Il rischio di trasmissione delle infezioni virali

Il rischio di trasmissione delle infezioni virali
mediante trasfusione
Annunziata Faustini
Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio - Roma
(Direttore: Dott. Carlo A. Perucci)
The risk of transfusion-transmitted viral infections
is now so low that it is generally expressed as the
number of cases per million units transfused. Despite
the increased safety of blood, the possibility of infection
still exists, both by such well-known viruses as hepatitis
B virus (HBV), hepatitis C virus (HCV) and retrovirus
(HIV and HTLV), and by emerging viruses, like human
herpesvirus 8 (HHV-8), hepatitis G virus (HGV) and
transfusion-transmitted virus (TTV). To endanger the
blood supply, several criteria must be met. The virus
must spread widely within the human population; it must
produce a persistent viraemia; infected carriers must
be apparently healthy and the virus must be stable at
cold-storage temperature. The direct way of estimating
the risk associated with transfusion is to measure the
rate of infection in transfusion recipients. Since the
current rates of viral infection transmission are very
low, this way is impractical, and mathematical models
now needed to estimate the risks of blood transfusion.
Surveillance in various countries is currently focused
on collecting data about serious transfusion hazards.
Alternatively prospective studies are being
implemented in restricted groups of repeatedly
transfused people, like haemophiliacs. Another way for
health surveillance is gathering data on previous
transfusion exposure in every case of AIDS and
hepatitis. Finally, studies on seroprevalence and
seroconversion in donors are very useful in estimating
risks. For HIV, HTLV, HBV and HCV, the risk of
transmission is now restricted to the residual risk, i.e.
the probability of seroconversion combined with the
probability that blood was donated during the donor's
window period. Window period length is influenced by
sensitivity of screening tests. For 1991-1993 the
residual risk of HIV was estimated as 1 per 450,000 660,000 units of screened blood units, the residual risk
Questo elaborato è stato oggetto di una relazione al XXXIV Convegno
Nazionale di Studi di Medicina Trasfusionale (Rimini, 24-28 giugno 2000)
Corrispondenza:
Dott.ssa Annunziata Faustini
Via Machiavelli, 60
00185 ROMA
344
of HBV as 1/63,000 and that of HCV as 1/103,000. In
1997 European estimates of transmission from
repeated donors are respectively 1/2,324,000 for HIV,
1/398,000 for HBV and 1/621,000 for HCV. These risks
can be expected to be reduced by implementation of
nucleic-acid-amplification-based testing (NAT). Among
emerging viruses, HHV-8, associated with Kaposi's
sarcoma, HGV and TTV, related to fulminant hepatitis
cases, have been the most closely studied.
Parole chiave: virus a trasmissione ematica, virus
emergenti, stima dei rischi residui, sicurezza delle
trasfusioni
Key words: blood-borne virus, emerging viruses, residual
risks, implementing safety
Introduzione
La possibilità di contrarre una infezione virale in seguito
a trasfusione di sangue è nota da diversi anni.
Le infezioni, sia batteriche che virali, non sono le più
frequenti conseguenze severe delle trasfusioni; la
percentuale più elevata di queste, del 50% circa, è
rappresentata dalla incompatibilità ABO, in modo costante,
in anni diversi e in paesi diversi.
Nella tabella I vengono proposti a confronto i dati
relativi alla distribuzione percentuale delle conseguenze
gravi da trasfusione rilevate in periodi diversi negli Stati
Uniti e in Gran Bretagna1,2.
Nonostante la frequenza contenuta rispetto ad altri
eventi gravi, notevoli sforzi sono stati attuati per controllare
le contaminazioni virali delle trasfusioni.
Questo problema, infatti, viene percepito con particolare
sensibilità e per esso si richiede una sicurezza zero.
È possibile che alla radice del fenomeno vi sia il
significato culturale e religioso che al sangue e, quindi, alle
LA TRASFUSIONE DEL SANGUE vol. 45 - num. 6 novembre-dicembre 2000 (344-352)
La contaminazione virale dei prodotti trasfusionali
Tabella I: distribuzione percentuale delle conseguenze
gravi da trasfusione per gruppo di fattori.
Confronto tra dati americani e inglesi
decessi
USA 76-85
(n.256) 1
%
danni gravi
UK 96-98
(n.366) 2
%
Incompatibilità ABO
51
52
Edema polmonare acuto
15
8
Infezione da batteri e/o da virus
10
3
Emolisi tardiva
10
14
3
15
Reazioni acute gravi
Porpora Trombotica Trombocitopenica
Graft versus host reaction
6
0,4
2
trasfusioni è attribuito in molte culture, ma un notevole
contributo è anche dovuto all'effetto devastante che ha
comportato la contaminazione ematica da parte del virus
dell'immunodeficienza umana3. Gli sforzi attuati in questo
campo hanno portato ad un così alto livello di sicurezza
delle trasfusioni che oggi il rischio di contaminazione virale
si può esprimere come numero di casi per milione di unità
trasfuse4. Per quanto rara, tuttavia, la possibilità di contrarre
una infezione virale per via ematica è ancora possibile sia
per i virus noti da tempo come quello della epatite virale B,
sia per i virus identificati più recentemente come
contaminanti del sangue e degli emoderivati, i cosi detti
virus emergenti. I virus che possono dare infezione
nell'uomo per via ematica sono: il virus dell'epatite B (HBV)
e dell'epatite C (HCV), i retrovirus, quello
dell'immunodeficienza umana (HIV-1/2) e il linfotropico
(HTLV-I/II), il parvovirus B19, il gruppo degli herpes virus,
che include l'Herpes simplex (HSV), il cytomegalovirus
(CMV), il virus di Epstein Barr (EBV), l'Herpes virus 6 (HHV6), l'Herpes virus 7 (HHV-7), l'Herpes virus 8 (HHV-8) e
ancora il virus della epatite A (HAV), della epatite G (HGV),
i Polyomavirus (JCV e BKV) associati alla
leucoencefalopatia multifocale progressiva, e, il virus della
epatite da trasfusione non-A non-G, denominato
Transfusion Transmitted Virus (TTV). L'importanza di
questi virus è legata sia alla probabilità di contaminazione
del sangue, sia alle conseguenze cliniche delle infezioni
umane.
Prima di passarne in rassegna le caratteristiche cliniche
e le stime di rischio di trasmissione, vediamo quali sono le
condizioni per cui un virus possa essere trasmesso per via
ematica, quali i meccanismi ipotizzati per l'emergere di nuovi
virus, quali i parametri che concorrono alle stime del rischio
di trasmissione via trasfusione e come queste stime
vengono prodotte.
Fattori che influenzano il rischio di trasmissione
da trasfusione di sangue ed emoderivati
Perché un virus possa contaminare una trasfusione di
sangue è necessario che si verifichino alcune condizioni non
necessariamente coesistenti: il virus deve circolare ampiamente
nella popolazione umana, deve essere capace di indurre una
viremia persistente, deve provocare un numero elevato di
infetti asintomatici, deve essere stabile alle basse temperature
di stoccaggio del sangue per periodi prolungati5,6.
La condizione della elevata trasmissibilità interumana
del virus esclude, come contaminanti delle trasfusioni, tutti
quei virus la cui trasmissione all'uomo avviene tramite vettori,
come i virus delle encefaliti virali, e rende assai rara la
contaminazione ematica per i virus la cui trasmissione
interumana è bassa, come nel caso degli agenti di febbre
emorragica, quali la febbre di Lassa e la febbre di Ebola.
Una viremia persistente, nel plasma o nelle cellule
ematiche, si ha quando il virus riesce ad eludere la prima
risposta immunitaria dell'ospite che, in condizioni normali,
neutralizza l'infezione. Gli anticorpi circolanti neutralizzano
i virus extracellulari e le cellule citotossiche T eliminano i
virus intracellulari, che riconoscono grazie agli antigeni di
superficie prodotti nella replicazione citoplasmatica5. Il
meccanismo alla base della persistenza ematica dei virus è,
ancora oggi, oggetto di ricerca e discussione; attualmente,
la mancata neutralizzazione del virus viene attribuita alla
formazione di immunocomplessi, ben documentata negli
animali da esperimento, o alla induzione di tolleranza
immunologica, per cui si ha una scarsa formazione di
anticorpi neutralizzanti. È questo il meccanismo che si
ipotizza verificarsi nella maggior parte delle infezioni umane
a viremia plasmatica.
La viremia cellulo-mediata viene, invece, spiegata con
la capacità del virus di annidarsi all'interno delle cellule
ematiche, per lo più i leucociti, protetto dagli anticorpi
neutralizzanti; questo meccanismo è stato evidenziato per
il citomegalovirus che si ritrova nei monociti, per il virus di
Epstein Barr nei linfociti B, per l'HIV e l'HTLV nei linfociti T
e per il parvovirus B19 negli eritroblasti6.
La terza condizione, per cui gli infetti persistenti possano
essere asintomatici e negativi all'anamnesi per patologie
croniche, è ben documentata per l'infezione da HBV e per
quella da HCV.
Una situazione particolare di infezione asintomatica con
anamnesi negativa è rappresentata dal così detto "periodo
finestra", cioè il periodo di tempo successivo ad una nuova
infezione e precedente la comparsa dei sintomi, che è silente
anche dal punto di vista immunologico, per cui il test di
screening, basato sulla determinazione degli anticorpi, non
riesce ad evidenziare l'infezione già in atto.
345
A Faustini
Meccanismi di emergenza dei nuovi virus
Fattori sociali, tecnologici e ambientali contribuiscono
a far emergere nuove patologie e a favorire la recrudescenza
di altre ben controllate o sporadiche7. I meccanismi con cui
questi fattori possono determinare l'emergenza di nuovi
virus si possono schematizzare come di seguito6.
- L'identificazione di virus responsabili di malattie note
da tempo, grazie allo sviluppo dei metodi diagnostici,
in particolare quelli basati su tecniche di biologia
molecolare. Gli esempi più recenti sono il Sin Nombre
Virus, agente della sindrome polmonare da Hantavirus
e l'Herpes virus 8 associato con il sarcoma di Kaposi.
- L'aumento del rapporto casi/infetti in una
popolazione, con conseguente aumento della incidenza
di una malattia, prima sporadica. Questo fenomeno è
dovuto alla alterazione degli equilibri immunitari
stabilitisi tra agente infettante e ospite all'interno di una
popolazione, per cui si ha un aumento improvviso del
numero dei suscettibili, per riduzione della esposizione,
come nel caso della poliomielite alla fine dell'800, o per
una modificazione del patrimonio genetico dell'agente
infettante, come si verifica annualmente per il virus
dell'influenza.
- L'invasione da parte di un virus di una nuova
popolazione o di una nuova specie animale. Questo
meccanismo si realizza quando un gruppo di
popolazione isolata viene a contatto con un virus
affatto nuovo, come è stato per il virus del morbillo in
alcune popolazioni europee dell'Islanda. È possibile
anche che il virus superi le barriere di specie e diventi
persistente in una specie animale nuova. È questo il
meccanismo ormai ben documentato alla base della
infezione umana del virus della immunodeficienza che
deriva da lentivirus delle scimmie africane.
· L'accresciuta trasmissione interumana dei virus.
Questo fenomeno mostra una tendenza all'incremento,
sia per la crescita numerica della popolazione umana,
sia per la crescente porzione di popolazione che vive in
aggregati urbani sovraffollati, sia per la possibilità di
rapidi spostamenti aerei che riducono le distanze tra i
continenti.
Le stime del rischio di trasmissione da trasfusione
La misura diretta del rischio associato alle trasfusioni è
data dal tasso di infezione nei pazienti che abbiano ricevuto
una infusione di sangue o emoderivati. L'elevato numero
di trasfusi e la bassa frequenza delle infezioni da trasfusione
rende impraticabile una sorveglianza continua e completa
su tutta la popolazione dei trasfusi4. Quali sono allora gli
strumenti a disposizione per stimare il numero delle infezioni
trasmesse mediante trasfusione? La sorveglianza sanitaria
346
e i modelli matematici consentono di produrre le stime di
rischio da trasfusione.
La sorveglianza sanitaria
La rilevazione continua di dati sulle infezioni da
trasfusione, impraticabile sulla popolazione totale dei
trasfusi, si attua per eventi gravi o su sottogruppi di
popolazione a rischio elevato, raggiungibili mediante i
registri di patologia. Un contributo rilevante è venuto inoltre
dalla sorveglianza dei donatori, implementata, in periodo
post-AIDS, dalla raccolta sistematica di informazioni
mediante questionari standardizzati.
La sorveglianza di eventi gravi in pazienti sottoposti
a trasfusione
Questa sorveglianza è stata realizzata con due approcci:
l'emovigilanza e il follow-up di gruppi particolari di trasfusi.
L'emovigilanza è un sistema che prevede la notifica di
eventi gravi correlati a trasfusione, quando arrivino alla
osservazione ospedaliera. Noto come SHOT (Serious
Hazard Of Transfusion), questo sistema è adottato in Gran
Bretagna dall'ottobre del 1996. Vi aderisce attualmente, su
base volontaria, il 78% degli ospedali8. Il sistema ha
identificato nei primi due anni di attività 60 casi di sospetta
infezione da trasfusione, 7 dei quali sono stati confermati
come virali: 3 HBV, 2 HCV, 1 HAV, 1 HIV2. Un sistema simile
è attivo in Francia dal 1995, su base obbligatoria. Il limite
più rilevante di questo sistema consiste nella sottonotifica
dei casi, dovuta a mancata segnalazione, ma anche alla non
identificazione, da parte dei clinici, del possibile rischio da
trasfusione per gli eventi gravi che arrivano alla
osservazione ospedaliera. Altri limiti del sistema sono la
mancanza di denominatori, cioè del numero di trasfusioni
effettuate in un dato periodo, in base a cui calcolare i rischi
e la difficoltà di valutare una associazione con la trasfusione
nei casi in cui l'infezione virale si manifesta dopo alcuni
anni2.
Il follow-up di pazienti trasfusi è un approccio che si
prefigge di controllare, in maniera prospettica, alcune
infezioni, restringendo la definizione di esposto a gruppi di
pazienti di cui siano disponibili i registri di patologia. Un
esempio interessante è rappresentato dalla sorveglianza
sugli emofilici avviata negli Stati Uniti dal 1998 che prevede,
in questo gruppo di pazienti, il controllo periodico per
epatiti e HIV, e la segnalazione di manifestazioni cliniche
inusuali. Nella sorveglianza è prevista anche una raccolta
di sieri che possa consentire una diagnosi a posteriori di
patologie non diagnosticabili al momento del controllo. Un
altro studio americano adotta lo stesso approccio di followup di lungo periodo, arruolando solo i pazienti trasfusi con
componenti ematiche derivate da donatori che hanno
sviluppato la malattia di Creutzfeldt-Jakob, allo scopo di
verificare la possibile trasmissione ematica di questa
malattia 9.
La contaminazione virale dei prodotti trasfusionali
Tabella II: rischi residui di infezione da sangue sottoposto a controllo. USA 1991-93
virus
tasso di sieroconversione
per 100.000 anni persona
(IC 95%)
durata del periodo finestra
in giorni (range)
rischio residuo
per milione di donazioni
(IC 95%)
HIV
3,4
(2,2 - 4,8)
22
(6 - 38)
2,0
(0,4 - 5,0)
HTLV
1,1
(0,5 - 2,0)
51
(36 - 72)
1,6
(0,5 - 3,9)
HCV
4,3
(2,4 - 6,9)
82
(54 - 192)
9,7
(3,5 - 36,1)
4,1
(2,8 - 5,6)
9,8
(6,7 - 13,4)
59
(37 - 87)
6,7
(2,9 - 13,4)
15,8
(6,8 - 32,0)
HBV
HBsAg
HBV totale
Tabella III: rischi residui di infezione da sangue sottoposto a controllo. Francia 1994-96
virus
tasso di incidenza
per 100.000 anni persona
(IC 95%)
durata del periodo finestra
in giorni (range)
HIV
1,7
(0,9 - 2,9)
22
(6 - 38)
1,0
(0,1 - 3,4)
HCV
2,7
(1,8 - 4,0)
66
(38 - 94)
4,9
(1,9 - 10,3)
1,3
(0,7 - 2,3)
3,7
(2,6 - 5,1)
56
(25 - 109)
HBV
HBsAg
HBV totale
La sorveglianza di malattie infettive a rischio elevato
di trasmissione mediante trasfusione
Le notifiche di malattia infettiva relative a casi di epatiti
e di AIDS vengono sistematicamente approfondite in modo
da analizzare le associazioni con trasfusioni di sangue ed
emoderivati. La sorveglianza dei casi di AIDS è attiva in
USA e in gran parte dell'Europa dal 1985. Essa ha permesso
di stimare in oltre 8.000 i casi di AIDS da trasfusione negli
Stati Uniti fino al 92 e in 6.000 i casi in Europa fino al 93; qui
le incidenze più elevate sono state registrate in Francia con
3,3 casi per milione di trasfusi e in Romania con 30 casi per
milione di trasfusi tra i bambini10. La sorveglianza delle
epatiti, oltre a fornire dati su pregresse trasfusioni per i casi
clinici di epatite da HAV, HBV e HCV, ha contribuito ad
identificare nuove forme di epatite trasmesse mediante
trasfusione, come quelle da HGV e da TTV.
La sorveglianza dei donatori
La sorveglianza dell'AIDS, dal 1985, prevede anche la
raccolta sistematica di dati sui donatori. Si possono così
definire periodicamente le stime di prevalenza e incidenza
delle infezioni virali nei donatori11. La raccolta periodica di
informazioni mediante questionari standardizzati ha, inoltre,
rischio residuo
per milione di donazioni
(IC 95%)
5,6
(1,8 - 15,2)
permesso la definizione dei comportamenti a rischio e di
altre caratteristiche epidemiologiche nei donatori
sieropositivi9. Infine, questa sorveglianza consente la
costruzione di banche di sieri, su cui effettuare test ripetuti
con metodiche più sensibili, test per patologie non
diagnosticabili al momento della donazione e studi mirati
sui donatori che sieroconvertono. Questi ultimi consentono
di ricostruire le fasi immunologiche della infezione naturale
e di studiare l'ampiezza del periodo finestra con diversi
metodi analitici4.
I modelli matematici
In base ai dati delle sorveglianze e ai risultati di studi ad
hoc, si stimano i tassi di sieroconversione nei donatori, la
durata dei periodi finestra e i rischi di trasmissione delle
infezioni virali da sangue controllato. La elaborazione di
queste stime viene fatta mediante modelli matematici. Sono
stati elaborati modelli di trasmissione per le infezioni da
HIV, HTLV, HCV e HBV. In tabella II e III sono riportate le
stime di rischio per queste infezioni, rispettivamente in USA4
e in Francia12. Oltre che alla produzione delle stime di rischio,
347
A Faustini
i modelli sono utilizzati per valutare le strategie per il
controllo della trasmissione delle infezioni virali e misurarne
l'impatto nella popolazione13. L'elaborazione dei modelli si
basa su alcuni assunti che è necessario tenere presenti per
un corretto utilizzo delle stime che producono. Il primo
assunto è che la trasmissione si verifichi soltanto da
donatori in periodo finestra; le stime sono, quindi, valide
nei paesi in cui siano stati attuati sia la selezione dei
donatori che la effettuazione dei test di screening4,14,15. Altre
assunzioni dei modelli sono che il momento della donazione
sia indipendente da quello della infezione, che l'incidenza
dei nuovi casi, il numero e l'intervallo tra le donazioni siano
costanti nel tempo14, che la trasmissione della infezione da
trasfusione contaminata sia vicina al 100 %, che non si
verifichino errori di laboratorio, che non si abbiano infezioni
dovute a varianti dei ceppi virali non diagnosticabili con i
test a disposizione, che non sia possibile uno stato di
infezione cronica immunologicamente silente15. Alcune di
queste assunzioni sono imprecise e altre non sono state
confermate dall'esperienza: gli errori di laboratorio sono
stimati intorno a 1 su 2.600.000 donazioni4; il test di
screening per l'HIV-1 non individua le infezioni da HIV-1
gruppo O16, 17; la probabilità di trasmissione per il paziente
che riceve sangue infetto è vicina al 100 % per l'HIV18, ma è
stata stimata del 78-88 % per l'HCV19, 20. Inoltre, i modelli
matematici trascurano la bassa sopravvivenza dei trasfusi
rispetto alla popolazione normale, per cui il tempo di
osservazione non sarebbe sufficiente perché essi
sviluppino una malattia infettiva trasmessa via
trasfusione21. Nonostante questi limiti e nonostante le stime
prodotte abbiano ranges molto ampi4, i modelli matematici
mantengono la loro validità per la definizione del rischio
legato al periodo finestra. Definito "rischio residuo" esso è
funzione dell'incidenza di nuovi casi nei donatori e della
durata del periodo finestra, a sua volta correlato con la
sensibilità dei test utilizzati per lo screening. Dalle tabelle II
e III posiamo osservare che il rischio residuo per l'HIV è più
contenuto rispetto al rischio di epatiti da HBV e da HCV.
Questo dato è attribuibile ad una più alta sensibilità dei
test di screening per l'HIV che ha comportato una riduzione
del periodo finestra maggiore che per gli altri virus22. Inoltre,
è possibile che le procedure di esclusione dei donatori siano
più efficaci per l'HIV perché i fattori di rischio sono meglio
conosciuti e più facilmente rilevabili12. I rischi da trasfusione
per le epatiti da HBV e da HCV si sono notevolmente ridotti
negli anni. Il dato dell'HCV è spiegato dal rapido
miglioramento dei test sierologici e, quindi, dalla riduzione
del periodo finestra23, 24, mentre sulla riduzione del rischio
per l'epatite B è più probabile che abbiano influito altri
fattori, quali la progressiva esclusione dei donatori positivi,
grazie alla introduzione del test di screening precedente di
348
quasi 20 anni quello per la epatite da virus C, e l'introduzione
della vaccinazione anti-epatite B, limitatamente ai paesi che
abbiano adottato questo intervento12.
Le infezioni virali trasmesse mediante
trasfusione
Vediamo adesso quali sono le caratteristiche cliniche,
le stime più recenti di rischio e i possibili miglioramenti nel
controllo della trasmissione da trasfusione per le infezioni
virali meglio conosciute e controllate.
HIV
Il virus dell'immunodeficienza umana è un RNA virus
che provoca una viremia persistente sia plasmatica sia
cellulo-mediata. Non è noto alcun caso di guarigione dalla
infezione HIV; l'88% degli infetti sviluppa a distanza di
tempo l'AIDS, il 12 % dei casi non presenta progressione
verso la malattia, pur restando portatore infetto5. Grazie
alla introduzione del doppio trattamento anti-retrovirale
durante il 1996 e il 1997, l'incidenza dell'AIDS si è
notevolmente ridotta. In Europa, su 3.000 pazienti circa
arruolati nello studio EuroSIDA, il numero di diagnosi è
passato da 500 nel 1994 a 95 nel 1998 e la riduzione è più
importante nei sieropositivi sottoposti a terapia25. Altre
variazioni cliniche importanti sono state riportate, in seguito
alla introduzione della nuova terapia: la conta dei CD4 è più
elevata nei pazienti trattati al momento della diagnosi di
una condizione AIDS e si è osservata una modificazione
nelle forme cliniche di esordio, con riduzione delle retiniti
da citomegalovirus e delle infezioni da Mycobacterium
avium e relativo aumento del linfoma non-Hodgkin25.
La stima del rischio da trasfusione dell'HIV si è
drasticamente ridotta, a partire dal 1985 . Negli Stati Uniti
da 1 caso su 153.000 unità di sangue negli anni
immediatamente successivi all'introduzione dello
screening18 si è arrivati ad avere 1 caso su 450.000-660.000
unità di sangue controllato nel 1992-9314. Il dato americano
è coerente con le stime prodotte, per lo stesso periodo, su
sangue controllato, in Francia con 1 caso per 588.000 unità23
e in Italia con 1 caso per 600.000 unità26. Più recentemente,
stime ancora più basse di 1 caso su 2.323.778 sono state
prodotte in Europa, relativamente al 199727. Ulteriori
possibili riduzioni del rischio di trasmissione dell'HIV da
trasfusione sono possibili mediante la determinazione
dell'antigene p24, che riduce il periodo finestra di circa 6
giorni e con le tecniche di amplificazione genica, come la
PCR, che lo riduce di circa 11 giorni22. La discussione sulla
introduzione di questi test nello screening dei donatori
deve tenere conto del rapporto costi/benefici, ma anche
La contaminazione virale dei prodotti trasfusionali
dei dati epidemiologici. Il test per l'antigene p24 identifica
le infezioni da HIV-1 gruppo O, che non vengono
diagnosticate dagli attuali test anticorpali. L'importanza del
test antigenico dipende quindi dalla prevalenza della
infezione con questo specifico sottogruppo. Se negli Stati
Uniti il test per l'antigene p24 ha identificato solo 2 donatori
positivi su 6 milioni di donazioni28, la situazione è molto
differente in Camerun dove l'infezione da HIV-1 gruppo O è
endemica e in paesi come la Thailandia, in cui la stima dei
casi da trasfusione è di 1 su 18.000, e la ricerca dell'antigene
p24 ridurrebbe di ben 60 casi all'anno le infezioni da
trasfusione29.
HBV
L'infezione da HBV cronicizza nel 10% degli adulti e in
percentuali molto più elevate nei bambini: fino al 25% nei
bambini di 1-5 anni e fino al 90% nei neonati. Il 25% dei
portatori sviluppa epatite cronica attiva che spesso
progredisce fino a cirrosi, con possibile evoluzione anche
in carcinoma epatocellulare30. La diffusione della infezione
da HBV avviene essenzialmente per via ematica, ma fino al
40% degli infetti non hanno un fattore di rischio
identificato31; questo rende difficile la selezione dei donatori
con comportamenti a rischio.
La trasmissione della infezione da HBV mediante
trasfusione si è notevolmente ridotta nel tempo; nel 198688 la stima del rischio residuo era di 1 caso su 100 unità
trasfuse30, nel 1991-93 era di 1 caso su 63.000 unità4 e per il
1997 in Europa la stima di rischio da trasfusione è stata di 1
caso su 398.499 donazioni ripetute27. Anche per l'infezione
da HBV, la riduzione del rischio da trasfusione è dovuta a
più fattori, quali l'esclusione dei donatori pagati, l'aumentata
sensibilità, a partire dalla metà degli anni 70, dei test di
screening HBsAg di terza generazione, l'introduzione, nel
1986, del test anti-HBc capace di diagnosticare l'infezione
negli infetti negativi all'HBsAg30,32. Tuttavia, il rischio
residuo di infezione da HBV è più alto rispetto a quelli sia
dell'HIV che dell'HCV.
La vaccinazione anti-epatite B può essere un valido
intervento di prevenzione nei soggetti che debbano
sottoporsi a trasfusioni e infusioni di emoderivati12,32,33. Lo
sviluppo di tecniche diagnostiche basate sulla
amplificazione degli acidi nucleici, invece, nel caso del HBV,
non promette di ridurre in modo importante il rischio di
trasmissione da donatori in periodo finestra. Infatti, il virus
dell'epatite B provoca nell'infetto una viremia plasmatica a
basso titolo, con un incremento del DNA virale
relativamente lento, tanto che il virus può essere
diagnosticato a basse concentrazioni molte settimane prima
che sia rilevabile l'HBsAg; d'altra parte, la carica infettante
del virus è molto bassa: 10 - 20 particelle sono sufficienti a
indurre l'infezione e questa concentrazione infettante può
essere raggiunta 40 giorni prima della sieroconversione
HbsAg. Pertanto, solo tecniche di amplificazione degli acidi
nucleici estremamente sensibili riuscirebbero a
diagnosticare gli infetti HBsAg negativi nel periodo
finestra34.
HCV
La infezione acuta da HCV può non dare sintomi
rilevanti sino nel 70% dei casi. Essa si risolve con la
eliminazione del virus solo nel 20% dei casi; il 50% degli
infetti sviluppa una malattia cronica del fegato con
progressione in cirrosi epatica in un quinto dei casi e in
carcinoma epatocellulare nell'1-4% dei casi. Il 30% degli
infetti si suppone rimangano portatori cronici asintomatici
per lunghi periodi35.
Il rischio di infezione da HCV mediante trasfusione da
donatori in periodo finestra si è notevolmente ridotto grazie
alla aumentata sensibilità dei test per la determinazione
anticorpale, stimata pari o superiore al 97%, per i test di
terza generazione35. Il rischio residuo è stato stimato in 1
caso su 103.000 unità di sangue controllato relativamente
al 1991-93, in USA4 e in 1 caso su 620.754 unità studiate
relativamente al 1997, in Europa 27. Una ulteriore riduzione
del rischio sembra possibile grazie al test per l'antigene
virale e ai test di amplificazione degli acidi nucleici. Il virus
della epatite C è un RNA virus, che provoca, nell'infetto,
una viremia plasmatica. La fase viremica dell'HCV è
caratterizzata da una rapida replicazione del virus, da un
titolo elevato e da una notevole durata, stimata in 41 giorni
circa, prima della sieroconversione. L'HCV RNA può essere
evidenziato entro 1 o 2 settimane dalla infezione. Per queste
ragioni, l'HCV è un buon candidato ai test di screening con
tecniche di amplificazione degli acidi nucleici su pool di
sieri che includano da 100 a 500 donazioni34, 35.
I virus emergenti
HHV-8
L'Human herpesvirus 8 è un virus a DNA identificato
nel 1994 in un paziente con sarcoma di Kaposi36. La
prevalenza del virus è bassa nei paesi occidentali. Sono
state riportate stime di prevalenza del 18-28% nella
popolazione generale degli Stati Uniti e del 2% in Europa.
Differente è la situazione in Africa, dove le stime di
prevalenza in popolazione sono molto più elevate: 22,5%
in Centro Africa, 32% in Zimbaue, 56% in Nigeria, 80% in
Uganda, Zaire, Gambia, 100% in Costa d'Avorio. La
distribuzione geografica della infezione è altamente correlata
con tutte le forme del sarcoma di Kaposi 37-39. In base a
349
A Faustini
questi dati, si è ipotizzato un ruolo eziologico dell' HHV-8
rispetto al sarcoma di Kaposi, ma l'immunodeficienza sembra
essere un cofattore importante36. Il virus provoca una
viremia cellulo-mediata. La sua trasmissibilità mediante
trasfusione è sostenuta dalla individuazione del virus in
donatori apparentemente sani; tuttavia, la bassa carica
virale di HHV-8 circolante potrebbe rappresentare un fattore
di ridotta capacità infettante, così come non tutte le particelle
virali circolanti potrebbero essere infettanti per il ricevente.
Il test sierologico si basa sulla identificazione di anticorpi a
due soli antigeni dell'HHV-8, gli antigeni latenti e una
proteina capsidica; il test ha dato risultati negativi in soggetti
testati infetti mediante PCR. È probabile che sia necessaria
una combinazione di molti antigeni per ottenere un test
abbastanza accurato per lo screening anticorpale38. Dato
che l'HHV-8 provoca una viremia cellulo-mediata, il rischio
di trasmissione è legato alla infusione delle componenti
cellulari ematiche del sangue fresco. Alcuni Autori
suggeriscono di escludere dalle donazioni di sangue gli
individui provenienti dalle aree ad alta prevalenza di HHV8, fino a che non sia disponibile un test di screening valido
alla diagnosi dell'infezione37.
quantità di emoderivati infusi 43. È ancora poco chiara,
tuttavia, la associazione del TTV con forme cliniche di
epatite. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato un ruolo
eziologico di questo virus, o di alcune sue varianti geniche,
in casi di epatite fulminante43. Inoltre, il virus è stato isolato,
sempre in Giappone, nel 47% dei pazienti con epatite
fulminante non A-G e nel 46 % di pazienti con epatite cronica
a eziologia sconosciuta44. Invece, nello studio di Naoumov
et al.45, la frequenza di isolamento in pazienti con epatopatia
cronica, pari al 25%, non differisce in modo significativo da
quella in controlli sani, pari al 10%. La prevalenza del virus
in donatori abituali, in assenza di manifestazioni cliniche, è
bassa; sono stati riportati valori di 1,9% in Scozia, 10% in
Inghilterra, 12% in Giappone, 16% in Pakistan e 3,2% in
Italia43,45-47. Prevalenze elevate sono riportate in popolazioni
rurali africane, fino all' 83% in Gambia, e in alcune
popolazioni indigene del Sud America e della Nuova Guinea,
con stime fino al 74%46. Ulteriori studi sono necessari per
chiarire il significato della infezione da TTV rispetto allo
sviluppo di epatite clinicamente manifesta.
Conclusioni
HGV
Nel 1995 sono stati identificati, indipendentemente da
due gruppi di ricercatori, in pazienti con segni clinici di
epatite, i virus denominati HGBV-C e HGV, successivamente
riconosciuti come differenti isolati di uno stesso virus a
RNA. La prevalenza in donatori sani è stata stimata, in
diversi paesi, in un range di 1-2%40. È stato provato che il
virus può essere trasmesso mediante trasfusione di sangue
o di emoderivati e che provoca una viremia persistente,
fino a sei mesi nei soggetti immunocompetenti, protetto da
un involucro glicoproteico36,40,41. Ancora oggetto di
discussione è il ruolo eziologico di questo virus nelle epatiti
clinicamente manifeste. Alcuni ricercatori hanno descritto
una associazione tra la infezione da HGV e casi di epatite
fulminante40, ma la maggior parte delle infezioni non è
associata ad epatiti e non aggrava il decorso clinico di
pazienti con epatite da HAV, HBV e HCV; inoltre, non è
stata evidenziata la sua replicazione nelle cellule
epatiche40,41,42.
TTV
Nel 1997, un nuovo virus a DNA è stato identificato da
Nishizawa et al., in Giappone, in un paziente con una epatite
post-trasfusionale ad agente non identificato (citato in36).
Il virus si trasmette mediante trasfusione e infusione di
preparati concentrati di fattore VIII e IX. Infatti, l'infezione
è più probabile negli emofilici che abbiano ricevuto
emoderivati non trattati per i virus ed è proporzionale alla
350
Il rischio di trasmissione delle infezioni virali mediante
trasfusione è molto basso.
Ulteriori miglioramenti nella riduzione del rischio
residuo sono possibili mediante l'utilizzo di test più sensibili,
quali i test antigenici e quelli basati sulle tecniche di
amplificazione degli acidi nucleici, mediante il ricorso mirato
alla terapia trasfusionale, mediante il miglioramento delle
tecniche di inattivazione dei virus.
In futuro, l'attenzione sarà rivolta ai virus emergenti e ai
virus a bassa prevalenza nella popolazione.
Riassunto
Il rischio di contrarre una infezione virale tramite
trasfusione di sangue o emoderivati è oggi molto bassa.
Per quanto rara, questa evenienza è ancora possibile per
virus noti da tempo, quali quelli della epatite B e C (HBV
e HCV) e i retrovirus (HIV e HTLV) ma anche per i virus
emergenti, quali l'Herpesvirus 8 (HHV-8) e quelli delle
epatiti G (HGV) e da trasfusione (TTV). Per poter
contaminare il sangue donato i virus devono rispondere
ad alcune caratteristiche: elevata circolazione
interumana, capacità di indurre viremia persistente,
possibilità di provocare infezioni asintomatiche, stabilità
alle basse temperature. La stima diretta dei rischi di
infezione tramite trasfusione di sangue è data dal tasso di
La contaminazione virale dei prodotti trasfusionali
infezione nei trasfusi. Questa misura è inattuabile, perché
i tassi di infezione sono molto bassi. Per l'elaborazione
delle stime, è oggi necessario ricorrere ai modelli
matematici. La sorveglianza sanitaria in diversi Paesi è
attualmente mirata alla rilevazione di dati su reazioni
gravi nei trasfusi, alla verifica di esposizione a trasfusione
nei casi di malattia infettiva associata a trasfusione, cioè
le epatiti e l'AIDS, al monitoraggio prospettico di gruppi
di pazienti politrasfusi, come gli emofilici, a studi di
prevalenza e di sieroconversione nei donatori. Stime di
rischio sono state elaborate, mediante modelli matematici,
per HIV, HTLV, HBV e HCV, infezioni per le quali il rischio
è riferito alla probabilità di un donatore infetto in periodo
di silenzio immunologico, il periodo finestra. Questo
rischio residuo è funzione del tasso di sieroconversione
nei donatori e dell'ampiezza del periodo finestra, a sua
volta influenzata dalla sensibilità del test di screening. I
rischi residui sono stati stimati per il 1991-93 in 1/
450.000–660.000 unità di sangue controllato per l'HIV,
in 1/63.000 per l'HBV e in 1/103.000 per l'HCV. Stime
europee più recenti, relative al 1997, definiscono i rischi
in 1/2.324.000 per l'HIV, 1/398.000 per l'HBV e 1/621.000
per l'HCV. Ulteriori riduzioni sembrano possibili con i
test basati sulle tecniche di amplificazione degli acidi
nucleici. Tra i virus emergenti, sono stati studiati in modo
più approfondito l'Herpesvirus 8, associato con il sarcoma
di Kaposi, l'HGV e il TTV, associati a casi di epatite
fulminante.
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