Dipartimento di Scienze giuridiche
CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa
Riflessioni sulle Considerazioni finali del
Governatore (31 maggio 2008): profili
legislativi e di regolamentazione
Appunti di ricerca su “Società per azioni e
sistema finanziario”
Gustavo Visentini
[3 giugno 2008]
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sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione
La relazione annuale della B.d’I. è un documento economico sulle
condizioni del Paese, che dipendono sì dalla gestione degli affari, ma anche
dalla qualità del diritto che ne ordina la gestione. Con le Considerazioni finali il
Governatore si fa politico, e nel porre quei problemi e nell’indicare quelle
soluzioni che gli sono suggerite dall’analisi tecnica della Relazione, sollecita
riflessioni sullo stato e sulla evoluzione della legislazione. Le Considerazioni di
Guido Carli accompagnavano lo stato e l’evoluzione del diritto con l’incisività
che gli consentiva la cultura economica e la sensibilità giuridica; quella
tradizione è ripresa nell’asciutto dettato di Mario Draghi, che scorre chiaro. È
la condizione appropriata per discuterne.
- Quando è apparso che la crisi finanziaria tutt’ora in corso avrebbe
potuto avere effetti devastanti sull’economia reale, le banche centrali sono
intervenute: “la dimensione degli interventi, la loro flessibilità e prontezza, il
grado di coordinamento internazionale sono stati senza precedenti”. La
pubblicistica internazionale ha sottolineato la diversità di comportamento della
Federal Reserve e della Banca Centrale Europea, spiegata nella diversità del
loro statuto giuridico: soltanto la BCE è indipendente dalle autorità politiche
nella missione primaria di contenere l’inflazione.
Sappiamo che questa soluzione è stata decisa all’epoca proprio per
sottrarre alla politica lo strumento monetario, in modo da costringere i governi
e gli altri attori (imprese, lavoro, consumatori) ad affrontare i problemi
dell’economia reale con le riforme negli assetti degli interessi, necessarie nella
competizione internazionale. La disponibilità dello strumento monetario
consente di falsare la percezione del problema reale e di rinviare le soluzioni:
l’enorme fardello del debito pubblico che oggi ci fa carico viene proprio dallo
spregiudicato impiego dello strumento monetario degli anni ‘80. Tuttavia nel
breve termine l’euforia finanziaria, con l’inflazione e con le ripetute
svalutazioni, aveva dato la falsa sensazione di benessere che ancora oggi è
ricordata con quel senso di nostalgia che ha concorso alle turbolenze politiche,
dalle quali si spera di essere sulla via di uscire. Nelle diverse dimensioni, con
maggiore sofisticazione e capacità tecnica di manipolazione, non è accaduto lo
stesso alla Fed? Vediamo ben argomentata l’opinione di coloro che la indicano
responsabile: la Fed, con l’irrazionale esuberanza dei mercati finanziario ed
immobiliare; con il sottovalutare l’anarchica formazione di una intermediazione
finanziaria e creditizia parallela a quella regolata (una sorta di sistema bancario
ombra), ha consentito di creare quell’apparente ricchezza che ha accompagnato
la politica di crescita delle disponibilità di consumo delle famiglie, e così ha
forzato lo sviluppo che l’economia reale non era più in grado di dare, per
consentire alla presidenza Bush di terminare il mandato con l’economia in
crescita. D’altro canto la politica monetaria non è necessariamente strumento
perverso; può essere strumento di sviluppo sano dell’economia reale;
impedirne l’impiego può ostacolare lo sviluppo fisiologico. È quanto si imputa
alla soluzione europea, che spiega il lento progresso dell’area. La questione è in
piena discussione; alcuni dicono che se non risolta può rendere ben meno felici
i prossimi dieci anni dell’euro; si indicano rischi di destabilizzazione, per il
diverso ciclo di ciascun Paese.
In sintesi, le recenti vicende, cui le Considerazioni si richiamano,
sollevano il problema della responsabilità della politica monetaria: quale è la
posizione argomentata della B.d’I. che partecipa al sistema della B.C.E.? Quale
la posizione delle forze politiche; del Governo, nel quale sono influenti le
componenti avverse alla moneta comune; del Tesoro? È un problema
comunitario; l’Italia ne è Paese influente; è bene stimolare approfondimenti di
ricerca accademica, di pubblicistica e di stampa, per coinvolgere
nell’approfondimento l’opinione pubblica, e la politica. Nel conformismo il
problema rimane quiescente, con seri rischi di improvvisazioni, anche di
demagogia.
- Aiutare il mercato a riprendersi non significa sostituirsi ad esso. Il principio
resta generico se non se ne indica la traduzione in regole. L’organizzazione
dell’economia di mercato richiede: istituzioni e discipline sofisticate; difficili
equilibri per bilanciare le istituzioni e i loro poteri; automatismo nella regola del
fallimento giudiziario per le insolvenze; procedure che coinvolgono la politica e
il legislatore per gli interventi straordinari; forza e efficienza nella giurisdizione
ordinaria per la soluzione dei conflitti che genera l’esercizio dei poteri e dei
diritti nel mercato. Richiede una mentalità cui la tradizione di economia mista
ci ha poco abituati, specie nel settore finanziario, che ne era lo strumento
privilegiato; situazione oggi aggravata per il degenerare di alcune aree in
economia di assistenza.
L’intervento sulla Northen Rock ha coinvolto il Parlamento, e
l’opinione pubblica ne ha discusso i costi per il contribuente; il governo ne ha
sopportato gravemente la responsabilità; così nel caso Bear Stearns sono state
rilevate le responsabilità della Fed; l’eventuale aggiornamento della
regolamentazione è ampiamente dibattuto, senza conformismi. Si ha tutta
l’impressione che per il momento il mercato rimane la regola, sia in presenza
della straordinarietà dell’intervento, assai trasparente; sia nelle modalità di
recupero delle aziende, che non ha evitato robuste perdite per gli azionisti, i
dirigenti e i dipendenti; sia nelle condizioni di concorrenza, che comunque gli
interventi straordinari alterano.
Invece l’impressione che avevamo è oggi confermata nei fatti: la
Vigilanza della B.d’I. negli anni scorsi non ha semplicemente aiutato il sistema
bancario; lo ha profondamente diretto, conformato, come nella tradizione
dell’economia mista; le fusioni, le concentrazioni, la formazione dei gruppi
sono state sentite di responsabilità e di competenza della Vigilanza, come
chiaramente aveva fatto intendere in più occasioni il Governatore Fazio, e poi
ha confermato nella vicenda Lodi (lo documentano i casi processuali in corso).
Il mercato, nel senso tecnico di libere decisioni del solo capitale, ha
limitatamente condizionato le trasformazioni del nostro sistema, dirette da
forza di persuasione morale che non ha assunto l’evidenza di procedura
amministrativa nonostante l’implicita autorità: gli accadimenti sono opachi, non
abbiamo sicurezza se i rapporti di cambio rispecchiano il valore del capitale od
altri valori (l’italianità, il recupero dell’azienda in crisi, il sostegno dell’azione, il
lavoro, la stabilità del sistema ecc.), valori che peraltro il legislatore non sembra
avere rilevato. I risultati sono scadenti: la finanza è rimasta accentrata sulle
banche, poco innovative, sottratte alla concorrenza della borsa, che non si è
sviluppata come si intendeva; le banche sono tra loro scarsamente concorrenti;
con costi comparativi elevati sul mercato europeo e globale. Non so se le
recenti vicende di competenza dell’attuale Governatore seguono lo stesso
indirizzo. Nonostante lo spirito paternalistico che anima le Conclusioni, vi sono
indici certi di un comportamento sensibile al mercato (maggiore attenzione alla
formulazione predeterminata di regole, diverso atteggiamento verso l’opa,
richiamo ripetuto al problema dei conflitti d’interesse). Ma è bene prendere
atto che non è una questione di persone, di vigilanti e di vigilati; è questione di
legge, del testo unico bancario, che ha estromesso il governo concentrando la
direzione sulla vigilanza, ma lasciando sostanzialmente gli stessi meccanismi
dell’economia mista, che sono opachi, che non consentono lo sviluppo delle
borse, che allentano il vincolo di mercato, che proteggono dalla responsabilità e
dalla mobilità esponenti, dirigenti, lavoro, capitali; meccanismi ora anche
sottratti alla politica, almeno formalmente. La legislazione va ripensata, senza
evitare, o peggio esorcizzare i problemi e chi li solleva, senza conformismo; il
tema va studiato per capire, anche per coinvolgere l’opinione tecnica e
pubblica, per evitare le improvvisazioni cui abbiamo assistito (ad es. il disegno
di legge, poi ritirato, che trasformava il governo del credito). Il problema della
legislazione bancaria adeguata al mercato non è affatto risolto; come non è
risolto il problema del collocamento della Vigilanza e delle altre autorità di
mercato. Né i problemi possono essere lasciati risolvere nei fatti con il
progredire della sovranità europea e del mercato globale, poiché questo
significa perdere la forza competitiva che dipende anche dalla qualità delle
istituzioni e del diritto nazionale; e può significare cadere nel rischio di
pericolose reazioni nazionali.
- La qualità del governo societario che la nuova legge ha organizzato è,
forse, presidio della stabilità del sistema bancario se si seguono i criteri di una
vigilanza indirizzata ad amministrare i rischi delle imprese; non se si seguono i
criteri di una vigilanza che aiuta il mercato (azionisti, obbligazionisti, creditori,
dipendenti) a proteggersi nella gestione degli investimenti, il cui rischio è di
esclusiva pertinenza dei protagonisti.
La nuova disciplina delle spa, con il ridurre drasticamente i controlli di
merito, ed anche di legalità, a favore del titolare della gestione, risponde alla
concezione istituzionale dell’interesse sociale, che lo intende affidato alla
competenza illuminata del vertice come interesse dell’azienda, a sua volta
componente del sistema economico nazionale, quindi come interesse del Paese.
Più concretamente, prendendo spunto da indicazioni legislative e dai
comportamenti dei protagonisti, nell’ordinamento settoriale del credito
l’esponente gestisce l’interesse dei soci in quanto compatibile con l’interesse del
sistema creditizio, di volta in volta valutato dall’autorità amministrativa, che
partecipa al governamento della società per le vie informali della persuasione
morale (le decisioni più rilevanti sono sottoposte informalmente all’autorità,
che ne viene coinvolta): si potrebbe dire che alla legittimazione dell’esponente
bancario concorre l’Autorità amministrativa.
La nuova disciplina riduce i poteri dei soci, individuali e in assemblea,
di discussione sul merito e di impugnazione delle deliberazioni; l’attività degli
amministratori è necessariamente collegiale, individualmente l’amministratore
dipende dal collegio, anche per l’informazione, fornita dall’amministratore
delegato, senza strumenti permanenti per elaborare personalmente e
collegialmente le decisioni in modo indipendente dal delegato, che se
presidente dispone anche dell’ordine del giorno e della direzione del collegio; il
consiglio di amministrazione ha perso la responsabilità della vigilanza sul
delegato alla gestione, quindi ha perso lo stimolo ad esercitare il controllo di
merito sulla gestione delegata. Rappresentiamoci il caso della società che ha
adottato il sistema dualistico. Con ciò ha tolto all’assemblea le competenze per
l’approvazione del bilancio e per la nomina degli amministratori, sottraendoli al
diretto rapporto fiduciario (non è così in Germania: l’assemblea può
sfiduciare). Configuriamoci il caso estremo in cui con il sistema dualistico è
inoltre disposto che lo stesso consiglio di gestione deleghi la gestione al
componente che lo presiede: il suo potere è in buona sostanza esercitato senza
controlli di merito e di opportunità, in condizioni così poco trasparenti da
rendere anche difficili le responsabilità legali. L’amministratore delegato rimane
dipendente, indirettamente, dal socio di controllo, che può essere debole (ad es.
quando vi concorrono fondazioni bancarie, la forza del socio dipende
dall’autorevolezza degli esponenti della fondazione); socio che può essere a sua
volta controllato, o profondamente influenzato, in presenza di partecipazioni
reciproche e con le tecniche dei patti di sindacato, che la nuova legge assai
irrobustisce. È la condizione ideale per l’esercizio della direzione
amministrativa da parte dell’autorità pubblica, la quale peraltro ne può anche
rimanere condizionata e strumentalizzata, sì da rendere il sistema
autoreferenziale, in grado di gestire la clientela come cartello, elevando i costi,
che consentono una buona produttività individuale, ma bassa efficienza di
sistema; la mentalità bancaria e di economia mista può trasferirsi alle maggiori
imprese commerciali partecipate: difatti la lamentata scarsa produttività non
riguarda le imprese minori gestite dalle famiglie, che spesso sono la forza della
nostra industria.
Nella nuova legislazione appaiono rafforzati i controlli di legalità nel
collegio sindacale, ma il loro concreto esercizio è indebolito dall’evanescenza
delle azioni di responsabilità (non ci si richiami alla responsabilità della
capogruppo prevista da un articolo di difficile applicazione, e comunque
riduttivo rispetto al diritto comune, se fosse operativa la regola della
prevenzione del conflitto d’interessi); il controllo contabile del revisore rimane
debole sia per le ambiguità delle discipline, ma anche soprattutto per
l’evanescenza delle azioni di responsabilità. Dobbiamo aggiungere che a dare
scarsa affidabilità ai bilanci concorre il recente regime penale, che è stato voluto
proprio per ridurre l’efficacia deterrente delle sanzioni criminali. Si potrebbe
dire che questi controlli si rafforzano inseriti e dipendenti nel sistema della
Vigilanza, ma ciò conferma l’indirizzo amministrativo, poiché la debolezza dei
rimedi di ordine privato rafforza la discrezionalità della stessa Vigilanza.
Affinché le vigilanze possano svolgere il loro compito di ausiliare del
mercato è necessario che questo sia fornito degli strumenti di gestione e di
protezione: che sia innanzitutto il mercato, cioè gli azionisti, a disporre con
efficacia degli strumenti del diritto privato della revoca, delle impugnazioni,
delle azioni di responsabilità ecc, in luogo delle vigilanze amministrative, le
quali divengono ausilio dei poteri privati. In altre parole le imprese devono
essere unità indipendenti nella concorrenza, non impedita da patti di sindacato
e partecipazioni reciproche; il rischio d’impresa, gestito dal fiduciario, è
imputato al risparmiatore che investe, fornito di strumenti del controllo di
legalità e opportunità, esposto al fallimento. Nel mercato il potere
dell’imprenditore è diretto dalla concorrenza; i rimedi (controlli di merito e
legalità) sono diffusi tra i risparmiatori secondo le tecniche del diritto privato,
in sostituzione dei poteri amministrativi, del diritto amministrativo, cui ci aveva
abituato l’economia mista.
In sintesi, il mercato è concorrenza, resa concreta dalla regola del
fallimento; è disciplina privata dei rapporti, dei rimedi giurisdizionali diffusi tra
gli interessati; è giurisdizione privata. Se il diritto privato è malformato, se i
rimedi sono insufficienti, se la giurisdizione privata è inefficiente, volendo o
non volendo, le vigilanze sono costrette a sostituirsi, rendendo il sistema
piuttosto regolato per via amministrativa che dal mercato. Il problema riguarda
tutte le autorità c.d. indipendenti, che non trovando la sponda del diritto
privato dei mercati suppliscono con una propria regolamentazione
amministrativa. In questo contesto di principi va esaminata la riforma delle
autorità.
- Le Considerazioni sul risparmio gestito sembrano non tenere conto di
distorsioni che assai dipendono dalla regolamentazione. Indubbiamente la
scarsa regolamentazione delle gestioni patrimoniali personali e di altre forme di
gestione praticamente prive di regole, del tutto fungibili con i fondi comuni,
stimolano le reti di raccolta del risparmio a suggerire l’uscita dai fondi, soggetti
a penetrante disciplina. Ma questo è grave per la protezione del risparmio, e
distorsivo della concorrenza. L’Italia non si è servita della mifid per riordinare
la materia; anzi, ha estenuato l’interpretazione della disciplina comunitaria per
salvaguardare per quanto possibile le esistenti distorsioni e insufficienze nella
protezione del risparmio, a vantaggio degli interessi radicati. Così il servizio
della consulenza, invece di organizzarlo del tutto indipendente per renderlo
davvero utile nel senso indicato dal Governatore, resta servizio compatibile
con l’appartenenza al gruppo bancario e finanziario: come mai potrà, per
quanto formalmente indipendente, il consulente che partecipa al gruppo dire
che il gestore del suo gruppo di appartenenza è pessimo? Potrà accadere, ma è
l’eccezione, mentre il legislatore deve avere presente il caso normale, che trova
il consulente in posizione istituzionale di conflitto.
- La disciplina di prevenzione dei conflitti d’interesse è fondamentale
per il governamento della società e per ordinare la protezione del risparmio
nelle operazioni di mercato finanziario: la gestione delle società e le operazioni
del mercato finanziario sono la prestazione di incarichi fiduciari dove il
fiduciante deve essere tranquillo della esclusiva lealtà del fiduciario, che è
inquinata dalla sola presenza del conflitto. Perciò il codice del ’42 disponeva la
sanzione penale, sia pure lieve, per l’amministratore che decidesse in situazione
di conflitto; la debolezza delle difese di ordine civile giustificava la sanzione
penale. L’esperienza aveva confermato l’efficacia della disciplina, che perciò è
stata abolita. Infatti la nuova disciplina sulle società ha accolto una opposta
soluzione: senza rafforzare i rimedi di ordine civile, ha eliminato il divieto di
decidere in situazione di conflitto; ha di conseguenza soppresso la sanzione
penale (il reato d’infedeltà non vale a sostituire la protezione, anche per la
vacuità della fattispecie). Non poteva fare diversamente, se l’obiettivo è di
concentrare le gestioni in poche mani con il favorire la formazione di gruppi,
anche con controlli minoritari, ed anche con partecipazioni reciproche e patti
di sindacato reciproci: stiamo ricreando la situazione lamentata da Vivante nella
crisi di legalità degli anni ‘20, che trovava la società quasi fondazione anonima.
Proprio l’assenza della regola generale sul conflitto ha indotto la legge c.d. di
tutela del risparmio a disporre numerosi e particolari divieti, facilmente eludibili
in assenza del principio generale.
Sono della convinzione che la reintroduzione del principio, con la piena
affermazione della sua portata generale come rimedio per ottenere il
risarcimento dei danni, assistito da sanzione penale, sia pure semplice
contravvenzione, darebbe ordine al mercato, anche per le operazioni di
gruppo, di concentrazione e fusione, nella definizione dei rapporti di cambio,
nella delimitazione della portata dei patti sociali. Ma la regola del conflitto,
come i rimedi di diritto privato, in generale i rimedi di mercato, esigono
innanzitutto il pieno funzionamento della giustizia civile; ed una certa direzione
e qualità della giustizia penale.
- La macchina della giustizia non funziona. Gli interventi di riforma
sono stati frammentari e troppo condizionati dalle pressioni sui processi penali,
sulle vicende della criminalità economica, che hanno concentrato l’attenzione;
l’intervento sul processo societario è stato maldestro: in assenza del sistema
USA della discovery la prima fase può essere inutile spreco; è improvvisato: il
giudice non può essere relegato a funzioni notarili. È innanzitutto il processo
civile che deve funzionare per lo sviluppo del mercato. Abbiamo bisogno di
una giurisdizione che dia al giudice i mezzi di approfondire la causa nella
concentrazione del contraddittorio; che dia alle parti l’agevolezza nella
predisposizione delle prove. È soprattutto il problema di organizzare la
macchina della giustizia, problema che coinvolge abitudini, interessi radicati
(avvocatura, giudici), investimenti in risorse, problemi ben più difficile che
riformare una legge. Sono problemi che coinvolgono la decisione se
trasformare l’economia assistita in economia di mercato, poiché l’economia di
mercato è incardinata sulla giurisdizione, la prima autorità indipendente del
mercato, dalla quale dipende il funzionamento delle altre autorità come autorità
di mercato, e non di amministrazione. Sotto questo aspetto vanno riviste anche
le competenze del giudice amministrativo, che non ha spazio nei rapporti di
mercato e con le autorità di mercato. L’attuale governo ha il potere ed il tempo
per affrontare con metodo il problema, ma può subire il condizionamento
dell’assistenzialismo diffuso; dell’inerzia; dell’affanno riformatore ipocrita, che
finge di innovare.