Versione n. 1 La strana marcia di Serse Erodoto, Storie 7, 56.4-58.4 Si racconta che quando Serse aveva ormai attraversato l’Ellesponto, un uomo di quella regione disse: «O Zeus, perché tu, assumendo le spoglie di un Persiano e prendendo il nome di Serse invece di quello di Zeus, vuoi distruggere la Grecia, portando con te tutti gli uomini? Infatti anche senza questi ti sarebbe possibile compiere questa impresa». Quando poi furono passati tutti, dopo che si furono messi in marcia, apparve loro un grande prodigio che Serse non tenne in nessuna considerazione, anche se era facile a comprendersi: una cavalla generò una lepre. Dunque in questo senso fu facile a capirsi, cioè che Serse aveva intenzione di spingere il suo esercito contro la Grecia con un apparato grande e maestoso, ma correndo all’indietro e girando su se stesso era destinato a tornare nello stesso punto (di partenza). Gli si presentò anche un altro prodigio quando era a Sardi: una mula partorì un’altra mula che aveva un doppio apparato genitale, maschile e femminile: e quello maschile era prevalente sull’altro. (Serse) continuava nella sua marcia ad avanzare senza tenere in nessun conto né l’uno né l’altro prodigio ed era con lui l’esercito di fanteria. Invece la flotta che navigava fuori dell’Ellesponto tornava indietro rasentando la terraferma, compiendo il percorso inverso rispetto alla fanteria. Versione n. 2 Un giovane oggetto di attenzioni da parte della matrigna Eliodoro, Etiopiche 1, 10, 1-3.3 Alla fine accadde una cosa di tal genere. Durante la celebrazione delle Panatenee, quando gli Ateniesi portano alla dea Atena una nave con una processione per terra, si dà il caso che io fossi tra gli efebi e dopo aver cantato il peana di rito alla dea e seguito il corteo secondo le tradizioni, così come ero nell’abbigliamento, proprio con la clamide e le corone, tornai a casa. Appena lei mi vide uscì fuori di sé e non tentava più neppure di nascondere il suo amore, ma con un impulso alieno dal ritegno corse verso di me ed abbracciandomi mi disse: «O giovane Ippolito, mio caro figlio di Teseo». Come credete che mi sia sentito io che ancora arrossisco nel raccontarlo? Ma venuta la sera, mio padre andò a cena al Pritaneo e come solito in tale festa ed in un banchetto pubblico doveva passare lì tutta la notte, lei allora venne da me di notte e cercava di ottenere da me qualcosa di illecito. Ma poiché io resistevo assolutamente e lottavo respingendo ogni lusinga e promessa e minaccia, lamentandosi profondamente si allontanò e se ne andò. Versione n. 3 I Greci di fronte alla perdita dei loro capi Senofonte, Anabasi 3, 1, 2-3 Dopo che i capi erano stati catturati e quelli dei locaghi e dei soldati che li avevano accompagnati erano morti, i Greci erano in uno stato di notevole costernazione, pensando che si trovavano alla corte del re persiano e intorno a loro da ogni parte c’erano popoli e città a loro ostili, e d’altra parte nessuno voleva vendere loro viveri, ed erano lontani dalla Grecia non meno di 10000 stadi, e non c’era nessuno che li guidasse nel cammino, mentre dei fiumi non navigabili proprio in mezzo alla strada che doveva ricondurli in patria li ostacolavano e d’altro canto li avevano traditi anche i barbari che avevano seguito Ciro nella spedizione, ed erano rimasti soli senza nessun cavaliere che li affiancasse nel combattere, così che era evidente che, se avessero vinto, non avrebbero ucciso nessuno, mentre, se fossero stati sconfitti, nessuno di loro sarebbe sopravvissuto. Riflettendo su questo ed in preda allo scoramento, di loro pochi toccarono cibo verso sera, ed ancora pochi accesero il fuoco, mentre molti quella notte non andarono all’accampamento e riposavano ciascuno dove capitava, non potendo dormire per il dolore e la nostalgia della patria, dei genitori, delle mogli, dei figli che pensavano non avrebbero mai più rivisto. Riposavano tutti trovandosi in tale stato d’animo. Versione n. 4 Una donna coraggiosa Plutarco, Vite parallele – Dione 21, 7-9 Era divenuto ostile a lui (Dionigi) Polisseno che aveva in moglie la sorella di lui Teste; pertanto quando lui se ne andò per paura e fuggì in Sicilia, Dionigi, fatta venire la sorella, la accusava del fatto che pur sapendo della fuga del marito non gliela aveva riferita. Quella senza turbarsi e, per Zeus, senza temere (disse): «Ti sembra forse, Dionigi, che io sia stata una donna così inetta e codarda che, se avessi saputo prima la fuga di mio marito, non sarei partita insieme a lui e non avrei condiviso la sua stessa sorte? Ma non ne venni a conoscenza prima; poi preferivo che si dicesse che ero moglie di Polisseno in fuga piuttosto che sorella di un tiranno come te». Dicono che il tiranno ammirò Teste perché aveva detto ciò con franchezza. Ed anche i Siracusani ammirarono il coraggio della donna cosicché dopo l’abolizione della tirannide a lei toccarono onore e rispetto da regina, poi, quando morì, i concittadini le resero onori funebri pubblici. Ora questo episodio ha comportato una digressione non priva di utilità. Versione n. 5 Dovere di seppellire i morti Pseudo-Lisia, Epitafio 7-9.2 Quando Adrasto e Polinice andarono a combattere contro Tebe e furono sconfitti in battaglia, siccome la dinastia Cadmea non permetteva di seppellire i morti, gli Ateniesi, convinti che quelli, se avessero commesso qualche colpa, pagavano il massimo fio con la morte, ma gli dèi degli Inferi non portavano via le loro spoglie, e invece, se i riti erano profanati, gli dèi del cielo non venivano onorati, all’inizio, mandando araldi, pregarono loro (i Cadmei) di concedere la restituzione dei cadaveri, pensando che fosse dovere di uomini pii vendicarsi dei nemici se vivi, mentre che fosse proprio di uomini non sicuri di se stessi mostrare magnanimità nei confronti dei corpi dei defunti. Non riuscendo però ad ottenerli, andarono contro di loro, per quanto prima non ci fosse nessuna discordia tra loro e i Cadmei, e neppure per fare cosa gradita agli Argivi che erano vivi, ma giudicando giusto che i morti in guerra ottenessero gli onori funebri di rito. Versione n. 6 Pace e benessere Isocrate, Sulla pace 25-26 Credo che noi non dobbiamo andarcene da questa assemblea non solo senza aver decretato la pace, ma anche senza aver deciso come potremo mantenerla e non fare ciò che di solito facciamo, cioè dopo aver fatto passare un po’ di tempo di nuovo finire col ritrovarci negli stessi disordini e come potremo trovare un modo non di rimandare, ma di liberarci dai mali presenti. Ora niente di tutto questo può verificarsi prima che voi vi lasciate convincere che la serenità è più vantaggiosa e produttiva dell’ingerenza, la giustizia dell’ingiustizia, e la cura dei propri affari delle mire su ciò che non ci appartiene. Su questo argomento mai nessun oratore ha avuto il coraggio di parlare tra voi; io invece voglio impostare la maggior parte dei discorsi di fronte a voi proprio su questi punti; mi rendo conto infatti che il benessere si basa proprio su questi fondamenti, e non in ciò che, guarda caso, adesso facciamo. UN ESEMPIO DI TRADUZIONE CONTRASTAVA Versione n. 7 Socrate non è maestro di nessuno Platone, Apologia di Socrate XXI, 33 a-b8 TRADUZIONE N°1 Ma io che per tutta la vita sono stato sempre lo stesso, se mai nell’ambito pubblico mi sono occupato di qualcosa, tale quale nella vita privata, apparirà chiaro che non ho mai fatto concessioni contrarie alla giustizia a nessun altro e neppure a nessuno di quelli che i miei accusatori sostengono che sono miei discepoli. Io d’altronde non sono mai stato maestro di nessuno; e, se uno desiderava ascoltarmi quando parlavo o mi occupavo dei miei compiti, sia che fosse giovane o vecchio, io non mi sono mai negato a nessuno, e non è che parlo facendomi pagare e invece se non mi faccio pagare no (non parlo), ma mi metto a disposizione allo stesso modo di chi è ricco e di chi è povero, perché mi facciano domande, anche se uno volesse ascoltare ciò che dico in risposta. E quanto a me, sia che uno diventi buono o no, non sarebbe giusto che avessi io la responsabilità di quello di cui né io mai promisi né detti nessun insegnamento; se poi qualcuno afferma di aver da me appreso o sentito qualcosa in privato che non abbiano appreso anche tutti gli altri, state sicuri che quello non dice la verità. TRADUZIONE N°2 a cura di Gino Giardini Ma io, durante tutta la mia vita, così in pubblico, se qualche volta mi sono occupato di cosa pubblica, come in privato, mi sono dimostrato sempre alla stessa maniera, non avendo mai ceduto a nessuno, né ad altri e nemmeno a nessuno di coloro che i miei accusatori chiamano miei scolari. Io non sono mai stato maestro di nessuno. E se c’è qualcuno che, quando parlo e porto a compimento le mie cose, desidera ascoltarmi, sia giovane che vecchio, io non mi sono mai tirato indietro, e non è che io parli se guadagno del denaro, mentre se non ne prendo non parlo. Ma io mi offro indistintamente al ricco e al povero, per farmi interrogare e se uno vuole sentire quello che dico mentre do la risposta. Poi se uno di costoro diventa un fior fiore d’uomo oppure no, non giustamente ne avrei il merito io, non avendo mai promesso nulla a nessuno e nemmeno ho impartito mai nessun insegnamento a nessuno. E se qualcuno dice di aver appreso qualcosa in privato da me, cosa che anche gli altri, tutti quanti, non abbiano appresa o udita da me, sappiate bene che non dice la verità. TRADUZIONE N°3 a cura di Emidio Martini Ma io, durante tutta la mia vita, così in pubblico, se mai qualcosa vi ho fatto, apparirò tale, e tale anche in privato: uno che non ha mai concesso niente e nessuno contro il giusto, né ad altri né ad alcuno di questi che i miei calunniatori chiamano miei discepoli. lo non sono stato mai maestro di nessuno; e se qualcuno desidera d’udirmi, allorché parlo e attendo ai fatti miei, giovane o vecchio che sia, io non l’ho mai conteso a nessuno; né per danaro discorro, e senza, no; ma mi presto egualmente al ricco e al povero perché m’interroghi, e risponda, se preferisce d’udire ciò che dico io. E ove di questi qualcuno diventi buono o no, non è giusto che se ne addossi la causa a me, perché io a nessun di loro ho mai promesso d'insegnare né ho mai insegnato nulla. E se c’è chi affermi d’avere appreso o udito da me in privato qualcosa che non tutti gli altri anche, sappiate bene che non dice il vero.