L`Approccio Antropologico di San Giovanni Paolo II e

L'Approccio Antropologico di San Giovanni Paolo II
e quello Pastorale di Papa Francesco
di ROCCO BUTTIGLIONE
Nel dibattito in corso sul Magistero di Papa Francesco torna spesso il tema della
continuità o rottura fra il suo insegnamento e quello di S.Giovanni Paolo II. Lo
spunto per la discussione viene in genere dalla Esortazione Apostolica Amoris
Laetitia e dal confronto fra essa e la Esortazione Apostolica Familiaris Consortio
oltre che con la enciclica Veritatis Splendor.
1. Abbiamo voluto affrontare questo tema partendo dalla filosofia di Karol Wojtyła.
Non è del tutto corretto leggere un testo del Magistero alla luce dei testi che il Papa
ha scritto come "dottore privato", e in questo caso anche prima di diventare Papa.
L'antecedente immediato di un testo del Magistero è... il testo precedente del
Magistero, anche se scritto da un altro Papa. Tuttavia la conoscenza del pensiero
teologico e filosofico di S.Giovanni Paolo II può avere una funzione ausiliaria
importante per comprendere la visione complessiva del Papa e quindi anche il suo
Magistero.
2.Abbiamo poi visto il rapporto, centrale per il tema che adesso ci sta a cuore, fra
S.Giovanni Paolo II e l'etica della situazione o, più correttamente, fra S.Giovanni
Paolo II e la svolta antropologica nella teologia morale. A differenza di ciò che
talvolta si sente dire non si tratta di un rapporto di semplice opposizione.
S.Giovanni Paolo II condivide la svolta antropologica ma la interpreta in senso
potentemente cristocentrico (1). Gesù di Nazareth è l'uomo vero, l'uomo secondo la
pienezza della intenzione originaria con cui Dio ha creato l'uomo. Lui è dentro il
destino di ogni uomo e, contemporaneamente, trascende il destino di ogni uomo
verso la verità sull'uomo e verso la verità su Dio. L'invito della teologia della svolta
antropologica (2) ad assumere l'orizzonte trascendentale della autocomprensione
storica dell'uomo moderno viene fatto proprio dal filosofo Wojtyła prima ancora che
dal Papa Giovanni Paolo II (3). L'orizzonte trascendentale, però, non è una
prigione. Esso deve essere assunto per essere trasceso. Esso è il punto di partenza
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che deve essere assunto necessariamente ma non è il punto di arrivo. Fra il punto di
partenza ed il punto di arrivo c'è il tempo di un cammino ed in questo cammino la
Chiesa è una compagnia dell'uomo.
3. Abbiamo poi preso in esame la ispirazione di fondo di Amoris Laetitia. Papa
Francesco assume l'orizzonte di autocomprensione dell'uomo del nostro tempo
ed in modo particolare del divorziato risposato. Questa assunzione è il punto di
partenza del discernimento. L'uomo non vede la verità intorno a se stesso. È
prigioniero del proprio orizzonte trascendentale, della propria autocoscienza. Bisogna
aiutarlo ad oggettivare il proprio vissuto soggettivo. Contemporaneamente l'uomo
non è libero, cioè non è capace di fare il bene. È come un ferito sul campo di battaglia
- si ricordi la famosa metafora di Papà Francesco sulla Chiesa come Ospedale da
Campo (4) - che deve essere ricucito, riabilitato, riabituato ad avere fiducia nelle
proprie forze. L'amore ci chiede sempre di uscire da noi stessi e di abbracciare la
croce, e la croce (una parte della croce) per il divorziato risposato è la rinuncia ai
rapporti sessuali. Se nessuno può sfuggire alla sua croce è anche vero che nessuna
storia incomincia con la croce. C'è un cammino. In questo cammino "il tempo
conta più dello spazio"(5). In che direzione si sta muovendo il peccatore? Verso la
casa del Padre o si allontana da essa? La direzione di movimento ( segnata dal tempo)
conta più della distanza assoluta. Sta lottando per superare il suo limite? Dentro
questa prospettiva acquista rilievo la distinzione di peccato mortale e peccato veniale
e la considerazione degli elementi soggettivi dell'azione che non possono cambiare la
natura dell'atto ma sono decisivi per graduare la responsabilità.
4. Ci domandiamo poi cosa cambia fra Familiaris Consortio e Amoris Laetitia anche
alla luce di qualche documento del pontificato di Giovanni Paolo II poco considerato
nel dibattito attuale.
5. Procediamo infine al confronto fra Veritatis Splendor ed Amoris Laetitia per
concludere con
6. alcune considerazioni sulla svolta che il Magistero sia di S.Giovanni Paolo II che
di Papa Francesco chiede alla teologia morale.
L'Antropologia di Wojtyła
L'opera filosofica principale di Karol Wojtyła è dedicata all'atto umano (6). L'autore
vuole comprendere la persona attraverso l'atto. L'atto umano è infatti la
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manifestazione più compiuta della persona, quella nella quale più direttamente
diventa accessibile la sua essenza. Wojtyła distingue accuratamente gli atti umani
dagli atti dell'uomo. Gli atti dell'uomo sono tutte quelle attualizzazioni del complesso
psico/fisico umano che non coinvolgono le caratteristiche specificamente umane che
distinguono l'uomo dagli altri animali, cioè propriamente la intelligenza e la libertà.
Qui incontriamo prima di tutto gli atti del corpo che sono strutturalmente
indipendenti dalla volontà. Tutte le contrazioni dei muscoli lisci avvengono in modo
del tutto indipendente dalle nostre decisioni, così per esempio il battito del cuore.
Esiste una sfera di autonomia del corpo che corrisponde ai processi in generale della
materia vivente che riscontriamo anche nelle piante. Individueremo questa sfera con
la parola soma, che in greco vuole dire appunto corpo. Su ciò che si sottrae al
controllo della volontà non si può esercitare, naturalmente, una responsabilità
morale.
Esiste poi una serie di attualizzazioni delle potenzialità del complesso psico/fisico
umano che dipendono dalla intelligenza e dalla volontà. Sono queste a
caratterizzare propriamente l'uomo in quanto uomo. Esse dipendono
fondamentalmente dall'atto dell'intelligenza che riconosce la verità. Ciò che
propriamente caratterizza l'uomo è esattamente la capacità di vedere dentro le cose
(in latino intelligere, secondo una antica etimologia intus legere, leggere dentro).
Questo leggere dentro le cose ha due lati. Per un verso l'uomo vede connessioni
necessarie fra stati di fatto, cioè relazioni di causa ed effetto, e questo gli permette di
ordinare il mondo intorno a lui e di utilizzare le forze della natura trasformando il
mondo delle cose in un insieme di strumenti per realizzare i propri intenti e dare
esecuzione alla propria volontà. S.Agostino chiama questa modalità di uso della
ragione scientia (7), Max Horkheimer la chiama ragione strumentale (8). L'altro lato
della ragione è la capacità di vedere cosa è giusto per l'uomo desiderare, cioè la
capacità di intuire i valori ed i beni per l'uomo. L'atto propriamente umano è
quello con il quale l'intelligenza vede il bene e lo propone alla volontà perché lo
realizzi, cioè perché muova l'uomo ad agire secondo la verità conosciuta. Più
esattamente l'atto propriamente umano è quello nel quale l'uomo agisce in accordo
con la verità intorno al bene.
L'uomo può conoscere che esiste Dio, che Dio ha creato il mondo secondo una
legge eterna, che l'uomo è parte di questa realtà creata e deve cooperare con le sue
azioni a realizzare il bene del creato obbedendo alla legge che Dio ha dato all'insieme
delle cose create.
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Da questa capacità dell'uomo di conoscere la legge della natura è possibile dedurre
una concezione della morale come obbedienza alla legge. Wojtyła, però, non ritiene
sufficiente questa visione della morale. Si badi bene: non la nega, tuttavia pensa che
non sia adeguata (9).
L'uomo infatti non è solo intelletto e soma. Fra l'intelletto ed il soma sta il mondo
delle emozioni umane. Questo mondo delle emozioni e delle passioni è
ricompreso da Wojtyła nel concetto di coscienza intesa non come coscienza morale
(in polacco sumienie) ma come essere cosciente (in polacco świadomość). La
coscienza ha il compito di soggettivizzare la verità che l'intelletto ha conosciuto
(10) Non basta conoscere il bene per farlo. Occorre anche riconoscerlo come il mio
bene, identificarsi con il bene. Il bene conosciuto deve diventare forma della mia
coscienza. La coscienza ha il compito di associare ogni oggetto conosciuto, ogni
esperienza, con l'emozione che gli corrisponde. In questo modo l'oggetto conosciuto
entra a costituire in mondo interno del soggetto.
La filosofia idealista ha fatto della coscienza il soggetto creatore del mondo. Wojtyła
non riconosce alla coscienza questo ruolo creativo (11). Le riconosce però il ruolo
ed il compito di creare il mondo interiore del soggetto attribuendo agli oggetti
conosciuti il loro giusto valore, cioè il posto che loro compete nell'ordine interno del
soggetto, nel suo specifico Ordo Amoris (12). In questo modo l'uomo in un certo
senso crea se stesso in quanto soggetto morale, fa di sé un uomo buono o un uomo
cattivo. L'Ordo Amoris è dunque il principio del sistema delle virtù (13) Non è detto
infatti che la coscienza riconosca ed accetti il bene che l'intelletto le propone. Essa
può anche rifiutarlo, non riconoscerlo, collocarlo in modo sbagliato all'interno dell'
Ordo Amoris. Può infine creare in se non un Ordo Amoris che riflette l'amore che
Dio oggettiva nelle cose create ma un Ordo Odii vel Inimicitiae, può cioè rifiutarsi di
riconoscere il bene in se come bene per me (14). Incontriamo qui il problema della
pedagogia del bene che per Wojtyła coincide in un certo senso con il problema della
pedagogia del Concilio Ecumenico Vaticano II (15).
Una pedagogia del bene inizia chiedendo di mettere fra parentesi il mondo delle
emozioni per considerare l'essere ed il bene in se che è Dio stesso. Dalla
conoscenza dell'essere e del bene in sé deriva il dovere di riconoscere tale essere e
bene in se come bene per noi. Dalla metafisica deriva, in questa prospettiva, la
morale. L'etica è necessariamente teleologica, organizza la vita in funzione del fine
ultimo. Questo approccio, che è anche quello corrente alla Università Cattolica di
Lublino quando Wojtyła inizia il suo insegnamento, ha però due difetti.
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Per un verso esso non è accessibile a tutti. Mettere fra parentesi tutte le passioni
della vita per permettere un esercizio puro della intelligenza non è cosa che si
possa chiedere a tutti. Oltre ad un certo vigore della intelligenza speculativa questo
approccio chiede anche una attitudine contemplativa verso la vita, una ascesi
sistematica, uno stile di vita monastico. Richiamo ancora una volta l'attenzione sul
fatto che Wojtyła non sente affatto estranea a se questa prospettiva (16). Essa anzi
entra in modo decisivo a forgiare la sua personalità. Egli ha desiderato in una fase
della sua vita di farsi carmelitano ed ha fatto la sua tesi di dottorato in teologia su
S.Giovanni della Croce. L'idea dunque che nessuno può essere posseduto dal vero
amore di Dio se prima non si è spogliato dell'amore per tutte le cose terrene non gli è
affatto estranea. Essa si riflette in qualche modo anche nel motto che Egli ha scelto
per se stesso: Totus tuus (17). Rimane vero, tuttavia, che questo è uno stile
ecclesiale ma non può essere l'unico.
Per un altro aspetto questa prospettiva della legge rischia di formare personalità certo
rivolte verso il bene ma che nel loro cammino verso il bene sono private della
forza della passione. C'è il rischio di educare ad una obbedienza senza amore e di
bloccare l'energia vitale della persona in una lotta contro le passioni che rende deboli
nell'affrontare il compito della vita.
Una prima indicazione per uscire da una semplice etica della norma ce la da
S.Tommaso d'Aquino. La ragione deve comandare le passioni dell'anima ma deve
farlo in un modo che sia politico e non dispotico (18). La ragione deve, in un certo
senso, non costringere ma persuadere le passioni ad accettare la sua direzione e può
farlo perché le passioni sono fondamentalmente orientate verso il bene. La ragione
vuole la piena autorealizzazione della persona nel bene e di questa autorealizzazione
fa parte, in linea di principio, anche l'ordinata soddisfazione delle passioni umane.
S.Tommaso sviluppa dunque una etica delle virtù. La virtù è una abitudine a tendere
verso il bene attraverso l'azione. Alla etica delle virtù di S.Tommaso Wojtyła associa
la fenomenologia dei valori di Max Scheler. La percezione di un oggetto è sempre
associata ad una risposta al valore di quell'oggetto ( 19) . Educarsi alla virtù
significa abituarsi a rispondere in modo corretto al valore degli oggetti della
esperienza. L'oggetto attira una risposta emotiva del soggetto. Per educarci alla virtù,
ci dice Wojtyła facendo uso della lezione sia di S.Tommaso che di Scheler (o, anche,
innestando la lezione di Scheler su quella di S.Tommaso) dobbiamo mettere ordine
nel mondo delle nostre emozioni (20).
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Il mondo delle emozioni si colloca fra il soma e lo spirito. Il corpo è mosso
dall'istinto (Persona e Atto cit. p 1071 e ss. Determinate situazioni e stimoli biologici
suscitano in noi delle reazioni. Se abbiamo fame desideriamo il cibo, davanti ad un
corpo del sesso opposto lo desideriamo. Nell'uomo però non esiste un legame
diretto fra lo stimolo biologico e l'azione. Noi non consideriamo come cibo tutto
quello che potrebbe saziare la nostra fame biologica. Non consideriamo come cibo,
per esempio, la carne umana e non la mangeremmo mai, salvo forse che in condizioni
di necessità estrema. Gli animali hanno bisogni, gli uomini hanno desideri. Il
bisogno passa attraverso la mediazione dell'emozione e diventa desiderio. L'azione
attraverso la quale rispondiamo al bisogno si carica di significato. Il cibo
acquisisce, nella cultura umana, una ampia varietà di significati simbolici fino a
diventare segno della unione con Dio nella eucarestia. La sfera delle emozioni riferite
al cibo si organizza, in ognuno di noi, attorno a due polarità: quella inferiore,
meramente vitale e biologica, che confina con il soma, e quella superiore, simbolica,
che confina con lo spirito. Si pensi qui a S.Massimiliano Maria Kolbe che accetta di
entrare nel bunker della fame per salvare la vita di un compagno di prigionia.
Una cosa analoga di può dire per quello che riguarda l'altro grande istinto
vitale, quello della sessualità. Nella sua dimensione propriamente animale esso si
rivolge verso gli organi sessuali di un individuo del sesso opposto. Il movimento
verso il soddisfacimento dell'istinto, però, di norma è attraversato dalla scoperta della
personalità dell'individuo del sesso opposto. La personalità respinge o attrae più
ancora della semplice forma del corpo sessuato. L'altro non è semplicemente un
organo sessuale ma una persona. Questa scoperta è tanto fondamentale che l'intera
etica sessuale può essere ridotta alla risposta alla domanda: come si fa ad avere
rapporti sessuali con una persona umana rispettando pienamente la sua dignità di
persona? (22)
L'atteggiamento di ciascuno di noi verso la sessualità è organizzato attorno alla
due polarità della domanda dell'istinto e del fascino della persona. Una analisi
astratta ci può dire con una certa approssimazione quale sia in generale la cosa giusta
da fare ma raramente o forse mai noi agiamo sulla base di tale analisi razionale
fondata sulla gerarchia oggettiva dei fini dell'azione umana in relazione al fine
ultimo che è Dio. In generale noi reagiamo alle situazioni che ci si presentano
sulla base della emozione del momento. Solo raramente abbiamo tempo ed agio di
fermarci a riflettere su quale sia la cosa giusta da fare. Per lo più noi reagiamo sulla
base della passione dominante della nostra anima. Vuol dire questo che non siamo
esseri intelligenti e liberi, guidati dal giudizio della ragione? Per nulla affatto. La
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ragione ci governa, tuttavia, educando il mondo delle nostre passioni, organizzandole
in aggregati emozionali complessi e facendo quindi in modo che la risposta giusta
alla situazione scaturisca (paia scaturire) in modo spontaneo ed irriflesso. In genere
non impariamo la virtù della castità dalla lettura di un manuale di teologia
morale ma piuttosto dalla lettura dei poeti (si pensi a Dante: tanto gentile e tanto
onesta pare etc..) , dal modo in cui nostro padre guardava nostra madre, dalla liturgia
e dalla devozione alla Vergine e ai santi...
Sulla formazione del mondo interiore influiscono gli eventi della storia
individuale ma anche l'insieme degli influssi e degli esempi ai quali il soggetto è
stato esposto, e quindi prima di tutto il modo di essere della sua famiglia e la cultura
del suo ambiente umano. Il processo di formazione delle virtù ( che è poi il processo
di formazione della personalità) riesce in ciascuno di noi più o meno bene. Esso è
sempre contrastato dalla concupiscenza, cioè dalla tendenza della emozione a
sottrarsi al controllo della ragione. A tale tendenza sono soggette le emozioni
inferiori, meramente vitali ma anche quelle superiori, spirituali. Alle virtù si
oppongono i vizi ( dalla lussuria alla superbia).
Ognuno di noi ha una struttura di personalità che gli rende più facile o più difficile
riconoscere il bene e praticarlo. Quando il processo della educazione riesce il
soggetto segue l'indicazione della ragione con la piena intensità di tutte le sue forze
emozionali. Quando il processo non riesce le emozioni si ribellano alla ragione
subentra un conflitto che paralizza le energie del soggetto o può anche accadere che
le emozioni si impongano alla ragione, che la ragione ne risulti emozionalizzata e
finisca con lo svolgere in modo sbagliato il proprio ruolo (23). Essa può finire con il
rinunciare al proprio ruolo di guida e con il subordinarsi alle passioni
mettendosi al loro servizio.
Può certo verificarsi il caso che la obbedienza alla verità entri in contraddizione
con le passioni dell'anima, anche con quelle più nobili. Anche in questo caso, però,
l'obbedienza alla verità non è priva di un sostegno nell'ordine emozionale. Questo
sostegno è l'amore di Dio, l'amore alla verità, alla bellezza ed al bene. In forza di
questo amore (e con il sostegno della grazia) è sempre possibile fare ciò che è giusto.
Tuttavia anche l'amore di Dio lo si apprende inizialmente a partire dall'amore
delle cose create ed in particolare della persona umana che rappresenta il vertice
della creazione. L'amore alla persona umana introduce all'amore di Dio e l'amore di
Dio da all'amore per la persona umana la profondità e la stabilità che esso di per se
stesso non potrebbe mai raggiungere. Amare l'altro "per amore di Dio" non è diverso
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dall' amarlo per se stesso. È il riconoscere l'amore di Dio per lui come il nocciolo più
intimo del suo esserci e del suo essere persona.
Sulla base della antropologia di Wojtyła che abbiamo sommariamente descritto
possiamo distinguere due diverse forme di approccio scientifico al tema della
moralità umana (24). Una di esse è l'etica scientifica o la scienza dell'etica. La
scienza dell'etica è una scienza a priori. Essa studia le strutture essenziali del
comportamento etico, le risposte dovute ai valori ed i comportamenti che
corrispondono al vero bene dell'uomo. L'etica come scienza è indipendente: non
riceve in modo deduttivo i propri principi dalla metafisica ma li trova nella esperienza
etica. L'etica è tuttavia legata alla metafisica nel senso che ritrova i principi
fondamentali della metafisica in se stessa e legittima dunque un movimento che va
dell'etica alla metafisica. Non è del resto il primo sviluppo della filosofia, da Socrate
a Platone e poi ad Aristotele un movimento che va dalla esperienza etica alla
metafisica alla ricerca del fondamento di quella trascendenza della persona verso la
verità che è il culmine della esperienza etica?
Accanto alla etica esiste una scienza della moralità che studia le differenti forme
della esperienza etica dell'umanità ed il modo in cui esse si costituiscono. Wojtyła
pensa ed agisce in un mondo in cui la ideologia dominante è quella marxista. Marx ha
insegnato che la moralità è un epifenomeno delle condizioni materiali di vita di una
comunità umana. Non la si comprende se non si comprende la forma storica delle
società in cui essa vive. Datemi una società feudale ed io vi darò una morale in cui
domina il principio dell'onore e della fedeltà personale con tutto un insieme di diritti e
di doveri che derivano da tali principi. Datemi invece una società borghese ed io vi
darò una morale borghese con il suo principio di libertà individuale che legittima lo
scioglimento di tutti i vincoli comunitari a favore dell'arbitro del singolo.
Marx sbaglia ma non del tutto. La cultura plasma l'ordine emozionale dei
soggetti umani e la cultura è certo dipendente dall'insieme delle condizioni
sociali all'interno delle quali essa si sviluppa. Le verità a priori dell'etica subiranno
inevitabilmente una certa torsione all'interno di ogni specifica formazione sociale.
Ogni cultura storica mostrerà una certa maggiore facilità nel riconoscere certi
valori e nel praticare certe virtù ed una certa maggiore difficoltà nel vederne e
nel praticarne altre. La cultura che ha espresso l'Iliade o l'Odissea aveva certamente
qualche difficoltà nel mettere a fuoco importanti valori come per esempio quello alla
vita. In ogni contesto sociale alcuni valori vengono tendenzialmente occultati ed
altri invece messi in evidenza.
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La scienza della moralità studia le concezioni della moralità che fattualmente si
sviluppano in contesti storici diversi. I valori che una formazione sociale
tendenzialmente occulta non cessano di essere validi ed affiorano anche nella cultura
che è loro sfavorevole. Perché essi siano riscattati dalla loro condizione di
marginalità, tuttavia, sarà necessaria una lunga e difficile battaglia per la
trasformazione della cultura. Le culture umane, del resto, non vanno pensate come
blocchi immobili ed assolutamente coerenti in se stessi. Esse sono attraversate da
pulsioni divergenti e contraddittorie e vanno piuttosto pensate come un precario
equilibrio fra forze contrastanti.
Anche i cristiani non si sottraggono a questa dimensione storica. La moralità dei
cristiani in una certa fase storica o in una certa situazione sociale può non
vedere certe situazioni di ingiustizia, tollerarle senza contrastarle, perfino
considerarle accettabili o normali. Ciò non vuol dire che i principi accettati dalla
maggioranza in quel contesto storico siano l'etica cristiana. Anche i principi dell'etica
nella loro applicazione pratica ad un contesto storico subiscono una certa torsione che
non li sfigura ma li qualifica storicamente. Certamente il principio del diritto di ogni
essere umano a partecipare alla decisione politica che lo riguarda si applica con
modalità diverse in una società che ha mezzi di trasporto efficienti, un basso tasso di
analfabetismo ed una rete adeguata di mezzi di comunicazione di massa ed in una
società in cui pochissimi sanno leggere e scrivere e non c'è modo di essere informati
tempestivamente su quello che accade o di discutere sulle decisioni da prendere.
L'ambiente di vita di Wojtyła non è esposto solo alla influenza di Marx. Cracovia è
una delle grandi capitali della Europa Centrale ed in essa le idee di Sigmund Freud si
diffusero prima che nel resto del mondo e con una modalità differente. Piuttosto che
nella forma canonica di una psicanalisi organizzata in un corpo di dottrina compatto e
separato rispetto all'insieme delle discipline psicopedagogiche le idee di Freud
arrivarono in una connessione più o meno stretta con la evoluzione generale delle
discipline psicopedagogiche. Due cose, in particolare, nel lascito freudiano, sono
importanti per noi in questa sede.
La prima è la straordinaria importanza, per la formazione dell'ordine emozionale del
bambino, delle prime esperienze vissute con la madre e con il padre (25). Queste
esperienze sono assolutamente individuali e tuttavia legate al sistema delle relazioni
sociali attraverso il diritto di famiglia. La legge che regola il matrimonio influisce
sulla stabilità della famiglia e quindi sulle prime e decisive esperienze del bambino.
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La seconda è il peso di eventi traumatici che possono colpire il bambino nella
prima infanzia e danneggiare gravemente la giusta formazione del suo ordine
emozionale. L'ordine emozionale dipende dunque dall'intreccio di fattori sociali
condizionanti e di esperienze di vita uniche ed irripetibili.
San Giovanni Paolo II e l'Etica della Situazione
Ci siamo soffermati sulla filosofia di Wojtyła perché pensiamo che essa aiuti a capire
il Magistero di S.Giovanni Paolo II più in profondità e ad evitare interpretazioni
unilaterali. È nota la battaglia di S.Giovanni Paolo II contro la etica della
situazione e, più in generale, contro la nuova teologia morale. Dobbiamo
concludere che egli sia stato semplicemente un difensore dell'oggettivismo
nell'etica e vada quindi identificato con una posizione tradizionalista? No. Già
alla luce di quanto abbiamo detto fino ad ora è chiaro che egli ha proposto una
rivoluzione nella teologia morale che avrebbe dovuto superare e ricomprendere in
sé la etica della situazione. Questa rivoluzione non è stata compresa ed è stata
rigettata da molti teologi moralisti che parlavano a nome della "svolta antropologica
nella teologia morale". Essi si sono opposti all'insegnamento del Papa. La proposta
di S.Giovanni Paolo II è stata sostanzialmente rigettata o almeno è rimasta
incompresa da parte di molti "tradizionalisti" che hanno visto in essa solo la
conferma delle proprie posizioni sulla oggettività dell'etica ma hanno passato
sotto silenzio il suo aspetto innovativo. Proprio per questo il Magistero di
S.Giovanni Paolo II contiene ancora molte potenzialità inespresse. A me sembra
che Papa Francesco con la Esortazione Apostolica postsinodale Amoris Laetitia si
situi esattamente sulla linea di queste potenzialità inespresse. Vediamo come.
La teologia della situazione ci dice sostanzialmente che l'atto umano va
compreso nel suo contesto (26). Il bene ed il male morale vengono percepiti
dall'uomo all'interno di un orizzonte trascendentale e non si può giudicare il valore
morale dell'atto prescindendo dall'orizzonte trascendentale in cui l'atto viene posto e
percepito. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ci chiederebbe di riformulare il
cristianesimo (e quindi anche la dottrina morale del cristianesimo) all'interno
dell'orizzonte trascendentale dell'uomo moderno. La Chiesa preconciliare
avrebbe condannato l'orizzonte trascendentale dell'uomo moderno, avrebbe
continuato a parlare un linguaggio che presuppone un diverso orizzonte
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trascendentale, quello dell'uomo medievale, e proprio per questo sarebbe diventata
incapace di comunicare con gli uomini di oggi. Per l'uomo moderno, a partire da
Kant, decisiva non è la norma che viene da fuori e chiede di essere servilmente
obbedita ma la coscienza che parla a partire dall'intimo della soggettività. La
coscienza formula la norma dell'azione. L'uomo crea liberamente il proprio interno
mondo dei valori ed il criterio per giudicare l'azione è l'intenzione del soggetto. Se
l'intenzione è retta l'azione è buona. Nessuna cosa al mondo è incondizionatamente
buona salvo una buona volontà. La volontà retta si domanda: come effetto della mia
azione il mondo sarà migliore o peggiore? La volontà buona da un contenuto alle
categorie formali del bene e del male a partire dalla situazione.
Il quadro che siamo venuti delineando ha in se qualcosa di affascinante. Esso vede
nell'uomo un soggetto che crea un mondo di valori e permette d'altro canto di
investigare nella loro concretezza le circostanze dell'azione morale. È S.Giovanni
Paolo II del tutto contrario a questa svolta? No. L'idea che l'uomo crei il proprio
interiore mondo di valori in relazione con altri uomini corrisponde esattamente alla
filosofia di Wojtyła e così quella che l'uomo si comprenda nella situazione (Wojtyła
direbbe più esattamente nella cultura) (27).
Dove però il nostro autore si differenzia in modo decisivo dalla etica della situazione?
L'orizzonte trascendentale dell'uomo moderno è una realtà ma esso non è
intrascendibile. Esso può essere trasceso verso la verità con l'aiuto della Parola di Dio
che rompe i limiti che l'autocomprensione umana pone a se stessa e, più
modestamente, con l'aiuto della ricerca metafisica e fenomenologica. L'orizzonte
dell'uomo moderno (la situazione) è il punto di partenza ineliminabile ma non il
punto di arrivo della ricerca. L'atto creativo con il quale l'uomo crea il proprio
interno mondo di valori ed anche la società intorno a lui non avviene nel vuoto, non è
un atto originario, non è un atto privo di presupposti. Esso avviene sulla base di un
atto originario di Dio che crea il mondo è crea l'uomo dotando sia il mondo che
l'uomo di una struttura dotata di senso che l'uomo deve riconoscere e rispettare per
potere svolgere la propria creatività. Per essere fecondo l'uomo deve riconoscere di
essere figlio, cioè di ricevere in dono il proprio esserci e l'essere del mondo (28).
L'etica della situazione o della responsabilità ha il vantaggio di avere
sottolineato questa assunzione di responsabilità dell'uomo per il mondo. Essa ha
però assunto la situazione come un orizzonte intrascendibile. Si dice spesso che
chi non ha vissuto o non vive una certa situazione non può capirla. C'è del vero ma è
vero anche il contrario. Quando siamo troppo coinvolti in una situazione noi
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cerchiamo il consiglio di un amico che sia fuori della situazione e ci aiuti ad
oggettivare la situazione davanti ai nostri stessi occhi per giudicarla con verità. Nella
antropologia di Wojtyła queste due funzioni sono interiorizzate nella persona. Esiste
la coscienza (wiadomość) ed esiste la autoconoscenza (samowiedza) che ha
esattamente il compito di oggettivare i contenuti che la coscienza vive e soggettivizza
ma sulla verità dei quali essa non è abilitata a giudicare. La funzione della
autoconoscenza è quella di trascendere i limiti della coscienza soggettiva (29).
La svolta antropologica ha il vantaggio di spostare l'attenzione, già lo abbiamo detto,
sull'aspetto creativo dell'operare umano. Attraverso l'azione l'uomo esercita una
responsabilità per tutto il creato. Una certa etica tradizionale si concentrava
negativamente sul dovere di non trasgredire la legge e di non commettere
peccati. La etica della responsabilità per il mondo mette al centro l'amore è
l'impegno ad agire che ne risulta. Tradizionalmente si distingue, all'interno dei
comandamenti, fra i comandamenti a contenuto positivo, che impegnano ad un fare, e
quelli a contenuto negativo, che impegnano ad un non fare.
La svolta antropologica nell'etica pone fortemente l'accento sui comandamenti a
contenuto positivo. Essi non vincolano ad una azione determinata ma aprono il
campo di una iniziativa creativa. Esistono molti modi di onorare il padre e la madre e
la scelta o l'invenzione dei modo che gli è proprio è lasciata a ciascun soggetto
agente.
I comandamenti a contenuto negativo invece proibiscono un'azione determinata.
Essi valgono sempre ed in ogni circostanza. Davanti ad essi l'etica della situazione
si è trovata in difficoltà, ha visto in essi la negazione del carattere creativo dell'azione
umana ed ha cercato quindi di intenderli come ideali o indicazioni non vincolanti, che
possono e devono essere riplasmati dal soggetto nella situazione. S.Giovanni Paolo II
li ha visti invece come il segno della creaturalità, attraverso il quale l'uomo
riconosce il dono originario che limita ma anche fonda la sua creatività propria, un
poco come il frutto dell'albero del bene e del male che sta nel centro devo Paradiso
Terrestre. Wojtyła peraltro è convinto che anche i comandamenti negativi
vadano riletti alla ricerca di un positivo che essi proteggono. Così per esempio in
Amore e Responsabilità nella sua analisi della virtù della castità il sesto
comandamento è posto a protezione della possibilità dell'amore coniugale e della
integrità della persona (30).
Riassumendo: Wojtyła riconosce la positività della svolta antropologica nella
teologia morale ma non vuole opporre l'etica della situazione a quella del dovere.
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Egli vorrebbe piuttosto riconciliarle. L'etica della situazione corrisponde,
propriamente, non alla scienza dell'etica ma alla scienza della moralità. Essa ci aiuta a
comprendere non cosa sia in se stesso il bene o il male morale ma il modo in cui il
soggetto si pone davanti ad esso, modo segnato dalle circostanze della storia
individuale del soggetto e da quelle della storia della comunità umana a cui il
soggetto appartiene. In altre parole: l'etica si occupa prevalentemente dell'oggetto
dell'azione morale, la scienza della moralità invece del lato soggettivo e del
condizionamento storico dell'azione.
La problematica del capitolo VIII di Amoris Laetitia
Se adesso guardiamo alla Esortazione apostolica Amoris Laetitia ed al suo cap.VIII
sul quale si è addensata la grande maggioranza delle critiche (31) vediamo come le
strutture antropologiche analizzate da Wojtyła gettano luce esattamente sul
problema cruciale di quel capitolo, l'atteggiamento da tenere verso i divorziati
risposati e la possibilità che, in alcuni casi, essi possano ricevere i sacramenti
(31). Il Catechismo della Chiesa cattolica ci dice che il peccato mortale richiede tre
condizioni: gravità di materia, piena avvertenza e deliberato consenso. La
gravità di materia attiene al lato oggettivo dell'azione, la piena avvertenza ed il
deliberato consenso invece al lato soggettivo.
La etica della situazione tende a sottomettere il dato oggettivo alla coscienza
soggettiva. È su questo punto che si è fondato tutto lo scontro con l'etica della
situazione che trova nella enciclica Veritatis Splendor il suo punto di arrivo.
Giovanni Paolo II non vuole però affatto annullare il ruolo della coscienza
soggettiva. Il lato oggettivo dell'azione decide della bontà e della gravità
dell'atto. Il lato soggettivo dell'azione decide del livello di responsabilità
dell'agente. Proprio l'analisi delle emozioni contenuta in Persona e Atto ci aiuta a
comprendere con maggiore profondità il lato soggettivo dell'azione, ci aiuta ad
essere davvero realisti. Non bisogna infatti confondere il realismo con
l'oggettivismo. La realtà è fatta di oggetti e di soggetti ed una autentica filosofia
realista sa attribuire a ciascuno il suo, cioè sa comprendere equilibratamente sia il
ruolo della oggettività che quello della soggettività.
13
Papa Francesco si colloca esattamente nella tensione fra oggettività e soggettività
ovvero anche nello spazio fra Etica e Scienza della Moralità. Questo spazio è quello
della Teologia Pastorale (34). La teologia pastorale parla all'uomo che si trova
prigioniero dell'orizzonte trascendentale di autocomprensione proprio della sua
comunità di appartenenza e della sua epoca storica, lo aiuta a trascenderlo verso la
verità ed in questo modo lo libera. Questa è la dimensione del discorso di Amoris
Laetitia. Chiunque voglia ridurre il documento del Papa ad una sola di queste
dimensioni non lo comprende. Non lo comprende chi vuole vedere solo una etica
disincarnata dalla storia ma non lo comprende neppure chi lo vede come un
movimento verso la storia che deve terminare con il ripudio della eredità
metafisica e con il divorzio fra teologia morale e filosofia dell'essere.
In che modo parlare della verità ad un uomo imprigionato nel tempo? Bisognerà
comprendere l'orizzonte di comprensione che è proprio di questo uomo.
Comprendere non significa accettare e non significa rigettare. Comprendere
significa discernere (35). L'orizzonte di comprensione degli uomini del nostro
tempo, come l'orizzonte trascendentale di qualunque uomo in qualunque tempo, non
è interamente buono e non è interamente cattivo. Esso facilita la comprensione di
alcuni valori e beni morali e rende invece più difficile la visione di altri valori e beni
morali. Bisogna riconoscere gli aspetti positivi del proprio tempo e, facendo leva su
di essi, aprire quell'orizzonte alla intuizione ed alla accoglienza dei valori e dei beni
morali che esso invece tende a non vedere e sottovalutare. Per fare questo si ha
ovviamente bisogno di una etica oggettiva ma non ci si può limitare ad essa.
Il Catechismo ci aiuta con la distinzione di peccato mortale e peccato veniale
(36). L'uomo prigioniero dell'orizzonte di comprensione proprio del suo tempo e della
sua comunità non sarà interamente responsabile per ciò che farà o avrà fatto non
riconoscendo i valori che il suo ambiente storico non riconosce. Può darsi che
soggettivamente rimanga totalmente esente da colpa (37). Può darsi (ed è più
probabile) che la sua responsabilità venga limitata da circostanze attenuanti. È
difficile che un valore fondamentale venga totalmente oscurato nella coscienza da
eventi traumatici individuali o anche dalla pressione di conformità dell'ambiente.
Esso rimane sempre accessibile alla ragione pratica del soggetto (38). Assai più facile
è un oscuramento parziale. In ogni caso il soggetto deve obbedire alla sua coscienza
morale anche quando essa sia materialmente erronea. Dio ha posto infatti l'uomo
nelle mani del suo proprio consiglio ed esso non può abdicare a questa sua
fondamentale responsabilità.
14
Il Catechismo ci parla di piena avvertenza e deliberato consenso nel descrivere il
lato soggettivo dell'azione (39). Possiamo analizzare questi due elementi
separatamente. Il primo indica un requisito di ordine intellettuale. Il soggetto può
essere in errore riguardo ad una situazione di fatto o può anche ignorare una
norma. L'errore può essere dovuto a colpa del soggetto se egli ignora qualcosa che
sarebbe suo dovere sapere, che ha avuto la possibilità di conoscere ma ha omesso di
conoscere per negligenza propria. L'errore può però anche essere incolpevole. Il
guerriero cresciuto in una cultura della violenza che glorifica l'uccisione del nemico e
fa della vendetta un fondamentale obbligo morale, che ha imparato ad agire in questo
modo dai suoi genitori e vede quei comportamenti accompagnati da un livello
elevatissimo di approvazione sociale non sarà interamente colpevole per il male
che farà. Il suo ordine emozionale interiore ha legato fra loro emozioni elevate e
nobili (la difesa delle persone care e dell'onore) con emozioni abiette (il piacere della
vendetta è del versare il sangue) in un intrico difficile da sciogliere.
Nel nostro mondo, invece, un cardine della cultura dominante è che il sesso fra
adulti consenzienti non sia sottoposto ad alcun controllo morale. Un altro luogo
comune della nostra cultura è il primato della spontaneità del sentimento
sull'impegno della volontà che assume un dovere. Si confonde così il fatto
emozionale dell'innamoramento con l'atto umano dell'amore. Certo, l'innamoramento
dovrebbe essere la premessa dell'amore e tuttavia l'amore è più che l'innamoramento.
L'innamoramento può svanire e poi tornare, l'amore è perseveranza nella buona e
nella cattiva fortuna. L'innamoramento nasce dalle qualità positive dell'altro, l'amore
affonda le sue radici nel riconoscimento del valore infinito della persona dell'altro,
valore che permane anche quando le qualità positive che inizialmente ci hanno
attratto dovessero venire a mancare. L'innamoramento è indipendente dalla nostra
volontà e proprio per questo ci si può innamorare molte volte nella vita. L'amore
coniugale è un atto della volontà che impegna per la vita (40). Per molti la verità sul
matrimonio non è immediatamente evidente. Ci si sposa senza sapere
esattamente quello che si fa ed a cosa ci si impegna. Poi, con altrettanta
superficialità si divorzia.
Il deliberato consenso è un fattore che implica la volontà. Possono esservi
situazioni nelle quali il soggetto, pur sapendo in astratto cosa è bene e cosa è
male, è sopraffatto da emozioni incontrollabili. Queste emozioni possono essere
emozioni abiette ma anche emozioni nobili che tuttavia, in un contesto determinato,
inducono a fare una cosa che in se stessa è malvagia, come per esempio quando
l'amore al proprio popolo o alla giustizia sociale induce a violare i diritti di altre
15
nazioni o di altre persone. In realtà piena avvertenza e deliberato consenso si
presentano in genere strettamente intrecciati fra loro. La forza della emozione
soggettiva ostacola una corretta oggettivazione dei valori e beni morali implicati nella
situazione che il soggetto sta vivendo, l'intelletto non riesce ad esercitare la propria
funzione. La forza della passione soggettiva ostacola sia la piena avvertenza che il
deliberato consenso.
Questo ci riconduce ad un difetto dell'ordine emozionale del soggetto per il quale
esso può non essere o non essere pienamente responsabile. Particolare attenzione
bisogna dare a quei difetti dell'ordine emozionale che hanno un carattere non
individuale ma sociale. Qui il soggetto forma il proprio ordine emozionale interno in
conformità con un insieme di valori e disvalori che gli vengono trasmessi dalla
famiglia e dalla cultura di appartenenza. Il bambino si fida giustamente delle autorità
naturali alle quali Dio stesso lo ha affidato. Proprio queste autorità naturali, però,
invece di facilitare il suo cammino verso la verità lo ostacolano. S.Giovanni Paolo II
ha parlato a questo proposito di strutture di peccato o di peccato sociale (41). Il
peccato, naturalmente, è sempre una realtà individuale. Esistono però costellazioni
sociali che inducono a fare il male (42). In queste situazioni, ovviamente, la
responsabilità individuale può essere ridotta (43) .
Naturalmente l'ordine emozionale può essere distorto anche da eventi microsociali, da
traumi individuali. La separazione dei genitori, la mancanza di affetto nei primi anni
di vita, esperienze precoci di violenza o di seduzione possono provocare una vera e
propria cecità rispetto ad alcuni valori che sarà poi assai difficile da rimediare.
Nel vissuto del soggetto il combinato disposto del contesto sociale e della
esperienza individuale può creare sistemi di pseudoevidenze etiche che sembrano
avere, per il soggetto coinvolto, la consistenza di vere e proprie intuizioni di valore.
Adesso forse comprendiamo meglio l'approccio di Papa Francesco e l'errore di
alcuni dei suoi critici. I critici presuppongono un soggetto cristiano ben formato,
in cui le passioni sono interamente soggette alla ragione, che vive in una società che
facilita o almeno non ostacola la percezione del giusto ordine dei valori e dei beni
morali. Il Papa vede un'umanità dolente, fatta in gran parte di vite danneggiate,
alla quale tuttavia bisogna comunicare la lieta novella che Dio li ama e li chiama
alla comunione con Lui e con tutti gli uomini. Talvolta questi uomini non sono
affatto cristiani e bisogna fare i conti con le loro culture, con l'insieme di valori e
di disvalori che sono propri di ciascuna di esse.
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Talvolta questi uomini hanno ricevuto il battesimo ma sono stati solo
superficialmente evangelizzati. Possono sentire il fascino della fede ma la
formazione cristiana della loro personalità è spesso carente o addirittura solo
approssimativa. Per tutti costoro la Chiesa deve essere un ospedale da campo in cui si
opera spesso senza il sostegno degli apparati e dei mezzi di cura che si trovano nelle
case di cura bene attrezzate ed in cui il medico è spesso chiamato a prendere decisioni
difficili che implicano anche margini elevati di rischio. Una volta questi problemi si
ponevano solo nei paesi di missione. Oggi tutta la terra è terra di missione. Non
si può presupporre una fede solida ed innestare su di essa un insegnamento morale.
L'assenso di fede è fragile e bisogna stare attenti a farlo crescere ed a non
comprometterlo chiedendo ciò che il soggetto non è ancora preparato ad
intendere ed ad accettare. Non ci si può semplicemente rivolgere al l'intelletto
dicendo: è così, questo è il tuo dovere, magari appoggiando l'imperativo ad una
dimostrazione filosofica o scritturistica. Bisogna sostenere la persona nella
riformulazione del suo ordine emozionale interno, della sua mentalità e della sua
cultura. Bisogna lavorare per cambiare le strutture di peccato che nascono dal peccato
di alcuni ma rendono poi difficile a tutti il pieno riconoscimento della verità (44) .
Questa è la legge della gradualità che non implica affatto una gradualità della legge
(45). S.Paolo, che era un missionario, queste cose le comprendeva bene. Non a
caso insiste proprio sul cambiamento di mentalità (la conversione, metànoia) ed
invita a non dare la carne a chi spiritualmente è ancora un bambino ed ha bisogno del
latte (46).
Cosa è cambiato con Amoris Laetitia ?
Subito dopo la pubblicazione del documento molte autorevoli voci hanno detto che
esso non cambia nulla nella dottrina della Chiesa. È così? Prima di dare una
risposta dobbiamo precisare la domanda. È evidente che qualcosa è cambiato ma
bisogna vedere cosa. È certamente cambiato un atteggiamento pastorale. Questo
però continua un cambiamento iniziato già da S.Giovanni Paolo II con Familiaris
Consortio. La (giusta) preoccupazione di tutelare il gregge fedele evitando lo
scandalo ed il cattivo esempio è adesso bilanciata da quella di andare a cercare
le pecore disperse della Casa di Israele per riportarle nella casa del Padre.
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La preoccupazione di evitare il cattivo esempio e lo scandalo è giusta. Un
ambiente omogeneo permeato di valori cristiani è un sostegno di straordinario valore
per la educazione dei giovani ed anche per aiutare la fede degli adulti in momenti di
difficoltà e di crisi. Le stesse ragioni che ci rendono attenti, sulla base
dell'insegnamento di Wojtyła, alle circostanze attenuanti del peccato che derivano dal
fatto di essere immersi in un contesto sociale ostile a certi valori ci rendono
egualmente attenti all'aiuto alla virtù che deriva invece dall'essere circondati da un
ambiente di autentica vita cristiana. Sarebbe sbagliato se questa preoccupazione
fosse lasciata ai "conservatori".
È tuttavia egualmente vero che oggi la Chiesa è in stato di missione anche nelle
terre di antica evangelizzazione ed è chiamata ad evangelizzare la cultura degli
uomini del nostro tempo. Il Papa dice chiaramente che non ci sono ricette
preconfezionate. Ogni continente, ogni nazione, ogni diocesi ed ogni parrocchia è
chiamata ad esercitare la propria responsabilità ed a costruire il proprio approccio
pastorale.
Qualcosa è cambiato nell'approccio pastorale e qualcosa forse è cambiato dal
punto di vista della disciplina ecclesiastica. Il divieto di somministrare i sacramenti
ai divorziati risposati non è stato tolto ma certo è stato indebolito. Esso può soffrire
delle eccezioni. Quali? Non lo sappiamo esattamente, ma su questo punto torneremo
più avanti.
Certamente non è cambiato nulla dal punto di vista della teologia del
matrimonio. Il Papa non dice, contrariamente a quello che pretendono i più
scriteriati dei suoi critici (ed anche qualche suo falso sostenitore): adesso i divorziati
risposati sono ammessi alla comunione. Dice se mai che adesso sono ammessi
alla confessione. Vadano dal confessore, dicano le loro ragioni, se ne hanno, ed il
confessore, insieme con il penitente, valuterà. Ieri i divorziati risposato erano
peccatori di tipo particolare, quasi scomunicati (non scomunicati ma anche non
ammessi alla comunione a meno che non si impegnassero a vivere "come fratelli e
sorelle"). Adesso sono diventati peccatori ordinari.
Molti hanno lamentato che i confessori vengono adesso investiti di una enorme
responsabilità senza avere nessuna direttiva che li aiuti nel loro difficile compito.
Certo, alcuni vescovi ed alcune conferenze episcopali hanno provveduto
tempestivamente ad elaborare propri documenti, ma - si dice - la maggior parte dei
sacerdoti non hanno punti di riferimento sicuri a cui affidarsi. È proprio così? Forse
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non del tutto. Esistono regole generali che si applicano al rapporto del confessore
con i penitenti. Nel momento in cui Amoris Laetitia ci dice che il divorziato risposato
è ammesso alla confessione si presume che, prima di tutto, gli si applichino le regole
generali che si applicano a tutti i penitenti. Non voglio dire che non servano altre
regole più specifiche, come quelle già emanate da alcuni vescovi ed alcune
conferenze episcopali. Voglio dire che anche in assenza di regole più specifiche e
dettagliate il confessore non è abbandonato a se stesso.
Ma è proprio vero che mancano regole più specifiche e dettagliate? Applicando le
regole generali ai problemi specifici della vita coniugale il Pontificio Consiglio per la
Famiglia, certo con la conoscenza è l'approvazione di S.Giovanni Paolo II, ha
emanato nel 1997 un Vademecum per i Confessori riguardo ad alcuni aspetti della
vita coniugale. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia era allora presieduto dal
cardinale Alfonso Lopez Trujillo, che non era certo uno spericolato progressista.
Nel Vademecum sono contenute anche delle Direttive Pastorali per i Confessori.
Il documento distingue opportunamente fra i penitenti occasionali (46) e quelli con i
quali esiste un rapporto più o meno formale di accompagnamento spirituale (il
documento usa l'espressione "direzione spirituale" (47) ). Con il penitente occasionale
è bene in generale attenersi ad una valutazione "statica" della situazione che viene
presentata. Con il penitente abituale è possibile e necessario avere una visione
dinamica, proiettata verso il futuro. Il documento ha in mente probabilmente la
applicazione della norma sulla contraccezione, ma la indicazione vale ancora di
più nel caso dei divorziati risposati.
Le Direttive Pastorali richiamano poi il principio generale di non turbare chi vive
in buona fede in una condizione di errore invincibile: "Il principio secondo il
quale è bene lasciare che il penitente rimanga in buona fede nel caso di un errore
dovuto ad una ignoranza soggettivamente invincibile deve essere considerato
sempre valido.. .Questo vale in tutti quei casi nei quali si prevede che il penitente,
benché sia orientato a vivere una vita di fede, non sarebbe pronto a cambiare la
sua condotta, ma piuttosto inizierebbe a peccare formalmente..." (48)
Questo testo risponde di per sé implicitamente a quanti pongono la domanda se
si possa dare in qualche caso l'assoluzione a chi viva materialmente in una
condizione di adulterio abituale. La risposta è sì e questa non è una innovazione
di Amoris Laetitia. È piuttosto la conseguenza di una regola che qui troviamo
formulata in relazione alla moralità della vita coniugale in un documento del 1997 ma
19
non sarebbe difficile fare la storia di questo principio risalendo nel tempo (49).
Questo non implica affatto che il confessore debba rinunciare ad affermare
l'integrale verità dell'etica cristiana. Deve semplicemente trovare il tempo ed il
modo giusto per spiegare e fare comprendere tale verità. Molto opportunamente il
documento continua: "... in questi casi il confessore deve cercare di portare questi
penitenti sempre più vicino ad accettare il piano di Dio sulle loro vite, anche per
questi aspetti, per mezzo della preghiera, di ammonimenti ed esortazioni per formare
la loro coscienza e per mezzo dell'insegnamento della dottrina cristiana".
Il Vademecum considera anche il fatto che, in genere, si fa l'amore in due. Che fare
se l'altro o l'altra non accetta la regola morale che noi vorremmo seguire nei nostri
rapporti? Evidentemente se uno è costretto ad un atto che non vorrebbe compiere
non porta nessuna responsabilità morale per l'atto. Il nostro documento dice: "In
primo luogo bisogna distinguere fra la cooperazione in senso stretto dalla violenza o
ingiusta imposizione ... a cui di fatto non è possibile resistere..."(51). Già l'enciclica
Casti Connubi di Pio XI ci dice che " ben sa altresì la Santa Chiesa che non di rado
uno dei coniugi patisce piuttosto il peccato, che esserne causa, quando, per ragioni
veramente gravi permette la perversione dell'ordine dovuto alla quale pur non
consente e di cui quindi non è colpevole, purché, memore, anche in tal caso, delle
leggi della carità ,non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato e allontanarlo da
esso (52)".
Il Papa Pio XI ha una formulazione ancora più ampia di quella del documento che
stiamo esaminando. Non parla di violenza ma di "ragioni veramente gravi". Del
resto la violenza di cui parla il Vademecum non può essere intesa semplicemente
come violenza fisica. Stiamo parlando di un uomo e di una donna che sono
fisicamente attratti l'uno verso l'altro, che hanno dei figli in comune, che sono
legati da un intrico umanamente inestricabile di rapporti materiali ed immateriali
fatti di interessi, affetti, riconoscenza e da un patto comune dal quale adesso uno
vuole essere liberato mentre l'altro ad esso non consente. Uno dei partner può
sottoporre l'altro ad una pressione irresistibile in molti modi egualmente efficaci
o anche più efficaci della violenza fisica.
Il Vademecum considera poi il caso in cui non vi sia violenza o imposizione ma il
partner partecipi volontariamente all'atto peccaminoso. In questo caso vi sono tre
criteri che devono essere presenti perché si possa essere considerati esenti da colpa:
"1. quando l'azione ... non è in se stessa illecita
20
2. quando esistono ragioni proporzionatamente gravi per cooperare al peccato
dell'altro sposo
3. Quando si cerca di convincere l'altro.. .a desistere da questa condotta
(pazientemente, con la preghiera, la carità ed il dialogo anche se non necessariamente
nel momento del singolo atto o in ogni singola occasione". (53)
Qui è necessario fare una distinzione importante. Sia il documento del Pontificio
Consiglio per la Famiglia che l'enciclica di Pio XI hanno in mente soprattutto la
contraccezione artificiale. La esimente da colpa della violenza subita vale
certamente anche per il partner di una coppia di divorziati risposati che voglia
ma non possa conformarsi alla legge morale.
Il secondo caso, in cui non c'è violenza, è diverso. Qui il partner (che nel caso che ha
in testa il Vademecum è anche il legittimo coniuge) compie un atto sessuale che
l'altro partner provvede a rendere infecondo. Il primo partner è corresponsabile
dell'atto sessuale, che è perfettamente lecito. Non partecipa invece all'atto, distinto
anche se concomitante, con cui il secondo partner provvede a rendere infecondo l'atto
sessuale e quindi non ne condivide la responsabilità morale.
La situazione è diversa per una convivenza oggettivamente adulterina. In questo
caso la prima delle tre condizioni che il Vademecum chiede manca per definizione,
perché ad essere illecito è l'atto sessuale in sé e non la contraccezione. I due
partner in questo caso non sono sposati, illecito è l'atto sessuale in se stesso e non
l'atto contraccettivo che all'atto sessuale si aggiunge, magari per iniziativa di uno solo
dei due coniugi. Qui l'analogia con il caso considerato da Amoris Laetitia viene
meno. È però vero che qui si dice che in presenza dei tre criteri il partner (il
coniuge) è del tutto esente da colpa. Amoris Laetitia in generale non entra sulla
liceità dell'atto ma sulla scusabilità soggettiva e sulla diminuzione della
responsabilità. In questo senso una analogia parziale rimane. La prima condizione
prevista dal Vademecum manca e quindi l'atto è intrinsecamente cattivo ma la
presenza delle altre due condizioni può diminuire (non annullare) la responsabilità
soggettiva.
Questo Vademecum ci da dunque alcuni criteri di giudizio importanti che si
applicano in parte anche al caso dei divorziati risposati. Essi non esauriscono una
necessaria riflessione sulla portata della apertura contenuta nella Amoris Laetitia,
però la orientano e mostrano la continuità che esiste nell'insegnamento della
Chiesa che si svolge nel tempo adattandosi alle cangianti circostanze della storia ma
21
sempre mantenendo la fedeltà ai propri principi ed all'insegnamento dell'unico
Maestro.
Amoris Laetitia e Veritatis Splendor
Molti critici di Amoris Laetitia la oppongono a Veritatis Splendor. La stessa cosa
fanno alcuni presunti sostenitori che la considerano una specie di rivincita della
teologia della situazione contro S. Giovanni Paolo II. Sbagliano gli uni e sbagliano
gli altri. L'errore nasce dal fatto di non considerare il fatto che Papa Francesco
si pone sul terreno non della giustificazione dell'atto ma delle circostanze
attenuanti soggettive che diminuiscono la responsabilità dell'agente. Questo è
proprio dell'equilibrio dell'etica cattolica e distingue l'etica realista di S.Giovanni
Paolo II dell'etica oggettivista di alcuni avversari di Papa Francesco. Ascoltiamo
ciò che egli stesso ci dice proprio nella enciclica Veritatis Splendor. S.Giovanni
Paolo II critica dapprima la teoria della opzione fondamentale:
" .. Nella logica delle posizioni sopra accennate, l'uomo potrebbe, in virtù di
un'opzione fondamentale, restare fedele a Dio, indipendentemente dalla conformità o
meno di alcune sue scelte e dei suoi atti determinati alle norme o regole morali
specifiche. In ragione di un'opzione originaria per la carità, l'uomo potrebbe
mantenersi moralmente buono, perseverare nella grazia di Dio, raggiungere la propria
salvezza, anche se alcuni dei suoi comportamenti concreti fossero deliberatamente e
gravemente contrari ai comandamenti di Dio, riproposti dalla Chiesa. In realtà,
l'uomo non si perde solo per l'infedeltà a quella opzione fondamentale, mediante la
quale si è consegnato 'tutto a Dio liberamente'.113 Egli, con ogni peccato mortale
commesso deliberatamente, offende Dio che ha donato la legge e pertanto si rende
colpevole verso tutta la legge (cf Gc 2,8-11); pur conservandosi nella fede, egli perde
la 'grazia santificante', la 'carità' e la 'beatitudine eterna'.114 'La grazia della
giustificazione - insegna il Concilio di Trento -, una volta ricevuta, può essere perduta
non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro
peccato mortale'.115" (54)
S.Giovanni Paolo II ci dice che la scelta fondamentale di amare Dio e consegnargli
la propria vita si ripete e si concretizza in tutte le scelte morali che compiamo.
L'atto di consegnare "tutto a Dio liberamente" è contenuto in tutti gli atti morali
particolari con i quali riconosciamo (o non riconosciamo) la presenza di Dio nel volto
degli altri uomini e nelle diverse circostanze della vita. Con ogni peccato mortale noi
22
rinneghiamo l'alleanza con Dio. È a partire da questo o da altri simili testi che
alcuni cercano di opporre S.Giovanni Paolo II a Papa Francesco. Non dice forse
che è possibile non perdere l'amore di Dio anche se ci si trova dentro una convivenza
adulterina? Per la verità se leggiamo attentamente già nel testo che abbiamo
citato c'è qualcosa che dovrebbe farci dubitare di questa conclusione. L'uomo
"offende Dio" - ci dice S.Giovanni Paolo II - "con ogni peccato mortale commesso
deliberatamente". C' è forse qui un eccesso di enfasi: in realtà se l'atto non è
commesso deliberatamente non è un peccato mortale. La conferma di questa lettura
la troviamo poco più avanti:
"L'Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia ha ribadito
l'importanza e la permanente attualità della distinzione tra peccati mortali e
veniali, secondo la tradizione della Chiesa. E il Sinodo dei Vescovi del 1983, da cui
è scaturita tale Esortazione, 'non soltanto ha riaffermato quanto è stato proclamato dal
Concilio Tridentino sull'esistenza e la natura dei peccati mortali e veniali, ma ha
voluto ricordare che è peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e
che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso'.116"
(55)
Il pronunciamento del Concilio di Trento non considera soltanto la «materia
grave» del peccato mortale, ma ricorda anche, come sua necessaria condizione,
«la piena avvertenza e il deliberato consenso» (56). Del resto, sia nella teologia
morale che nella pratica pastorale, sono ben conosciuti i casi nei quali un atto grave, a
motivo della sua materia, non costituisce peccato mortale a motivo della non piena
avvertenza o del non deliberato consenso di colui che lo compie." E più avanti
reitera: "Senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto
l'aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del
peccatore...".(57) Le considerazioni della Amoris Laetitia si iscrivono chiaramente
esattamente nella sfera delle circostanze attenuanti (o esimenti) soggettive.
Già Familiaris Consortio, del resto, sapeva bene che esiste fra i divorziati
risposati una ampia varietà di situazioni che non possono essere messe tutte sullo
stesso piano. È stato rimproverato a Papa Francesco l'avere fatto in questo campo
delle distinzioni considerando alcune situazioni come meno gravi di altre e perfino
sostenendo che in esse poteva esservi, mescolato con il male, anche qualcosa di
buono. In genere si è attaccato il passo seguente: "I divorziati che vivono una nuova
unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono
essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un
23
adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione
consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa,
impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande
difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe.
La Chiesa riconosce situazioni in cui 'l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad
esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della
separazione'.[329] C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il
primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di 'coloro che
hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono
soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente
distrutto, non era mai stato valido' ". (58)
Esso è però in buona misura una parafrasi di Familiaris Consortio: "Sappiano i
pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni.
C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo
matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave
colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro
che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e
talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio,
irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido."(59) Il tema del discernimento
non è una novità assoluta introdotta in modo arbitrario da Papa Francesco. Ha
una lunga storia nel pensiero teologico e questa storia passa anche attraverso il
Magistero di Giovanni Paolo II.
È possibile che chi entra in un nuovo matrimonio con la convinzione in coscienza che
quello precedente non fosse valido sia esente da colpa, o almeno abbia una
condizione di colpa fortemente diminuita. S.Giovanni Paolo II, tuttavia, ribadisce il
divieto di ammettere alla comunione chi si trovi in questa situazione:
"La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non
ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter
esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita
contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa,
significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se
si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e
confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio." (60)
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Vediamo prima di tutto che cosa il testo non ci dice. Non ci dice che divorziati
risposati non possono essere ammessi alla comunione perché sono in una
condizione di peccato mortale. La prassi di non ammettere alla comunione i
divorziati risposati non è fondata sul fatto che essi siano in una condizione di
peccato mortale. Essa ha due ragioni: "Il loro stato e la loro condizione di vita
contraddicono oggettivamente a quella unione d'amore fra Cristo e la Chiesa
significata ed attuata nella Eucarestia" e "i fedeli potrebbero essere tratti in errore
e confusione circa la dottrina della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio." A me
sembra che ambedue queste motivazioni possano essere ricondotte al concetto di
scandalo prendendolo da due punti di vista diversi: il fatto che è occasione di
scandalo e la conseguenza che ne deriva nella vita dei fedeli. In questo caso la causa
dello scandalo è particolarmente grave comporta una diretta e drammatica
contro/testimonianza. Con il sacramento del matrimonio gli sposi diventano l'uno
per l'altro è insieme per i figli e per tutta la comunità segno efficace dell'amore di Dio
che non tradisce. Il divorzio e la nuove nozze sono un dire nei fatti che Dio non è
fedele, qualcosa che somiglia alla bestemmia.
Anche Papa Francesco sente la forza di questa contro/testimonianza. Non ci dice
infatti che i divorziati risposati che il sacerdote verifichi essere in grazia di Dio
hanno il diritto, come tutti i fedeli cattolici che si trovino nella medesima situazione
di ricevere l'eucarestia. Ci dice che il sacerdote può ("può", non "deve") in alcuni
casi, cioè in via di eccezione, ammetterli alla eucarestia. La regola richiamata da
S.Giovanni Paolo II non viene abolita. Si dice che essa può sopportare delle
eccezioni per buone ed adeguate ragioni. La Familiaris Consortio, del resto, nel
momento in cui formula la regola, non ci dice che essa non tolleri eccezioni per
una ragione proporzionata. La regola per cui nessuno che non sia in grazia Dio
deve ricevere l'Eucaresia per la sua natura stessa non tollera eccezioni. Chi ricevesse
il Corpo ed il Sangue di Cristo indegnamente mangerebbe e berrebbe la propria
condanna. La regola per la quale persone in grazia di Dio vengono escluse dalla
comunione come pena canonica per la contro/testimonianza che hanno dato,
invece, può subire delle eccezioni, e questo è appunto quello che ci dice Amoris
Laetitia.
Un nuovo Orizzonte per la Teologia Morale
(e per la Teologia Pastorale)
25
Mettiamo adesso da parte il controverso capitolo VIII a cui fino ad ora abbiamo
dedicato tanta attenzione. Abbiamo, credo, mostrato a sufficienza che
l'insegnamento di S.Giovanni Paolo II non può essere ridotto alla sua condanna
della teologia della situazione o della opzione fondamentale. Dice bene
S.Tommaso: il contrario di un errore non è la verità ma semplicemente l'errore
di segno opposto (61). La verità è sempre il termine medio fra due errori
contrari: nel nostro caso fra il lassismo ed il rigorismo o, se volete, fra il
molinismo ed il giansenismo. S.Giovanni Paolo II non rifiutava la svolta
antropologica nella teologia morale ma voleva darle una diversa centratura, una
centratura cristologica perché in Cristo Dio ha rivelato la verità su se stesso ma anche
la verità sull'uomo (62). Cristo è la Legge e insieme il cammino verso la legge, che la
rende umana.
Adesso spostiamo l'asse della nostra attenzione e torniamo alla Esortazione
Apostolica Amoris Laetitia, questa volta non con la preoccupazione di difenderla
contro i suoi critici ma con quella di comprendere meglio e sviluppare la sua
novità metodologica. Nel fare questo continueremo a leggerla in connessione con
l'insegnamento di S.Giovanni Paolo II. Papa Francesco sviluppa in modo originale
un insegnamento profondamente radicato nella tradizione della Chiesa e nel
Magistero del suo grande predecessore.
Abbiamo visto come K.Wojtyła ci dia, in Persona e Atto, gli strumenti concettuali
per pensare il compito dell'uomo di costruire creativamente il proprio mondo
interiore, sempre sulla base di una originaria donazione dell'essere e del senso che
viene da Dio. Abbiamo visto come questo compito abbia una dimensione individuale
ed una dimensione sociale. La dimensione sociale del processo di autocostituzione
del soggetto umano, cioè di costituzione del mondo della cultura cui esso appartiene,
coincide con l'orizzonte trascendentale all'interno del quale la teologia della
situazione iscrive l'azione morale (63). Wojtyła non nega affatto l'esistenza di questo
orizzonte. Affermandolo la teologia della situazione porta un contributo positivo
ad una teologia morale all'altezza dei tempi e delle sfide della modernità. L'errore
della teologia della situazione è quello di affermare la intranscendibilità teoretica e
pratica di quell'orizzonte, non la sua esistenza (64).
Adesso, prima di indagare l'orizzonte trascendentale della comprensione della
sessualità e del matrimonio propria del tempo nostro, cerchiamo di ripercorrere
rapidissimamente, con l'aiuto di Wojtyła, alcuni aspetti della sessualità umana.
26
La funzione naturale del sesso è quella di servire la procreazione. Questo non può
essere però adeguatamente compreso ad un livello semplicemente biologico. Quando
siamo bambini noi ci domandiamo da dove veniamo e sappiamo che veniamo da un
padre e da una madre. Guardandoli e vedendo come si comportano fra loro abbiamo
la prima educazione alla sessualità. Più tardi, nella adolescenza, avvertiamo le prime
pulsioni del corpo, siamo attratti dal corpo di un altro essere umano del sesso
opposto. Se il processo educativo è bene impostato l'attrazione verso il corpo è
attraversata dalla scoperta del fatto che questo è il corpo di un'altra persona
umana che non può essere usata come fosse un oggetto. Nel momento stesso in cui
la desidero devo rispettare il fatto che essa è una persona umana. Dall'intersecarsi
della attrazione del corpo è della scoperta della dignità personale dell'altro nasce quel
fenomeno tipicamente umano che chiamiamo innamoramento (65).
Schiller lo ha descritto magnificamente:
Laura nenne mir den Wirbel
Der Körper an Körper mächtig reißt
Nenne meine Laura mir den Zauber
Der den Geist monarchisch zwingt dem Geiste"
(Laura dimmi cos'è quel turbine
Che con forza attrae un corpo verso l'altro
O mia Laura dimmi cosa è quell'incanto
Che con forza irresistibile attrae uno spirito verso l'altro". (66)
Il problema dell'etica sessuale si riduce in fondo a questo: come usare il corpo
dell'altro senza violarne la dignità di persona? L'innamoramento ci rende
consapevoli del problema ma non c'è ne da ancora la soluzione. Gli atti sessuali
hanno la capacità di generare una nuova vita. Essi sono giusti se l'uomo è la donna
sono pronti ad accettare la responsabilità di diventare genitori insieme. Questo chiede
qualcosa di più che non l'innamoramento, che è comunque uno stato emozionale che
avviene nell'uomo. Questo chiede un amore coniugale cioè un atto della persona che
decide di costruire insieme una comunità di vita in cui il bambino possa essere
accolto, maturare e fiorire (67). Questa comunità di vita, in linea di principio, deve
durare per sempre. Il figlio ha bisogno di sostegno materiale per un lungo periodo ma
ha bisogno della forza spirituale che gli deriva dalla unità e dall'amore reciproco dei
genitori per un tempo molto più lungo, per tutta la vita (68). Due vite si mescolano in
modo tale che non è più possibile separarle l'una dall'altra, hanno un senso solo
27
insieme (69). Questa è la dinamica naturale della sessualità umana. Già Platone
ha visto nel sentimento d'amore una divina follia (70).
L'uomo impara a porre il proprio centro affettivo in un'altra persona umana. Facendo
del matrimonio un sacramento la Chiesa ci da una visione ancora più profonda di
questa dinamica naturale. L'uomo sperimenta nell'amore coniugale, che include in se
l'amore dei figli e per i figli, il senso della vita come dono e viene introdotto alla
comunione con Dio stesso. La famiglia è "ecclesia domestica" la piccola chiesa in cui
la comunione diventa oggetto di una esperienza più stringente e diretta. Non è giusto
opporre fra loro procreazione ad amore. L'amore coniugale acquista le sue
caratteristiche proprie di impegno della Persona che lo distinguono da una semplice
infatuazione proprio perché si svolge nell'orizzonte di una fecondità possibile. Amare
l'altro significa accogliere il destino della nostra comune maternità o paternità
possibile. Aprirsi a questo destino non è sottomettersi ad una legge naturale estranea
alla persona. Significa invece entrare in un mondo di valori nel quale la persona
scopre il suo essere per la comunione, il destino per il quale Dio la ha creata.
Significa scoprire la legge della natura della persona. Se ci poniamo la domanda:
Qual è la finalità metafisica della sessualità umana? La risposta ovviamente è: la
riproduzione della specie, e questa è la risposta standard della teologia morale fino
agli inizi del novecento che si riallaccia al concetto di diritto naturale che incontriamo
già in Ulpiano (71).
Wojtyła non rifiuta questa visione classica e tuttavia non la ritiene soddisfacente.
Essa lascia da parte la esperienza vissuta della sessualità, mette fra parentesi tutta la
meravigliosa ricchezza emozionale legata a tale esperienza e chiede agli sposi la
semplice obbedienza ad una norma che arriva dall'esterno. Attraverso la sua analisi
fenomenologica della realtà della sessualità umana Wojtyła scopre i dinamismi
esistenziali attraverso i quali la finalità metafisica guida l'esperienza e può quindi
essere scoperta nell'esperienza. Non si tratta più di un legge naturale che viene
dall'esterno, è la legge della natura della persona (72). È raro che un uomo si sposi
perché vuole dei figli. Uno si sposa perché vuole avere rapporti sessuali con la
ragazza di cui è innamorato. Sa però che , prima o poi, la ragazza rimarrà incinta e
che, se la ama e la rispetta come persona, non può certo lasciarla sola a crescere un
bambino. Per questo i rapporti sono giusti solo dentro l'impegno a condividere la vita,
la genitorialità, la famiglia etc... Esiste una pedagogia di Dio che introduce
progressivamente al fine metafisico attraverso un insieme di esperienze umane.
Seguire questa pedagogia implica anche uno sforzo ascetico. È necessario rifiutare il
soddisfacimento precoce dell'istinto per incanalare e rielaborare le energie istintuali e
28
metterle al servizio di un amore vero. La virtù della castità ci chiede però di
incanalare e guidare le nostre emozioni, non di sopprimerle per poi obbedire alla
legge naturale senza nessuna partecipazione emozionale. La dinamica della
sessualità, correttamente vissuta, ci conduce al matrimonio e la struttura naturale del
matrimonio si prolunga nel sacramento del matrimonio.
Qui, come del resto in generale, la grazia completa la natura e la perfeziona.
Dobbiamo solo aggiungere che il processo che abbiamo descritto ha, come tutte le
cose umane, una dimensione individuale ed una dimensione sociale. Il matrimonio
riguarda prima di tutto i due sposi, che sono i ministri del sacramento del matrimonio,
ma riguarda anche la società tutta (per esempio gli sposi entrano l'uno nel sistema
della parentela dell'altro) e per questo la Chiesa vuole che sia celebrato da un
sacerdote in presenza di testimoni. Un requisito analogo presentano del resto tutti i
gruppi sociali.
Vediamo adesso quali sono i problemi che emergono dall'orizzonte
trascendentale proprio del nostro tempo in questa area della sessualità e del
matrimonio.
1.
La pillola anticoncezionale rompe la connessione naturale fra sessualità e
procreazione. Mezzi anticoncezionali ne sono sempre esistiti ma mai essi hanno
avuto una sicurezza e facilità di applicazione paragonabili alla pillola. Ieri l'invito alla
castità si appoggiava anche alla preoccupazione di evitare una gravidanza
indesiderata. La scelta del partner sessuale si sovrapponeva largamente a quella del
genitore per i propri figli. Adesso non è più così.
La mentalità dominante ha festeggiato la scoperta della pillola come una liberazione
della sessualità umana, soprattutto femminile. Liberata dal destino della maternità
la donna può sviluppare più facilmente i propri talenti professionali e sottrarsi alla
dipendenza economica nei confronti del maschio (72). Paolo VI invece ha
denunciato profeticamente i rischi per l'umanità che derivano dalla rottura del
nesso fra sessualità e procreazione. Si indebolisce la spinta a controllare gli impulsi
sessuali ed a creare un ordine interiore in cui essi sono subordinati ai sentimenti più
elevati dell'animo. Diventa più facile entrare in relazioni superficiali in cui ci si
concentra piuttosto sul corpo che sulla persona dell'altro. La crescita enorme della
pornografia mostra con evidenza questo fatto. Il sesso precoce e troppo facile toglie
valore all'oggetto del desiderio e svaluta anche la esperienza dell'amore romantico. Il
sesso perde (rischia di perdere) la capacità di saldare due destini (73). Spesso tuttavia
29
alla fine i giovani incontrano l'esperienza dell'innamoramento e questo porta alla
formazione di coppie stabili. Le coppie stabili formate sulla sola base del sentimento
e della emozione soggettiva non corrispondono alla verità dell'uomo ed alla legge di
Dio. Sono tuttavia un passo avanti rispetto ad una promiscuità sessuale
indiscriminata. Chi entra in una relazione stabile inizia ad avvicinarsi (faticosamente)
al significato voluto da Dio della sessualità. A volte queste coppie si consolidano,
l'innamoramento originario cresce e diventa un amore vero, e magari questo porta alla
scelta di avere un figlio insieme, o anche la nascita di un bambino facilita il
consolidamento e la crescita di questo amore. A questo punto ci troviamo davanti
ad una specie di matrimonio naturale. L'affectio coniugalis è presente anche se
manca il riconoscimento della dimensione sociale, manca la celebrazione del
matrimonio. Questa può arrivare alla fine del percorso, invece che al suo inizio. I
romani conoscevano molti modi di stringere il patto coniugale. Uno di questi modi
(peraltro il più frequente in età imperiale) è per uso (74). La convivenza per un
periodo di tempo prolungato è vista come un segno della presenza dell'affectio
coniugalis e quindi del matrimonio .
Adesso però il figlio non viene per il naturale effetto delle relazioni sessuali, non
è una presenza che segna il rapporto fin dall'inizio, e questo rende tutto più
difficile. Il figlio deve essere scelto e questa scelta può non essere fatta e la relazione
allora non matura, rimane fragile e facilmente si degrada e dissolve. Il cammino, che
porta alla scoperta del vero amore coniugale e familiare, molti non lo scopriranno e
rimarranno soli. Altri lo scopriranno solo tardi e perderanno una parte importante del
tempo della loro vita. In ogni caso bisogna ricordare che, da un punto di vista
morale, è l'atto di volontà dei coniugi ciò che costituisce un matrimonio. L'aspetto
pubblico e l'obbligo di celebrazione nascono in buona parte dalla esigenza di
distinguere con chiarezza i matrimoni dalle convivenze non matrimoniali, nelle quali
manca l'intenzione coniugale. Per molto tempo anche la Chiesa Cattolica non ha
chiesto la celebrazione davanti al sacerdote (75).
Oggi i giovani vivono spesso situazioni confuse nelle quali essi stessi non sanno
giudicare della qualità delle relazioni che vivono. Per questo è necessario un
accompagnamento che li aiuti a chiarire la propria coscienza e ad assumere poi,
se del caso, anche l'impegno pubblico del matrimonio. Per questo è necessario
graduare attentamente i livelli di responsabilità soggettiva e di disvalore (o valore)
morale dei diversi tipi di convivenza attraverso un adeguato discernimento.
30
2.Il problema è ulteriormente complicato dal fatto che in molti paesi i giovani
faticano a trovare un lavoro. Il tempo di studio necessario per prepararsi ad un buon
lavoro si prolunga perché bisogna impadronirsi di un sapere sempre più complicato e
complesso. Per di più mancano o non sono sufficienti politiche di sostegno alla
formazione delle famiglie dei giovani. La adolescenza si prolunga, il divario fra il
momento della maturazione sessuale e quello della maturità economica, quello cioè
in cui i giovani sono in grado di creare la propria famiglia, cresce sempre di più (76).
In presenza della sconnessione fra maturità economica e maturità sessuale e dell'altra
sconnessione fra sessualità e procreazione della quale già abbiamo parlato molti
giovani hanno la loro iniziazione alla sessualità fuori del matrimonio è poi prendono
facilmente delle abitudini di vita a cui poi diventa difficile rinunciare quando il
matrimonio diventa invece possibile. Per questo motivo molti matrimoni partono
con una difficoltà aggiuntiva iniziale.
Perde valore il sesto comandamento, il principio per cui il rapporto sessuale è
giusto solo nel matrimonio? No ma è più difficile riconoscere la sua verità
umana e quindi praticarlo. È più facile che in buona fede ci si convinca della
giustezza di pratiche che lo contraddicono. Una strategia pastorale che voglia
trovare in questa giungla il cammino verso la verità non è facile ma va trovata.
Non bisogna scoraggiare quelli, e sono tanti, che anche in queste circostanze difficili
rimangono fedeli alla norma. E contemporaneamente non bisogna scoraggiare con
parole di condanna chi devia dalla norma, aiutarlo a scoprire il cammino dell'amore
vero nonostante il modo sbagliato in cui inizia il suo percorso, perché possa scoprire
anche lui la verità delle parole del Salmo:
"La Legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è stabile
rende saggio l'inesperto" (77)
3. Il terzo fattore che complica ulteriormente la nostra situazione è che un
numero molto grande di giovani è solo superficialmente evangelizzato. Spesso
manca nella famiglia l'esempio dei genitori. Il bambino viene battezzato ma non
evangelizzato. Spesso non conosce la dottrina della Chiesa sul matrimonio. Se anche
ne ha una conoscenza nozionale non ha interiorizzato queste norme, non ha capito
perché esse sono buone per lui, non ha costruito un ordine emozionale interno che le
interiorizzasse e le facesse diventare forma della sua coscienza cioè virtù. I grandi
31
mezzi di comunicazione di massa, il sistema della Industria dello spettacolo, il
cinema, la televisione, i giornali, la letteratura... danno per scontato un sesso
separato dall'amore (che è poi una conseguenza imprevista ma non
imprevedibile della separazione fra sesso e procreazione). I giovani battezzati ma
solo superficialmente evangelizzati poi si sposano. Nasce qui un difficile problema.
Ogni matrimonio fra battezzati è un sacramento. Ma è giusto porre gli obblighi
del sacramento sulle spalle di chi non sapeva in realtà quello che faceva nel
momento in cui ha contratto matrimonio?
Nel caso dei conviventi o dei coniugati civilmente la pastorale ha come obiettivo la
maturazione del rapporto e della coscienza fino ad arrivare alla celebrazione del
matrimonio. Il fatto che siano esistiti rapporti di convivenza o anche matrimoni civili
precedenti non osta alla celebrazione del matrimonio religioso. Nelle terre di
missione, per di più, valgono i privilegi paolino e petrino. Se uno dei coniugi si
converte e l'altro no e non accetta pacificamente la convivenza con il coniuge
cristiano allora il matrimonio può essere sciolto. La Chiesa non ha mai preteso di
difendere la indissolubilità di matrimoni naturali, matrimoni non sacramentali. Il
sacramento approfondisce il senso del matrimonio naturale e gli conferisce anche una
nuova dimensione: esso diventa un segno efficace dell' Unione di Cristo con la sua
Chiesa. Per questo è indissolubile non in generale ma semper et pro semper.
Che fare quando incontriamo un battezzato non evangelizzato che ha contratto
matrimonio in una fase della sua vita nella quale era in una posizione di
indifferentismo religioso e poi sperimenta una vera conversione ma rimane legato
ad un coniuge che questa conversione non accetta ed avversa? È una situazione
esattamente simmetrica a quella che in terra di missione verrebbe affrontata facendo
ricorso ai privilegi paolino e petrino. Qui questo non è possibile perché i due
coniugi risultano (formalmente) cattolici. Il problema è dunque il seguente: è
valido un matrimonio cristiano se l'atto di volontà di coloro che lo contraggono
esclude alcuni aspetti essenziali del matrimonio cristiano? La risposta a questa
domanda dovrebbe essere negativa. Se ne è occupata a suo tempo la Sacra
Congregazione per la Dottrina della Fede ed il cardinale Ratzinger sembrava
personalmente orientato a dare questa risposta anche se poi concluse che era
necessario un approfondimento ulteriore. (78)
Nella esperienza comune noi incontriamo coppie "irregolari" dei tipi più diversi.
Possiamo accomunarle tutte in una condanna indiscriminata?
32
Pensiamo alle convivenze fra persone non legate da precedente matrimonio. Andiamo
da casi nei quali si sta insieme in mancanza di meglio in un rapporto di sfruttamento
reciproco a casi nei quali vi è una autentica affectio conjugalis e manca solo la
dimensione esterna dell'annuncio e del riconoscimento pubblico del legame.
Pensiamo anche ai divorziati risposati. Manca molte volte una comprensione
precisa di quale sia il proprio stato matrimoniale. Forse in questi casi il primo
discernimento dovrebbe riguardare proprio questo fatto. Vi sono situazioni in cui per
difficoltà insuperabili (malafede dell'altro coniuge, irreperibilità di testimoni,
smarrimento di materiale probatorio) è impossibile adire il tribunale ecclesiastico
ma il soggetto è convinto in coscienza della nullità del precedente vincolo
matrimoniale e si impegna con questa convinzione in un matrimonio civile...
L'orizzonte trascendentale di comprensione della sessualità oggi si forma sotto la
pressione di tutte le circostanze che abbiamo richiamato. Queste circostanze non
cambiano la natura della sessualità e del matrimonio ma influiscono potentemente
sulla educazione del singolo e sulla sua capacità di vedere i valori ed i beni oggettivi
della sessualità. Potenti agenzie (dis)educative offrono un orizzonte di
comprensione anti/natalista. Ossessionate dal problema della crescita demografica
(che però in gran parte del mondo è ormai sotto controllo ed in Europa si è invertito
generando una drammatica decrescita demografica che minaccia di portare
all'estinzione grandi nazioni) queste agenzie propongono ai giovani il modello di una
sessualità meramente ludica o, nel migliore dei casi, bloccata ad un livello
adolescenziale ed incapace di compiere il passo decisivo dall'innamoramento
adolescenziale all'amore coniugale. Moltissimi giovani rimangono impigliati in
una situazione di parziale o talvolta totale cecità a valori importanti senza che si
possa attribuire per questo una piena responsabilità morale.
Un rigido oggettivismo morale rigetta questa generazione fuori della Chiesa e
punta ad una Chiesa che sia una piccola comunità di perfetti. Conta sul fatto che
nel tempo questa piccola comunità divenga un punto di riferimento ed un'ancora di
salvezza per molti nel dissolvimento di una cultura che ha perso la propria base
morale. Esso insiste sul fatto che la prima opera di carità spirituale è l'annuncio
della verità. Noi siamo ben lungi dal disprezzare questa prospettiva anche se non
riusciamo a trovarla del tutto soddisfacente.
Un flessibile soggettivismo morale insiste sulla necessità di collocarsi all'interno
della situazione, apprezzando i valori che essa contiene, predicando il fascino della
persona di Cristo ma rinunciando a trarre le conseguenze morali implicite nella
33
presenza di Cristo nella storia. Cristo qui è visto come medico ma è un medico che
non cura per mezzo della verità. L'orizzonte trascendentale del tempo è assunto ma
c'è il rischio che esso non venga trasceso.
La prospettiva di Papa Francesco e di S.Giovanni Paolo II è diversa e, in un
certo senso, le ricomprende ambedue. Bisogna stare nella situazione dicendo senza
sconti la verità e condannando gli atti ed i comportamenti sbagliati ma senza
affrettarsi a condannare le persone. Bisogna comprendere le ragioni della cecità
morale di questa generazione per aiutarla a recuperare la vista. Bisogna stare nel
mondo senza diventare del mondo. Bisogna assumere l'orizzonte trascendentale
del nostro tempo per trascenderlo verso la verità.
Note
(1)
È il programma contenuto nella prima enciclica del pontificato Redemptor Hominis
(2)
P. Eicher Die anthropologische Wende. Karl Rahners philosophischer Weg vom Wesen des Menschen zur
personaler Existenz, 1971
(3)
Una straordinaria espressione poetica di questo concetto la troviamo in una poesia del 1962 Kościół ( La
Chiesa), pubblicata in "Znak" n.11 (1962) con lo pseudonimo A.J. , adesso in Karol Wojtyła Tutte le Opere letterarie
Bompiani, 2005 ( I ed. 2001).
(4)
A. Spadaro Intervista a Papa Francesco, in "L'Osservatore Romano" Anno CLIII n.216, 21/09/2013
(5)
Papa Francesco Lumen Fidei n.57 ed Evangelii Gaudium n.222/223
(6)
K. Wojtyła Osoba i Czyn oraz inne Studia antropologiczne Towarzystwo Naukowe KUL 1994 ( 3.ed.
aumentata, 1. ed. Polskie Towarzystwo Teologiczne Cracovia 1969) a cura di T. Styczeń, W. Chudy, J Gałkowsky,
A.Szostek. Con una introduzione di Rocco Buttiglione ed una postfazione di Tadeusz Styczeń. Traduzione italiana in K.
Wojtyła Metafisica della Persona ed altri Saggi integrativi Bompiani 2003 a cura di Giovanni Reale e Tadeusz Styczeń.
(7)
S.Agostino De Trinitate , XII/XIV.
(8)
Max Horkheimer Zur Kritik der instrumentellen Vernunft, S.Fischer, Frankfurt a.M. 1967. Traduzione italiana
Einaudi 2000 ( 1.ed. 1972).
(9)
Pagine lucidissime ha scritto su questo Tadeusz Styczeń in Karol Wojtyła: un Filosofo della Morale agli occhi
del suo Discepolo, Premessa a Karol Wojtyła Metafisica della Persona, cit. p.CVII e ss.
(10)
Persona e Atto in Metafisica della Persona cit. p.861 (da ora in poi solo Persona e Atto).
(11)
Ibidem p. 874 e ss.
(12)
Cfr. M.Scheler Ordo Amoris in Gesammelte Werke X Schriften aus dem Nachlass Bd. 1 Zur Ethik und
Erkenntnislehre Bouvier Verlag, Bonn 2000 . Traduzione italiana Ordo Amoris Morcelliana 2008.
(13)
S.Agostino De Civitate Dei XV, 22
(14)
Cfr. M.Scheler il capitolo Vom Liebe und Hass (Sull'Amore e sull'Odio) in Wesen und Formen der Sympathie.
Adesso in Gesammelte Werke cit. Bd.VII 2005
(15)
. K. Wojtyła : U Podstaw Odnowy. Studium o Realizacji Vaticanum II. Cracovia 1972. Traduzione italiana:
Alle Fonti Del Rinnovamento. Studi sulla Realizzazione Del Concilio Ecumenico Vaticano II, Libreria Editrice
Vaticana , Città del Vaticano, 1981
(16)
Cfr. T.Styczeń : K.Wojtyła : un Filosofo della Morale agli occhi del suo Discepolo cit. p. CIX
(17)
A S.Giovanni della Croce è dedicata anche la tesi di dottorato in teologia del giovane Wojtyła: Doctrina De
Fide apud Johannem a Sancta Cruce (1948) , adesso in K.Wojtyła: Metafisica della Persona cit. con un importante
saggio introduttivo di Alfred Wierzbicki.
(18)
S.th. Prima Secundae q.58 art. 2 respondeo. Vedi anche Aristotele Politica I,2.
(19)
Per la recezione di Scheler da parte di Wojtyła vedi Ocena Możliwości Zbudowania Etiky chrześcijańskiej
przy Założeniach Systemu Maksa Schelera (1954). Pubblicato nel 1959 da Towarzystwo Naukowe KUL. La
34
traduzione italiana con il titolo Valutazioni sulla Possibilità di costruire l'Etica cristiana sulla base del Sistema di Max
Scheler si può leggere in K.Wojtyła: Metafisica della Persona. Tutte le Opere filosofiche e Saggi integrativi cit.
(20)
Persona e Atto cit. p.1112 e ss.
(21)
Ibidem p.1071 e ss.
(22)
Questo è il tema fondamentale di K.Wojtyła: Miłość i Odpowiedzialność, Towarzystwo Naukowe KUL 1960 ,
Traduzione italiana con il titolo Amore e Responsabilità in K.Woityła : " Metafisica della Persona cit. cit.. p.1646 .
(23)
Persona e Atto cit. p.896 e ss
(24)
K. Wojtyła Problem etyki naukowej in "Tygodnik Powszechny 11 (1957) n.10"
(25)
Cfr. K. Wojtyła Rodzina jako Communio Personarum in "Atheneum Kapłańskie" 83( 1974) p. 347 e ss tr.it.
con il titolo La Famiglia come Communio Personarum in K. Wojtyła Metafisica della Persona cit. p. 1463 e ss e
Rodzicielstwo jako Communio Personarum in "Atheneum Kapłańskie" 84 (1975) p. 13 e ss tr.it. con il titolo PaternitàMaternità come Communio Personarum sempre in K.Wojtyła Metafisica della Persona cit. p.1481 e ss
(26)
J.Fuchs Situationsethik in theologischer Sicht in "Scholastik" ( 27)1952. Dello stesso Situation und
Entscheidung : Grundfragen christlicher Situationsethik, Knecht Frankfurt 1952; Etique objective et éthique de la
situation in "Nouvelle Revue Théologique" 78(1956) p. 801 e ss.
(27)
Un testo fondamentale per capire il progetto antropologico/morale di Wojtyła è A.Szostek :NaturaRozum-wolność. Filozoficzna Analiza Koncepcji Twórczego Rozumu we współczesnej theologji moralnej RW KUL
1989.
(28)
Una espressione poetica di straordinaria efficacia di questo stato di cose in K.Wojtyła Promieniowanie
Oicostwa in "Znak" 31(1979) n.11 pp.305 e ss. Con lo pseudonimo Stanisław Andrzej Gruda tr.it con il titolo Raggi di
Paternità in K.Wojtyła Tutte le Opere letterarie Bompiani 2005 ( 1.ed.2001)
(29)
Vedi Persona e Atto cit. p.880
(30)
Amore e Responsabilità cit. p. 633 e ss.
(31)
Per una risposta puntuale si critici mi permetto di rimandare a Rocco Buttiglione: Amoris Laetitia. Risposte ai
Critici in "Lateranum" 83(2017) 1 pp.191 e ss
(32)
Vedi specialmente Amoris Laetitia n.305 e la nota 35
(33)
Catechismo della Chiesa Cattolica n.1854 e ss
(34)
Cfr. Sergio Lanza Introduzione alla Teologia Pastorale. 1.Teologia della Azione ecclesiale Brescia
Queriniana 2000.
(35)
Amoris Laetitia n. 291 e ss. Vedi in particolare n. 296
(36)
n.1857
(37)
S.Tommaso: Summa Theologiae I-II q.19 a.5
(38)
Ibidem a.6
(39)
Qui il Catechismo n. 1857 riprende S.Giovanni Paolo II Reconciliatio et Poenitentia n.17
(40)
Amore e Responsabilità cit. p.596 e ss
(41)
Cfr. S.Giovanni Paolo II Sollicitudo Rei Socialis n.36
(42)
S.Giovanni Paolo II Reconciliatio et Poenitentia n.16
(43)
Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1869
(44)
S.Giovanni Paolo II Sollicitudo Rei Socialis n.39
(45)
S.Giovanni Paolo II Familiaris Consortio n.34 ma vedi anche n.9.
(46)
I Cor. 3, 1/2
(47)
n.3, 3
(48)
n.3, 6
(49)
n.3, 8
(50)
Vedi anche, nel medesimo Vademecum n 3,7: " In linea di massima non è necessario che il confessore indaghi
sui peccati commessi a causa dell'ignoranza invincibile della loro malizia, o di un errore di giudizio non colpevole."
Non si dimentichi però che "per quanto tali peccati non siano imputabili, tuttavia non cessano di essere un male e un
disordine. ... E quindi necessario adoperarsi, nel modo più opportuno, per liberare la coscienza morale da quegli errori".
Sembra che il confessore sia autorizzato a dare l'assoluzione ma sia anche tenuto a tornare, nel modo e nel tempo
opportuno e per quanto possibile, sull'argomento per illuminare la coscienza del penitente. Quando questa opera fosse
compiuta se il penitente rifiutasse di astenersi dalla condotta peccaminosa, l'assoluzione potrebbe essere rifiutata.
(51)
n. 3,13
(52)
Pio XI Casti Connubii in "Acta Apostolicae Sedis" 22(1930) 561
35
(53)
Vademecum cit. 3,13
(54)
Veritatis Splendor n.68
(55)
Ibidem n.70
(56)
Sess. VI, Decr. sulla giustificazione Cum hoc tempore, cap. 15: DS, 1544; can. 19: DS, 1569.
(57)
Veritatis Splendor n.70. Vedi anche Reconciliatio et Poenitentia n. 223
(58)
Amoris Laetitia n.298
(59)
Familiaris Consortio n.84
(60)
Ibidem
(61)
S.Tommaso : S.th. I-II q.64; vedi anche Aristotele Etica Nicomachea 1106b/1107a.
(62)
Cfr. Redemptor Hominis n.1 : "Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia".
Dimensione metafisica e dimensione storica si incontrano in lui. Questa è la chiave per comprendere tutto il Magistero
di Giovanni Paolo II.
(63)
Cfr. K. Wojtyła: Il Problema del costituirsi della Cultura attraverso la "praxis"umana in "Rivista di Filosofia
neoscolastica" 69(1977) p.513 e ss; adesso in Metafisica della Persona cit. p. 1447 e ss.
(64)
Veritatis Splendor n.31 e ss; specialmente n.37 e ss.
(65)
Amore e Responsabilità cit. p. 559 e ss. Vedi anche la esatta trasposizione poetica di questa intuizione
essenziale in A.Jawień (pseudonimo di K.Wojtyła) Przed Sklepem Jubilera in "Znak" 12(1960) n.12. Traduzione
italiana La Bottega dell'Orefice in K.Wojtyła Tutte le Opere letterarie cit. p.764 e ss.
(66)
F.Schiller Phantasie an Laura, traduzione mia.
(67)
Amore e Responsabilità cit.p.681 e ss.
(68)
Nella Bottega dell'Orefice le tensioni, i conflitti ed i fallimenti delle vite di Andrea e Teresa e di Stefano ed
Anna confluiscono nelle vite dei loro figli e vengono redenti, in un certo senso, attraverso il loro amore.
(69)
La Bottega dell'Orefice cit. p. 810/811
(70)
Fedro 244a. Vedi anche 265a.
(71)
Digesto I,I,1
(72)
Vedi K.Wojtyła Człowiek w Polu Odpowiedzialności Istituto Giovanni Paolo II, KUL, Roma-Lublino 1991. Il
testo in realtà risale al 1978 ed è un abbozzo di una continuazione di Persona ed Atto. È l'ultimo testo filosofico di
Wojtyła. L'Uomo nel Campo della Responsabilità in Metafisica della Persona cit. p. 1251 e ss., con una importante
introduzione di Alfred Wierzbicki.
(73)
Paradigmatico è il libro di S.de Beauvoir: Le deuxieme Sexe ,Parigi, Gallimard 1949 tr. it. Il secondo Sesso,
Milano, Il Saggiatore 1961 2 vv. È il manifesto di una identità femminile costruita mettendo fra parentesi la maternità.
La pillola darà poi a questa autocomprensione uno strumento di realizzazione pratica.
(74)
Max Horkheimer ha riassunto in una parola il danno della pillola: "la perdita del,vero amore". Cfr.
M.Horkheimer: Was wir Sinn nennen wird verschwinden in "Der Spiegel" 5.01.1970.
(75)
Gai. I,111
(76)
È stato il decreto Tametsi del Concilio di Trento ( è il primo capitolo del Decreto De Reformatione Matrimoni
Sess. XXIV, 11 novembre 1563). Esso inizia così: "Tametsi dubitandum non est clandestina matrimonia libero
contrahentium consensu facta, rata et vera esse matrimonia..." (benchè senza dubbio i matrimoni clandestini fatti con il
libero consenso dei contraenti, siano veri e propri matrimoni...)
(77)
Secondo i dati di Eurostat 2014 le donne si sposano mediamente all'età di 29,5 in Europa con le donne italiane
che si sposano a 31,1 anni, le norvegesi a 31,6, le danesi a 31,9, le spagnole a 32,3 e le svedesi a 33,3. Gli uomini si
sposano in genere 2 o 3 anni più tardi.
(78)
Salmo 18(19)
(79)
Vedi Card. Joseph Ratzinger Divorziati risposati e Pastorale in: Congregazione per la Dottrina della Fede
Sulla Pastorale dei Divorziati risposati. Documenti, Commenti e Studi. Città del Vaticano , Libreria Editrice Vaticana ,
1998 p.7 e ss.
36