NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screen or not to screen? Da anni si dibatte sull’utilità e l’opportunità di organizzare programmi di screening per il tumore della prostata nei maschi al di sopra dei 50 anni grazie alla disponibilità di un marker accessibile e comodo quale il dosaggio del PSA (Antigene Specifico della Prostata) serico, utilizzato da solo o in combinazione con altri test. Molto è stato scritto su questo tema e molte sono state le esperienze di screening effettuate in varie parti del mondo. Oggetto del nostro lavoro è studiare le reazioni suscitate in una precisa comunità medica (quella dei medici di medicina generale - MMG, degli urologi e degli oncologi fondamentalmente) della AUSL e dell’Azienda Ospedaliera di Parma, da una proposta di screening di questo tipo, come mezzo per evidenziare le opinioni e le convinzioni sottostanti nei singoli e nei gruppi professionali. MATERIALI E METODI Il materiale di studio proviene da quattro diverse fonti: 1. I testi di una serie di lettere in formato elettronico inviate alla mailing list dei MMG di Parma appartenenti al gruppo “koinè”, della quale fanno parte anche numerosi medici specialisti, ospedalieri, universitari e liberi professionisti, sul tema di un eventuale progetto di screening in loco. 2. La trascrizione della registrazione di un dibattito su questi temi svoltosi all’interno di un piccolo gruppo misto (MMG, urologi, epidemiologi, oncologi) radunatosi spontaneamente una mattina di sabato presso l’Ordine dei medici a seguito della discussione iniziata sul forum telematico. 3. La trascrizione delle registrazioni effettuate nel corso di un convegno sul PSA e la diagnosi precoce del tumore della prostata alla quale erano stati invitati tutti i MMG dell’AUSL e a cui hanno partecipato numerosi oncologi, urologi, radioterapisti, anatomopatologi. 4. Due articoli comparsi sul quotidiano locale (“La Gazzetta di Parma”) ad opera di alcuni colleghi in coda al dibattito. Il materiale è stato analizzato come un tutt’uno dal punto di vista qualitativo con i metodi propri dell’analisi testuale1,2, effettuando una lettura iterativa e raggruppando ed evidenziando le problematiche emergenti, le tematiche ricorrenti, le frasi più significative. RISULTATI Il dibattito origina da una lettera inviata da un MMG alla mailing list “koinè”. In essa, prendendo lo spunto da “voci” su un progetto locale di screening per il tumore della prostata in via di organizzazione a Parma (“nuovamente in ambito locale si torna a parlare di screening. Questa volta tocca alla prostata…”), il collega riporta il documento sottoscritto nel 2000 da tutte le società scientifiche della medicina generale italiana contro lo screening per il tumore della prostata progettato in Lombardia nell’ambito del Piano Oncologico Regionale3 che sottolineava come: 1. Non esista una documentata efficacia dello screening nel ridurre la mortalità per cancro prostatico (sono in corso studi che permetteranno di stabilirlo entro pochi anni). 2. Per questo nessuna istituzione o società scientifica internazionale (con l’eccezione dell’American Urological Society) raccomanda lo screening, molte anzi lo sconsigliano vivamente, tra queste il CNR, che, in un suo documento, definisce “non lecito”, stante il livello attuale delle conoscenze, proporlo. 3. Il “nocciolo” del problema è costituito dalle differenti potenzialità evolutive delle neoplasie prostatiche, con l’impossibilità allo stato attuale di distinguere le forme aggressive da quelle a crescita lenta e il conseguente rischio di trattare inutilmente neoplasie “silenti” (overdiagnosis and overtreatment). 4. In ogni caso, prima di iniziare lo screening i candidati avrebbero dovuto essere correttamente informati di queste incertezze, del potere predittivo del test al PSA e dei possibili effetti collaterali legati alle indagini ulteriori e alla terapia, soprattutto chirurgica, della neoplasia. R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 33 NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screan or not to screan Il documento quindi rivendicava ai MMG il diritto/dovere di effettuare se del caso in prima persona questa opera di informazione. Lo stesso giorno risponde sulla mailing list un urologo: “probabilmente sono l’unico urologo del gruppo koinè e pertanto devo rispondere io e colgo l’occasione per qualche precisazione, in quanto l’argomento screening è stato già ampiamente dibattuto nei congressi urologici nazionali e internazionali”. Dopo questa premessa, nella quale il collega si autoinveste quale portavoce della specialità, egli passa a controdedurre: “C’è screening e screening (età diverse, diversi strumenti, diversi protocolli). Si può criticare uno screening, ma non “lo screening per principio, come fa il CNR”. “Non sono d’accordo con le critiche del CNR, le ho già sentite e risentite, pronunciate nei congressi da chi non sa organizzare (o non ha la capacità e la volontà di organizzare uno screening per la prostata) e si trincera dietro alle solite critiche sullo screening prostatico. Critiche che peraltro non sono cambiate nel corso di ben 10 anni pertanto vedrò di sfatarle una volta per tutte”. Rispetto all’affermazione: “il trattamento precoce non comporta un aumento dell’aspettativa di vita” dichiara: “questo era vero venti anni fa, prima di Walsh (prostatectomia radicale nerve sparing) e della radioterapia conformazionale”. La mancanza di studi randomizzati sull’utilità dello screening è dovuta al fatto che non sono fattibili (in realtà anche il gruppo di controllo al giorno d’oggi fa sempre qualcosa nel senso della diagnosi precoce…). “Quindi quando i critici parlano di sovradiagnosi e sovratrattamento si tratta in realtà di diagnosi precoce e conseguente trattamento con ottimi risultati”. “La morbilità legata alle biopsie e ai trattamenti chirurgici sta anno dopo anno diminuendo”. Il PSA, assieme a free-PSA ed esplorazione rettale, raggiunge una specificità del 93%. “In conclusione oggi abbiamo le metodiche PSA, free-PSA e visita per poter organizzare (sulla base di seri studi di screening del carcinoma prostatico vedi Screening in Finlandia nei pazienti 55-67 anni) programmi di screening mirati alla diagnosi dei tumori iniziali, curabili e aggressivi”. “Restano aperti i problemi di costi, di organizzazione, di volontà e di determinazione, però io personalmente sono favorevole ad un programma di screening allargato che coinvolga il medico curante, il laboratorista e l’urologo. Parma in questo senso si presterebbe bene a tale programma: siamo un gruppo di medici affiatati! Stiamo già pensando ad organizzarne uno”. Ma subito il collega MMG raffredda gli entusiasmi: “io la penso esattamente al contrario”. Le forze (gli argomenti) in campo si sono ormai dispiegate nelle loro linee essenziali e gli interventi successivi sulla mailing list, nei dibattiti pubblici e sulla stampa servono a precisare le varie posizioni, a supportarle con la letteratura, a discutere le affermazioni altrui. Gli argomenti scientifici portati a favore o contro lo screening per il carcinoma prostatico sono riassunti nel box. Oltre la discussione scientifica La discussione mette il luce ben presto altri argomenti, che potremo chiamare “metascientifici”, oppure, di volta in volta: “emotivi”, “di scuola”, “da deformazione professionale”. È il “primo urologo” che scrive: “se uno è in disaccordo per altri problemi non scientifici che non conosco allora è meglio che li esprima una volta per tutte senza tirare in ballo il CNR. Infatti tu hai criticato lo screening prima ancora di sentire quali fossero i criteri di inclusione ed il percorso diagnostico. Sono aperto a critiche costruttive che ci aiutino a rendere quanto migliore il nostro progetto”. “Ribadisco comunque la proposta di un programma moderno di screening, mirato, da effettuarsi nel comune di Parma (sono stanco di vedere tanti pazienti con tumore avanzato!)“. E il collega MMG, l’iniziatore della discussione, provocato, sbotta: “Il disaccordo è basato esclusivamente su R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 34 NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screan or not to screan motivi scientifici, mi sembra quasi ovvio rimarcarlo, ma in periodo di conflitto d’interessi mi sembra corretto citare il mio e quello della MG: non vogliamo ambulatori pieni di pazienti con la ossessione di fare il PSA, ne vediamo già abbastanza e ne misuriamo poi i danni in paure, ansie, eco, marker tumorali, biopsie inutili. E per inutili intendo la mancata dimostrazione della riduzione di mortalità in chi si sottopone a questi accertamenti”. Entrano in campo altri MMG che cercano di spiegare il motivo di questo diverso modo di vedere. Si comincia da una citazione da “Panorama”: PERCHÉ NO L’aumento dell’incidenza del carcinoma prostatico è in gran parte dovuto all’introduzione nella routine del dosaggio del PSA. Si tratta quindi di un aumento delle diagnosi, seguito da un aumento dei trattamenti, senza una corrispettiva riduzione della mortalità. Nessuno studio randomizzato e controllato ha mai dimostrato la capacità dello screening di ridurre la mortalità per carcinoma della prostata (sono in corso due grossi RCT, uno europeo e uno U.S.A. che si concluderanno nel 2006 e 2008). Non bisogna confondere la riduzione di mortalità con l’aumento (apparente) di sopravvivenza dovuto all’anticipo diagnostico (“lenght bias” per cui sembra che si allunghi l’aspettativa di vita del paziente solo perché abbiamo scoperto prima il tumore, non perché abbia effettivamente cambiato la sua storia clinica). in una recente intervista ai colleghi Caimi e Tombesi del Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale sul tema generale dei “check-up” e degli screening essi affermano: “I medici di base assistono pazienti che, per la maggior parte, non sono affetti da tumori o patologie cardiovascolari, le malattie obiettivo privilegiato della prevenzione. Allo specialista, invece, che sia oncologo o cardiologo, arrivano i pazienti su cui la prevenzione non è stata fatta o non ha funzionato. In un certo senso è come se si scontrassero due atteggiamenti filosofici: quello di chi è convinto che cogliere i più deboli Il PSA ha dei problemi di specificità per cui ci sono molti falsi positivi che indurranno biopsie prostatiche non necessarie con conseguenti effetti collaterali, senza contare l’ansia indotta… Non è sufficientemente nota la storia naturale del carcinoma prostatico: fin dagli anni Cinquanta è riportato il dato di un’altissima frequenza (fino al 40%) di neoplasie prostatiche riscontrate “casualmente” all’esame autoptico in ultraottantenni morti per altra causa (potremmo rischiare di far operare un paziente di cinquant’anni per togliergli una neoplasia di questo tipo?). PERCHÉ SÌ Il carcinoma prostatico è, nei paesi occidentali, una delle prime causa di morte nel maschio e la sua incidenza è in forte aumento. Con lo screening rileviamo tumori in stadio precoce, spesso intracapsulari, con possibilità di trattamento radicale con minori sequele postoperatorie (è dimostrato che più lo stadio è basso migliore è la prognosi rispetto a recidive ed esiti). In attesa dei dati di mortalità non possiamo non cercare di fare diagnosi precoci. Il PSA da solo è poco specifico ma combinando più esami in sequenza (es. PSA + percentuale di free-PSA + palpazione rettale come è stato fatto in Finlandia) si raggiungono ottimi livelli di specificità, fino al 93%, con riduzione delle biopsie prostatiche inutili, per le quali comunque morbilità e mortalità sono in costante diminuzione. L’esperienza degli screening fatti in passato segnala il rinvenimento di molte neoplasie piccole ma ad alto grado di malignità (score di Gleason ≥ 7). D’altra parte le segnalazioni di neoplasie innocenti, rinvenute casualmente negli anziani, non sono sufficientemente precise dal punto di vista istologico (neoplasie intraepiteliali? quale grado?). R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 35 NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screan or not to screan segni di una malattia già sul nascere sia sempre bene e che un accertamento in più, se non serve, di certo male non fa; e quello di chi si sofferma a considerare le conseguenze che possono venire dal non eseguire, ma anche dall’eseguire certi esami”. Un altro MMG: “Stiamo guardando la bottiglia mezza piena da due punti di vista diversi. L’urologo, proprio per la sua attività, vede soprattutto questi malati ed è ragionevolmente ‘stufo’ di dover mutilare soggetti che se si fossero (loro o i loro medici) mossi prima se la sarebbero cavata con meno intoppi. D’altra parte se si implementasse veramente lo screening comincerebbe a vedere e ad operare tanti soggetti portatori di neoplasie ‘tranquille’ esponendoli al rischio di inutili complicanze”. Un altro MMG esprime il proprio disagio di fronte all’impossibilità di trovare risposte univoche nella letteratura: “vorrei comunicarvi il mio personale malessere di fronte alle discussioni scientifiche, in particolare agli ultimi esempi: studio ALLHAT e PSA. Di fronte a queste cose e alle discussioni interminabili che si susseguono, rimango interdetto: ci sarà sempre qualcuno che lo stesso studio, te lo rovescia, ti ribalta i risultati, ti dice che, in effetti, non era il target giusto, non c’erano abbastanza pazienti, ci sono degli interessi di parte, ecc... Io, sinceramente, non ho le armi adeguate per poter controbattere tutti i punti; e allora mi tengo le mie idee, o me le confondo di nuovo; anche perché questo va ad aggiungersi a tutto il lavoro del medico di famiglia: consolare gli afflitti, dare buone notizie, annunciarne di cattive, temere per la reazione, proporre un cammino di speranza, medicare, svuotare ascessi, cercare di ricoverare il meno possibile, fare da tramite tra paziente e ospedale, e specialisti, spendere poco (sic!), cercare la migliore strada da proporre, studiare le cose ‘normali’, chi più ne ha, più ne metta ... Per il PSA, avrò sempre in mente un mio caso personale o quello che mi è stato detto da un mio collega, di un paziente giovane a cui non è stato fatto, perché certi studi non consigliano lo screening a meno di 50 anni, e che poi ha sviluppato una frattura ossea patologica dovuta alla malattia in progressione e che è deceduto fra mille sofferenze; e questo avrà molta più risonanza nel mio decidere che non tanti lavori che avrò sì e no il tempo di guardare. Quello che voglio esprimere, non si offendano gli uomini di scienza, è che questa mia professione di medico di famiglia non sempre è scientifica e gli innumerevoli lavori rischiano di confondere le poche idee chiare che posso avere”. Due MMG si “mettono nei panni del paziente”: a. “A mio modesto parere, vale sempre questa domanda: cosa farei se risultasse elevato il mio PSA in una batteria di esami? Maledirei chi me li ha prescritti (cioè me-stesso) oppure mi metterei a pensare: meno male che lo abbiamo scoperto in tempo? b. “Personalmente, come medico, non sono sostanzialmente contrario allo screening (per ragioni che spiegherò dopo), ma come uomo non ho alcuna intenzione di fare il PSA visto che mi sento bene e non temo il carcinoma prostatico più di quanto tema il carcinoma gastrico o del colon o polmonare o l’infarto o l’Alzheimer, ecc.”. In un articolo su La Gazzetta di Parma nelle ultime fasi dell’acceso dibattito il primario urologo dell’Azienda Ospedaliera sostiene con foga: “È concetto ormai consolidato che noi chirurghi ribadiamo, con monotona frequenza, che oggi si può debellare il cancro o, se preferite, il male del secolo, in caso di diagnosi precoce, con tumore ancora confinato nell’organo: questa è una delle poche certezze in ambito chirurgico”. Per poi mostrare “cedimenti” poche righe dopo: “può darsi che presto sia addirittura possibile identificare i soggetti più a rischio di sviluppare un cancro prostatico aggressivo e pertanto di orientare solo verso di essi le strategie diagnostico-terapeutiche”. L’informazione al paziente Il tema dell’informazione da dare al cittadino, della comunicazione, attraversa tutta la vicenda del dibattito sullo screening. In una situazione di obiettiva incertezza, R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 36 NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screan or not to screan quali informazioni e quali strumenti decisionali dare all’utente, tenendo presente che i massmedia hanno un potere di penetrazione ben maggiore del nostro? I MMG non si fanno illusioni: “Chiaro che nessuno in televisione ha mai portato l’editoriale del BMJ: ‘la prevenzione può danneggiare seriamente la tua salute’ come scrivevano Sarah Stewart-Brown e Andrew Farmer nel 1997; proprio sullo screening del carcinoma prostatico4. È a questo livello che si vede tutta la carenza della medicina generale. Il fatto di non avere riferimenti e rappresentatività accademica (i MMG pensano di aver bisogno di tutela sindacale e basta, scrive Tombesi) fa sì che ci si deve prostrare ad ogni stormir di foglia”. Ed un MMG, nella sua relazione alla tavola rotonda, cita di nuovo il BMJ a proposito di una vicenda che mostra chiaramente il potere di controllo della stampa sull’accesso al pubblico, cosicché un dibattito “ad armi pari” su questi temi non è quasi mai possibile: chi mette in guardia dagli eccessivi entusiasmi “preventivi” viene tacciato come retrogrado e facilmente zittito5. Allora bisogna dirlo molto chiaramente: le linee guida non prevedono lo screening con il PSA per il tumore della prostata. Questo deve essere ben esplicitato nel consenso informato che preventivamente ogni assistito dovrebbe conoscere prima di fare l’esame. Mi permetto pertanto di inviare in “koinè” un abbozzo di documento che come Società di Medicina Generale (SIMG) stiamo progettando di far avere a tutti i MMG o almeno agli iscritti. Un documento elaborato dalla British Association of Urological Surgeon in associazione con il Royal College of Radiologists Clinical Oncology Information Network: 1. Il PSA non dovrebbe essere richiesto nei soggetti asintomatici. 2. Non si deve negare il PSA al soggetto asintomatico che lo richiede perché se in seguito si dovesse sviluppare un cancro prostatico, seguirebbero problemi di ordine etico e legale. 3. Il PSA non dovrebbe essere negato al paziente ad alto rischio (per es. per storia familiare) anche se non vi sono studi in proposito. 4. Il paziente cui viene prescritto il PSA dovrebbe comunque avere le seguenti informazioni per poter compiere una scelta informata: a. il test può svelare un cancro in uno stadio in cui può essere offerto un trattamento curativo; b. il test può dare falsi negativi; c. se il test risulterà sospetto bisognerà eseguire una biopsia transrettale che è gravata comunque da una certa morbilità (emorragie, infezioni) e che potrebbe rivelarsi inutile fino al 67% dei casi; d. se si trova un cancro iniziale il trattamento può provocare effetti collaterali non controbilanciati da un aumento dell’aspettativa di vita; e. il test potrebbe svelare un cancro iniziale che si è incerti come trattare. Ma il problema è ben più complesso, riguarda il “cosa dire e cosa fare” ad esempio con il paziente, anche al di fuori dello screening. Lo dice chiaramente un primario urologo nell’incontro preparatorio al convegno: “anche noi cominciamo ad essere in crisi con tutto ‘sto problema… per noi non esiste solo il tumore della prostata. Sta diventando una roba… Noi abbiamo persone che chiedono ‘ho 4.1 di PSA: cosa faccio?’”. Allora, insomma, questo screening s’ha o non s’ha da fare? Dal materiale raccolto e analizzato la risposta sembra essere: non essendoci evidenze sull’utilità dello screening (arriveranno giudizi definitivi nel 2006-2008) non si possono prendere iniziative pubbliche estensive di diagnosi precoce, sebbene nella municipalità di Parma i soli laboratori dell’azienda USL hanno effettuato quasi 11.000 determinazioni del PSA nell’anno 2002 (la popolazione dei maschi eligibili per uno screening nel comune di Parma sarebbe di circa 20.000 soggetti). Concordi alcuni degli urologi: “con i risultati attualmente a disposizione non è ancora raccomandabile un impegnativo programma di screening di massa a livello nazionale ad opera del Ministero della Salute o di altri enti pubblici. In attesa che vengano completati i grandi studi randomizzati, è opportuno perseguire la diagnosi precoce mediante PSA, non tralasciando studi pilota di R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 37 NEWS & VIEWS Screening per il tumore alla prostata: to screan or not to screan screening, per aggiungere qualche dato sulla conoscenza del problema”. Cauti gli oncologi: “È giustificato proporre su larga scala (che può andare da un ambito comunale ad uno nazionale) solo quegli screening per ora validati dalla letteratura (cervice uterina e mammella >50 anni). Gli altri screening (polmone, prostata, colon-retto, ecc.) sono attualmente sperimentali e quindi sono giustificati solamente all’interno di studi clinici, randomizzati ben condotti e finanziati ad hoc attraverso progetti regionali o nazionali in cui i soggetti coinvolti nella sperimentazione acconsentono previa corretta informazione”. Anche il responsabile del Registro Tumori della Provincia: “Allo stato attuale delle conoscenze, perciò, lo screening del carcinoma prostatico non sembra sostenibile in quanto non è ancora provata l’efficacia. Sono in corso studi a livello internazionale per chiarire il problema. Considerazioni di ordine etico, oltre che di economia sanitaria, rendono discutibili l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche per realizzare interventi di dubbia efficacia a scapito di altri, sicuramente più utili e sicuri per la popolazione”. Assieme ai MMG sostengono la necessità di utilizzare il PSA esclusivamente in modo “personalizzato”, dopo adeguata informazione del paziente: “Potrebbe perciò essere proposta una ‘diagnosi precoce’ in un rapporto interpersonale tra medico e paziente: i medici dovrebbero spiegare i potenziali benefici e i rischi conosciuti dallo screening, della diagnosi e del trattamento del cancro della prostata, valutare l’aspettativa di vita (si sottolinea l’inopportunità di effettuare la ricerca di tumori prostatici asintomatici in soggetti con attesa di vita inferiore a 10 anni e il potenziale maggior vantaggio nei soggetti con età inferiore a 65 anni) e infine personalizzare la decisione”. continuerà per trovare modalità di intervento alternative condivise. Di certo la discussione sullo screening è stata una grossa occasione di crescita culturale per tutti. Dieci MMG, un urologo e un oncologo hanno dato vita ad un dibattito telematico intenso in una mailing list letta allora da circa 160 medici di Parma e dintorni (55 messaggi in un mese e mezzo, due MMG sono intervenuti solo per dire: “basta! Avete stufato con il PSA!”). A supporto della discussione sono state inviate copie delle principali linee guida internazionali sul carcinoma prostatico. C’è stata una riunione preliminare e un convegno che ha visto la presenza di oltre 200 tra MMG e specialisti con una discreta discussione tra pubblico e relatori... ma le decisioni in merito tardano! Claudio Carosino MMG, Busseto (Parma) [email protected] Si ringraziano i colleghi MMG e specialisti della lista “koinè” che hanno dato il consenso alla divulgazione delle loro e-mail. BIBLIOGRAFIA: 1. Ricolfi L (a cura di). La ricerca qualitativa. Carocci, Roma 1999. 2. Pope C, Ziebland S, Mays N. Analysing qualitative data. BMJ 2000; 320: 114-6. 3. www.csermeg.it/apro0009.htm 4. Stewart-Brown S, Farmer A. Screening could seriously damage your health. BMJ 1997; 314: 533. 5. Abbasi K. “To screen or not to screen?”. BMJ 1998; 316: 484. CONCLUSIONI A tutt’oggi non è ancora chiaro se e in che modi si farà a Parma lo screening per il tumore della prostata. Sembra che ci sia già uno stanziamento ad hoc da parte della Comunità Europea quindi probabilmente il dibattito R&P 2 0 0 4 ; 2 0 : 3 3 - 4 2 38