I quaderni di A cura di Alberto Mucci Le nuove tecnologie fotoniche Italia ha fatto bella figura al “vertice” UE di Viterbo dei Ministri della Comunicazione e della Innovazione, “vertice” dedicato a fare il punto sui progressi compiuti verso l’obiettivo “una società dell’informazione per tutti” (Consiglio straordinario di Lisbona del marzo 2000). I progressi riguardano fra l’altro l’utilizzo crescente della fibra ottica nelle reti di accesso (utenti a casa). I 12 mila 700 utenti (al 31 luglio 2003) con fibra ottica a casa sono destinati ad aumentare progressivamente di numero ed a stimolare ulteriori innovazioni, diversi e sempre più sofisticati utilizzi. La prospettiva è allettante. Con le nuove tecnologie fotoniche si avranno grossi miglioramenti nell’elaborazione delle informazioni e nell’utilizzo di dispositivi vari, che vanno dalla sensoristica alla sicurezza. La fibra ottica permetterà di avere a disposizione una banda larga ancora più larga dell’attuale, per la trasmissione ad altissima velocità di dati, cifre, informazioni, ecc. Questo “Quaderno” si propone di spiegare, con l’intervento di “addetti al lavoro”, le ricadute operative dell’utilizzo delle nuove tecnologie fotoniche. Della banda larga abbiamo detto: l’obiettivo si avvicina. E ancora: si potranno realizzare calcolatori ottici che permetteranno di avere una velocità di impiego molto più alta di quella che si ha oggi con l’elettronica (l’ottica sostituisce l’elettronica come il fotone sostituisce l’elettrone). Altro settore: la costruzione di sensori che permetteranno di monitorare in maniera efficiente l’ambiente che ci circonda. E ancora: la telemedicina, che con la nuova tecnologia permetterà interventi a distanza e il monitoraggio della salute di ognuno di noi. Fantascienza? No. Sono le prospettive dell’innovazione che avanzano. E nella quale l’Italia vuole svolgere un ruolo positivo e propositivo L’ SUPPLEMENTO AL NUMERO DI OTTOBRE N. 211 DI MEDIA DUEMILA INDICE L’Ottica per il rilancio del Paese Sistemi di trasmissione su Fibra Ottica Le reti di telecomunicazione verso “il tutto ottico” La Trasmissione a 40 Gb/s per le nuove comunicazioni Le nanotecnologie per la fotonica I cristalli fotonici Elettronica organica per optoelettronica I laser a semiconduttore Microdispositivi fotonici in Niobato di Litio La conversione tutta ottica di frequenza I Fotorifrattivi Il piano di controllo ottico delle reti ASON/GMPLS La fotonica nei sistemi radar di nuova generazione Satellite e fibra per la larga banda a tutti Sensori in fibra ottica per il monitoraggio strutturale I cristalli liquidi: la tecnologia dello stato delicato della materia Generazione di impulsi ultracorti per trasmissioni ed elaborazioni ottiche ad altissima velocità 67 69 72 74 76 77 79 80 82 84 85 86 88 90 91 93 95 Il Quaderno è stato realizzato dalla Fondazione Ugo Bordoni (Presidente il Prof. Giordano Bruno Guerri, Direttore Generale il Consigliere Guido Salerno). Coordinatore del Quaderno l’ing. Francesco Matera. Hanno collaborato: Andrea Bonati, Alcatel Italia; Saracino Sante, SiemensCNX Spa; Raoul Fiorone, Marco Camera, Marconi Communications; Massimo Gentili, Pirelli Labs; Giorgio Maria Tosi Beleffi, Fondazione Ugo Bordoni; Andrea Reale, Marco Berliocchi, Aldo Di Carlo, Università di Roma Tor Vergata; Faustino Martelli, INFM Trieste; Federico Lucchi, Valerio Pruneti, Avanex Corporation; Paola Griggio, Università di Padova; Alessandro Schiaffini Pirelli, LABS; Sergio Cascelli, ISCTI: Antonio Manzalini, Telecom Italia Lab; Mauro Varasi, AMS Roma; Lorenzo Ronzitti, Telespazio s.p.a.; Andrea Fellegara, Michele A. Caponero, Antonio Paolozzi; Antonio D’Alessandro, Rita Asquini, Università “La Sapienza” – INFM; Giancarlo Prati, Ernesto Ciaramella, Antonella Bogoni, Giampiero Contestabile, Luca Poti, Scuola S. Anna, Pisa. Sono usciti: “Il futuro delle telecomunicazioni” “La transizione verso il digitale terrestre” “Un web per tutti. L’accessibilità di Internet” “Wi-Fi. Come – quando – perché” “I satelliti nella società multimediale” “Telefonia mobile e emissioni elettromagnetiche” “Le reti di telecomunicazioni diventano intelligenti” “Mentre viaggi lavori con Internet” “Come garantire sicurezza con lo sviluppo di Internet” “Le macchine che parlano” “Le macchine che capiscono” “Il progresso tecnologico fra brevetti e standard” “La rendicontazione? Automatica, ma…” luglio/agosto 2002 settembre 2002 ottobre 2002 novembre 2002 dicembre 2002/gennaio 2003 febbraio 2003 marzo 2003 aprile 2003 maggio 2003 giugno 2003 luglio/agosto 2003 settembre 2003 ottobre 2003 le nuove tecnologie fotoniche L’Ottica per il rilancio del Paese L e tecnologie ottiche stanno avendo una penetrazione sempre più profonda nella nostra vita, anche se spesso non ce ne accorgiamo personalmente. Non facciamo uno specifico riferimento al campo medico, dove il progresso è per tutti tangibile, bensì ai campi delle telecomunicazioni e del monitoraggio, sia sull’ambiente che sull’uomo stesso, dove non sempre è visibile la presenza dei processi ottici. Questa espansione risiede nel fatto che l’ottica permette il trasporto di immense quantità di informazioni. I fotoni, con tutte le loro possibili frequenze, ci permettono di percepire un mondo fantasticamente pieno di colori e le immagini che percepiamo sono straordinariamente grandi in termini di informazione contenuta. Fino all’avvento della televisione queste informazioni non potevano essere trasmesse perché la velocità dei componenti elettronici era ancora lenta rispetto a quella richiesta per il trattamento delle immagini. Con l’introduzione di dispositivi elettronici sempre più ve- loci, il trattamento delle immagini si è perfezionato garantendo non solo una elaborazione, e quindi una qualità, sempre più raffinata, ma anche e soprattutto la possibilità di una trasmissione reciproca tra utenti: esempi di video-comunicazione sono oggi sotto gli occhi di tutti, anche su terminali mobili (telefonia di terza generazione). Proprio per garantire un passaggio fluido e continuo di queste grandi quantità di informazioni, le reti di telecomunicazione dovranno essere sempre più potenti. Le attuali infrastrutture evidenziano altresì limiti profondi in questa direzione perché l’elaborazione dei segnali è ancora intrinsecamente basata su dispositivi elettronici che, per quanto veloci, sono sempre lenti rispetto ai processi ottici. Per dare un’idea possiamo dire che l’elettronica oggi permette il processamento di segnali con una velocità intorno ai 40 Gb/s, cioè in un secondo possono essere elaborati 40 miliardi di bit; questa velocità è immensa ma lenta se confrontata con i flussi di informazione che potrebbero essere scambiati tra città che fanno profondamente I laboratori di ottica dell’Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle Tecnologie dell’Informazione (ISCTI) e della Fondazione Ugo Bordoni. novembre 2003 67 I QUADERNI DI TELÈMA uso della video-comunicazione, ovvero flussi in grado di raggiungere una capacità di migliaia di Gb/s. Per superare la “lentezza” dell’elettronica oggi si pensa all’utilizzo di una elaborazione completamente ottica dei segnali. È ancora presto per parlare della commercializzazione dei calcolatori ottici, ma nei laboratori sono stati già sperimentati semplici circuiti ottici che permettono di elaborare segnali con una velocità dell’ordine del centinaia di migliaia di Gb/s. Come abbiamo accennato le applicazioni dell’ottica sono vastissime e non solo nel campo delle telecomunicazioni. Molteplici esempi sono evidenti nel campo dell’avionica, per la gestione e la manutenzione degli aerei, della sicurezza, grazie ad una sensoristica sempre più evoluta, per non parlare poi delle applicazioni mediche, industriali, militari e ambientali e degli interventi per il recupero artistico dei monumenti. Per dare delle semplici idee la fibra ottica è di per se un buon sensore per la temperatura e la pressione, inoltre fasci laser permettono di realizzare sistemi di allarme connessi a reti in fibra che, con l’ausilio di telecamere, sono in grado di garantire la sorveglianza di vasti ambienti. Le applicazioni mediche dell’ottica richiederebbero un libro a parte, qui elenchiamo semplicemente le tecniche endoscopiche, sempre meno invasive per il paziente, e l’uso del laser, sia come strumento chirurgico che come strumento di cura. Nel campo della meccanica, l’ottica può essere utilizzata per applicazioni industriali quali il taglio dei metalli o le saldature, grazie all’utilizzo di potenti laser, ed il controllo di processi micrometrici. Per le applicazioni militari forse tutti si aspettavano il laser come arma strategica e invece l’ottica ha permesso di sviluppare tante altre tecniche che vanno dal puntamento automatico alla realizzazione di circuiti per sistemi radar. Le radiazioni luminose possono inoltre essere utilizzate per il monitoraggio dell’inquinamento ambientale ed, in fine, il laser può anche rivelarsi un ottimo strumento per la pulizia ed il recupero di opere artistiche. In questo quaderno non potevamo trattare contemporaneamente tutti questi aspetti e abbiamo preferito concentrarci su alcuni argomenti in genere più attinenti al campo delle telecomunicazioni, e questo per una ragione di base: le telecomunicazioni a larga banda 68 porteranno ad una rivoluzione sociale e l’ottica sarà uno degli strumenti essenziali di questo processo: ogni cittadino, di ogni estrazione sociale e localizzato in ogni area del paese potrà accedere ad un universo culturale vastissimo, un tempo riservato solo a pochissime persone. Il piano e-Europe prevede che entro il 2005 tutte le amministrazioni dovranno essere connesse con accessi a larga banda e almeno il 50% delle connessioni internet dovrà possedere questo tipo di caratteristica. Questo significa che nei prossimi due anni avremo, solo in Italia, milioni di connessioni a larga banda; i risultati attuali sembrano confortanti visto che, solo nel periodo luglio 2002-luglio 2003, nel nostro Paese abbiamo avuto circa un milione e 300 mila nuovi accessi a larga banda. Questo significa che avremo sempre più necessità di reti ad altissima capacità. L’ottica potrà contribuire a colmare molte lacune del mondo della comunicazione e prima tra tutte quella dell’arretratezza tecnologica di molte aree (digital divide), e questo grazie alla introduzione di sistemi con una capacità sempre più alta e a un prezzo sempre più basso, che permetteranno una migliore diffusione delle tecniche digitali. In particolare l’ottica, integrata con altre tecnologie come ad esempio quelle radio e in rame, potrà permettere la connessione a larga banda di piccoli comuni, comunità montane, centri rurali, isole e tutti quei luoghi che mostrano grandi difficoltà dal punto di vista orografico. Per fare degli esempi ci riferiamo ai sistemi di telecomunicazione ottici in aria libera (wireless), che già oggi permettono la connessione ad altissima capacità tra centri situati a distanze dell’ordine del centinaio di metri. Tali distanze potranno essere fortemente allungate con l’introduzione di nuovi laser, come sarà descritto in questo stesso quaderno. Oggi le trasmissioni satellitari a larga banda sono già una realtà e rappresentano la principale soluzione per molte aree disagiate, ma le potenzialità sono assai maggiori se si pensa alla integrazione con sistemi in fibra (fibra-satellite). Infine pensiamo alle comunicazioni radio che oggi sono anche un importante mezzo di accesso a larga banda (sistemi WI-FI e UMTS); sicuramente le comunicazioni ottiche possono dare un grande contributo a queste tecnologie in quanto permettono la realizzazione di collegamenti in fibra ottica molti lunghi tra le antenne e le stazioni radio base (sistemi radio over fibre). I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche La fibra ottica a casa dell’utente è ormai una realtà per gli abitanti di alcune città italiane, sicuramente non sarà una possibilità immediata per tutto il Paese, ma è certo che la fibra si avvicinerà sempre di più alle nostre abitazioni. Questa diffusione è fortemente legata a tutta una serie di servizi e applicazioni che sono in continua evoluzione e che fanno sentire ad ogni utente l’esigenza di avere un collegamento a larga banda. Occorre inoltre precisare che avere una fibra nei pressi della nostra casa è risorsa di cui oggi ancora non si riesce a cogliere pienamente il significato; i collegamenti in fibra ci portano oggi a casa flussi dell’ordine del Mb/s, che sono certamente più che sufficienti per le attuali esigenze. Ma ogni singola fibra può portare capacità enormemente più grandi ed in particolare moltissimi canali. Una realtà che molti stanno proponendo, per esempio per realizzare delle reti private, visto anche che il costo di alcuni dispositivi sta fortemente diminuendo. In conclusione crediamo che l’ottica potrà dare un grosso contributo allo sviluppo in tantissimi campi e sarà uno degli elementi fondamentali per il rilancio dell’economia a cominciare dal settore dell’Information Communication Technology (ICT). Come mostrato dai contributi che sono presenti in questo Quaderno l’Italia nel campo dell’ottica ha oggi un ruolo fondamentale a livello mondiale sia per la produzione che per la ricerca e questo deve essere considerato solo come un punto di partenza per un grande rilancio del settore ICT. Francesco Matera Fondazione Ugo Bordoni Sistemi di trasmissione su Fibra Ottica A partire dalla fine degli anni ’80, quando le caratteristiche della fibra ottica in silice e la disponibilità di amplificatori ottici hanno permesso la realizzazione dei primi collegamenti transoceanici ad alta velocità, la tecnologia dei sistemi di trasmissione su fibra ottica ha subito una progressiva e rapida evoluzione, pilotata dalle pressanti richieste di capacità di traffico sempre più elevate. Per soddisfare queste esigenze sono state utilizzate sia la tecnica di multiplazione a divisione di frequenza (che, nell’ambito dei sistemi di trasmissione su fibra ottica, prende il nome di multiplazione a divisione di lunghezza d’onda, Wavelength Division Multiplexing, WDM), sia quella a divisione di tempo (T i m e D i v i s i o n M u l t i p l e x i n g , TDM), che hanno portato ad uno sfruttamento sempre più efficiente delle caratteristiche offerte dal mezzo trasmissivo (attualmente la capacità trasmissiva totale su singola fibra supera il Tb/s). Questo sviluppo è stato comunque reso possibile da una fervida attività di ricerca nel settore della componentistica necessaria per l’implementazione di tali sistemi, attività che sta rendendo peraltro sempre più concreta la possibilità, presa in considerazione in questi ultimi novembre 2003 anni, di realizzare reti completamente ottiche. Tipi di fibre: infrastrutture esistenti e loro evoluzioni recenti Le infrastrutture per telecomunicazioni attualmente esistenti utilizzano tre diversi tipi di fibra, che presentano tutti all’incirca lo stesso valore di attenuazione, da 0.20 a 0.21 dB/km in terza finestra e 0.4 dB/km in seconda finestra. Storicamente il primo tipo di fibra utilizzato, nei primi anni ’80, è stato lo “standard” monomodo (SSMF, Standard Single-Mode Fiber, normativa ITU-T G.652) che rimane tuttora il più diffuso, costituendo circa l’80 % di tutta la fibra installata nel mondo. Attualmente 3 sono le fibre utilizzate: la SSMF, la fibra a dispersione spostata (DSF, Dispersion Shifted Fiber, normativa ITU-T G.653) che presenta una dispersione nulla banda dei 1500 nm (banda in cui operano gli amplificatori ottici ad erbio) ed è particolarmente idonea per i sistemi singolo canale ad alta capacità e la fibra a dispersione spostata non nulla (Non-Zero Dispersion Shifted Fibers, NZDSF, normativa ITU-T G.655), che presenta un valore modesto, ma 69 I QUADERNI DI TELÈMA non nullo a 1500 nm che è stata introdotta per i sistemi WDM. Trasmissione a lunga distanza e ad alta capacità Le reti ottiche di prima generazione, fatta eccezione per le reti di accesso di tipo residenziale, utilizzano la fibra esclusivamente come mezzo trasmissivo in sostituzione del cavo in rame, mentre eseguono tutte le operazioni di commutazione, elaborazione ed instradamento per via elettronica. Esempi di questo tipo sono le reti SONET (Synchronous Optical Network) e SDH (Synchronous Digital Hierarchy), che costituiscono il cuore delle infrastrutture per telecomunicazioni, rispettivamente, in America del Nord, Europa ed Asia. In entrambi i casi esiste una gerarchia standardizzata che regola la generazione di flussi ottici ad alta velocità, detti di aggregato, a partire dai cosiddetti flussi tributari, per mezzo di operazioni di multiplexing elettrico nel dominio del tempo. Nel caso dell’SDH (normative ITU-T G.707, G.957) la gerarchia di base è denominata STM1 (Synchronous Transport Module-1) e prevede un flusso di aggregato alla velocità di 155.52 Mb/s. La gerarchia immediatamente successiva è l’STM-4, che tratta un flusso di dati a 622.08 Mb/s. Entrambe sono utilizzate prevalentemente nell’ambito delle reti di accesso, che sono supportate da fibra “standard” e prevedono l’impiego di una componentistica di tipo low cost. Per i collegamenti a lunga distanza sono prevalentemente utilizzate le gerarchie STM16 ed STM-64 che consistono in flussi di aggregato alla velocità di circa 2.48 Gb/s e 9.92 4 b/s, trasmessi in generale su fibra “standard” (seconda e terza finestra) o dispersion shifted (terza finestra). In questo caso il sistema è dimensionato in modo tale da distanziare al massimo i rigeneratori optoelettronici: grazie alla compensazione delle perdite di attenuazione ottenuta tramite l’inserzione periodica di amplificatori ottici il segnale può mantenere la sua natura “ottica” fino a distanze dell’ordine di diverse centinaia di chilometri. I sistemi a lunga distanza comprendono la categoria di applicazioni in cui la presenza di barriere geografiche come laghi, mari o montagne, impediscono o comunque rendono difficoltosa l’installazione di un apparato di rige- 70 nerazione, imponendo stringenti vincoli in termini di budget di potenza. L’amplificatore ottico è diventato quindi un componente essenziale per questo tipo di collegamenti, sostituendo, ove possibile, i più costosi e ingombranti rigeneratori optoelettronici. Il tipo più comunemente utilizzato è l’amplificatore in fibra drogata con Erbio (EDFA, Erbium-Doped Fiber Amplifier), che, nella sua configurazione standard, presenta un guadagno che può raggiungere anche i 30 dB in una banda di circa 35 nm nella regione intorno a 1.55 mm, consentendo perciò solamente la trasmissione in terza finestra, eventualmente su fibra DS per ridurre le penalità da dispersione. Relativamente ai sistemi sottomarini, con l’installazione dei collegamenti transatlantici TAT-12 (’95) e TAT-13 (’96) operanti in terza finestra su fibra DS, è stato introdotto l’utilizzo di amplificatori ottici di linea “sommersi”. Per quanto riguarda invece le applicazioni terrestri, le prime installazioni risalgono al ’90-’91 negli USA, dove sono stati inizialmente impiegati come booster: venivano infatti posizionati in uscita dal trasmettitore per incrementare la potenza ottica dei terminali SONET, operanti prevalentemente a 2.5 Gb/s. Questo tipo di approccio ha consentito in particolare di raggiungere tratte di 200 km senza rigenerazione. Successivamente, negli anni ’94-’95, si è cominciato ad introdurre, nell’ambito dei sistemi a 2.5 Gb/s, gli amplificatori lunga linea, che hanno permesso di raggiungere, con l’aiuto degli ultimi sviluppi delle tecnologie nel campo dei laser, distanze di 600-800 km senza l’ausilio di tecniche per la compensazione della dispersione cromatica. I network service providers sono attualmente impegnati nel valutare le diverse alternative in grado di incrementare la capacità di traffico offerta dalle reti già installate. Infatti, i sistemi a grande capacità attualmente in servizio operano tipicamente a 2.5 Gb/s e 10 Gb/s nella finestra intorno a 1550 nm. Qualora gli operatori di rete procedessero ad un upgrading in termini di capacità complessiva, oltre alla più ovvia, ma senz’altro più costosa, alternativa del multiplexing nel dominio spaziale (SDM, Space Division Multiplexing) che consiste nell’installare nuova fibra, troverebbero disponibili due diverse soluzioni: il TDM (Time Division Multiplexing), che aumenta la cadenza di cifra multiplando elettronicamente nel dominio del tempo più segnali a velocità inferiore; I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche il WDM (Wavelength Division Multi- plexing), che prevede la trasmissione contemporanea di più canali a diverse lunghezze d’onda di portante. Naturalmente, essendo complementari, è possibile impiegare un’opportuna combinazione di entrambe le soluzioni, ed è effettivamente ciò che si verifica in pratica. È proprio mediante la combinazione di ambedue le soluzioni che diversi laboratori di ricerca hanno dimostrato di poter raggiungere capacità superiori ai 10 Tb/s su una singola fibra. La tecnica di multiplazione a divisione di tempo permette, come è stato appena precisato, di aumentare la capacità di trasmissione mediante la multiplazione di N flussi di dati a “bassa velocità” in un unico flusso a velocità N volte superiore alla cadenza di cifra dei singoli flussi in ingresso al multiplexer elettrico. Nei sistemi TDM la velocità di cifra può essere fortemente aumentando utilizzando una multiplazione ottica nel dominio del tempo (Optical Time Division Multiplexing, OTDM) come riportata nella figura. A differenza dell’approccio WDM, con la tecnica TDM la durata di un bit del flusso di dati trasmesso in fibra risulta essere N volte più piccola di quella dei bit degli N flussi di partenza. Questi ultimi sono infatti interallacciati tra di loro in modo tale da allocare all’interno della durata del bit slot di partenza un bit per ogni singolo flusso all’ingresso del multiplexer, separando così temporalmente due bit successivi dello stesso flusso tributario di una quantità proprio pari alla loro durata originaria. L’approccio di tipo WDM prevede la trasmissione simultanea di N portanti ottiche, ognuna ad una cadenza di cifra R, in linea di principio non troppo elevata per quanto riguarda gli effetti dispersivi, determinando una capacità di trasmissione complessiva di NxR Gb/s. L’introduzione dell’amplificatore ottico, ed in particolare dell’amplificatore in fibra drogata con Erbio, ha drasticamente cambiato l’economia dei sistemi multilunghezza d’onda poiché ha consentito l’amplificazione simultanea di tutti gli N canali, sostituendo, ove possibile, N rigeneratori optoelettronici, preceduti da un demultiplexer e seguiti da un multiplexer. Reti ottiche metropolitane Negli ultimi anni gli operatori di Telecomunicazioni hanno speso cifre cospicue per ag- novembre 2003 giungere imponenti capacità nelle loro reti di trasmissione a lunga distanza. Queste autostrade ottiche sono in grado di trasportare, anche in prospettiva, il traffico multimediale che gli utenti business e privati generano. È però necessario sviluppare ulteriormente le reti metropolitane, per connettere le sorgenti di traffico ad alta capacità alla loro velocità di sorgente. Oggi le aree metropolitane hanno ancora limitati accessi ad alta capacità per la connessione verso le grandi dorsali. Per ovviare gli operatori locali devono aumentare la capacità, e migliorare la flessibilità delle loro reti nell’area metropolitana, il più in fretta possibile per essere in grado di ospitare adeguatamente l’evoluzione del traffico originato dai nuovi servizi a larga banda. Sfortunatamente l’abbondanza di capitali, che in passato ha supportato la realizzazione delle grandi dorsali, si è esaurita e gli investimenti attuali nella rete di telecomunicazioni sono valutati, al momento, con molta parsimonia. La tecnologia scelta da numerosi Operatori è nel transitorio la “Digital Subscriber Line” (DSL), sui collegamenti esistenti dei loro clienti privati o piccoli imprenditori. Fino a qualche tempo fa, questi clienti potevano connettersi a Internet tramite le normali linee telefoniche, economiche ma a banda molto limitata, oppure in alternativa con costose linee digitali “Prime Rate Access” (PRA). La limitazione di banda da una parte, o quella di costo dall’altra sono state un freno importante allo sviluppo del traffico dati scambiato dagli utenti su Internet. Oggi il numero crescente di queste connessioni nella loro evoluzione a larga banda, sta facendo crescere in modo deciso il volume di traffico e tale incremento tende naturalmente a saturare le risorse di rete esistenti. L’uso della fibra ottica e dei sistemi di multiplazione descritti nei paragrafi precedenti è la soluzione tecnica ed economica per rispondere alle necessità delle Reti Metropolitane. È quindi facile prevedere una progressiva migrazione della fibra sempre più verso l’utente finale. Verso le reti completamente ottiche: Optical Add Drop Multiplexing (OADM) e Optical Cross Connect (OXC) Come gli amplificatori ottici hanno sostituito in molte applicazioni i rigeneratori optoe- 71 I QUADERNI DI TELÈMA lettronici grazie alla loro capacità di supportare segnali con bit rate crescenti e segnali di tipo WDM, così l’elemento di forza degli switch ottici rispetto alle controparti elettroniche è la trasparenza alla trama e al bit rate del segnale trasportato. Ciò rappresenta un elemento fondamentale per il successo futuro degli Optical Add Drop Multiplexer (OADM) e Optical Cross Connect (OXC), quando il parametro fondamentale sia la banda totale da “crossconnettere”. Numerose aziende manifatturiere, superata ormai la fase di studio di fattibilità nei laboratori di ricerca avanzata, annunciano ed offro- no i primi sistemi commerciali in grado di espletare più evolute funzionalità ottiche. Si tratta oggi per lo più di prodotti con capacità e flessibilità limitate, soprattutto se paragonate con le corrispondenti degli ADM e Cross-Connect elettronici a parità di numero di affluenti. In generale, l’implementazione di queste funzionalità richiede ancora un’intensa attività di ricerca per poter conseguire in una rete ottica maturità comparabili a quelle offerte dagli standard SDH/SONET. Andrea Bonati Alcatel Italia Le reti di telecomunicazione verso “il tutto ottico” I l termine correntemente utilizzato di Rete di Trasporto, così come i termini di rete regionale o metropolitana, è il risultato di una semplificazione lessicale, utilizzata all’interno di un modello semplificato di rete, per indicare quella porzione della rete che connette i nodi principali di cui e costituita. Le due tipologie principali di rete finora adottate e analizzate dai pianificatori di rete sono stati l’anello (ring) e la rete magliata (mesh). In una configurazione ad anello, ogni nodo è connesso solo ai due nodi adiacenti all’interno di una struttura ad anello. Questa è la tipologia oggi più diffusa sia nella porzione di rete di trasporto, che in quella in area metropolitana. Essa è molto apprezzata per la elevata capacità e velocità di riconfiguzione con cui reagisce ad eventuali guasti ed è pertanto raccomandata quando è richiesta una disponibilità del servizio prossima al 100%. Questa sua caratteristica gli deriva dal fatto che la capacità (banda) del mezzo trasmissivo (fibra o cavo) si utilizza solo per metà e si lascia l’altra metà scarica per essere utilizzata solo in caso di necessità, ovvero in caso di guasto della parte attiva. In una struttura a rete magliata, i nodi sono interconnessi in una configurazione 1 a N, dove N può variare da nodo a nodo. In tale struttura, ogni nodo è connesso a tutti gli altri nodi con un grado di connettività che può essere di tipo completo (ogni nodo è collegato a tutti gli altri nodi della rete) o di tipo lasco (i collega- 72 menti sono distribuiti con il requisito minimo di fornire almeno due percorsi alternativi fra una qualunque coppia di nodi). In questo caso la protezione del traffico in presenza di un guasto, si ottiene sovradimensionando le capacità trasmissive di ogni collegamento, e riservando questa parte eccedente per il trasporto di una porzione del traffico che gli viene dirottata in caso di rottura di uno dei collegamenti attivi. Lo scenario tecnologico Gli stimoli più forti alla evoluzione delle reti di telecomunicazione arrivano dal settore dell’ottica e dal mondo di Internet. L’ottica, con le sempre più sofisticate tecniche di amplificazione del segnale che si traducono in distanze sempre maggiori che il segnale ottico riesce a coprire senza necessità di essere rielaborato (rigenerato) congiuntamente a soluzioni sempre più efficienti di aggregazione di più segnali sulla stessa fibra (WDM) sta consentendo di raggiungere dei livelli di costo/bit/km veramente bassissimi. Le tecnologie legate al mondo di Internet stanno indirizzando sempre di più ad un uso ottimizzato delle capacità trasmissive: non più un circuito dedicato per connettere due utenti, inutilizzato nei momenti di pausa, ma l’uso condivisivo delle risorse che vengono di volta in volta utilizzate per il trasporto di informazione (pacchetti) appartenente a collegamenti differenti. I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche Ma oltre a questi due aspetti, vi è una terza intrigante opportunità che sta sfidando il mondo scientifico ed è quella legata al concetto di trasparenza, ovvero la realizzabilità di una rete di trasporto completamente ottica. Sino ad oggi, i segnali ottici che raggiungevano un nodo della rete, prima di subire qualunque tipo di elaborazione dovevano per iniziare essere convertiti da ottico in elettrico, perché questo è l’unico formato per cui disponiamo di opportuni circuiti di elaborazione. Questa operazione è ancora molto costosa perché richiede una conversione O/E/O e impiega dispositivi di conversione O/E (fotorivelatori) e E/O (Laser) molto pregiati. Questa costosa conversione è però del tutto evitabile in tutti quei casi in cui il segnale non ha ancora raggiunto la sua destinazione finale e il nodo è semplicemente un punto di attraversamento. Un recente studio che comparava per una rete magliata il costo di una realizzazione con conversione E/O/E e una “completamente trasparente” ha mostrato margini di risparmio sino al 65% a favore della seconda. Questo giustifica il perché l’idea di realizzare reti trasparenti, in cui il segnale attraversa tutti i nodi da quello di ingresso a quello di uscita senza conversioni intermedie, è così attraente e stimolante. È appunto per questa ragione che così tanti investimenti, in mezzi e risorse, sono stati profusi negli ultimi anni nel tentativo di realizzare matrici ottiche capaci di commutare un segnale ottico da una porta di ingresso ad una di uscita restando nel formato ottico e così risparmiando i costi di una inessenziale conversione. Molte soluzioni basate su diverse tecnologie sono state proposte, per citarne alcune: micro specchietti comandati da segnale elettrico (MEMS Micro Electrical Machine), Cristalli liquidi, bolle prodotte per effetto termico (Bubble thermooptics), e molti studi sono stati effettuati confrontando le loro prestazioni in termini di costo, attenuazione, dimensione e affidabilità. Fra tutte le varie proposte, quella basata sulle MEMs sembra ad oggi quella più valida e la sola veramente matura per applicazioni industriali. novembre 2003 Con il termine OADM si identifica normalmente un tipo di apparato ottico in grado di intercettare un segnale WDM di tipo multiplato e su questo di spillare (drop) e/o inserire (add) alcune delle N componenti (lunghezze d’onda), lasciando transitare inalterati le rimanenti. Il sistema WDM TransXpress Infinity della Siemens, con una capacità di 160 canali (lunghezze d’onda), ciascuno in grado di trasportare sino a 10 miliardi di bit al secondo (10Gbit/s), installato e già operativo su una dorsale della rete dell’operatore nazionale cinese è una dimostrazione indiscutibile dei risultati già raggiunti in questo campo. Situazioni di blocco dovute a mancanza di convertitori di lunghezza d’onda Un altro aspetto che condiziona la sua realizzabilità e al momento riduce i benefici economici di una rete ottica trasparente è quello della indisponibilità sul mercato di dispositivi puramente ottici capaci di variare la lunghezza d’onda su cui il segnale viaggia. Una tale funzionalità è richiesta laddove è necessario superare la situazione di blocco che si crea quando un segnale ottico ad una certa lunghezza d’onda contenuto in un segnale WDM raggiunge un nodo di tipo trasparente e deve proseguire in una direzione dove quella lunghezza d’onda è stata già utilizzata. Vi sono 2 modi per superare una tale situazione di blocco. La prima consiste nell’utilizzare molte più lunghezze d’onda di quelle necessarie (over provisioning) si da ridurre (senza però eliminarla) la probabilità che una tale evenienza si presenti. La seconda si basa sull’adozione di nodi cosiddetti ibridi, che anziché essere puramente ottici dispongono di alcuni dispositivi di conversione di lunghezza d’onda (basati su conversione O/E/O) che vengono utilizzati quando necessario. Saracino Sante Siemens-CNX Spa, L’Aquila 73 I QUADERNI DI TELÈMA La Trasmissione a 40 Gb/s per le nuove comunicazioni a tecnologia 40 Gbit/s, sviluppata da Marconi Communications nei suoi laboratori di Ricerca e Sviluppo di Genova, non è più solamente un fiore all’occhiello dell’innovazione tecnologica intesa come ricerca “pura”, ma una vera e propria realtà, intesa come applicazione commerciale a disposizione degli operatori per i propri futuri investimenti – a medio e lungo termine – nelle reti di tlc. Rimangono tuttavia aperte alcune questioni, relative alla propagazione (in particolar modo la dispersione dei modi di polarizzazione (PMD – Polarisation Mode Dispersion) ed ai costi. Di seguito viene riportata un’analisi relativa alla tecnologia, alle implicazioni in termini di propagazione sul portante fisico e di costi: il tutto utilizzando un approccio pragmatico ed un’ottica di rete. L re gli investimenti sulle reti. Gli operatori hanno la necessità di continuare ad essere competitivi su di un mercato sempre più aggressivo: necessità che deve tuttavia soddisfare l’obiettivo di riduzione di Capex e di Opex e, in parallelo, di aumento dei ricavi. La tecnologia del 40 Gbit/s rientra in questo controverso scenario, garantendo da una parte un’evoluzione naturale delle reti attuali ma, al tempo stesso, ponendo un vero e proprio dilemma: è una soluzione economicamente giustificabile in questo difficile contesto di mercato? I paragrafi seguenti analizzano questo quesito, fornendo una panoramica sui possibili utilizzi del 40 Gbit/s su reti già installate ed utilizzando un approccio pragmatico nell’analisi dell’efficienza di rete, maturità tecnologica e ritorno sull’investimento. Lo scenario Una soluzione, non una tecnologia Anche se il mercato delle telecomunicazioni permane critico, rimane l’esigenza di prosegui- L’emergere della multiplazione a divisione di lunghezza d’onda (Wavelength Division Scheda interfaccia ottica a 40Gb/s. 74 I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche Multiplexing – WDM) ha aperto un’ampia discussione fra i sostenitori dell’evoluzione di rete tramite incremento della frequenza di cifra sul singolo canale, ossia un aumento nella multiplazione a divisione di tempo (TDM-Time Division Multiplexing), e coloro che supportano un utilizzo più esteso di canali paralleli in tecnologia WDM. Tale diatriba, di stampo quasi filosofico, è stata resa in qualche modo obsoleta dal mercato attuale, nel quale ciò che veramente conta è il costo “per bit” (o meglio, il costo per bitkm-W-m3). Non esiste alcun dubbio sul fatto che un ulteriore passo nel TDM possa garantire agli operatori un vantaggio concreto, sia in ambiente SONET/SDH sia OTN (Optical Transport Network). Il livello di scalabilità, flessibilità e capacità in termini di trasporto e gestione del traffico che il 40 Gbit/s è in grado di garantire, unito alla relativa funzionalità OTN (cioè ODU3 in uno scenario ITU-T G.709), permette un vero e proprio balzo in avanti, rispondendo alle esigenze dettate dai nuovi servizi e garantendo una maggiore efficienza di rete. Il 40 Gbit/s oggi: maturità tecnologica Due anni fa l’applicabilità della tecnologia a 40 Gbit/s su reti già installate veniva messa in dubbio. Possiamo invece affermare oggi che tale tecnologia è pronta ad essere utilizzata a fini commerciali non appena il mercato la richiederà. L’evoluzione del 40Gbit/s è possibile e, aspetto ancora più importante, il processo di ingegnerizzazione è già partito, almeno per quanto riguarda Marconi. Come è possibile osservare nelle seguenti figure, lo sviluppo ha portato alla definizione di un prodotto finito, e non di prototipi, sia a livello di scheda per l’interfaccia ottica che dell’intero sistema. Prove estensive sono state condotte sia in laboratorio che presso importanti operatori, sia in ambito singolo canale che multi-canale, anche in applicazioni in cui canali a 10 Gbit/s e canali 40 Gbit/s convivevano sulla stessa piattaforma. Di particolare rilievo è ad esempio una prova in campo ef fettuata presso un importante operatore europeo, in cui si è inviato un canale a 40 Gbit/s, insieme ad alcuni canali a 10 Gbit/s, su una distanza di circa 600 km, con interessanti margini di sistema. Ciò significa che il 40 Gbit/s è di fatto utilizzabile già oggi. Ma cosa impedisce, allora, a tale tecnologia di essere utilizzata? Due questioni sono ancora parzialmente aperte: una soluzione definitiva alle problematiche di propagazione ed i costi. Il 40 Gbit/s oggi: le problematiche relative ai costi I vantaggi sostanziali apportati agli operatori dalla disponibilità di canali trasmissivi a frequenze di cifra più elevata possono essere applicati anche al 40 Gbit/s. La possibilità di migliorare l’efficienza della mappatura di dati a più elevata capacità è ciò che può permettere il reale decollo delle applicazioni a larga banda, con una maggiore efficacia in tutta la rete e la possibilità di supportare nuovi servizi con la necessaria flessibilità. Il costo di un’intera rete è di fatto una miscela complessa di ingredienti diversi: il costo puro dell’apparato, lo spazio da esso utilizzato ed il relativo consumo di energia, il costo relativo alla propagazione ottica sulla distanza richiesta ed i costi di fornitura, gestione e manutenzione. Sezione Ottica del sistema ADM256. novembre 2003 75 I QUADERNI DI TELÈMA Ad oggi la tecnologia a 40 Gbit/s non è prodotta su scala industriale e pertanto risulta essere costosa se paragonata con la stessa capacità a 10 Gbit/s. Tuttavia, esistono determinate topologie di rete e di carichi di traffico laddove una soluzione a 40 Gbit/s può già oggi essere considerata ragionevole e sostenibile (adottando una prospettiva di produzione in vo- lumi): ciò è particolarmente vero se si tiene presente che, ovviamente, la naturale ed inevitabile erosione nel tempo dei costi relativi al 40 Gbit/s è ancora tutta nel nostro prossimo futuro. Raoul Fiorone Marco Camera Marconi Communications Le nanotecnologie per la fotonica U na delle sfide tecnologiche cui sono indirizzati gli sforzi di Pirelli Labs sono le nanotecnologie. Questo termine generico, che viene usato in vari settori per definire un insieme di tecnologie capaci di eseguire manipolazioni della struttura di alcuni materiali a livello atomico assume, per Pirelli Labs Optical Innovation, un significato molto preciso. Esso si traduce, infatti, nella possibilità di ridurre le dimensioni fisiche della componentistica ottica dagli attuali centimetri alla scala dei micron. Ciò è effettuato mediante un insieme di processi tecnologici, generalmente denominati nanofabbricazioni. Con la nanofabbricazione si controllano dettagli sino al livello dei singoli nanometri. La piattaforma tecnologica sulla quale si fonda questa nuova classe di dispositivi è derivata dalle tecnologie e dai processi correntemente impiegati nei settori della fabbricazione dei dispositivi elettronici integrati in silicio (chip). In altri termini si può dire che le tecnologie di miniaturizzazione derivate dall’industria elettronica dei sistemi ULSI (dall’inglese, Ultra Large Scale Integration), hanno reso disponibile il mezzo per la realizzazione di sofisticati microcomponenti ottici. Dal punto di vista funzionale, alcuni dei punti salienti associati alla dispositivistica fotonica miniaturizzta sono: 76 La potenzialità di produzione su larga scala di nanocomponenti a basso costo. La grande affidabilità dei componenti in sili- cio come conseguenza della profonda conoscenza di questo materiale e della sua grande diffusione nell’industria dei semiconduttori. La possibilità di realizzare dispositivi complessi capaci di operare in maniera efficiente pur mantenendo dimensioni molto contenute. La riduzione di consumo di potenza di molti dispositivi conseguente la loro miniaturizzazione. Sarà quindi possibile, mediante tali tecnologie, attuare anche nel caso ottico lo stesso processo di integrazione che per l’elettronica ha portato allo sviluppo del circuito integrato e poi alla rivoluzione della microelettronica. A livello di rete ottica, ciò renderà possibile offrire apparati per telecomunicazione ad alte prestazioni e basso costo diffondendo quindi in maniera capillare la tecnologia fotonica che oggi è per lo più confinata a livello alto nella rete ottica (comunicazione su grande distanza, grandi reti regionali etc.) Pirelli prevede di introdurre commercialmente sul mercato i primi componenti nanostrutturati già alla fine del corrente anno. Massimo Gentili Pirelli Labs I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche I cristalli fotonici I semiconduttori elettronici, e quindi la capacità di controllare le correnti elettriche che fluiscono al loro interno, hanno rappresentato la base portante della rivoluzione informatica che abbiamo vissuto negli ultimi anni e di cui ancora oggi avvertiamo gli effetti. Il successo della moderna microelettronica è stato dovuto proprio alla capacità di integrazione, sullo stesso chip, di molteplici elementi quali CPU, interfacce e memorie. Tutto questo si è tradotto in una sempre più vantaggiosa economia di mercato la cui scala, in breve tempo, ha raggiunto una diffusione mondiale. Così come i semiconduttori elettronici rappresentano il cuore di questi chip e quindi dei computers e di altri dispositivi di uso comune, altrettanto i semiconduttori di luce potrebbero rappresentare il primo passo per una nuova rivoluzione nel campo dell’informatica e delle comunicazioni del 21mo secolo. I fotoni, ovvero i quanti di luce, sono i nuovi attori chiamati a sostituire i corrispettivi elettroni nel grande teatro delle moderne tecnologie. Ma come funzionano questi particolari materiali? Prima di affrontare questo problema è utile fare un passo indietro e dare una occhiata al mondo che ci circonda. Negli ultimi anni gli scienziati hanno scoperto che l’iridescenza prodotta da alcuni animali, quali ad esempio uccelli e farfalle, è spesso dovuta a microscopiche strutture reticolari presenti in superficie in grado di riflettere determinate lunghezze d’onda e assorbirne altre, assumendo così differenti tonalità di colore anche se la superficie stessa ne risultasse totalmente priva. Questo fenomeno è stato attribuito alla presenza di una “gap di banda fotonica” indotta dalla struttura reticolare periodica. Anche nell’opale, costituito da sfere submicrometriche di silice disposte in una struttura compatta (cubica a facce centrate), è stata riscontrata una “gap di banda naturale”. Come per gli uccelli e per le farfalle però tale gap non è completa, ovvero non funziona in tutte le direzioni, e genera delle iridescenze. All’interno dei classici semiconduttori elettronici, la disponibilità di elettroni al di sopra di una così detta “gap di banda”, cioè di un intervallo di energie all’interno del quale agli elettroni è impedito di propagarsi attraverso il semiconduttore, e di lacune al di sotto della stessa determina la presenza di un flusso di corrente facilmente controllabile. Attraverso il controllo di queste correnti è possibile costruire semplici funzioni logiche e, a partire da queste, complesse strutture rappresentanti i mattoni base dei più moderni processori. Allo stesso modo i “semiconduttori di luce” possiedono una “gap di banda fotonica artificiale” costituita da un set di lunghezze d’onda alle quali non è permessa la propagazione nel mezzo stesso, proprio come avviene, in modo incompleto, nel mondo animale. Gli elementi base per accedere a questo tipo di fenomenologia sono essenzialmente la presenta di una struttura regolare e un alto indice di rifrazione. Il risultato è rappresentato dalla possibilità di controllare le proprietà della radiazione elettromagnetica in un modo assolutamente nuovo e unico. I cristalli fotonici possono assumere una configurazione monodimensionale (1D), bidimensionale (2D) o tridimensionale (3D), a a) Immagine di un’ala di farfalla b) Cristallo fotonico 1D (1) c) Cristallo fotonico 2D (1) d) Cristallo fotonico 3D, struttura ad Opale (2). (1) Lpn-Cnrs, Laboratory of Photonics and Nanostructures. (2) Università di Pavia. novembre 2003 77 I QUADERNI DI TELÈMA a) Esempio di guida d’onda (3), b) Esempio di filtro ottico (1), c) Esempio di Laser (4). (1) Lpn-Cnrs, Laboratory of Photonics and Nanostructures. (3) E. Chow et al., Opt. Lett. 26, 286 (2001). (4) Yokohama National University/Baba Research Lab. seconda di come vengano costruiti. Un cristallo fotonico monodimensionale si ottiene semplicemente alternando strati di materiale ad alto indice di rifrazione con altri aventi basso indice di rifrazione in modo tale da indurre, nel mezzo, una struttura periodica. Tale struttura, nella configurazione bidimensionale, si ottiene attraverso la creazione, in un generico substrato, di “forellini” di spessore e profondità ben determinati. In questo caso il rapporto tra la dimensione dei forellini e la distanza tra i loro centri, unito ad un alto indice di rifrazione del mezzo ospite, fornisce un ulteriore strumento di manipolazione della luce. Se le prime due configurazioni sono ottenibili, oggi, con metodi ormai collaudati e affidabili, stesso discorso non si può fare per il caso dei cristalli 3D. La necessità, infatti, di possedere una struttura isotropa in tutte le direzioni di propagazione rappresenta la maggiore difficoltà a livello di costruzione. Un approccio in questo senso è quello del così detto impilamento (stacking) dove il cristallo, in modo preciso e accurato, viene costruito strato per strato. Prendendo però spunto ancora una volta dalla natura, un differente approccio è rappresentato dall’utilizzo di opali artificiali. Un opale consiste di piccole sfere arrangiate in una struttura cubica a facce centrate; questa struttura genera una modulazione periodica dell’indice di rifrazione e quindi un cristallo fotonico. Così come nei semiconduttori elettronici è possibile inserire dei livelli nella banda proibita tramite “drogaggio”, ovvero immissione di atomi nel reticolo cristallino, allo stesso 78 modo è possibile ottenere analogo effetto nei cristalli fotonici semplicemente introducendo dei “difetti” nella struttura. Un semplice difetto può essere indotto modificando, ad esempio, la dimensione di alcuni “buchi”, nel caso 2D. Un primo utilizzo dei cristalli fotonici è quello delle guide d’onda ottiche. Queste guide possono essere costituite, ad esempio, da una singola linea di cilindri mancanti all’interno della quale la radiazione luminosa si propaga indisturbata. Importante impulso si è avuto nel campo delle sorgenti dove, grazie, ad esempio, all’utilizzo dei cristalli fotonici come elementi attivi dei LED si è scoperto come sia possibile eliminare l’emissione spontanea che si genera al loro inter no, per mezzo della band gap fotonica; incanalando tutta l’energia nella radiazione in uscita è possibile aumentare enormemente l’efficienza. I Laser a cristallo fotonico hanno, in questi anni, riscosso molte attenzioni per la flessibilità dimostrata a livello di design e ingegnerizzazione essendo in grado di garantire la possibilità di creare sorgenti che emettono orizzontalmente o verticalmente e che possono essere facilmente incorporate all’interno di configurazioni tunabili a schiera (gli arrays). Giorgio Maria Tosi Beleffi Fondazione Ugo Bordoni I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche Elettronica organica per optoelettronica L e molecole organiche nelle loro varie forme (molecole leggere, catene polimeriche) sono ormai oggetto di studio di una nuova disciplina, l’elettronica organica, che è una tecnologia innovativa che fa uso di molecole organiche piuttosto che dei classici semiconduttori inorganici normalmente utilizzati per la realizzazione di dispositivi per le più svariate applicazioni: dai transistor ai Light Emitting Devices (LED) per illuminazione, ai componenti per le telecomunicazioni ottiche e per comunicazioni radio. I semiconduttori organici sono stati studiati fin dal 1940, ma solo recentemente stanno avendo un significativo impatto pratico in applicazioni optoelettroniche. La dimostrazione del funzionamento di diodi elettroluminescenti e di OTFT (Organic Thin Film Transistor) basati sia su molecole leggere che su polimeri coniugati e il grande aumento in performance e in efficienza dei dispositivi organici negli ultimi dieci anni hanno attratto l’attenzione dell’industria ed aperto le porte alle applicazioni pratiche dei semiconduttori organici. I vantaggi principali di tale tecnologia è la compatibilità con sostanze plastiche, la bassa temperatura di lavorazione (60C°/120C°) rispetto alle temperature di crescita dei semiconduttori tradizionali, la totale compatibilità ambientale delle tecniche di preparazione (da confrontare con la complessità e l’elevato rischio per l’ambiente e per l’uomo delle tecniche necessarie per alcuni tipi di semiconduttori inorganici), l’economicità dei processi depositivi come lo spin-coating, l’ink-jet printing, l’evaporazione, la possibilità di realizzare dispositivi flessibili su larga area. Nella figura viene mostrato un prototipo di circuito inte- Le eccezionali potenzialità dell’elettronica “organica”: un circuito integrato su supporto flessibile. novembre 2003 grato organico realizzato su un supporto plastico flessibile. Altre applicazioni per gli emettitori di luce realizzati con semiconduttore organico riguardano il settore dell’illuminazione. Questi materiali sono adatti, infatti, a generare sorgenti diffuse a larga area. Una modifica delle caratteristiche di emissione è possibile usando una struttura a microcavità. Tale microcavità può essere usata per restringere la larghezza di banda della luce emessa, aumentare la purezza del colore, spostare la lunghezza d’onda nella regione del blu e diminuire l’angolo di emissione aumentando il guadagno in una direzione. Molecole contenenti atomi di terre rare come erbio e neodimio sono state usate nella fabbricazione di OLED per avere emissione nell’infrarosso, in particolare nelle finestre trasmissive delle fibre ottiche. Questa proprietà coincide, quindi, con una domanda potenzialmente elevata da parte del settore telecomunicazioni per dispositivi elettroluminescenti di basso costo con emissione nelle regioni della prima (800-900 nm), seconda (1300 nm) e terza finestra (1500 nm). Per queste lunghezze d’onda risulta particolarmente promettente lo sfruttamento dell’emissione dei complessi organici contenenti lantanidi, per la maggiore efficienza e purezza spettrale rispetto a più tradizionali sistemi organici. Le aree di ricerca per le applicazioni optoelettroniche dei semiconduttori organici sono riassunte nella figura della pagina seguente. Il quadro delle conoscenze scientifiche e dei risultati preliminari ottenuti offre buone premesse per la ricerca ulteriore e il trasferimento alla regione infrarossa degli obbiettivi tecnologici già raggiunti dall’elettroluminescenza del visibile. A sinistra è evidenziata la possibilità di realizzare microdisplay mentre a destra il prototipo della Universal Display mostra le straordinarie proprietà di flessibilità dei display realizzati con materiali polimerici. 79 I QUADERNI DI TELÈMA Il grande interesse presente verso tale nuova tecnologia è testimoniato dal coinvolgimento a vario titolo nel mercato, o meglio nello sviluppo, di grandi aziende multinazionali come: Kodak, Dupont Displays (Uniax), LG Electronics, Osram, Philips, Samsung, SDI, Sanyo, Seiko, Epson Corporation, Sony, TDK, STMicroelectronics, Toshiba, Tohoku, Pioneer. In particolare la Pioneer commercializza già dal 2001 un’autoradio con display realizzato con molecole organiche elettroluminescenti. La Kodak nel corso del 2003 ha invece commercializzato la prima fotocamera con display a LED organici. Andrea Reale Marco Berliocchi Aldo Di Carlo Aree di ricerca emergenti per le applicazioni optoelettroniche dei semiconduttori organici. Dipartimento di Ingegneria Elettronica, Università di Roma Tor Vergata I laser a semiconduttore T ra le sorgenti di luce, i laser (Light Amplification by means of Stimulated Emission Radiation) costituiscono la famiglia più affascinante e la maggiormente sfruttabile per moderne applicazioni commerciali. Oggi i laser si usano nel campo delle trasmissioni di informazione, nella medicina, sia in diagnostica che in cura così come per estetica, nell’industria pesante, per esempio per il taglio o la fusione di lastre metalliche, nel mondo dell’arte, sia per scopi di conservazione sia nell’uso diretto nelle opere artistiche, nel monitoraggio dell’atmosfera, o nell’elettronica di svago, si pensi ai lettori CD e DVD, così some in innumerevoli applicazioni nel mondo della ricerca scientifica. I laser possono venir prodotti a partire da materiali gassosi, a stato solido o a semiconduttore. Il laser a semiconduttore presenta alcune caratteristiche che lo rendono molto più facilmente utilizzabile in pratica rispetto ad altri tipi: esso è molto piccolo nelle dimensioni, dell’ordine di 1 mm il laser vero e proprio, due-tre centimetri il laser impacchettato nella protezione termo-meccanica che ne permette anche il controllo elettrico esterno, contro le decine di centimetri o i metri di altri tipi di laser; ha bisogno di correnti molto basse, decine o centinaia di mA, 100-1000 volte meno che altri tipi di laser. Di contro ha una potenza di 80 emissione bassa, e infatti a poche applicazioni in ambito industriale, e una bassa coerenza spaziale e temporale, ed infatti il suo fascio luminoso si allarga a breve distanza dall’uscita, tant’è vero che spesso, e non solo nelle applicazioni di telecomunicazione, viene accoppiato ad una fibra ottica che permette il trasporto a lunghe distanze della luce stessa senza perdere intensità. Un semiconduttore è un materiale isolante a basse temperature e che ha una debole conducibilità a temperatura ambiente. Esso è caratterizzato dall’esistenza di una banda proibita di energia, che separa la banda di valenza da quella di conduzione, la cui ampiezza è la principale caratteristica del semiconduttore stesso. Se ad un elettrone viene fornita l’energia necessaria a saltare dal suo stato fondamentale, nella banda di valenza, a quello eccitato posto oltre la banda proibita nella banda di conduzione, l’elettrone stesso dopo circa un nanosecondo ricadrà allo stato fondamentale, ricombinandosi con una lacuna (si veda più avanti nel testo) emettendo un fotone di energia pari alla banda proibita. I semiconduttori hanno bande proibite di ampiezza variabile a seconda del materiale, e che corrispondono ad energie (colori) della luce che vanno dal vicino ultravioletto al medio infrarosso. Se nel I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche semiconduttore vengono eccitate un gran numero di elettroni in banda di conduzione, si può raggiungere la condizione di inversione di popolazione, ovvero vi sono più elettroni in banda di conduzione che in banda di valenza. In queste condizioni avviene il meccanismo di emissione stimolata dell’emissione di luce, che è alla base di un amplificatore di luce: un elettrone che torna allo stato fondamentale emette un fotone che stimola un altro elettrone a fare lo stesso e così via in un meccanismo amplificatore. Per ottenere un laser, questo amplificatore va posto in una cavità risonante (semi)riflettente, che permette di selezionare una particolare lunghezza d’onda e avere le tipiche caratteristiche spaziali di un fascio laser. I semiconduttori possiedono la caratteristica di poter essere contaminati (drogati) con elementi che ne cambiano le caratteristiche elettriche. Questi droganti possono creare una conducibilità di tipo n, caratterizzata da una conducibilità di tipo elettronico, oppure da una conducibilità di tipo p, e cioè basata sulle lacune, delle pseudoparticelle che possono essere descritte come degli elettroni mancanti: un elettrone che viene eccitato nella banda di conduzione lascia in banda di valenza una lacuna, che ha carica positiva e che si muoverà, in presenza di campo elettrico, in direzione opposta a quella in cui si muovono gli elettroni. Per ricordare un celebre esempio, immaginate di avere un parcheggio in cui vi è un unico posto vuoto in prima fila e tutte gli altri posti sono occupati: se le macchine si spostano in avanti, una dopo l’altra, per occupare, la prima quel posto e le altre via via il posto vuoto generato dalla macchina che precede, il movimento in avanti delle automobili può essere visto come uno spostamento all’indietro del posto vuoto: la lacuna, appunto. Il processo di ricombinazione radiativa descritto sopra, viene generalmente visto come la ricombinazione di un elettrone eccitato in banda di conduzione con una lacuna creata in banda di valenza dall’assenza di un elettrone eccitato. Si parla quindi in generale di ricombinazione bipolare. Se vengono cresciuti due strati adiacenti dello stesso semiconduttore, ma uno con conducibilità di tipo n e l’altro con conducibilità di tipo p. si forma quella che viene chiamata giunzione p-n, che è alla base dei diodi e dei transistor, che, opportunamente polarizzata, permette un forte passaggio di cariche da un novembre 2003 lato all’altro della giunzione, corrente che provoca una forte eccitazione del semiconduttore e la conseguente emissione di una intensa luce. Le faccette di sfaldatura del semiconduttore creano poi la cavità ottica necessaria. Come abbiamo detto, i laser a semiconduttore coprono attualmente una regione dello spettro che va dal blu all’infrarosso, nella pratica commerciale sono oggi disponibili sul mercato laser che vanno da 400 a 1600 nm. Laser che emettono nel rosso, nel giallo e nel blu possono essere usati contemporaneamente in apparecchi televisivi di moderna concezione, che potranno essere una valida alternativa agli attuali apparecchi che funzionano con cristalli liquidi o con plasmi. Altre applicazioni dei laser a semiconduttore sono le trasmissioni ottiche dei moderni sistemi di telecomunicazione, l’elettronica di svago (CD e DVD), applicazioni mediche come la diagnostica non invasiva (ad esempio la misura della glicemia oppure la diagnosi precoce del tumore del seno), il monitoraggio di gas (ad esempio per il controllo di combustioni o per misure di inquinamento). Recentemente nei laboratori Bell della Lucent technology è stato sviluppato un nuovo tipo di laser a semiconduttore, detto a cascata quantica, che potrà essere utilizzato sia nel campo del monitoraggio dell’inquinamento atmosferico, così come in quello della diagnostica medica a microonde e nelle telecomunicazioni in aria. Il laser a cascata quantica si distingue dai laser descritti precedentemente in quanto non si tratta di un dispositivo bipolare, Schema di funzionamento di un laser: una corrente eccita gli elettroni dallo stato fondamentale a quello eccitato; dallo stato eccitato l’elettrone tende a decadere nello stato fondamentale emettendo un fotone: la luce, appunto.-Nel laser vengono eccitati un gran numero di elettroni, tanti da averne di più nello stato eccitato che in quello fondamentale. In queste condizioni, può avvenire la cosiddetta emissione stimolata: un fotone stimola cioè un altro elettrone a decadere verso lo stato fondamentale. 81 I QUADERNI DI TELÈMA Laser tradizionale quanto di uno unipolare: solo gli elettroni partecipano al processo radiativo, mentre le lacune non ne sono coinvolte. Questo è reso possibile dallo sfruttamento di una proprietà dei semiconduttori quando lo strato cresciuto è così sottile da poter essere considerato bidimensionale. Nello spazio bidimensionale, la banda di conduzione (ma anche quella di valenza) è in realtà composta da una serie di sottobande separate in energia per valori corrispondenti a lunghezze d’onda maggiori di 2000 nm. Il laser sfrutta il rilassamento di elettroni eccitati in sottobande più alte verso le sottobande inferiori, con simile principio di quello descritto per la ricombinazione elettrone-lacuna. Laser a cascata quantica L’emissione di un singolo strato di semiconduttore, viene poi amplificato mediante l’attraversamento di centinaia di strati uguali, alternati ad altri aventi una banda proibita più larga dello strato emettente, e opportunamente polarizzati, fino a raggiungere le caratteristiche necessarie a realizzare un laser. Lo sfruttamento industriale di questo laser è ancora in una fase iniziale, ma il fatto che con questa tecnica si possa coprire una regione dello spettro elettromagnetico non coperta dai normali diodi laser, rende questo nuovo dispositivo di grande interesse. Faustino Martelli Laboratorio TASC- dell’Istituto Nazionale per la Fisica della Materia Trieste Microdispositivi fotonici in Niobato di Litio N onostante il niobato di litio sia studiato, per applicazioni in ottica integrata, da almeno trenta anni, nuove tecniche di microstrutturazione consentono di migliorare le prestazioni dei dispositivi basati su tale materiale ferroelettrico. In questo contributo descriveremo brevemente queste nuove tecniche di microlavorazione; ci soffermeremo, poi, a titolo di esempio, su di un dispositivo elettro-ottico integrato che sfrutta l’ingegnerizzazione dei domini ferroelettrici per migliorare le prestazioni in termini di rapporto banda/tensione di modulazione. Il Niobato di Litio (LN) è, senza dubbio, uno dei materiali più ampiamente usati nelle tecnologie fotoniche, grazie soprattutto ad una combinazione unica di proprietà, quali un ampio intervallo spettrale in cui è trasparente, la possibi- 82 lità di realizzare guide d’onda a bassa perdita, una elevata non-linearità al secondo ordine (e, pertanto, la presenza di effetti elettro-ottici e non-lineari significativi), fotorifrattività, effetto piezoelettrico ed effetto piroelettrico. LN è, a tutt’oggi, oggetto di una vasta ricerca, che è diventata di avanguardia per applicazioni in diversi campi, come ad esempio nelle telecomunicazioni ottiche, nei sensori ottici e nelle memorie ottiche. Nuove tecniche di sintesi e di microlavorazione per LN possono portare alla realizzazione di dispositivi microstrutturati con caratteristiche migliorate, che potrebbero potenzialmente avere un ampio uso per la realizzazione di dispositivi fotonici ad alte prestazioni. Ad esempio, campioni di LN possono essere cresciuti con una specifica composizione ed orientazione I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche della struttura ferroelettrica (domini). Questi campioni, così come quelli commercialmente disponibili, sono realizzati con proprietà lineari, non-lineari, fotorifrattive e di amplificazione scelte in base alle specifiche applicazioni. Per quanto riguarda la realizzazione dei cristalli fotonici si utilizzano tecniche non tradizionali in ottica, ma già abbondantemente messe a punto per i semiconduttori, quali i trattamenti Laser, l’Impiantazione Ionica ad Alta Energia e i trattamenti termici a transiente, cosi come altre tecniche più avanzate, quali la “scrittura” con laser al femtosecondo e polarizzazione con campi elettrici. Infatti, l’indice di rifrazione del LN può essere cambiato usando assorbimento multifotonico con impulsi laser al femtosecondo, consentendo anche la realizzazione di strutture a guida d’onda 3D. L’uso di sorgenti laser UV ad eccimeri può alterare la superficie del materiale per ablazione e, in tal modo, strutture come reticoli superficiali o guide d’onda “ridge” possono essere ottenute. Un processo alternativo per ottenere il patterning superficiale si basa sull’uso di una diversa velocità di corrosione presentata dalle direzioni cristallografiche Z+ e Z- del LN. Se si prepara un campione, prima del processo di corrosione, invertendo i domini di polarizzazione di aree selezionate, è possibile ottenere microstrutture superficiali. La risposta non lineare del LN può essere anch’essa alterata con una appropriata inversione dei domini ottenuta con un processo di polarizzazione. In aggiunta, l’interferometria olografica, congiuntamente a tecniche che fanno di uso di corrosione chimica (o polarizzazione) può produrre strutture “photonic bandgap” (PBG in inglese) con proprietà periodiche lineari e non-lineari. Tra le possibili applicazioni dei dispositivi si possono elencare: commutazione/modulazione elettro-ottica integrata con dominio ingegnerizzato ad onda viaggiante, conversione di frequenza con alta efficienza e risposta in frequenza calibrata, guide d’onda “ridge” per modulazione elettro-ottica a basso voltaggio, “grooves” di tipo quadrato poco sensibili a drift piroelettrico e danneggiamento fotorifrattivo per allineamento e ottimizzazione dell’accoppiamento di guide d’onda e fibre. Questi dispositivi ottimizzati e miniaturizzati possono essere anche incorporati in spettrometri ad alta sensibilità per rivelazione in traccia e in sistemi per la generazione efficiente di coppie di fotoni accoppiati in tempo ed energia, usando processi di conversione parametrica. Microstrutturazioni spinte sono in fase di studio; ci si propone studiare i limiti per la definizione di “patterns” sia lineari che non-lineari, cercando di determinare quanto piccola può essere la dimensione di una cella elementare e quali sono i limiti fisici che la determinano. Se si riuscissero a realizzare buche sub-micrometriche periodiche con sufficiente profondità in film sottili di LN, sarebbe allora possibile ottenere circuiti ottici integrati 2-D ad alta densità mentre la realizzazione di domini submicrometrici potrebbe consentire, per la prima volta, di osservare oscillazione parametrica ottica senza uso di specchi. Confronto delle risposte elettro-ottiche di un modulatore convenzionale con uno che presenta i domini invertiti nell’ultimo tratto della linea modulante. È evidente il miglioramento delle prestazioni, rispettivamente, a parità di banda e a par- novembre 2003 83 I QUADERNI DI TELÈMA Come esempio di applicazione che sfrutta l’ingegnerizzazione tramite polarizzazione elettrica (poling) riportiamo un modulatore elettroottico integrato dove l’interazione tra l’onda ottica e la micro-onda modulante avviene, all’interno del LN, in due regioni successive con struttura ferroelettrica invertita (o domini invertiti) una rispetto all’altra. In tale configurazione, nell’ipotesi in cui la banda del modulatore sia limitata dalle perdite della linea a microonde, ossia in condizioni di uguaglianza degli indici di rifrazione per le frequenza ottiche e per la linea a microonde (phase velocity matching), la presenza della regione finale con i domini invertiti rispetto a quella iniziale ha un effetto di equalizzazione delle variazioni di fase indotte sull’onda ottica dalle basse e dalle alte frequen- ze modulanti. Più precisamente, l’effetto della regione con i domini invertiti agisce selettivamente solo alle basse frequenze modulanti; l’ottimizzazione del rapporto della sua lunghezza con quella complessiva della linea modulante permette dunque un appiattimento della risposta in frequenza del dispositivo come mostrato in figura. In questo modo è possibile realizzare modulatori con un rapporto banda/tensione di pilotaggio superiore anche del 30% rispetto a quello di un modulatore che presenta una linea standard senza inversione dei domini. Federico Lucchi Valerio Pruneti Avanex Corporation – Sede Secondaria, San Donato Milanese (MI) La conversione tutta ottica di frequenza C ome è stato descritto in un precedente articolo, la spostamento nel dominio della frequenza, a livello tutto ottico, di un segnale sarebbe un requisito fondamentale per le future reti di telecomunicazione. Basti pensare ad esempio all’importanza di poter allocare i canali nella trasmissione WDM secondo criteri di occupazione che possono cambiare da un collegamento ad un altro. Attualmente sono stati sperimentati diversi dispositivi che permettono la realizzazione di questo processo tutto a livello ottico. Nell’ambito del progetto Europeo IST ATLAS (2000-2002) sono stati studiati e sperimentati ben quattro diversi tipi di convertitori di frequenza ottici e basati sui seguenti dispositivi: guida d’onda in Niobato di Litio (LN), amplificatore a semiconduttore (SOA), amplificatore Multi Quantum Well (MQW) e fibra ottica con dispersione spostata (DS). Tutti questi dispositivi hanno mostrato delle eccellenti prestazioni e molte informazioni possono essere trovate nel sito (www.fub.it/atlas). In particolare è stato dimostrato che inserendo in questi dispositivi un canale che trasportava della informazione anche ad altissima capacità (40 Gb/s) era possibile cambiare la frequenza ottica del segnale, anche in un intervallo molto ampio di frequenze (decine di nanometri) senza produrre sul segnale di uscita delle apprezzabili distorsioni. In particolare i dispositi- 84 vi che hanno mostrato le migliori prestazioni sono quelli al Niobato di Litio e quelli con amplificatori a semiconduttore. Per mostrare le potenzialità del processo di conversione, la guida in LN è stata utilizzata in un esperimento di trasmissione di più canali a 40 Gb/s in un collegamento in fibra ottica tra Roma e Pomezia. Per dimostrare la potenzialità su collegamenti anche molto lunghi le fibre contenute nel cavo sono state connesse in modo da emulare un collegamento complessivo di 500 km. Tramite questo convertitore si è cambiata la frequenza di un canale dopo un primo percorso lungo 300 km e si sono misurate le prestazioni di questo segnale dopo la sua propagazione per altri 200 km. I risultati hanno mostrato che non erano presenti apprezzabili deterioramenti del segnale dopo la conversione di frequenza anche in presenza di una lunga propagazione. Questi risultati sono molto incoraggianti e ci permettono di affermare che la conversione ottica di frequenza è ormai un processo su cui le future reti di telecomunicazione possono contare. Paola Griggio Università di Padova Alessandro Schiffini Pirelli LABS Sergio Cascelli ISCTI I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche I Fotorifrattivi I dispositivi ottici illustrati sino ad ora, anche se presentano delle prestazioni eccellenti, hanno una limitazione che consiste nell’assoluta mancanza di flessibilità dei circuiti basati sulle varie strutture fino ad ora riportate. Se da una parte, infatti, la tecnologia e i processi di ingegnerizzazione ad essi collegati sono ormai maturi e quindi poco costosi, dall’altra si manifesta una impossibilità di adattare e modificare, a seconda delle esigenze del momento, la struttura interna guidante una volta che questa sia stata impressa sul wafer. Il traguardo da raggiungere quindi, parallelamente al continuo raffinamento delle tecniche sin qui menzionate, è quello di ottenere un dispositivo completamente riconfigurabile a livello ottico. La flessibilità, in questo caso, sarebbe totale potendosi utilizzare lo stesso mezzo ospite per ottenere diverse tipologie di dispositivi fotonici semplicemente cancellando i pre-esistenti circuiti ottici interni e scrivendone altri completamente diversi ma adatti alle sopraggiunte necessità. In questo panorama, tra la moltitudine di possibili attori, si collocano i solitoni spaziali fotorifrattivi. Ma cos’è un solitone spaziale e come funziona l’effetto fotorifrattivo? Quando un fascio di luce si propaga nello spazio tende, a causa dell’effetto noto come diffrazione, ad allargarsi lungo il suo cammino e tale effetto è tanto più evidente quanto più le dimensioni del fascio risultano piccole. Questo effetto sembrerebbe insormontabile da superare se non si facesse uso della forte non linearità presente, sotto certe condizioni, in particolari cristalli. Quando la lu- ce si propaga in questi mezzi è in grado, ionizzando le impurità presenti al loro interno, di promuovere delle transizioni dai siti donori, presenti in opportune concentrazioni, alla banda di conduzione. Gli elettroni tenderanno così a muoversi, per effetto della diffusione e del drift, e a ricombinarsi dando luogo ad un così detto campo interno di carica spaziale. Il suddetto campo è in grado di modulare l’indice di rifrazione del mezzo in maniera non trascurabile generando un cammino (pattern) focalizzante. Il bilanciamento, quindi, tra la naturale diffrazione e l’auto focalizzazione del fascio da origine ad un’onda solitonica, ad una guida ottica letteralmente “scritta” dentro il cristallo. I fattori in gioco che permettono di raggiungere questo risultato sono quindi da ricercarsi nella presenza di un fascio ottico con una opportuna intensità e lunghezza d’onda (tipicamente nella regione del visibile), in grado cioè di promuovere elettroni in banda di conduzione, un voltaggio statico applicato, atto a pesare opportunamente il campo elettrico interno indotto dalla separazione delle cariche, ed una temperatura adeguata, per ottenere la più alta risposta possibile dal mezzo. Il concetto importante da tenere presente, in questo tipo di fenomenologia, è che spegnendo il nostro segnale in fase di scrittura, ovvero togliendo la nostra penna dal foglio, la guida, così come un testo appena scritto, continua a rimanere li dove l’abbiamo impressa; questo perché una volta separate, le cariche rimangono in questa loro nuova posizione a meno che non vengano illuminate con una sorgente luminosa la cui lunghezza d’onda sia in grado di promuovere nuove Particolare del cristallo fotorifrattivo utilizzato presso i laboratori Fondazione Ugo Bordoni- ISCTI e risultati sperimentali. novembre 2003 85 I QUADERNI DI TELÈMA transizioni elettroniche. La presenza o l’assenza di un voltaggio applicato fa si che nel cristallo si manifesti, o rimanga quiescente, la distribuzione di carica creata proprio come l’inchiostro “simpatico” è in grado di far apparire, su un foglio apparentemente privo di simboli, un frase o un intero testo se opportunamente sottoposto ad uno stimolo esterno. Attualmente i cristalli fotorefrattivi vengono utilizzati per la realizzazione di guide confinate e giunzioni ad Y oscillanti, ma in principio possono però permettere la realizzazione di altri dispositivi come ad esempio gli optical cross connect. Giorgio Maria Tosi Beleffi Fondazione Ugo Bordoni Il piano di controllo ottico delle reti ASON/GMPLS L’ L avvento dell’era dell’informazione sta producendo una costante crescita del traffico dati. Il MultiProtocol Label Switching (MPLS) è una soluzione flessibile e scalabile per soddisfare i requisiti di gestione della banda e di qualità del servizio nelle reti backbone di nuova generazione basate su IP (IP/MPLS). Il concetto fondamentale è quello di associare un’etichetta (label) a ciascun pacchetto che attraversa la rete separando la componente della decisione di instradamento, gestita dai protocolli IP, da quella dell’effettiva attuazione dello smistamento dei pacchetti gestita tramite la commutazione di etichetta. In questo contesto, nasce il problema di ottimizzare (in termini di costi, velocità e qualità) la rete di trasporto ottico per integrare servizi sia a livello IP/MPLS sia direttamente basati su circuiti ottici.Risulta quindi naturale considerare come soluzione, l’estensione del paradigma di controllo dello strato IP/MPLS anche allo strato ottico, in modo da consentire una gestione integrata di entrambi gli strati, in una architettura di tipo ASON (Automatically Switched Optical Network) basata su protocolli GMPLS (Generalised Multi-Protocol Label Switching). In particolare ASON è l’acronimo adottato in ITU-T per indicare reti ottiche (sia SDH sia Scenario di rete di riferimento. 86 I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche OTN) dotate di un piano di controllo, il quale, grazie a protocolli di segnalazione e routing, consente l’instaurazione e la riconfigurazione automatica di connessioni ottiche. GMPLS è invece un termine coniato in IETF (Internet Engineering Task Force) per indicare un’architettura di rete ed un insieme di protocolli, tipicamente espansione di protocolli definiti per IP/MPLS, che consentono il controllo di apparati per l’instradamento di pacchetti e circuiti. La principale caratteristica di una rete ottica ASON è la capacità di realizzare tre tipi di connessioni end-to-end cosiddette permanent, soft-permanent e switched. In particolare, una connessione permanent è creata dal sistema di gestione (o dall’intervento umano) configurando ogni apparato lungo il percorso. Una connessione soft-permanent è sempre creata dal sistema di gestione, tuttavia questa volta configurando il solo apparato iniziale; quest’ultimo, poi, attraverso il piano di controllo ottico, ovvero usando la segnalazione ed i protocolli di routing, stabilisce la connessione end-to-end. Una connessione switched può essere richiesta direttamente da un apparato della rete client (ad esempio IP/MPLS o addirittura dal cliente stesso) e viene instaurata attraverso la comunicazione tra i piani di controllo. Nella figura sotto si riporta uno scenario di riferimento dove la rete ASON agisce come strato server per diverse reti client, ad esempio IP/MPLS, SDH, circuiti ottici nativi (Optical Transport Hierarchy-OTH). L’architettura di una rete ottica ASON/GMPLS prevede tre piani funzionali rispettivamente per il trasporto, la gestione ed il controllo di rete: Il piano di trasporto permette il trasferimento sia del traffico sia delle informazioni di controllo e gestione di rete. Inoltre il piano di trasporto rileva informazioni sullo stato delle connessioni (ad es. guasti e qualità del segnale). Il piano di gestione esegue funzioni di gestione dei guasti, di controllo delle prestazioni, di configurazione, di accounting e di sicurezza per i piani di trasporto e controllo. Il piano di controllo può creare ed abbattere dinamicamente circuiti soft-permanent e switched e può restaurare le connessioni in caso di guasto. Inoltre il piano di controllo trasporta anche le informazioni sullo stato dei link di rete (ad es. adiacenze, capacità disponibile, ecc.). novembre 2003 In questa sezione l’attenzione verrà focalizzata sul piano di controllo, che costituisce l’elemento innovativo su cui si basa la cosiddetta intelligenza distribuita delle reti ASON/GMPLS. L’architettura del piano di controllo è descritta dalla Raccomandazione ITU-T G.8080 [1] in termini di componenti, ovvero di entità astratte che realizzano determinate funzionalità attraverso una o più interfacce. Le tre funzionalità di base realizzate dal Piano di Controllo sono Resource Discovery, Routing, Connection Management. La funzionalità di resource discovery consente l’individuazione e l’inventario automatici delle risorse di rete come ad esempio porte, banda e capacità di multiplazione, ecc. La funzionalità di routing consente di determinare l’instradamento dei circuiti (anche secondo strategie di traffic engineering/capacity management) e di fornire informazioni sugli elementi di topologia di rete individuati. La funzionalità di connection management consente l’instaurazione/abbattimento ed il controllo end-to-end dei circuiti; essa include anche la modifica e l’interrogazione dello stato delle connessioni. Queste tre funzionalità di base consentono di introdurre funzioni di rete complesse quali: Ri-stabilimento veloce della connesssione Provisioning automatico di connessioni soft-permanent Capacity Management (intesa come insieme di tecniche per l’introduzione automatica di nuova capacità in rete e per l’utilizzo ottimale della capacità disponibile) Queste funzionalità complesse saranno molto probabilmente le prime funzionalità innovative introdotte in rete grazie alle soluzioni ASON/GMPLS. In generale, si può concludere che l’introduzione in rete delle funzionalità abilitate dal piano di controllo potrà avere un influenza sia sull’automazione dei processi sia sul controllo integrato dei due strati, IP/MPLS e ottico. Come precedentemente indicato, l’introduzione di queste funzionalità potrebbe avere un sensibile impatto nel contenimento dei CAPEX, nella riduzione degli OPEX e nell’introduzione di nuove tipologie di servizi, caratterizzate da elevata flessibilità e adattabilità ai requisiti del cliente (Bandwidth on Demand, Optical Virtual Private Networks, ecc.). Antonio Manzalini Telecom Italia Lab 87 I QUADERNI DI TELÈMA La fotonica nei sistemi radar di nuova generazione L o scenario dei sistemi radar e di EW (Electronic Warfare) stà sommando al naturale elevato tasso di crescita nella complessità e nelle prestazioni, un profondo mutamento nei requisiti. In questo mutamento gli elementi trainanti possono essere sinteticamente individuati nella introduzione delle antenne ad array attivo, in sostituzione delle tradizionali antenne a parabola, nel progressivo passaggio dalla elaborazione analogica a quella digitale dei segnali e nella richiesta di multifunzionalità integrata in un unico apparato. Quest’ultimo requisito è spinto oltre che dall’obiettivo di riduzione dei costi, dalla esigenza di sostituire con una sola antenna le varie antenne che in uno ambiente applicativo, come ad esempio una nave, svolgono le diverse funzioni di scoperta a lungo raggio, controllo del tiro, comunicazioni, contromisure… Per sostenere queste radicali evoluzioni dei sistemi radar sono necessarie soluzioni tecnologiche radicalmente innovative in grado di affrontare e risolvere problemi chiave quali: La elevate larghezze delle bande di frequen- ze istantanea ed operativa (si và dalle centinaia di KHz alle decine di GHz); La elevata dinamica dei segnali, ovvero la notevole differenza nelle intensità tra il più debole ed il più intenso segnale da gestire; La compatibilità elettromagnetica, ovvero la capacità di non avere interferenze tra le varie funzioni operative a diverse frequenze. La fotonica rappresenta una delle tecnologie che più di altre sono in grado di determinare la fattibilità o meno di soluzioni architetturali in grado di rispondere ai nuovi requisiti, grazie ai notevoli vantaggi offerti nell’utilizzare la radiazione ottica, opportunamente modulata, per elaborare e trasportare per mezzo di fibre ottiche i segnali a micro-onde utilizzati nei sistemi radar. Tra questi vantaggi i seguenti sono tra i più significativi: larghissima banda istantanea ed operativa (> 40 GHz); perdite di segnale praticamente indipendenti dalla lunghezza della fibra (0.2 dB/km); Rappresentazione di antenna multifunzionale in applicazione navale. 88 I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche assenza di dispersione, ovvero comporta- mento indipendente dalla frequenza del segnale modulante; stabilità di fase ed ampiezza; elevata immunità da disturbi elettromagnetici; assenza di generazione di disturbi elettromagnetici; ridotti ingombri e pesi. È possibile stabilire una simmetria tra i componenti circuitali elettronici e quelli di un circuito fotonico, e quindi immaginare come la fotonica possa sostituirsi nei sistemi elettronici in applicazioni quali: la remotizzazione di antenne (attraverso link in fibra ottica); la distribuzione ed elaborazione di segnali in antenne ad array attivo (optical beam forming network); la realizzazione di linee di ritardo; i trasponder per la calibrazione di antenne; l’analisi spettrale dei segnali ricevuti in tempo reale; la generazione di frequenze RF, micro-onde e millimetriche; il filtraggio del segnale; la conversione A-D ad elevatissima velocità (BW > 20 GHz). Nelle antenne ad array attivo il singolo emettitore di elevata potenza associato alla parabola riflettente, tipico delle antenne tradizionali, viene sostituito da un array planare popolato da un elevato numero (da poche centinaia a qual- Simmetria tra componenti elettronici e fotonici. che migliaio) di più piccoli moduli che riproducono in scala tutte le funzioni di trasmissione e ricezione dell’antenna. Tra le caratteristiche più innovative delle antenne ad array attivo è la possibilità di variare la direzione di emissione del fascio senza muovere fisicamente l’antenna, semplicemente controllando la fase relativa di emissione tra i vari moduli. Si pone quindi il problema di distribuire i segnali da emettere ai vari moduli. Una rete di distribuzione in cavo od in guida risulta pesante, costosa ed intrinsecamente a banda stretta, quindi inadatta ai requisiti di banda dei radar multifunzionali. Una rete di distribuzione in fibra ottica consente il superamento dei limiti di banda unitamente al notevole allegge- Schema di distribuzione in fibra ottica dei segnali in antenna ad array attivo. novembre 2003 89 I QUADERNI DI TELÈMA Schema di canale ricevente digitale supportato da tecnologie fotoniche. rimento strutturale della rete. In aggiunta la trasmissione dei segnali sulla portante ottica offre opportunità anche in termini di elaborazione, consentendo operazioni come il controllo del ritardo temporale relativo tra i segnali distribuiti ad i moduli, operazioni di filtro e comunque eliminando la necessità di operare traslazioni in banda spesso necessarie nella elaborazione tutto-elettronica. La efficacia della tecnologia fotonica nella soluzione di problemi complessi, spesso non altrimenti solubili, si concretizza non solo nella elaborazione di segnali analogici, ma anche nell’ambito dei segnali digitali. Lo sviluppo dei sistemi radar prevede anche la progressiva migrazione dalla elaborazione analogica dei segnali a quella digitale. In questa direzione un primo ostacolo è costituito dalla banda larga, e quindi dalla velocità dei segnali da convertire da analogici a digitali. Soluzioni fotoniche consentono di moltiplicare di 10-100 volte la capacità di campionamento dei convertitori analogico digitali elettronici, consentendo la conversione di segnali di frequenza fino a 18-20 GHz. L’elevato numero di moduli in antenna e la necessità di trasportare i dati digitali alle unità centrali di elaborazione, pone seri problemi nella trasmissione di questa enorme masa di dati. Soluzioni in fibra ottica, che utilizzano approcci in uso nelle reti commerciali in fibra ottica, consentono il superamento di questi problemi. Mentre calcolatori tutto-ottici consentono successivamente la veloce elaborazione parallela di questi dati. Mauro Varasi AMS, Roma Satellite e fibra per la larga banda a tutti T elespazio è attiva da tempo nel settore dell’integrazione della banda larga con il satellite. A questo scopo è già nel piano strategico dell’impresa il cablaggio in fibra ottica della stazione spaziale del Fucino, che prevede la disponibilità di collegamenti SDH per la diffusione di servizi di interac- 90 tive TV ed accesso. Il piano strategico prevede anche la fornitura di altri servizi a larga banda (accesso a backbone IP, tele educazione, telemedicina, contributi multimediali…) in aree per le quali non si prevede o non si ritiene economicamente vantaggioso portare, nel breve-medio periodo, l’infrastruttura terrestre. Le caratte- I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche ristiche intrinseche del satellite, unitamente alla caduta progressiva dei costi di gestione, permettono di dispiegare con notevole rapidità tali servizi dove sia necessario, rendendo l’offerta satellitare complementare e “simbiotica” con quella terrestre. Un esempio pratico dei vantaggi relativi alla integrazione tra il satellite e le reti a banda larga (e quindi alle reti in fibra) è fornito da un progetto di collaborazione tra la Telespazio, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e la Fondazione Ugo Bordoni per fornire servizi multimediali a San Giuliano in Molise, facendo seguito ad una iniziativa di carattere istituzionale. L’iniziativa realizzata in Molise rientra in una serie di attività che vedono Telespazio, Fondazione Bordoni e MIUR impegnati nella sperimentazione e nella realizzazione di accessi a banda larga senza limitazioni di natura geogra- fica. Di particolare interesse potranno essere le realizzazioni presso le isole minori italiane e le comunità montane. La rete installata presso la scuola di San Giuliano utilizza FullSAT, un sistema innovativo integrato nella Piattaforma multimediale Evolv-e di Telespazio. Il sistema fornisce servizi di connettività in protocollo IP esclusivamente via satellite, utilizzando parabole di piccole dimensioni (97cm). Il satellite utilizzato è l’Eutelsat W3, che copre l’intera Europa e il bacino mediterraneo. Tra i principali vantaggi garantiti da FullSAT vi è la possibilità di poter disporre di soluzioni “ADSL like” anche dove non esiste una adeguata infrastruttura terrestre e, inoltre, di poter godere di una serie di servizi a “valore aggiunto” che vanno ben oltre la semplice connettività su IP. Lorenzo Ronzitti Telespazio s.p.a. Sensori in fibra ottica per il monitoraggio strutturale I sensori in fibra ottica trovano ormai innumerevoli applicazioni nei settori più svariati che spaziano dalla biologia alla metrologia, dalla chimica all’ingegneria strutturale. Va osservato come talvolta dietro la dizione “sensore in fibra ottica” si celino sensori “tradizionali” che traendo vantaggio dall’impiego delle fibre ottiche hanno potuto raggiungere elevata miniaturizzazione e portabilità. Per tali sensori la fibra ottica svolge ‘semplicementè il ruolo di connettere l’elemento sensibile, che talvolta è realizzato direttamente nel corpo della fibra ottica stessa, al sistema di analisi. È questo il caso di sensori per la determinazione della concentrazione di specie chimiche in cui l’elemento sensibile è una microscopica cavità che viene immersa nel fluido da analizzare ed il sistema di analisi è uno spettrometro: la fibra ottica svolge il ruolo di trasportare alla cavità il fascio di luce che eccita la specie chimica ricercata ed il ruolo di trasportare allo spettrometro la luce emessa per consentirne l’individuazione. Per contro, nel caso dei sensori in fibra ottica che trovano applicazioni nel campo del monitoraggio termico e strutturale si potrebbe sicuramente adottare la novembre 2003 dizione di “sensori in fibra ottica propriamente detti” in quanto il funzionamento di tali sensori si basa direttamente sulla interazione fra la radiazione ottica che si propaga nella fibra ottica e la fibra ottica stessa. I sensori in fibra ottica per applicazioni di monitoraggio strutturale possono essere suddivisi in due grandi categorie a seconda se l’elemento senziente sia presente in tutta la fibra ottica oppure localizzato in alcuni specifici punti opportunamente trattati, come vedremo. Fra i primi, chiamati appunto di tipo distribuito, quelli che hanno raggiunto un maggior livello di maturità tecnologica sono sensori R-OTDR (Raman Optical Time Domain Reflectometry) e B-OTDR (Brillouin Optical Time Domain Reflectometry). Questi due tipi di sensori si basano sul fenomeno della retro-diffusione, backscattering: la luce che si propaga lungo la fibra ottica, interagendo lungo il proprio cammino con il materiale che costituisce la fibra ottica stessa, viene in parte diffusa e genera un debole flusso di luce che si propaga in direzione opposta, indietro lungo la fibra. La lunghezza d’onda della luce retro-diffusa è funzione della tem- 91 I QUADERNI DI TELÈMA peratura e dello stato tensionale della fibra ottica, ovvero dei parametri foto-termo-elastici del materiale che costituisce la fibra ottica (fenomeno descritto come effetto Raman ed effetto Brillouin). È sufficiente che la temperatura o lo stato tensionale di un segmento di fibra varino, perché si generi una corrispondente variazione della lunghezza d’onda della luce retro-diffusa da quel segmento di fibra. Per determinare la posizione del segmento di fibra che produce il segnale di una particolare lunghezza d’onda, e quindi il punto della struttura monitorata in cui si ha la corrispondente temperatura o stato tensionale, si utilizza una sorgente laser pulsata. Inviando nella fibra ottica brevi impulsi laser e misurando il tempo di ritardo fra l’invio dell’impulso e l’arrivo della luce retro-riflessa, è possibile determinare la posizione del segmento di fibra che produce il segnale con risoluzioni dell’ordine del metro. Nella seconda categoria, di tipo quasi distribuito, i sensori che hanno raggiunto un maggior livello di maturità tecnologica sono rappresentati dai sensori FBG (Fiber Bragg Grating). Quest’ultimi sono realizzati modificando opportunamente l’indice di rifrazione di un piccolo segmento della fibra ottica, tipicamente della lunghezza di 5 mm. La modifica dell’indice di rifrazione che si realizza consiste nella produzione di un reticolo di diffrazione (reticolo di Bragg) che si comporta come uno specchio in grado di retro-riflettere soltanto luce di una particolare lunghezza d’onda. È possibile realizzare più sensori FBG su di una stessa fibra, avendo cura che la lunghezza d’onda retro-riflessa dai vari sensori non si sovrapponga; la separazione minima di due sensori FBG disposti su di una stessa fibra può essere anche di pochi millimetri. Il grande interesse per i sensori in fibra ottica per monitoraggio strutturale risiede nelle peculiari caratteristiche delle fibre ottiche che possono facilmente essere integrate all’interno dei materiali più vari, come ad esempio compositi polimerici, metalli, materiali ceramici, calcestruzzo. È fondamentale per poter effettuare misure affidabili di deformazione strutturale che la fibra ottica e conseguentemente il sensore aderisca perfettamente al materiale ospitante. A titolo di esempio si riportano i risultati di inglobamento di un sensore in fibra ottica in materiale composito nella seguente figura. In particolare si nota la fibra ottica inserita tra due strati di composito rinforzato in fibra di carbonio. Da qualche anno è nato un nuovo settore di ricerca che viene identificato con diversi nomi quali quello di strutture intelligenti, strutture adattative (dall’inglese adaptive) o attive o con il termine inglese, difficilmente traducibile in maniera diversa dai precedenti vocaboli, di “smart structures”. I vantaggi dei sensori sopradescritti per le applicazioni di monitoraggio strutturale rispetto a Fibra ottica inglobata in materiale composito polimerico in fibra di carbonio. 92 I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche quelli tradizionali di tipo elettrico sono innumerevoli: i) immuntà da interferenze elettromagnetiche in quanto il segnale è ottico; ii) isolanti e quindi possono essere inseriti o incollati sui metalli senza particolari precauzioni di tipo elettrico e non conducono elettricità prodotta ad esempio da fulmini; iii) ridottissimo ingombro essendo integrati all’interno della fibra ottica; iv) notevole stabilità ed affidabilità che rende superflua ogni ricalibrazione del sistema di misura nel tempo, ciò grazie al principio di misura che è di tipo spet- trale; v) una sola fibra può monitorare un elevato numero di punti della struttura, trattandosi di un sensore distribuito o collegando in serie diversi sensori quasi distribuiti (multiplexing), cosa che consente una notevole semplificazione dei cablaggi per il trasporto del segnale, vi) buona resistenza in ambienti aggressivi ed alla corrosione, vii) utilizzabili anche a temperature di 400-500 °C. Andrea Fellegara Michele A. Caponero Antonio Paolozzi I cristalli liquidi: la tecnologia dello stato delicato della materia C ristalli liquidi, una strana coppia di parole, ma allo stesso tempo affascinante! A scuola ci hanno insegnato che la materia si presenta in tre possibili stati, gassoso, liquido o solido. Dal 1888 sappiamo che non è più così, quando il botanico austriaco Friedrich Reinitzer osservò al microscopio che l’estere benzoico del colesterolo presentava due temperature di fusione. Tra queste due temperature vicine tra loro ma ben distinte la sostanza osservata da Reinitzer dava luogo ad effetti ottici al microscopio che sono tipici di entrambi le fasi liquida e solida, pertanto per quello strano stato della materia, che sussisteva in un intervallo di temperatura di pochi gradi centigradi, venne coniato il termine di “fase liquido cristallina”. Più tardi si scoprì che numerose altre sostanze organiche possono esistere in una sequenza di fasi intermedie (o fasi mesomorfiche o mesofasi) tra quella liquida e quella solida, come la fase nematica e varie fasi smectiche (dal greco “smegma” che significa “sapone” le cui proprietà meccaniche sono simili a certi cristalli liquidi) come mostrato nella figura. Le molecole organiche che compongono i cristalli liquidi, di forma generalmente allungata simile a dei bastoncini, dette anche molecole calamitiche, si aggregano in modo più ordinato che nei liquidi quasi come nei solidi. D’altro canto come i liquidi, i cristalli liquidi hanno bisogno di un “recipiente” che ne possa contenere una determinata quantità. Dalla fase liquida l’ordine delle molecole cresce diminuendo la temperatura in un intervallo termico generalmente di pochi gradi centigradi, dando luogo alle varie fasi liquido cristalline, fino a rag- novembre 2003 giungere la struttura ordinata e rigida tipica dei solidi. La tecnologia degli schermi a cristallo liquido (o LCD: Liquid Crystal Display) ha conosciuto una notevole evoluzione grazie alla produzione di sostanze in cui la fase liquido cristallina nematica esiste su un intervallo di temperature molto ampio tra 0°C e oltre 60°C, rendendo possibile l’utilizzo dei cristalli liquidi nella vita quotidiana in dispositivi come gli orologi da polso che potessero funzionare nella maggior parte del globo terrestre. Oltre che negli orologi gli schermi a cristallo liquido sono oggi molto diffusi in monitor di computer, display di bilance elettroniche, computer palmari, navigatori per auto, video giochi e in tanti altri sistemi elettronici. Gli schermi piatti a cristallo liquido sono anche in grado di riprodurre immagini televisive, con milioni di colori con le stesse prestazioni dei vecchi ed ingombranti schermi basati su tubi a raggi catodici (CRT: Cathodic Ray Tubes). Ma come funziona uno schermo a cristallo liquido? Il principio di funzionamento è basato sulle proprietà delle molecole liquido-cristalline di interagire con la luce. Per poter sfruttare questa proprietà ai fini di realizzare un display, il cristallo liquido è racchiuso in una cella costituita da diversi elementi come riportato nella figura della pagina seguente, dove è riportato sia il principio di funzionamento che la struttura di una cella a cristallo liquido nematico ritorto (o TN: Twisted Nematic) utilizzata per realizzare la maggior parte degli LCD dei computer portatili. Uno schermo piatto è costituito da una coppia di lastre di vetro distanziate tra loro di pochi micron (ovvero pochi millesimi di millimetro) a 93 I QUADERNI DI TELÈMA formare una sottile intercapedine riempita con cristallo liquido nematico. Sulle facce interne dei vetri dell’intercapedine è presente un elettrodo trasparente di ossido di stagno ed indio e sopra di esso, a contatto con il cristallo liquido, un film di polimero. Quest’ultimo viene stirato in modo che a livello microscopico assomigli alle coste di un tessuto di velluto orientate in una direzione lungo la quale si allineano le molecole di cristallo liquido. In una cella TN le molecole di cristallo liquido compiono una rotazione di 90° passando da un vetro ad un altro lungo lo spessore dell’intercapedine, essendo le direzioni di allineamento sui due vetri perpendicolari tra loro. Sulle facce esterne dei vetri sono presenti dei filtri polarizzatori lineari, che sono in grado di far passare luce in cui il campo elettrico della radiazione luminosa oscilli in una direzione determinata dall’orientamento del polarizzatore. I due polarizzatori sono perpendicolari tra loro e rispettivamente allineati con la direzione dei film polimerici di allineamento del cristallo liquido. Quando un fascio di luce proveniente da una sorgente luminosa posizionata dietro la cella, attraversa il primo polarizzatore, si propaga nel cristallo liquido lungo il cui spessore, il campo elettrico della radiazione elettromagnetica subisce una rotazione di 90°, seguendo lo stesso orientamento delle molecole di cristallo liquido, per poi attraversare il secondo polarizzatore e completare l’attraversamento della cella. Quindi un osservatore dalla parte opposta alla cella rispetto alla sorgente vedrà un segnale di luce (stato di bianco). Applicando un segnale di tensione di pochi volt alla cella le molecole perdono il delicato orientamento imposto dal film di allineamento, per disporsi perpendicolarmente alla cella. Il campo elettrico del fascio di luce polarizzato, che attraversa la cella, non subirà alcuna rotazione ed incontrando il secondo polarizzatore, orientato perpendicolarmente ad esso, non sarà in grado di completare l’attraversamento della cella che apparirà scura all’osservatore (stato di nero). Cambiando con continuità la tensione applicata alla cella a cristallo liquido l’orientamento delle molecole può variare tra le due posizioni con gradualità producendo una scala di grigi tra bianco e nero. Oltre ai polarizzatori si usano, in corrispondenza di ciascun pixel, anche tre filtri di colore rosso verde e blu, i tre colori fondamentali, con cui possono essere creati tutti i possibili colori, combinando opportunamente le intensità luminose che attraversano i pixel. Le celle a cristallo liquido sono in grado di interagire non solo con luce che cade nello spettro del visibile ma anche con luce del vicino infrarosso impiegata nelle fibre ottiche per le comunicazioni a larga banda. Infatti sono stati realizzati, anche se ancora a livello di prototipi da laboratorio, commutatori ottici in grado di reinstradare i segnali di luce che viaggiano nelle fibre ottiche delle reti di telecomunicazione. Il vantaggio principale nell’impiegare commutatori a cristallo liquido consiste nell’assenza di parti in movimento ed inoltre le tensioni di pilotaggio sono relativamente basse rispetto a componenti analoghi realizzati con altre tecnologie basate sull’impiego di materiali semiconduttori o dielettrici cristallini, come ad esempio il niobato di litio, oggi largamente utilizzati in ottica. Dal punto di vista scientifico i cristalli liquidi offrono ancora oggi grande motivo di attenzione per la ricerca scientifica per i numerosi effetti derivanti dall’interazione con la luce. Infatti segnali di luce possono innescare fenomeni di riorientamento delle molecole di cristallo liquido aprendo una serie di nuovi scenari di sviluppo di dispositivi tuttoottici in cui la luce può essere controllata da un altro segnale di luce anziché da uno di tipo elettrico. Inoltre celle speciali possono essere utilizzate per immagazzinare informazione ottica in ologrammi con capacità più elevate rispetto agli attuali sistemi di memoria di massa. Antonio d’Alessandro Rita Asquini Rappresentazione schematica della struttura e del prin- Dipartimento di Ingegneria Elettronica – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”- INFM cipio di funzionamento di una cella a cristallo liquido in trasmissione. 94 I quaderni di le nuove tecnologie fotoniche Generazione di impulsi ultracorti per trasmissioni ed elaborazioni ottiche ad altissima velocità L a Scuola Superiore S. Anna di Pisa e il CNIT sono da anni attivi nello studio e nella sperimentazione di sistemi ottici avanzati di tipo Optical Time Division Multiplexing (OTDM). Superando i limiti dell’elettronica, questi sistemi potranno consentire di raggiungere elevatissime capacità di trasmissione ed elaborazione dei segnali. Al momento lo studio si sta concentrando su sistemi del tipo 160 Gbit/s e in questo contributo sono descritte due soluzioni realizzate per la sorgente di impulsi, realizzate rispettivamente con la tecnica di Mode-locking e con effetti solitonici. Entrambe le soluzioni sono state già utilizzate per sperimentazioni avanzate nell’ambito dello studio dei sistemi OTDM: in particolare, sono state impiegate per la prima dimostrazione in Italia di trasmissione a 160 Gbit/s e per dimostrare particolari tecniche di elaborazione ottica su segnali ultracorti. Sono inoltre in programma ulteriori ricerche per avanzamenti verso velocità di trasmissione ancora più elevate (320 o 640 Gbit/s). Per produrre un segnale a 160 Gbit/s sono quindi necessarie sorgenti di impulsi molto brevi, dell’ordine di 1-2 ps (un miliardesimo di millisecondo). Tecnica di Mode Locking Il Mode Locking (ML) è una tecnica impiegata per la generazione di treni di impulsi ottici mediante un oscillatore laser multimodale. In linea di principio, per ottenere dall’oscillatore multimodale un comportamento impulsato è sufficiente forzare la fase relativa dei modi. Questa tecnica viene impiegata in laser in fibra e a semiconduttore con risultati differenti. Per entrambe le tecnologie esistono tre possibili realizzazioni in funzione del dispositivo usato per costringere la fase. Il Mode Locking viene quindi detto Passivo (PML – Passive Mode Locking) se è ottenuto mediante un dispositivo, per l’appunto, passivo come, ad esempio, un Saturable Absorber (SA) inserito nella novembre 2003 cavità; Attivo (AML-Active Mode Locking) se viene impiegato in cavità un modulatore d’ampiezza o fase, ed in fine Ibrido (HML – Hybrid Mode Locking) se un segnale ottico di controllo o un dispositivo passivo controllato esternamente vengono usati per forzare la fase. Generazione di solitoni mediante propagazione nonlineare Una tecnica alternativa al mode-locking, per realizzare una sorgente di impulsi ultracorti per trasmettere segnali con tecnologia OTDM è quella della compressione solitonica adiabatica. Questa tecnica è stata proposta e dimostrata nei Laboratori di Pisa e risulta estremamente promettente per una serie di notevoli semplificazioni e di potenziali vantaggi. La tecnica è estremamente complessa a livello teorico, ma risulta di una maggiore semplicità pratica e di una maggiore stabilità. Per una descrizione, sia pure sommaria, della tecnica utilizzata si deve rimandare al concetto di ottica nonlineare e di impulsi solitonici, ovvero di solitoni ottici. Nelle condizione di propagazione nonlineare è possibile che le caratteristiche trasmissive della fibra siano in qualche modo influenzate dal segnale ottico che la sta attraversando, in queste condizioni l’impulso sperimenta la cosiddetta propagazione nonlineare. Come già accennato, la dispersione cromatica delle fibre ottiche tende a modificare, spesso con effetti distruttivi, la forma dei segnali durante la trasmissione. I solitoni sono sostanzialmente immuni da questo effetto poiché in essi si realizza un bilanciamento della dispersione cromatica e degli effetti nonlineari: per questo motivo è possibile che si propaghino mantenendo un profilo inalterato. In termini tecnici, si può dire che i solitoni sono particolari soluzioni dell’equazione di propagazione in fibra, quelle in cui la dispersione lineare viene compensata perfettamente dall’effetto nonlineare di automodulazione di fase (Self Phase Modulation, SPM). Queste soluzioni sono dette 95 I QUADERNI DI TELÈMA appunto, onde solitarie o solitoni. I solitoni godono inoltre di altre interessanti proprietà, tra cui la più significativa è probabilmente la “robustezza”. Entrambe le suddette caratteristiche sono sfruttate nella sorgente proposta e realizzata a Pisa, e sarà ora descritta brevemente. Mediante un modulatore di intensità, si realizza una modulazione sinusoidale di un segnale ottico, con una frequenza di modulazione pari alla frequenza del tributario (in questo caso: 40 GHz). Questo segnale viene poi inviato in una fibra ottica le cui proprietà sono state accuratamente selezionate. In questa fibra, si sviluppano insieme diversi effetti nonlineari. Una visione semplificata è la seguente: la sinusoide iniziale tende inizialmente a evolvere in una sequenza regolare di solitoni grazie all’effetto «attrattivo « dei solitoni. Questo effetto produrrebbe tuttavia solitoni con larghezza temporale di circa 4 ps, insufficienti ai nostri scopi. Al tempo stesso, si verifica anche la compressione adiabatica solitonica: il bilanciamento accurato dei due effetti ha consentito di produrre impulsi di circa 1 ps con cadenza di ripetizione di 40 GHz. Nella seguente figura è mostrato il diagramma ad occhio risultato di una multiplazione di quattro flussi in uno a 160 Gb/s. Come si può notare, gli impulsi hanno una durata sufficien- temente breve per permettere anche la composizione di una trama di otto flussi a 320 Gb/s. Mediante segnali con impulsi molto corti si possono effettuare delle elaborazioni molti veloci che solo l’ottica può permettere. In alcuni laboratori sono state già sperimentale delle porte logiche tutte ottiche che sono in grado di processare segnali aventi impulsi incredibilmente corti (fino a qualche femtosecondo, 1 fs è un miliardesimo di microsecondo) e il che significa che l’elaborazione può lavorare con velocità dell’ordine del centinaio di Tb/s (1 Tb/s=1012 b/s). Esempi semplici sono le porte AND che sono costituite da un materiale ottico nonlineare in grado di produrre un impulso in uscita solo quando sono simultaneamente presenti due impulsi al suo ingresso. Queste ricerche sono state parzialmente finanziate dalla Marconi Communications e da un progetto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Giancarlo Prati Ernesto Ciaramella Antonella Bogoni Giampiero Contestabile Luca Potì Scuola S. Anna, Pisa Diagramma ad occhio a 160 Gbit/s ottenuto con la sorgente di solitoni. 96 I quaderni di