, distrutte e ridotte le difese delle isole vicine così da poter saltare a altri gruppi
avvicinandosi verso il Giappone.
La resistenza giapponese si fa fanatica soprattutto per la presenza dei Kamikaze.
Il 6 e il 9 agosto 1944 vengono sganciate le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki che
provoca morti e malattie anche a lunghi periodi di distanza.
Ci sono due motivi per cui gli americani scelsero l’arma atomica. Il primo è di carattere militare,
cioè per risparmiare vite americane che si sarebbero perse con uno scontro frontale.
Il secondo motivo è per spaventare Stalin anche nell’ambito dell’alleanza. Gli americani vogliono
far capire ai russi che hanno l’arma segreta.
Si crea un disequilibrio che viene sanato solo negli anni ’50 quando anche i russi si muniscono di
bomba atomica.
L’ITALIA IN GUERRA
Quando l’Italia entra in guerra nel giugno del 1940 contro la Francia e nell’ottobre contro la Grecia,
le sorti sfavorevoli sono già evidenti non solo per la superiorità del nemico, ma per
l’impreparazione dell’esercito italiano nonostante la retorica fascista.
L’impreparazione non è dovuta al valore dei reparti, ma all’equipaggiamento e all’impreparazione
tecnica degli armamenti.
Questo non spiega solo la situazione militare ma anche lo spirito pubblico che non vuole la guerra.
La sconfitta militare agisce sullo spirito guerriero italiano che non fu mai troppo elevato e si
trasforma in risentimento verso il fascismo. C’è infatti un0’atmosfera disfattista di preoccupazione
verso il regime. Le ristrettezze della guerra opprimono soprattutto i civili. Inoltre fin dai primi giorni
cominciano a pervenire notizie dei morti, inizia poi il tesseramento che dimezza le risorse e infine i
bombardamenti su alcune città italiane.
La critica verso il fascismo è sollevata dai vecchi anti fascisti, ma molte perplessità si rilevano
anche tra i giovani che non avevano conosciuto l’epoca prefascista ma si ritrovavano in età per
combattere.
Tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943 iniziano alcune agitazioni sociali, come lo sciopero del
maggio 1943 a Torino.
La monarchia e gli industriali cominciano a pensare ad un modo per uscire dalla guerra.
Un momento drammatico fu la sconfitta definitiva in Africa nel maggio 1943. Questo permette agli
alleati di giungere in Italia: il 10 luglio viene invasa la Sicilia. Questa manovra dà un colpo al
regime.
Il 25 luglio si riunisce il Gran consiglio del fascismo, che non si riuniva dal 1939, e si ha un ordine
del giorno che richiede il ripristino di una situazione di dittatura non personale e quindi di ridare
importanza agli organi statali.
Si trattava di un documento di sfiducia a Mussolini che viene votato e ottiene la maggioranza.
Farinacci aveva proposto un ordine del giorno a favore della continuazione della guerra a fianco
della Germania, ma non viene accettato.
Il 26 luglio Mussolini si presenta al re che lo destituisce. Il re cerca di evitare reazioni fasciste
mobilitando parte delle forze dell’ordine, ma non c’è nessuna reazione.
Il fascismo si era squagliato allontanando anche il timore di una guerra civile.
Mussolini compie alcune mosse sbagliate come porsi a capo della Repubblica sociale: embrione di
stato che permetteva ai tedeschi di invadere l’Italia legittimamente.
Mussolini viene catturato dai carabinieri e portato sul Gran Sasso dove il 12 settembre verrà liberato
dai servizi segreti tedeschi.
Dal 25 luglio iniziano i 45 giorni fino all’8 settembre.
Il 25 luglio cade il fascismo e se la guerra era una guerra fascista allora doveva finire come il
regime. In realtà non era possibile concludere la guerra con un alleato come la Germania, non ci
sarebbe stata la possibilità che i tedeschi fossero consenzienti all’armistizio.
Con il 25 luglio sale al governo Badoglio, esponente della casta militare, che instaura un regime che
non è fascista, ma neanche anti fascista. È un regime conservatore e militare che per i primi giorni
lascia la possibilità di manifestazioni antifasciste e concede libertà ad alcuni prigionieri politici.
Il 26 un proclama del re ribadisce che l’Italia rimane in guerra. E’ una mossa logica e questo i
tedeschi lo capiscono tanto che fanno entrare dal Brennero alcune truppe con la scusa di dover
rinforzare il fronte meridionale, ma le disloca per intervenire nel momento in cui l’Italia proclamerà
l’armistizio.
Nell’agosto iniziano le trattative per l’armistizio. Il generale Castellano viene mandato a Lisbona
per trattare alcune condizioni con gli anglo americani, ma questi in base al trattato di Casablanca
della fine del 1942 chiedono la resa incondizionata.
Castellano firma l’armistizio il 3 settembre vicino a Ragusa e l’unica clausola è quella che l’Italia
uscisse dalla guerra entro il 10 settembre.
I dirigenti italiani non si preparano al momento della proclamazione alla reazione tedesca, perché si
pensa che la proclamazione non avverrà prima del 12.
Infatti l’8 settembre avviene la proclamazione e la circolare che doveva avvisare le truppe arriva in
ritardo e per di più è ambigua: si dice di cessare gli attacchi ma di difendersi da chiunque.
L’8 settembre l’esercito italiano si sfascia completamente.: non esiste più l’esercito italiano e quindi
neanche lo stato. Alcuni soldati tentano di tornare a casa ma vengono catturati dai tedeschi e
internati.
Gli IMI, internati militari italiani, sono considerati traditori e vengono trattati con misure durissime
nei campi di lavoro. L’unica possibilità di salvezza è aderire alla Repubblica sociale ma pochi lo
fanno.
Gli internati invece dagli alleati godono di un trattamento diverso, anche se la prigionia può durare
parecchi anni.
L’unico reparto ancora integro è la marina, che avvertita in tempo si congiunge agli alleati.
Avvengono anche casi di resistenza militare: a porta San Paolo il generale Carbone distribuisce armi
ai popolani e a Cefalonia la divisione Aqui resiste fino alla distruzione.
Sono resistenze eroiche importanti perché si contrappongono allo sfascio morale e organizzativo
dello stato italiano.
Ci sono due interpretazioni dell’8 settembre: per la storiografia resistenziale è la data che segna la
fine del regime fascista e l’inizio di uno stato democratico; per altri fu invece un dramma perché
non è visto solo come lo sfascio del regime ma anche dello stato italiano e degli italiani. Gli italiani
sarebbero quindi incapaci di essere società. Si parla di morte della patria. La conseguenza è quella di
vedere i limiti della resistenza, vista come minoritaria. Inoltre se è un fenomeno che riguarda gli
italiani il nuovo stato non poteva essere nient’altro se non un proseguimento di qualcosa che
attraversava tutta la storia d’Italia. Questo da adito a una revisione politica.
Il 9 settembre la famiglia reale fugge da Roma, arriva a Pescara e da qui a Brindisi dove insieme a
Badoglio costituisce il Regno del sud, un’entità statale con a capo la monarchia e al governo lo
stesso Badoglio. Questo stato aveva un ambito territoriale limitato.
L’altra parte liberata veniva sottoposta a un controllo alleato soprattutto economico, tanto che viene
introdotta un moneta alleata che coniata in grandi quantità porta l’inflazione.
Intanto il 12 settembre i tedeschi liberano Mussolini che viene portato a Monaco dove si erano già
rifugiati Farinacci e il figlio del Duce.
Mussolini dà vita alla Repubblica sociale italiana che ha sede a Salò.
In pochi giorni in Italia sono presenti due stati: per la popolazione questo significa scegliere da che
parte stare perché entrambe le parti richiedono obbedienza e legittimità.
LA RESISTENZA
La resistenza è un fenomeno militare e politico che si sviluppa in un determinato contesto. Il
termine si riferisce a movimenti di opposizione attiva o passiva sviluppatasi in Europa durante la
seconda guerra mondiale contro gli oppressori tedeschi e italiani.
La resistenza attiva è quella armata, mentre quella passiva è quella di chi non passa informazioni e
aiuti.
La resistenza è presente in tutta Europa contro tutti gli occupanti, anche gli italiani: per esempio in
Jugoslavia contro gli italiani combatte una truppa di resistenti.
Alcuni soldati italiani imparano a fare la guerriglia proprio dai partigiani jugoslavi.
Per parlare della resistenza italiana si può prendere come riferimento la data dell’8 settembre oppure
risalire più indietro.
Il rapporto con gli alleati condizionerà molto lo sviluppo della resistenza.
A partire dalla fine del 1943 il fronte del Mediterraneo diventa secondario e questo porta a due
diverse linee da parte Delfi alleati. Da una parte Roosevelt vuole attaccare direttamente la Germania
passando per la Francia, mentre gli inglesi sarebbero favorevoli a un intervento più forte nei Balcani
per fermare l’espansionismo russo.
Il fronte di liberazione italiano avanza lentamente : il 9 settembre avviene lo sbarco alleato a
Salerno, ma la linea di avanzamento sale a fatica fino alla linea tracciata dai tedeschi che unisce le
foci del Garigliano fino all’Adriatico passando per Cassino.
Questa viene distrutta solo nel maggio del 1944 e questa vittoria porta alla liberazione di Roma il 4
giugno 1944. Per qualche settimana l’avanzata diventa più veloce a settembre viene liberata Firenze
e nell’ottobre Rimini.
Ma qui gli alleati si fermano sulla linea gotica che unisce Rimini a La Spezia.
Gli alleati si fermano perché la stagione non è propizia e c’è scarsità di truppe.
Nell’aprile del 1945 inizia l’offensiva finale e inizia la resistenza attiva che porta al 25 aprile.
L’avanzamento lento degli alleati porta la possibilità di mantenere la Repubblica sociale italiana nel
nord. La parte sud viene liberata quasi subito, quella centrale conosce alcuni movimento di
resistenza, ma è la parte nord ha sentire il peso maggiore dell’occupazione fascista.
Alcuni movimenti di resistenza ci sono anche al sud come le 4 giornate di Napoli nel settembre
1943 e la guerriglia in centro Italia.
Dove si muove di più la resistenza anche la parte civile viene influenzata in funzione antifascista.
Per quanto riguarda il rapporto tra resistenza e alleati è necessario dividere gli stessi alleati perché
alcune posizioni sono differenti anche all’interno degli stessi stati.
Si può dire che fu un rapporto di cooperazione competitiva o una competizione cooperativa perché
gli obiettivi politici e militari non erano sempre gli stessi. Cooperano quindi cercando di ricavare i
maggiori vantaggi.
I rapporto non è comunque no paritario: gli alleati erano più forti dei partigiani.
Il settore meridionale era di interesse inglese per interessi legati al commercio che erano stati prima
orientali e poi rivolti al canale di Suez.
Lo scopo degli inglesi era di vincere la guerra senza arrivare a nessun compromesso con la
Germania contro l’URSS. In Italia l’obiettivo era di provocare un ridimensionamento
dell’importanza dell’Italia nel Mediterraneo. Ma questo lo aveva fatto già la guerra prostrando
l’Italia e lasciandola senza colonie. Gli obiettivi di guerra degli inglesi erano gli stessi della prima
guerra mondiale.
Inoltre chiedevano che l’Italia dopo la guerra restaurasse il regime monarchico di tipo conservatore
e filoinglese.
È proprio su questo ultimo punto che parte dei partigiani sono in contraddizione: molti non
vogliono un governo conservatore, molti non vogliono un governo monarchico e filoinglese.
Il ruolo dei partigiani è limitato al sabotaggio, all’informazione sullo spostamento di truppe; mentre
dal punto di vista militare è condizionato dagli inglesi e dagli americani e non assume valore
politico.
Il valore politico della resistenza andava secondo gli inglesi tenuto sotto controllo perché erano
presenti comunisti e socialisti insieme ai liberali di Giustizia e libertà.
Esigenza del controllo politico è significativo nell’inverno 1944-45 quando in Grecia alcuni
partigiani comunisti si scontrano con i monarchici, aiutati dagli inglesi, e lo scontro culmina con
una repressione durissima anticomunista.
La politica degli inglesi è quella del riconoscimento della resistenza e del Regno del Sud, ma il
ruolo dell’Italia è quello di cobelligerante senza entrare a far parte dell’alleanza.
L’Italia viene vista come il paese che aveva dato luogo a una dittatura e alla guerra.
La cooperazione significa scambio di risorse sia materiali che non.
Gli alleati passano ai partigiani armi e viveri soprattutto in inverno. Gli alleati fecero un uso politico
degli aiuti favorendo principalmente le formazioni più vicine alla loro posizione. Questo porta
anche a scontri interni ai partigiani, anche scontri a fuoco.
In cambio di questo aiuto i partigiani facevano attività di guerriglia con lo scopo di tenere occupate
le truppe tedesche nelle retrovie.
Per quanto riguarda gli aiuti immateriali si chiedeva lealtà politica. Quello che volevano i partigiani
era un riconoscimento ufficiale della forza militare del CLNAI.
Gli oppositori al fascismo durante la guerra si erano riuniti nel CLN, comitato di liberazione
nazionale, che riuniva sei gruppi antifascisti con diramazioni locali.
Nell’Italia settentrionale era presente il CLN Alta Italia che chiedeva un riconoscimento politico.
I partigiani avevano paura che gli inglesi non gli aiutassero, per gli alleati la paura era quella di un
movimento partigiano che posse estendersi da un punto di vista politico – militare.
Nell’inverno 1944 l’offensiva alleata nel centro – nord si ferma per il Proclama di Alexander
interpretato dai partigiani come un segnale di abbandono.
In realtà il proclama fu frainteso per questioni di lingua, ma chiedeva di mantenere posizioni
difensive.
Nel dicembre 1944 c’è una missione a Roma di esponenti del CLNAI, tra i quali Pavetta
(comunista), Parri (partito d’Azione) e Sogno (liberale).
Il 7 dicembre 1944 si scrivono i Protocolli di Roma. Gli alleati hanno come vantaggio di
disinnescare il potere offensivo dei partigiani, ne controllano così la forza militare disarmandoli alla
fine della guerra. Pensano che il comitato di liberazione non rimanga dopo la guerra come
movimento politico.
Si garantisce quindi che i partigiani dopo la guerra non facciano una rivoluzione.
I partigiani hanno certezza nei rifornimenti e nel riconoscimento del CLNAI come rappresentante
del governo di Roma.
Molti ritennero che questi protocolli fossero un tradimento, ma chi aveva chiaro la situazione si
rendeva conto che era l’unica cosa possibile.
La resistenza non poteva sopravvivere al di fuori di questa alleanza.
I rapporti della resistenza con la Repubblica sociale era solo di opposizione anche se si era pensato
ad una riconciliazione nazionale.
Per quanto riguarda il Regno del sud, intorno alla monarchia c’erano posizioni differenti.
Le posizioni dei partigiani sia combattenti che non è una posizione critica verso la monarchia perché
essa aveva dato l’appoggio all’ascesa del fascismo e all’entrata in guerra.
Si apre quindi la questione istituzionale: si vuole la repubblica.
Questa posizione era accettata dalla maggioranza ma era politicamente difficile da sostenere perché
c’era ancora un sovrano legittimo ed era l’unica forma di governo presente oltre alla Repubblica di
Salò.
Nel giro di qualche mese, nel febbraio 1944 poi il governo del sud si era spostato a Salerno
prendendo competenze e territori che rafforzano la monarchia.
Il dibattito che si apre è ampio: i liberali come Croce era favorevole all’abdicazione del re, De
Nicola propende per eleggere un luogotenente del re.
A Bari a gennaio del 1944 si tiene un congresso del CLN dove salgono le voci più critiche verso il
re, ma visto che sono presenti molte forze politiche ci sono diverse idee che convergono tutte
nell’idea di rinviare la questione istituzionale dopo la guerra con un plebiscito.
La posizione di Croce era realista: teneva conto della posizione di un sovrano che si era
compromesso e che avrebbe dovuto abdicare per sollevare le sorti della monarchia.
Per cui lo scopo dell’abdicazione per i conservatori e quello di mantenere la monarchia.
Dal congresso invece esce l’idea di abbattere la monarchia e la scelta successiva doveva essere
referendaria.
Il 30-31 marzo 1944 si arriva ad una svolta, la Svolta di Salerno, quando giunge in Italia, dopo anni
di esilio a Mosca, Togliatti.
La sua presenza riesce a mettere d’accordo i comunisti del nord, delle zone ancora occupate, e quelli
del sud, zone ormai libere.
Togliatti infatti chiede unità delle forze antifasciste per combattere contro fascisti e nazisti.
La questione istituzionale viene rimandata nel dopoguerra ma questa volta con la soluzione
dell’Assemblea costituente.
Il ritorno di Togliatti è uno dei grandi punti storici perché porta una svolta nella linea politica del
partito comunista che avrà forte manifestazione dopo la guerra.
Diventa un partito di massa all’interno delle istituzioni e mantiene una certa ambiguità eliminando
però a parte rivoluzionaria.
Il 12 aprile nasce un nuovo governo Badoglio, ma i ministri sono esponenti politici della linea
antifascista. È la prima svolta in senso democratico.
Il 4 giugno avviene la liberazione di Roma che costa molte vite, tra le quali Buozzi, i morti delle
fosse ardeatine,….
A questo punto Badoglio lascia il governo a Bonomi, un socialista riformista e la luogotenenza regia
passa a Umberto. Inoltre viene declamato un proclama che assicura l’Assemblea costituente dopo la
guerra. A questo punto inizia una lotta per prendere le posizioni migliori durante la lotta tra
monarchia e repubblica.
Alla fine di ottobre in un’intervista al New York Time Umberto dichiara che la questione
istituzionale sarà risolta con un referendum.
Proporre un referendum è diverso da proporre una Assemblea Costituente. Nel secondo caso la
scelta della forma istituzionale è nelle mani dei rappresentanti del popolo, mentre nella prima è nelle
mani del popolo stesso.
All’Assemblea costituente avrebbero partecipato quegli esponenti attivi contro il fascismo, per cui
per la maggioranza repubblicani.
Il popolo invece era ancora filomonarchico, soprattutto in quelle aree meno sviluppate e meno
toccate dalla resistenza.
Ci fu un altro scontro, quello per l’epurazione dei fascisti.
Togliatti, allora ministro guardasigilli, propose un atto realistico: l’amnistia.
Coloro che erano più radicali avrebbero voluto cambiare profondamente la natura dello stato,
mentre altre volevano mantenere intatte le strutture dello stato precedente, anche se significava
impedire lo sviluppo dello stato italiano.
In alcuni casi c’è troppo radicalismo, ma alcuni rappresentanti del personale era infido e avrebbe
mantenuto uno stato conservatore.
Queste tensioni portano alla crisi del governo Bomoni, ma che poi si ricompone dando vita a un
secondo governo Bonomi, dove non sono più presenti i socialisti e il Partito d’azione che non
vogliono dare una copertura politica alle strutture conservatrici.
Il partito comunista invece rimane per non venire isolato e represso da un governo sempre più
conservatore.
Per quanto riguarda la resistenza essa somma in sé tre forme di guerriglia: una patriottica per la
liberazione nazionale dal tedesco, quella antifascista che aveva come scopo il ripristino di una vita
politica democratica e una guerriglia sociale con la volontà di cambiare i rapporti di forza attraverso
una rivoluzione della società.
Gli obiettivi erano diversi e non sempre sovrapponibili.
Per esempio le formazioni azzurre si oppongono alle trasformazioni sociali, ma lo stesso Togliatti
aveva messo la sordina alla rivoluzione.
L’idea di rivoluzioni è legata a gruppi comunisti minoritari, come Bandiera Rossa che non facevano
parte del partito.
Il problema si accentua dopo la guerra perché i primi due obiettivi sono stati raggiunti e rimane solo
la rivoluzione sociale, soprattutto in Emilia, dove nell’estate del 1945 ci sono forme di repressione
contro esponenti fascisti che avevano mostrato avversione verso la rivoluzione.
Si continua la lotta di classe attraverso l’uccisione di sacerdoti, proprietari terrieri……….
Quello che succede va collegato all’azione fascista del 1920. La violenza agraria fascista non era
stata dimenticata.
Togliatti non vuole questa violenza e questo vale anche quando verrà ferito nel 1948 e darà ordine
di non attuare rivolte.
La resistenza ha visto più soggetti in gioco. Prima di tutto ci fu una resistenza armata e una non
armata.
La resistenza armata ebbe tre forme: una sulle montagne, una nelle campagne e una caratterizzata
dalla presenta di truppe cobelligeranti con gli alleati. (truppe di Como a Montelungo). Gli americani
diffidavano dell’Italia perché credevano che con la pace avrebbero fatto delle richieste.
I partigiani erano divisi in :
Brigate monarchiche, in Piemonte
Brigate Garibaldi che erano reparti comunisti, ma che avevano all’interno anche gente apolitica
Giustizia e libertà, che facevano riferimento al Partito di Azione prodotto nel 1942 da intellettuali
intorno ai fratelli Rosselli.
Formazioni Matteotti, composte da socialisti
Fiamme verdi, composte da cattolici e presenti soprattutto nella zona del bresciano.
All’interno delle brigate era presente un comandante militare e un commissario politico che istruiva
sugli scopi della guerra.
I mesi di attività partigiana vanno dal settembre 1943 all’aprile 1945 e le necessità primarie erano
quelle di trovare un alloggio e trovare cibo soprattutto in inverno. Queste necessità creavano dei
rapporti con i contadini che erano sia rapporti di tacita collaborazione sia di resistenza perché i
partigiani requisivano loro il cibo.
In casi di furto però le varie formazioni erano rigide, le punizioni erano severe sia per i nemici che
per sia per chi trasgrediva all’interno della formazione.
Infatti dove circolavano molte armi anche in forma privata era possibile che si formassero gruppi di
banditi che facevano una guerra privata.
Durante i mesi di attività si vede un aumentare e diminuire di numero delle formazioni:
- inverno 1943-44 c’erano 9000 partigiani in armi
- estate 1944 i partigiani erano 80000 – 100000
- inverno 1944-45 erano 50000
- primavera 1945 erano 200000
Questo dipendeva si dal fatto che in inverno era più difficile sopravvivere in montagna, ma
l’aumento è dovuto anche dalla chiamata alle armi della Repubblica sociale. I ragazzi avevano due
possibilità o diventare repubblichini o diventare partigiani.
Ci sono però altri elementi: l’avanzata degli alleati riduce il territorio partigiano, inoltre si formano
anche alcune repubbliche partigiane come in Val d’Ossola, che sono organizzazioni civili affidate al
CNL che hanno una durata relativa concessa dai tedeschi. Hanno però un valore politico.
La resistenza si sviluppa prevalentemente in montagna e in campagna, ma esiste anche una
resistenza urbana: il GAP. La funzione è di sabotaggio e di uccisione di personaggi tedeschi o
italiani della Repubblica di Salò, come avviene nell’aprile del 1944 con Gentile.
Vivere in città da partigiano comportava meno problemi per la sopravvivenza, ma non c’era
sicurezza. Inoltre l’attività partigiana si svolgeva in modo più vicino al terrorismo.
Esisteva poi la resistenza non armata che investiva parte del mondo cattolico e della Chiesa. I preti
costituivano un punto di riferimento come guida della comunità dove non esisteva un’autorità
legittimata.
Agli alti livelli c’era meno esposizione e si evitava di prendere una posizione definita. C’è poi tutta
la polemica su Pio XII che non ha neanche una parola sullo sterminio degli ebrei. I collaboratori
rispondono che denunciare i crimini tedeschi significava esporre la Chiesa mettendo a repentaglio i
cattolici e gli ebrei che avevano trovato rifugio in Vaticano.
Il ruolo della Chiesa durante al guerra fu di compensazione delle violenze in quanto dava un luogo
di rifugio a ebrei e antifascisti, In realtà al termine della guerra fece lo stesso con i fascisti i nazisti.
I cattolici a nord prendono posizioni antifasciste maturate di fronte alla guerra: partecipano quindi
alla resistenza sia attiva che passiva e costituiscono quell’area in cui i partigiani trovano rifugio.
Il mondo operaio indice alcuni scioperi (marzo 1943, marzo 1944) nati come rivendicazioni di
condizioni di vita migliori ma si trasformano presto in rivendicazioni politiche.
Ci sono poi gli internati militari che fanno una resistenza cosciente anche se non armata.
Ci sono però anche forme di passività che coinvolgono parte della popolazione che aspettava che la
guerra finisse con i danni minori.
Far finta che non succeda nulla per mantenere i propri agi non è moralmente accettabile.
La neutralità vigliacca si schiera poi con i vincitori per dare voti, una volta ristabilita la democrazia,
a chi interpreti meglio l’idea di moderazione.
Questo delude i partigiani che credevano di cambiare radicalmente la società italiana ma questo
avviene solo nei pochi mesi in cui Parri diventa Presidente del consiglio. Dopo di che si ritorna a
una condizione politica stagnante, dove sono presenti ancora strutture politiche, burocrazia e
personale che c’erano nel periodo fascista.
Sul confine orientale esiste una situazione particolare. C’era un’area della Jugoslavia che era stata
occupata dagli italiani; nascono così questioni etniche e politiche e tensioni politiche e nazionali tra
le formazioni partigiane italiane e jugoslave che portano a sconfinamenti.
In Italia la presenza di bande partigiane comuniste viene identificato come presenza di anti italiani e
filojuogoslavi.
Tutto questo va inquadrato pensando a ciò che succede nel 1918 con la propensione italiana a
annettere terre slave.
Le tensioni tra i due paesi proseguono fino lla definizione dei confini che porterà alla divisione del
territorio tra Italia Jugoslavia in modo che l’Istria rimanga slava. Ma in Istria la maggior parte della
popolazione era italiana e quindi si verificano onde di profughi verso Trieste.
Questi profughi hanno la caratteristica di essere nazionalisti e favorire chi vuole l’italianità
dell’Istria.
Intanto chi veniva considerato fascista o anche solo italiano veniva ucciso e il cadavere nascosto nel
Carso.
Dopo il 1948 quando la Jugoslavia rompe i rapporti con Stalin questi episodi vengono dimenticati.
Non si può però parlare di pulizia etnica perché questa è stata subita per esempio dagli 8 milioni di
tedeschi fatti fuggire dall’est verso l’ovest dall’Armata rossa.
La seconda guerra mondiale finisce con 30 milioni di morti tra i quali 18 milioni di russi, 6 milioni
di polacchi, 1 milione e mezzo di jugoslavi, 620 mila francesi, 280 mila inglesi, 300 mila italiani, 1
milione e mezzo di tedeschi e 290 mila americani.
Il paese che ha subito più morti è la Russia e questo spiega il prestigio con cui è uscita dalla guerra.
La maggior parte di russi e polacchi morti furono civili. In Polonia anche a causa dell’insurrezione
di Varsavia dell’agosto del 1944, che non viene aiutata dai russi che pensavano di sottomettere la
Polonia. E a causa dell’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1943.
Pere che siano stati i russi ad uccidere gli ufficiali dell’esercito polacco per sopprimere la classe
dirigente che poteva opporsi all’annessione della Polonia da parte dei russi.
Nel 1945 la zona occupata dai russi viene affidata ai polacchi perché i russi vogliono i territori
orientali della Polonia, ma alla Russia vengono proposti i territori tedeschi.
Quando i tedeschi chiedono la rettifica dei confini la zona polacca rimane russa.