Le garanzie. La decisione. - Osservatorio nazionale sul diritto di

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Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia – Avvocati di Famiglia
X Forum Nazionale (10-13 settembre 2011)
Le garanzie del giusto processo nel diritto di famiglia.
La decisione.
L'esame dell'ordinamento giuridico, con riferimento ai provvedimenti decisori, consente di
constatare che alle forme degli atti non sempre corrispondono le garanzie e tutele del
giusto processo, come sancito dall'art. 111 Cost.
Le scelte del legislatore raramente sono il portato di un disegno coordinato e coerente, più
spesso danno luogo ad interventi emergenziali con obiettivi circoscritti, quando non limitati.
Queste considerazioni valgono anche per il settore del diritto di famiglia, nel quale
l'intervento giurisdizionale è frammentato fra organi diversi, con competenze che si
sovrappongono e creano incertezze e quel ch'è peggio vere e proprie diseguaglianze.
Possiamo così osservare come il Tribunale ordinario emetta, nella materia del diritto di
famiglia, diversi tipi di provvedimenti aventi natura e funzione decisoria: si va dalla forma
tipica del provvedimento decisorio, rappresentata dalla sentenza, prevista nell'ambito di
diverse procedure: dalla separazione giudiziale al divorzio contenzioso o su domanda
congiunta, alle procedure di interdizione e inabilitazione, a quelle sullo status filiationis
(riconoscimento, disconoscimento), alla dichiarazione d'assenza (art. 724 cpc).
Accanto alla forma tipica della sentenza, abbiamo però altri tipi di provvedimenti aventi
carattere decisorio: i provvedimenti emessi dal tribunale nelle forme dell'ordinanza e quelli
emessi da vari organi giudiziari nelle forme del decreto.
Tipico esempio di provvedimento a contenuto prevalentemente decisorio è l'ordinanza
presidenziale emessa nella fase sommaria dei giudizi di separazione e divorzio, la quale
ha ricevuto ulteriore impulso e più evidente carattere decisorio-anticipatorio a seguito dei
più ampi poteri d'indagine attribuiti alla fase presidenziale dai novellati artt. 155 e segg.
c.c. (come modificati dalla legge 54/2006).
Ma possiamo riscontrare ancora, come provvedimento di competenza del Tribunale
ordinario, l'ordinanza con cui si provvede alla sostituzione dell'amministratore del
patrimonio familiare ai sensi dell'art. 735 cpc.
Abbiamo infine i provvedimenti emessi nelle forme del decreto: tipica forma di decisione
emessa dal Giudice Tutelare, ma forma tipica anche dei provvedimenti di chiusura dei
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procedimenti camerali disciplinati dalle norme degli artt. 737 e seguenti del codice di rito.
Sicché a emettere provvedimenti in forma di decreto non sarà solo tipicamente il giudice
tutelare, in procedure per lo più di volontaria giurisdizione, bensì anche il Tribunale per i
minorenni, in procedure sì camerali, ma al contempo contenziose, il quale utilizza questa
forma nella stragrande maggioranza dei casi di competenza civile, ai sensi dell'art. 38
disp. att. c.c., sia che tale forma sia espressamente prescritta, come nei soli casi di cui
all'articolo 84 c.c.: ammissione al matrimonio, ovvero di cui all'art. 90 c.c.: nomina di
curatore, sia nei casi in cui, benché non sia prescritta una forma del provvedimento, essa
discenderà dalla forma camerale del procedimento e pertanto, in virtù del riferimento
operato dall'art. 737 cpc, con la forma tipica del decreto motivato.
E' invece prescritta la sentenza, benché la procedura resti quella della camera di consiglio,
nelle materie sempre di competenza del Tribunale minorile ai sensi degli articoli: 250 cc riconoscimento di figlio naturale; 269 cc – dichiarazione giudiziale paternità e maternità
naturale; nonché in materia di adozione – secondo quanto previsto dalla legge 184 del
4/5/1983.
Le riforme
Nel tentativo incessante di rendere efficiente il sistema processuale civile il legislatore con
l'ultima delle numerose riforme parziali (la legge 18 giugno 2009 n. 69) si è dato l'obiettivo
ancora una volta di ridurre e semplificare i procedimenti civili.
Da tempo si era manifestata da più parti la necessità di mettere ordine al mosaico di
giudici, competenze e riti esistenti in materia familiare e minorile, in primo luogo attraverso
la riforma ordinamentale del tribunale per la famiglia, ma tutto ciò è stato per ora
accantonato: la delega al governo riguarda i procedimenti civili di cognizione (con l'intento
di ridurli a 3: ordinario, processo del lavoro e sommario) ad esclusione della materia
familiare e minorile (l'art. 54 precisa che “in ogni caso resteranno ferme le disposizioni
processuali in materia di famiglia e minori”).
La riforma di cui alla legge 69/2009 ha interessato anche le norme relative alla fase
decisoria e l’innovazione va calata in un ambito particolare, quello del diritto di famiglia,
che comprende come noto peculiari forme di tutela e di intervento giudiziario.
In particolare possiamo distinguere:
1) una funzione giurisdizionale piena, in quanto attinente a diritti soggettivi o status;
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2) una funzione giurisdizionale non necessaria, in cui la gestione di interessi viene
affidata al giudice che la esercita attraverso la cd. giurisdizione volontaria o non
contenziosa;
3) zone di confine, nelle quali sono coinvolti diritti soggettivi e contemporaneamente
interessi di più parti, ovvero situazioni sostanziali protette delle quali sono titolari per
es. soggetti diversi dai coniugi (procedimenti plurilaterali);
4) una funzione giurisdizionale necessaria, relativa alla cura degli interessi dei figli
minori, dalla legge affidata al giudice d'ufficio, ciò che realizza una forma di
giurisdizione volontaria anche in assenza di domanda.
Un esempio estremo di provvedimento emesso d'ufficio in assenza di domanda è
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un recente decreto del Tribunale per i Minorenni di Trieste (decreto 18 maggio
2011, Presidente e relatore Sceusa), in un procedimento avviato dal padre ai fini di
una pronuncia di affido e mantenimento della figlia naturale, nel quale entrambi i
genitori avevano chiesto, pur nelle rispettive rivendicazioni, un regime di affido
condiviso. Il giudice ha ritenuto di non poter accogliere le istanze delle parti e, pur
in assenza di domanda formulata dal PM, convocato ma non comparso, ha
ritenuto di dover pronunciare d'ufficio la decadenza della potestà genitoriale di
entrambi i genitori, utilizzando i riferimenti normativi rappresentati da:
Convenzione di Strasburgo
Art. 8. Possibilità di procedere d'ufficio.
Nei procedimenti che riguardano un minore l'autorità giudiziaria ha il potere, nei
casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del minore sia seriamente
minacciato, di procedere d'ufficio.
art. 317-bis II co. c.c.: “Se i genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al
genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che
ha fatto il riconoscimento.
Il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche
escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un
tutore.
Il diritto di famiglia si caratterizza inoltre per un'ontologica esigenza di adattamento
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pubblicato su Famiglia e Minori, luglio 2011 n. 7, pag. 57.
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permanente alla situazione del momento (rebus sic stantibus), mutando, tra l’altro, le
relazioni affettive ed economiche tra i vari soggetti coinvolti, con sempre maggiore
frequenza rispetto al passato.
Tale esigenza, venne posta in luce già all’epoca della riforma del diritto di famiglia, dalla
Corte Costituzionale:
“Vi sono sentenze, le quali, nella regolazione di tutto o di parte del rapporto dedotto in
giudizio, vengono pronunziate sulla base di una valutazione discrezionale, da parte del
giudice, delle circostanze di fatto assunte a base della decisione. Tali sentenze sono
modificabili con una nuova decisione, qualora intervengano mutamenti nelle dette
circostanze, nell'evidente intento di salvaguardare le esigenze di giustizia ed equità cui la
sentenza si deve ispirare” Corte Cost. n. 202/1975.
La giustizia del diritto di famiglia, in altri termini, è una giustizia complessa, che da un lato
deve tener conto della situazione iniziale (come petitum e causa petendi) dall’altro deve
considerare i mutamenti di fatto che siano intervenuti nella vita delle persone ed adattarsi
ad essi, dando così luogo ad interventi e modifiche infrequenti in altri settori.
Le forme della decisione nel processo civile ordinario
La disciplina generale del processo civile trova applicazione anche nei riti speciali nei limiti
di compatibilità con gli stessi.
Alla decisione della causa sono dedicati:
il titolo V del I libro del c.p.c.
“Dei poteri del giudice”
articoli dal 112 al 120
“provvedimenti”
articoli da 131 a 135
la sezione III del titolo VI
disposizioni per l'attuazione
della decisione della causa articoli dal 113 al 121 disp.
att.
Siffatte norme, in linea generale, sono applicabili alle procedure di diritto di famiglia in
quanto compatibili, ovvero in quanto non derogate da norme speciali.
Non mancano, tuttavia, le eccezioni.
In difetto di una disciplina base, è la giurisprudenza ad intervenire a colmare la lacune od
ad individuare forme di raccordo tra riti e norme, nel tentativo, non sempre colto, di
pervenire a soluzioni coerenti con il sistema e accettabili per la tutela dei soggetti coinvolti.
Compito, non agevole, del resto, anche per quella sorta di schizofrenia cui la produzione
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legislativa pare affetta, come emerge dal sovrapporsi di norme contrastanti tra loro e dal
ritorno a soluzioni previgenti, quali ad esempio, la scelta di duplicare nuovamente i modelli
processuali della separazione personale e del divorzio di cui legge 80 del 14/5/2005, in
contrasto con quanto opportunamente previsto dall’art. 23 della legge 6/03/1987 n. 74
(riforma del divorzio).
Più nel dettaglio, la fase decisoria del processo ordinario segue l’udienza in cui le parti
abbiano precisato le conclusioni, ovverosia il momento processuale in cui vengono
cristallizzate le domande che si rivolgono al Giudice, per quanto non sempre la mancata
riproposizione delle medesime (al pari delle eccezioni) possa ritenersi tout court rinuncia
alle stesse.
In questo senso, ex plurimis:
La mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in
precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia tacita in capo a colui
che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla valutazione
complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente
il venir meno del relativo interesse. (Cass. civ., sez. III, 16-02-2010, n. 3593).
La fase decisoria nell’ambito della materia familiare è per lo più affidata al collegio, tenuto
anche conto della riserva contenuta nell'art. 50-bis per le cause che richiedono la
partecipazione del P.M. e per i procedimenti in camera di consiglio.
Art. 50-bis.
(Cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale)
Il tribunale giudica in composizione collegiale:
1) nelle cause nelle quali e` obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto;
.... (omissis)
Il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli
articoli 737 e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto.
Dall’udienza di precisazione delle conclusioni, decorrono in ogni caso i termini per il
deposito delle difese conclusive (nelle consuete scadenze dei sessanta giorni e dei venti,
successivi per conclusionali e repliche).
Rara invece l'udienza di discussione orale, forse per una necessità, più marcata rispetto
ad altre materie, di valutare con una cera ponderazione documenti anche di natura tecnica
(si pensi alle consulente tecniche d’ufficio in materia psicologica o alla documentazione
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economica, sovente copiosa e di non immediato approccio).
La sentenza.
La decisione finale del procedimento si sostanzia in una sentenza, che può essere di
accertamento, di condanna o costitutiva.
Essa contiene:
- una parte enunciativa (l'indicazione del giudice, delle parti e dei difensori, le conclusioni
del P.M. e delle parti);
- la motivazione, ora sintetizzzata nella formula “concisa esposizione delle ragioni di fatto
e di diritto della decisione (L'art. 118, comma I disp. att. cpc, come integrato dalla
riforma del 2009, prevede ora che: “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo
comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle
ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.
- il dispositivo, la data e la firma.
Allorchè la decisione fosse resa a seguito di discussione orale, ai sensi dell'art. 281-sexies
cpc, la sentenza è inserita nel verbale dell'ultima udienza.
La fase decisoria nel processo di separazione e divorzio
La struttura bifasica del I grado - le differenze di rito tra I e II grado
I giudizi di separazione e divorzio comportano talune caratteristiche tipizzate:
1) la struttura bifasica del I grado: il processo è suddiviso in una fase presidenziale
caratterizzata dalla sommarietà e da una successiva a cognizione piena, alla quale
si applicano le norme del giudizio ordinario;
2) l’applicazione di due riti differenti a seconda del grado: rito ordinario nel primo grado
e camerale nel secondo;
3) la possibilità di emissione di una sentenza definitiva parziale (pronuncia sullo status
separata ad esempio dalla disamina delle questioni economiche e di affido della
prole che proseguono);
4) l’ammissibilità di emissione di provvedimenti a contenuto decisorio in corso di
causa.
Nel corso del giudizio possono aversi diversi provvedimenti aventi carattere decisorio:
anzitutto l'ordinanza presidenziale.
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La natura giuridica dell'ordinanza presidenziale non è univoca:
1) è stata ricostruita in termini di volontaria giurisdizione, in quanto il presidente non
decide la controversia, bensì detta una regolamentazione provvisoria finalizzata ad
assistere le parti; per cui la fase contenziosa avrebbe inizio solo con la rimessione
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delle parti al G.I. (così Cass. 3/12/1996 n. 10780 );
2) secondo altri avrebbe invece natura di provvedimento giurisdizionale contenzioso di
accertamento a cognizione sommaria e con funzione esecutiva (Cass. 16/4/1997,
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n. 3258 ).
Depone in questo senso l'estensione alla fase presidenziale del potere, anche d'ufficio, di
assunzione della prova, di ascolto del minore, di avvio alla mediazione, come introdotti con
l'art. 155-sexies dalla legge 54/06. Una serie di poteri
potenzialmente idonei a fare
dell'udienza presidenziale ben più di quanto non fosse il mero ascolto dei coniugi, con la
possibilità di assunzione di provvedimenti più approfonditi, anche tenuto conto del nuovo
riesame da parte della Corte d'Appello.
Quest'ultima ricostruzione sembra più coerente con l'attuale stato della disciplina: se
nell'ottica del legislatore del codice civile il tentativo di (ri-)conciliazione era l'aspetto
centrale dell'udienza presidenziale; oggi si può senz'altro affermare che il tentativo è
piuttosto finalizzato al raggiungimento di un accordo, anche grazie al lavoro che avranno
saputo svolgere i difensori, la cui assistenza è oggi espressamente prevista come
obbligatoria.
In altri termini, l’udienza presidenziale è oggi la sede eletta per tentare non tanto la
(ri)concializione dei coniugi ed il ritorno alla interrotta comunione materiale e spirituale,
bensì luogo in cui concentrare le forze per pervenire ad una soluzione amichevole e
preventiva del conflitto, ancorquì nel prevalente interesse dei minori, qualora vi siano, alla
presenza e con l’aiuto dei legali la cui assistenza è divenuta frattanto obbligatoria.
Sotto il profilo esecutivo, infine, la natura decisoria dell’ordinanza presidenziale si evince:
− dalla possibilità di costituire titolo esecutivo anche per il rilascio dell’immobile;
− la sua perdurante valenza anche in caso di estinzione del procedimento;
− viceversa, secondo l'orientamento fatto proprio dalla Cassazione, non costituisce
titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (Cass. 25/11/2000 n. 1100).
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In Massimario Giustizia Civile, 1996, 1663.
In Massimario Giustizia Civile, 1997, 586.
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Altro aspetto che tende a persuadere della natura decisoria dei provvedimenti
presidenziale è la sua immediata modificabilità in sede di reclamo dinanzi alla Corte di
Appello (art. 708, IV comma cpc, come introdotto dalla legge 54/2006).
Tale possibilità di riesame convive con le facoltà di revoca e modifica da parte del G.I.
della causa di merito (art. 709 comma IV e art. 4 comma VIII L. div.), una possibilità
peraltro oggi del tutto discrezionale, dal momento che è stato eliminato il requisito del
mutamento delle circostanze di cui al precedente testo dell'art. 708 cpc, comma IV.”.
In una prospettiva de iure condendo si ritiene auspicabile l'unificazione della fase
presidenziale a quella istruttoria, assegnando al giudice istruttore i poteri di emissione dei
provvedimenti provvisori ed urgenti, assunti sulla base di un'istruttoria sommaria,
analogamente a quanto previsto in materia di ordini di protezione dagli artt. 342-bis e 342ter c.c. e 736-bis c.p.c.
Altra caratteristica del processo di famiglia, è data dal cumulo di domande: in via principale
con richieste inerenti allo status ed in via correlata attinenti alla gestione degli aspetti
concreti di gestione della coppia, di definizione economica dei rapporti e di disciplina
dell’affidamento della prole e dell'assegnazione della casa familiare.
Il legislatore e la giurisprudenza tendono, opportunamente, a privilegiare la rapidità della
formazione di un titolo sullo status con la previsione di una sentenza non definitiva.
La formulazione della norma, introdotta anch'essa a seguito della riforma del 2005, fa
ritenere tale via privilegiata un vero e proprio obbligo e non una facoltà per il giudice ( art.
709-bis cpc: “Nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito,
per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza
non definitiva relativa alla separazione”.
La sentenza non definitiva circa lo status è impugnabile solo con appello immediato (è
esclusa la riserva d'appello), da esperirsi con ricorso da depositare presso la Cancelleria
della Corte d'Appello entro 30 gg. dalla notifica della sentenza (anche qui valgono le
regole ordinarie e non quelle dei procedimenti camerali - art. 325 cpc) ovvero entro 6 mesi
dalla pubblicazione.
Non è possibile pertanto verbalizzare istanza di appello differito alla prima difesa
successiva rispetto all’emissione della sentenza parziale.
Per la fase istruttoria il nuovo art. 709-bis richiama espressamente le norme del rito
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ordinario: “All'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui
agli articoli 180 e 183”, commi primo, secondo, e dal quarto al decimo. Si applica
altresi l'articolo 184”.
Tutto il procedimento si caratterizza per essere a cognizione piena, salva l'introduzione
tramite ricorso.
Anche per la fase decisoria del primo grado si ritengono pacificamente applicabili le regole
del rito ordinario: precisazione delle conclusioni, rimessione al collegio per la decisione,
deposito di comparsa difensive finali.
Il grado di appello viceversa è regolato dalle norme sui procedimenti in camera di consiglio
(in forza della scarna disposizione dell'art. 4 comma 15 della legge sul divorzio richiamato
per la separazione all'art. 23 della legge 74/1987).
Il collegio della Corte d'appello (costituito da tre giudici) non può subire modifiche, in
quanto l'art. 276 cpc, che impone la partecipazione alla deliberazione della decisione degli
stessi giudici che componevano il collegio all'udienza di discussione, si applica anche al
rito camerale: la differente composizione del collegio è causa di nullità insanabile della
sentenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. 22/03/1993 n.
3371).
La prassi prevede quindi un'istruttoria solo eventuale, vengono escluse l’udienza di
precisazione delle conclusioni e le difese scritte, si discute oralmente la controversia con
decisione in camera di consiglio senza pubblica udienza.
La Corte Costituzionale, che è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del rito
camerale nel giudizio d'appello, nonché sul rispetto delle garanzie processuali a tutela del
diritto di difesa costituzionalmente garantito (diritto alla prova), si è espressa (sentenza n.
543 del 1989) rigettando entrambe le questioni, osservando:
− quanto al rito che “il procedimento camerale non è di per sé in contrasto con il
diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo è variamente configurabile
dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi "purché ne
vengano assicurati lo scopo e la funzione", cioè la garanzia del contraddittorio,
in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”;
− quanto al diritto alla prova: “Neppure può ritenersi violato il diritto di prova,
perché, a parte il considerare che esso ha già avuto modo di esplicarsi
compiutamente nel giudizio di primo grado, va rilevato che anche nel rito
camerale in appello è possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e
procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purché il relativo
modo di assunzione - comunque non formale nonché atipico - risulti, da un lato,
sempre compatibile con la natura camerale del procedimento, e, d'altro lato, non
violi il principio generale della idoneità degli atti processuali al raggiungimento
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del loro scopo (sentenza n. 238 del 1976). Inoltre va osservato che in un sistema
istruttorio nel quale alla limitazione dell'iniziativa probatoria della parte
corrisponde un più incisivo potere ufficioso del giudice, rimane egualmente
assicurata la possibilità di accertamento dei fatti controversi”.
La Consulta ha per contro ritenuto essenziali ai fini di garantire il diritto di difesa:
− la convocazione delle parti;
− il potere di esercitare le facoltà di prova seguendo e contestando ogni risultanza
istruttoria;
− la motivazione del provvedimento decisorio;
− la congruità dei termini ad impugnare.
In ogni caso, come visto, il provvedimento di chiusura del procedimento camerale della
fase impugnatoria resta comunque una sentenza, sia in senso formale sia sostanziale.
Le forme della decisione nei procedimenti camerali di diritto di famiglia.
Il decreto
Ai sensi dell'art. 737 c.p.c. il provvedimento attraverso il quale si concludono i
procedimenti in camera di consiglio ha forma di decreto motivato, salvo che la legge
non disponga altrimenti.
I requisiti del decreto sono quelli previsti dall'art. 135 cpc.
Art. 135.
(Forma e contenuto del decreto)
Il decreto e' pronunciato d'ufficio o su istanza anche verbale della parte.
Se e' pronunciato su ricorso, e' scritto in calce al medesimo.
Quando l'istanza e' proposta verbalmente, se ne redige processo verbale e il decreto e' inserito nello stesso.
Il decreto non e' motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge; e' datato ed e'
sottoscritto dal giudice o, quando questo e' collegiale, dal presidente.
La decisione sarà di regola collegiale (in forza del rinvio operato dall'art. 50-bis, II comma
cpc), salvo che sia altrimenti disposto.
Il contenuto del decreto può essere puramente negativo, ove il giudice neghi o escluda la
proponibilità dell'istanza, la possibilità o la ragione del provvedere, o l'idoneità o sufficienza
degli elementi che gli siano stati forniti o che lui stesso abbia potuto raccogliere per dare
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un provvedimento positivo.
E' quindi ammissibile nel campo della volontaria giurisdizione (a differenza della
giurisdizione contenziosa) che il giudice pronunci negativamente “allo stato degli atti” con
una procedura di c.d. “non liquet”(cosa che normalmente è preclusa al Giudice ordinario,
che deve sempre pronunciarsi in un senso o nell’altro).
Anche l’ambito decisorio della pronuncia in camera di consiglio può essere più ampio
rispetto al “chiesto” (per quanto quest’ultima sia la norma), non essendo precluso al
giudice di pronunciare anche ultra vel extra petita, pur sempre nei limiti del caso che gli
sia stato sottoposto, dell'istruttoria emersa e sempreché vi sia in questo senso un
interesse pubblico e non vi siano ostacoli nella legge.
Quanto alla motivazione, principio cardine è quello rappresentato dall'art. 111, comma 6
Cost., il quale prescrive che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati”.
L'assolvimento dell'obbligo di motivazione esige che il provvedimento non contenga solo
formule stereotipate o di mera affermazione di ricorrenza delle condizioni di legge, ma
anche il positivo riscontro nella fattispecie delle medesime, con esposizione, anche se
succinta, degli elementi su cui si fonda il convincimento.
In ordine agli elementi minimi ed indispensabili della motivazione si è espressa, ad
esempio, Cass. 24/01/1981 n. 545 (in GC, 1981, I, 1400) resa in un giudizio di ammissione
all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali, in questi termini:
“Stante la natura sommaria della delibazione preliminare (ora soppressa), del carattere
prevalentemente inquisitorio, della struttura contenziosa, deve ritenersi applicabile il
principio di acquisita giurisprudenza secondo cui il giudice del merito, pur non essendo
tenuto ad analizzare dettagliatamente tutte le fonti di prova e a confutare una ad una le
argomentazioni delle parti, deve tuttavia tener conto del sistema difensivo delle parti
stesse nella sua unitarietà e complessità, avendo lo stesso sistema difensivo valore di
decisività”.
Del resto si è assistito in questi anni ad un tendenziale favore per la cameralizzazione dei
riti di famiglia, a partire dalla legge sul divorzio e con l’avvallo della Corte di Cassazione e
della Consulta (tra le più risalenti, Corte Cost. 10 luglio 1975, n. 202).
Ex plurimis, in materia di amministrazione di sostegno, Cass. n. 25366 del 29/11/2006 ha
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statuito che: “Appare evidente che l'equivalenza tra rito della giurisdizione volontaria ed
attività amministrativa del giudice deve considerarsi ampiamente superata e che anche il
binomio rito camerale - atecnicità della difesa non è ulteriormente sostenibile, attesa la
sempre più estesa utilizzazione da parte del legislatore di detto rito camerale, in ragione
della sua maggiore funzionalità rispetto ad esigenze di semplificazione e concentrazione”.
I decreti in genere chiudono la procedura e vengono emessi a compiuta disamina delle
risultanze processuali.
Tuttavia, si annotano anche decreti camerali provvisori, di natura analoga a quella
dell’ordinanza presidenziale emessa in sede di separazione/divorzio e ciò ad opera del
tribunale minorile.
Ne è (raro) esempio il decreto camerale provvisorio emesso da Tribunale per i Minorenni
dell’Emilia Romagna, in una vicenda che vedeva la madre, non convivente con il bambino,
ostacolare il padre nel suo diritto di visita, minacciarlo di portare il minore all’estero,
mantenendo con la figura paterna un rapporto altamente conflittuale
Trib. Min. Emilia Romagna, Pres. rel. Stanzani, 2/07/2010, decreto provvisorio
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“A fronte della situazione descritta son ravvisabili entrambi i requisiti a sostegno dell’emanazione del
provvedimento urgente richiesto ... il fumus è individuabile nella conclamata illegittimità del comportamento
materno concretizzatosi nel negare al padre ogni contatto col figlio e, soprattutto, nell’occultarne l’attuale
domiciliazione; comportamento tanto più grave perché tenuto a ridosso dell’udienza fissata dal Tribunale alla
quale la donna non si è presentata senza fornire giustificazione alcuna.
Il periculum si identifica, per parte sua, nella possibilità, tutt’altro che remota, che il minore venga trasferito
all’estero; senza contare l’evidente “caduta” delle cure del medesimo dovuta al repentino, immotivato e
definitivo allontanamento della babysitter ...
P.Q.M.
Affida in via esclusiva il figlio al padre e ne vieta l’espatrio fino al momento in cui il padre stesso lo
avrà preso in consegna.
Conferisce al Servizio Sociale di Rimini mandato a tutela del minore con i seguenti compiti:
(a) curarne, anche avvalendosi della Forza Pubblica, l’immediata collocazione presso il padre;
(b) fornire un quadro del grado di civile maturità di entrambi i genitori in ordine al loro ruolo istituzionale ed
alla coscienza delle proprie responsabilità personali nei confronti della prole, del lavoro e, in generale, nei
rapporti sociali;
(c) prospettare, in modo puntuale, analitico e motivatamente argomentato, le situazioni di rischio del minore
in ipotesi ravvisate nel suo precedente contesto di vita presso la madre,
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(d) descriverne lo stato di vita presso il padre;
(e) redigere un progetto di incontri con la madre specificandone modalità e tempi senza porlo in esecuzione
prima dell’indispensabile autorizzazione del Tribunale.
L’analisi richiesta ai punti (b), (c), (d) ed (e) del mandato attribuito dovrà essere concentrata sulla
rappresentazione della materialità della situazione di fatto e sul riferimento di circostanze
obiettive a supporto degli eventuali giudizi formulabili per effetto dei compiti svolti.
La decisione nei procedimenti di diritto di famiglia emessa nelle forme
dell'ordinanza.
L'ordinanza è tradizionalmente definita come il provvedimento reso nel contraddittorio
delle parti (ciò che segna la differenza, ma solo tendenziale, con il decreto).
Per l'ordinanza non è individuabile una funzione tipica, assolvendo di volta in volta diverse
funzioni: tra queste si rinviene comunque una funzione anticipatoria di condanna, di
chiusura del procedimento ed una funzione prettamente decisoria.
Art. 134.
(Forma, contenuto e comunicazione dell'ordinanza)
L'ordinanza e' succintamente motivata. Se e' pronunciata in udienza, e' inserita nel processo verbale; se e'
pronunciata fuori dell'udienza, e' scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della
data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo e' collegiale, del presidente.
Il cancelliere comunica alle parti l'ordinanza pronunciata fuori dell'udienza, salvo che la legge ne prescriva la
notificazione.
L'avviso di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel
rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione
dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il
numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere l'avviso.
(1) Comma aggiunto dal D.L. 35/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.
La differenza sostanziale intercorrente tra una decisione emessa in forma di sentenza e
quella in forma di ordinanza è data dalla circostanza che quest'ultima non spoglia il giudice
del potere di ritornare sopra quanto ha deciso: qualunque cosa egli dica con l'ordinanza,
può ripensarci, modificare e revocare l'ordinanza o, più in generale, riesaminare la
questione già decisa senza bisogno, quindi, di una revoca esplicita dell'ordinanza stessa.
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Da questo punto di vista l'ordinanza sembra meglio corrispondere alle esigenze di
continuo adattamento al caso ed alla sua evoluzione tipiche del diritto di famiglia.
Il nuovo procedimento sommario di cognizione
Il legislatore dell'ultima riforma ha inteso attribuire al procedimento sommario di cognizione
il contenitore minimo di un rito cameral-contenzioso.
Nella delega si parla del procedimento sommario come di una sequenza connotata da
semplificazione della trattazione ed istruzione della causa, da non confondere con
sommarietà della cognizione.
Il disegno riformatore della legge 69/2009 si è rivelato tuttavia parziale: la delega sulla
semplificazione e riduzione dei riti soffre di troppe eccezioni: per l'art. 54 della legge 69/09
restano ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e
minori, di proprietà intellettuali e di codice del consumo.
Si assiste ormai da diversi anni ad una tendenziale cameralizzazione del contenzioso sui
diritti soggettivi: il rito camerale è stato utilizzato dal legislatore, con l'avvallo della Corte di
Cassazione e della Corte Costituzionale, quale contenitore neutro, secondo l'espressione
utilizzata da Cass. SSUU n. 5629/1996, nel quale possono svolgersi non soltanto
questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie su diritti o status, finalizzato alla
gestione snella di liti da decidere con idoneità del provvedimento finale al giudicato.
Parte della dottrina contesta la sufficienza dello schema camerale a sorreggere la
definitività dell'accertamento, ma i parametri costituzionali fissati dalla giurisprudenza al
“due process of law” mostrano la sostenibilità di un'opzione di questo tipo.
Con il procedimento sommario di cognizione il legislatore è intervenuto sostanzialmente a
ristrutturare il modello camerale, così da consentire all'ordinamento di disporre di uno
schema processuale preordinato al giudicato, tuttavia meno minimale nelle forme.
La fase decisoria del procedimento sommario di cognizione assume i profili estremamente
semplificati dell'ordinanza.
Gli aspetti rilevanti sono:
− la provvisoria esecutività; l'espressa attribuzione del carattere di titolo per
l'iscrizione di ipoteca giudiziale e di titolo per la trascrizione.
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− l'idoneità al giudicato anche delle decisioni di rigetto (la norma aveva creato
ambiguità interpretative).
− l'applicabilità della disciplina della responsabilità processuale ex art. 96 cpc, della
pubblicazione della decisione ai sensi del nuovo art. 120 cpc; della disciplina delle
astreints ex art. 614-bis cpc che parla di “provvedimento di condanna” e non di
sentenza;
− la tendenziale inammissibilità delle decisioni non definitive: l'impianto normativo e la
natura acceleratoria del procedimento, contraria al frazionamento, fa propendere
verso un'inammissibilità di pronunce non definitive.
modelli processuali innovativi: le misure contro la violenza
Il modello processuale costituito dalle norme introdotte in materia di “misure contro la
violenza nelle relazioni familiari” (legge n. 154 del 4 aprile 2001 che ha introdotto gli art.
432-bis, 342-ter c.c. e 736-bis cpc) presenta innovative modalità di intervento giudiziario,
che ben potrebbero costituire la base di partenza per una riflessione su forme più attuali
ed efficaci di provvedimenti decisori nel diritto di famiglia.
Le misure antiviolenza si caratterizzano per:
1) semplificazione: le misure possono essere adottate su istanza anche della parte
personalmente, con ricorso che è esente da contributo unificato e spese;
2) capacità di risposta immediata: gli ordini di protezione possono essere disposti
anche “inaudita altera parte”, vale a dire prima dell'udienza, con provvedimento in
forma di ordinanza che è immediatamente efficace ed esecutivo
3) focalizzano l'attenzione su un obiettivo mirato: impedire il protrarsi di comportamenti
violenti in ambito familiare;
4) hanno un ambito di applicazione esteso che va dalla famiglia legittima alle
convivenze;
5) un unico Giudice: non sussistono problemi di competenza, affidata al Tribunale
ordinario in composizione monocratica, che provvede in camera di consiglio.
6) possibilità di provvedimenti aggiuntivi: oltre al contenuto minimo, dato dall'ordine di
cessazione della condotta violenta, possono essere emessi ulteriori provvedimenti
molto efficaci, quali: l'allontanamento del soggetto dalla casa familiare; il divieto di
avvicinamento al domicilio ed agli altri luoghi frequentati dai soggetti che hanno
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subito le violenze.
7) decisione reclamabile al collegio del quale non fa parte il giudice che ha emesso il
provvedimento impugnato.
De iure condendo: per un modello decisionale unitario nelle procedure di
diritto di famiglia
Le scelte operate dal legislatore nelle più recenti leggi in materia di famiglia (ordini di
protezione, amministrazione di sostegno, procedimento sommario di cognizione) e più in
generale la delega alla semplificazione (contenuta nell'art. 54 della legge 18/06/2009 n.
69), mostrano una tendenza verso procedure snelle, un organo giudiziario in
composizione monocratica, un rito camerale “istituzionalizzato” e corretto secondo le
indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, un provvedimento finale reso o in udienza o
all'esito della stessa, con ordinanza o decreto immediatamente efficaci ed esecutivi,
magari già presidiati dalla previsione di sanzioni in caso di inottemperanza ex art. 614-bis
cpc.
- per individuare gli elementi caratteristici e le regole che potranno sovraintendere al
provvedimento decisorio in materia di famiglia, si può partire dalla considerazione di quelle
che sono considerate le garanzie minime ed essenziali, rappresentate oggi dal
procedimento sommario, da integrare con le caratteristiche specifiche della materia
familiare.
Nel definire quali caratteristiche deve presentare un provvedimento decisorio in materia di
famiglia, si può fare riferimento ai seguenti principi, ovvero requisiti:
 rapidità d'intervento: deve poter essere emesso in tempi rapidi per fronteggiare le
necessità dei soggetti coinvolti, spesso bisognosi di cure e di interventi immediati
(v. minori, coniuge privo di reddito, persona incapace, in generale soggetti deboli).
Da questo punto di vista l'organo monocratico è in grado di fornire risposte in tempi
più celeri.
 Osservanza del diritto di difesa: la garanzia del contraddittorio in primo luogo, in
modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti.
Questo comporta:
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- obbligo di convocazione delle parti;
- potere di esercitare il diritto alla prova; sia attraverso prove tipiche, sia attraverso
sommarie informazioni; vale a dire discrezionalità del giudice nell'ammissione delle
prove compensata con la piena facoltà di esercizio del diritto alla prova nel 2° grado
di giudizio, laddove non esercitato nel 1° grado.
 Istruttoria deformalizzata e semplificata che coniughi il diritto di difesa con le
esigenze di acquisizione anche attraverso la tecnica delle sommarie informazioni
caratterizzata da:
− elementi rimessi alla disponibilità delle parti: prove tipiche;
− poteri d'iniziativa del giudice: v. mezzi di prova atipici: informazioni della P.S.,
informative dai Servizi Sociali, indagini della polizia tributaria, ascolto del minore,
etc.);
− elementi posti a carico delle parti (v. obbligo di produzione delle dichiarazioni dei
redditi);
 contraddittorio esteso al P.M. ma semplificato: il procedimento prosegue anche in
assenza del P.M., salvo suo intervento obbligatorio su segnalazione effettuata da
qualunque soggetto interessato.
 molteplici ambiti di tutela: deve tener conto delle domande delle parti, ma anche di
situazioni giuridiche soggettive protette: i diritti e/o gli interessi del minore, del
disabile, dell'incapace, del figlio maggiorenne privo di reddito, etc.; diritti o interessi
per i quali occorre procedere ad impulso nei confronti di un P.M. specializzato.
 possibilità di sospensione del giudizio per consentire alle parti di accedere ad un
percorso di mediazione familiare, con previsione da estendersi a tutti procedimenti
in materia di famiglia.
 impugnabilità e rivedibilità della decisione sia nel merito sia per motivi di legittimità,
mediante reclamo all'organo collegiale, nel termine di 10 giorni dalla comunicazione
a mezzo posta elettronica certificata, all'organo giudiziario da individuarsi tra:
1° soluzione: Tribunale, in composizione collegiale ma del quale non fa parte il
giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Soluzione che si apprezza per
la maggiore prossimità dell'organo giudiziario al cittadino;
2° soluzione: Corte d'Appello. Soluzione che consente di evitare la “soggezione o il
condizionamento psicologico” del giudizio di un magistrato che lavora nella stessa
sede.
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 modificabilità: possibilità di continuo adattamento al mutare delle circostanze,
mediante revisione dei provvedimenti emessi: revoca o modifica solo per motivi
sopravvenuti o per motivi preesistenti ma conosciuti solo successivamente.
 obbligo di motivazione, seppure concisa, che tuttavia sia in grado di dare risposta a
tutte le domande o eccezioni delle parti, la cui attività partecipa della funzione
giurisdizionale in senso lato.
I sacrifici in termini di garanzie; di diritto alla prova; di sequenza processuale
predeterminata in tanto possono essere sopportati, nella misura in cui l'appello sarà
considerato “aperto”: la Corte Costituzionale (- 12 luglio 1965 n. 70; - 27 giugno 1968 n.
74; - 1 marzo 1973 n. 22 ) parla di necessità di salvaguardare le garanzie del
contraddittorio e del diritto alla prova “nel modo più completo” in almeno un grado di
giudizio.
Proposta di riforma della fase decisoria
nei procedimenti in materia di famiglia e minori
Ordinanza anticipatoria ovvero definitiva all'esito della prima udienza.
Il Giudice alla prima udienza può emettere ordinanza con la quale assume i provvedimenti
provvisori ed urgenti richiesti dalle parti o resi necessari dalla fattispecie.
Con la stessa ordinanza fissa, ove occorra, i termini per il prosieguo della causa.
Qualora ritenga la causa definibile allo stato degli atti, invita le parti a discuterla, ovvero se
del caso rinvia ad altra udienza per gli stessi incombenti.
All'esito della discussione, ovvero degli atti d'istruzione che si siano resi necessari, emette
ordinanza conclusiva del procedimento.
L'ordinanza è immediatamente esecutiva, costituisce titolo per l'iscrizione d'ipoteca e per
la trascrizione.
Fase decisoria.
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La fase decisoria nelle procedure di diritto di famiglia è fondata sul principio di oralità.
Conclusa la fase istruttoria, il giudice fissa l'udienza di discussione, all'esito della quale
emette ordinanza con la quale provvede anche sulle spese. L'ordinanza deve prendere
posizione sulle domande ed eccezioni delle parti, omesso il riferimento allo svolgimento
del processo. Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata
d’ufficio, il giudice lo comunica alle parti e fissa una nuova udienza di discussione per
consentire alle parti di prendere posizione.
L'ordinanza è immediatamente esecutiva, costituisce titolo per l'iscrizione d'ipoteca e per
la trascrizione e passa in giudicato se non è impugnata nel termine di 30 giorni dalla sua
notificazione.
Impugnazione.
In appello sono ammessi i mezzi di prova che non siano stati ammessi in primo grado,
qualora non siano palesemente irrilevanti.
Tutte le ordinanze decisorie sono ricorribili per cassazione per i motivi di cui all'art. 360
cpc.
Cesare Fossati
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