Uno specifico approccio di filosofia dell`educazione: attivarsi nell

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Uno specifico approccio di filosofia
dell’educazione: attivarsi nell’umano
Cosimo Costa
Università LUMSA
P.zza delle Vaschette, 101 - 00193 Roma
[email protected]
«Esser fatti voltare con tutta l'anima
verso la realtà, lasciate alle spalle le ombre
che la dicono nella più povera delle maniere».
(Platone, Repubblica, libro VII)
1. Per cominciare
Alcuni pedagogisti autorevoli, ridisegnando percorsi
e coordinate scientifiche, hanno avanzato ipotesi opportune e adeguate circa i rapporti tra la filosofia dell’educazione e le scienze dell’educazione. Da un lato,
si riscontra una lecita preoccupazione per lo statuto di
una siffatta disciplina; dall’altro, si evidenzia che l’esasperazione di tale preoccupazione appanna e affievolisce il percepire rettamente la realtà della situazione
presente1. Quindi, duplice estraniarsi: dalla realtà delle
1
Per un approfondimento sull’argomento si veda: F. De Bartolomeis, La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953;
G. Flores D’Arcais, in Nuovo Dizionario di Pedagogia, a cura di G.
Flores D’Arcais, Milano, Ed. Paoline, 1987, pp. 884-910; E. Ducci,
«Il volto dell’educativo», in Ead. (a cura di), Preoccuparsi dell’educativo, Roma, Anicia, 2002; F. Mattei (a cura di), Itinerari Filosofici in
pedagogia. Dialogando con M. Manno, Roma, Anicia, 2009; F. Mattei, Sfibrata paideia. Bulimia della formazione Anoressia dell’educazione, Roma, Anicia, 2009.
EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, III, 2 (2014), pp. 87-108.
ISSN 2280-7837 © 2014 Editoriale Anicia, Roma, Italia.
DOI: 10.14668/Educaz_3206
Cosimo Costa
correnti di pensiero del nostro tempo e dalla realtà del
vivere quotidiano in cui, accanto ad aspetti belli, grandeggiano disorientamento, confusione, frustrazioni,
dolore. Soprattutto sulle nuove generazioni. Indubbiamente, si deve riconoscere l’utilità dei vari prospetti sistematici, cercando però di non dimenticare la preoccupazione per la condizione umana2.
Si tratta di una piccola e utile divagazione per una
piccola e utile premessa diretta allo scopo qui intravisto: non offrire una sintesi o un prontuario di concetti
base, ma allestire un fondo comune; fare appello ad
una sensibilità condivisa; sintonizzare vocaboli e linguaggio al fine di poter dialogare con agio e con profitto sull’educativo, in particolare su uno dei suoi saperi
specifici (rappresentato qui dalla filosofia dell’educazione) e, in generale, su tutto quel mondo enigmatico,
tragico e misterioso che lo lega.
2. Uno specifico taglio di filosofia dell’educazione
Per intendere il qualificato e prestigioso taglio3
della disciplina considerata, inizierei con l’analisi del
semantema filosofia dell’educazione.
In primo luogo, un sapere filosofico4 che ha per
oggetto l’educazione. Un genitivo oggettivo: l’educa2
Cfr. E. Ducci, Postille di filosofia dell’educazione, in «Il quadrante scolastico», n. 64, marzo 1995, pp. 94-96.
3
Intendo lo stile e la portata che Edda Ducci diede alla disciplina. Filosofia dell’educazione è sapienza amorosa su quel che concerne
l’educabilità umana.
4
La filosofia dell’educazione ha con la filosofia morale un rapporto unico: la filosofia morale riscopre e indaga la responsabilità del
soggetto; la filosofia dell’educazione individua le strade per l’operatività,
tracciandone le direzioni (Cfr. E. Ducci, Libertà liberata. Libertà legge leggi, Roma, Anicia, 1994, pp. 31-39).
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
zione è oggetto su cui si esercita l’azione del soggetto,
ossia della filosofia. Soggetto che esercita un’azione
avente il compito di illuminare alcune zone d’ombra,
in cui l’oggetto potenzialmente si trova.
Educazione, in forma complessiva, è realtà naturale fatta di permanenze, estensioni legate al divenire
storico. Con esso si indica l’educativo5, l’azione, la
prassi, l’evento, l’esperienza educativa. Dunque, una
realtà, un oggetto semplice e appropriato, per molte
conoscenze e, nel nostro caso, per una conoscenza di
natura filosofica. Una realtà misteriosa e indefinibile
con una espansione spazio-temporale quasi inimmaginabile. Nei tempi, un punto tremendo che sentiamo di saper gestire in maniera molto povera ed approssimativa.
Quando gli antichi greci si posero il problema di
cosa fosse l’educazione, sorse subito una domanda: di
che cosa si nutre l’anima perché l’uomo viva e diventi
quello che può e deve essere? Fu l’individuazione del
bisogno e del suo soddisfacimento, e venne detto paideia. Si pensò subito di sapere cosa fosse per il solo
fatto di essere persone umane, educabili e forse educate, ma fu da tale aspetto che il termine risultò subito
essere insidiato: nutrire con cose assimilabili e connaturate o con facili surrogati. Ecco l’addottrinare, l’omologare, il manipolare, il condizionare, il mutare in
base a un progetto. È evidente che se l’uomo non si
realizza nascono frustrazione, spreco, danno per la
convivenza.
La paideia, vista come nutrimento assimilabile
perché l’essere si mantenga per quello che è e cresca, è
un bisogno vitale? Un bisogno il cui soddisfacimento è
un diritto? Ma, anzitutto, c’è la domanda del fondamen5
Da intendersi come qualità di qualcosa in senso proprio e in
senso dativo.
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to: e Platone, per avvertire la necessarietà del fondamento, sentiva come necessarie l’esperienza (conoscere
la vita anche nella sua tragicità) e la forza speculativa
(non tutte le intelligenze sembra possano arrivare ad avvertire la necessarietà del fondamento, talune rimangono
irretite dalla molteplicità e dalla complessità).
È dal contesto anzidetto che si origina l’idea di filosofia dell’educazione, dove l’educazione si ripropone
come oggetto di stupore e meraviglia rispetto a quanto
fatto. Così, la filosofia dell’educazione risulta essere una
disciplina cerniera, un filosofare sull’oggetto della pedagogia, oltre che una teoresi avente a che fare col vivere
concreto, compreso il vivere personale di chi indaga. La
filosofia dell’educazione come sapere specifico tramite
cui focalizzare un aspetto singolare della realizzazione
dell’umano, come sapere in situazione calato in un rapporto interpersonale finalizzato al prorompere della vita.
Ma perché volere l’educazione propria e altrui?
Perché presupporre il rapporto interpersonale e quale?
Da una parte lo stupore e la meraviglia sull’educativo,
dall’altra la filosofia che porta ad indagare pause, coordinate, strutture portanti, variabili. Una filosofia che induce all’indagine attenta, scrupolosa e che pone come
suo primo e valido punto l’attenzione sull’uomo.
Ecco allora la teoresi pedagogica divenire filosofia
poietica: l’attenzione sull’uomo si qualifica tramite il
suo stesso fine, l’umanarsi dell’uomo. Quello poietico
fa capire come un approccio solo scientifico potrebbe
presupporre dell’uomo solo dimensioni misurabili, mentre un approccio solo filosofico-metafisico porterebbe
all’evidenza solo un mondo astratto. Il discorso pedagogico deve andare oltre i singoli aspetti per poter affrontare il problema dell’umanarsi dell’uomo radicalmente, non solo come momento che fonda, ma come
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
momento fondante che si intreccia con il concretizzarsi
della situazione.
È una filosofia che non si disgiunge da un particolare tipo di Erlebnis. Esperienza che comporta un rivivere, un provare a livello di vita. Ducci a tal proposito
definisce molto bene il compito svolto dall’esperienza
vita in tale filosofia. Compito che deve essere chiarito
nel suo momento germinale per individuare più facilmente le estranee inclusioni. L’enigma uomo si sviluppa sotto un nuovo prospetto: dimensione misteriosa
dell’essere umano, sostenuta e convalidata da una personale esperienza umana6.
Ne deriva che la filosofia dell’educazione deve
qualificarsi come una filosofia poietica, come un pensare attento sull’uomo per riconoscere e indicare il
cammino del suo concreto umanarsi, servendosi di una
vera esperienza umana. Pertanto, tre sono le dimensioni che caratterizzano il percorso della nostra filosofia
dell’educazione: attenzione sull’uomo, esperienza umana,
concreto umanarsi. È sulla linea dell’identificare queste
dimensioni che il modo di essere della filosofia dell’educazione ha la sua manifestazione conclusiva nelle
finalità7. E in tali finalità si delinea lo specifico rapporto di siffatta filosofia con la prassi. Per prassi, infatti, si
intende vivere personale relazionato, perno principale
dell’agire umanante. È una prassi in cui la filosofia
dell’educazione ha degli obblighi: dire chiaramente
dove si giunge prendendo una precisa direzione, dove
porta una strada scelta, quale compito sono in grado di
assolvere determinati mezzi.
6
7
Cfr. E. Ducci, L’uomo umano, Roma, Anicia, 20082, pp. 14-16.
Cfr. Ibid., p. 20.
91
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3. Uno speciale statuto: la dimensione educabile della
persona
Si configura così una filosofia dell’educazione non
descrittiva, non informativa, non normativa, ma indicativa, motivante, illuminante, invogliante, edificante, da
cui nasce stupore e sbigottimento di fronte alle vette e
agli abissi in cui può trovarsi la persona, oltre che la
volontà di individuare le eterne forme disumananti.
Ricollegandomi a quanto detto, ritengo utile azzardare qualche cenno su quello che potrebbe (dovrebbe?) fare tale disciplina avvalendosi del suo essere un
sapere poietico. Ci si potrebbe, anzitutto, mettere in
posizione adatta per intravedere una funzione appartenente non alla dimensione scientifica di tale sapere,
bensì a quella esistenziale: individuare le strade giuste
e le motivazioni incalzanti per indurre l’uomo a impegnarsi nel lavorio di racimolare e articolare tutti i tratti
della persona che vanno sotto il nome di educabilità.
Ed è nella propria educabilità che la persona può realizzarsi. Infatti, l’educabilità è quella parte di mistero
dicibile come il diventare l’io che si è; è quel dinamismo di perfettibilità, secondo natura, ma, contemporaneamente, capacità ed auto trascendimento. Quanto più
cresce la propria sensibilità circa la dimensione educabile
del proprio essere tanto più si diventa attenti nell’acculturarsi. Ma acculturarsi di erudizione passiva equivale ad avere una erudizione fredda, mentre se nel contempo germoglia una sensibilità all’umano, il proprio
carico di cultura avrà una valenza più forte e intensa.
Non bisogna dimenticare che solo lo specifico
umano è educabile; non lo sono gli animali, né le piante, né gli angeli: nessuno è educabile, solo lui8. Il no8
92
Cfr. I. Kant, La Pedagogia, Messina, Arial, 2008, pp. 43-45.
Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
stro è uno specifico isolato, non facile da conoscere;
infatti, facilmente si può entrare nel fraintendimento,
ed ecco il plagio, la manipolazione: le false educazioni.
In quanto specifico umano, l’educabilità implica
un diritto primario: l’uomo in quanto essere educabile
ha diritto all’educazione. Ma è raro trovare il bisogno
di educazione ben compaginato, che porta alla realizzazione della propria vocazione9; in tal caso, è l’educazione che dovrebbe metter la persona nella situazione di capire tale interesse, poiché è solo nel compimento di quest’ultimo che può trovarsi la felicità10.
Ora, l’incognita è riuscire a capire la stoffa della
propria educabilità (perché non è standardizzata) e,
contemporaneamente, della propria in-educabilità. Quanto e fin dove arriva l’educabilità? In ognuno di noi c’è
una dose di educabilità e di in-educabilità. Perciò l’educatore avrà sempre il dramma di capire quanto dell’una e
quanto dell’altra sia presente nell’educando. Ed è questo il se11 dell’educazione, cosa misteriosa che inquieta, segreto che, se dipanato, può manomettere l’altro.
Ci si aggrappa spesso al come fare l’educazione; un
salto fa andare oltre il se per comprendere il come fare
l’educazione morale, come fare l’educazione estetica e
così via. Tutto si enfatizza e si crea un manuale sul come
fare. Il come è stimolante, provocatorio, ma anche oppiaceo. Blocca e deresponsabilizza, perché fa sì che l’io non
9
Cfr. J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, Napoli,
Guida, 2000. Ortega, provocando, ammette la vocazione propria di
ogni generazione.
10
Rimando al concetto di proairesis di Epitteto, sia nelle Diatribe che nel Manuale.
11
Mi riferisco al se che Ducci riprende dall’interpretazione di
Tommaso e rielabora come elemento prezioso del suo pensare. Si vedano di E. Ducci: Postille di filosofia dell’educazione e l’Introduzione
(«Il se del docere», pp. 26-32) alla traduzione del De Magistro di San
Tommaso.
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sia preoccupato dal se. Nel momento in cui si affida il
come ad un sistema chiuso, si danneggia l’altro, ma nel
momento in cui il come si dà in maniera non definitiva,
allora si può fare il giusto. Non è un se generico, è un se
che si sente sulla propria e sull’altrui vita. Bisogna essere
lettori attenti dei propri e degli altrui sintomi.
È difficile e rischioso scoprire il bisogno di educazione. Nel momento in cui tale bisogno si avverte, si
cerca il proprio Socrate, ma di Socrate ce ne sono pochi. L’avere rilevato il bisogno di educazione mette a
rischio. Inoltre, l’educabilità pone il soggetto di fronte
al bivio dell’omologazione, negativa e positiva.
Dove la linea di demarcazione? Bisogna sempre
conservare un minimo di identità personale (ecco l’omologazione positiva). Quando l’omologazione fa perdere il proprio Io, la persona resta priva del proprio
Io12. In fondo, è riposante essere omologati: la moda, la
vita di gruppo, la vita religiosa. Ma ogni persona è irripetibile; la natura ci ha fatto tutti differenti, e tutti differenti vuol dire che non si è mai ripetuta. Nessuno di
noi è la ripetizione di un altro; ognuno di noi è irrepetibile. Eppure se c’è un istinto che Nietzsche ha messo
bene in evidenza – ma già Kierkegaard, già Dostoevskij – è l’istinto del gregge: l’uomo ama ingreggiarsi,
per cui evita di essere solo, di dover fare le proprie
scelte. Il gregge marcia compatto, spalla a spalla, si
sente vicino, non ha il senso di solitudine. Il pericolo è
che l’educazione faccia di noi sassi ben levigati, senza
spigoli, diceva Kierkegaard. Al contrario, l’educazione
12
La società vive in un sistema di omologazione negativa; si vedano le pagine dure di Pasolini (Scritti corsari o Lettere luterane), e
prima ancora l’insegnamento acromatico di Nietzsche, testimone con
l’esempio dell’insegnante che parla senza capire e di colui che ascolta
senza ragionare.
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
deve rendere importante l’umano, intensificare le energie, non pensando all’uomo come a qualcosa da costruire, ma da sviluppare.
Così Platone chiude il Mito della caverna: lo schiavo è uscito dal buio, e ora può contemplare il sole: perché paideia non è dare occhi all’anima; l’anima già li
ha13. Ne deriva che l’educativo è aiutare l’anima a girare gli occhi dalla parte giusta, e ciò vuol dire comunicazione-linguaggio14, fine da raggiungere15 per una corretta idea di felicità16.
L’essere umano ha la prerogativa di essere educabile, ma nasce nella potenzialità. Ha bisogno di una
giusta sollecitazione per poter attivare le sue grandi
dimensioni, quali il parlare, l’amare, il socializzare,
l’esercitare la libertà, tutte inserite in un rapporto interpersonale che prevede infiniti livelli e infinite modalità.
Non è un concetto univoco17. È un contesto da finalizzare alla qualità della convivenza; non si dimentichi
che per poter parlare di educabilità umana è indispensabi-
13
Cfr. Platone, Libro VII, 518c.
Parlando di comunicazione e di linguaggi, è chiamata ad agire
la sinergia, intesa nel senso di Aristotele presente nella sua Metafisica: «il tutto è maggiore della somma delle sue parti».
15
Ma il fine è scritto nell’educabilità stessa? Può esserci indubbiamente, a tale domanda, una risposta affermativa, però bisogna tener
presente la lettura di tale fine per poterlo portare alla conclusione. Il
fine è tutto dentro o tutto fuori? I greci già diedero una bella risposta
alle nostre domande. Il fine dell’educabilità umana si inscrive nel telos
dell’uomo, il telos dell’uomo è la felicità. La felicità è fondamentale,
se non esiste al traguardo, l’uomo non si muove.
16
La felicità non esclude il dolore, quello è il piacere.
17
L’ambiente greco-cristiano è la culla in cui sono stati maggiormente scandagliati i rapporti interpersonali. Si ricordano le grandi
aporie dei tragici, la produzione platonica e Aristotele, che vede nell’amicizia il coronamento dell’etica.
14
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le palesare il senso dell’uomo e del cittadino18. Oggi,
come aveva annunciato Nietzsche affermando che l’uomo non ha un senso, si assiste alla perdita del senso
dell’uomo. Il senso ce l’avrebbe solo l’Übermensch19.
Quando ci occupiamo di educabilità umana dobbiamo avere il coraggio (da un punto di vista culturale, ma
anche esistenziale) di chiederci: qual è il senso dell’uomo? quale lo spessore del suo essere? la valenza del
suo vivere? la valenza del suo morire? Non si riceve in
dono; devo aprirlo a me stesso, devo rivelarlo, in prima
persona, nel senso del vivere e del morire.
È in tale situazione che la filosofia dell’educazione riscopre una vera e propria licenza, oltre che
competenza, ad agire, la sua specifica strumentazione20, vale a dire: una sensibilità particolarmente sviluppata per la realtà che mi si pone di fronte21. Il discorso
fin qui fatto, potrebbe allargarsi all’affettività, alla creati18
Platone, Apologia di Socrate al 29d-30b.
Chiara allusione a La visione e l’enigma di Così parlò Zarathustra, in cui Zarathustra, annunciando l'eterno ritorno, vede un pastore che si rotola con un serpente penzolante dalla bocca: l’eterno ritorno è un pensiero strisciante che si insinua nell’animo umano. Zarathustra ordina al pastore di mordere la testa del serpente, egli lo fa e
diventa un uomo circonfuso di luce, che ride: diviene übermensch,
perché ha dominato e accettato l’idea dell’eterno ritorno.
20
È importante rilevare che, accanto alla strumentazione soggettiva, ne sussiste anche una oggettiva. Potremmo definire quest’ultima
come metodo, sistema, nozione che, se ben usata, può contribuire a
rendere la strumentazione soggettiva, scientifica e valida da un punto
di vista professionale.
21
Già Platone, nel Mito della Caverna, parlando della dimensione paidetica o non paidetica dell’essere umano si rivolge alla misura umana nei termini di strumentazione, facendo sì che tutti i percorsi
(ontologico, antropologico, gnoseologico, politico, oltre che educativo) trovino nella caverna il punto massimo di riflessione. Ma tantissimi autori, oltre Platone, – Agostino, Epitteto, Aristotele, Kierkegaard,
Buber, Ebner – parlano di una strumentazione soggettiva necessaria
per affrontare il viaggio nell’educativo.
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
vità, annodarsi all’irripetibilità. Anche il discorso sui
valori si costruisce uno spazio incredibilmente vasto.
Se la filosofia dell’educazione deve affrontare come
oggetto primo la natura, la dinamica, le infinite possibili attuazioni dell’educabilità umana, la sua distinzione
dall’ineducabilità positiva, sì da additare le manipolazioni e i plagi, allora le esigenze imposte dalla volontà di
perseguirla sono davvero infinite; ma non credo sia il caso, almeno in questo contesto, di addentrarci in ulteriori
approfondimenti che potrebbero distrarre dall’approdo.
4. Le sue sorgenti
Approdare non è cosa facile! Cercherò di farlo con
l’aiuto di quella singolare sensibilità, appena detta.
Affacciandosi nell’attuale mondo socio-educativo,
il “discente” diverrà “docente”22 entrando a far parte di
un rapporto formativo ove dovrà praticare, oltre che gli
efficaci metodi appresi nel percorso di studi, anche, e
soprattutto, la propria bella umanità. In tal senso, la filosofia dell’educazione è un sapere che individua il potenziale umano per giustificare quanto ha scoperto, per
intravedere la meta che esso può raggiungere, inventariando i percorsi e gli aiuti, snidando la loro forza invogliante. Da una parte può racimolare e accumulare
quanto su questo è stato detto dai grandi, nonché da quelli
che hanno pensato ed esperito, e trasmetterlo come bagaglio di erudizione, di conoscere oggettivo, di opinioni;
dall’altra, può presentare il tutto (raccolto nel modo più
alto), sì da avviare a coinvolgere chi trasmette e chi riceve, sollecitando la cura e la responsabilità verso gli altri.
22
Mi riferisco alla dinamica di rapporto che si crea tra il discente e il docente, ben trattata nel De Magistro di San Tommaso.
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Ma da dove si attingono le categorie vitali della filosofia dell’educazione? La risposta è subito detta: dalle fonti.
Là, dove si parla dell’umano, se ne parla in maniera profonda, e i grandi dell’umano sono le fonti della
filosofia dell’educazione. Le fonti però bisogna saperle
incontrare, avvicinare e scegliere, certis ingeniis inmorari et innutriri oportet 23.
Andare alle sorgenti non è un rito o un agire meccanico. Per scovare una sorgente, anzitutto, ci vuole
fiuto; devo muovermi, devo camminare, devo essere
attivo, trovare il modo di avvicinarla e successivamente riconoscerla dagli effetti; una sorta di circolo ermeneutico, poiché il fiuto si raffina bevendo, ma ci vorrà
stile nel bere; non dovrò manometterla né sottovalutarla. Non è un monumento a cui rivolgo lo sguardo da turista, è una sorgente da cui vado per attingere: avvicinarmi in punta di piedi, e ogni volta avere la sensazione di
non conoscere il tema o di saperne poco o nulla, altrimenti potrò anche inquinarla (snaturare o banalizzare il
testo). Dovrò bere e nutrirmi di essa, cercando di intravedere quel segreto che la fa durare così a lungo e la
rende edificante per secoli. Solo così entrerò in sinergia con la sorgente, diventando serio e impietoso senza
rendere il palato rozzo o insensibile. Non si dimentichi
che l’esperienza ben vissuta porta all’universale. Alla
fine del Simposio, Alcibiade ubriaco (o disinibito) dice
cose bellissime su Socrate, ma dice anche: le parole di
Socrate provocano un sommovimento interno, e anche
ripetute da persone incolte hanno una forza tale che
turbano, inquietano e sconvolgono24. C’è una espressione efficace di Nietzsche: il grave pericolo di chi si
23
24
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Seneca, Lettere a Lucilio, I, 2.
Platone, Simposio, 218c- 222b.
Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
occupa di educazione è di avere le mani rozze25. Le mani
rozze sono le mani che non sanno distinguere la canapa
dalla seta, un petalo da un pezzo di legno. Nell’educativo
le mani rozze sono molto pericolose, come è pericolosa
ogni insensibilità, ogni atrofia, ogni incamminarsi sulle
mode. A tal proposito, gli “auctores, primitivi e inattuali”, sono coloro che “arano profondo nel terreno dell’umano”, che “escono e fanno uscire dal quotidiano”,
che “non fermano quando li si incontra, né inducono a
fare la loro strada, ma invogliano a cercare liberamente
ognuno la sua e a percorrerla”26. Poche valenze, non certamente tutte, ma Ducci le sceglie avendo presente
l’educativo27.
A tal punto, è lecito chiedersi: quali sono i grandi
autori scelti per la filosofia dell’educazione? Ne potremmo individuare tanti, ma non credo sia corretto
avanzare nessuna pretesa di classifica, proprio per non
entrare in un discorso asseverativo. Faccio parlare allora Ducci: mi riferisco oltre ai classici di cui non si può
non avere notizia, a quelli che ho conosciuto per prassi professionale, a quelli che uomini saggi e degni mi
hanno fatto incontrare, sui quali ho sostato a lungo e
che […] hanno superato bene il riscontro culturale ma
soprattutto esistenziale28.
Sono autori che nella loro a-sistematicità lasciano intuire il potenziale umano e ne problematizzano i dinamismi: si guardi ad esempio a coloro che lo fanno per inter-
25
Cfr. Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi,
Milano 2006.
26
Gli auctores per Ducci (si veda il capitolo sugli Auctores in E.
Ducci, Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Roma, Anicia, 1992,
pp. 67-69) sono le vere fonti della filosofia dell’educazione.
27
Cfr. Ibid., pp. 72-76.
28
Ibid., p. 68.
99
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posta persona29, o a quelli che ci accettano come compagni
nel loro cammino30, oppure ai grandi dialogisti31.
Ma non vorrei cadere, involontariamente o solo
per il gusto di schematizzare, in ciò che Ducci non volle
mai sistematizzare o ordinare per temi, autori che vivono
l’umano tutto intero, con analisi e affidabilità, per trovare
quel baricentro che li contraddistinguerà indubbiamente in accademia, ma soprattutto nella vita.
Sono autori che, accompagnandoci, stimolano la
sensibilità. Accompagnano l’altro, poiché condividono
la vita con l’altro, non operano semplicemente una
prassi, un’attività. Attivano le energie, lasciandole trapelare, senza mai imporre (e forse questo è il grande
segreto dell’educatore). Accanto a questo agire, una
metodologia sensata: uno studio serio e severo dei grandi.
Accompagnamento non è semplice camminare insieme,
ma è seguire attivamente una crescita. Vorrei riandare al
senso forte della prima formulazione fatta dai greci, dove
il verbo paideuo vuol dire soprattutto nutrire, allevare:
l’accompagnamento è un camminare insieme, ma soprattutto un nutrire, un percorso e una crescita.
Si guardi Platone nel VII libro della Repubblica.
Mi fermo sul verbo ¢nagc£zoito (515c6): l’educatore,
anzitutto, deve sapere che il soggetto si avvia e persevera nel percorso se qualcuno lo costringe. Si tratta di
uno dei verbi più inquietanti; c’è il pericolo di fermarsi
alla prima sensazione che può dare, cioè qualcosa di
estrinseco, qualcosa di forzato; invece, va riscoperta la
29
Kierkegaard tramite i suoi Pseudonimi o Dostoevskij tramite i
suoi Protagonisti.
30
I primi Cristiani, gli Stoici, Feuerbach, Nietzsche, Ebner, Camus, Pasolini.
31
Platone, Agostino, Caterina, Buber, Ebner: senza circoscrivere
il campo solo ad essi, che rappresentano per utilità di esemplificazione, la classe detta.
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
necessarietà che il verbo contiene. Fare avvertire al
soggetto una vera necessarietà interiore. È un movimento che provoca l’avvio, far sì che il soggetto avverta tutto il bisogno di attivare dinamismi che lo portino
ad essere quell’io che può e che deve essere: si radica
su tale dinamica. È un movimento che rende possibile
il salto di qualità nel vivere: comincia ad essere un vivere qualificato, un dirigersi verso l’alto. Seguono, poi,
quattro verbi indicanti i quattro dinamismi che il costringere attiva. Alzarsi, passare da una posizione statica a
una posizione di movimento; girarsi, forse il più importante, perché pare che si sia voltati dalla parte sbagliata e
quindi non riusciamo a orientarci; incamminarsi, cioè
non rimanere fermi; alzare lo sguardo, compiere cioè il
movimento più significativo. Quindi, un accompagnamento che porta il soggetto al movimento totale, grazie
alla conoscenza dell’educatore che esperisce quei dinamismi in maniera continua. Ripeto, il verbo paideuo evoca il nutrire: non è soltanto fare insieme il percorso.
Sempre Platone, infatti, nel Protagora, formula la
famosa domanda: di che si nutre l’anima? E risponde:
di insegnamenti, cioè di conoscenze metabolizzate dall’educatore, di verità che sono particolarmente assimilabili e quindi metabolizzabili da parte del soggetto, tali da diventare un suo modo di pensare e di valutare.
Da quanto si deduce, tramite Platone, i nostri sono
autori che sviluppano nella persona una mentalità valutativa circa la realtà, la bellezza e soprattutto circa la
qualità del vivere. Si guardi ad esempio alle Diatribe
di Epitteto. Nelle pagine di Epitteto ritorna sempre, dal
primo capitolo del I libro fino in fondo, una famosa
espressione: ™f’¹m‹n kaˆ oÙk ™f’¹m‹n Epitteto induce
il suo ascoltatore a discernere, prima di tutto, ciò che nella vita dipende da noi da ciò che non dipende da noi.
Ma si persuade, nel senso del pe…qomai platonico
e non del pe…qw gorgiano, tramite il dialogo, e loro in101
Cosimo Costa
segnano a essere dialogici. Si guardi l’impatto di Socrate con i sofisti nell’Ippia Minore e Maggiore. Infatti, l’essere dialogico è agli antipodi con l’essere stato
persuaso e questo porterebbe all’incapacità di essere
l’io che si è. I sofisti, ad esempio, sono persuasori persuasi, seguono opinioni non solide. Attingendo, invece,
all’esperire e alle fonti, nel vivo del rapporto con gli altri, si sviluppa in me la possibilità di essere autonomo
rispetto alla persuasione per liberarmi dagli errori. A
differenza di Protagora e Gorgia, Ippia è un filosofo di
cui Platone non ha stima. Ippia Minore prepara i discorsi, quando li prepara cura le sfumature sì da essere
imbattibile e impermeabile, andando in giro a fare conferenze, quindi non affronta uno a uno, per cui nessuno
potrà metterlo a disagio. Ippia Maggiore ha girato dappertutto e ha fatto molti soldi (riprova di quanto lui
valga). A Sparta non l’hanno voluto come educatore:
lui si occupa delle attività a cui i giovani devono attendere per diventare belli in tutti sensi.
L’auctor, originato da quell’¢nqrop…nh sof…a (Apologia, 20d), evita di immettere nell’altro il “male” del
sofista: indipendenza del discorso dagli individui concreti
e dall’apporto che questi potrebbero dare. L’auctor non insegna a essere dotti, così come vuole il sofista che, attaccato alla dottrina, la offre a tutti indistintamente; al contrario,
conosce bene il Mito di Theuth e il motto di Nietzsche: la
natura ci fa diversi e l’educazione ci rende tutti uguali.
Infatti, come Socrate, i nostri auctores insegnano
a non avere una dottrina, ma a costruirla di volta in
volta, con l’interlocutore, nell’impatto tra il proprio bisogno di sapere e il bisogno nascosto dell’altro. Pertanto, insegnano a dialogare non per essere sofisti, ma per
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
scoprire la più intima delle interiorità32 tramite la propria
volontà. Fanno capire che in ognuno di noi c’è un terreno
costruibile, e che si ha tutto l’occorrente per costruire. Se
non si costruisce, esiste il vuoto, la frustrazione, la ricerca
di prefabbricati. Indubbiamente, il ruolo preponderante,
in tutto ciò, è la propria volontà per poter diventare ciò
che si è. Ma per scoprire la propria, bisogna cercarne
un’altra di volontà a cui collegarsi, non estranea ma
protesa verso di lei, non per dominare o usare, ma per
intento d’incontro vitale, per capire che in ognuno di
noi ci sono fibre importanti che necessitano di essere
sollecitate, che non si autosollecitano33. Fanno comprendere che la presenza umana non è questione di vita
o di morte, il che sarebbe necessarietà di secondo grado; al contrario, è una delicatissima implicanza di dinamismi volitivi da indagare nel concreto34.
Ne deriva che l’uomo non è autosufficiente nel
conseguire la piena realizzazione del proprio essere35.
Deve cercare competenti, affidarsi a loro per individuare
e soddisfare sia i bisogni primari del proprio corpo, sia,
per un motivo ancora più delicato e urgente, i bisogni
del proprio animus. Per l’oscurità di quest’ultimi dovrà
ricorrere al consiglio dei saggi.
Al termine del percorso, scosceso ed erto, la visione
del sole rende ragione anche delle ombre come ombre,
così che nessun ente va perduto, ma tutto si inscrive in un
ordine vivo, dialettico, segnato dall’energia della parteci32
Una interiorità, quale quella che Marco Aurelio elogia nei Ricordi
(IV, 3) come una piccola villa in un piccolo podere di campagna.
33
Si veda il secondo articolo del De Magistro: Se l’uomo possa
esser detto maestro di se stesso.
34
Rimando al concetto di volontà in C. Costa, La paideia della
volontà. Una lettura della dottrina filosofica di Epitteto, Roma, Anicia, 2008, pp. 135-166.
35
Platone, Protagora, 313a.
103
Cosimo Costa
pazione. Le forti coordinate, per l’uso che si intende fare
della metafora, restano l’esserci del sole, e la certezza che
l’anima ha l’occhio per contemplarlo e goderne, nella
preziosità dello sguardo sinottico, l’unificarsi del tutto.
Nell’assolvimento di tale funzione, il singolo si mantiene
nel suo essere (non resta frantumato) e cresce per la vitalità delle energie sprigionate dal costante soddisfacimento
del bisogno. Si punta alto, senza smarrire la concretezza,
e così si attingono le grandi potenzialità dell’umano senza disattendere le urgenze del presente; le si fa attecchire
in qualcosa di grande tenuta, e si apre all’azione insostituibile dell’utopico. Un vero impatto con l’essere.
Si guardi ad Aristotele nell’VIII libro dell’Etica
Nicomachea, dove si coglie l’amicizia secondo virtù
come necessaria alla vita, ma urge saperla distinguere
dalle amicizie apparenti, perché il vivere non sia segnato dal fallimento; oppure a Seneca nelle Lettere a
Lucilio, dove si rimarca la necessarietà di indurare
l’animus sì da tener testa alla sfortuna, ma soprattutto
alla fortuna senza cedimenti disumananti; oppure ad
Epitteto nelle Diatribe, dove si palesa tutta l’urgenza,
per l’uomo, di darsi un prezzo rispetto a tutto il resto, e di
darselo alto per rendersi immune dai condizionamenti di
ogni genere; ma anche a Kierkegaard, che prospetta
per l’uomo la necessità di uscire dall’anonimato della
massa per essere se stesso, cioè quel singolo che ognuno può felicemente essere; e ad Ebner, che si propone
il compito della restitutio in integrum del valore della
Parola per ridire il valore dell’uomo; addita la parola
giusta a chi, chiuso nella muraglia cinese del proprio
io, resta frantumato e brancolante, incapace di trovare
quel Tu che lo renderebbe pienamente io, e da quella
Parola potrebbe avviare il cammino verso la sua pienezza umana. Autori questi con cui filosofare per ampliare la propria interiorità.
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Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
È necessaria, naturalmente, una certa capacità di filosofare su detta realtà, scegliere gli autori che si prestano, che consentono di entrare nel vivo della ricerca come
partecipanti attivi. Se ciò è fatto in una situazione viva di
comunicazione, è quasi un tirocinio di vita che si apre a
intuizioni e conquiste impensate: possibilità di iniziazione
ed edificazione non tanto nel valutarli quanto nel saggiarli e intravederli36. La filosofia dell’educazione, preoccupandosi dell’educativo, cerca, tramite le sue fonti, di lasciare in colui che si avvicina quel senso di autorevolezza37 che tanto manca, purtroppo, nel campo dell’educazione38. Ma è anche vero che, mediante le sue fonti,
diventa più urgente, oltre che vera, la volontà di affinare
il linguaggio, di farlo più ricco e più aderente alla realtà
intravista e apprezzata; diventa necessario godere della
profonda liberazione dalle ombre, e quindi voltarsi con
tutta l’anima; diventa immediato il bisogno di capire la
dimensione educabile e quella ineducabile dell’uomo.
Sono fonti che lasciano la volontà di anticipazione
e rigorosità, scientificità e serietà, spazio del vissuto e
spazio dell’acquisizione culturale, oggettività logica della
riflessione e inoggettivabilità del dato vitale, esigenze
del sociale e diritti del singolo. Sviluppano le virtù necessarie per affrontare e percorrere il tema dell’educativo
secondo le richieste della sua natura, imprimono la impagabile capacità di dialogare accanto alla maestria di
36
Si guardi al tanto citato Platone e ai suoi dialoghi, o ad Aristotele
e in generale alla sua Etica Nicomachea, ad Agostino nelle Confessioni,
nei Sermoni e nelle Lettere, a Tommaso, a Feuerbach (almeno nel Diario),
a Kierkegaard con i suoi pseudonimi e principi edificanti, a Dostoevskij e
ai protagonisti dei suoi romanzi, a Nietzsche, Ebner, Camus, Deledda.
37
Tale autorevolezza viene dall’aver impattato con l’essere, dall’aver esercitato l’inventio circa l’uomo, il vivere e quindi dall’averne
trovato il senso.
38
E. Ducci, Approdi dell’umano, cit., p. 77.
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Cosimo Costa
avviare la facoltà dialogica nell’interlocutore, e soprattutto l’arte di farne intravedere la bellezza, sì da invogliare.
Frequentare in modo sano e appropriato gli auctores
è imparare che quando c’è da collocare qualcosa di grande e di bello non basta saperne il peso e il volume39.
Certamente la filosofia dell’educazione insegna a leggerli, ma bisogna anche imparare a leggerli, senza lesinare
sulle riletture ed esercitandosi nel ruminare. E non per ultimo, l’esercizio personale e costante della rimozione della
paura, oltre che il saper godere a pieno dell’esperienza impagabile della viva forza movente ben direzionata.
Dal momento che ci impossessiamo del sapere in
grazia dell’appartenenza ad una precisa comunità, è
naturale che s’imponga il compito di mettere a servizio
della convivenza quanto abbiamo appreso. Ma non bisogna mai dimenticare gli elementi di volontà propria
su cui e da cui partire: voler arricchire al massimo il
proprio conoscere, non come accumulo di notizie, ma
come attuabilità di una capacità (questo secondo movimento è più faticoso, è ostacolato dalla pigrizia, ma è
energetico e gratificante); voler affinare una sensibilità
specifica, così come si fa per l’iniziazione a qualsiasi
arte. Ognuno poi deciderà liberamente se e quanto responsabilizzarsi, se e come trasformare il mestiere in
professione.
5. Per concludere
Forse tale filosofia risulta poco appropriata o poco
consueta nel pensare accademico. Ma così come accennato all’inizio, tutto il mondo dell’educativo entra,
parcellizzato, quasi sezionato, in svariati saperi. Il mondo
39
106
Ibid., pp. 77-79.
Uno specifico approccio di filosofia dell’educazione: attivarsi nell’umano
dell’educativo è vasto. Comprende l’educabilità umana, la prassi educativa, il binomio educatore-educante,
le strade, o metodi, percorribili o, addirittura, da seguire, i
traguardi o fini. Ognuna di queste parcellizzazioni, diventando oggetto di un determinato sapere (storico, sperimentale, speciale), viene affrontato secondo le appropriate coordinate scientifiche. La stessa filosofia dell’educazione è solitamente più circostanziata, e opera
lei stessa un suo taglio nella vastità dell’educativo. Tale filosofia sembra non voler costituire un settore accademico; riguarda piuttosto chi è immerso nel mondo
dell’educativo, o che si sente coscientemente nel mondo dell’educativo, e vuole assumere una disposizione
personale adeguata. Così il suo filosofare può interessare gli educatori sul campo, ma anche ogni singolo
esistente, ogni persona non distratta circa la specificità
che porta in sé. Il suo filosofare non è sinonimo di pensare, ripensare, occuparsi, riflettere, valutare, etc. È
preso nella sua accezione primaria: un amore sapienziale verso questo oggetto vastissimo e variegato, un
atteggiamento a monte nei confronti di una realtà intravista in una certa misteriosità. La disposizione personale si articolerà poi in sintonia con i diversi livelli,
le differenti espressioni, o le situazioni reali. Ma resta
sempre una disposizione personale acquisita, aperta
sull’intero mondo.
Riferimenti bibliografici
Riporto qui alcuni autori che più hanno guidato il presente lavoro e che direzionano il taglio di filosofia dell’educazione qui trattato.
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