La costruzione sociale degli oggetti di rischio: come scoprire ed indagare le reti del rischio Stephen Hilgartner Come mai persone diverse percepiscono in modo differente il rischio associato alle medesime tecnologie? Perché gruppi sociali distinti sviluppano definizioni contrastanti degli stessi rischi tecnologici? Questo genere di domande sono alla base di grossa parte della ricerca sul rischio. Ciononostante gli interrogativi predominanti sono scarsamente definiti in termini teorici alla luce della ricerca più recente sulla storia e sulla sociologia della tecnologia. L’enfasi riposta sulle reazioni delle persone agli hazard esprime una visione indebitamente statica della tecnologia. Interpretare le percezioni e le definizioni del rischio alla stregua di variabili dipendenti - approccio tipico della ricerca sociologica e psicologica1 – ci conduce dunque verso un’analisi a senso unico che trascura totalmente le dinamiche del cambiamento tecnologico. Le percezioni del rischio non sono etichette da attribuire passivamente alla tecnologia. Al contrario le definizioni del rischio sono costruite dentro e insieme alla tecnologia nel mentre plasmano la sua evoluzione. Allo scopo di illustrare efficacemente come il rischio venga inglobato nel tessuto sociale (Short, 1984) la sociologia del rischio necessita di essere radicata in una cornice concettuale più dinamica. Lo sviluppo di una cornice siffatta necessita, in via preliminare, che vengano affrontate due carenze nella letteratura sul rischio nell’ambito delle scienze sociali. In primo luogo gli scienziati sociali non hanno approfondito a sufficienza la struttura concettuale delle definizioni sociali del rischio. Pochi studiosi hanno prestato davvero attenzione agli oggetti concettuali che appaiono in queste definizioni, alle connessioni tra questi oggetti o ai processi attraverso i quali questi oggetti vengono costruiti. In secondo luogo, più in generale, gli studiosi del rischio hanno una visione della tecnologia antiquata e centrata-sull-artefatto. Questa visione – che concepisce la tecnologia principalmente in termini di macchinari, hardware, materiali, risorse industriali – è stata abbandonata dalla maggioranza dei sociologi 1 Per gli piscologi, la percezione del rischio è la variabile dipendente, un qualcosa da spiegare guardando alla natura degli hazard e ai fattori psico-sociali. Anche se sociologi e antropologi considerano i gruppi, invece che gli individui, come unità di analisi, le loro spiegazioni hanno spesso una struttura simile. Il modo in cui un gruppo sociale definisce il rischio è la variabile dipendente e va studiata in modo nei termini della natura dell’hazard e di qualche mix di fattori istituzionali, interessi, strutture organizzative e così via. Per una review della letteratura scientifica sul rischio vedere Douglas (1985). Vedi anche Misa e ElBaz (1991) per una bibliografia recente. 1 e degli storici impegnati nello studio del cambiamento tecnologico. Ciononostante questa visione della tecnologia è profondamente radicata, almeno implicitamente, nella letteratura sul rischio. Questo lavoro prende dunque in considerazione queste due criticità mentre delinea, al contempo, una cornice dinamica per la sociologia del rischio. Basandomi sul alcune intuizioni dalla “nuova” letteratura sulla scienza e la tecnologia (Star, 1988), svilupperò una prospettiva sistema/rete sul rischio. Questa cornice è profondamente costruttivista e deve essere interpretata come un tentativo di estendere il lavoro di coloro che analizzano il rischio come un costrutto sociale2. Inizierò con un’analisi dei problemi che si affrontano nello studiare la struttura concettuale della varie definizioni di rischio e poi descriverò un’alternativa ad una visione della tecnologia incentrata sull’artefatto. In secondo luogo analizzerò la costruzione e il controllo di entità in grado di generare rischi e delineerò come la sociologia del rischio possa affrontare le dinamiche della tecnologia. Userò come esempio il trasporto su automobile in quanto rappresenta un sistema tecnologico familiare a tutti. Siccome tutti i lettori ne avranno esperienza diretta, l’articolo potrà focalizzarsi strettamente su problemi concettuali, piuttosto che sul funzionamento e la storia di qualche sistema tecnologico esoterico. Reti concettuali Le definizioni di rischi specifici includono almeno tre elementi concettuali: un oggetto che “rappresenta” il rischio; un danno putativo; e un collegamento che stabilisce una qualche forma di causazione tra oggetto e danno. Mi riferirò agli oggetti (siano essi cose, attività o situazioni) considerati fonti di pericolo come “oggetti di rischio”. Quindi, per fare un esempio semplice, nella frase “il rischio della guida”, l’oggetto di rischio è “il guidare”3. Gli oggetti di rischio sono quelle cose che rappresentano hazard, ovvero le fonti del periocolo, quelle entità cui sono concettualmente connesse le conseguenze nocive di qualcosa. 2 I ricercatori che vedono il rischio come un costrutto sociale seguono molti approcci differenti come mostrato dala lavoro di Bradbury (1990), Clarke (1989), Douglas e Wildavsky (1981), Gamson e Modigliani (1988), Nelkin (1985), Rayner (1987), e Stallings (1990). 3 Come vedremo più avanti, gli oggetti di rischio sono più tipicamente collegati all’interno di reti complesse; inoltre possono nificarsi reciprocamente. Queste connessioni possono essere studiate attraverso un’analisi dei testi. 2 La maggioranza delle ricerche sul rischio ha trattato gli oggetti di rischio in modo non problematico e non è stato mai fatto alcun tentativo di analizzare la costruzione sociale degli oggetti di rischio. Per gli ingegneri e gli scienziati naturali che affrontano il rischio attraverso un approccio tecnico, gli oggetti di rischio – così come gli hazard che essi rappresentano – sono semplicemente delle caratteristiche oggettive della realtà. Quando gli psicologi conducono studi psicometrici sulle risposte soggettive delle persone agli hazard stanno anche trattando gli oggetti di rischio come elementi oggettivi del mondo (Bradbury, 1990). Uno studio che indaghi come le persone stimino il rischio rappresentato, ad esempio, dal guidare un auto, dal viaggiare su un aereo di linea o dal pilotare un aliante tratta implicitamente queste attività come entità ben definite che, in quanto tali, possono essere date per scontate. Le risposte delle persone a questi oggetti, e non gli oggetti in sé, sono ciò che i ricercatori concepiscono come problematico. Per i sociologi e gli antropologi che interpretando il rischio come una costruzione sociale la questione non è così semplice; è pericoloso dare qualsiasi cosa per scontata quando si cerca di analizzare la costruzione sociale della realtà (vedere la discussione sulla costruzione di pattern in Stallings, 1990). Ciononostante gli studi sulla definizione sociale del rischio non hanno prestato sufficiente attenzione alla costruzione sociale degli oggetti di rischio. Allo stesso modo questi studi hanno trascurato di effettuare un’analisi sistematica della costruzione di reti di attribuzioni causali che connettono catene di oggetti di rischio ai danni potenziali. In altre parole la struttura concettuale delle definizioni del rischio – e la costruzione sociale di queste strutture – è stata largamente ignorata. Trascurare la costruzione sociale degli oggetti di rischio restringe il potere d’azione degli approcci sociologici all’analisi del rischio. Assumere infatti che gli oggetti risiedano semplicemente nel mondo in attesa di essere percepiti o definiti come rischiosi è profondamente antisociologico. Ancor meno si può dichiarare che le connessioni tra gli oggetti possano semplicemente “esistere” lì fuori, nella realtà. Non bisogna assumere dunque, nemmeno implicitamente, che le definizioni degli oggetti o le connessioni tra di essi non mutino e questo sia storicamente che tra diversi gruppi sociali. Infine, non si può dare per scontato che il processo di connessione tra un oggetto e un danno putativo possa sia indipendente dal processo che definisce l’oggetto come oggetto. Distaccandoci da questi presupposti – e adottando invece un approccio costruzionista alla struttura delle definizioni di rischio – possiamo invece aprire una linea di ricerca in grado di far evolvere sensibilmente la sociologia del rischio. 3 Oggetti ambigui, connessioni ambigue La costruzione degli oggetti di rischio può essere posta su due livelli a scopo analitico. Il primo livello implica la costruzione stessa degli oggetti in quanto un oggetto non può realmente essere definito come rischioso prima di essere definito come un oggetto4. Come hanno mostrato i costruttivisti, gli interazionisti simbolici ed altri studiosi, il mondo non si presenta preconfezionato in categorie chiaramente differenziate e distinte tra loro in modo netto. Al contrario, la divisione del mondo in categorie va interpretata come qualcosa che viene realizzata, compiuta. Il mondo, in altre parole, può essere scomposto in molti modi diversi e i sistemi di categorie utilizzati per classificare gli oggetti sono profondamente ambigui (Barnes, 1983). Il secondo livello della costruzione sociale degli oggetti di rischio consiste nel definire gli oggetti come rischiosi attraverso la costruzione di connessioni tra questi stessi oggetti e i danni putativi5. Queste connessioni naturalmente sono sempre problematiche in quanto un rischio determinato può essere sempre attribuito a più di un oggetto. È sempre possibile, in altre parole, costruire tante potenziali ramificazioni delle catene di causazione che portano ai disastri. Inoltre, la lunghezza di queste ramificazioni può, virtualmente, essere estesa indefinitamente; non esiste nessun punto di arrivo certo. Ad esempio, il rischio di incidenti automobilistici può essere attribuito ad automobilisti poco prudenti, a strade poco sicure o ad automobili poco sicure (Irwin, 1985; Gusfield, 1981). I rischi rappresentanti da automobilisti poco prudenti, a loro volta, possono essere attribuiti all’inesperienza, all’irresponsabilità, alla stanchezza o all’abuso di alcolici. L’inesperienza, a sua volta, può essere attribuita all’insufficienza formativa delle scuole guida che a sua volta può essere attribuita a una carenza di fondi nel settore. Le reti di oggetti che si ritengono portatori di rischi possono interrompersi bruscamente, possono cambiare orientamento verso cause più comuni oppure divergere. Il ventaglio di possibilità, in via di principio, è infinito. 4 Definire un oggetto come un oggetto è concettualmente prioritario (sebbene possa non essere temporalmente prioritario) del definirlo come un pericolo. 5 Un terzo livello, che non verrà discusso in questa sede per ragioni di spazio, è il processo di definizione del danno. 4 Naturalmente le persone non costruiscono catene di causazione infinite nel momento in cui pensano e agiscono nei confronti delle fonti di rischio6. Il problema, quindi, se vogliamo comprendere come le persone attribuiscano senso al rischio, è comprendere realmente quali siano le reti di oggetti del rischio e le catene di collegamenti causali che le persone effettivamente costruiscono. Inoltre, dobbiamo comprendere il processo attraverso cui queste reti vengono costruite anche – e soprattutto – poiché la costruzione degli oggetti di rischio possiede delle implicazioni politiche. Gusfield (1981) ha mostrato come “l’ubriaco killer” è stato identificato come la causa alla base dei decessi legati ad incidenti stradali che implicassero l’abuso di alcolici. Come ha lui stesso affermato, il modo in cui il problema è stato costruito, ha consentito sia ai produttori di automobili che all’industria di alcolici di deresponsabilizzarsi dal problema spostando invece le cause degli incidenti su una dimensione morale e le politiche degli incidenti mortali su altri attori. Concentrare l’attenzione su “l’ubriaco killer” come oggetto di rischio sposta infatti l’attenzione da altri oggetti di rischio – come ad esempio l’insicurezza delle automobili o l’un uso del territorio e la politica del trasporto pubblico che consente di collocare i locali notturni in zone accessibili unicamente in automobile7. Per concludere, la comprensione del rischio richiede un’indagine approfondita delle reti concettuali che costruiscono il rischio stesso; reti concettuali che devono essere scomposte ed indagate attentamente affinché sia possibile esplorare la costruzione degli oggetti di rischio. Questi obiettivi sono necessari per migliorare la nostra comprensione di come i rischi vengano integrati nella tecnologia nel mentre questa stessa tecnologia evolve e si modifica. Reti sociotecniche Gli oggetti di rischio selezionati dagli scienziati sociali riflettono una visione della tecnologia incentrata sugli artefatti; artefatti che la letteratura tende ad enfatizzare e ad associare ad oggetti quali rifiuti chimici e tossici, reattori nucleari, microrganismi geneticamente modificati, aeroplani e via dicendo. Inoltre, l’analisi del rischio tende a trattare questi artefatti come entità statiche, “cose” stabili che gli individui percepiscono o i gruppi sociali definiscono 6 Un importante oggetto di ricerca per la comprensione della costruzione sociale degli oggetti di rischio è l’analisi di ciò che potrebbe essere definito “catene che terminano gli oggetti”, entità (come ad esempio “l’errore umano” o “gli atti divini” o “la sfortuna”) che sono considerate essere le cause finali che non vale più la pena indagare e che ci servono come punti finali delle reti di causazione. 7 Vista la posta in gioco (per le organizzazioni che cercano di possedere o di sbarazzarsi dei rischi, per la competizione interprofessionale [Abbot, 1988]; per le politiche pubbliche e per la carriera di organizzazioni ed individui) non sorprende che intensi conflitti spesso circondino gli sforzi atti a costruire oggetti di rischio. 5 come più o meno rischiose. Questo tipo di approccio alla tecnologia però contribuisce alla tendenza a trattare le definzioni del rischio post hoc. Una varietà di lavori recenti sulla storia e sulla sociologia della tecnologia ha sviluppato modi di concettualizzare la tecnologia che sono più ricchi ed efficaci di una visione incentrata sull’artefatto. La prospettiva della sociologia della conoscenza ha influenzato la visione della tecnologia (Pinch e Bijker, 1984) tanto da portare sempre più i ricercatori a concepire la tecnologia stessa non come un insieme di artefatti e di macchine ma come un insieme di sistemi intricati nei quali aspetti tecnici e sociali siano inestricabilmente connessi. Questi sistemi connettono molteplici insiemi di componenti – inclusi harware, organizzazioni, procedure di gestione, personale, leggi e norme, programmi di ricerca e così via – in reti tecnologiche funzionanti. Cose che una volta erano classificate come “tecniche”, “economiche”, “sociali”, “politiche” e “legali” ora sono concepite come elementi di uno stesso tessuto. La tecnologia è una “rete senza cuciture” (Hughes, 1986). Le ricerche che hanno definito questo nuovo approccio (Hughes, 1983, 1986, 1987; Callon, 1980, 1987; Latour, 1987) condividono un nucleo teorico che possiamo definire “prospettiva sistema-rete”8. Centrale per questa prospettiva è la visione di come persone e organizzazioni costruiscano reti tecnologiche a partire da una varietà di componenti e che queste reti si espandono e mischiano tra loro le categorie di “tecnico” e di “sociale”9. La prospettiva sistema-rete ha molti vantaggi tra i quali quello di evitare simultaneamente il riduzionismo tipico del determinismo tecnologico e del determinismo sociale: la causalità è distribuita in tutta la rete e non subisce il controllo di un nessun singolo tipo di “attore” (per usare la terminologia di Callon e Latour)10. Vista attraverso una prospettiva sistema-rete, il trasporto su automobile è una rete tecnologica – o più precisamente una rete sociotecnica – su una scala enorme e caratterizzata da un livello altissimo di complessità. I suoi milioni di componenti includono automobili, 8 L’approccio del sistema tecnologico di Hughes e la teoria attore-rete di Callon e Latour si distanziano su alcuni punti fondamentali. Queste differenze saranno qui largamente ignorate e io userò i termini sistema e rete più o meno in modo intercambiabile. Ciononostante è importante sottolineare gli elementi più contesi. In primo luogo, il sistema ha dei limiti ed esiste in un ambiente, qualunque tipo di rete sia, almeno teoricamente illimitato (Law, 1987; Hughes, 1986). (La differenza non sembra avere una grande rilevanza pratica, comunque, riconoscere che delimitare un sistema è, nella pratica, una cosa problematica fa il paio con la difficoltà nel decidere quanto si debba andare in fondo con lo spiegare il network stesso). In secondo luogo le prospettive differiscono rispetto a quanto considerano come socialmente costruite le proprietà delle componenti del sistema (o attori). L’approccio allo sviluppo del rischio qui risiede pesantemente sul lavoro di Latour, Callon e Law. 9 Altri lavori che esprimono la prospettiva del sistema/rete includono: Bowker (1987), Callon (1986), Callon, Law e Rip (1986), Law (1987) e Mackenzie e Spinardi (1988a; 1988b). Per un approccio vicino ma distinto a queste posizioni vedere anche Pinch e Bijker (1984, 1987) e Bijker (1987). 10 Cfr. la discussione in Law (1987). Vedere anche Misa (1988). 6 automobilisti e strade; fabbriche, centri di gestione trauma e banche di investimento; monossido di carbonio e leggi per l’aria pulita; e anche miniere di ferro e giacimenti di petrolio. Il sistema inoltre include le agenzie governative coinvolte in tutti i processi, dalla costruzione delle strade al controllo dell’inquinamento atmosferico. Alcune di queste entità, come ad esempio gli pneumatici e i motori, hanno un’esistenza fisica solida; altri, come ad esempio le leggi sul traffico dello Stato di New York, sono meno tangibili11. Alcune altre, come le luci stradali, sono prive di problematicità, sono componenti pronte per l’uso che possono essere semplicemente e quasi letteralmente “inserite” nel sistema; altre ancora, come le vecchie leggi o le nuove macchine, necessitano di essere adattate prima di poter essere inserite al loro posto. Con l’evoluzione del trasporto su automobile, le persone e le organizzazioni coinvolte nell’assemblamento del sistema sono riuscite a tèssere le sue componenti in un sistema funzionante. Questo compito implica il controllo del comportamento di un insieme di attori umani e non-umani che vanno arruolati all’interno della rete e indotti a svolgere i ruoli assegnati superando le loro resistenze. Law (1987) definisce questo genere di pratica “ingegneria dell’eterogeneo”, ovvero il processo di assemblaggio di sistemi tecnologici funzionanti a partire da elementi ostili provenienti da mondo naturale come da quello sociale. Così come il sistema che essi creano, gli ingegnieri dell’eterogeneo (anche definiti “costruttori del sistema” da Hughes [1987]) sono un gruppo piuttosto eclettico, connessi tra loro da alleanze e conflitti complessi e mutevoli. Il trasporto su automobile, ad esempio, è stato definito da attori diversi come ingegneri e manager, sindacati e associazioni ambientaliste, scienziati e investitori, avvocati e funzionari governativi. Le misure per il controllo dei rischi sono costruite direttamente e materialmente nella rete dei trasporti basata sull’automobile. Con l’evoluzione della rete sono stati compiuti innumerevoli sforzi per ridurre i rischi che vi erano incorporati12. All’inizio della storia dell’automobile le preoccupazioni in merito al rischio hanno portato alla codifica di norme sul traffico, l’obbligo, per gli autautomobilistiisti, di avere una patente e la sostituzione del vetro del parabrezza con 11 Anche entità che gli analisti arrivano a reputare non essere nemmeno mai esistite possono giocare un ruolo importante nelle reti sociotecniche. 12 Un altro vantaggio della prospettiva sistema/rete è che fornisce delle basi per un racconto dinamico dell’evoluzione sociotecnica. Spesso l’evoluzione tecnologica è descritta in modo lineare, come fosse un viaggio compiuto su un’unica strada. Al contrario una metafora più adeguata è quella dell’evoluzione di una rete di strade in un sistema autostradale in pieno sviluppo. I cambiamenti nella struttura del network si verificano allorchè le componenti vengono aggiunte, cancellate, connesse con nuove strade; nel momento in cui sono ricostruite, ricombinate e perfezionate e questo allo scopo di cambiare il potere del sistema e la distribuzione del potere al suo interno. Con l’emergere, nella rete, di attori problematici e nel momento in cui le persone cercano di spingere il sistema in nuove direzioni cominciano a verificarsi conflitti su quale debba essere la nuova forma della rete (Latour, 1983). 7 appositi vetri antiurto al posto dei normali vetri che si usavano in precedenza. (Flink, 1970; Rae, 1965). Più recentemente, le preoccupazioni nei confronti dei rischi hanno portato all’uso delle cinture di sicurezza, alla benzina senza piombo e ai blocchi stradali per scoprire gli ubriachi al volante. Come suggeriscono questi esempi, gli sforzi orientati alla riduzione del rischio in questo sistema implicano una complessa interconnessione di cose che, tradizionalmente, sarebbero state classificate come controlli “sociali” o “tecnici”. Costruire gli oggetti di rischio Quando un nuovo sistema evolve, in che modo prendono forma gli oggetti di rischio e le strategie per controllarli? Adottando una prospettiva sistema-rete vediamo come la costruzione di oggetti di rischio implichi la parcellizzazione della rete senza cuciture dei sistemi sociotecnici. Siccome queste reti sono continue piuttosto che discrete, sono molteplici le frontiere che è possibile tracciare per definire particolari “oggetti” come personaggi principali e il resto del sistema come sfondo. In merito al trasporto su automobile è possibile scegliere molti oggetti di rischio, includendo automobilisti, veicoli, strade, limiti di velocità, emissioni nocive dei motori, centri per la gestione del trauma non dotati di personale sufficiente, dipendenza dal petrolio prodotto all’estero, l’assenza di piste ciclabili e qualunque combinazione tra questi elementi13. Gli oggetti di rischio cioè non si limitano ai soli artefatti ma anzi qualunque entità – sia essa biologica, fisica, legale, organizzativa – può costituire un oggetto di rischio14. Nella sua forma più semplice, il processo di costruzione degli oggetti di rischio consiste nel definire un oggetto e connetterlo ad un danno. Questo processo è retorico e si esplica a livello di artefatti testuali utilizzati nelle organizzazioni specializzate o nell’arena pubblica e normalmente coinvolge la costruzione di reti di oggetti di rischio15. Per fare un esempio, il testo “Unsafe at any speed” di Ralph Nader (1965) ha svolto un ruolo importante nel sostegno 13 Vedi Renner (1988), per una discussione critica del trasporto automobilistico e in relazione a numerosi oggetti di rischio. 14 Casi di studio sulla costruzione sociale degli oggetti di rischio quindi non dovrebbero prendere ad esempio solo gli artefatti tecnologici ma un range ampio di entità, includendo le leggi, le regolamentazioni, le strutture organizzative, le caratteristiche dei sistemi tecnologici (vedi Perrow, 1984) e monitorare i sistemi per la prevenzione dei disastri (Morone e Woodhouse, 1986), i sistemi di gestione e così via. 15 Vedi Hiltgartner e Bosk (1988) per una discussione su come i problemi sociali vengano definiti in arene pubbliche. A proposito dei testi nei quali vengono costruiti gli oggetti di rischio e in accordo con gli sviluppi recenti della sociologia della scienza, questi testi potrebbero coinvolgere “iscrizioni” (Latour e Woolgar, 1979), prodotteda strumenti di laboratorio. 8 e nella “cristallizzazione” del National Highway Traffic Safety Act del 1966, una legge che ha portato per la prima volta, a livello federale, la regolazione del design delle automobili (Irwin, 1985)16. Il libro di Nader ha presentato in maniera netta una nuova prospettiva, emersa gradualmente a partire dalla seconda Guerra Mondiale, su come ridurre gli incidenti causati dal traffico. Nader ha cioè costruito una rete di nuovi oggetti di rischio associati agli incidenti stradali a beneficio di tutta la popolazione. Il suo libro ha inoltre costituito un attacco frontale al concetto di “errore del conducente” come causa principale degli incidenti stradali. “Il conducenre” per molto tempo ha costituito il principale oggetto di rischio nel contesto delle politiche sulla sicurezza stradale mentre al suo posto invece Nader ha proposto molteplici oggetti di rischio alternativi. Ha ridefinito ad esempio il modello Corvair della General Motors come un tipo di macchina caratterizzato da una tendenza al cappottamento o a “perdere improvvisamente e istantaneamente il controllo”. In seguito, ha analizzato le reti sociotecniche connesse con la Corvair rivelando molti altri oggetti di rischio in esse contenuti. Guardando dentro la Corvair stessa ha trovato una pericolosa “sospensione dell’asse posteriore” che generava a sua volta una grave tendenza dell’automobile a sovrasterzare richiedendo al guidatore uno sforzo enorme e portando spesso l’auto a ribaltarsi . Nel gruppo di lavoro che disegnò l’automobile Nader ha ritracciato la violazione di norme base della sicurezza ingegneristica generate, a loro volta, dalla necessità di contenere i costi e dai gusti estetici degli “stilisti” dell’auto preoccupati soprattutto dell’appetibilità di quel modello sul mercato. All’interno della General Motors, più in generale, ha rintracciato inoltre una “sconnessione nel flusso dall’autorità all’iniziativa” , “rigidità burocratiche” e una “sottomissione pressoché totale al dio maligno della riduzione dei costi”. All’esterno invece, nel mondo, ha scoperto che non esisteva nessuna regolamentazione federale per il design dell’automobile, una situazione che consentiva ai nuovi modelli di entrare nel mercato senza essere controllati. Ha trovato auto che non erano a prova di impatto e descritto inoltre l’evenienza terrificante del cosidetto “secondo impatto”, quello che accade pochi millisecondi dopo l’incidente quando le persone all’interno del veicolo sono sbattute contro le pareti interne dell’auto. Ha trovato infine uno scarso impegno nel salvare vite tenendo a mente la sicurezza di chi la utilizza nella fase del disegno di una nuova auto. La rete di oggetti di rischio costruita da Nader è piuttosto eterogenea, includendo tutto dalla Corvair, alla costruzione del sovrasterzo, al “secondo impatto”, agli ingegneri compiacenti, all’irresponsabilità delle aziende, all’assenza di una regolamentazione federale. Quando Nader 16 Nader, ovviamente, non agì da solo; ebbe numerosi alleati. 9 e i suoi colleghi hanno introdotto questi oggetti di rischio nella discussione pubblica sulla sicurezza dell’automobile, essi hanno sostanzialmente modificato l’attore-mondo connesso agli incidenti automobilistici semplicemente connettendo gli incidenti ad una nuova rete di oggetti di rischio. La trasformazione della legislazione sulla sicurezza autostradale della metà degli anni Sessanta non può essere attribuita semplicemente ad un’accresciuta consapevolezza del Congresso sui rischi associati a quell’entità statica denominata “incidenti stradali”. È necessario invece guardare sotto la superficie della categoria “incidenti stradali” ed esaminare l’insieme eterogeneo delle entità che si considerano portatrici di pericolo. Molto può essere compreso sul perché un “medesimo” rischio venga percepito in maniera diversa da persone diverse semplicemente considerando l’insieme di oggetti di rischio connessi in un momento particolare o tra gruppi sociali differenti. Controllare gli oggetti di rischio Come ci suggerisce l’esempio relativo ai cambiamenti nella legislazione sulla sicurezza autostradale della metà degli anni Sessamta, i cambiamenti nella definizione degli oggetti di rischio possono ridistribuire la responsabilità dei rischi stessi, cambiare il luogo del decisionmaking e determinare chi abbia il diritto – e chi il dovere – di fare qualcosa a proposito degli hazard. Gli sforzi orientati alla costruzione di nuovi oggetti di rischio, o alla ridefinizione di quelli vecchi spesso prende la forma di conflitti molto aspri. Questi conflitti per la definizione degli oggetti di rischio sono a loro volta complementari ai conflitti orientati a controllare gli oggetti di rischio. Consideriamo ad esempio un aspetto quotidiano ma problematico per quanto riguarda il mondo della sicurezza stradale: la neve. Questo materiale pericoloso può, silenziosamente, ricoprire un’intera rete stradale, portare le macchine a perdere il controllo e sbandare pericolosamente, a invadere la carreggiata opposta, a finire in un fosso. Quali sforzi sono profusi nel contenere questo mortale oggetto di rischio? Sarebbe possibile bandire l’uso di automobili durante i mesi invernali ma questa non è la strategia adottata comunemente. Al contrario, governi nazionali e regionali preferiscono impiegare le tasse per dotarsi di eserciti di spartineve. I camion spargono tonnellate di sale sulle autostrade. Le persone equipaggiano le loro automobili con gomme da neve. I produttori installano freni anti bloccaggio. Gli automobilisti vengono edotti sulle strategie di guida per l’inverno. In buona sostanza un’estesa rete sociotecnica atta a combattere la neve si è coevoluta con il sistema di trasporto automobilistico. 10 Nel caso di neve, gran parte di questa rete viene diretta, letteralmente, in modo da spostare l’oggetto di rischio al di fuori del sistema. Una strategia chiave consiste nell’eliminare il rischio (ovvero, la definizione sociale di pericolo) eliminando l’oggetto di rischio il più possibile. Però per alcuni oggetti di rischio, l’eliminazione dell’oggetto di rischio dalla rete tecnologica non è possibile e nemmeno desiderabile. Le proprietà esplosive della benzina che ne fanno un oggetto così rischioso sono le stesse a determinarne l’utilità come carburante. In casi come questi, ingegneri eterogenei tentano di contenere l’oggetto di rischio con una rete di controlli tale da spostare il rischio al di fuori del sistema ma mantenendo al suo interno l’oggetto. In ogni tappa del lungo percorso dall’estrazione del greggio al distributore, la benzina scorre in una rete di oleodotti e procedure atti a prevenirne la combustione prematura17. Costruire una rete di controllo intorno a un oggetto di rischio è spesso un compito complesso dell’ingegneria dell’eterogeneo che coinvolge numerosi conflitti tra attori umani e non umani. Talvolta gli ingegneri dell’eterogeneo riescono a costringere l’oggetto di rischio all’interno di una rete di controllo ritenuta talmente efficace da eliminare il rischio (come preoccupazione) e in grado di scorporare il pericolo dall’oggetto di rischio stesso. Quando ciò accade l’oggetto di rischio viene trasformato in un mero oggetto trasformando a sua volta tutto questo processo in un misterioso capitolo della storia della tecnologia. Più di frequente però le reti di controllo riescono solo a far migrare le preoccupazioni, ad indebolire il legame tra un oggetto di rischio e il pericolo. Altre volte, naturalmente, le reti collassano e i sistemi sono “frammentati nei loro singoli componenti” (Law, 1987:147) spesso con un tonfo e un’esplosione. Collocare e dislocare gli oggetti di rischio Costruire gli oggetti di rischio è un processo a due direzioni, alimentato dagli sforzi compiuti per collocare gli oggetti di rischio all’interno e dislocarli all’esterno rispetto alle reti sociotecniche. Collocare un oggetto di rischio significa traformare l’oggetto stesso, e i suoi rischi, in attori significanti per la rete sociotecnica. In altre parole, collocare un oggetto di rischio significa trasformarlo in qualcosa con cui sia possibile fare i conti, qualcosa che sia in grado di condizionare il futuro del network stesso. Dislocare un oggetto di rischio invece 17 Vedere la discussione in Latour (1987) su come scienza e tecnologia consistano di reti lunghe e sottili. 11 significa proprio il contrario: rimuovere l’oggetto e i suoi rischi della loro significanza; neutralizzarli; annullare la loro capacità di influenzare l’evoluzione della rete. Gli oggetti di rischio possono essere collocati da due direzioni: in primo luogo, possono essere costruiti; ovvero, delle entità vengono collocate come oggetti di rischio se (1) le persone le identificano con successo come tali e (2) se le collegano affettivamente a dei danni. In secondo luogo gli oggetti di rischio possono essere collocati attraverso la resistenza al controllo; ovvero gli oggetti di rischio vengono collocati se ingegneri eterogenei non possono rimuoverli dal sistema o isolarli in reti di controllo. Gli oggetti di rischio possono anche essere collocati se le reti di controllo che li circondano diventano inaffidabili. Allo stesso modo la dislocazione, il concetto inverso della collocazione, può avvenire in due direzioni. Da un lato, gli oggetti di rischio possono essere dislocati attraverso la distruzione; ovvero un oggetto di rischio può essere dislocato se le persone attivamente ne sfidano l’esistenza oppure danneggiano/recidono il legame tra l’oggetto e il danno. Dall’altro lato invece gli oggetti di rischio possono essere dislocati attraverso il controllo; in altre parole, essi sono dislocati se gli ingegneri eterogenei sono capaci di isolarli in reti di controllo o rimuoverli completamente dal sistema. I conflitti in merito alla costruzione e al controllo di oggetti di rischio si generano nel mentre la rete sociotecnica evolve; gli oggetti vengono inoltre sospinti avanti e indietro in un continuum ideale tra collocazione e dislocazione proprio da questi conflittila cui dinamica è impredittibile. Nuovi oggetti possono essere creati, vecchi oggetti possono essere definiti come rischiosi e nuove informazioni possono recidere il legame tra un oggetto e un danno. Nuovi sistemi di controllo possono trasformare un oggetto di rischio in qualcosa che viene ritenuto inerte, oppure al contrario un incidente può sollevare improvvisamente dei dubbi sull’affidabilità di un sistema di controllo. Spesso i conflitti per collocare e dislocare oggetti di rischio implicano la raccolta di moltissimi dati o la costruzione di nuovi sistemi sociotecnici. Considerate lo sforzo di Nader e dei suoi colleghi per la collocazione di una nuova catena di oggetti di rischio nel mondo del trasporto automobilistico. Nei laboratori, nelle perizie legali relative agli incidenti, negli articoli scientifici, nei tribunali, in Unsafe at Any Speed, Nader e i suoi colleghi hanno messo in ordine dati e retorica allo scopo di definire come oggetti di rischio entità come “il secondo impatto”. La General Motors e i suoi alleati, dal canto loro, hanno tentato di resistere a questi sforzi e a dislocare queste definizioni. Nader e i suoi colleghi volevano imporre cambiamenti signiicativi nella struttura della rete di trasporto automobilistico, un fatto che rende conto dell’intensità del conflitto stesso. 12 Specificatamente, Nader ha tentato di circoscrivere alcuni oggetti di rischio (come ad esempio un certo tipo di freno e l’irresposnabilità di certe aziende), attraverso nuove reti di controllo intese ad eliminarli o a mitigarne gli effetti negativi. Aver realizzato questo – e contro una delle più grandi corporation americane – è stata una vera prodezza. Il successo è dipeso dalla collocazione decisa di nuovi oggetti di rischio nel mondo concettuale abitato da attori, come ad esempio il Congresso, sufficientemente forti da dire alla General Motors cosa fare. L’obiettivo di mitigare gli effetti devastanti del “secondo impatto” , il sogno di eliminarli completamente dipendeva, prima di tutto, dalla collocazione del “secondo impatto” nel network concettuale delle persone potenti che si occupavano degli incidenti automobilistici. I conflitti per la costruzione e il controllo degli oggetti di rischio è, in buona sostanza, una battaglia nella quale si decide la forma futura che prenderà la rete sociotecnica. Quando nuove definizioni di oggetti di rischio vengono collocate all’interno delle reti concettuali che le persone utilizzano per pensare ai sistemi tecnologici, tali definizioni agiscono su quel sistema. Sovente, le definizioni di nuovi oggetti di rischio vengono reificate in forma materiale nel mentre nuove reti di controllo gli vengono costruite intorno18. La vittoria ottenuta da Nader e i suoi colleghi nel 1966 è un caso esemplare: il National Highway Traffic Safety Act ha accelerato enormemente il processo attraverso cui il “secondo impatto” è diventato qualcosa di più di una frase coniata nei tardi anni Quaranta da un agente di polizia dello Stato dell’Indiana (Irwin, 1985); si è cioè trasformato in qualcosa da studiare attraverso prove di collisione scientifiche, ; qualcosa da prevenire attraverso l’uso di airbag e cinture di sicurezza automatiche; qualcosa che oggi è circondato da un esteso lavoro di ingegnerizzazione e controlli normativi19. La distribuzione sociale degli oggetti di rischio Questo movimento dinamico a due direzioni cui si deve la collocazione e dislocazione degli oggetti di rischio non avviene in un luogo astratto come la generica “società” ma in arene sociali specifiche. In quali di queste arene questa dinamica è più rapida e significativa? In quali mondi sociali l’inventario di oggetti sociali è più esteso? E dov’è che le reti concettuali 18 Questo punto è in parallelo con l’osservazione, nella nuova sociologia della scienza, che nuovi fatti e teorie vengono incorporati – direttamente e materialmente – in nuovi strumenti scientifici. Vedi anche Latour e Woolgar (1979); vedi anche Knorr-Cetina (1981). 19 I conflitti, naturalmente, continuano in merito al se questo network sia o meno “adeguato”, su come potrebbe essere migliorato e alle spese di chi. Per uno studio di caso sulle controversie riguardo agli air bag, vedere Reppy (1984). 13 che associano oggetti a danni raggiungono la complessità maggiore? E da quali tipi di arena è più probabile che emergano nuovi oggetti di rischio? In via generale nessuna risposta a queste domande è il “pubblico” o i mass media (anche se talvolta i media giocano un ruolo dirimente),20 e nonostante il peso che questo genere di attori occupano nella letteratura sul rischio. Al contrario, le arene più importanti per la costruzione di oggetti di rischio sono quelle che dedicano un attenzione costante alla costruzione di fatti e di macchine, leggi e normative, organizzazioni e sistemi di gestione, programmi di ricerca e sistemi di accumulazione dati, oggetti di rischio e reti per controllarli. Per fare un esempio considerate le attività che circondano uno degli oggetti di rischio connessi con il trasporto automobilistico: il diossido di carbonio. Non molto tempo fa il diossido di carbonio – un gas senza odore, senza colore e atossico – non era affatto considerato un oggetto di rischio ma un innocuo sottoprodotto della combustione. Nel corso degli ultimi decenni però il diossido di carbonio emesso nel mondo da oltre 386 milioni di automobili è stato traformato in un oggetto di rischio dalle enormi proporzioni 21. Il diossido di carbonio è stato associato ad un’entità nota come “effetto serra” che minaccia di far salire le temperature medie dell’atmosfera terrestre. Questo riscaldamento globale, a sua volta, minaccia di disciogliere i ghiacciai polari , di inondare le più grandi città sul pianeta terra, sconvolgere l’equilibrio dell’ecosistema terrestre e trasformare piantagioni rigogliose in deserti aridi. La connessione tra il diossido di carbonio e il pericolo globale è cominciata con le speculazioni di scienziati in merito agli scenari possibili in seguito ad un’accumulazione di questo gas nell’atmosfera. All’inizio questa connessione era debole, ma con il passare degli anni gli scienziati hanno sviluppato strumenti concettuali e materiali per stimare i pericoli del riscaldamento globale. Hanno fatto rilevazioni e costruito modelli computerizzati del clima terrestre. Hanno studiato le dinamiche attraverso cui i ghiacciai polari si formano e stimato la fine delle risorse combustibili fossili. Hanno mappato l’equilibrio energetico del pianeta e studiato i giacimenti di carbone rimasti. Hanno dibattuto in merito alla reale entità della minaccia e discusso su quali siano le possibili strategie di controllo. I governi, i gruppi ambientalisti e le organizzazioni transnazionali si sono uniti al dibattito. Per questa ragione un numero sempre più alto di attori si sta scontrando in merito a cosa, se non altro, dovrebbe 20 Naturalmente, i media talvolta svolgono un ruolo cruciale come veicolo che mobilizza proteste o come uno strumento per ingegnerizzare il consenso. Ma la sociologia del rischio non può negare i molti altri tipi di ingegnerizzazione – ovvero l’ingegneria dell’eterogeneo – coinvolti nella costruzione del rischio. I mass media non sono al centro della costruzione del rischio ma sono solo un punto della rete. 21 Le automobili, naturalmente, sono solo una delle fonti di diossido di carbonio. Il numero di 386 milioni di auto è una stima relativa al 1986. 14 essere fatto per controllare la rete di oggetti di rischio che ora è collegata al diossido di carbonio e di “aprire una nuova era nella qualeil secolo dell’effetto serra esista solo nei microchip di qualche supercomputer (Schneider, 1989). All’interno delle comunità specializzate coinvolte più intensamente nella costruzione della conoscenza intorno al tema del riscaldamento globale si è creato un insieme di oggetti di rischio che rimane ben lontano dall’attenzione pubblica. La distribuzione degli oggetti di rischio tra diversi gruppi sociali e collocazione all’interno delle reti sociotecniche rimane diseguale. In generale, la grandezza di questi inventori e la velocità con cui gli oggetti di rischio sono collocati e dislocati, sono maggiori all’interno di comunità di professionisti specializzati come ad esempio scienziati, ingegneri, avvocati, medici, funzionari governativi, manager, politici e così via. Per questa ragione, analisti della costruzione sociale del rischio che comincino il loro lavoro con “il pubblico” stanno cominciando il loro lavoro nel luogo sbagliato. Le azioni più importanti hanno luogo all’interno delle organizzazioni (Clarke, 1989), e all’interno di arene che sono popolate da comunità di specialisti e non in generale tra i singoli membri della popolazione. È vero anche che molti tecnologi passano le loro vite professionali provando a collocare e dislocare oggetti di rischio di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare; di solito solo un piccolo gruppo di specialisti è realmente interessato a tutti i calcoli e i test necessari alla costruzione di un nuovo oggetto di rischio, a mantenerlo sotto controllo e stabilire se tale controllo sia o meno “adeguato”. Gli analisti sociali della costruzione del rischio devono riconoscere che le risorse (ad esempio l’autorità culturale [Star,1982:13], gli strumenti concettuali, i fondi e i laboratori [Latour, 1987]) che necessitavano di far parte del processo di definizione degli oggetti di rischio sono distribuite in modo diseguale. I membri del pubblico mancano di tali risorse e anche i mass media hanno una “capacità di carico” finita (Hiltgartner and Bosk, 1988) per la costruzione e la dislocazione degli oggetti di rischio. Come risultato, il pubblico in generale gioca un ruolo limitato nella costruzione degli oggetti di rischio. Invece, nella maggior parte dei casi, gli oggetti di rischio e le reti di controllo che sono costruite attorno ad essi vengono a fondersi nel tessuto sociale senza che quasi nessuno se ne accorga. Le alternative spariscono ancora più tacitamente. Gli esperti tecnici e altri costruttori del sistema sono gli attori principali nella costruzione e nel controllo del rischio. Se il rischio deve essere compreso, e se nuove politiche di controllo devono essere sviluppate, allora i sociologi devono concentrarsi sui costruttori del sistema. 15 Conclusioni Il rischio non è un qualcosa che rimane attaccato agli oggetti una volta che gli ingegneri hanno finito il loro lavoro o per l’arrivo dei media e del pubblico. I rischi sono costruiti costantemente con l’evolversi delle reti tecnologiche. Gli scienziati sociali devono abbandonare il loro approccio post hoc al rischio, e devono concentrare l’analisi nelle arene dove professionisti specializzati lavorano più intensivamente per estendere le reti sociotecniche. Lo studio degli oggetti di rischio offre dunque un’opportunità per guardare all’interno delle reti del rischio e guardare alle dinamiche del processo attraverso cui i rischi sono creati, controllati e distribuiti. La ricerca sulla costruzione degli oggetti di rischio può inoltre contribuire a migliorare la gestione del rischio rivelando punti ciechi del nostro modo di concettualizzare il rischio. Ad esempio, nel sistema di produzione e di uso dell’elettricità esiste un bias (legato alle risorse) nella costruzione degli oggetti di rischio. I pericoli legati alle emissioni delle centrali elettriche sono regolamentati e lungamente dibattuti ma storicamente è stata data poca attenzionea, per esempio, gli hazard legati a lampadine inefficienti, che – dalla prospunto di vista della domanda – sono comunque una fonte di inquinamento atmosferico. Gli scienziati sociali possono contribuire a strategie per la gestione del rischio lavorando in modo da identificare i modi in cui l’organizzazione sociale restringe i tipi di oggetti di rischio che ricevono attenzione, a loro volta gli studiosi di politiche pubbliche esplorando i modi diversi attraverso cui vengono costruiti gli oggetti di rischio possono aiutare a portare alla luce “non-oggetti”. La soglia analitica della sociologia del rischio può essere resa più efficiente da future ricerche che esplorino: le strutture concettuali usate dalle persone per pensare al rischio; l’interazione tra la costruzione e il controllo del rischio; le vicende altalenanti degli oggetti di rischio e i conflitti generati dalla loro collocazione e dislocazione; la distribuzione diseguale degli oggetti di rischio e i processi che causano i mutamenti, nel tempo, degli inventari degli oggetti di rischio. La ricerca deve “seguire gli attori” (Latour, 1987), concentrandosi su quelli che provano ad indirizzare l’evoluzione delle reti tecnologiche. L’analisi della costruzione sociale degli oggetti di rischio può velocizzare il progresso verso la comprensione del come le reti di rischi, e i tentativi di controllarle, vengano a fondersi con il tessuto sociale e sociotecnico. 16 17