Gina Lagorio, biografia

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Biennale “Piemonte e Letteratura”
Convegno
Gina Lagorio: “Respirare Piemonte”
Nei giorni 8 e 9 novembre 2013 si terrà nel Teatro Comunale di San Salvatore
Monferrato (Alessandria) un convegno su Gina Lagorio. L’iniziativa rientra nella
Biennale “Piemonte e letteratura”, istituita ufficialmente nel 1981, dopo il successo di
due precedenti convegni: Igino Ugo Tarchetti (1976) e Piemonte e Letteratura nel
Novecento (1980).
Gina Lagorio, scrittrice tradotta in molte parti mondo, parlamentare nella X legislatura,
studiosa di Sbarbaro e Fenoglio, autrice di romanzi, racconti, testi teatrali, interventi
come opinionista su testate importanti (CdS, l’Unità, Il Secolo XIX) e di un libretto
operistico in endecasillabi, “La memoria perduta”, musicato da Flavio Emilio Scogna, è
nata in Piemonte, a Bra. Il padre era cresciuto tra Cherasco e La Morra, nella Cascina
delle Monache, un ex convento nella frazione di San Michele, dove risiederà a lungo
anche la madre, Pierina Picollo, nata a Casale Monferrato nel 1897. “Mia madre
amava la musica e aveva una voce che con un’altra situazione sociale alle spalle
l’avrebbe condotta attraverso gli studi al teatro d’opera. Insieme con il maestro Ferrua,
un grande cheraschese, lei e un gruppetto di giovani coriste di Ferrua, andavano al
Politeama di Bra ogni volta che c’era un’opera” (La mia Bra, “o della felicità”). Dalla
madre Gina Lagorio erediterà la passione per la musica e il melodramma, di cui ci
sono tracce anche nella sua prosa, soprattutto in Fuori scena e Tosca dei gatti. Nella
“città delle mura stellate”, che tanta parte avrà nelle pagine della futura scrittrice,
Gina trascorrerà i mesi estivi, ospite dei nonni paterni, radicati in quelle terre già nel
Seicento e depositari di una tradizione che s’incide nella sua memoria. Aveva solo
dieci anni quando, in quella casa spesso profumata dagli aromi dei dolci, che nonna
Francesca cucinava per i banchetti nuziali dei nobili di Cherasco, comincia a scrivere i
primi racconti.
Arrivata da bambina a Savona, cresciuta alla scuola di Camillo Sbarbaro e Angelo
Barile, maestri di vita e di stile, Gina Lagorio ha scritto di storia, letteratura, critica (una
raccolta di saggi e interventi è in Penelope senza tela, 1984), romanzi, racconti, favole
e novelle, testi teatrali (raccolti in Freddo al cuore, 1989), senza mai rinunciare
all’impegno civile. Un preciso filo geografico tiene insieme un’opera narrativa e
saggistica così vasta: un filo che collega il crinale che dalle Langhe si congiunge alla
Liguria, per ritornare tra le mura stellate di Cherasco, sua “piccola patria”, dove
trascorre parte delle sue vacanze. Per un verso ci sono i racconti del Polline (1966), i
saggi su Fenoglio (1970, 1983 e 1998), Fuori scena (1979), Tra le mura stellate (1991), il
Bastardo (1996). Per l’altro verso, c’è un filone ligure, che va da Approssimato per
difetto (1971) e gli studi su Sbarbaro (1973 e 1981) e Angelo Barile (1973), fino ai
romanzi La spiaggia del lupo (1977), il Golfo del paradiso, la storia ispirata dal pittore
Oscar Saccarotti (1987). Raccontiamoci come è andata è un racconto-saggio ispirato
al primo marito Emilio Lagorio, figura importante nella vita sociale e politica savonese
del dopoguerra (2003). I voli fuori di casa sono il saggio sulla Russia oltre l’URSS del
1989, L’arcadia americana (romanzo del 1999), un racconto da Il silenzio, dove si narra
di un itinerario in Brasile con Amado e i viaggi di uno straordinario Inventario (1997)
personale.
Poi arrivano i suoi ultimi libri che chiudono il cerchio iniziato con
Approssimato con difetto, la storia di una morte che Càpita a tutti, anche a lei. Càpita
è il titolo del suo ultimo libro, un inventario di affetti, di memorie, di sofferenza e di gioia,
di malattia e speranza in un altrove. Muore a Milano il 17 luglio 2005. Il 19 maggio le
era stato assegnato il premio per la saggistica della “Biennale Piemonte e letteratura Carlo Palmisano” di San Salvatore Monferrato. Era felice per questo riconoscimento,
estremo, dopo tanto lavoro di scrittura, ma un altro cielo ormai si era aperto davanti a
lei, che, pensando al suo viaggio, non esitava a citare Orazio: cambia cielo, non
animo, chi corre di là dal mare.
***
Lo studioso predilige la ricerca d’archivio, la disposizione dei tasselli con cui ricostruire il
quadro storico, per poterlo interpretare. Il narratore ama invece il pensiero dei
personaggi, la loro parte umana, i vizi, le virtù, il sogno del quotidiano. In Gina Lagorio
convivono le due nature, rafforzate da una memoria che non è mai nostalgia, ma
giudizio morale. Una memoria che, come scrisse Geno Pampaloni, è “solitudine e
comunione. È il nostro specchio, ma è anche lo specchio ustorio che brucia
l’inessenziale”. La memoria di Gina Lagorio è anche un discorso sulla letteratura, sui
diversi modi per viverla e scriverla, offrendo al lettore un’opera in cui la letteratura
restituisce alla storia ciò che ha perso, ossia il corpo e la mente dei suoi personaggi,
ma anche la storia di rapporti fra le arti, fra gli autori.
L’insieme dei suoi libri, rappresentano una sequenza sinfonica o, in altre parole, un
romanzo totale, la storia di rapporti fra le arti, gli autori e la storia letteraria, familiare,
civile.
Hanno detto di lei:
Adriano Grande (1970):
“una penetrazione psicologica sottile e amabile”.
Sebastiano Timpanaro (1983)
“una scrittrice e saggista che vive e soffre in pieno i problemi del nostro tempo”
Carlo Bo (1977)
“La Lagorio ha vinto la sua partita con una difficile scommessa con se stessa: stare nel
vero possibile e nello stesso tempo restare chiusa nelle stanze del proprio cuore”.
Giovanni Giudici (1987)
“Gina Lagorio ha tante qualità che certamente sono proprie di un bel romanzo, ma
che farebbero anche la bellezza di una poesia”.
Pietro Frassica (1988)
“È l’artista incorrotto che rimane giovane e eterno, come le forme dell’arte più pura in
cui si rispecchia”.
Giovanni Tesio (1991)
“Tanti motivi tra presente e passato, tra geografia e storia, come strumenti e partiture
di una musica che risulta dalla fusione di tutti i suoni sotto la guida del direttore
d’orchestra”.
Cecilia Kin (1991)
“Gina Lagorio appartiene alla categoria degli scrittori che non hanno mai pensato alla
moda, al successo commerciale delle opere, alla vanità mondana. Mi pare che
parola chiave per comprendere la sua posizione etica sia fedeltà. … Parlo della scelta
etica e civile, da cui tuttavia non si può separare l’estetica”.
Franco Contorbia (1994)
“l’illuminante disvelamento di una limpida vicenda intellettuale e della impavida
immagine di una donna di coraggio non pacificata né arresa”.
Giovanni Raboni (2003)
“Questa limpida, trepida cronaca della sua vita [di Emilio Lagorio], … mi ha fatto
pensare che se non siamo quasi mai soli finché siamo immersi nel cieco, eccitante,
trascinante fluire della storia lo siamo quasi sempre, invece, di fronte alle sue atroci
delusioni e aporie”.
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Vinse il Premio Campiello nel 1977, per La spiaggia del lupo, il premio Flaiano nel 1983,
per la commedia Raccontami quella di Flic, presente con altri testi teatrali in Freddo al
cuore, e il Premio Viareggio nel 1984, per Tosca dei gatti. I suoi libri sono stati tradotti in
molti paesi.
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La fotografia riprodotta su programmi e manifesti è di GIULIANA TRAVERSO, una delle
figure più rappresentative della fotografia contemporanea. Centinaia di mostre in
Europa, America e Asia, quindici volumi dedicati al suo lavoro, centinaia di
onorificenze, una Laurea Honoris Causa in Lettere e Filosofia della Columbia University
di New York, hanno costellato la sua carriera, divisa tra arte e insegnamento. La sua
ammirazione per l’opera di Gina Lagorio si esprime pienamente nella solarità vitale
della scrittrice, che sembra animare anche la marmorea fissità della statua.
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