L’euro alla ricerca della sua identità. Economic Briefing n. 21 Un bilancio intermedio in occasione del secondo anniversario della moneta unica europea. Timing infelice o debolezze strutturali? Quant’è lunga l’ombra degli Stati Uniti? Economic Research Politica: il tallone d’Achille di Eurolandia. Sommario 1. Eurolandia sul banco di prova Politica: il tallone d’Achille dell’Uem? 4 Politica dei cambi Usa: il dollaro forte asseconda gli interessi degli americani 4 Politica monetaria: la problematica «one size fits all» 4 Attrattiva della piazza: Stati Uniti davanti a tutti 5 Flussi di capitale: tutto converge verso gli Stati Uniti 6 2. Indicatori per l’euro Responsabile della collana Economic Briefing Cesare Ravara, telefono +41 1 333 59 12 [email protected] Autori Cédric Spahr, telefono +41 1 333 96 48 [email protected] Hans-Peter Wäfler, telefono +41 1 333 28 08 [email protected] Impaginazione e grafici Carmen Sopi, telefono +41 1 333 66 49 [email protected] Stampa Fröhlich Druck AG, Dachslerenstrasse 3, CH-8702 Zollikon Chiusura redazionale 12 dicembre 2000 Periodicità 6 pubblicazioni ca. all’anno a seconda dell’attualità delle tematiche. Abbonamenti e ordinazioni Direttamente presso il vostro consulente o in ogni sede del CREDIT SUISSE. Ordinazioni interne via HOST indicando il n. di mat. 1511493 (HOST: MW01). Abbonamenti con Publicode EBI (HOST: WR10). Singole copie tramite EBIC, fax +41 1 333 37 44 o e-mail a: [email protected]. Visitate il nostro sito Internet www.credit-suisse.ch Riproduzione autorizzata con indicazione della fonte. 7 Politica dell’Ue: si parte da Nizza 7 Politica economica: urge un chiaro indirizzo riformatore 7 Espansione dell’Uem: tra desideri e realtà 8 3. Prospettive Editore CREDIT SUISSE Economic Research, casella postale 100, CH-8070 Zurigo 4 9 L’euro alla ricerca della sua identità All’inizio del 1999 l’introduzione della moneta unica europea venne accompagnata da obiettivi ambiziosi. Allora si sosteneva che l’euro sarebbe diventato altrettanto forte del marco tedesco. Nel frattempo, questa previsione si è rivelata utopica, visto che nei confronti del dollaro l’euro ha ceduto progressivamente più di un quarto del suo valore. L’attrattiva della piazza statunitense – contraddistinta soprattutto da una vigorosa crescita della produttività e dall’ampia credibilità di cui gode la banca centrale – ha calamitato un copioso flusso di capitali nell’area del dollaro. L’euro non è stato in grado di contendere al dollaro la supremazia di moneta internazionale e l’allineamento congiunturale fra Eurolandia e Stati Uniti si è fatto attendere a lungo. Dopo due anni di Unione monetaria europea ci si chiede se le iniziali difficoltà della moneta unica europea vadano imputate a cause strutturali o se non siano piuttosto il risultato di un timing infelice. CREDIT SUISSE Economic Research Economic Briefing n. 21 3 1. Eurolandia sul banco di prova 1.1. Politica: il tallone d’Achille dell’Uem? Un’insufficiente stabilità politica nella zona dell’euro viene spesso addotta come motivo della diffidenza nutrita dagli investitori esteri nei riguardi della moneta unica europea. Non si può certo affermare che il firmamento europeo subito dopo il decollo dell’Unione economica e monetaria (Uem) non sia stato costellato da passi falsi e crisi politiche. Nel 1999 il Governo tedesco guidato dal Cancelliere Schröder visse una crisi di credibilità, che attraverso la politica economica dell’allora ministro delle finanze Lafontaine gettò lo scompiglio sui mercati finanziari europei. Peraltro anche la Francia riuscì a catturare l’attenzione dei media. La riforma fiscale dell’attuale Governo esprime più l’orientamento della politica francese alle elezioni presidenziali del 2002 che un’autentica volontà riformatrice. L’Italia è riuscita ad aderire all’Uem in extremis grazie ai massicci sforzi di contenimento del bilancio; da allora la spinta riformatrice si è tuttavia paralizzata. Il rifiuto dell’euro espresso dalla Danimarca ha reso un altro cattivo servizio politico alla moneta unica. La decisione ha avuto la valenza di un segnale e solleva l’interrogativo del consenso per l’euro nella popolazione. Il solo Paese dell’Ue il cui popolo poteva votare sulla partecipazione all’Uem ha mostrato indifferenza per la moneta unica europea. Un altro quesito a cui dare risposta è sapere se l’unificazione di così tanti Paesi non faccia dell’euro una moneta più facilmente soggetta a crisi politiche. A prima vista i rischi che si annidano in un investimento diversificato in euro non sono maggiori di quelli di un portafoglio misto composto dalle monete storiche dei Paesi membri di Eurolandia. Una crisi in un Paese dell’Uem, come dimostrato dai blocchi stradali eretti in Francia per protesta contro il rialzo del prezzo del greggio, potrebbe però spingere gli investitori ad alienare «in blocco» gli averi in euro e, per mancanza di monete alternative in Europa, volgere le spalle all’intera area dell’euro. Unione monetaria europea significa pure che la crisi di un Paese importante acutizzerebbe il pericolo di contagio per la moneta comune e potrebbe innescare un effetto «valanga». 1.2. Politica dei cambi Usa: il dollaro forte asseconda gli interessi degli americani Gli aumenti di produttività dell’industria statunitense hanno creato premesse propizie per la tendenza al rialzo 4 Economic Briefing n. 21 del biglietto verde e hanno inoltre consentito di accettare un dollaro ponderato su base commerciale più alto senza esporsi a rischi particolari per la capacità concorrenziale della propria industria d’esportazione. Le autorità statunitensi hanno inoltre promosso in modo sistematico e mirato la rivalutazione della moneta interna. Dall’insediamento del ministro delle finanze Robert Rubin, avvenuta all’inizio del 1995, l’amministrazione Usa ha costantemente perseguito una politica del «dollaro forte», rinunciando a usare il corso di cambio come arma contro i partner commerciali ritrosi. Non è un caso che proprio un ex banchiere di Wall Street abbia vigorosamente sorretto questo indirizzo. La politica dell’amministrazione statunitense di promuovere in modo mirato una rivalutazione del dollaro ha contribuito, accanto a fattori di economia reale, a garantire un costante afflusso di capitali esteri per il finanziamento del disavanzo della bilancia delle partite correnti; e ciò non da ultimo nell’aspettativa che gli investitori internazionali ottengano una parte del rendimento maturato sui titoli in dollari sotto forma di guadagni sul cambio. Di più, un dollaro forte imbriglierebbe i prezzi all’importazione, mentre il conseguente afflusso di beni esteri contribuirebbe a sua volta a mitigare le spinte inflazionistiche. Questo punto è stato sottolineato più volte dal Governatore della Banca centrale Alan Greenspan. Tanto fra i democratici quanto fra i repubblicani prevale l’avviso che un allontanamento dalla politica perseguita finora comprometterebbe la prosperità degli Stati Uniti. 1.3. Politica monetaria: la problematica «one size fits all» Il compito precipuo della Banca centrale europea (Bce) è garantire la stabilità dei prezzi, intendendo con ciò un tasso d’inflazione inferiore al 2%. L’eterogeneità delle strutture economiche nell’area dell’euro ostacola in misura sostanziale l’assolvimento di questo compito. Ai Paesi in rapida espansione come l’Irlanda o la Spagna, che evidenziano tendenze al surriscaldamento e tassi d’inflazione in ascesa, occorrerebbe pertanto una politica monetaria molto più rigida. L’aumento delle imposte rispettivamente il contenimento della spesa pubblica sarebbero un’alternativa ipotizzabile a una politica monetaria autonoma, ma poco realistica per motivi di carattere politico. In fasi di spiccato ristagno della crescita l’istituto d’emissione potrebbe altresì subire le pressioni di alcuni importanti Paesi, esercitate al fine di ottenere maggiori CREDIT SUISSE Economic Research riguardi per le loro economie. A giusto titolo è stato sollevato l’interrogativo sulla definizione della politica monetaria della Bce, e in particolare sulla maggiore attenzione per le esigenze dei Paesi principali rispetto alle economie minori. Secondo previsioni dell’Ue, il tasso di rincaro nella zona euro dovrebbe spingersi oltre la soglia obiettivo del 2% non solo nel 2000, ma anche nel 2001. In questa evoluzione si riflette non da ultimo il rialzo del prezzo del petrolio. A lungo termine l’effetto prodotto dal prezzo del greggio non potrà più essere addotto a giustificazione di un superamento del tasso d’inflazione. I problemi di comunicazione che hanno afflitto più volte la Banca centrale europea nel corso della sua giovane storia si sono rivelati un aggravio aggiuntivo. I mercati delle divise hanno interpretato come pura nonchalance la spensieratezza che ha a lungo caratterizzato l’atteggiamento della Bce nei confronti dell’andamento del valore esterno dell’euro. Da allora pareri contrastanti espressi da rappresentanti delle banche centrali e da personalità politiche dell’Ue si sono susseguiti con frequenza, nuocendo alla credibilità della moneta unica europea. Lo scetticismo nutrito da numerosi investitori nei confronti della praticabilità di una politica monetaria unitaria in un’area economica ancora eterogenea ha trovato espressione in un premio di rischio più elevato in sede di valutazione di titoli stilati in euro. Dall’inizio del 1999 – in sincronia con l’inizio dell’Unione monetaria – il cambio USD/EUR non reagisce più ai movimenti del differenziale d’interessi reale a dieci anni fra Germania e Stati Figura 1: cambi e differenziale reale d’interessi* * Differenziale dei tassi swap decennali fra l’Ue degli Undici e gli Stati Uniti Fonte: Datastream, CREDIT SUISSE Economic Research CREDIT SUISSE Economic Research Uniti (vedi figura 1). A seguito della relazione storica, l’euro dovrebbe presentare una quotazione superiore. Una spiegazione ottimistica conforterebbe la tesi che prima o poi gli operatori di mercato reagiranno a questa valutazione errata, con l’effetto di alimentare verosimilmente una rivalutazione dell’euro. Una spiegazione più obiettiva sosterrebbe che il crescente effetto forbice fra corso di cambio e differenziale d’interessi sta a indicare un premio di rischio per prestiti in euro a lungo termine, ciò che andrebbe valutato come espressione dello scetticismo del mercato verso il potenziale di affermazione sul lungo periodo della moneta unica europea. 1.4. Attrattiva della piazza: Stati Uniti davanti a tutti La capacità dell’economia statunitense di calamitare capitali e personale specializzato esteri è una caratteristica essenziale della ripresa economica dal 1995. Nell’era del «capitalismo globalizzato» il capitale confluisce nei Paesi che offrono le migliori prospettive di rendimento. Il disavanzo accusato dalla bilancia delle partite correnti perde di importanza, fintantoché si riesce ad attirare capitali esteri con la promessa di condizioni quadro invitanti. Negli anni Novanta, il cambio USD/EUR presentava una correlazione positiva con il disavanzo della bilancia delle partite correnti statunitense. Negli ultimi anni le condizioni quadro dei fondamentali nell’area dell’euro si sono dimostrate, quasi senza eccezione, peggiori di quelle vigenti negli Stati Uniti. La deregolamentazione dei mercati del lavoro e delle merci è insufficiente e l’alto costo della manodopera in alcuni Paesi è spesso un esplicito invito a trasferire la produzione all’estero. Sistemi educativi e formativi obsoleti frenano la dinamica innovativa, e in numerosi settori chiave come l’informatica o la biotecnologia l’Europa accusa un certo ritardo. Esperimenti come l’introduzione della settimana lavorativa di 35 ore in Francia testimoniano inoltre una limitata comprensione dei meccanismi dell’economia. Infine, dalla fine del 1998 i governi dell’Ue, in maggioranza d’indirizzo socialdemocratico, hanno manifestato una scarsa disponibilità a varare riforme, il che ha inasprito l’atteggiamento improntato alla prudenza adottato dagli investitori nei confronti dell’euro. L’onere fiscale e l’elevata regolamentazione sono altri ostacoli che frenano il potenziale di crescita di Eurolandia. In molti Paesi dell’Ue lo Stato rivendica circa la metà del valore aggiunto nazionale. In una simile «economia di Economic Briefing n. 21 5 Figura 2: gli investimenti diretti netti in Eurolandia evidenziano la scarsa attrattiva della piazza Fonte: Banca centrale europea mercato» la voglia di spendere delle economie domestiche rimane perlopiù moderata, le imprese investono in ampia misura all’estero e vi trasferiscono posti di lavoro. Uno sguardo allo sviluppo dei flussi netti d’investimenti diretti verso Eurolandia dal 1997 (vedi figura 2) comprova la scarsa attrattiva dell’area dell’euro come piazza d’investimento. Pur se l’espansione negli Stati Uniti di imprese europee è da valutare come una prova di dinamismo, questa crescita ha avuto pesanti ricadute sul cambio. A dispetto delle smodate esagerazioni dei reaganomics negli anni Ottanta (sgravi fiscali aggressivi senza riduzione delle uscite statali), l’esempio degli Usa dimostra che un aggravio fiscale moderato accresce il potenziale di crescita di una macroeconomia. Rispetto agli Stati Uniti, Eurolandia è ancora penalizzata da svantaggi strutturali, situazione che si riflette in premi di rischio più consistenti per gl’investimenti in euro. 1.5. Flussi di capitale: tutto converge verso gli Stati Uniti La causa principale della fragilità dell’euro va ricercata nella direzione dei flussi di capitale fra Stati Uniti ed Eurolandia. La crescente diversificazione dei portafogli azionari osservata negli anni Novanta, l’alta redditività del capitale proprio delle aziende statunitensi e l’arresto della crescita in numerosi Paesi emergenti dal 1997/98 in poi hanno fatto degli Stati Uniti il bacino di raccolta principale in cui convergono i flussi di capitale internazionali. Viceversa, l’area dell’euro ha subito le conseguenze prodotte da condizioni quadro avverse. Uno sguardo 6 Economic Briefing n. 21 alle varie componenti della bilancia dei movimenti di capitale di Eurolandia illustra chiaramente questo stato di fatto. Investimenti diretti: negli anni scorsi diversi gruppi europei, non da ultimo grazie alla creazione di un euromercato dei capitali unitario, hanno effettuato in grande stile rilevamenti di società negli Stati Uniti. Oggi nessuna impresa può aspirare alla leadership in un determinato settore senza prima assicurarsi una forte presenza negli Stati Uniti. Nel frattempo molte società europee, come la Deutsche Telekom con il fornitore di telefonia mobile VoiceStream, hanno gettato una testa di ponte negli Stati Uniti. Anche se i tonfi alle borse dei titoli tecnologici e sui mercati del credito ostacolano il finanziamento di acquisizioni e le tendenze al raffreddamento osservate nell’economia mondiale lasciano presagire una contrazione delle fusioni societarie, riflessioni di natura strutturale rendono alquanto inverosimile un inaridimento repentino del flusso degli investimenti diretti verso l’area del dollaro. Investimenti di portafoglio: dal 1997 gli operatori esteri hanno investito maggiormente in prestiti aziendali e azioni statunitensi. In un periodo di progressive crisi finanziarie l’impressionante forza di propulsione della congiuntura nazionale Usa, la quasi inesauribile crescita degli utili dei gruppi tecnologici a stelle e strisce e la sedicente infallibilità della Banca centrale statunitense hanno calamitato ingenti capitali esteri, facendo impennare il dollaro. L’affievolirsi della congiuntura Usa e il peggioramento della solvibilità di aziende statunitensi dovrebbero lasciare tracce durature, cosicché in questo comparto si pronostica una diminuzione dei flussi di capitale. Nuova ponderazione della famiglia di indici MSCI: la considerazione del flottante («free float») nella capitalizzazione di mercato di una società sfocia in una nuova ponderazione della nota famiglia di indici azionari di Morgan Stanley Capital International (MSCI), che risulta propizia alle azioni statunitensi. I Paesi europei detengono ad esempio ancora consistenti pacchetti di azioni delle loro ex società di telecomunicazioni, che vengono soppressi nel nuovo calcolo dell’indice. Ricomposizioni di portafoglio di gestori patrimoniali che indirizzano la loro strategia agli indici dovrebbero generare un esodo di capitali da Eurolandia pari a circa 45 miliardi di USD, mentre gli Stati Uniti possono prevedere un afflusso di pressappoco 35 miliardi di USD. CREDIT SUISSE Economic Research 2. Segnavia per l’euro Il 1° gennaio 2002 prenderà il via l’introduzione del contante. La moneta unica europea diventerà così tangibile anche per il vasto pubblico. Per effetto delle nuove monete e banconote il valore esterno dell’euro non verrà automaticamente sottoposto ad una valutazione ex novo. Sotto il profilo psicologico il momento è però di estrema valenza: quando la sostituzione fisica delle monete nazionali sarà una realtà verranno ritirati maggiori capitali da Eurolandia? Oppure l’euro sarà in grado di conquistare la fiducia degli investitori? La via da seguire dipenderà da quali segnali invierà l’Ue, che intende accrescere la propria attrattiva di piazza economica e sta preparando l’espansione verso Est. 2.1. Politica Ue: si parte da Nizza Il sistema politico dell’Ue costituisce il quadro istituzionale di Eurolandia. Per radicare la fiducia nell’euro i processi decisionali all’interno della Comunità devono imperativamente funzionare. Solo una Ue capace di agire è in grado di conferire impulsi a beneficio di un indirizzo riformatore della politica economica e a guardare con fiducia all’espansione. Il vertice Ue di Nizza con i suoi numerosi compromessi ha segnato una tappa nel processo di riforme istituzionali, ma non un traguardo. In particolare si imporrebbe una riforma del Consiglio direttivo della Bce, organo decisionale in materia di politica monetaria, e dove a tutt’oggi il potenziale influsso di singoli interessi nazionali è considerevole: a sei direttori della Bce fanno da contrapposto dodici governatori di banche centrali nazionali. Ogni estensione della zona euro consolida quindi il piano nazionale e potrebbe svigorire la capacità di agire della Bce. Una riduzione della rappresentanza di banche centrali nazionali potrebbe essere ottenuta con un sistema di rotazione ispirato al modello statunitense. Ma sarà la prassi politica a evidenziare gli effetti che il maggior potere – deciso al vertice di Nizza – degli Stati ad alta densità demografica in seno al Consiglio dei Ministri produrrà sulla capacità decisionale dell’Ue. Rafforzare l’influsso dei grandi Paesi significa altresì consentir loro di bloccare decisioni con il sostegno di pochi alleati. Insoluta rimane inoltre la questione dell’equilibrio di potere fra Consiglio dei Ministri e Commissione. Il grande dibattito incentrato su una chiara delimitazione delle competenze fra l’Ue e i singoli Paesi membri è previsto CREDIT SUISSE Economic Research per il 2004. A Nizza è mancato un sostanziale progresso del processo di votazione con decisioni maggioritarie. Per contro, con l’agevolazione della collaborazione di singoli Paesi membri è stato definito un approccio inteso a mitigare l’effetto di veti nazionali. In futuro sarà pertanto sempre più difficile garantire un ritmo di marcia comune per il processo d’integrazione. 2.2. Politica economica: urge un chiaro indirizzo riformatore Eurolandia è adombrata dall’attrattiva dell’economia statunitense. L’Europa si chiede se sarà possibile contenere il divario che la separa dagli Stati Uniti e se la leadership Usa permarrà sul lungo periodo, considerato che negli anni Ottanta e Novanta la politica economica statunitense ha seguito indirizzi dimostratisi paganti. In Europa si impongono riforme di economia di mercato che sappiano delineare una direzione di marcia comune e non riflettano un’immagine confusa di obiettivi diversi. Ciò potrebbe potenziare le conseguenze dell’introduzione dell’euro, che dà vita a un mercato dei capitali più esteso e liquido. Gli sgravi fiscali in Germania e Francia rappresentano un primo passo; s’impongono tuttavia ulteriori interventi di flessibilizzazione dei mercati del lavoro e di riforma della previdenza per la vecchiaia. La realizzazione di progetti che mirano al completamento dell’integrazione del mercato interno sarebbe un segnale positivo per l’area dell’euro. Al riguardo vanno sottolineati ad esempio i piani d’intervento Ue per servizi finanziari e il mercato del capitale di rischio, come pure Figura 3: spese per le tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione Fonte: Commissione europea, sulla base dell’EITO 2000 Economic Briefing n. 21 7 l’iniziativa eEurope. Con riguardo agli investimenti in capitale di rischio ad esempio, il Vecchio Continente arranca chiaramente alle spalle degli Stati Uniti. In Europa sono meno generose anche le spese complessive per le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. L’osservazione distinta delle spese in questo comparto evidenzia tuttavia che, seppur chiaramente svantaggiata nella tecnologia dell’informazione, l’Ue precede gli Stati Uniti nelle telecomunicazioni (vedi figura 3). Sussiste dunque il potenziale per migliorare la competitività nei confronti degli Stati Uniti, ma è imperativo che si evitino manovre restrittive nei progetti di riforma. 2.3. Espansione dell’Uem: tra desideri e realtà Dopo il «no» all’euro espresso dalla Danimarca affiora prepotentemente il seguente interrogativo: la zona dell’euro è invitante soltanto per le economie più deboli dell’Europa centrale e orientale, mentre non desta particolare interesse presso i Paesi più forti dell’Europa settentrionale? Scetticismo in Europa settentrionale: Gran Bretagna, Svezia e Danimarca sono i candidati ideali, appetibili agli occhi di Eurolandia grazie a finanze statali sane e tassi di disoccupazione inferiori alla media Uem. Ma non è solo la Danimarca a mantenere le distanze dalla moneta unica europea: oggi, oltre il 70% dei britannici e più della metà degli svedesi respingono l’euro. Un indicatore per l’evoluzione del consenso nell’Europa settentrionale è la misurazione delle forze in termini di politica interna in Gran Bretagna. In occasione delle prossime elezioni, che si terranno verosimilmente nella primavera 2001, i conservatori sfideranno il Governo laburista di Tony Blair promuovendo campagne anti euro. Anticamera a Est: rispetto a Eurolandia, i possibili candidati all’Ue dei Paesi dell’Europa centrale e orientale presentano un reddito pro capite assai più modesto. Per poter risollevare il capo tali economie devono mettere a segno tassi di crescita più sostenuti sull’arco di vari anni, uno sviluppo che – come insegna l’esperienza – è spesso accompagnato da tassi d’inflazione più accentuati. I Paesi candidati avranno migliori chance di ricupero se potranno disporre anche in avvenire della valvola di sfogo di una politica monetaria autonoma e di cambi flessibili. Un’adesione prematura graverebbe sull’euro, anche se in ottica puramente statistica i tassi d’inflazione più sostenuti nell’Europa centrale e orientale dovrebbero esercitare un influsso trascurabile sul rincaro di Eurolandia (vedi figura 4). Se la Bce dovesse però tener conto 8 Economic Briefing n. 21 Figura 4: ponderazione geografica nell’indice dei prezzi al consumo di una Uem ampliata Per misurare l’inflazione nell’area dell’euro la Bce utilizza l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC). Il peso di un Paese nell’IAPC corrisponde alla sua quota al consumo interno privato complessivo dell’Uem. Fonte: CREDIT SUISSE Economic Research della situazione dell’Europa centrale e orientale, penalizzerebbe l’intera area dell’euro con un intervento rialzista sui tassi d’interesse; in difetto di interventi da parte dell’istituto centrale, i tassi mantenuti artificialmente bassi produrrebbero un surriscaldamento delle economie delle aree geografiche europee menzionate poc’anzi e di conseguenza un peggioramento della loro competitività. I mercati delle divise giungerebbero dunque alla conclusione che Eurolandia è gravata da economie gracili, e ciò non per un periodo limitato, bensì in una prospettiva a lungo respiro. I primi Stati dell’Europa centrale e orientale potranno verosimilmente agganciarsi al treno dell’Ue a partire dal 2005. Con l’acquis giuridico comunitario si assumono l’impegno, dopo una fase di transizione, di aderire all’Uem. Tale passo premette l’adempimento dei criteri di convergenza sanciti dal Trattato di Maastricht (tasso d’inflazione, disavanzo pubblico, indebitamento, tassi d’interesse e due anni di adesione allo SME II), nonché la considerazione di altri fattori come l’integrazione dei mercati o il costo unitario del lavoro. Politicamente, la richiesta di elementi supplementari – in termini di economia reale – è assai controversa. Per il loro stesso interesse, in vista di un’eventuale adesione all’Uem i Paesi dell’Europa centrale e orientale dovrebbero tuttavia monitorare l’andamento dell’economia reale e accettare di trattenersi un po’ più a lungo nell’anticamera di Eurolandia. CREDIT SUISSE Economic Research 3. Prospettive Nel breve periodo l’euro ha compiuto il fatidico giro di boa. La decelerazione della progressione economica statunitense sta assottigliando notevolmente il gap di crescita su ambo le sponde dell’oceano e ha preparato il terreno per un rinvigorimento dell’euro. In un orizzonte di un anno pronostichiamo un rapporto fra 0.95 – 0.98 USD/EUR. Sarebbe tuttavia errato attendere un miglioramento fulmineo del corso dell’euro. Una fuga repentina dal dollaro è uno scenario che appare assai poco realistico. Gli investitori istituzionali statunitensi controllano tuttora patrimoni considerevoli e dalla nascita dell’euro hanno dimostrato molta prudenza nei confronti della moneta unica europea. Alla luce dell’incerta evoluzione della congiuntura statunitense, sui mercati finanziari Usa dovrebbe aumentare l’avversione al rischio, ciò che non lascia presagire grandi riassetti di portafoglio dal mercato nazionale nell’area dell’euro. Siccome l’intensa lotta sui prezzi dell’economia statunitense ha effetti antinflazionistici, in caso di turbolenze borsistiche la Banca centrale statunitense può intervenire in soccorso dei mercati finanziari locali con tagli ai tassi, contrastando così una perdita di fiducia nei confronti del biglietto verde. Peraltro, anche l’Europa è interessata a che l’economia statunitense non perda vigore e il corso dell’euro non superi quota 1 USD/EUR. La debolezza dell’euro ha in qualche modo contribuito alla rivitalizzazione dell’economia europea. Un rapido deprezzamento del dollaro, collegato a un atterraggio tutt’altro che morbido della congiuntura negli Stati Uniti, soffocherebbe la ripresa sorretta dalle esportazioni tuttora in corso in Europa. Due fattori d’incertezza potrebbero parimenti contenere il ricupero dell’euro. Il primo è il prezzo del petrolio. Siccome sul mercato mondiale il barile viene contrattato in dollari, un prezzo elevato del greggio comporta un rialzo della domanda di tale moneta. Un inasprimento della situazione nel Medio Oriente potrebbe far nuovamente lievitare le quotazioni dell’oro nero. Il secondo fattore d’incertezza risiede nel possibile stemperamento della politica fiscale statunitense. L’affievolirsi del vento congiunturale negli Stati Uniti dovrebbe consentire persino a un Presidente indebolito di far approvare dal Congresso un pacchetto di sgravi fiscali e aumenti delle spese. Nella più estrema delle ipotesi, entro un anno potremmo nuovamente assistere ad una politica fiscale espansiva CREDIT SUISSE Economic Research abbinata a un indirizzo monetario restrittivo, situazione che negli anni Ottanta, sotto l’amministrazione Reagan, fece impennare il biglietto verde. Elementi strutturali e istituzionali influenzano l’evoluzione a lungo termine dell’euro. Solo ravvisabili e chiare riforme in tema di politica economica possono convogliare capitali esteri verso l’area dell’euro, mentre un ristagno del processo riformatore in Europa li farebbe semplicemente passare oltre. Sotto questo punto di vista i Paesi dell’Uem dovranno impegnarsi per fugare il pericolo di un indebolimento strutturale duraturo della moneta unica. Il valore esterno dell’euro dovrebbe inoltre essere influenzato dai futuri confini esterni di Eurolandia. Un’ostinata volontà di tenersi in disparte da parte dell’Europa settentrionale e un’espansione affrettata dell’Uem verso Est avrebbero pesanti ricadute sull’euro. Proprio nell’ottica di un’espansione dell’area dell’euro verso est, che seguirebbe all’allargamento dell’Ue, Eurolandia abbisogna di condizioni quadro istituzionali funzionanti. Fra queste si annovera un direttorio Bce sufficientemente influente a livello di politica monetaria in seno al Consiglio direttivo Bce. Occorrono quindi processi decisionali che non possano essere bloccati neppure da un’Ue con 27 Paesi membri. A questo riguardo, dopo la serrata lotta per le prime riforme istituzionali del vertice Ue di Nizza appare chiaro che rimane ancora parecchio lavoro da fare. Economic Briefing n. 21 9 Appunti 10 Economic Briefing n. 21 CREDIT SUISSE Economic Research Nella collana «Economic Briefing» sono stati pubblicati i seguenti numeri: N. Titolo N. di mat. Italiano N. di mat. Tedesco N. di mat. Francese N. di mat. Inglese 1 Europäische Währungsunion: Ein Jahr vor der Entscheidung (4/97) – esaurito esaurito – 2 L’unione monetaria europea: Le vostre domande – le nostre risposte (7/97 und 5/98) 1521023 1521021 1521022 1521024 3 Inflation: Totgesagte leben länger (10/97) – 1510331 – – 4 Die EWU: Spreads and more . . . (10/97) – esaurito – esaurito 5 Schweizerische Sozialpolitik: Quo Vadis (10/97) – esaurito 1510352 – 6 Elchtest für den Euro: Der Weg zur Einheitswährung (3/98) – esaurito esaurito esaurito 7 Mercato svizzero del credito: nessi economici (7/98): retrospettiva e prospettive 1510773 1510771 1510772 – 8 Imprese ed euro: Ho pensato a tutto? (5/98) esaurito 1510781 1510782 – 9 Der Euro kommt: Mechanik und Dynamik im Euroland (7/98) – esaurito esaurito esaurito 10 Kantonale Finanzen: Die Herausforderungen der Zukunft verlangen Teamarbeit (9/98) – 1510871 1510872 – 11 Das Jahr-2000-Problem: Keine Rezession in Sicht (6/99) – esaurito esaurito esaurito 12 Finanza globale: non nuova, ma assai promettente (10/99) 1510993 1510991 1510992 – 13 Neuer Glanz für Gold . . . (10/99) – 1540701 1540702 – 14 Aktien als langfristige Kapitalanlage (11/99) – 1540711 1540712 1540714 15 Electronic Commerce: (R)evolution für Wirtschaft und Gesellschaft (1/00) – 1511361 1511362 1511364 16 Europäische Union: Gestern, heute, morgen (3/00) – 1511381 1511382 1511384 17 Shareholder Value: Viel mehr als ein Schlagwort (6/00) – 1540801 – 1540804 18 Die Schweiz im internationalen Wettbewerb (8/00) – 1540811 1540812 1540814 19 L’assetto del mercato svizzero del lavoro – un ostacolo per la crescita? (9/00) 1540833 1540831 1540832 – 20 Diversifikation – Strategie für eine erfolgreiche Kapitalanlage. (12/00) – 1540871 1540872 1540874 21 L’euro alla ricerca della sua identità. (1/01) 1511493 1511491 1511492 1511494 CREDIT SUISSE Economic Research Economic Briefing n. 21 11 CCV / N. di mat. 1511493 / 1.2001 Stampato su cellulosa sbiancata al 100% senza cloro