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Nel 1995 le varie economie dell’Est Europa, Russia inclusa, assommavano
a circa un terzo delle dimensioni dell’economia tedesca. Oggi la dimensione
di tali economie supera quella della Germania ed è simile a quella cinese.
Imprese occidentali
più prudenti sull’Est
ECONOMIA
di Matteo Ferrazzi e Jessica Zanetti
La Cee è diventata un mercato che nessuna impresa occidentale può
permettersi di trascurare. Ma la crisi, con i suoi corollari di protezionismo e
credit crunch, sta mettendo a dura prova la fiducia in uno sviluppo che…
na parte importante dello sviluppo delle
economie dell’Europa centro orientale
nel corso dell’ultimo decennio è legata al
processo di apertura agli investimenti esteri e
all’integrazione commerciale. I Paesi dell’Est
europeo hanno, insomma, rappresentato un
caso paradigmatico di quei fenomeni di
integrazione del commercio internazionale e di
“disintegrazione” della produzione che hanno
caratterizzato anche altre aree (si commercia
sempre più e le imprese eseguono le diverse
fasi produttive in differenti Paesi, frantumando
il processo produttivo alla ricerca di una
maggiore efficienza).
La crisi internazionale determina però una
maggiore avversione al rischio, un crollo degli
scambi internazionali (sia il Fondo Monetario
Internazionale che la Wto prevedono un calo
intorno o superiore al 10% nel corso del 2009)
e un minor desiderio delle imprese di esplorare
mercati esteri, tanto più se emergenti.
Le turbolenze internazionali mettono quindi in
pericolo il modello di sviluppo dell’Europa
centro orientale? Quali possono essere le
conseguenze per le imprese investitrici?
Per capirlo è bene fare un passo indietro e
considerare attentamente i legami tra l’Europa
dell’Est e quella dell’Ovest, tra la “Nuova” e la
“Vecchia” Europa. L’Europa centro orientale
(Cee) è divenuta nel corso dell’ultimo decennio
U
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il braccio produttivo della Vecchia Europa. Si
produce ad Est quello che un tempo si faceva
all’Ovest. E questo è particolarmente evidente
in alcuni settori, quali quelli della gomma e
plastica, della meccanica varia e strumentale,
della meccanica elettrica e dell’auto (la
produzione di auto all’Est sfiora oggi un terzo
di tutte le auto prodotte in Europa, mentre tale
quota era poco più del 10% nel 2000). Gli
investimenti diretti esteri ricevuti dai Paesi Cee
nel periodo 2000-’08 sono stati superiori ai 373
miliardi di euro (furono 100 miliardi tra il 1989
ed il 1999). I benefici per le economie dell’Est
sono stati evidenti: tale integrazione ha
accelerato il processo di convergenza, ha
favorito un innalzamento qualitativo delle
produzioni e l’evoluzione verso produzioni a
maggior contenuto tecnologico. Tale evoluzione
ha permesso lo sviluppo di un mercato
domestico dalle dimensioni ragguardevoli. Nel
1995 le varie economie dell’Est Europa
(includendo la Russia) assommavano a circa un
terzo delle dimensioni dell’economia tedesca.
Oggi la dimensione delle economie dell’Est
supera quella della Germania ed è simile a
quella cinese. La Cee è quindi un mercato che
ogni impresa che opera all’estero non può
trascurare. L’ultimo decennio ha visto insomma
la crescita impetuosa dei Paesi emergenti e i
Paesi Cee hanno giocato un ruolo importante.
SUPPORTO INTERNAZIONALE
Piani Imf 2008 - ’09
Fonte : Imf;
UniCredit Cee
Strategic Analysis
* Nota: Intensità del
supporto Imf: 1)
inferiore al 5% del
Pil; 2) tra il 5 e il
10% del Pil; 3)
maggiore del 10%
del Pil.
Questo processo ha giovato sì ai Paesi Cee, ma
certamente ha avuto un rilevante influsso
anche sulla competitività internazionale delle
economie della Vecchia Europa. Alcune di esse,
lungi dall’essere meramente delle “economie
bazar” (che importano beni a basso costo dai
Paesi emergenti per rivenderle sul mercato
locale), dipendono in misura importante dai
rapporti con la regione Cee che, come
sottolineato, ne è divenuta la base produttiva.
Un quarto dell’export austriaco finisce a Est, il
20% circa di quello finlandese, greco e tedesco
(poco meno per quello italiano). Se poi
escludiamo il commercio intra-europeo (i flussi
cioè tra i vari Paesi della Vecchia Europa) tali
percentuali risultano ancor più elevate, e
notiamo che, mediamente, quasi un terzo
dell’export europeo è destinato ai Paesi Cee.
Tra l’altro la “dipendenza” dei Paesi europei
verso la Cee (calcolata come flussi di
commercio rispetto al Pil) è, per una buona
parte di essi, quali l’Austria, la Finlandia, la
Grecia, la Germania, ben superiore a quella di
altri Paesi industrializzati nei confronti di altre
aree emergenti (in particolare degli Stati Uniti
verso l’America Latina, del Giappone e
dell’Australia rispetto ai Paesi emergenti
asiatici, Cina e India incluse). L’Europa centro
orientale è oramai il mercato domestico di
molte multinazionali occidentali. I settori
ECONOMIA
europei più “esposti” a Est (in termini di
vendite all’Est rispetto alle vendete totali) sono
l’alimentare, l’auto e le telecomunicazioni
(quelli meno esposti i media, il turismo e le
assicurazioni).
Non raramente quindi la performance di
numerosi settori europei è in parte legata al
processo di integrazione con l’Est: le imprese
occidentali trovano efficienza producendo a Est
e ampliano i propri mercati di sbocco. La
produzione a Est da parte di imprese occidentali
è ormai una parte essenziale della loro strategia
competitiva. Gli esempi sono innumerevoli. La
Fiat produce ormai da molti decenni in Polonia
(dagli anni Trenta del ‘900). Nelle fabbriche
polacche la produttività è attualmente simile a
quella italiana (gli impianti sono moderni ed
efficienti e la forza lavoro è piuttosto
qualificata), mentre i costi sono più bassi
(quello del lavoro, ma anche quello
dell’energia). Le auto fabbricate in Polonia
rappresentavano già un anno fa circa un terzo
di tutte le auto prodotte da Fiat in Europa (in
Italia, Francia e Turchia). Ora le fabbriche
polacche della Fiat producono a pieno regime,
nonostante la crisi, poiché traggono beneficio
dagli incentivi alla rottamazione di numerosi
Paesi europei (Germania e Italia in primis). In
Polonia la Fiat produce infatti veicoli a basso
consumo e minor impatto ambientale –
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TITOLO ARTICOLO
DIMENSIONE DELLE DIVERSE ECONOMIE NEL MONDO (PIL IN MILIARDI DI EURO)
Fonte: Imf,
UniCredit Cee
Strategic Analysis
destinatari dei maggiori incentivi – tra cui la
nuova 500 (uno dei simboli del made in Italy è
prodotto infatti in Polonia!), la 600, la Panda e
la Ford Ka (vi è una collaborazione tra Ford e
Fiat). Le fabbriche polacche della Fiat dovranno
assumere nuovi lavoratori per stare al passo
con i nuovi ordini. La Mercedes produce il
90% delle proprie auto nei Paesi di vecchia
industrializzazione (principalmente in
Germania e Nord America), in cerca di
standard qualitativi particolarmente elevati.
Eppure ha recentemente deciso di spostare la
produzione delle vetture “Classe A” e “Classe
B” in Ungheria, dove è all’opera per aprire un
nuovo stabilimento. Candy produce
elettrodomestici, un settore in cui gioca un
ruolo chiave la logistica e la presenza dei
fornitori: considerazioni su questi due temi
portano a produrre un ammontare di
elettrodomestici sempre più rilevante in
Turchia. Nel 2006 il 60% della produzione di
Candy si realizzava in Europa occidentale, oggi
questa quota è intorno al 40% (in linea con i
principali concorrenti). Il Gruppo Fontana,
produttore di lamiere in alluminio per
carrozzerie di automobili dei più affermati
marchi europei (Ferrari, Bmw, Audi, Gm, ecc.),
possiede un impianto in Turchia e sta
ulteriormente espandendosi in Romania: il
gruppo è in grado di innalzare la produttività
degli impianti esteri per portarla nel giro di
pochi anni al livello dell’Europa occidentale.
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L’impianto turco del Gruppo Fontana ha
raggiunto il livello di produttività italiana nel
giro di quattro anni, grazie a formazione e
impiego di tecnologie e processi importati dalla
casa madre. L’Austro-tedesca Henkel (beni per
la casa, cosmetici) continua anch’essa a fare leva
sulla produzione a Est, per far tesoro dei
vantaggi logistici e della necessaria vicinanza ai
clienti. Molte imprese sono a loro volta
follower, e seguono le imprese clienti che
hanno già fatto il grande passo verso
l’internazionalizzazione oltrecortina
(produttiva o commerciale che sia).
Ma come sta incidendo la crisi sulle scelte
produttive delle imprese occidentali? Questo
processo – la ricerca di efficienza delle imprese
occidentali tramite la produzione a Est – è
destinato a esaurirsi?
La Cee non è affatto immune dalla crisi
internazionale: il calo dell’export Cee si aggirerà
nel corso del 2009 intorno ai 65 miliardi di
euro; gli investimenti diretti esteri verso la
regione si dimezzeranno nel 2009, arrivando al
livello più basso dal 2004.
I due principali rischi per la Cee sono le istanze
protezionistiche e il rischio che si materializzi
una rilevante contrazione nella disponibilità di
credito attraverso una minor disponibilità di
fondi messi a disposizione dalle banche, sia
estere che locali (il cosiddetto credit crunch).
Riguardo al primo elemento – il protezionismo
– esso non è un fenomeno nuovo, ed ha anzi
PRODUTTIVITÀ E COSTI DI PRODUZIONE CEE
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Fonte: World Economic Forum Global Competitiveness Index, World Bank Ease of doing business,
Eurostat, UniCredit Cee Strategic Analysis
* L’indice, che varia da 1 a 7, è stato costruito tenendo in considerazione il costo del lavoro (40% del
peso nell’indice), la tassazione (20%), i prezzi dell’elettricità per gli utilizzatori industriali (25%), il
costo dei finanziamenti (tassi di interesse, 15% dell’indice).
ECONOMIA
una solida tradizione fin dai tempi del
mercantilismo, cinque secoli addietro. Alcuni
atteggiamenti di stampo protezionistico sono
ahimè un ingrediente immancabile durante
ogni crisi (l’esempio del 1929 è quello più noto,
in cui la crisi economica sfociò in serie tensioni
internazionali). Alcuni atteggiamenti di stampo
protezionistico sono già emersi a livello
internazionale; il più noto è rappresentato
dalla norma “Buy American”, inserita nello
Stimulus Bill americano, secondo cui tutto
l’acciaio e il ferro utilizzati in progetti
infrastrutturali finanziati dai programmi di
stimolo americani devono essere made in Usa.
Più in generale, l’Organizzazione mondiale del
Commercio (Wto) segnala, già nel corso del
2008, un aumento sensibile delle misure
anti-dumping, soprattutto nell’ambito delle
industrie metallurgiche e tessili.
Gli aiuti statali erogati dai Paesi occidentali per
sostenere alcuni settori e le relative condizioni,
siano esse implicite o esplicite, potrebbero
inoltre favorire la produzione locale:
emblematiche le pressioni del governo francese
per limitare le delocalizzazioni delle proprie
imprese, in particolare nella produzione di auto
e componenti.
Se il protezionismo è un rischio per la Cee, esso
lo è anche per le imprese occidentali: un’eredità
di imprese inefficienti (impossibilitate a
“ottimizzare” le scelte produttive nell’ambito
dei differenti Paesi) farebbe sì che la presunta
cura – la protezione di alcune industrie – possa
rivelarsi peggio della malattia – la crisi –
specialmente se assumiamo un’ottica di lungo
periodo. Bisogna poi considerare che la
flessibilità del lavoro è maggiore nei Paesi Cee
piuttosto che in Europa occidentale, e questo
potrebbe creare un incentivo a ridurre la
produzione prima a Est che a Ovest, con un
impatto negativo sulla capacità produttiva.
Sul fronte del credit crunch, le istituzioni
internazionali hanno agito con consistenti
iniezioni di fondi. Il Fondo Monetario
Internazionale ha erogato negli ultimi mesi
circa 190 miliardi di dollari (oltre ad aver
ampliato la propria “potenza di fuoco” a seguito
delle decisioni del G20), principalmente a
supporto dei Paesi emergenti: di questo
ammontare ben due terzi sono stati destinati ai
Paesi Cee (Ucraina, Ungheria, Romania, Serbia,
Bosnia, Polonia, Lettonia, Bielorussia e Turchia
ne beneficiano). L’Ucraina, la Romania e
l’Ungheria, in particolare, sono i Paesi che
hanno ricevuto il maggior ammontare di denaro
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TITOLO ARTICOLO
DIMENSIONE DELLE DIVERSE ECONOMIE NEL MONDO (PIL IN MILIARDI DI EURO)
Fonte : Imf
rispetto alla dimensione delle loro economie (il
supporto del Fondo Monetario è superiore al
10% del loro Pil). Le banche occidentali, che
controllano una buona parte dei sistemi
bancari dei Paesi dell’Europa centro orientale e
sono state coinvolte da Imf e Ebrd nei pacchetti
di aiuti, dovranno fare la loro parte. L’attività
bancaria nella regione sarà ben diversa rispetto
al passato (l’appetito per il rischio è inferiore, la
crescita degli impieghi sarà maggiormente
vincolata alla crescita del risparmio locale e non
“esogenamente” determinata dall’estero, lo
scenario competitivo cambierà, con un peso
maggiore delle banche pubbliche e maggiori
regolamentazioni), ma le imprese e le famiglie
della Cee non potranno fare a meno del credito
per poter reggere l’urto della crisi. Meccanismi
di garanzia collettiva dei fidi (per la prestazione
di garanzie al fine di agevolare le imprese
nell’accesso ai finanziamenti) – molti Paesi Cee
stanno mettendo a punto meccanismi di questo
tipo, o lo hanno già fatto – possono
rappresentare un ulteriore supporto.
Vi sono quindi, ben chiari, dei rischi, ma la
situazione non è affatto sconfortante. Basti
pensare che proprio nel bel mezzo della crisi, le
notizie incoraggianti per le industrie della Cee
non sono mancate: la Volkswagen ha deciso di
investire 308 milioni di euro per espandere la
produzione in Slovacchia (vi produrrà anche la
nuova concept car Up!); abbiamo già citato il
caso della Mercedes, che ha deciso di produrre
in Ungheria, e della Fiat, che assumerà nuovi
lavoratori in Polonia (oltre a investire su un
altro impianto per fabbricare motori); la società
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di informatica Dell ha annunciato che
aumenterà la presenza in Polonia (riducendo
quella in Irlanda); la Svizzera Alpic investirà 80
milioni di euro in Bulgaria per produrre
energia eolica; sempre in Bulgaria, la cinese
Great Wall ha annunciato che assemblerà auto
in cooperazione con partner locali; la spagnola
Iberdrola ha annunciato in Romania un
progetto che vale ben 2,5 miliardi di euro; la
Renault ha lanciato in Turchia un’altra
produzione di camion (circa 800 nuovi
lavoratori verranno assunti).
I gruppi dell’Ovest, da quanto sembra da questi
esempi, continuano a credere ancora nel
potenziale della Cee, e intendono trarne
vantaggio, ricavandone il maggior beneficio
possibile. I rischi di protezionismo sembrano
quindi svanire di fronte alla necessità delle
imprese di operare nella regione (non solo di
vendere beni in Cee, ma anche produrre).
Inoltre, l’indebolimento delle valute di alcuni
Paesi Cee determina alcune nuove opportunità
(in termini di possibilità di acquisizioni o di
maggior capacità di competere).
Sembra quindi che le maggiori pressioni
competitive continuino a spingere, se non ad
accelerare, i processi di spostamento della
produzione verso Est. Se quindi i diversi
operatori, prima di tutto le diverse istituzioni
internazionali, riusciranno a evitare che
protezionismo e credit crunch possano fare
danni significativi, molto probabilmente
l’industria della regione Cee uscirà dalla crisi
rafforzata, sebbene l’aggiustamento di breve
termine possa essere significativo.
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