Le confessioni
Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Angelo Pasquini, Roberto Andò
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Clelio Benevento
Musica: Nicola Piovani
Scenografia: Giada Esposito
Interpreti: Connie Niel-sen, Daniel Auteuil,
Pierfrancesco Favino, Toni Servillo
Origine: Francia | Italia | Svizzera
Anno: 2015
Durata: 120 minuti
A tre anni di distanza dall’inatteso successo del surreale ma geniale Viva la libertà, con
questo thriller da camera chiusa animato da una sincera vocazione al cinema di denuncia
e di impegno civile il siciliano Roberto Andò torna a riflettere sui guasti della politica e sul
rapporto squilibrato tra chi tiene le fila del mondo e le moltitudini che devono pagare le
conseguenze delle decisioni prese dai potenti del pianeta nelle stanze dei bottoni. (…)
Il punto di partenza de Le confessioni (…) fa capo alla classica domanda “cosa
succederebbe se…”, là dove l’ipotesi avanzata in questo caso riguarda la presenza di un
elemento disgregatore (un monaco certosino votato al silenzio e da anni lontano dai
palcoscenici della vita «reale») all’interno di una riunione dei ministri del G8 il cui obiettivo
principale è quello di discutere l’approvazione di un provvedimento impopolare in materia
di economia globale.
Muovendo da questa bizzarra premessa destinata a spiazzare lo spettatore, Andò si
muove in un àmbito di film di genere (il giallo da camera chiusa di vaga ispirazione
classica) contaminandone le atmosfere con gli ingredienti del thriller politico (l’accoppiata
Sciascia-Petri di Todo Modo fa capolino ovunque), a sua volta arricchiti da robusti innesti
del cinema di impegno e di denuncia e senza mai rinunciare a momenti di sospensione
onirica che non possono non far pensare al recente Sorrentino di Youth.
In un albergo di lusso della Germania del Nord (e non è un caso che proprio a
Heilingendamm, tra Berlino e Amburgo, nel 2007 si tenne un’importante riunione del G8) i
ministri economici degli otto paesi più potenti della Terra si son dati convegno con il capo
del Fondo Monetario Internazionale per varare un provvedimento impopolare la cui vera
natura non viene mai enunciata ma che tutti in sala capiscono essere l’ennesimo atto di
iniquità planetaria a sfavore degli umiliati e offesi del mondo.
E tutto andrebbe come da copione (hotel di extra lusso, servizi di sicurezza che vigilano
discreti nell’ombra e destini del mondo in mano a pochi teorici del trionfo dell’abisso), se
non fosse per due bizzarre circostanze destinate a sparigliare le carte in tavola: il
Presidente del FMI ha infatti deciso di invitare al meeting una celeberrima scrittrice di
romanzi per adolescenti (forse un riferimento alla miliardaria autrice della saga di Harry
Potter?), una rock star americana (personaggio questo poco riuscito e infatti usato solo in
due scene del film), ma soprattutto il già citato monaco certosino italiano.
Come se questo non bastasse, dopo pochi minuti i partecipanti al summit si trovano a
convivere col classico caso di uno shock da giallo in stile Agatha Christie: al termine di una
lunga confessione da lui stesso richiesta al monaco italiano, il Presidente del FMI viene
trovato morto con un sacchetto di plastica in testa. (…) Suicidio o omicidio?
Da quel momento in poi, l’asse della narrazione si sposta in maniera sbilanciata
dall’assunto di partenza (ovvero vedere quel che potrà accadere in un meeting di potenti
snaturato dalla presenza di tre corpi estranei) a nuove urgenze che ne mettono in secondo
piano la centralità.
Essendo stato il depositario delle sue ultime volontà consegnategli nel corso della
confessione, il monaco italiano viene messo alle strette dai ministri, ansiosi di sapere cosa
il morto gli abbia rivelato e per quali ragioni abbia esatto di liberarsi l’anima prima di porre
fine alla propria vita.
Quesiti questi che rimarranno insoluti. E per svariate ragioni. Votato da anni al culto del
silenzio contro l’imperare dell’esibizionismo esistenziale che i social network hanno eletto
a mantra quotidiano, per ragioni sacramentali il monaco italiano (ex matematico, scrittore e
fine spadaccino verbale degno del Guglielmo da Baskerville de Il nome della rosa, oltre
che spirito francescano capace di dialogare con gli animali citando modi e sentenze di
quel Francesco che siede sul soglio di Pietro) non può rivelare quanto il morto gli ha
affidato in confessione.
Tocca quindi ai politici e agli altri invitati (prima fra tutte la romanziera di successo) cercare
di fare luce sul mistero, in una lotta contro il tempo dettata anche dalla necessità di
nascondere l’accaduto al resto del mondo, nella speranza che la soluzione del mistero
possa permettere al gruppo di fornire all’opinione pubblica una versione credibile dei fatti
senza che venga alla luce il segreto della manovra decisa dai ministri.
Costosa co-produzione europea che ha costretto Andò a girare in inglese per far
convivere nomi più o meno grossi del cinema europeo (tra cui spicca, accanto a Toni
Servillo, il nome di Daniel Auteil - nei panni del presidente del FMI-, Le confessioni è un
film molto denso di riferimenti metacinematografici e letterari che vede convivere più
anime e (forse) fin troppe ambizioni programmatiche difficili da far coabitare senza mai
dare l’impressione di aver voluto mettere troppa carne al fuoco.
Nonostante una scelta accorta di imprimere scossoni periodici al lento dispiegarsi della
materia narrativa grazie alla scomposizione in flashback progressivi di parte delle
rivelazioni contenute nella confessione (autentico pezzo di bravura in cui duellano due
grossi calibri quali Servillo e Auteil senza mai pestarsi i piedi), il ritmo eccessivamente
compassato del film rischia di non aumentarne la popolarità presso fasce di pubblico
impreparate ad apprezzare appieno lunghi piani fissi dei volti dei personaggi in scena e
indugi a volte soporiferi su lievi fibrillazioni dell’anima denunciate soltanto da smorfie
impercettibili dei volti.
Ma il cinema di Roberto Andò è anche questo. (…) Ovvero il coraggio di andare
controcorrente e di proporre un film multistrato di ardua lettura concepito e realizzato con
modalità espressive e contenuti consapevolmente contro ogni forma di andazzo modaiolo
in voga dalle nostre parti.
Un cinema testardamente legato all’idea che un film possa e debba riflettere sullo stato
delle cose in atto (in questo caso i destini dell’umanità in mano a pasdaran del profitto dei
pochi a scapito del disagio delle masse senza voce) denunciandone le storture con un
approccio originalissimo e con scelte narrative — in questo caso la presenza del monaco
al tavolo dei potenti — destinate a suscitare inevitabili dibattiti tra sostenitori entusiasti e
detrattori sconcertati dalle idee proposte.
Guido Reverdito - CineCriticaWeb