Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano Cosimo Costa Università LUMSA P.zza delle Vaschette, 101 - 00193 Roma [email protected] «Esser fatti voltare con tutta l'anima verso la realtà, lasciate alle spalle le ombre che la dicono nella più povera delle maniere». (Platone, Repubblica, libro VII) 1. Per cominciare Alcuni pedagogisti autorevoli, ridisegnando percorsi e coordinate scientifiche, hanno avanzato ipotesi opportune e adeguate circa i rapporti tra la filosofia dell’educazione e le scienze dell’educazione. Da un lato, si riscontra una lecita preoccupazione per lo statuto di una siffatta disciplina; dall’altro, si evidenzia che l’esasperazione di tale preoccupazione appanna e affievolisce il percepire rettamente la realtà della situazione presente1. Quindi, duplice estraniarsi: dalla realtà delle 1 Per un approfondimento sull’argomento si veda: F. De Bartolomeis, La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953; G. Flores D’Arcais, in Nuovo Dizionario di Pedagogia, a cura di G. Flores D’Arcais, Milano, Ed. Paoline, 1987, pp. 884-910; E. Ducci, «Il volto dell’educativo», in Ead. (a cura di), Preoccuparsi dell’educativo, Roma, Anicia, 2002; F. Mattei (a cura di), Itinerari Filosofici in pedagogia. Dialogando con M. Manno, Roma, Anicia, 2009; F. Mattei, Sfibrata paideia. Bulimia della formazione Anoressia dell’educazione, Roma, Anicia, 2009. EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, III, 2 (2014), pp. 87-108. ISSN 2280-7837 © 2014 Editoriale Anicia, Roma, Italia. DOI: 10.14668/Educaz_3206 Cosimo Costa correnti di pensiero del nostro tempo e dalla realtà del vivere quotidiano in cui, accanto ad aspetti belli, grandeggiano disorientamento, confusione, frustrazioni, dolore. Soprattutto sulle nuove generazioni. Indubbiamente, si deve riconoscere l’utilità dei vari prospetti sistematici, cercando però di non dimenticare la preoccupazione per la condizione umana2. Si tratta di una piccola e utile divagazione per una piccola e utile premessa diretta allo scopo qui intravisto: non offrire una sintesi o un prontuario di concetti base, ma allestire un fondo comune; fare appello ad una sensibilità condivisa; sintonizzare vocaboli e linguaggio al fine di poter dialogare con agio e con profitto sull’educativo, in particolare su uno dei suoi saperi specifici (rappresentato qui dalla filosofia dell’educazione) e, in generale, su tutto quel mondo enigmatico, tragico e misterioso che lo lega. 2. Uno specifico taglio di filosofia dell’educazione Per intendere il qualificato e prestigioso taglio3 della disciplina considerata, inizierei con l’analisi del semantema filosofia dell’educazione. In primo luogo, un sapere filosofico4 che ha per oggetto l’educazione. Un genitivo oggettivo: l’educa2 Cfr. E. Ducci, Postille di filosofia dell’educazione, in «Il quadrante scolastico», n. 64, marzo 1995, pp. 94-96. 3 Intendo lo stile e la portata che Edda Ducci diede alla disciplina. Filosofia dell’educazione è sapienza amorosa su quel che concerne l’educabilità umana. 4 La filosofia dell’educazione ha con la filosofia morale un rapporto unico: la filosofia morale riscopre e indaga la responsabilità del soggetto; la filosofia dell’educazione individua le strade per l’operatività, tracciandone le direzioni (Cfr. E. Ducci, Libertà liberata. Libertà legge leggi, Roma, Anicia, 1994, pp. 31-39). 88 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano zione è oggetto su cui si esercita l’azione del soggetto, ossia della filosofia. Soggetto che esercita un’azione avente il compito di illuminare alcune zone d’ombra, in cui l’oggetto potenzialmente si trova. Educazione, in forma complessiva, è realtà naturale fatta di permanenze, estensioni legate al divenire storico. Con esso si indica l’educativo5, l’azione, la prassi, l’evento, l’esperienza educativa. Dunque, una realtà, un oggetto semplice e appropriato, per molte conoscenze e, nel nostro caso, per una conoscenza di natura filosofica. Una realtà misteriosa e indefinibile con una espansione spazio-temporale quasi inimmaginabile. Nei tempi, un punto tremendo che sentiamo di saper gestire in maniera molto povera ed approssimativa. Quando gli antichi greci si posero il problema di cosa fosse l’educazione, sorse subito una domanda: di che cosa si nutre l’anima perché l’uomo viva e diventi quello che può e deve essere? Fu l’individuazione del bisogno e del suo soddisfacimento, e venne detto paideia. Si pensò subito di sapere cosa fosse per il solo fatto di essere persone umane, educabili e forse educate, ma fu da tale aspetto che il termine risultò subito essere insidiato: nutrire con cose assimilabili e connaturate o con facili surrogati. Ecco l’addottrinare, l’omologare, il manipolare, il condizionare, il mutare in base a un progetto. È evidente che se l’uomo non si realizza nascono frustrazione, spreco, danno per la convivenza. La paideia, vista come nutrimento assimilabile perché l’essere si mantenga per quello che è e cresca, è un bisogno vitale? Un bisogno il cui soddisfacimento è un diritto? Ma, anzitutto, c’è la domanda del fondamen5 Da intendersi come qualità di qualcosa in senso proprio e in senso dativo. 89 Cosimo Costa to: e Platone, per avvertire la necessarietà del fondamento, sentiva come necessarie l’esperienza (conoscere la vita anche nella sua tragicità) e la forza speculativa (non tutte le intelligenze sembra possano arrivare ad avvertire la necessarietà del fondamento, talune rimangono irretite dalla molteplicità e dalla complessità). È dal contesto anzidetto che si origina l’idea di filosofia dell’educazione, dove l’educazione si ripropone come oggetto di stupore e meraviglia rispetto a quanto fatto. Così, la filosofia dell’educazione risulta essere una disciplina cerniera, un filosofare sull’oggetto della pedagogia, oltre che una teoresi avente a che fare col vivere concreto, compreso il vivere personale di chi indaga. La filosofia dell’educazione come sapere specifico tramite cui focalizzare un aspetto singolare della realizzazione dell’umano, come sapere in situazione calato in un rapporto interpersonale finalizzato al prorompere della vita. Ma perché volere l’educazione propria e altrui? Perché presupporre il rapporto interpersonale e quale? Da una parte lo stupore e la meraviglia sull’educativo, dall’altra la filosofia che porta ad indagare pause, coordinate, strutture portanti, variabili. Una filosofia che induce all’indagine attenta, scrupolosa e che pone come suo primo e valido punto l’attenzione sull’uomo. Ecco allora la teoresi pedagogica divenire filosofia poietica: l’attenzione sull’uomo si qualifica tramite il suo stesso fine, l’umanarsi dell’uomo. Quello poietico fa capire come un approccio solo scientifico potrebbe presupporre dell’uomo solo dimensioni misurabili, mentre un approccio solo filosofico-metafisico porterebbe all’evidenza solo un mondo astratto. Il discorso pedagogico deve andare oltre i singoli aspetti per poter affrontare il problema dell’umanarsi dell’uomo radicalmente, non solo come momento che fonda, ma come 90 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano momento fondante che si intreccia con il concretizzarsi della situazione. È una filosofia che non si disgiunge da un particolare tipo di Erlebnis. Esperienza che comporta un rivivere, un provare a livello di vita. Ducci a tal proposito definisce molto bene il compito svolto dall’esperienza vita in tale filosofia. Compito che deve essere chiarito nel suo momento germinale per individuare più facilmente le estranee inclusioni. L’enigma uomo si sviluppa sotto un nuovo prospetto: dimensione misteriosa dell’essere umano, sostenuta e convalidata da una personale esperienza umana6. Ne deriva che la filosofia dell’educazione deve qualificarsi come una filosofia poietica, come un pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il cammino del suo concreto umanarsi, servendosi di una vera esperienza umana. Pertanto, tre sono le dimensioni che caratterizzano il percorso della nostra filosofia dell’educazione: attenzione sull’uomo, esperienza umana, concreto umanarsi. È sulla linea dell’identificare queste dimensioni che il modo di essere della filosofia dell’educazione ha la sua manifestazione conclusiva nelle finalità7. E in tali finalità si delinea lo specifico rapporto di siffatta filosofia con la prassi. Per prassi, infatti, si intende vivere personale relazionato, perno principale dell’agire umanante. È una prassi in cui la filosofia dell’educazione ha degli obblighi: dire chiaramente dove si giunge prendendo una precisa direzione, dove porta una strada scelta, quale compito sono in grado di assolvere determinati mezzi. 6 7 Cfr. E. Ducci, L’uomo umano, Roma, Anicia, 20082, pp. 14-16. Cfr. Ibid., p. 20. 91 Cosimo Costa 3. Uno speciale statuto: la dimensione educabile della persona Si configura così una filosofia dell’educazione non descrittiva, non informativa, non normativa, ma indicativa, motivante, illuminante, invogliante, edificante, da cui nasce stupore e sbigottimento di fronte alle vette e agli abissi in cui può trovarsi la persona, oltre che la volontà di individuare le eterne forme disumananti. Ricollegandomi a quanto detto, ritengo utile azzardare qualche cenno su quello che potrebbe (dovrebbe?) fare tale disciplina avvalendosi del suo essere un sapere poietico. Ci si potrebbe, anzitutto, mettere in posizione adatta per intravedere una funzione appartenente non alla dimensione scientifica di tale sapere, bensì a quella esistenziale: individuare le strade giuste e le motivazioni incalzanti per indurre l’uomo a impegnarsi nel lavorio di racimolare e articolare tutti i tratti della persona che vanno sotto il nome di educabilità. Ed è nella propria educabilità che la persona può realizzarsi. Infatti, l’educabilità è quella parte di mistero dicibile come il diventare l’io che si è; è quel dinamismo di perfettibilità, secondo natura, ma, contemporaneamente, capacità ed auto trascendimento. Quanto più cresce la propria sensibilità circa la dimensione educabile del proprio essere tanto più si diventa attenti nell’acculturarsi. Ma acculturarsi di erudizione passiva equivale ad avere una erudizione fredda, mentre se nel contempo germoglia una sensibilità all’umano, il proprio carico di cultura avrà una valenza più forte e intensa. Non bisogna dimenticare che solo lo specifico umano è educabile; non lo sono gli animali, né le piante, né gli angeli: nessuno è educabile, solo lui8. Il no8 92 Cfr. I. Kant, La Pedagogia, Messina, Arial, 2008, pp. 43-45. Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano stro è uno specifico isolato, non facile da conoscere; infatti, facilmente si può entrare nel fraintendimento, ed ecco il plagio, la manipolazione: le false educazioni. In quanto specifico umano, l’educabilità implica un diritto primario: l’uomo in quanto essere educabile ha diritto all’educazione. Ma è raro trovare il bisogno di educazione ben compaginato, che porta alla realizzazione della propria vocazione9; in tal caso, è l’educazione che dovrebbe metter la persona nella situazione di capire tale interesse, poiché è solo nel compimento di quest’ultimo che può trovarsi la felicità10. Ora, l’incognita è riuscire a capire la stoffa della propria educabilità (perché non è standardizzata) e, contemporaneamente, della propria in-educabilità. Quanto e fin dove arriva l’educabilità? In ognuno di noi c’è una dose di educabilità e di in-educabilità. Perciò l’educatore avrà sempre il dramma di capire quanto dell’una e quanto dell’altra sia presente nell’educando. Ed è questo il se11 dell’educazione, cosa misteriosa che inquieta, segreto che, se dipanato, può manomettere l’altro. Ci si aggrappa spesso al come fare l’educazione; un salto fa andare oltre il se per comprendere il come fare l’educazione morale, come fare l’educazione estetica e così via. Tutto si enfatizza e si crea un manuale sul come fare. Il come è stimolante, provocatorio, ma anche oppiaceo. Blocca e deresponsabilizza, perché fa sì che l’io non 9 Cfr. J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, Napoli, Guida, 2000. Ortega, provocando, ammette la vocazione propria di ogni generazione. 10 Rimando al concetto di proairesis di Epitteto, sia nelle Diatribe che nel Manuale. 11 Mi riferisco al se che Ducci riprende dall’interpretazione di Tommaso e rielabora come elemento prezioso del suo pensare. Si vedano di E. Ducci: Postille di filosofia dell’educazione e l’Introduzione («Il se del docere», pp. 26-32) alla traduzione del De Magistro di San Tommaso. 93 Cosimo Costa sia preoccupato dal se. Nel momento in cui si affida il come ad un sistema chiuso, si danneggia l’altro, ma nel momento in cui il come si dà in maniera non definitiva, allora si può fare il giusto. Non è un se generico, è un se che si sente sulla propria e sull’altrui vita. Bisogna essere lettori attenti dei propri e degli altrui sintomi. È difficile e rischioso scoprire il bisogno di educazione. Nel momento in cui tale bisogno si avverte, si cerca il proprio Socrate, ma di Socrate ce ne sono pochi. L’avere rilevato il bisogno di educazione mette a rischio. Inoltre, l’educabilità pone il soggetto di fronte al bivio dell’omologazione, negativa e positiva. Dove la linea di demarcazione? Bisogna sempre conservare un minimo di identità personale (ecco l’omologazione positiva). Quando l’omologazione fa perdere il proprio Io, la persona resta priva del proprio Io12. In fondo, è riposante essere omologati: la moda, la vita di gruppo, la vita religiosa. Ma ogni persona è irripetibile; la natura ci ha fatto tutti differenti, e tutti differenti vuol dire che non si è mai ripetuta. Nessuno di noi è la ripetizione di un altro; ognuno di noi è irrepetibile. Eppure se c’è un istinto che Nietzsche ha messo bene in evidenza – ma già Kierkegaard, già Dostoevskij – è l’istinto del gregge: l’uomo ama ingreggiarsi, per cui evita di essere solo, di dover fare le proprie scelte. Il gregge marcia compatto, spalla a spalla, si sente vicino, non ha il senso di solitudine. Il pericolo è che l’educazione faccia di noi sassi ben levigati, senza spigoli, diceva Kierkegaard. Al contrario, l’educazione 12 La società vive in un sistema di omologazione negativa; si vedano le pagine dure di Pasolini (Scritti corsari o Lettere luterane), e prima ancora l’insegnamento acromatico di Nietzsche, testimone con l’esempio dell’insegnante che parla senza capire e di colui che ascolta senza ragionare. 94 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano deve rendere importante l’umano, intensificare le energie, non pensando all’uomo come a qualcosa da costruire, ma da sviluppare. Così Platone chiude il Mito della caverna: lo schiavo è uscito dal buio, e ora può contemplare il sole: perché paideia non è dare occhi all’anima; l’anima già li ha13. Ne deriva che l’educativo è aiutare l’anima a girare gli occhi dalla parte giusta, e ciò vuol dire comunicazione-linguaggio14, fine da raggiungere15 per una corretta idea di felicità16. L’essere umano ha la prerogativa di essere educabile, ma nasce nella potenzialità. Ha bisogno di una giusta sollecitazione per poter attivare le sue grandi dimensioni, quali il parlare, l’amare, il socializzare, l’esercitare la libertà, tutte inserite in un rapporto interpersonale che prevede infiniti livelli e infinite modalità. Non è un concetto univoco17. È un contesto da finalizzare alla qualità della convivenza; non si dimentichi che per poter parlare di educabilità umana è indispensabi- 13 Cfr. Platone, Libro VII, 518c. Parlando di comunicazione e di linguaggi, è chiamata ad agire la sinergia, intesa nel senso di Aristotele presente nella sua Metafisica: «il tutto è maggiore della somma delle sue parti». 15 Ma il fine è scritto nell’educabilità stessa? Può esserci indubbiamente, a tale domanda, una risposta affermativa, però bisogna tener presente la lettura di tale fine per poterlo portare alla conclusione. Il fine è tutto dentro o tutto fuori? I greci già diedero una bella risposta alle nostre domande. Il fine dell’educabilità umana si inscrive nel telos dell’uomo, il telos dell’uomo è la felicità. La felicità è fondamentale, se non esiste al traguardo, l’uomo non si muove. 16 La felicità non esclude il dolore, quello è il piacere. 17 L’ambiente greco-cristiano è la culla in cui sono stati maggiormente scandagliati i rapporti interpersonali. Si ricordano le grandi aporie dei tragici, la produzione platonica e Aristotele, che vede nell’amicizia il coronamento dell’etica. 14 95 Cosimo Costa le palesare il senso dell’uomo e del cittadino18. Oggi, come aveva annunciato Nietzsche affermando che l’uomo non ha un senso, si assiste alla perdita del senso dell’uomo. Il senso ce l’avrebbe solo l’Übermensch19. Quando ci occupiamo di educabilità umana dobbiamo avere il coraggio (da un punto di vista culturale, ma anche esistenziale) di chiederci: qual è il senso dell’uomo? quale lo spessore del suo essere? la valenza del suo vivere? la valenza del suo morire? Non si riceve in dono; devo aprirlo a me stesso, devo rivelarlo, in prima persona, nel senso del vivere e del morire. È in tale situazione che la filosofia dell’educazione riscopre una vera e propria licenza, oltre che competenza, ad agire, la sua specifica strumentazione20, vale a dire: una sensibilità particolarmente sviluppata per la realtà che mi si pone di fronte21. Il discorso fin qui fatto, potrebbe allargarsi all’affettività, alla creati18 Platone, Apologia di Socrate al 29d-30b. Chiara allusione a La visione e l’enigma di Così parlò Zarathustra, in cui Zarathustra, annunciando l'eterno ritorno, vede un pastore che si rotola con un serpente penzolante dalla bocca: l’eterno ritorno è un pensiero strisciante che si insinua nell’animo umano. Zarathustra ordina al pastore di mordere la testa del serpente, egli lo fa e diventa un uomo circonfuso di luce, che ride: diviene übermensch, perché ha dominato e accettato l’idea dell’eterno ritorno. 20 È importante rilevare che, accanto alla strumentazione soggettiva, ne sussiste anche una oggettiva. Potremmo definire quest’ultima come metodo, sistema, nozione che, se ben usata, può contribuire a rendere la strumentazione soggettiva, scientifica e valida da un punto di vista professionale. 21 Già Platone, nel Mito della Caverna, parlando della dimensione paidetica o non paidetica dell’essere umano si rivolge alla misura umana nei termini di strumentazione, facendo sì che tutti i percorsi (ontologico, antropologico, gnoseologico, politico, oltre che educativo) trovino nella caverna il punto massimo di riflessione. Ma tantissimi autori, oltre Platone, – Agostino, Epitteto, Aristotele, Kierkegaard, Buber, Ebner – parlano di una strumentazione soggettiva necessaria per affrontare il viaggio nell’educativo. 19 96 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano vità, annodarsi all’irripetibilità. Anche il discorso sui valori si costruisce uno spazio incredibilmente vasto. Se la filosofia dell’educazione deve affrontare come oggetto primo la natura, la dinamica, le infinite possibili attuazioni dell’educabilità umana, la sua distinzione dall’ineducabilità positiva, sì da additare le manipolazioni e i plagi, allora le esigenze imposte dalla volontà di perseguirla sono davvero infinite; ma non credo sia il caso, almeno in questo contesto, di addentrarci in ulteriori approfondimenti che potrebbero distrarre dall’approdo. 4. Le sue sorgenti Approdare non è cosa facile! Cercherò di farlo con l’aiuto di quella singolare sensibilità, appena detta. Affacciandosi nell’attuale mondo socio-educativo, il “discente” diverrà “docente”22 entrando a far parte di un rapporto formativo ove dovrà praticare, oltre che gli efficaci metodi appresi nel percorso di studi, anche, e soprattutto, la propria bella umanità. In tal senso, la filosofia dell’educazione è un sapere che individua il potenziale umano per giustificare quanto ha scoperto, per intravedere la meta che esso può raggiungere, inventariando i percorsi e gli aiuti, snidando la loro forza invogliante. Da una parte può racimolare e accumulare quanto su questo è stato detto dai grandi, nonché da quelli che hanno pensato ed esperito, e trasmetterlo come bagaglio di erudizione, di conoscere oggettivo, di opinioni; dall’altra, può presentare il tutto (raccolto nel modo più alto), sì da avviare a coinvolgere chi trasmette e chi riceve, sollecitando la cura e la responsabilità verso gli altri. 22 Mi riferisco alla dinamica di rapporto che si crea tra il discente e il docente, ben trattata nel De Magistro di San Tommaso. 97 Cosimo Costa Ma da dove si attingono le categorie vitali della filosofia dell’educazione? La risposta è subito detta: dalle fonti. Là, dove si parla dell’umano, se ne parla in maniera profonda, e i grandi dell’umano sono le fonti della filosofia dell’educazione. Le fonti però bisogna saperle incontrare, avvicinare e scegliere, certis ingeniis inmorari et innutriri oportet 23. Andare alle sorgenti non è un rito o un agire meccanico. Per scovare una sorgente, anzitutto, ci vuole fiuto; devo muovermi, devo camminare, devo essere attivo, trovare il modo di avvicinarla e successivamente riconoscerla dagli effetti; una sorta di circolo ermeneutico, poiché il fiuto si raffina bevendo, ma ci vorrà stile nel bere; non dovrò manometterla né sottovalutarla. Non è un monumento a cui rivolgo lo sguardo da turista, è una sorgente da cui vado per attingere: avvicinarmi in punta di piedi, e ogni volta avere la sensazione di non conoscere il tema o di saperne poco o nulla, altrimenti potrò anche inquinarla (snaturare o banalizzare il testo). Dovrò bere e nutrirmi di essa, cercando di intravedere quel segreto che la fa durare così a lungo e la rende edificante per secoli. Solo così entrerò in sinergia con la sorgente, diventando serio e impietoso senza rendere il palato rozzo o insensibile. Non si dimentichi che l’esperienza ben vissuta porta all’universale. Alla fine del Simposio, Alcibiade ubriaco (o disinibito) dice cose bellissime su Socrate, ma dice anche: le parole di Socrate provocano un sommovimento interno, e anche ripetute da persone incolte hanno una forza tale che turbano, inquietano e sconvolgono24. C’è una espressione efficace di Nietzsche: il grave pericolo di chi si 23 24 98 Seneca, Lettere a Lucilio, I, 2. Platone, Simposio, 218c- 222b. Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano occupa di educazione è di avere le mani rozze25. Le mani rozze sono le mani che non sanno distinguere la canapa dalla seta, un petalo da un pezzo di legno. Nell’educativo le mani rozze sono molto pericolose, come è pericolosa ogni insensibilità, ogni atrofia, ogni incamminarsi sulle mode. A tal proposito, gli “auctores, primitivi e inattuali”, sono coloro che “arano profondo nel terreno dell’umano”, che “escono e fanno uscire dal quotidiano”, che “non fermano quando li si incontra, né inducono a fare la loro strada, ma invogliano a cercare liberamente ognuno la sua e a percorrerla”26. Poche valenze, non certamente tutte, ma Ducci le sceglie avendo presente l’educativo27. A tal punto, è lecito chiedersi: quali sono i grandi autori scelti per la filosofia dell’educazione? Ne potremmo individuare tanti, ma non credo sia corretto avanzare nessuna pretesa di classifica, proprio per non entrare in un discorso asseverativo. Faccio parlare allora Ducci: mi riferisco oltre ai classici di cui non si può non avere notizia, a quelli che ho conosciuto per prassi professionale, a quelli che uomini saggi e degni mi hanno fatto incontrare, sui quali ho sostato a lungo e che […] hanno superato bene il riscontro culturale ma soprattutto esistenziale28. Sono autori che nella loro a-sistematicità lasciano intuire il potenziale umano e ne problematizzano i dinamismi: si guardi ad esempio a coloro che lo fanno per inter- 25 Cfr. Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 2006. 26 Gli auctores per Ducci (si veda il capitolo sugli Auctores in E. Ducci, Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Roma, Anicia, 1992, pp. 67-69) sono le vere fonti della filosofia dell’educazione. 27 Cfr. Ibid., pp. 72-76. 28 Ibid., p. 68. 99 Cosimo Costa posta persona29, o a quelli che ci accettano come compagni nel loro cammino30, oppure ai grandi dialogisti31. Ma non vorrei cadere, involontariamente o solo per il gusto di schematizzare, in ciò che Ducci non volle mai sistematizzare o ordinare per temi, autori che vivono l’umano tutto intero, con analisi e affidabilità, per trovare quel baricentro che li contraddistinguerà indubbiamente in accademia, ma soprattutto nella vita. Sono autori che, accompagnandoci, stimolano la sensibilità. Accompagnano l’altro, poiché condividono la vita con l’altro, non operano semplicemente una prassi, un’attività. Attivano le energie, lasciandole trapelare, senza mai imporre (e forse questo è il grande segreto dell’educatore). Accanto a questo agire, una metodologia sensata: uno studio serio e severo dei grandi. Accompagnamento non è semplice camminare insieme, ma è seguire attivamente una crescita. Vorrei riandare al senso forte della prima formulazione fatta dai greci, dove il verbo paideuo vuol dire soprattutto nutrire, allevare: l’accompagnamento è un camminare insieme, ma soprattutto un nutrire, un percorso e una crescita. Si guardi Platone nel VII libro della Repubblica. Mi fermo sul verbo ¢nagc£zoito (515c6): l’educatore, anzitutto, deve sapere che il soggetto si avvia e persevera nel percorso se qualcuno lo costringe. Si tratta di uno dei verbi più inquietanti; c’è il pericolo di fermarsi alla prima sensazione che può dare, cioè qualcosa di estrinseco, qualcosa di forzato; invece, va riscoperta la 29 Kierkegaard tramite i suoi Pseudonimi o Dostoevskij tramite i suoi Protagonisti. 30 I primi Cristiani, gli Stoici, Feuerbach, Nietzsche, Ebner, Camus, Pasolini. 31 Platone, Agostino, Caterina, Buber, Ebner: senza circoscrivere il campo solo ad essi, che rappresentano per utilità di esemplificazione, la classe detta. 100 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano necessarietà che il verbo contiene. Fare avvertire al soggetto una vera necessarietà interiore. È un movimento che provoca l’avvio, far sì che il soggetto avverta tutto il bisogno di attivare dinamismi che lo portino ad essere quell’io che può e che deve essere: si radica su tale dinamica. È un movimento che rende possibile il salto di qualità nel vivere: comincia ad essere un vivere qualificato, un dirigersi verso l’alto. Seguono, poi, quattro verbi indicanti i quattro dinamismi che il costringere attiva. Alzarsi, passare da una posizione statica a una posizione di movimento; girarsi, forse il più importante, perché pare che si sia voltati dalla parte sbagliata e quindi non riusciamo a orientarci; incamminarsi, cioè non rimanere fermi; alzare lo sguardo, compiere cioè il movimento più significativo. Quindi, un accompagnamento che porta il soggetto al movimento totale, grazie alla conoscenza dell’educatore che esperisce quei dinamismi in maniera continua. Ripeto, il verbo paideuo evoca il nutrire: non è soltanto fare insieme il percorso. Sempre Platone, infatti, nel Protagora, formula la famosa domanda: di che si nutre l’anima? E risponde: di insegnamenti, cioè di conoscenze metabolizzate dall’educatore, di verità che sono particolarmente assimilabili e quindi metabolizzabili da parte del soggetto, tali da diventare un suo modo di pensare e di valutare. Da quanto si deduce, tramite Platone, i nostri sono autori che sviluppano nella persona una mentalità valutativa circa la realtà, la bellezza e soprattutto circa la qualità del vivere. Si guardi ad esempio alle Diatribe di Epitteto. Nelle pagine di Epitteto ritorna sempre, dal primo capitolo del I libro fino in fondo, una famosa espressione: ™f’¹m‹n kaˆ oÙk ™f’¹m‹n Epitteto induce il suo ascoltatore a discernere, prima di tutto, ciò che nella vita dipende da noi da ciò che non dipende da noi. Ma si persuade, nel senso del pe…qomai platonico e non del pe…qw gorgiano, tramite il dialogo, e loro in101 Cosimo Costa segnano a essere dialogici. Si guardi l’impatto di Socrate con i sofisti nell’Ippia Minore e Maggiore. Infatti, l’essere dialogico è agli antipodi con l’essere stato persuaso e questo porterebbe all’incapacità di essere l’io che si è. I sofisti, ad esempio, sono persuasori persuasi, seguono opinioni non solide. Attingendo, invece, all’esperire e alle fonti, nel vivo del rapporto con gli altri, si sviluppa in me la possibilità di essere autonomo rispetto alla persuasione per liberarmi dagli errori. A differenza di Protagora e Gorgia, Ippia è un filosofo di cui Platone non ha stima. Ippia Minore prepara i discorsi, quando li prepara cura le sfumature sì da essere imbattibile e impermeabile, andando in giro a fare conferenze, quindi non affronta uno a uno, per cui nessuno potrà metterlo a disagio. Ippia Maggiore ha girato dappertutto e ha fatto molti soldi (riprova di quanto lui valga). A Sparta non l’hanno voluto come educatore: lui si occupa delle attività a cui i giovani devono attendere per diventare belli in tutti sensi. L’auctor, originato da quell’¢nqrop…nh sof…a (Apologia, 20d), evita di immettere nell’altro il “male” del sofista: indipendenza del discorso dagli individui concreti e dall’apporto che questi potrebbero dare. L’auctor non insegna a essere dotti, così come vuole il sofista che, attaccato alla dottrina, la offre a tutti indistintamente; al contrario, conosce bene il Mito di Theuth e il motto di Nietzsche: la natura ci fa diversi e l’educazione ci rende tutti uguali. Infatti, come Socrate, i nostri auctores insegnano a non avere una dottrina, ma a costruirla di volta in volta, con l’interlocutore, nell’impatto tra il proprio bisogno di sapere e il bisogno nascosto dell’altro. Pertanto, insegnano a dialogare non per essere sofisti, ma per 102 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano scoprire la più intima delle interiorità32 tramite la propria volontà. Fanno capire che in ognuno di noi c’è un terreno costruibile, e che si ha tutto l’occorrente per costruire. Se non si costruisce, esiste il vuoto, la frustrazione, la ricerca di prefabbricati. Indubbiamente, il ruolo preponderante, in tutto ciò, è la propria volontà per poter diventare ciò che si è. Ma per scoprire la propria, bisogna cercarne un’altra di volontà a cui collegarsi, non estranea ma protesa verso di lei, non per dominare o usare, ma per intento d’incontro vitale, per capire che in ognuno di noi ci sono fibre importanti che necessitano di essere sollecitate, che non si autosollecitano33. Fanno comprendere che la presenza umana non è questione di vita o di morte, il che sarebbe necessarietà di secondo grado; al contrario, è una delicatissima implicanza di dinamismi volitivi da indagare nel concreto34. Ne deriva che l’uomo non è autosufficiente nel conseguire la piena realizzazione del proprio essere35. Deve cercare competenti, affidarsi a loro per individuare e soddisfare sia i bisogni primari del proprio corpo, sia, per un motivo ancora più delicato e urgente, i bisogni del proprio animus. Per l’oscurità di quest’ultimi dovrà ricorrere al consiglio dei saggi. Al termine del percorso, scosceso ed erto, la visione del sole rende ragione anche delle ombre come ombre, così che nessun ente va perduto, ma tutto si inscrive in un ordine vivo, dialettico, segnato dall’energia della parteci32 Una interiorità, quale quella che Marco Aurelio elogia nei Ricordi (IV, 3) come una piccola villa in un piccolo podere di campagna. 33 Si veda il secondo articolo del De Magistro: Se l’uomo possa esser detto maestro di se stesso. 34 Rimando al concetto di volontà in C. Costa, La paideia della volontà. Una lettura della dottrina filosofica di Epitteto, Roma, Anicia, 2008, pp. 135-166. 35 Platone, Protagora, 313a. 103 Cosimo Costa pazione. Le forti coordinate, per l’uso che si intende fare della metafora, restano l’esserci del sole, e la certezza che l’anima ha l’occhio per contemplarlo e goderne, nella preziosità dello sguardo sinottico, l’unificarsi del tutto. Nell’assolvimento di tale funzione, il singolo si mantiene nel suo essere (non resta frantumato) e cresce per la vitalità delle energie sprigionate dal costante soddisfacimento del bisogno. Si punta alto, senza smarrire la concretezza, e così si attingono le grandi potenzialità dell’umano senza disattendere le urgenze del presente; le si fa attecchire in qualcosa di grande tenuta, e si apre all’azione insostituibile dell’utopico. Un vero impatto con l’essere. Si guardi ad Aristotele nell’VIII libro dell’Etica Nicomachea, dove si coglie l’amicizia secondo virtù come necessaria alla vita, ma urge saperla distinguere dalle amicizie apparenti, perché il vivere non sia segnato dal fallimento; oppure a Seneca nelle Lettere a Lucilio, dove si rimarca la necessarietà di indurare l’animus sì da tener testa alla sfortuna, ma soprattutto alla fortuna senza cedimenti disumananti; oppure ad Epitteto nelle Diatribe, dove si palesa tutta l’urgenza, per l’uomo, di darsi un prezzo rispetto a tutto il resto, e di darselo alto per rendersi immune dai condizionamenti di ogni genere; ma anche a Kierkegaard, che prospetta per l’uomo la necessità di uscire dall’anonimato della massa per essere se stesso, cioè quel singolo che ognuno può felicemente essere; e ad Ebner, che si propone il compito della restitutio in integrum del valore della Parola per ridire il valore dell’uomo; addita la parola giusta a chi, chiuso nella muraglia cinese del proprio io, resta frantumato e brancolante, incapace di trovare quel Tu che lo renderebbe pienamente io, e da quella Parola potrebbe avviare il cammino verso la sua pienezza umana. Autori questi con cui filosofare per ampliare la propria interiorità. 104 Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano È necessaria, naturalmente, una certa capacità di filosofare su detta realtà, scegliere gli autori che si prestano, che consentono di entrare nel vivo della ricerca come partecipanti attivi. Se ciò è fatto in una situazione viva di comunicazione, è quasi un tirocinio di vita che si apre a intuizioni e conquiste impensate: possibilità di iniziazione ed edificazione non tanto nel valutarli quanto nel saggiarli e intravederli36. La filosofia dell’educazione, preoccupandosi dell’educativo, cerca, tramite le sue fonti, di lasciare in colui che si avvicina quel senso di autorevolezza37 che tanto manca, purtroppo, nel campo dell’educazione38. Ma è anche vero che, mediante le sue fonti, diventa più urgente, oltre che vera, la volontà di affinare il linguaggio, di farlo più ricco e più aderente alla realtà intravista e apprezzata; diventa necessario godere della profonda liberazione dalle ombre, e quindi voltarsi con tutta l’anima; diventa immediato il bisogno di capire la dimensione educabile e quella ineducabile dell’uomo. Sono fonti che lasciano la volontà di anticipazione e rigorosità, scientificità e serietà, spazio del vissuto e spazio dell’acquisizione culturale, oggettività logica della riflessione e inoggettivabilità del dato vitale, esigenze del sociale e diritti del singolo. Sviluppano le virtù necessarie per affrontare e percorrere il tema dell’educativo secondo le richieste della sua natura, imprimono la impagabile capacità di dialogare accanto alla maestria di 36 Si guardi al tanto citato Platone e ai suoi dialoghi, o ad Aristotele e in generale alla sua Etica Nicomachea, ad Agostino nelle Confessioni, nei Sermoni e nelle Lettere, a Tommaso, a Feuerbach (almeno nel Diario), a Kierkegaard con i suoi pseudonimi e principi edificanti, a Dostoevskij e ai protagonisti dei suoi romanzi, a Nietzsche, Ebner, Camus, Deledda. 37 Tale autorevolezza viene dall’aver impattato con l’essere, dall’aver esercitato l’inventio circa l’uomo, il vivere e quindi dall’averne trovato il senso. 38 E. Ducci, Approdi dell’umano, cit., p. 77. 105 Cosimo Costa avviare la facoltà dialogica nell’interlocutore, e soprattutto l’arte di farne intravedere la bellezza, sì da invogliare. Frequentare in modo sano e appropriato gli auctores è imparare che quando c’è da collocare qualcosa di grande e di bello non basta saperne il peso e il volume39. Certamente la filosofia dell’educazione insegna a leggerli, ma bisogna anche imparare a leggerli, senza lesinare sulle riletture ed esercitandosi nel ruminare. E non per ultimo, l’esercizio personale e costante della rimozione della paura, oltre che il saper godere a pieno dell’esperienza impagabile della viva forza movente ben direzionata. Dal momento che ci impossessiamo del sapere in grazia dell’appartenenza ad una precisa comunità, è naturale che s’imponga il compito di mettere a servizio della convivenza quanto abbiamo appreso. Ma non bisogna mai dimenticare gli elementi di volontà propria su cui e da cui partire: voler arricchire al massimo il proprio conoscere, non come accumulo di notizie, ma come attuabilità di una capacità (questo secondo movimento è più faticoso, è ostacolato dalla pigrizia, ma è energetico e gratificante); voler affinare una sensibilità specifica, così come si fa per l’iniziazione a qualsiasi arte. Ognuno poi deciderà liberamente se e quanto responsabilizzarsi, se e come trasformare il mestiere in professione. 5. Per concludere Forse tale filosofia risulta poco appropriata o poco consueta nel pensare accademico. Ma così come accennato all’inizio, tutto il mondo dell’educativo entra, parcellizzato, quasi sezionato, in svariati saperi. Il mondo 39 106 Ibid., pp. 77-79. Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano dell’educativo è vasto. Comprende l’educabilità umana, la prassi educativa, il binomio educatore-educante, le strade, o metodi, percorribili o, addirittura, da seguire, i traguardi o fini. Ognuna di queste parcellizzazioni, diventando oggetto di un determinato sapere (storico, sperimentale, speciale), viene affrontato secondo le appropriate coordinate scientifiche. La stessa filosofia dell’educazione è solitamente più circostanziata, e opera lei stessa un suo taglio nella vastità dell’educativo. Tale filosofia sembra non voler costituire un settore accademico; riguarda piuttosto chi è immerso nel mondo dell’educativo, o che si sente coscientemente nel mondo dell’educativo, e vuole assumere una disposizione personale adeguata. Così il suo filosofare può interessare gli educatori sul campo, ma anche ogni singolo esistente, ogni persona non distratta circa la specificità che porta in sé. Il suo filosofare non è sinonimo di pensare, ripensare, occuparsi, riflettere, valutare, etc. È preso nella sua accezione primaria: un amore sapienziale verso questo oggetto vastissimo e variegato, un atteggiamento a monte nei confronti di una realtà intravista in una certa misteriosità. La disposizione personale si articolerà poi in sintonia con i diversi livelli, le differenti espressioni, o le situazioni reali. Ma resta sempre una disposizione personale acquisita, aperta sull’intero mondo. Riferimenti bibliografici Riporto qui alcuni autori che più hanno guidato il presente lavoro e che direzionano il taglio di filosofia dell’educazione qui trattato. Costa, C., La paideia della volontà. Una lettura della dottrina filosofica di Epitteto, Roma, Anicia, 2008. De Bartolomeis, F., La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953. 107 Cosimo Costa Ducci, E., Libertà liberata. Libertà legge leggi, Anicia, Roma, 1994. Ducci, E., Approdi dell’umano. 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