Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia – Avvocati di Famiglia X Forum Nazionale (10-13 settembre 2011) Le garanzie del giusto processo nel diritto di famiglia. La decisione. L'esame dell'ordinamento giuridico, con riferimento ai provvedimenti decisori, consente di constatare che alle forme degli atti non sempre corrispondono le garanzie e tutele del giusto processo, come sancito dall'art. 111 Cost. Le scelte del legislatore raramente sono il portato di un disegno coordinato e coerente, più spesso danno luogo ad interventi emergenziali con obiettivi circoscritti, quando non limitati. Queste considerazioni valgono anche per il settore del diritto di famiglia, nel quale l'intervento giurisdizionale è frammentato fra organi diversi, con competenze che si sovrappongono e creano incertezze e quel ch'è peggio vere e proprie diseguaglianze. Possiamo così osservare come il Tribunale ordinario emetta, nella materia del diritto di famiglia, diversi tipi di provvedimenti aventi natura e funzione decisoria: si va dalla forma tipica del provvedimento decisorio, rappresentata dalla sentenza, prevista nell'ambito di diverse procedure: dalla separazione giudiziale al divorzio contenzioso o su domanda congiunta, alle procedure di interdizione e inabilitazione, a quelle sullo status filiationis (riconoscimento, disconoscimento), alla dichiarazione d'assenza (art. 724 cpc). Accanto alla forma tipica della sentenza, abbiamo però altri tipi di provvedimenti aventi carattere decisorio: i provvedimenti emessi dal tribunale nelle forme dell'ordinanza e quelli emessi da vari organi giudiziari nelle forme del decreto. Tipico esempio di provvedimento a contenuto prevalentemente decisorio è l'ordinanza presidenziale emessa nella fase sommaria dei giudizi di separazione e divorzio, la quale ha ricevuto ulteriore impulso e più evidente carattere decisorio-anticipatorio a seguito dei più ampi poteri d'indagine attribuiti alla fase presidenziale dai novellati artt. 155 e segg. c.c. (come modificati dalla legge 54/2006). Ma possiamo riscontrare ancora, come provvedimento di competenza del Tribunale ordinario, l'ordinanza con cui si provvede alla sostituzione dell'amministratore del patrimonio familiare ai sensi dell'art. 735 cpc. Abbiamo infine i provvedimenti emessi nelle forme del decreto: tipica forma di decisione emessa dal Giudice Tutelare, ma forma tipica anche dei provvedimenti di chiusura dei 1 procedimenti camerali disciplinati dalle norme degli artt. 737 e seguenti del codice di rito. Sicché a emettere provvedimenti in forma di decreto non sarà solo tipicamente il giudice tutelare, in procedure per lo più di volontaria giurisdizione, bensì anche il Tribunale per i minorenni, in procedure sì camerali, ma al contempo contenziose, il quale utilizza questa forma nella stragrande maggioranza dei casi di competenza civile, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., sia che tale forma sia espressamente prescritta, come nei soli casi di cui all'articolo 84 c.c.: ammissione al matrimonio, ovvero di cui all'art. 90 c.c.: nomina di curatore, sia nei casi in cui, benché non sia prescritta una forma del provvedimento, essa discenderà dalla forma camerale del procedimento e pertanto, in virtù del riferimento operato dall'art. 737 cpc, con la forma tipica del decreto motivato. E' invece prescritta la sentenza, benché la procedura resti quella della camera di consiglio, nelle materie sempre di competenza del Tribunale minorile ai sensi degli articoli: 250 cc riconoscimento di figlio naturale; 269 cc – dichiarazione giudiziale paternità e maternità naturale; nonché in materia di adozione – secondo quanto previsto dalla legge 184 del 4/5/1983. Le riforme Nel tentativo incessante di rendere efficiente il sistema processuale civile il legislatore con l'ultima delle numerose riforme parziali (la legge 18 giugno 2009 n. 69) si è dato l'obiettivo ancora una volta di ridurre e semplificare i procedimenti civili. Da tempo si era manifestata da più parti la necessità di mettere ordine al mosaico di giudici, competenze e riti esistenti in materia familiare e minorile, in primo luogo attraverso la riforma ordinamentale del tribunale per la famiglia, ma tutto ciò è stato per ora accantonato: la delega al governo riguarda i procedimenti civili di cognizione (con l'intento di ridurli a 3: ordinario, processo del lavoro e sommario) ad esclusione della materia familiare e minorile (l'art. 54 precisa che “in ogni caso resteranno ferme le disposizioni processuali in materia di famiglia e minori”). La riforma di cui alla legge 69/2009 ha interessato anche le norme relative alla fase decisoria e l’innovazione va calata in un ambito particolare, quello del diritto di famiglia, che comprende come noto peculiari forme di tutela e di intervento giudiziario. In particolare possiamo distinguere: 1) una funzione giurisdizionale piena, in quanto attinente a diritti soggettivi o status; 2 2) una funzione giurisdizionale non necessaria, in cui la gestione di interessi viene affidata al giudice che la esercita attraverso la cd. giurisdizione volontaria o non contenziosa; 3) zone di confine, nelle quali sono coinvolti diritti soggettivi e contemporaneamente interessi di più parti, ovvero situazioni sostanziali protette delle quali sono titolari per es. soggetti diversi dai coniugi (procedimenti plurilaterali); 4) una funzione giurisdizionale necessaria, relativa alla cura degli interessi dei figli minori, dalla legge affidata al giudice d'ufficio, ciò che realizza una forma di giurisdizione volontaria anche in assenza di domanda. Un esempio estremo di provvedimento emesso d'ufficio in assenza di domanda è 1 un recente decreto del Tribunale per i Minorenni di Trieste (decreto 18 maggio 2011, Presidente e relatore Sceusa), in un procedimento avviato dal padre ai fini di una pronuncia di affido e mantenimento della figlia naturale, nel quale entrambi i genitori avevano chiesto, pur nelle rispettive rivendicazioni, un regime di affido condiviso. Il giudice ha ritenuto di non poter accogliere le istanze delle parti e, pur in assenza di domanda formulata dal PM, convocato ma non comparso, ha ritenuto di dover pronunciare d'ufficio la decadenza della potestà genitoriale di entrambi i genitori, utilizzando i riferimenti normativi rappresentati da: Convenzione di Strasburgo Art. 8. Possibilità di procedere d'ufficio. Nei procedimenti che riguardano un minore l'autorità giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del minore sia seriamente minacciato, di procedere d'ufficio. art. 317-bis II co. c.c.: “Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore. Il diritto di famiglia si caratterizza inoltre per un'ontologica esigenza di adattamento 1 pubblicato su Famiglia e Minori, luglio 2011 n. 7, pag. 57. 3 permanente alla situazione del momento (rebus sic stantibus), mutando, tra l’altro, le relazioni affettive ed economiche tra i vari soggetti coinvolti, con sempre maggiore frequenza rispetto al passato. Tale esigenza, venne posta in luce già all’epoca della riforma del diritto di famiglia, dalla Corte Costituzionale: “Vi sono sentenze, le quali, nella regolazione di tutto o di parte del rapporto dedotto in giudizio, vengono pronunziate sulla base di una valutazione discrezionale, da parte del giudice, delle circostanze di fatto assunte a base della decisione. Tali sentenze sono modificabili con una nuova decisione, qualora intervengano mutamenti nelle dette circostanze, nell'evidente intento di salvaguardare le esigenze di giustizia ed equità cui la sentenza si deve ispirare” Corte Cost. n. 202/1975. La giustizia del diritto di famiglia, in altri termini, è una giustizia complessa, che da un lato deve tener conto della situazione iniziale (come petitum e causa petendi) dall’altro deve considerare i mutamenti di fatto che siano intervenuti nella vita delle persone ed adattarsi ad essi, dando così luogo ad interventi e modifiche infrequenti in altri settori. Le forme della decisione nel processo civile ordinario La disciplina generale del processo civile trova applicazione anche nei riti speciali nei limiti di compatibilità con gli stessi. Alla decisione della causa sono dedicati: il titolo V del I libro del c.p.c. “Dei poteri del giudice” articoli dal 112 al 120 “provvedimenti” articoli da 131 a 135 la sezione III del titolo VI disposizioni per l'attuazione della decisione della causa articoli dal 113 al 121 disp. att. Siffatte norme, in linea generale, sono applicabili alle procedure di diritto di famiglia in quanto compatibili, ovvero in quanto non derogate da norme speciali. Non mancano, tuttavia, le eccezioni. In difetto di una disciplina base, è la giurisprudenza ad intervenire a colmare la lacune od ad individuare forme di raccordo tra riti e norme, nel tentativo, non sempre colto, di pervenire a soluzioni coerenti con il sistema e accettabili per la tutela dei soggetti coinvolti. Compito, non agevole, del resto, anche per quella sorta di schizofrenia cui la produzione 4 legislativa pare affetta, come emerge dal sovrapporsi di norme contrastanti tra loro e dal ritorno a soluzioni previgenti, quali ad esempio, la scelta di duplicare nuovamente i modelli processuali della separazione personale e del divorzio di cui legge 80 del 14/5/2005, in contrasto con quanto opportunamente previsto dall’art. 23 della legge 6/03/1987 n. 74 (riforma del divorzio). Più nel dettaglio, la fase decisoria del processo ordinario segue l’udienza in cui le parti abbiano precisato le conclusioni, ovverosia il momento processuale in cui vengono cristallizzate le domande che si rivolgono al Giudice, per quanto non sempre la mancata riproposizione delle medesime (al pari delle eccezioni) possa ritenersi tout court rinuncia alle stesse. In questo senso, ex plurimis: La mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia tacita in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse. (Cass. civ., sez. III, 16-02-2010, n. 3593). La fase decisoria nell’ambito della materia familiare è per lo più affidata al collegio, tenuto anche conto della riserva contenuta nell'art. 50-bis per le cause che richiedono la partecipazione del P.M. e per i procedimenti in camera di consiglio. Art. 50-bis. (Cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale) Il tribunale giudica in composizione collegiale: 1) nelle cause nelle quali e` obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto; .... (omissis) Il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli articoli 737 e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto. Dall’udienza di precisazione delle conclusioni, decorrono in ogni caso i termini per il deposito delle difese conclusive (nelle consuete scadenze dei sessanta giorni e dei venti, successivi per conclusionali e repliche). Rara invece l'udienza di discussione orale, forse per una necessità, più marcata rispetto ad altre materie, di valutare con una cera ponderazione documenti anche di natura tecnica (si pensi alle consulente tecniche d’ufficio in materia psicologica o alla documentazione 5 economica, sovente copiosa e di non immediato approccio). La sentenza. La decisione finale del procedimento si sostanzia in una sentenza, che può essere di accertamento, di condanna o costitutiva. Essa contiene: - una parte enunciativa (l'indicazione del giudice, delle parti e dei difensori, le conclusioni del P.M. e delle parti); - la motivazione, ora sintetizzzata nella formula “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (L'art. 118, comma I disp. att. cpc, come integrato dalla riforma del 2009, prevede ora che: “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”. - il dispositivo, la data e la firma. Allorchè la decisione fosse resa a seguito di discussione orale, ai sensi dell'art. 281-sexies cpc, la sentenza è inserita nel verbale dell'ultima udienza. La fase decisoria nel processo di separazione e divorzio La struttura bifasica del I grado - le differenze di rito tra I e II grado I giudizi di separazione e divorzio comportano talune caratteristiche tipizzate: 1) la struttura bifasica del I grado: il processo è suddiviso in una fase presidenziale caratterizzata dalla sommarietà e da una successiva a cognizione piena, alla quale si applicano le norme del giudizio ordinario; 2) l’applicazione di due riti differenti a seconda del grado: rito ordinario nel primo grado e camerale nel secondo; 3) la possibilità di emissione di una sentenza definitiva parziale (pronuncia sullo status separata ad esempio dalla disamina delle questioni economiche e di affido della prole che proseguono); 4) l’ammissibilità di emissione di provvedimenti a contenuto decisorio in corso di causa. Nel corso del giudizio possono aversi diversi provvedimenti aventi carattere decisorio: anzitutto l'ordinanza presidenziale. 6 La natura giuridica dell'ordinanza presidenziale non è univoca: 1) è stata ricostruita in termini di volontaria giurisdizione, in quanto il presidente non decide la controversia, bensì detta una regolamentazione provvisoria finalizzata ad assistere le parti; per cui la fase contenziosa avrebbe inizio solo con la rimessione 2 delle parti al G.I. (così Cass. 3/12/1996 n. 10780 ); 2) secondo altri avrebbe invece natura di provvedimento giurisdizionale contenzioso di accertamento a cognizione sommaria e con funzione esecutiva (Cass. 16/4/1997, 3 n. 3258 ). Depone in questo senso l'estensione alla fase presidenziale del potere, anche d'ufficio, di assunzione della prova, di ascolto del minore, di avvio alla mediazione, come introdotti con l'art. 155-sexies dalla legge 54/06. Una serie di poteri potenzialmente idonei a fare dell'udienza presidenziale ben più di quanto non fosse il mero ascolto dei coniugi, con la possibilità di assunzione di provvedimenti più approfonditi, anche tenuto conto del nuovo riesame da parte della Corte d'Appello. Quest'ultima ricostruzione sembra più coerente con l'attuale stato della disciplina: se nell'ottica del legislatore del codice civile il tentativo di (ri-)conciliazione era l'aspetto centrale dell'udienza presidenziale; oggi si può senz'altro affermare che il tentativo è piuttosto finalizzato al raggiungimento di un accordo, anche grazie al lavoro che avranno saputo svolgere i difensori, la cui assistenza è oggi espressamente prevista come obbligatoria. In altri termini, l’udienza presidenziale è oggi la sede eletta per tentare non tanto la (ri)concializione dei coniugi ed il ritorno alla interrotta comunione materiale e spirituale, bensì luogo in cui concentrare le forze per pervenire ad una soluzione amichevole e preventiva del conflitto, ancorquì nel prevalente interesse dei minori, qualora vi siano, alla presenza e con l’aiuto dei legali la cui assistenza è divenuta frattanto obbligatoria. Sotto il profilo esecutivo, infine, la natura decisoria dell’ordinanza presidenziale si evince: − dalla possibilità di costituire titolo esecutivo anche per il rilascio dell’immobile; − la sua perdurante valenza anche in caso di estinzione del procedimento; − viceversa, secondo l'orientamento fatto proprio dalla Cassazione, non costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (Cass. 25/11/2000 n. 1100). 2 3 In Massimario Giustizia Civile, 1996, 1663. In Massimario Giustizia Civile, 1997, 586. 7 Altro aspetto che tende a persuadere della natura decisoria dei provvedimenti presidenziale è la sua immediata modificabilità in sede di reclamo dinanzi alla Corte di Appello (art. 708, IV comma cpc, come introdotto dalla legge 54/2006). Tale possibilità di riesame convive con le facoltà di revoca e modifica da parte del G.I. della causa di merito (art. 709 comma IV e art. 4 comma VIII L. div.), una possibilità peraltro oggi del tutto discrezionale, dal momento che è stato eliminato il requisito del mutamento delle circostanze di cui al precedente testo dell'art. 708 cpc, comma IV.”. In una prospettiva de iure condendo si ritiene auspicabile l'unificazione della fase presidenziale a quella istruttoria, assegnando al giudice istruttore i poteri di emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti, assunti sulla base di un'istruttoria sommaria, analogamente a quanto previsto in materia di ordini di protezione dagli artt. 342-bis e 342ter c.c. e 736-bis c.p.c. Altra caratteristica del processo di famiglia, è data dal cumulo di domande: in via principale con richieste inerenti allo status ed in via correlata attinenti alla gestione degli aspetti concreti di gestione della coppia, di definizione economica dei rapporti e di disciplina dell’affidamento della prole e dell'assegnazione della casa familiare. Il legislatore e la giurisprudenza tendono, opportunamente, a privilegiare la rapidità della formazione di un titolo sullo status con la previsione di una sentenza non definitiva. La formulazione della norma, introdotta anch'essa a seguito della riforma del 2005, fa ritenere tale via privilegiata un vero e proprio obbligo e non una facoltà per il giudice ( art. 709-bis cpc: “Nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione”. La sentenza non definitiva circa lo status è impugnabile solo con appello immediato (è esclusa la riserva d'appello), da esperirsi con ricorso da depositare presso la Cancelleria della Corte d'Appello entro 30 gg. dalla notifica della sentenza (anche qui valgono le regole ordinarie e non quelle dei procedimenti camerali - art. 325 cpc) ovvero entro 6 mesi dalla pubblicazione. Non è possibile pertanto verbalizzare istanza di appello differito alla prima difesa successiva rispetto all’emissione della sentenza parziale. Per la fase istruttoria il nuovo art. 709-bis richiama espressamente le norme del rito 8 ordinario: “All'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183”, commi primo, secondo, e dal quarto al decimo. Si applica altresi l'articolo 184”. Tutto il procedimento si caratterizza per essere a cognizione piena, salva l'introduzione tramite ricorso. Anche per la fase decisoria del primo grado si ritengono pacificamente applicabili le regole del rito ordinario: precisazione delle conclusioni, rimessione al collegio per la decisione, deposito di comparsa difensive finali. Il grado di appello viceversa è regolato dalle norme sui procedimenti in camera di consiglio (in forza della scarna disposizione dell'art. 4 comma 15 della legge sul divorzio richiamato per la separazione all'art. 23 della legge 74/1987). Il collegio della Corte d'appello (costituito da tre giudici) non può subire modifiche, in quanto l'art. 276 cpc, che impone la partecipazione alla deliberazione della decisione degli stessi giudici che componevano il collegio all'udienza di discussione, si applica anche al rito camerale: la differente composizione del collegio è causa di nullità insanabile della sentenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. 22/03/1993 n. 3371). La prassi prevede quindi un'istruttoria solo eventuale, vengono escluse l’udienza di precisazione delle conclusioni e le difese scritte, si discute oralmente la controversia con decisione in camera di consiglio senza pubblica udienza. La Corte Costituzionale, che è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del rito camerale nel giudizio d'appello, nonché sul rispetto delle garanzie processuali a tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito (diritto alla prova), si è espressa (sentenza n. 543 del 1989) rigettando entrambe le questioni, osservando: − quanto al rito che “il procedimento camerale non è di per sé in contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo è variamente configurabile dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi "purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione", cioè la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”; − quanto al diritto alla prova: “Neppure può ritenersi violato il diritto di prova, perché, a parte il considerare che esso ha già avuto modo di esplicarsi compiutamente nel giudizio di primo grado, va rilevato che anche nel rito camerale in appello è possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purché il relativo modo di assunzione - comunque non formale nonché atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento, e, d'altro lato, non violi il principio generale della idoneità degli atti processuali al raggiungimento 9 del loro scopo (sentenza n. 238 del 1976). Inoltre va osservato che in un sistema istruttorio nel quale alla limitazione dell'iniziativa probatoria della parte corrisponde un più incisivo potere ufficioso del giudice, rimane egualmente assicurata la possibilità di accertamento dei fatti controversi”. La Consulta ha per contro ritenuto essenziali ai fini di garantire il diritto di difesa: − la convocazione delle parti; − il potere di esercitare le facoltà di prova seguendo e contestando ogni risultanza istruttoria; − la motivazione del provvedimento decisorio; − la congruità dei termini ad impugnare. In ogni caso, come visto, il provvedimento di chiusura del procedimento camerale della fase impugnatoria resta comunque una sentenza, sia in senso formale sia sostanziale. Le forme della decisione nei procedimenti camerali di diritto di famiglia. Il decreto Ai sensi dell'art. 737 c.p.c. il provvedimento attraverso il quale si concludono i procedimenti in camera di consiglio ha forma di decreto motivato, salvo che la legge non disponga altrimenti. I requisiti del decreto sono quelli previsti dall'art. 135 cpc. Art. 135. (Forma e contenuto del decreto) Il decreto e' pronunciato d'ufficio o su istanza anche verbale della parte. Se e' pronunciato su ricorso, e' scritto in calce al medesimo. Quando l'istanza e' proposta verbalmente, se ne redige processo verbale e il decreto e' inserito nello stesso. Il decreto non e' motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge; e' datato ed e' sottoscritto dal giudice o, quando questo e' collegiale, dal presidente. La decisione sarà di regola collegiale (in forza del rinvio operato dall'art. 50-bis, II comma cpc), salvo che sia altrimenti disposto. Il contenuto del decreto può essere puramente negativo, ove il giudice neghi o escluda la proponibilità dell'istanza, la possibilità o la ragione del provvedere, o l'idoneità o sufficienza degli elementi che gli siano stati forniti o che lui stesso abbia potuto raccogliere per dare 10 un provvedimento positivo. E' quindi ammissibile nel campo della volontaria giurisdizione (a differenza della giurisdizione contenziosa) che il giudice pronunci negativamente “allo stato degli atti” con una procedura di c.d. “non liquet”(cosa che normalmente è preclusa al Giudice ordinario, che deve sempre pronunciarsi in un senso o nell’altro). Anche l’ambito decisorio della pronuncia in camera di consiglio può essere più ampio rispetto al “chiesto” (per quanto quest’ultima sia la norma), non essendo precluso al giudice di pronunciare anche ultra vel extra petita, pur sempre nei limiti del caso che gli sia stato sottoposto, dell'istruttoria emersa e sempreché vi sia in questo senso un interesse pubblico e non vi siano ostacoli nella legge. Quanto alla motivazione, principio cardine è quello rappresentato dall'art. 111, comma 6 Cost., il quale prescrive che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. L'assolvimento dell'obbligo di motivazione esige che il provvedimento non contenga solo formule stereotipate o di mera affermazione di ricorrenza delle condizioni di legge, ma anche il positivo riscontro nella fattispecie delle medesime, con esposizione, anche se succinta, degli elementi su cui si fonda il convincimento. In ordine agli elementi minimi ed indispensabili della motivazione si è espressa, ad esempio, Cass. 24/01/1981 n. 545 (in GC, 1981, I, 1400) resa in un giudizio di ammissione all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali, in questi termini: “Stante la natura sommaria della delibazione preliminare (ora soppressa), del carattere prevalentemente inquisitorio, della struttura contenziosa, deve ritenersi applicabile il principio di acquisita giurisprudenza secondo cui il giudice del merito, pur non essendo tenuto ad analizzare dettagliatamente tutte le fonti di prova e a confutare una ad una le argomentazioni delle parti, deve tuttavia tener conto del sistema difensivo delle parti stesse nella sua unitarietà e complessità, avendo lo stesso sistema difensivo valore di decisività”. Del resto si è assistito in questi anni ad un tendenziale favore per la cameralizzazione dei riti di famiglia, a partire dalla legge sul divorzio e con l’avvallo della Corte di Cassazione e della Consulta (tra le più risalenti, Corte Cost. 10 luglio 1975, n. 202). Ex plurimis, in materia di amministrazione di sostegno, Cass. n. 25366 del 29/11/2006 ha 11 statuito che: “Appare evidente che l'equivalenza tra rito della giurisdizione volontaria ed attività amministrativa del giudice deve considerarsi ampiamente superata e che anche il binomio rito camerale - atecnicità della difesa non è ulteriormente sostenibile, attesa la sempre più estesa utilizzazione da parte del legislatore di detto rito camerale, in ragione della sua maggiore funzionalità rispetto ad esigenze di semplificazione e concentrazione”. I decreti in genere chiudono la procedura e vengono emessi a compiuta disamina delle risultanze processuali. Tuttavia, si annotano anche decreti camerali provvisori, di natura analoga a quella dell’ordinanza presidenziale emessa in sede di separazione/divorzio e ciò ad opera del tribunale minorile. Ne è (raro) esempio il decreto camerale provvisorio emesso da Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna, in una vicenda che vedeva la madre, non convivente con il bambino, ostacolare il padre nel suo diritto di visita, minacciarlo di portare il minore all’estero, mantenendo con la figura paterna un rapporto altamente conflittuale Trib. Min. Emilia Romagna, Pres. rel. Stanzani, 2/07/2010, decreto provvisorio 4 “A fronte della situazione descritta son ravvisabili entrambi i requisiti a sostegno dell’emanazione del provvedimento urgente richiesto ... il fumus è individuabile nella conclamata illegittimità del comportamento materno concretizzatosi nel negare al padre ogni contatto col figlio e, soprattutto, nell’occultarne l’attuale domiciliazione; comportamento tanto più grave perché tenuto a ridosso dell’udienza fissata dal Tribunale alla quale la donna non si è presentata senza fornire giustificazione alcuna. Il periculum si identifica, per parte sua, nella possibilità, tutt’altro che remota, che il minore venga trasferito all’estero; senza contare l’evidente “caduta” delle cure del medesimo dovuta al repentino, immotivato e definitivo allontanamento della babysitter ... P.Q.M. Affida in via esclusiva il figlio al padre e ne vieta l’espatrio fino al momento in cui il padre stesso lo avrà preso in consegna. Conferisce al Servizio Sociale di Rimini mandato a tutela del minore con i seguenti compiti: (a) curarne, anche avvalendosi della Forza Pubblica, l’immediata collocazione presso il padre; (b) fornire un quadro del grado di civile maturità di entrambi i genitori in ordine al loro ruolo istituzionale ed alla coscienza delle proprie responsabilità personali nei confronti della prole, del lavoro e, in generale, nei rapporti sociali; (c) prospettare, in modo puntuale, analitico e motivatamente argomentato, le situazioni di rischio del minore in ipotesi ravvisate nel suo precedente contesto di vita presso la madre, 4 www.personaedanno.it 12 (d) descriverne lo stato di vita presso il padre; (e) redigere un progetto di incontri con la madre specificandone modalità e tempi senza porlo in esecuzione prima dell’indispensabile autorizzazione del Tribunale. L’analisi richiesta ai punti (b), (c), (d) ed (e) del mandato attribuito dovrà essere concentrata sulla rappresentazione della materialità della situazione di fatto e sul riferimento di circostanze obiettive a supporto degli eventuali giudizi formulabili per effetto dei compiti svolti. La decisione nei procedimenti di diritto di famiglia emessa nelle forme dell'ordinanza. L'ordinanza è tradizionalmente definita come il provvedimento reso nel contraddittorio delle parti (ciò che segna la differenza, ma solo tendenziale, con il decreto). Per l'ordinanza non è individuabile una funzione tipica, assolvendo di volta in volta diverse funzioni: tra queste si rinviene comunque una funzione anticipatoria di condanna, di chiusura del procedimento ed una funzione prettamente decisoria. Art. 134. (Forma, contenuto e comunicazione dell'ordinanza) L'ordinanza e' succintamente motivata. Se e' pronunciata in udienza, e' inserita nel processo verbale; se e' pronunciata fuori dell'udienza, e' scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo e' collegiale, del presidente. Il cancelliere comunica alle parti l'ordinanza pronunciata fuori dell'udienza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione. L'avviso di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere l'avviso. (1) Comma aggiunto dal D.L. 35/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006. La differenza sostanziale intercorrente tra una decisione emessa in forma di sentenza e quella in forma di ordinanza è data dalla circostanza che quest'ultima non spoglia il giudice del potere di ritornare sopra quanto ha deciso: qualunque cosa egli dica con l'ordinanza, può ripensarci, modificare e revocare l'ordinanza o, più in generale, riesaminare la questione già decisa senza bisogno, quindi, di una revoca esplicita dell'ordinanza stessa. 13 Da questo punto di vista l'ordinanza sembra meglio corrispondere alle esigenze di continuo adattamento al caso ed alla sua evoluzione tipiche del diritto di famiglia. Il nuovo procedimento sommario di cognizione Il legislatore dell'ultima riforma ha inteso attribuire al procedimento sommario di cognizione il contenitore minimo di un rito cameral-contenzioso. Nella delega si parla del procedimento sommario come di una sequenza connotata da semplificazione della trattazione ed istruzione della causa, da non confondere con sommarietà della cognizione. Il disegno riformatore della legge 69/2009 si è rivelato tuttavia parziale: la delega sulla semplificazione e riduzione dei riti soffre di troppe eccezioni: per l'art. 54 della legge 69/09 restano ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, di proprietà intellettuali e di codice del consumo. Si assiste ormai da diversi anni ad una tendenziale cameralizzazione del contenzioso sui diritti soggettivi: il rito camerale è stato utilizzato dal legislatore, con l'avvallo della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, quale contenitore neutro, secondo l'espressione utilizzata da Cass. SSUU n. 5629/1996, nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie su diritti o status, finalizzato alla gestione snella di liti da decidere con idoneità del provvedimento finale al giudicato. Parte della dottrina contesta la sufficienza dello schema camerale a sorreggere la definitività dell'accertamento, ma i parametri costituzionali fissati dalla giurisprudenza al “due process of law” mostrano la sostenibilità di un'opzione di questo tipo. Con il procedimento sommario di cognizione il legislatore è intervenuto sostanzialmente a ristrutturare il modello camerale, così da consentire all'ordinamento di disporre di uno schema processuale preordinato al giudicato, tuttavia meno minimale nelle forme. La fase decisoria del procedimento sommario di cognizione assume i profili estremamente semplificati dell'ordinanza. Gli aspetti rilevanti sono: − la provvisoria esecutività; l'espressa attribuzione del carattere di titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e di titolo per la trascrizione. 14 − l'idoneità al giudicato anche delle decisioni di rigetto (la norma aveva creato ambiguità interpretative). − l'applicabilità della disciplina della responsabilità processuale ex art. 96 cpc, della pubblicazione della decisione ai sensi del nuovo art. 120 cpc; della disciplina delle astreints ex art. 614-bis cpc che parla di “provvedimento di condanna” e non di sentenza; − la tendenziale inammissibilità delle decisioni non definitive: l'impianto normativo e la natura acceleratoria del procedimento, contraria al frazionamento, fa propendere verso un'inammissibilità di pronunce non definitive. modelli processuali innovativi: le misure contro la violenza Il modello processuale costituito dalle norme introdotte in materia di “misure contro la violenza nelle relazioni familiari” (legge n. 154 del 4 aprile 2001 che ha introdotto gli art. 432-bis, 342-ter c.c. e 736-bis cpc) presenta innovative modalità di intervento giudiziario, che ben potrebbero costituire la base di partenza per una riflessione su forme più attuali ed efficaci di provvedimenti decisori nel diritto di famiglia. Le misure antiviolenza si caratterizzano per: 1) semplificazione: le misure possono essere adottate su istanza anche della parte personalmente, con ricorso che è esente da contributo unificato e spese; 2) capacità di risposta immediata: gli ordini di protezione possono essere disposti anche “inaudita altera parte”, vale a dire prima dell'udienza, con provvedimento in forma di ordinanza che è immediatamente efficace ed esecutivo 3) focalizzano l'attenzione su un obiettivo mirato: impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare; 4) hanno un ambito di applicazione esteso che va dalla famiglia legittima alle convivenze; 5) un unico Giudice: non sussistono problemi di competenza, affidata al Tribunale ordinario in composizione monocratica, che provvede in camera di consiglio. 6) possibilità di provvedimenti aggiuntivi: oltre al contenuto minimo, dato dall'ordine di cessazione della condotta violenta, possono essere emessi ulteriori provvedimenti molto efficaci, quali: l'allontanamento del soggetto dalla casa familiare; il divieto di avvicinamento al domicilio ed agli altri luoghi frequentati dai soggetti che hanno 15 subito le violenze. 7) decisione reclamabile al collegio del quale non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. De iure condendo: per un modello decisionale unitario nelle procedure di diritto di famiglia Le scelte operate dal legislatore nelle più recenti leggi in materia di famiglia (ordini di protezione, amministrazione di sostegno, procedimento sommario di cognizione) e più in generale la delega alla semplificazione (contenuta nell'art. 54 della legge 18/06/2009 n. 69), mostrano una tendenza verso procedure snelle, un organo giudiziario in composizione monocratica, un rito camerale “istituzionalizzato” e corretto secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, un provvedimento finale reso o in udienza o all'esito della stessa, con ordinanza o decreto immediatamente efficaci ed esecutivi, magari già presidiati dalla previsione di sanzioni in caso di inottemperanza ex art. 614-bis cpc. - per individuare gli elementi caratteristici e le regole che potranno sovraintendere al provvedimento decisorio in materia di famiglia, si può partire dalla considerazione di quelle che sono considerate le garanzie minime ed essenziali, rappresentate oggi dal procedimento sommario, da integrare con le caratteristiche specifiche della materia familiare. Nel definire quali caratteristiche deve presentare un provvedimento decisorio in materia di famiglia, si può fare riferimento ai seguenti principi, ovvero requisiti: rapidità d'intervento: deve poter essere emesso in tempi rapidi per fronteggiare le necessità dei soggetti coinvolti, spesso bisognosi di cure e di interventi immediati (v. minori, coniuge privo di reddito, persona incapace, in generale soggetti deboli). Da questo punto di vista l'organo monocratico è in grado di fornire risposte in tempi più celeri. Osservanza del diritto di difesa: la garanzia del contraddittorio in primo luogo, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti. Questo comporta: 16 - obbligo di convocazione delle parti; - potere di esercitare il diritto alla prova; sia attraverso prove tipiche, sia attraverso sommarie informazioni; vale a dire discrezionalità del giudice nell'ammissione delle prove compensata con la piena facoltà di esercizio del diritto alla prova nel 2° grado di giudizio, laddove non esercitato nel 1° grado. Istruttoria deformalizzata e semplificata che coniughi il diritto di difesa con le esigenze di acquisizione anche attraverso la tecnica delle sommarie informazioni caratterizzata da: − elementi rimessi alla disponibilità delle parti: prove tipiche; − poteri d'iniziativa del giudice: v. mezzi di prova atipici: informazioni della P.S., informative dai Servizi Sociali, indagini della polizia tributaria, ascolto del minore, etc.); − elementi posti a carico delle parti (v. obbligo di produzione delle dichiarazioni dei redditi); contraddittorio esteso al P.M. ma semplificato: il procedimento prosegue anche in assenza del P.M., salvo suo intervento obbligatorio su segnalazione effettuata da qualunque soggetto interessato. molteplici ambiti di tutela: deve tener conto delle domande delle parti, ma anche di situazioni giuridiche soggettive protette: i diritti e/o gli interessi del minore, del disabile, dell'incapace, del figlio maggiorenne privo di reddito, etc.; diritti o interessi per i quali occorre procedere ad impulso nei confronti di un P.M. specializzato. possibilità di sospensione del giudizio per consentire alle parti di accedere ad un percorso di mediazione familiare, con previsione da estendersi a tutti procedimenti in materia di famiglia. impugnabilità e rivedibilità della decisione sia nel merito sia per motivi di legittimità, mediante reclamo all'organo collegiale, nel termine di 10 giorni dalla comunicazione a mezzo posta elettronica certificata, all'organo giudiziario da individuarsi tra: 1° soluzione: Tribunale, in composizione collegiale ma del quale non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Soluzione che si apprezza per la maggiore prossimità dell'organo giudiziario al cittadino; 2° soluzione: Corte d'Appello. Soluzione che consente di evitare la “soggezione o il condizionamento psicologico” del giudizio di un magistrato che lavora nella stessa sede. 17 modificabilità: possibilità di continuo adattamento al mutare delle circostanze, mediante revisione dei provvedimenti emessi: revoca o modifica solo per motivi sopravvenuti o per motivi preesistenti ma conosciuti solo successivamente. obbligo di motivazione, seppure concisa, che tuttavia sia in grado di dare risposta a tutte le domande o eccezioni delle parti, la cui attività partecipa della funzione giurisdizionale in senso lato. I sacrifici in termini di garanzie; di diritto alla prova; di sequenza processuale predeterminata in tanto possono essere sopportati, nella misura in cui l'appello sarà considerato “aperto”: la Corte Costituzionale (- 12 luglio 1965 n. 70; - 27 giugno 1968 n. 74; - 1 marzo 1973 n. 22 ) parla di necessità di salvaguardare le garanzie del contraddittorio e del diritto alla prova “nel modo più completo” in almeno un grado di giudizio. Proposta di riforma della fase decisoria nei procedimenti in materia di famiglia e minori Ordinanza anticipatoria ovvero definitiva all'esito della prima udienza. Il Giudice alla prima udienza può emettere ordinanza con la quale assume i provvedimenti provvisori ed urgenti richiesti dalle parti o resi necessari dalla fattispecie. Con la stessa ordinanza fissa, ove occorra, i termini per il prosieguo della causa. Qualora ritenga la causa definibile allo stato degli atti, invita le parti a discuterla, ovvero se del caso rinvia ad altra udienza per gli stessi incombenti. All'esito della discussione, ovvero degli atti d'istruzione che si siano resi necessari, emette ordinanza conclusiva del procedimento. L'ordinanza è immediatamente esecutiva, costituisce titolo per l'iscrizione d'ipoteca e per la trascrizione. Fase decisoria. 18 La fase decisoria nelle procedure di diritto di famiglia è fondata sul principio di oralità. Conclusa la fase istruttoria, il giudice fissa l'udienza di discussione, all'esito della quale emette ordinanza con la quale provvede anche sulle spese. L'ordinanza deve prendere posizione sulle domande ed eccezioni delle parti, omesso il riferimento allo svolgimento del processo. Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice lo comunica alle parti e fissa una nuova udienza di discussione per consentire alle parti di prendere posizione. L'ordinanza è immediatamente esecutiva, costituisce titolo per l'iscrizione d'ipoteca e per la trascrizione e passa in giudicato se non è impugnata nel termine di 30 giorni dalla sua notificazione. Impugnazione. In appello sono ammessi i mezzi di prova che non siano stati ammessi in primo grado, qualora non siano palesemente irrilevanti. Tutte le ordinanze decisorie sono ricorribili per cassazione per i motivi di cui all'art. 360 cpc. Cesare Fossati 19