1/11 Il drammatico ciclo di vita delle stelle Le stelle

Roberto Weitnauer
Stesura: 27 gennaio 2003
(23323 battute)
www.kalidoxa.com
Versione d’origine pubblicata, diritti ceduti a terzi
Il drammatico ciclo di vita delle stelle
Le stelle nascono da nebulose che si addensano. L’idrogeno, l’elemento più
abbondante del cosmo, viene compresso dalla gravità della sua stessa massa gassosa
entro spazi sempre più angusti. In questo processo la struttura atomica può essere
scardinata, sino a che prende corpo un plasma iperdenso di elettroni e nuclei
svincolati, non più organizzati.
Nella materia iperdensa e surriscaldata i nuclei possono fondersi in sistemi più
pesanti, all’inizio in elio, poi in altri elementi più complessi. Il processo di fusione
libera un grande quantitativo di energia. È questo il momento critico in cui nasce
una vera e propria stella. Tutti gli elementi presenti in natura sono stati sintetizzati
nelle stelle che sono quindi responsabili anche dell’esistenza della biosfera, cioè del
regno della vita.
Una volta acceso, l’astro si sorregge a lungo in equilibrio tra la spinta endogena
delle fusioni nucleari e la compressione gravitazionale, tra l’energia riscattata per
fusione dalla materia e quella ceduta allo spazio circostante. Ma la sua
sopravvivenza dipende dal consumo d’idrogeno.
Quando il combustibile inizia a scarseggiare la stella si destabilizza. In breve tempo
essa va incontro a una serie di contrazioni, espansioni e nuove fusioni, sino a che è
costretta a giganteggiare in una sorta di canto del cigno e poi, in alcuni casi, a
esplodere letteralmente, brillando come una galassia intera.
Le stelle vivono e danno vita nel caos cosmico
L’idea di lontani soli che si accendono e si spengono come lanterne ha un che di
romantico, ma corrisponde a ciò che realmente accade nelle vastità cosmiche. Le
stelle nascono e muoiono, al pari degli individui in carne e ossa. Si tratta ovviamente
di generazioni di svariati ordini di grandezza più lunghe delle effimere vite umane,
ma questo non c’impedisce di ravvisare nei cicli stellari una sorta di metabolismo, per
modo di dire, al pari di quanto accade alle creature viventi.
Il cosmo può intendersi come una sorta di immane sistema termodinamico, ossia
alla stregua di un complesso meccanico formato da innumerevoli parti interagenti che
incessantemente si scambiano energia. Si tratta di un sistema piuttosto caotico, se
considerato nel lunghissimo termine. Tutto indica che l’universo evolve a senso unico
e ciò è anche quanto risulta codificato nel secondo principio della termodinamica.
Non sappiamo se mai il cosmo potrà tornare sui suoi passi, ma certo è che le stelle
sono il risultato di un universo dinamico che si espande dall’epoca della sua esplosiva
origine e che da allora non riesce a trovare un assetto bilanciato.
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La venuta al mondo dei soli è retta da processi casuali, come accade alla biosfera
terrestre che, a dispetto della sua armonia globale, evidenzia aspetti caotici ancor più
marcati di quelli che contraddistinguono la materia cosmica. Anche la biosfera e le
specie che la popolano evolvono a senso unico, essendo perennemente condizionate
dal proprio passato. Le stelle assomigliano però a una specie un poco più costante,
che si ripete nel corso delle generazioni cosmiche in un ambiente siderale
sostanzialmente conservativo.
Forse l’espansione universale decreterà un giorno lontano che le stelle non
potranno più nascere o che non lo faranno più nello stesso modo. Ma per il momento
le evidenze di cui dispongono gli astrofisici sono sufficienti per delineare un quadro
ripetitivo piuttosto preciso, per quanto i processi di formazione stellare siano casuali e
imprevedibili.
Va sottolineato che la vita organica vera e propria dipende dalla presenza delle
stelle. Questo non riguarda solo le considerazioni attorno all’energia solare che
investe la Terra e permette così al regno vivente di perpetrarsi. Il discorso è più
radicale, in quanto senza la fornace delle stelle gli elementi necessari alla stessa
materia organica non avrebbero mai preso consistenza. Più in generale, come
vedremo tra poco, tutti gli elementi chimici presenti nel nostro mondo traggono
origine dalle stelle che li assemblano a partire da un atomo primordiale.
L’addensamento di una nebulosa
L’opportunità di nascere, così come lo sviluppo e la morte di una stella dipendono
da come la materia distribuita nell’universo si trasforma in una lotta titanica tra
pressioni gassose e peso, tra espansioni e collassi. Varie forze della natura
s’interfacciano in questa genesi drammatica e nel successivo disfacimento:
gravitazione su larga scala e forze del microcosmo. Si tratta di tutt’altro che un
semplice fuoco, come si pensava invece un tempo più antico. L’incontro di questi
effetti a scala differente avviene a un livello davvero estremo, sconosciuto sul nostro
pianeta e ancora non agevolmente riproducibile dalla tecnologia.
Benché appaia vuoto, lo spazio interstellare contiene pulviscolo e fluidi rarefatti.
Minuscoli grani di carbonio e silicio fluttuano insieme all’idrogeno, l’elemento
chimico più semplice e di gran lunga più diffuso nell’universo (il nostro Sistema
Solare è un po’ un’eccezione). Si tratta di un lascito del Big Bang che, in una
condizione ormai superata da oltre una dozzina di miliardi di anni, l’ha formato a
partire dai suoi costituenti sub-atomici e, prima ancora, da un miscuglio di radiazioni.
Quando l’attrazione gravitazionale tra le particelle prevale sull’agitazione termica,
scarsa nel gelo siderale, si rapprende una nebulosa vorticante. I movimenti delle
molecole al suo interno sono fisicamente spiegabili, ma imprevedibili, com’è tipico
dei sistemi turbolenti. Le fluttuazioni di una nebulosa sono un fattore scatenante per
la nascita di una stella. Esse dipendono da accidenti interni, dal transito di corpi
celesti o anche da esplosioni di vicine stelle agonizzanti.
Cruciale è l’istante in cui il rimescolamento dà luogo per aggregazione
gravitazionale a uno o più grumi, un po’ come capita di scorgere nello zucchero
quando si prepara uno zabaione. Un coagulo pronunciato diventa un centro
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d’attrazione che destabilizza l’intera massa, facendola precipitare verso di esso.
Stiamo alludendo a tempi molto lunghi, ma in questo modo la materia si addensa
notevolmente, formando un sistema locale che tende a comprimersi, man mano che
nuova materia si aggiunge. E la materia è davvero tanta.
La gravità e le forze nucleari
Queste sono le condizioni predisponenti per la generazione di un nuovo astro
brillante. Tuttavia, una stella non è semplicemente una nebulosa un po’ compressa.
C’è ben altro. Bisogna considerare le reazioni di fusione termonucleare interne che
sopravvengono solo se si superano talune soglie fisiche. Qui abbiamo a che vedere
con il coinvolgimento delle forze subatomiche, in particolare delle forze nucleari. La
loro chiamata in causa dipende ancora dalla gravità che s’identifica come il motore
primo stellare. Possiamo sostenere in questo caso che la gravità pone in contatto il
globale con il locale.
Nel ristretto spazio della struttura atomica l’entità della forza gravitazionale
scompare letteralmente al cospetto delle intense interazioni atomiche. Ce n’è di due
tipi. Ci sono quelle che tengono insieme le parti (protoni e neutroni) del nucleo
centrale positivo e quelle scambiate tra lo stesso nucleo positivo e gli elettroni
negativi distribuiti intorno. Due atomi vicini si attirano quindi in maniera molto
fievole, mentre possono subire stravolgimenti a causa delle forze elettriche scambiate
negli spazi occupati dagli elettroni. Queste variazioni energetiche sono all’origine
delle reazioni studiate dalla chimica.
Occorre però sottolineare che, sebbene sia localmente molto debole, la forza di
attrazione tra le micromasse diminuisce con la distanza molto meno di quanto non
facciano le interazioni di scala atomica. In particolare, le forze nel nucleo sono
estremamente tenaci, ma solo entro spazi subatomici davvero angusti.
Ciò significa che quando due atomi sono lontani uno dall’altro la gravitazione è
l’unica forza residua che li possa influenzare un poco. Il fatto ha una notevolissima
ricaduta se pensiamo che gli atomi distribuiti nello spazio possono essere
innumerevoli. Infatti, la gravità può intensificarsi, raccogliendo molti contributi
distanti.
È proprio quanto succede quando una nebulosa si condensa. La gravità lavora per
accumulo progressivo di parti lontane, sino ad assumere valori straordinari. In questo
modo essa, pure non essendo di per sé localmente intensa, giunge a superare l’entità
delle interazioni nucleari. In altre parole, la gravità causa compressioni talmente
ingenti da interessare la struttura atomica. L’effetto non è però immediato e si
produce per fasi successive. Vediamo per sommi come esse si articolino.
Dalla protostella alla nana bruna e al plasma
Le molecole di idrogeno attirate verso il grumo della nebulosa collidono con
sempre maggiore intensità in una regione ridotta. Ne deriva un aumento delle loro
velocità medie, com’è tipico di ogni gas che viene costretto in un volume minore.
Visto dal nostro mondo grossolano, questo significa che si produce un aumento della
temperatura (agitazione termica). Come i fisici ben sanno, ogni surriscaldamento
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genera radiazioni di determinata lunghezza d’onda. A temperature più alte
corrispondono frequenze superiori. L’emissione elettromagnetica può interessare
anche lo spettro visibile, nel qual caso si ha un irraggiamento di luce. Per intenderci,
è la condizione tipica del filamento della lampadina.
L’incremento termico conseguente all’azione gravitazionale tende a dilatare il
cuore della massa, facendolo lavorare contro il collasso centripeto di tutto il gas.
Quando la resistenza interna e la compressione meccanica dell’idrogeno si
equilibrano ci troviamo al cospetto di una “protostella”. L’evoluzione del sistema può
allora imboccare due vie. Tanto per cambiare, discriminante è la gravità messa in
gioco dalla materia.
Se l’aggregazione non è sufficiente a portare la temperatura centrale sopra i 10
milioni di gradi si configura una cosiddetta “nana bruna”. Il nome fa capire che le
dimensioni e la luminosità emessa per surriscaldamento sono scarse. Non è
esattamente ciò che intendiamo per stella. Se viceversa l’azione meccanica spinge
l’agitazione molecolare oltre la soglia critica, ecco che gli elettroni negativi,
compressi spasmodicamente ed eccitati dalle enormi densità energetiche, si
dissociano dai nuclei positivi. La nascita della stella è ora più vicina.
In condizioni terrestri ordinarie i gas sono neutri, ma quando gli elettroni e i nuclei
si svincolano tra loro, ecco che i gas, implosi in spazi ridotti, si tramutano in un
miscuglio di cariche vaganti, ciò che corrisponde al “plasma”. Ben il 99% della
materia dell’universo è presente in forma di plasma, dato che su scala cosmica oltre
alle stelle, formate appunto di plasma, non c’è molto. Per questo e per la sua
condizione caratteristica i fisici definiscono il plasma anche come “quarto stato della
materia” (al di là della condizione gassosa, liquida e solida).
L’avvio della fusione nucleare
Gli elettroni che s’incontrano nel plasma d’idrogeno si respingono, dato che hanno
uguale segno di carica. Entro ampi margini lo fanno anche i nuclei denudati che sono
tutti positivi. Quando tuttavia questi ultimi si trovano per un tempo sufficiente
confinati e pressati dall’agitazione termica entro distanze dello stesso ordine di
grandezza delle loro minime dimensioni (circa 10-12 millimetri), ecco che le
repulsioni elettrostatiche possono essere scalzate dalle reazioni nucleari di legame.
Succede allora che due nuclei collidenti vengano a fondersi in un corpo unico,
sempre di carica positiva. Questi nuclei più pesanti sono quelli presenti negli atomi
del gas nobile elio (‘hélios’ in greco significa ‘Sole’).
Lo sfondamento della struttura atomica dell’idrogeno ad altissime pressioni e
temperature con la conseguente formazione di plasma densissimo e la fusione dei
nuclei di idrogeno in più pesanti nuclei di elio corrisponde alle reazioni termonucleari
cui si accennava più sopra. L’innesco di queste ultime dipende dunque dall’entità
della compressione cui la nebulosa viene sottoposta, ovvero dipende dal campo
gravitazionale che la massa totale implodente riesce a stabilire. In genere basta circa
il 5% del peso del Sole per innescare la fusione nel giro di alcuni milioni di anni.
È ora importante osservare che la massa risultante di ogni nuovo nucleo atomico di
elio è inferiore alla somma delle masse separate dell’idrogeno. Per capirlo ricordiamo
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intanto che il nucleo di un atomo è formato da protoni caricati positivamente e
neutroni privi di carica. I cosiddetti isotopi sono elementi chimici con lo stesso
numero di protoni, ma che possono differire per il numero di neutroni. In un atomo
non carico i protoni del nucleo e gli elettroni si compensano elettricamente. Gli
isotopi sono quindi tutti neutri, ma accusano pesi che dipendono dal numero di
neutroni presenti.
L’energia liberata dalla fusione di isotopi
L’idrogeno può manifestarsi in tre forme differenti corrispondenti ad altrettanti
isotopi. Tutti e tre le forme hanno un elettrone e un protone. L’idrogeno propriamente
detto, molto più frequente, ha solo queste due particelle. Il deuterio dispone nel
nucleo un neutrone addizionale. Il trizio di due. Possedendo un solo elettrone esterno
equilibrato dal protone interno, tutti e tre questi elementi hanno uguale
comportamento chimico. Essi hanno tuttavia pesi crescenti. Inoltre, la presenza di
neutroni suppletivi nel nucleo modifica l’intensità delle forze nucleari (non coinvolte
nelle reazioni chimiche).
La circostanza ha ripercussioni critiche sulla fusione. Infatti, la probabilità di un
accorpamento dei nuclei (privati degli elettroni) che fluttuano nel plasma è massima
quando s’incontrano i nuclei del deuterio e del trizio. Come risultato dovrebbe
costituirsi un nuovo nucleo dotato di due protoni e di tre neutroni. Tuttavia, questa
configurazione è instabile al cospetto delle forze nucleari. Infatti, dopo la fusione un
neutrone viene liberato. Così, abbiamo un nucleo nudo di elio (chiamato anche
“particella alfa”) che pesa meno dei nuclei originari di deuterio e trizio.
La differenza di massa si esprime dunque in un neutrone liberato. Secondo la nota
equivalenza di Einstein tra massa ed energia (E = mc2), a tale particella corrisponde
una radiazione. In sostanza, la fusione nucleare tra deuterio e trizio è una reazione
fisica che determina una perdita di massa e un conseguente rilascio di energia
radiante verso l’esterno. Ma gli isotopi dell’idrogeno non sono frequenti e quella
descritta non è l’unica condizione di fusione che determina un’emissione
elettromagnetica.
L’energia liberata da altre fusioni
Come si diceva, il nucleo di un atomo è formato da protoni e neutroni, ma se
andiamo a pesarlo ci accorgiamo ch’esso pesa meno della somma dei suoi costituenti.
Questo accade per via dell’energia di legame, quella relativa alle forze nucleari che
lo tengono insieme saldamente. In altre parole, quando i costituenti si riuniscono
cadono a un livello energetico inferiore, si stabilizzano e liberano l’eccesso, facendo
diminuire la massa totale del gruppo, sempre per via della legge sull’equivalenza tra
massa ed energia.
Questo accade nelle stelle quando due nuclei d’idrogeno, cioè due protoni
indipendenti, s’incontrano nel plasma con due neutroni liberi. Si forma un complesso
di due protoni e due neutroni che corrisponde al nucleo dell’elio. La massa vincolata
di quest’ultimo è inferiore alle masse globali libere, perché l’incontro determina un
notevole rilascio energetico.
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Le descrizioni qui date sono semplificate. In realtà, tutte le reazioni che interessano
i costituenti e gli isotopi dell’idrogeno sono fisicamente collegate e sono più
articolate. I fisici parlano di “ciclo dell’idrogeno”. Ad ogni modo, fondamentale è
tenere presente che nelle fusioni di questi nuclei semplici si ha come risultato una
perdita di massa che si estrinseca come rilascio energetico di onde elettromagnetiche.
L’emissione avviene su un ampio spettro di frequenze, nelle vesti di calore, luce,
onde radio, raggi x, raggi gamma. La materia compressa della nebulosa in forma di
plasma inizia allora a diventare incandescente. Ciò che compare a quel punto nel buio
siderale è finalmente una vera stella. Il sistema si è acceso e durerà per molto.
Equilibrio termico e meccanico della stella
La compressione del materiale della nebulosa in un plasma denso riflette una
notevole perdita di volume della massa globale interessata al fenomeno. Infatti,
quando la struttura atomica dell’idrogeno viene scardinata e gli elettroni schizzano
via il materiale subisce un addensamento piuttosto violento. Bisogna in questo senso
tenere presente che lo spazio occupato dagli elettroni intorno al nucleo atomico è
straordinariamente vasto rispetto alle dimensioni del nucleo stesso. In sostanza, un
atomo è per lo più vuoto.
Parte dell’energia liberata dalla stella s’irradia nello spazio circostante, ma parte
concorre a mantenere la temperatura interna elevata. Così, allo sfondamento della
struttura atomica dell’idrogeno non consegue un immediato ulteriore addensamento
della materia. Infatti, la spinta suppletiva generata dal calore della fusione contrasta la
forte gravità, controbilanciandola. La stella va incontro a una stasi, un poco come
capita a un soufflé durante la cottura nel forno.
Oltre all’equilibrio meccanico vige nella stella un equilibrio termico. Infatti,
l’energia persa verso l’esterno uguaglia nel tempo quella immessa all’interno dalle
reazioni di fusione. Se non fosse così, l’astro perderebbe energia e collasserebbe su sé
medesimo sotto l’azione gravitazionale. Oppure, esso immagazzinerebbe porzioni
termiche crescenti, dilatandosi a dismisura per smaltirle, eventualmente sino a
esplodere. La maggior parte della vita stellare trascorre in condizioni bilanciate.
Alcuni soli entrano periodicamente in regimi instabili e si parla allora di “stelle
variabili”, giacché la loro dimensione e la loro emissione oscillano un po’ nel tempo.
La stella consuma combustibile
Finché permane un sufficiente quantitativo di idrogeno nel plasma, le reazioni
termonucleari si perpetuano, sorreggendo l’astro dall’interno. È dunque importante
considerare che in una stella l’equilibrio, più o meno stabile, viene mantenuto a
scapito del consumo di un combustibile. Per fare un esempio, la nostra stella madre,
la cui temperatura interna si aggira sui 14 milioni di gradi, converte ogni secondo
circa 500 milioni di tonnellate di idrogeno in elio (perdendo nel processo circa 5
milioni di tonnellate di materia che si trasformano in energia radiante). Malgrado il
suo spasmodico consumo, il Sole è una stella di mezza età e dispone di combustibile
per i prossimi 5 miliardi di anni.
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Ma che succede se l’idrogeno inizia a scarseggiare? Le reazioni termonucleari
segnano il passo quando circa il 10% dell’idrogeno totale è consumato. Infatti, tali
reazioni riguardano solo il nocciolo centrale della stella, non gli strati più esterni dove
la pressione gravitazionale non è ancora così elevata da poterle innescarle e dove
permane quindi il 90% dell’idrogeno. Ecco allora che, privata della spinta endogena,
l’intera massa stellare tende a spegnersi e a cedere sotto il proprio enorme peso. Ciò
determina un ulteriore compressione e un nuovo surriscaldamento del nocciolo ormai
ricco di elio.
A 100 milioni di gradi anche questo gas nobile va incontro alla fusione nucleare.
Nella stella contratta si generano allora elementi ancora più pesanti (come carbonio e
ossigeno) e dalla struttura della materia si libera nuovamente dell’energia. Ma tale
riaccensione segna per l’astro l’ingresso nella vecchiaia. Dopo la fase metabolica
adulta relativamente tranquilla i gas interni ipercompressi mutano il loro
comportamento e inducono una serie di oscillazioni instabili. La terza età è breve e
violenta.
La nana bianca dopo la gigante rossa
A un bel momento il cuore non è più in grado di riscattare energia termica dalla
materia e riprende a contrarsi e quindi a surriscaldarsi. Si aggiunge anche il calore
proveniente dagli strati esterni non depauperati in cui il 90% dell’idrogeno prima non
consumato, chiamato in causa dal grande calore centrale privo di sfogo, ha nel
frattempo preso la via della fusione.
In queste condizioni, diversamente da quanto accade quando nasce e si assesta su
un equilibrio termomeccanico, la stella non riesce a smaltire tutta l’energia liberata
dal centro contratto, nonché dagli strati circostanti. Ecco allora che il nostro soufflé è
costretto a lievitare enormemente, cedendo allo spazio su una maggiore superficie di
scambio l’energia che produce all’interno e alla periferia.
La dilatazione volumetrica abbassa l’agitazione termica e la superficie dell’astro si
raffredda sino ai 3000 gradi circa. In quel momento la sua luminosità è rossiccia, ma
formidabile. Abbiamo una cosiddetta “gigante rossa”, 1000 volte più estesa dell’astro
originario, che in una sorta di canto del cigno può inghiottire un intero sistema solare.
La nube gassosa infine si dirada, lasciando un globo accartocciato di elio e carbonio
roventi, una “nana bianca” iperdensa e grande come un pianeta che col graduale
raffreddamento si scurisce.
Dalla supernova alla pulsar e al buco nero
Per la verità, non tutte le stelle agonizzano con tale enfasi. Lo fanno quelle che
hanno dimensioni almeno pari al Sole. Sussistono d’altronde destini ancor più
eclatanti dopo la fase di gigantismo. Sono riservati alle unità con massa almeno 12
volte quella solare, una minoranza. In queste condizioni i cicli di contrazione e
dilatazione giungono con le successive fusioni di elementi sempre più pesanti sino
alla sintesi del ferro che però, per le caratteristiche del proprio nucleo, segna una
soglia insuperabile.
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A 7 miliardi di gradi il ferro torna infatti a scindersi in elio, invece di fusionare
ulteriormente. Questo processo è endotermico, non esotermico, il che significa che
assorbe energia, non la svincola. Le reazioni termonucleari s’interrompono e il
nocciolo subisce un collasso senza precedenti. Per il micidiale contraccolpo e il
calore prodotto il mantello esterno di gas che contiene ancora elementi fusionabili
deflagra in una serie violenta di reazioni nucleari. La materia è espulsa a 35 milioni di
km all’ora. Questa è la “supernova” che subentra alla gigante rossa e che riluce come
una galassia intera. Ce ne sono circa 3 al secolo nella Via Lattea. Lo spettacolo di
morte è grandioso, ma è un fuoco di paglia di poche settimane.
Ciò che rimane è una roteante “stella di neutroni” (pulsar) grande come una
metropoli e composta di materia così fitta da non lasciare posto agli elettroni,
nemmeno in forma libera. Un cucchiaino di quel fluido pesa come una montagna. C’è
di più. Se la massa residua è oltre 3-4 volte quella solare essa implode oltre ogni
limite. La gravità nel centro impedisce persino l’uscita della luce. Nasce un “buco
nero”, una sorta di aspirapolvere cosmico che tutto risucchia.
Durata e dimensioni delle stelle
Più una stella è grande e maggiore sarà l’effetto della sua gravità. Per quanto visto,
comprendiamo che più avanzate devono risultare anche le fasi della sua fusione
nucleare interna. E infatti è così. Dopo l’elio si forma il carbonio, poi questo e l’elio
si trasformano in ossigeno, neon e magnesio; a sua volta, l’ossigeno produce silicio e
zolfo. E via di questo passo. Come si diceva, gli elementi sono sintetizzati nelle stelle
a partire dal semplice idrogeno, l’atomo prevalente nel cosmo. Ed è così che si sono
formati i composti necessari alla biosfera e quindi alla nostra vita umana.
Abbiamo visto anche che la fusione inizia sempre dal centro, dove le temperature
sono più alte e dove quindi i nuclei sono lanciati a maggior velocità l’uno contro
l’altro. Dal centro prendono l’avvio anche le fusioni successive di elementi più
massicci, mentre quelli più leggeri fusionano più all’esterno. In effetti, man mano che
si procede verso gli strati più interni di una stella grande si riscontrano elementi
sempre più pesanti. La sintesi degli elementi per fusione nucleare avviene insomma
per fasi di contrazione ed espansione e si configura in una struttura concentrica tipo
“Matrioska”. Una specie di cuore pulsante.
La vita di una stella dipende dalle dimensioni. Un astro voluminoso ha più
combustibile, ma lo consuma in fretta sotto la pressione gravitazionale. Nel
complesso un’unità grande vive meno di una piccola. Le durate calcolate vanno da
alcuni milioni a decine di miliardi di anni. In una notte limpida fuori città possiamo
scorgere circa cinquemila stelle se abbiamo una buona vista. Il nostro colpo d’occhio
è un attimo fuggevole del loro ciclo. Esse non sono fuochi di dei, come pensavano
alcune antiche popolazioni, ma la possibilità della nostra esistenza discende da quei
remoti puntini luminosi.
Roberto Weitnauer
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Resti di una supernova:
http://www.astrosurf.com/skyway/Mes%20images/skyway/large.supernova.jpg
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Una nebulosa in condensazione vista agli infrarossi; da essa nasceranno delle stelle:
http://www.le.infn.it/fasano/fotometro/nebula.jpg
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Una gigante rossa che eietta materia in una raffigurazione artistica:
http://esamultimedia.esa.int/images/Science/Akari/Red_giant_Artists-impression_H.jpg
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