DALLE NUOVE MUSICHE AL SUONO MONDIALE XVII EDIZIONE PRIMAVERA 2007 TORINO, 17 MARZO – 21 APRILE OMAR SOSA Sabato 17 marzo Piccolo Regio G. Puccini ore 21.00 Omar Sosa (Cuba) Omar Sosa Julio Barreto Childo Tomas pianoforte batteria basso Estroverso, esuberante, virtuosistico: lo stile pianistico rivela con grande evidenza le sue origini. Tuttavia Omar Sosa, che, nato a Camaguey nel 1965, è una delle figure di maggiore spicco tra i tanti musicisti prodotti negli ultimi decenni da Cuba, non si limita a fare tesoro della sapienza nel latin jazz della più grande isola dei Caraibi, e non vuole con la sua musica rimanere confinato in una dimensione puramente cubana. Personalità dinamica, Sosa alla metà degli anni novanta è andato a cercare fortuna nell’area di San Francisco, e da allora si è fatto notare con una vivace presenza in manifestazioni musicali a livello internazionale e con una nutrita produzione discografica, che ultimamente si è arricchita di un album registrato dal vivo nel 2005 con il suo ensemble, Omar Sosa Live à FIP (Otá Records). Sosa ha esplorato la musica yoruba (i nomi delle divinità del pantheon della santeria, il culto cubano di origine yoruba, ricorrono spesso nei titoli dei suoi brani), che è una delle fonti essenziali della musica afrocubana, ma anche ambiti affini a quelli della musica di matrice africana della sua isola di origine, come le tradizioni nere della costa dell’Equador o quelle delle confraternite gnawa dell’Africa settentrionale. Ma all’interno dei propri ampi orizzonti Sosa ha per esempio assorbito anche elementi hip hop, nonché aspetti del patrimonio musicale mediterraneo non solo della sponda africana e mediorientale. Sosa si presenta a Torino in un classico trio piano-bassobatteria, una formula che gli consentirà di mettere in luce le sue doti pianistiche e il suo navigato rapporto col jazz: ma certamente portando sul palco anche un abile senso della scena che si nutre della magia dei cerimoniali religiosi afrocubani. www.omarsosa.com BIOGRAFIA OMAR SOSA Nato nel 1965 a Camagüey, a Cuba, comincia a studiare musica a otto anni al conservatorio municipale, dove si avvicina alle percussioni, e in particolare alle marimba. Continua il suo cursus alla Scuola Nazionale di Musica dell’Avana, poi all’Istituto Superiore d’Arte. Segue una formazione accademica di composizione, armonia e strumentazione. Forte di questa base teorica si avvicina allora al piano, che l’aveva sempre affascinato per il suo carattere orchestrale e percussivo, diventando presto il suo strumento preferito. La pratica del piano, che Omar suona da autodidatta, sarà sempre influenzata da quella delle percussioni: è il suo stile personale, di grande audacia ritmica, diventato ormai il suo tratto caratterizzante. Omar comincia subito a suonare in contesti molto vari. Cresciuto nella cultura cubana più tradizionale, scopre ben presto il jazz, il pop, il funk, grazie anche ai programmi americani trasmessi alla radio. È anche l’epoca in cui i musicisti emigrati tornano con cassette e dischi di nuove forme di musica: il paese si apre all’estero, e Omar ne approfitta. Il genere che lo affascina maggiormente è il jazz: sente che è più di una musica, una vera filosofia di vita, una scuola della libertà. Si procura i dischi dei più grandi pianisti (Oscar Peterson, Herbie Hancock, Chick Corea, Keith Jarrett), interessandosi anche alle armonie bop di Charlie Parker, le melopee spiritualiste di John Coltrane e scopre sopratutto Thelonious Monk; il suo stile, aspro e dissonante, diventa per lui un riferimento assoluto. Alla fine degli anni 80, Omar comincia a lavorare come direttore musicale con cantautori cubani (Vicente Feliu e Xiomara Laugart), poi nel 1993 emigra in Equatore, a Quito, per un viaggio che sarà decisivo. In un paesino sulla costa occidentale, trova un’espressione musicale folklorica originale, fortemente attaccata alle radici africane. Comincia a concepire una musica sincretica, in grado di conciliare tutta la diversità delle espressioni generate dalla diaspora africana. Capisce che lo swing, la danza, il rapporto con il corpo, con la sensualità, sono qualità essenziali che si trovano nel jazz, nella musica portoricana, caraibica, cubana, e che, al di là delle differenze stilistiche nate dal metissage culturale, hanno un’origine comune: l’Africa rubata agli schiavi. Ha allora trovato la sua strada. Crea un primo gruppo ispirato dalla “jazz fusion”, Entrenoz, trascorre un po’ di tempo in Spagna, a Palma de Majorca, poi si trasferisce nel 1995 a San Francisco, dove s’impone velocemente come leader sulla scena latin jazz. Qualche mese dopo il suo arrivo, esce il primo disco negli Stati Uniti, con Otà Records, Omar, seguito nel 1997 dallo straordinario Free Roots. Con Spirits of the Roots (nel 1998) e Bembon (nel 2000), si afferma come leader indiscusso del jazz ibrido, aperto ai ritmi latini e afro-americani di tutto il Nuovo Mondo, ma anche a quelli dell’Africa del Nord, ai canti berberi e al rap. Il groove afro-cubano si trasforma immediatamente in complesse pulsazioni urbane; le tradizioni orali (gnawa, yoruba…) si sovrapongono allo slam e all’hip hop. Omar Sosa trascorre allora più tempo in Europa, dove sviluppa nuovi progetti: registra con John Santos (Njumbe); un secondo disco da solista esce nel 1999 (Inside), magnifica deriva contemplativa e impressionista. Soprattutto continua le sperimentazioni orchestrali, confrontando il suo universo con tradizioni musicali del mondo intero. Con Prietos (2001) e Sentir (2002), apre il suo universo ai ritmi, alle sensazioni del mondo arabo. Non smette di incontrare musicisti, culture diverse: si esibisce in duo col percussionista venezuelano Gustao Ovalles (Ayaguna), col francese Mino Cinelu, crea un opera sinfonica di quarantacinque minuti, From Our Mother, che combina motivi folclorici cubani, venezualani e ecuadoriani con armonie jazz. Con Mulatos, il nuovo disco, si avvicina all’universo high-tech ed elettronico, e lascia per un momento l’esuberanza degli ibridi formali. Ed è sempre presente questa volontà, questo desiderio di confrontarsi con lo sconosciuto, lo straordinario che lo guidano. Dice della sua musica, con grande generosità: “Ciò che può un’immagine fedele della diversità della musica attuale non è la fusione superficiale di elementi eterogeni; ma l’intuito che tutte queste tradizioni hanno qualcosa a che fare le une con le altre, e che è tempo di farle riconciliare, di farle cantare all’unisono.” MANU DIBANGO Sabato 24 marzo Auditorium Rai ore 21.00 Manu Dibango (Camerun, Francia, Italia) progetto speciale Maraboutik Big Band ospiti: Gianluca Petrella e Carlo Actis Dato unica data italiana Manu Dibango Noël Ekwabi Jacques Conti-Bilong Kaba Malekani Julien Agazar Jonathan Handelsman Valérie Ekoume Guy Nwogang Slim Pezin Isabel Gonzalez Gilles Mitton James Powell Daniel Zimmerman Nicolas Genest Gianluca Petrella voce, sassofono, marimba voce, basso batteria chitarra tastiere sax tenore voce percussioni chitarra voce sax baritono tromba trombone tromba trombone Carlo Actis Dato sax baritono Decano della musica africana in Europa, dove è arrivato nel ’49, autore nei primi anni settanta di Soul Makossa, uno dei più clamorosi exploit discografici degli ultimi decenni, Manu Dibango, camerunese di nascita, francese di adozione, è stato, a ruota di Miriam Makeba e Hugh Masekela, uno dei primi musicisti africani a raggiungere un’affermazione internazionale. Alfiere della nuova musica del continente nero, Dibango non ha però mai dimenticato il suo primo grande amore nella Parigi degli anni cinquanta, il jazz, a cui ultimamente sta tornando con crescente frequenza. Il suo nuovo album, Manu joue et chante Sidney Bechet (Cristal Records, uscito alla fine di gennaio), è un omaggio al jazz delle origini e anche alla culla del jazz, New Orleans, distrutta dall’uragano Katrina, e alla popolazione nera della città, principale vittima del disastro. E in buona parte jazzistico, ma rivisitato alla luce dei ritmi africani, è il repertorio dell’orchestra con cui, per un’unica data italiana, si presenta a Torino festeggiando cinquant’anni di carriera: la Maraboutik Big Band, larga formazione ricca di fiati, alla quale si aggiungeranno per l’occasione due dei più apprezzati esponenti del jazz italiano, il trombonista Gianluca Petrella e il sassofonista Carlo Actis Dato. Che proponga jazz o afro, o una loro gustosa combinazione, che canti con la sua inconfondibile bonomia, che suoni elegantemente il sax o, come gli capita sempre più spesso e come farà a Torino, la marimba (quasi un punto di incontro fra il vibrafono, grande passione di Dibango dentro l’amore per il jazz, e il balafon africano), a settantatre anni Manu rimane un maestro che continua ad impartire lezioni di stile, misura e poesia. www.manudibango.net BIOGRAFIA MANU DIBANGO E’ il leggendario musicista dell’Afro & della Black Music, dotato di uno straordinario ed innato talento musicale, definito il “Miles Davis della World Music” dal magazine americano Blue Music (1994). Compositore e arrangiatore, suona anche il vibrafono e la marimba, ma predilige in assoluto i saxes (tenore, soprano e alto), e si diverte particolarmente al piano, strumento del quale si serve per comporre. Di tutti gli artisti africani è il più “smaliziato”, con i suoi saxes dai colori improbabili, gli eterni occhiali neri, la sua risata profonda e contagiosa. “Manu” è un miracolo di libertà espressiva, di ricerca e sperimentazione costante, di rigore professionale rinnovato sempre dalla gioia di suonare e vivere insieme al suo pubblico. L’Africa stessa lo definisce il “Grandfather” della musica afro e, insieme alla altrettanto storica figura di MIRIAM MAKEBA, rappresenta l’Africa nel mondo da oltre 30 anni. Nato nel 1933 in Camerun, lascia nel ’49 la sua terra per andare a studiare musica in Europa. Qui scopre le stelle del jazz come Luis Amstrong, Duke Ellington, Lester Young, Charlie Parker. Suona il sax nei tanti jazz clubs, svela il proprio animo musicale. Il 1960 è il tempo delle rivoluzioni di indipendenza in Africa e, quando il grande maestro zairese KABASELE gli chiede di unirsi alla sua band, lui torna nel suo continente, arricchisce (ora da musicista e ricercatore) la propria conoscenza di musiche tradizionali africane, incide una quantità incredibile di albums (lui dice: ”intorno ai quaranta!”) e va in tournèe visitando gran parte dei paesi africani. Grazie al suo amore per il jazz e per la musica tradizionale africana, rompe i pregiudizi ed i confini musicali, costruendo “ponti tra i continenti” che lo porteranno a creare le più spericolate comunioni tra jazz, funky, reggae, tecno-dance e hip hop. Inizia una carriera internazionale piena di incontri e “scintille”: dalla session con “SLY & ROBBIE e i FANIA ALL STARS”, agli esperimenti elettro-funk di HERBIE HANCOCK e BILL LASWELL. Il ’72 è l’anno della sua prima incisione “ufficiale”, ma anche del suo primo successo non solo discografico. Attivisti del “Black Power”, che lo conoscono a Parigi, tornano negli States con un suo 45 giri, che ha sul retro (il magico) “SOUL MAKOSSA”: le radio americane iniziano a trasmetterlo con entusiasmo grazie al suo retrogusto psichedelico. E’ un successo mondiale straordinario (oltre un milione di copie) ed inegualiato a tutt’oggi per un musicista africano. E’ il 1979 quando incide l’album “Gone Clear” con musicisti giamaicani quali ROBBIE SHAKESPEARE SLY DUMBAR, ANSEL COLLINS e musicisti americani come RANDY e MICHEAL BRECKER, JOHN FADDIS, GWEN GUTHRIE. Da questo momento in poi le incisioni ed i successi discografici si susseguono a ritmo incalzante: nel 1984 “ABEL DANCE” diventa il successo n.1 nelle classifiche inglesi. Poi è la volta di “SURTENSION”, in cui crea un nuovo stile musicale: l’Afro Elektro-Funk. Nell’85, scosso dalla tragedia della fame in Africa, Manu registra un Cd, “TAM TAM POUR L’ETIOPIE”, al quale partecipa KING SUNNY ADE insieme agli artisti più famosi degli anni ’80. Nel ’94 incide, in collaborazione con PETER GABRIEL e SINEAD O’CONNOR, “WAKAFRICA” ospitando nel progetto discografico gli artisti storici ed emergenti della musica World africana, come YOUSSOU N’DOUR, KING SUNNY ADE, MORY KANTE, RAY LEMA, TOURE KUNDA, PAPA WEMBA ect ect. Dal magazine internazionale “Folk Roots” l’ambum “Wakafrica” è premiato come disco dell’anno. Nel ’95, in tempi non sospetti di “mode caraibiche”, decide di affrontare e scoprire le radici “nere” di Cuba e produce l’album “CUBAFRICA” dove suona insieme al gruppo storico del son cubano, il CUARTETO PATRIA, e ad ELIADES OCHOA. Ma non basta. Nel ’96 registra un nuovo progetto discografico, “LAMASTABASTANI”, dove recupera e propone il gospel e la tradizione orale degli spirituals con un coro a cappella camerunense, prima che questa tradizione orale trasmigri “forzatamente”, arrivando sulle sponde dei nascenti stati americani, sulle sponde del Mississipi, e diventando il gospel afroamericano famoso nel mondo. A fine ‘99 è uscito sul mercato europeo l’ultimo suo lavoro discografico “MANU SAFARI”: una nuova sfida e una nuova provocazione artistica! E’ stato invitato, come rappresentante dell’Africa, all’apertura del Giubileo il 25/12/99 presso la sala Nervi, nella trasmissione in mondovisione della RAI. Manu, sensibile ed impegnato in varie lotte umanitarie, ama promuovere e sostenere i giovani talenti africani e non. Discografia essenziale Discography: 1972 Soul Makossa - Atlantic 1973 Oboso - London 1974 Makossa Man - Atlantic 1975 Makossa Music - Creole 1976 Manu 76 - Decca 1976 Super Kumba - Decca 1978 Afrovision - Island 1978 A l'Olympia - Fiesta 1978 Sun Explosion - Decca 1980 Gone Clear - Mango 1981 Ambassador - Mango 1985 Electric Africa - Celluloid 1987 Afrijazzy - Urban 1989 Deliverance - Afro Rhythmes 1989 Happy Feeling - Sterns 1989 Waku Juju - Disque 1989 Rasta Souvenir - Disque 1989 Homecade - Sterns 1992 Polysonik - Sound Wave 1994 Live '91 - Stern's Music 1994 Seventies - Sonodisc 1994 Tropical Garden - Sonodisc 1994 Wakafrika - Giant 1995 Negropolitaines, Vol. 2 - Melodie 1996 Lamastabatani - Melodie 1996 Bao Bao - M.I.L. 2000 Mboa' Su - JPS 2001 Kamer Feeling JPS 2002 Electric Africa - Varese ALINE DE LIMA Venerdì 30 marzo Cavallerizza Reale ore 21.00 Aline de Lima (Brasile) Aline de Lima Anthony Winzenrieth Julio Gonçalves voce chitarra percussioni Aline de Lima è l’ultima giovane artista emergente del panorama musicale brasiliano. Nata nello stato del Maranhao, nel nord-est del Brasile, terra di grande cultura popolare, Aline compone una musica la cui varietà trova le radici proprio in questa terra. Scrive testi e musica del suo repertorio. Canta d’amore, di sentimento, di normalità con la profondità e la dolcezza di una voce affascinante e sensuale. Le sue canzoni respirano la bossa nova e i ritmi del carnevale. Una musica brasiliana molto influenzata dal jazz. Il suo primo album è stato prodotto da Vinicius Cantuaria, musicista visionario della canzone brasiliana che ama nutrire le tradizioni di idee sempre nuove. Lo stesso album si arricchisce, inoltre, della partecipazione del grande Marc Ribot. Aline “la morena”, come viene definita, è stata la vera rivelazione dell’anno 2006. www.alinedelima.com BIOGRAFIA ALINE DE LIMA Aline de Lima é nata nello stato del Maranhao, terra di grande cultura popolare, che é stata un tempo francese (non esiste il caso, esistono solo dei destini). La capitale San Luis, soprannominata nel diciannovesimo secolo «l’Atene brasiliana», si trova proprio di fronte alla mitica Alcantara. Aline de Lima compone una musica la cui varietà trova le radici proprio in questa terra. Suo padre é un impiegato di banca, fan della samba, un genere sudista e nazionale; sua madre un’istruttrice, fan di Maria Bethania e Chico Buarque, due poeti della MPB (Musica Popular Brasileira) che la dittatura militare (1964-1982) non é mai riuscita a zittire. Aline ha un dubbio sull’origine del suo nome, o per lo meno una supposizione: all’epoca, un certo Christophe cantava una strana canzone, tipo «Et j’ai crié, crié, Aline….». Un cattivo traduttore ne aveva fatto una versione brasiliana: «Aliné, Aliné», con l’accento, e Aline (de Lima), bambina, si nascondeva ogni volta che la sentiva, tutta rossa. Per lungo tempo, per Aline di Caxias, la canzone fu un segreto, un desiderio ardente che lei nascondeva disegnando. Aline cantava solo quando era nascosta. Persino «Tanti Auguri a te» davanti alla torta di compleanno la faceva piangere. Solo rifugiata nella sua solitudine la bimba riprendeva le sue filastrocche: «Atirei o pau no gato, to, to…» (ho lanciato un bastone al gatto, gatto, gatto). A cinque anni, Aline sfila vestita da cicala, con una piccola chitarra in mano e le sue amichette vestite da formiche. Le piace tantissimo. E poi, un giorno del 2001, esiliata da Maranhao, decide che diventerà una cantante. Il suo programma musicale é personalissimo e prevede la messa in musica di poesie scritte dal momento della sua partenza dal Brasile (per Stoccolma) nel 1998, esercizi di canto e apprendimento metodico della storia e del repertorio della MPB. Il francese Frank Chatona, arrangiatore e sassofonista, la tiene d’occhio. Aline. «la morena», termine che mette fine alla questione nera brasiliana, la creola dunque, si trasferisce a Parigi. Scrive Terra citando Cancao do Exilio, di Goncalves Dias, grande rappresentante della poesia romantica e indigenista brasiliana, nato vicino a Caxias nel 1823. «La mia terra ha delle palme dove cantano dei pettirossi; gli uccelli che gorgheggiano qui non gorgheggiano come laggiù». Aline de Lima apprende con precisione la storia della MPB. Scrive canzoni d’amore, di spleen, di nostalgia (la saudade); piccoli frammenti pieni di grazia. Tenta di mettere insieme i dettagli sfuggenti, gli istanti. E’ per questo che canta Septembre, di Barbara, in francese. Nella più semplice delle sue versioni, violoncello e piano. Le sue canzoni respirano la bossanova e i ritmi di carnevale. Li canta come un segreto, con una voce graziosa, impronta di una formidabile fragilità. Nessun calcolo, solo l’istinto della bambina-cicala e i suoi propositi di donna. Aline de Lima ha fatto il suo primo concerto nel diciasettesimo arrondissement di Parigi, poi é andata a mangiare couscous coi suoi musicisti. In seguito ha fatto altri show nei bar, poi alla Maroquinerie di Parigi, e al Festival «Instants du Monde» di Rezé. Infine l’incontro con il produttore indipendente francese della Naive. Un altro brasiliano del Nord che vive a New York, Vinicius Cantuaria, chitarrista, cantante e compositore, ha prodotto Arrebol. Ha invitato alcuni suoi amici, tra cui il chitarrista Marc Ribot, figura centrale dell’underground newyorkese. Percussioni fini, chitarre travagliate, archi soffici: tutti si sono ritrovati agli studi Shinebox, nel cuore di New York. Aline ne é entusiasta. Temeva di poter essere delusa, ma l’idea di nascondere la leggerezza della cantante non ha nemmeno sfiroato l’esperto produttore. Aline de Lima é così com’è, intatta, de Lima di Caxias, parigina del mondo. TINARIWEN Giovedì 12 aprile Cavallerizza Reale ore 21.00 Tinariwen (Mali) unica data italiana Ibrahim Ag Alhabib Abdallah Ag Alhousseyni Touhami Ag Alhassane Eyadou Ag Leche Sayid Ag Ayad Abdallah Ag Lamida Elaga Ag Hamid Mina Wallet Oumar voce, chitarra, flauto voce, chitarra voce, chitarra voce, basso, chitarra voce, percussioni voce, chitarra voce, chitarra voce, percussioni Conosciuto l’esilio per sottrarsi alla sanguinosa repressione contro i touareg messa in atto negli anni sessanta dal Mali appena diventato indipendente, i fondatori dei Tinariwen, non accontentandosi di combattere con le proprie canzoni, che filtravano nel Mali ad incoraggiare la resistenza del loro popolo, hanno anche attraversato l’esperienza della lotta armata. Dopo gli accordi di pace del ’92, con la sua attitudine protestataria e le sue crude chitarre elettriche Tinariwen è diventato un robusto collante dell’identità della giovane generazione touareg. In effetti la sensibilità rock di cui sono intrisi Amassakoul e il recentissimo Aman Iman: Water Is Life (entrambi pubblicati in Italia da Ponderosamusic&art) non è una semplice patina di modernità stesa su una musica tradizionale, tantomeno di quest’ultima è un’edulcorazione: le chitarre elettriche e gli accenti ruvidamente blues-rock di Tinariwen appaiono anzi come la naturale proiezione contemporanea di una musica touareg aspra e nervosa. Un connubio scabro, teso, spigoloso di antico e nuovo che ha suscitato l’ammirazione di uno che di sensibilità rock certamente si intende: l’ex Led Zeppelin Robert Plant. Ed è appunto il chitarrista dei suoi Strange Sensation, Justin Adams (trascorsi nel punk e nel funk, e una familiarità con la musica araba che data all’infanzia in Medio Oriente), il produttore di Water Is Life. Che si è mosso con grande tatto perché, come si potrà verificare nella loro unica data italiana a Torino, l’estetica di Tinariwen è già perfetta: in loro una musica touareg che affonda le sue radici in un remoto passato trova il linguaggio per parlare all’oggi, mentre il rock ritrova la sua forza corrosiva primordiale. www.tinariwen.com BIOGRAFIA TINARIWEN I Tinariwen sono il gruppo più rappresentativo e conosciuto della scena musicale tuareg del Sahara. Originari dei territori del Sahara, i componenti dei Tinariwen appartengono all’etnia Tuareg, letteralmente “abbandonati da Dio”, che preferiscono chiamare in lingua tamashek Imajeghen, ossia “uomini liberi”, nomadi del deserto a lungo perseguitati nel passato dai governi del Mali. I Tinariwen sono veri e propri musicisti-combattenti per l’emancipazione del poloplo tamashek, la cui leggenda li dipinge con la chitarra sulla schiena ed il kalshnikov in mano, e le cui incisioni erano illegali e punibili con la prigione. Dopo gli accordi di pace del ’92, il gruppo, che si è formato in esilio alla fine degli Anni ’80, ha deposto le armi e canta l’indipendenza del proprio popolo fondendo elementi della tradizione ai “rivoluzionari” strumenti del rock, chitarra, basso e batteria. La musica tradizionale del deserto, basata sul tamburo tindè o sul violino imzad, si fonde al suono delle chitarre elettriche, simbolo di modernità, e accompagna i cori femminili, che ne addolciscono il sound. Le loro poesie richiamano al risveglio politico delle coscienze e si rifanno alle tematiche dell'esilio, della repressione e della rivendicazione politica. Il genere musicale ishoumaren (nell'idioma tamashek significa scioperanti) gioca un ruolo determinante nel riconoscimento culturale della gioventù tuareg; i brani proposti dai Tinariwen rappresentano l'identità moderna di un popolo errante. Il loro stile unisce le improvvisazioni e i ritmi di Tourè con la malinconia di un popolo nomade che rivendica la propria libertà. Il loro disco è prodotto da Justin Adams, che dichiara di prendere ispirazione dal loro “blues primordiale, reso unico dalla voce inimitabile della loro cantante berbera. E' da molto tempo che non traggo più ispirazione dalla musica rock, bensì da quella egiziana e da quella africana. Tra i tanti, pensa che conosco un gruppo che si chiama Tinariwen, sono del Mali, e quando li ascolto mi sembra di risentire il John Lee Hooker di molti anni fa, quando non c’erano ancora gli amplificatori. E' come sentire un blues primordiale! La loro caratteristica saliente sta nella voce di una cantante berbera, ha uno stile unico. (Robert Plant) ARTURO STÀLTERI Sabato 14 aprile Conservatorio Giuseppe Verdi ore 21.00 Arturo Stàlteri (Italia) Child of the Moon – Dieci notturni e un’Alba Arturo Stàlteri pianoforte Arturo Stàlteri, pianista, compositore, critico musicale nonché conduttore di una serie di programmi in onda su Radio Rai 2 e Radio Rai 3. Presenterà nella data torinese il suo ultimo lavoro discografico “Child of the Moon” (Dunya Records, Egea), dieci composizioni ispirate dalla luna e dal sole. Il pianismo di Stàlteri è altamente evocativo, straniante e, appunto, “lunare”, ma sa anche discostarsi da analoghe esperienze postminimali in virtù di una maggiore robustezza e articolazione nella struttura dei brani. Il suo suono è dunque accattivante e nello stesso tempo corposo, mai privo di sperimentazioni. I richiami classicisti si dirigono verso Debussy e Satie, una metabolizzazione di elementi di storia della musica che riaffiorano a livello quasi inconscio. Nei notturni di Stàlteri alberga una dimensione riflessiva e contemporaneamente giocosa. Nella sua musica Stàlteri pone in essere la ricerca del suono aperto e comunicativo che mai però si traduce in una rinuncia alla profondità dell’emozione. “Child of the Moon” rappresenta un capitolo importante nella carriera di un artista che riesce a trovare un originale punto di equilibrio tra percorsi musicali di differente provenienza. www.arturostalteri.com BIOGRAFIA ARTURO STÀLTERI Arturo Stàlteri, romano, si è diplomato in pianoforte al Conservatorio Alfredo Casella de L'Aquila. Ha studiato a Roma con Vera Gobbi Belcredi, a Parigi con Aldo Ciccolini e ha frequentato, come allievo effettivo, i corsi di perfezionamento di Vincenzo Vitale e Konstantin Bogino. Ha composto le musiche per il balletto “Visione dai Tarocchi” di Barbara Schaefer e le rappresentazioni teatrali “Artemisia” e “Maschera” di Daniele Valmaggi. Ha inoltre realizzato le musiche per il film del 1921 “Selika”, per la regia di Ivo Illuminati. Come critico musicale ha condotto il programma radiofonico “Il Pianoforte” per la Radio Vaticana (Studio A). Dal 1988 collabora con Rai Radio 3, per la quale ha condotto “Senza Video”, “Orione”, “Blue Note-Suoni Paralleli”, “Alfabeti Sonori”, “On The Road”, “Lampi”, “Il terzo anello”, “Fuochi”; per Radio Rai International ha condotto “Il notturno dall’Italia”, e per Rai radio 2 il programma “2 Marzo 1963”. Sempre per Radio 2 ha condotto “Volevo essere Mick Jagger”, “Jet Lag”, “Il cammello di Radio 2” e “Fuori Giri”. Per RAI SAT SHOW ha condotto il programma SATISFACTION. Recentemente Franco Battiato lo ha coinvolto, come conduttore e musicista, nel suo primo programma televisivo, “Bitte, keine Réclame” Lo stesso Battiato gli ha offerto un piccolo ruolo nel suo ultimo film MUSIKANTEN, presentato alla 62.ma Mostra del Cinema di Venezia. Svolge una vivace attività concertistica rivolgendo la sua attenzione anche ad autori dell'area extra-colta. Nelle sue performances per solo piano si ascoltano, oltre alle sue composizioni, brani di Debussy, Clementi, Mozart, Bach, Beethoven, Chopin, Liszt... e Sakamoto, Corea, Nyman, Glass, Mertens... Nel 2002 Stàlteri è stato protagonista di un concerto nello storico jazz-club VORTEX di Londra. Ancora nella capitale inglese si è esibito nel 2003, nella prestigiosa sede della Chiesa di Saint Giles and Cripplegate (Barbican). E' spesso in giuria in concorsi pianistici nazionali ed internazionali. Stàlteri ha cominciato a farsi conoscere con il gruppo Pierrot Lunaire, uno dei nomi storici del rock progressivo degli anni settanta, un gruppo che seppe mediare tra rock e classicismo e con il quale Stàlteri ha registrato due album per RCA (“Pierrot Lunaire” nel 1975 e “Gudrun” nel 1977). Come solista ha inciso nel 1979 “Andrè Sulla Luna” e nel 1987 “...e il Pavone parlò alla Luna”. Nel 1992 esce per Materiali Sonori il cd “Syriarise”, un'opera in cui si intrecciano due differenti percorsi artistici: una suite elettronica con influenze minimaliste ed etniche e una parte dedicata al pianoforte solo. Nel 1995 viene pubblicato “Flowers”, una raccolta di brani per pianoforte composti da Debussy, Glass, Way, Sakamoto, Corea e dallo stesso Stàlteri. Sempre nel 1995, insieme a David Sylvian, Roger Eno e altri, partecipa al progetto “Marco Polo” di Nicola Alesini e Pierluigi Andreoni. Nel 1998, con Fabio Liberatori, pubblica “Empire Tracks”. Sempre nel 1998 esce il cd “Circles”, dedicato interamente alla musica di Philip Glass, con l'approvazione dello stesso Glass. Stàlteri ha inoltre collaborato con Grazia di Michele, Amedeo Minghi e molti altri; ha poi partecipato ai cd “Polvere Nella Mente” e “2”. di Arlo Bigazzi: con lo stesso Bigazzi ha lavorato alla produzione del cd “Some Secrets” di Clare Ann Matz. Alcune incisioni discografiche delle sue opere sono state stampate in Giappone. Il suo penultimo lavoro discografico “CoolAugustMoon”, per pianoforte e piccola orchestra, è stato dedicato alla musica di Brian Eno. Anche in questo caso Stàlteri ha avuto la completa approvazione dell’artista inglese. Nel 2002 Stàlteri torna a lavorare con Fabio Liberatori e pubblica THE ASIMOV ASSEMBLY, da cui è tratto Il brano MY SON THE PHYSICIST, inserito nella colonna sonora del film L'AMORE E' ETERNO, FINCHE' DURA di Carlo Verdone. Nel 2003 ha pubblicato “Rings – il decimo anello”, ispirato alla saga di J.R.R. Tolkien. Nel 2005 esce “Early Rings-Compositions 1974-75”. Nel 2006 Stàlteri pubblica un vinile trasparente con la “sua” versione di RUBY TUESDAY dei Rolling Stones (sul retro la strumentale LIQUID STONE) Il nuovo lavoro si intitola “Child of .the Moon - Dieci Notturni e un’alba”. GIORGIO GASLINI Sabato 21 aprile Conservatorio Giuseppe Verdi ore 21.00 Giorgio Gaslini (Italia) Jazz Book Giogio Gaslini pianoforte Giorgio Gaslini, pianista, compositore, direttore d’orchestra, musicista jazz di fama internazionale, uno dei fondatori del jazz in Italia, ha al suo attivo più di tremila concerti e cento dischi per i quali ha vinto nove volte il Premio della Critica. Musicista unico nello scenario contemporaneo: innovatore del linguaggio del jazz europeo, leader riconosciuto in tutto il mondo, che già alla fine degli anni ’50 aveva operato quella sintesi da lui definita “musica totale” che ha indicato le linee di evoluzione verso l’apertura e le contaminazioni tra i generi, che hanno poi contraddistinto la musica negli ultimi decenni. Presenterà, a Torino, il recital pianistico “Jazz Book” che non è una Jazz story in senso storicistico. E’ un percorso appassionato che ha come veicolo un pianismo contemporaneo, intriso di tecniche e invenzioni estreme fortemente radicate, nella grande storia del pianismo jazz. Le tematiche, i temi, i graffiti di partenza sono intesi come “materiali di ricerca” nella tensione creativa continua. Gli autori, a volte storici come Coltrane, Roland Kirk, Keith Jarrett, Sun Ra e Albert Ayler, a volte attuali come Ornette Coleman e Carla Bley sono presenti in questo “libro del jazz” che nel percorso musicale il pianoforte illustra, sfoglia, decostruisce e ricostruisce. Sono presenti inoltre pagine di “classici” come Fauré, Gershwin, Mozart, Bàrtok, Elgar, ed infine temi originali dell’interprete, tesi all’espressione di nuovi sentimenti del nostro tempo. Contemporaneità ed estemporaneità si fondono in un unico percorso artistico. www.giorgiogaslini.it BIOGRAFIA GIORGIO GASLINI Pianista, compositore, direttore d’orchestra milanese, musicista jazz di fama internazionale e di vasta popolarità in Italia, ha al suo attivo più di tremila concerti e cento dischi per i quali ha vinto dieci volte il premio della critica. Sin dagli anni ‘60 ha portato la musica ai pubblici giovanili nelle scuole, università, fabbriche, ospedali psichiatrici oltre che nelle sale da concerto, nei teatri e nei festival italiani e internazionali. Attivo anche nella musica contemporanea, dopo aver conseguito sei diplomi presso il conservatorio di Milano, ha composto lavori sinfonici, opere e balletti rappresentati al Teatro alla Scala, all’Opera di Roma, e in tutti i più importanti teatri italiani. E’ stato il primo titolare dei corsi di jazz al Conservatorio S.Cecilia di Roma (197273) e al Conservatorio G.Verdi di Milano (1979-80). Dalla sua scuola e dai suoi gruppi sono emersi i migliori musicisti italiani di oggi. Per il teatro ha composto musiche di scena collaborando con molti tra i più famosi registi italiani. Per il cinema ha composto oltre 40 colonne sonore. Celebre la sua musica per il film “La Notte” di Michelangelo Antonioni, premiata con il “Nastro d’Argento” , “Profondo Rosso” di Dario Argento. Per la televisione è stato protagonista di programmi di vasto ascolto tra i quali “Jazz in Conservatorio” e “Musica Totale”. E’ autore di tre libri: “Musica Totale” (ed.Feltrinelli), “Tecnica e Arte del Jazz” (ed.Ricordi), “Il tempo del musicista totale” (ed. Baldini & Castoldi) ritenuti testi fondamentali. Nel 1986 è uscita una sua biografia-libro (ed.Muzzio) E’ stato il primo musicista italiano ad apparire nel referendum mondiale “New Talents” della rivista americana “Down Beat” e il primo italiano invitato ufficialmente a un festival americano (New Orleans 1976-77). Dal ‘76 a oggi è stato invitato in 60 nazioni, compiendo il giro del mondo attraverso USA (otto tournées), Messico, Sud America, Canada, Cuba, India, Asia, Medio Oriente, Africa, Europa, Russia ed è stato il primo musicista jazz invitato in Cina (1985). Ha suonato nei principali Festival italiani e internazionali e ha collaborato con grandi solisti americani ed europei tra i quali Anthony Braxton, Steve Lacy, Roswell Rudd, Eddy Gomez, Max Roach, Don Cherry, Jean-Luc Ponty. Nel 1991 ha fondato la “Grande Orchestra Nazionale” di jazz. Nel 1992 la rivista italiana “Musica Jazz” gli ha dedicato un intero numero con allegato il CD di inediti “Masks”. Nel 1993 l’Enciclopedia Treccani gli ha riservato una voce biografico-artistica. Nel periodo 1991-95 ha composto per la famosa “Italian Instabile Orchestra” le suites “Pierrot Solaire” (disco Soul Note “Masks” e Leo Records) e “Skies of Europe” (disco ECM con la presentazione di Ornette Coleman - 1° premio della Critica 1995), accolte con entusiasmo dal pubblico e dalla critica in tutta Europa. Nel 1996 ha composto e diretto al Teatro Romano di Verona il primo melodramma jazz “Mister O”. Dal 1997 la casa discografia “Soul Note” sta pubblicando su CD la sua opera integrale. Nel 1997, attraverso la sua donazione al Comune di Lecco, ha creato, presso Villa Gomes, il “Fondo Gaslini”, con migliaia di dischi e libri oltre a tutti i suoi originali (partiture e dischi), mettendolo a disposizione di tutti i giovani musicisti e studiosi. Nel 1999 gli è stato assegnato il Premio Internazionale della Critica di “Danza § Danza” per il balletto sinfonico “Sprint”. Nel 2000 ha fondato la “Proxima Centauri Orchestra” forte di quindici tra i migliori solisti italiani. Nel 2001 ha diretto la sua “Sinfonia delle Valli” con 150 esecutori. Nel 2002 il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, gli ha assegnato il premio alla carriera: diploma e medaglia d’oro, riconoscimento riservato ai benemeriti della cultura e dell’arte. Nel 2003 ha ottenuto grande successo con il progetto "U" (Ulisse) realizzato nel sito archeologico di Carsulae (Terni) con il suo quintetto, il trio del jazzista americano URI CAINE, il testo e l'interpretazione di MARCO PAOLINI e la scenografia di ARNALDO POMODORO. Nel 2006 l'etichetta olandese Mirasound ha pubblicato il CD della sua Sinfonia delle Valli per due orchestre e coro (150 esecutori) diretta da Lorenzo della Fonte. Nello stesso anno l'etichetta Velut Luna ha realizzato il cofanetto di 5 CD con il suo Song Book, 100 canzoni con testi dell'autore.