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Il sistema sociale secondo la teoria Keynesiana
(appunti liberamente tratti da lezioni del prof. Francesco Campanella, a cura di Sara Marsico)
La Grande crisi del ‘29
I principi base della teoria neoclassica tradizionale, quella che esalta la concorrenza perfetta, la
razionalità individuale e il criterio di ottimizzazione e che rifiuta le imperfezioni del sistema,
guidarono il modo di ragionare e il modo di fare politica nei primi tre decenni del XX secolo nei
principali Paesi del mondo, ad esclusione di alcune “eccezioni”.
Le eccezioni furono da un lato l’Italia fascista (dal 1922 al 1943) e la Germania nazista (dal 1933
fino al 1945) e dall’altro L’unione sovietica (dal 1917 fino allo sgretolamento avvenuto all’inizio
degli anni ’90) che su versanti opposti negarono spazio ai principi liberali di stampo neoclassico e
inaugurarono esperienze diverse, poi rivelatesi disastrose.
Negli altri Paesi la storia preferì seguire i dettami del pensiero neoclassico. In Gran Bretagna, negli
USA in Francia e nel resto del mondo soggetto al loro controllo il principio del laissez faire fu
rispettato rigorosamente nelle leggi e nelle misure di politica economica e i relativi governi
cedettero nella capacità dei liberi mercati di raggiungere spontaneamente l’equilibrio, di garantire la
massima soddisfazione dei bisogni umani e di assicurare la piena occupazione delle forze di lavoro,
fino a quando un evento imprevisto costrinse la scienza e la politica a cambiare opinione.
L’evento fu quello della Grande crisi del 1929, scoppiata negli Usa e trasmessasi rapidamente
nell’Europa liberale, nell’Italia fascista e persino nell’URSS.
Per una qualche ragione non spiegata dalla teoria economica, il mondo libero si accorse che il
mercato della moneta “non” era così neutrale e insignificante come la teoria quantitativa difesa dai
neoclassici e dai classici andava dicendo,.
Per qualche misterioso motivo la moneta all’improvviso apparve non un semplice intermediario
degli scambi ma qualcosa di diverso: un’arma potente che poteva condizionare il funzionamento dei
mercati reali delle merci e del lavoro. Il crollo di Wall Street, la Borsa di New York, dimostrò il
legame che univa il mercato della moneta agli altri mercati: il fallimento delle imprese finanziarie e
delle banche, operatori ignorati dalla teoria neoclassica, provocò il fallimento a catena e la chiusura
delle imprese produttrici di merci da esse finanziate: così, masse enormi di lavoratori si trovarono
improvvisamente disoccupate.
Quel disastro economico e sociale si trasmise rapidamente in Europa e nel resto del mondo. La
Gran Bretagna, che per prima aveva sperimentato la rivoluzione industriale e che per prima aveva
conquistato i mercati mondiali sia pure sotto l’egida del suo impero, si ritrovò nella miseria più
nera. L’Italia ebbe uguale sorte sul piano economico, immediatamente mascherata sul piano sociale
dalla repressione e dalla propaganda dì fascista.
l’URSS, che in quegli anni stava sperimentando un compromesso tra l’agire di liberi mercati nel
settore agricolo e la guida delle attività industriali da parte dello Stato, reagì imponendo al Paese un
modo oppressivo e repressivo di produzione delle merci basato sull’eliminazione del mercato.
Il mondo rivelato dalla grande crisi segnò il naufragio del pensiero neoclassico e scoprì il fenomeno
di una disoccuapzzione visibilmente involontaria, gli inganni di un mercato della moneta presunto
dalla scienza economico come neutrale e l’irrazionalità di sistemi economici in cui, ad onta della
legge di Say, si fronteggiavano da un lato accumuli enormi di merci invendute e dall’altro folle
sterminate di affamati prive del minimo necessario alla sopravvivenza.
All’inizio politici e studiosi stentarono a capire che cosa era successo. Il ministero del Tesoro
inglese e il Ministero del Lavoro e delle Corporazioni fasciste in Italia, diedero la colpa ai lavoratori
e compressero i salari.
Questa ricetta fu accolta nell’Italia fascista: i salari furono ridotti con la forza, i disoccupati furono
arruolati sotto le armi o abbandonati a se stessi e la produzione riprese soltanto perché lo Stato
aveva garantito di acquistare le merci a patto che fossero tutte utili alla guerra.
Quella stessa ricetta, invece, fu rifiutata in Gran Bretagna, sia pure dopo un aspro dibattito, ad opera
di un economista liberale, John Maynard Keynes, che alla fine sistemò le sue idee riformatrici
nell’opera Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, pubblicata nel 1936.
In quello pera Keynes non ebbe timore di dire che la spiegazione di certi fenomeni (il disastro
finanziario, la crisi reale e la disoccupazione) dipendeva da modalità di funzionamento del sistema
molto diverse da quelle proclamate dai neoclassici.
Premessa.
Keynes ci avverte che la sua spiegazione vale solo assumendo date nel breve periodo certe
condizioni del sistema, senza pretesa di essere una verità valevole sempre e in ogni circostanza. Per
Keynes l’economia resta una scienza sciale e non esatta e non può dare una spiegazione tecnica,
universale e perenne applicabile a tutte le società del passato e del futuro, come dichiarato dai
neoclassici; la teoria ci spiega che cosa avviene quando siamo vivi e partecipiamo ad un dato assetto
della società, ma non può dire nulla su quel che accadrà nel futuro, dal momento, che, per
definizione, nel lungo andare saremo tutti morti.
Nel lungo periodo può succedere di tutto: Può succedere che cambi il mondo, come con il crollo del
Muro di Berlino, con la globalizzazione, con l’attacco alle Torri Gemelle, può accadere che il
mondo non cambi per nulla, che gli errori si ripetano, che le idee innovative non vengano accettate,
dal momento che sia gli uomini comuni, sia i politici, sia gli studiosi, di norma temono i mutamenti
nelle istituzioni e quasi sempre preferiscono istintivamente la conservazione dello stato vigente a
cambiamenti del futuro, anche quando promette grandi successi.
Riportiamo due sue frasi a tale proposito
La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che
sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della
mente
Prefazione alla Teoria generale
Presto o tardi sono le idee, e non gli interessi costituiti, che sono pericolose, sia in bene che in
male
Conclusione alla Teoria generale
Le idee Keynesiane furono accettate nell’anteguerra dal New Deal statunitense con grandi successi
e nell’immediato dopoguerra dal Welfare State voluto dai governi laburisti britannici e da molti
Paesi dell’Europa occidentale, in particolare del Nord Europa, per poi essere rifiutate in Gran
Bretagna e negli Usa, con Margaret Thatcher e Ronald Reagan e anche in altri Paesi a partire dagli
anni ’80, a causa del rinato neoliberismo di stampo neoclassico.
Recentemente, dopo la crisi del 2008, sono tornate in auge.
Una rivoluzionaria teoria generale
Per Keynes la società non può più essere vista come una somma di comportamenti individuali, così
come facevano i neoclassici, ma come il prodotto di azioni collettive differenti.
Importanti sono gli operatori economici aggregati, i consumatori aggregati, i produttori aggregati, la
sfera della domanda aggregata o globale, la sfera dell’offerta aggregata o globale.
Ogni componente di una categoria di operatori economici si comporta in maniera differente e ci
spinge a studiare il sistema economico nel suo complesso.
L’incertezza e l’irrazionalità
Se si presume che la logica di comportamento degli operatori agenti in un organismo complesso
qual è il sistema economico sia diversa a seconda delle funzioni svolte, dobbiamo riconoscere che
difficilmente ciascun operatore avrà conoscenza completa e perfetta delle scelte fatte dagli altri e
altrettanto difficilmente sarà in grado di prevedere il futuro perché determinato da comportamenti
disomogenei e non preventivamente valutabili. Insomma, il quadro di insieme che abbiamo di
fronte presume la totale incertezza di quel che può avvenire in ogni istante di tempo e giustifica
l’istinto di ciascuna categoria di operatori a premunirsi contro l’ignoto a rischio di qualche
insuccesso clamoroso o di qualche fortuna insperata.
Chi non sa nulla di quel che accade o accadrà sarà razionale a modo suo, perché le sue scelte
saranno dominate dall’incertezza.. Molto spazio avranno l’emotività, l’intuito, il fiuto….Il concetto
di razionalità cambia
La mappa degli operatori globali
Per Keynes gli operatori sono quattro, ciascuno inconfondibile con gli altri:
a) le famiglie, che, avendo ottenuto in qualche modo un reddito (Y), non importa se da lavoro,
da capitale o da terra, devono solo decidere i consumi (C) e i risparmi (S);
b) le imprese produttrici di merci o imprese reali che, dopo aver combinato in qualche modo al
meglio i fattori produttivi e le tecniche che hanno dato vita al pil devono decidere
unicamente l’entità degli investimenti (I):
c) le imprese finanziarie che operano sul mercato della moneta e che sono interessate al tasso
di interesse (i):
d) lo Stato, inesistente o quasi per i neoclassici, che invece nella teoria di Keynes svolge un
ruolo determinante
Un ribaltamento di prospettiva
Se si accetta l’ipotesi che il vero problema economico, condizionato dall’incertezza del domani, è
rappresentato da se e dal quanto le famiglie consumeranno e le imprese investiranno, nella teoria
Keynesiana la sfera più importante è la sfera della domanda.
Nella teoria neoclassica no: i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese non sono mai
incerti, ma sono il risultato automatico delle scelte fatte nella sfera della distribuzione e della
produzione.
Nello schema di pensiero Keynesiano, invece, le decisioni prese dalle famiglier e dalle imprese
produttrici di merci nella sfera della domanda (Y=C+I)condizionano le vicende future sia della
sfera della produzione che della sfera della distribuzione.
La ricerca di una quasi certezza
Nei Paesi poveri il problema del risparmio non si pone, perché ogni giorno si combatte una battaglia
per la sopravvivenza fino al giorno dopo.
Nei Paesi ricchi, invece, nei quali il problema della sopravvivenza è stato largamente risolto e il
reddito tende ad aumentare da un anno all’altro, le famiglie possono non soltanto consumare in
abbondanza, ma anche risparmiare moneta con estrema facilità, anzi, possono incrementare la
consistenza assoluta dei loro consumi effettivi e dei loro risparmi monetari proprio grazie al fatto
che il loro reddito è elevato e cresce nel tempo.
L’unica quasi certezza per le famiglie è la moneta.
La moneta è mezzo legale di pagamento ma anche riserva di valore garantita dallo Stato, spendibile
in qualsiasi momento.
La logica dell’operatore famiglie
Nella teoria Keynesiana tanto la domanda di beni di consumo, quanto il risparmio di moneta non
dipendono dal tasso di interesse, come asserito dai neoclassici, ma dal livello del reddito.
Precisazione: le famiglie saranno in grado di risparmiare moneta come riserva di valore solo dopo
aver raggiunto un certo livello del reddito reale, oltre il quale è presumibile che propenderanno a
sottrarre al consumo quote crescenti del guadagno aggiuntivo in modo da cautelarsi di fronte
all’incertezza del domani.
Se una famiglia ha un reddito reale molto basso, non vi sarà alcun livello del tasso di interesse così
attraente da indurla a non consumare e a risparmiare moneta: in questa circostanza tutto il reddito
sarà consumato nell’acquisto di beni e servizi primari. Viceversa, se una famiglia ha un reddito
reale molto alto, è facile presumere che solo per questo motivo sia indotta per prudenza a
risparmiare moneta, data l’incertezza del futuro, anche se il tasso di interesse prevalente sul mercato
dovesse essere relativamente basso.
La domanda effettiva di beni di consumo cresce all’aumentare del reddito, ma in modo meno che
proporzionale, mentre il volume complessivo dei risparmi monetari cresce, a fronte dello stesso
aumentare del reddito, in modo più che proporzionale.
Una prima carenza della domanda effettiva
All’aumentare del reddito nazionale reale, l’incremento della domanda globale di beni di consumo
sarà sempre meno in grado di assorbire il maggior volume delle merci prodotte; e tale
comportamento delle famiglie pone le condizioni perché nel sistema si generi una condizione di
crisi economica da sottoconsumo o sovraproduzione.
La teoria Keynesiane perviene ad una tesi sconvolgente: nelle società ricche e prospere il risparmio
delle famiglie, da intendersi come non acquisto di beni di consumo, diventa non l’antidoto ma la
causa dell’incertezza circa il domani e ribalta un diffuso luogo comune che assegna un valore
positivo e morale al risparmio secondo il detto “prima risparmia, poi compera”.
In questa ottica il risparmio delle famiglie è la premessa per la carenza della domanda effettiva dei
beni di consumo, non offre alcuna garanzia perché vengano fatti investimenti, si associa nelle
situazioni più floride della società al pericolo di un eccesso della produzione nazionale, stimola una
caduta del reddito reale delle stesse famiglie e provoca il rischio di una disoccupazione delle forze
di lavoro difficilmente contrastabile
E gli investimenti?
Si veda la presentazione Keynes 2
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