Roberto Weitnauer Stesura: 27 gennaio 2003 (23323 battute) www.kalidoxa.com Versione d’origine pubblicata, diritti ceduti a terzi Il drammatico ciclo di vita delle stelle Le stelle nascono da nebulose che si addensano. L’idrogeno, l’elemento più abbondante del cosmo, viene compresso dalla gravità della sua stessa massa gassosa entro spazi sempre più angusti. In questo processo la struttura atomica può essere scardinata, sino a che prende corpo un plasma iperdenso di elettroni e nuclei svincolati, non più organizzati. Nella materia iperdensa e surriscaldata i nuclei possono fondersi in sistemi più pesanti, all’inizio in elio, poi in altri elementi più complessi. Il processo di fusione libera un grande quantitativo di energia. È questo il momento critico in cui nasce una vera e propria stella. Tutti gli elementi presenti in natura sono stati sintetizzati nelle stelle che sono quindi responsabili anche dell’esistenza della biosfera, cioè del regno della vita. Una volta acceso, l’astro si sorregge a lungo in equilibrio tra la spinta endogena delle fusioni nucleari e la compressione gravitazionale, tra l’energia riscattata per fusione dalla materia e quella ceduta allo spazio circostante. Ma la sua sopravvivenza dipende dal consumo d’idrogeno. Quando il combustibile inizia a scarseggiare la stella si destabilizza. In breve tempo essa va incontro a una serie di contrazioni, espansioni e nuove fusioni, sino a che è costretta a giganteggiare in una sorta di canto del cigno e poi, in alcuni casi, a esplodere letteralmente, brillando come una galassia intera. Le stelle vivono e danno vita nel caos cosmico L’idea di lontani soli che si accendono e si spengono come lanterne ha un che di romantico, ma corrisponde a ciò che realmente accade nelle vastità cosmiche. Le stelle nascono e muoiono, al pari degli individui in carne e ossa. Si tratta ovviamente di generazioni di svariati ordini di grandezza più lunghe delle effimere vite umane, ma questo non c’impedisce di ravvisare nei cicli stellari una sorta di metabolismo, per modo di dire, al pari di quanto accade alle creature viventi. Il cosmo può intendersi come una sorta di immane sistema termodinamico, ossia alla stregua di un complesso meccanico formato da innumerevoli parti interagenti che incessantemente si scambiano energia. Si tratta di un sistema piuttosto caotico, se considerato nel lunghissimo termine. Tutto indica che l’universo evolve a senso unico e ciò è anche quanto risulta codificato nel secondo principio della termodinamica. Non sappiamo se mai il cosmo potrà tornare sui suoi passi, ma certo è che le stelle sono il risultato di un universo dinamico che si espande dall’epoca della sua esplosiva origine e che da allora non riesce a trovare un assetto bilanciato. 1/11 La venuta al mondo dei soli è retta da processi casuali, come accade alla biosfera terrestre che, a dispetto della sua armonia globale, evidenzia aspetti caotici ancor più marcati di quelli che contraddistinguono la materia cosmica. Anche la biosfera e le specie che la popolano evolvono a senso unico, essendo perennemente condizionate dal proprio passato. Le stelle assomigliano però a una specie un poco più costante, che si ripete nel corso delle generazioni cosmiche in un ambiente siderale sostanzialmente conservativo. Forse l’espansione universale decreterà un giorno lontano che le stelle non potranno più nascere o che non lo faranno più nello stesso modo. Ma per il momento le evidenze di cui dispongono gli astrofisici sono sufficienti per delineare un quadro ripetitivo piuttosto preciso, per quanto i processi di formazione stellare siano casuali e imprevedibili. Va sottolineato che la vita organica vera e propria dipende dalla presenza delle stelle. Questo non riguarda solo le considerazioni attorno all’energia solare che investe la Terra e permette così al regno vivente di perpetrarsi. Il discorso è più radicale, in quanto senza la fornace delle stelle gli elementi necessari alla stessa materia organica non avrebbero mai preso consistenza. Più in generale, come vedremo tra poco, tutti gli elementi chimici presenti nel nostro mondo traggono origine dalle stelle che li assemblano a partire da un atomo primordiale. L’addensamento di una nebulosa L’opportunità di nascere, così come lo sviluppo e la morte di una stella dipendono da come la materia distribuita nell’universo si trasforma in una lotta titanica tra pressioni gassose e peso, tra espansioni e collassi. Varie forze della natura s’interfacciano in questa genesi drammatica e nel successivo disfacimento: gravitazione su larga scala e forze del microcosmo. Si tratta di tutt’altro che un semplice fuoco, come si pensava invece un tempo più antico. L’incontro di questi effetti a scala differente avviene a un livello davvero estremo, sconosciuto sul nostro pianeta e ancora non agevolmente riproducibile dalla tecnologia. Benché appaia vuoto, lo spazio interstellare contiene pulviscolo e fluidi rarefatti. Minuscoli grani di carbonio e silicio fluttuano insieme all’idrogeno, l’elemento chimico più semplice e di gran lunga più diffuso nell’universo (il nostro Sistema Solare è un po’ un’eccezione). Si tratta di un lascito del Big Bang che, in una condizione ormai superata da oltre una dozzina di miliardi di anni, l’ha formato a partire dai suoi costituenti sub-atomici e, prima ancora, da un miscuglio di radiazioni. Quando l’attrazione gravitazionale tra le particelle prevale sull’agitazione termica, scarsa nel gelo siderale, si rapprende una nebulosa vorticante. I movimenti delle molecole al suo interno sono fisicamente spiegabili, ma imprevedibili, com’è tipico dei sistemi turbolenti. Le fluttuazioni di una nebulosa sono un fattore scatenante per la nascita di una stella. Esse dipendono da accidenti interni, dal transito di corpi celesti o anche da esplosioni di vicine stelle agonizzanti. Cruciale è l’istante in cui il rimescolamento dà luogo per aggregazione gravitazionale a uno o più grumi, un po’ come capita di scorgere nello zucchero quando si prepara uno zabaione. Un coagulo pronunciato diventa un centro 2/11 d’attrazione che destabilizza l’intera massa, facendola precipitare verso di esso. Stiamo alludendo a tempi molto lunghi, ma in questo modo la materia si addensa notevolmente, formando un sistema locale che tende a comprimersi, man mano che nuova materia si aggiunge. E la materia è davvero tanta. La gravità e le forze nucleari Queste sono le condizioni predisponenti per la generazione di un nuovo astro brillante. Tuttavia, una stella non è semplicemente una nebulosa un po’ compressa. C’è ben altro. Bisogna considerare le reazioni di fusione termonucleare interne che sopravvengono solo se si superano talune soglie fisiche. Qui abbiamo a che vedere con il coinvolgimento delle forze subatomiche, in particolare delle forze nucleari. La loro chiamata in causa dipende ancora dalla gravità che s’identifica come il motore primo stellare. Possiamo sostenere in questo caso che la gravità pone in contatto il globale con il locale. Nel ristretto spazio della struttura atomica l’entità della forza gravitazionale scompare letteralmente al cospetto delle intense interazioni atomiche. Ce n’è di due tipi. Ci sono quelle che tengono insieme le parti (protoni e neutroni) del nucleo centrale positivo e quelle scambiate tra lo stesso nucleo positivo e gli elettroni negativi distribuiti intorno. Due atomi vicini si attirano quindi in maniera molto fievole, mentre possono subire stravolgimenti a causa delle forze elettriche scambiate negli spazi occupati dagli elettroni. Queste variazioni energetiche sono all’origine delle reazioni studiate dalla chimica. Occorre però sottolineare che, sebbene sia localmente molto debole, la forza di attrazione tra le micromasse diminuisce con la distanza molto meno di quanto non facciano le interazioni di scala atomica. In particolare, le forze nel nucleo sono estremamente tenaci, ma solo entro spazi subatomici davvero angusti. Ciò significa che quando due atomi sono lontani uno dall’altro la gravitazione è l’unica forza residua che li possa influenzare un poco. Il fatto ha una notevolissima ricaduta se pensiamo che gli atomi distribuiti nello spazio possono essere innumerevoli. Infatti, la gravità può intensificarsi, raccogliendo molti contributi distanti. È proprio quanto succede quando una nebulosa si condensa. La gravità lavora per accumulo progressivo di parti lontane, sino ad assumere valori straordinari. In questo modo essa, pure non essendo di per sé localmente intensa, giunge a superare l’entità delle interazioni nucleari. In altre parole, la gravità causa compressioni talmente ingenti da interessare la struttura atomica. L’effetto non è però immediato e si produce per fasi successive. Vediamo per sommi come esse si articolino. Dalla protostella alla nana bruna e al plasma Le molecole di idrogeno attirate verso il grumo della nebulosa collidono con sempre maggiore intensità in una regione ridotta. Ne deriva un aumento delle loro velocità medie, com’è tipico di ogni gas che viene costretto in un volume minore. Visto dal nostro mondo grossolano, questo significa che si produce un aumento della temperatura (agitazione termica). Come i fisici ben sanno, ogni surriscaldamento 3/11 genera radiazioni di determinata lunghezza d’onda. A temperature più alte corrispondono frequenze superiori. L’emissione elettromagnetica può interessare anche lo spettro visibile, nel qual caso si ha un irraggiamento di luce. Per intenderci, è la condizione tipica del filamento della lampadina. L’incremento termico conseguente all’azione gravitazionale tende a dilatare il cuore della massa, facendolo lavorare contro il collasso centripeto di tutto il gas. Quando la resistenza interna e la compressione meccanica dell’idrogeno si equilibrano ci troviamo al cospetto di una “protostella”. L’evoluzione del sistema può allora imboccare due vie. Tanto per cambiare, discriminante è la gravità messa in gioco dalla materia. Se l’aggregazione non è sufficiente a portare la temperatura centrale sopra i 10 milioni di gradi si configura una cosiddetta “nana bruna”. Il nome fa capire che le dimensioni e la luminosità emessa per surriscaldamento sono scarse. Non è esattamente ciò che intendiamo per stella. Se viceversa l’azione meccanica spinge l’agitazione molecolare oltre la soglia critica, ecco che gli elettroni negativi, compressi spasmodicamente ed eccitati dalle enormi densità energetiche, si dissociano dai nuclei positivi. La nascita della stella è ora più vicina. In condizioni terrestri ordinarie i gas sono neutri, ma quando gli elettroni e i nuclei si svincolano tra loro, ecco che i gas, implosi in spazi ridotti, si tramutano in un miscuglio di cariche vaganti, ciò che corrisponde al “plasma”. Ben il 99% della materia dell’universo è presente in forma di plasma, dato che su scala cosmica oltre alle stelle, formate appunto di plasma, non c’è molto. Per questo e per la sua condizione caratteristica i fisici definiscono il plasma anche come “quarto stato della materia” (al di là della condizione gassosa, liquida e solida). L’avvio della fusione nucleare Gli elettroni che s’incontrano nel plasma d’idrogeno si respingono, dato che hanno uguale segno di carica. Entro ampi margini lo fanno anche i nuclei denudati che sono tutti positivi. Quando tuttavia questi ultimi si trovano per un tempo sufficiente confinati e pressati dall’agitazione termica entro distanze dello stesso ordine di grandezza delle loro minime dimensioni (circa 10-12 millimetri), ecco che le repulsioni elettrostatiche possono essere scalzate dalle reazioni nucleari di legame. Succede allora che due nuclei collidenti vengano a fondersi in un corpo unico, sempre di carica positiva. Questi nuclei più pesanti sono quelli presenti negli atomi del gas nobile elio (‘hélios’ in greco significa ‘Sole’). Lo sfondamento della struttura atomica dell’idrogeno ad altissime pressioni e temperature con la conseguente formazione di plasma densissimo e la fusione dei nuclei di idrogeno in più pesanti nuclei di elio corrisponde alle reazioni termonucleari cui si accennava più sopra. L’innesco di queste ultime dipende dunque dall’entità della compressione cui la nebulosa viene sottoposta, ovvero dipende dal campo gravitazionale che la massa totale implodente riesce a stabilire. In genere basta circa il 5% del peso del Sole per innescare la fusione nel giro di alcuni milioni di anni. È ora importante osservare che la massa risultante di ogni nuovo nucleo atomico di elio è inferiore alla somma delle masse separate dell’idrogeno. Per capirlo ricordiamo 4/11 intanto che il nucleo di un atomo è formato da protoni caricati positivamente e neutroni privi di carica. I cosiddetti isotopi sono elementi chimici con lo stesso numero di protoni, ma che possono differire per il numero di neutroni. In un atomo non carico i protoni del nucleo e gli elettroni si compensano elettricamente. Gli isotopi sono quindi tutti neutri, ma accusano pesi che dipendono dal numero di neutroni presenti. L’energia liberata dalla fusione di isotopi L’idrogeno può manifestarsi in tre forme differenti corrispondenti ad altrettanti isotopi. Tutti e tre le forme hanno un elettrone e un protone. L’idrogeno propriamente detto, molto più frequente, ha solo queste due particelle. Il deuterio dispone nel nucleo un neutrone addizionale. Il trizio di due. Possedendo un solo elettrone esterno equilibrato dal protone interno, tutti e tre questi elementi hanno uguale comportamento chimico. Essi hanno tuttavia pesi crescenti. Inoltre, la presenza di neutroni suppletivi nel nucleo modifica l’intensità delle forze nucleari (non coinvolte nelle reazioni chimiche). La circostanza ha ripercussioni critiche sulla fusione. Infatti, la probabilità di un accorpamento dei nuclei (privati degli elettroni) che fluttuano nel plasma è massima quando s’incontrano i nuclei del deuterio e del trizio. Come risultato dovrebbe costituirsi un nuovo nucleo dotato di due protoni e di tre neutroni. Tuttavia, questa configurazione è instabile al cospetto delle forze nucleari. Infatti, dopo la fusione un neutrone viene liberato. Così, abbiamo un nucleo nudo di elio (chiamato anche “particella alfa”) che pesa meno dei nuclei originari di deuterio e trizio. La differenza di massa si esprime dunque in un neutrone liberato. Secondo la nota equivalenza di Einstein tra massa ed energia (E = mc2), a tale particella corrisponde una radiazione. In sostanza, la fusione nucleare tra deuterio e trizio è una reazione fisica che determina una perdita di massa e un conseguente rilascio di energia radiante verso l’esterno. Ma gli isotopi dell’idrogeno non sono frequenti e quella descritta non è l’unica condizione di fusione che determina un’emissione elettromagnetica. L’energia liberata da altre fusioni Come si diceva, il nucleo di un atomo è formato da protoni e neutroni, ma se andiamo a pesarlo ci accorgiamo ch’esso pesa meno della somma dei suoi costituenti. Questo accade per via dell’energia di legame, quella relativa alle forze nucleari che lo tengono insieme saldamente. In altre parole, quando i costituenti si riuniscono cadono a un livello energetico inferiore, si stabilizzano e liberano l’eccesso, facendo diminuire la massa totale del gruppo, sempre per via della legge sull’equivalenza tra massa ed energia. Questo accade nelle stelle quando due nuclei d’idrogeno, cioè due protoni indipendenti, s’incontrano nel plasma con due neutroni liberi. Si forma un complesso di due protoni e due neutroni che corrisponde al nucleo dell’elio. La massa vincolata di quest’ultimo è inferiore alle masse globali libere, perché l’incontro determina un notevole rilascio energetico. 5/11 Le descrizioni qui date sono semplificate. In realtà, tutte le reazioni che interessano i costituenti e gli isotopi dell’idrogeno sono fisicamente collegate e sono più articolate. I fisici parlano di “ciclo dell’idrogeno”. Ad ogni modo, fondamentale è tenere presente che nelle fusioni di questi nuclei semplici si ha come risultato una perdita di massa che si estrinseca come rilascio energetico di onde elettromagnetiche. L’emissione avviene su un ampio spettro di frequenze, nelle vesti di calore, luce, onde radio, raggi x, raggi gamma. La materia compressa della nebulosa in forma di plasma inizia allora a diventare incandescente. Ciò che compare a quel punto nel buio siderale è finalmente una vera stella. Il sistema si è acceso e durerà per molto. Equilibrio termico e meccanico della stella La compressione del materiale della nebulosa in un plasma denso riflette una notevole perdita di volume della massa globale interessata al fenomeno. Infatti, quando la struttura atomica dell’idrogeno viene scardinata e gli elettroni schizzano via il materiale subisce un addensamento piuttosto violento. Bisogna in questo senso tenere presente che lo spazio occupato dagli elettroni intorno al nucleo atomico è straordinariamente vasto rispetto alle dimensioni del nucleo stesso. In sostanza, un atomo è per lo più vuoto. Parte dell’energia liberata dalla stella s’irradia nello spazio circostante, ma parte concorre a mantenere la temperatura interna elevata. Così, allo sfondamento della struttura atomica dell’idrogeno non consegue un immediato ulteriore addensamento della materia. Infatti, la spinta suppletiva generata dal calore della fusione contrasta la forte gravità, controbilanciandola. La stella va incontro a una stasi, un poco come capita a un soufflé durante la cottura nel forno. Oltre all’equilibrio meccanico vige nella stella un equilibrio termico. Infatti, l’energia persa verso l’esterno uguaglia nel tempo quella immessa all’interno dalle reazioni di fusione. Se non fosse così, l’astro perderebbe energia e collasserebbe su sé medesimo sotto l’azione gravitazionale. Oppure, esso immagazzinerebbe porzioni termiche crescenti, dilatandosi a dismisura per smaltirle, eventualmente sino a esplodere. La maggior parte della vita stellare trascorre in condizioni bilanciate. Alcuni soli entrano periodicamente in regimi instabili e si parla allora di “stelle variabili”, giacché la loro dimensione e la loro emissione oscillano un po’ nel tempo. La stella consuma combustibile Finché permane un sufficiente quantitativo di idrogeno nel plasma, le reazioni termonucleari si perpetuano, sorreggendo l’astro dall’interno. È dunque importante considerare che in una stella l’equilibrio, più o meno stabile, viene mantenuto a scapito del consumo di un combustibile. Per fare un esempio, la nostra stella madre, la cui temperatura interna si aggira sui 14 milioni di gradi, converte ogni secondo circa 500 milioni di tonnellate di idrogeno in elio (perdendo nel processo circa 5 milioni di tonnellate di materia che si trasformano in energia radiante). Malgrado il suo spasmodico consumo, il Sole è una stella di mezza età e dispone di combustibile per i prossimi 5 miliardi di anni. 6/11 Ma che succede se l’idrogeno inizia a scarseggiare? Le reazioni termonucleari segnano il passo quando circa il 10% dell’idrogeno totale è consumato. Infatti, tali reazioni riguardano solo il nocciolo centrale della stella, non gli strati più esterni dove la pressione gravitazionale non è ancora così elevata da poterle innescarle e dove permane quindi il 90% dell’idrogeno. Ecco allora che, privata della spinta endogena, l’intera massa stellare tende a spegnersi e a cedere sotto il proprio enorme peso. Ciò determina un ulteriore compressione e un nuovo surriscaldamento del nocciolo ormai ricco di elio. A 100 milioni di gradi anche questo gas nobile va incontro alla fusione nucleare. Nella stella contratta si generano allora elementi ancora più pesanti (come carbonio e ossigeno) e dalla struttura della materia si libera nuovamente dell’energia. Ma tale riaccensione segna per l’astro l’ingresso nella vecchiaia. Dopo la fase metabolica adulta relativamente tranquilla i gas interni ipercompressi mutano il loro comportamento e inducono una serie di oscillazioni instabili. La terza età è breve e violenta. La nana bianca dopo la gigante rossa A un bel momento il cuore non è più in grado di riscattare energia termica dalla materia e riprende a contrarsi e quindi a surriscaldarsi. Si aggiunge anche il calore proveniente dagli strati esterni non depauperati in cui il 90% dell’idrogeno prima non consumato, chiamato in causa dal grande calore centrale privo di sfogo, ha nel frattempo preso la via della fusione. In queste condizioni, diversamente da quanto accade quando nasce e si assesta su un equilibrio termomeccanico, la stella non riesce a smaltire tutta l’energia liberata dal centro contratto, nonché dagli strati circostanti. Ecco allora che il nostro soufflé è costretto a lievitare enormemente, cedendo allo spazio su una maggiore superficie di scambio l’energia che produce all’interno e alla periferia. La dilatazione volumetrica abbassa l’agitazione termica e la superficie dell’astro si raffredda sino ai 3000 gradi circa. In quel momento la sua luminosità è rossiccia, ma formidabile. Abbiamo una cosiddetta “gigante rossa”, 1000 volte più estesa dell’astro originario, che in una sorta di canto del cigno può inghiottire un intero sistema solare. La nube gassosa infine si dirada, lasciando un globo accartocciato di elio e carbonio roventi, una “nana bianca” iperdensa e grande come un pianeta che col graduale raffreddamento si scurisce. Dalla supernova alla pulsar e al buco nero Per la verità, non tutte le stelle agonizzano con tale enfasi. Lo fanno quelle che hanno dimensioni almeno pari al Sole. Sussistono d’altronde destini ancor più eclatanti dopo la fase di gigantismo. Sono riservati alle unità con massa almeno 12 volte quella solare, una minoranza. In queste condizioni i cicli di contrazione e dilatazione giungono con le successive fusioni di elementi sempre più pesanti sino alla sintesi del ferro che però, per le caratteristiche del proprio nucleo, segna una soglia insuperabile. 7/11 A 7 miliardi di gradi il ferro torna infatti a scindersi in elio, invece di fusionare ulteriormente. Questo processo è endotermico, non esotermico, il che significa che assorbe energia, non la svincola. Le reazioni termonucleari s’interrompono e il nocciolo subisce un collasso senza precedenti. Per il micidiale contraccolpo e il calore prodotto il mantello esterno di gas che contiene ancora elementi fusionabili deflagra in una serie violenta di reazioni nucleari. La materia è espulsa a 35 milioni di km all’ora. Questa è la “supernova” che subentra alla gigante rossa e che riluce come una galassia intera. Ce ne sono circa 3 al secolo nella Via Lattea. Lo spettacolo di morte è grandioso, ma è un fuoco di paglia di poche settimane. Ciò che rimane è una roteante “stella di neutroni” (pulsar) grande come una metropoli e composta di materia così fitta da non lasciare posto agli elettroni, nemmeno in forma libera. Un cucchiaino di quel fluido pesa come una montagna. C’è di più. Se la massa residua è oltre 3-4 volte quella solare essa implode oltre ogni limite. La gravità nel centro impedisce persino l’uscita della luce. Nasce un “buco nero”, una sorta di aspirapolvere cosmico che tutto risucchia. Durata e dimensioni delle stelle Più una stella è grande e maggiore sarà l’effetto della sua gravità. Per quanto visto, comprendiamo che più avanzate devono risultare anche le fasi della sua fusione nucleare interna. E infatti è così. Dopo l’elio si forma il carbonio, poi questo e l’elio si trasformano in ossigeno, neon e magnesio; a sua volta, l’ossigeno produce silicio e zolfo. E via di questo passo. Come si diceva, gli elementi sono sintetizzati nelle stelle a partire dal semplice idrogeno, l’atomo prevalente nel cosmo. Ed è così che si sono formati i composti necessari alla biosfera e quindi alla nostra vita umana. Abbiamo visto anche che la fusione inizia sempre dal centro, dove le temperature sono più alte e dove quindi i nuclei sono lanciati a maggior velocità l’uno contro l’altro. Dal centro prendono l’avvio anche le fusioni successive di elementi più massicci, mentre quelli più leggeri fusionano più all’esterno. In effetti, man mano che si procede verso gli strati più interni di una stella grande si riscontrano elementi sempre più pesanti. La sintesi degli elementi per fusione nucleare avviene insomma per fasi di contrazione ed espansione e si configura in una struttura concentrica tipo “Matrioska”. Una specie di cuore pulsante. La vita di una stella dipende dalle dimensioni. Un astro voluminoso ha più combustibile, ma lo consuma in fretta sotto la pressione gravitazionale. Nel complesso un’unità grande vive meno di una piccola. Le durate calcolate vanno da alcuni milioni a decine di miliardi di anni. In una notte limpida fuori città possiamo scorgere circa cinquemila stelle se abbiamo una buona vista. Il nostro colpo d’occhio è un attimo fuggevole del loro ciclo. Esse non sono fuochi di dei, come pensavano alcune antiche popolazioni, ma la possibilità della nostra esistenza discende da quei remoti puntini luminosi. Roberto Weitnauer 8/11 Resti di una supernova: http://www.astrosurf.com/skyway/Mes%20images/skyway/large.supernova.jpg 9/11 Una nebulosa in condensazione vista agli infrarossi; da essa nasceranno delle stelle: http://www.le.infn.it/fasano/fotometro/nebula.jpg 10/11 Una gigante rossa che eietta materia in una raffigurazione artistica: http://esamultimedia.esa.int/images/Science/Akari/Red_giant_Artists-impression_H.jpg 11/11