INFEZIONE DA HIV ED
AIDS
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VIRUS HIV
HIV 1 ed HIV 2 appartengono alla famiglia dei
Retroviridae, genere lentovirus.
• L’infezione da HIV provoca nell’ospite una
progressiva compromissione delle difese
immunitarie, soprattutto della componente
cellulo – mediata con pressocchè totale
inefficienza della risposta nei confronti del
virus.
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VIRUS HIV
• Il virus HIV è rivestito da un envelope provvisto di
alcune glicoproteine tra cui gp 120, responsabile
dell’aggancio del virus alle cellule provviste del
recettore CD4 e possiede un nucleocapside,
denominato core, che contiene il genoma (RNA
virale) in cui sono rappresentati i geni costitutivi gag,
env e pol che rispettivamente codificano le proteine
del core , p24 e p17, dell’envelope, gp 120, gp 41 e
della trascrittasi inversa.
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VIRUS HIV
• Il genoma dell’HIV , oltre alle proteine codificate dai
geni gag, pol ed env, codifica altre proteine non
strutturali con funzione regolatrice denominate tat,
rev, nef, vif. Le funzioni di queste proteine sono a
tutt’oggi oggetto di studio. Recentemente è stato
attribuito alla proteina tat un ruolo importante
nell’infettività del virus.
• I virus HIV 1 ed HIV 2 sono sierologicamente distinti.
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VIRUS HIV
•
La penetrazione del virus HIV avviene mediante
l’interazione di una glicoproteina dell’env (gp 120) ed il
recettore elettivo rappresentato dai linfociti CD4, anche se
recentemente è stato dimostrato che anche altre cellule (
monociti, macrofagi, linfociti B, cellule dendritiche, fibroblasti
) possano essere bersaglio del virus. All’interno della cellula, il
virus utilizza l’enzima “trascriptasi inversa” per operare la
trascrizione del proprio RNA in DNA, che a sua volta si integra
in forma provirale nel genoma cellulare. Una volta integrato, il
DNA virale rimane permanentemente associato al genoma
della cellula ospite, fino a che la cellula è in vita, in forma
latente o rilasciando virioni.
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VIRUS HIV
•
• Il virus dell’HIV 1 è diffuso in tutto il mondo
mentre la variante HIV 2 sembra essere
presente soltanto in alcune regioni dell’Africa
equatoriale.
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VIRUS HIV
•
Per un corretto inquadramento del
problema epidemiologico è essenziale
differenziare il numero dei casi di AIDS,
concordato secondo i parametri stabiliti dal
Centre Disease Control (CDC) (vedi Tab.1), da
quello dei casi di malati con infezione da HIV,
senza i segni clinici necessari a codificare la
definizione di AIDS.
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• La trasmissione del virus avviene per via ematica,
sessuale e materno-fetale.
•
Il problema della sorveglianza mondiale dei casi di
AIDS è legato a parametri dipendenti dai singoli
Paesi, dall’organizzazione sanitaria locale, dalle
risorse economiche e dal personale impiegato.
• In generale i dati mondiali sono attendibili per
quanto riguarda i paesi industrializzati mentre sono
spesso sottostimati in molte altre aree geografiche.
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• Nelle statistiche italiane è importante
l’osservazione relativa all’incremento
dell’infezione nel sesso femminile (negli anni
80 – 90 oltre l’80% dei casi di AIDS riguardava
il sesso maschile) e della via di trasmissione
eterosessuale.
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•
La storia naturale della malattia ha diversi
momenti critici; il primo è al momento del
contagio che corrisponde clinicamente alla
cosiddetta sindrome simil – mononucleosica. Il
virus penetrato nell’organismo replica
attivamente e si diffonde ai vari organi e
tessuti.
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• L’infezione primaria dura circa 2 – 3 mesi ed è seguita da una
cronicizzazione spesso asintomatica e di durata estremamente variabile
che inizialmente non ha reso comprensibile l’evolvere del rapporto virus organismo. Infatti, non era facile spiegare perché alcuni soggetti andavano
rapidamente in AIDS (anche entro 2 anni dal contagio) mentre per altri il
decorso durava molti anni. Successivamente è stata dimostrata l’esistenza
dei “progressori rapidi” e dei “long term”, ovvero di individui in cui si ha
una risposta immunologia più consistente con conseguente lento
decremento dei linfociti CD4 o addirittura di soggetti esposti al contagio
ma non infettati.Quale sia il substrato immunitario che giustifica tale
diversità evolutiva non è tutt’ora noto anche se sono stati ipotizzati
numerosi fattori come virus difettivi, ovvero meno aggressivi nei confronti
dell’ospite, alterazioni di recettori , esposizione multipla, varianti della
trascrittasi inversa prodottosi in fase di replicazione virale ed altri ancora.
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• Dal 1996 in Italia così come in altri Paesi economicamente
avanzati si è osservato un fenomeno che ha cambiato
l’evoluzione clinica del paziente HIV positivo; infatti con
l’introduzione delle terapie retrovirali è stata notevolmente
modificata l’attesa di vita dei pazienti, si è ritardata
l’evoluzione dei soggetti infettati verso l’AIDS e si è osservato
un marcato decremento dei decessi.
• I farmaci anti HIV immessi in commercio hanno lo scopo di
fermare la replicazione virale agendo su enzimi elaborati dalle
particelle. I bersagli sono la trascrittasi inversa e la proteasi.
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CLASSIFICAZIONE DELLA MALATTIA DA HIV
Numero CD4
Categorie cliniche
------------------------------------------------• 500
A1
B1
• 200 – 499
A2
B2
• < 200
A3
B3
C1
C2
C3
• Le lettere A, B, e C identificano le condizioni di AIDS (definite
sia da un punto di vista immunologico con CD4 < 200, sia in
senso clinico con le malattie incluse nello schema tipo della
classificazione AIDS)
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VIRUS HIV
• La diagnosi dell’infezione da HIV è sierologica e si basa
sull’identificazione degli anticorpi specifici.
• I soggetti con infezione recente da HIV possono avere un
“periodo finestra” in cui, pur essendo infettanti ed avendo
una attiva replicazione virale, risultano negativi ai test di
screening perché non hanno ancora prodotto gli anticorpi
specifici.
• La durata del periodo finestra è variabile; entro tre mesi dal
contagio oltre il 50% dei pazienti risulta positivo al test, dopo
sei mesi è positivo il 95% e soltanto in rari casi si ha una
sieroconversione entro un anno dall’infezione.
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•
Il test di screening per eccellenza utilizza la metodica
E.L.I.S.A che presenta una sensibilità ed una specificità
superiore al 99%. Falsi positivi si verificano in donne in
gravidanza, in soggetti vaccinati di recente contro l’influenza o
l’epatite B, nei pazienti politrasfusi o con patologie
autoimmuni.
• Test E.L.I.S.A. falsi negativi, si verificano molto raramente,
soprattutto nel “periodo finestra” o nell’ultima fase di
malattia quando la produzione anticorpale è molto bassa.
• La positività del campione al test E.L.I.S.A. deve essere
confermata con test Western Blot.
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•
Altro test di screening può essere considerato il
test E.L.F.A. che “cattura” la p 24 dell’antigene HIV.
Questa tecnica viene usata nella diagnostica precoce
ed è utile nel ridurre il periodo finestra.
•
Il test E.L.F.A. positivo deve essere confermato con
un test standard (Western Blot o RIBA).
•
Il test Western Blot conferma la presenza di
anticorpi verso antigeni del virus HIV separati in
bande distinte mediante elettroforesi proteica su
strisce di nitrocellulosa.
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• Un test Western Blot è considerato positivo
quando sono presenti almeno due delle
seguenti bande:p 24, gp 41, gp 120/gp 160.
L’assenza di bande classifica il test come
negativo.
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• Se è presente una singola banda o altre bande
non comprese tra quelle che definiscono la
positività del test questo viene considerato
indeterminato.
• Test indeterminati possono rappresentare
reazioni anticorpali aspecifiche o verificarsi
durante il periodo finestra.
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•
Il test RIBA è anch’esso considerato un test
di conferma e determina la presenza di
anticorpi verso HIV 1 ed HIV2.
•
Il test di immunofluorescenza indiretta (IFA)
, così come il Western Blot ed il RIBA,
conferma la presenza di anticorpi anti HIV nel
siero.
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•
Negli Stati Uniti, sono poi adoperati test
rapidi che per mezzo di metodiche E.L.I.S.A.
semplificate forniscono il risultato in pochi
minuti. Tali test possono essere eseguiti su
sangue, secrezioni orali e urine. I test risultati
positivi con tali metodiche devono comunque
essere necessariamente confermati con i test
standard.
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La “polymerase chain reaction” (PCR) ed i “branched
chain DNA assay sono metodiche in grado di rilevare
anche modeste quantità di acidi nucleici. Queste
metodiche sono adoperate sia per il dosaggio
“qualitativo” che permette una diagnosi precoce
dell’infezione, utile soprattutto nei neonati da madri
HIV positive, che il dosaggio “quantitativo” che, con il
quale attraverso la determinazione della carica
virale,è possibile monitorare la progressione della
malattia e l’efficacia della terapia antivirale.
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