L`estraneo pirandelliano diventa il convivente del personaggio

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TARANTO – GIOVEDÌ 6 APRILE 2017
alle ore 18:30
SALA START UP
Via Principe Amedeo 356
CONVEGNO SU LUIGI PIRANDELLO
A 150 ANNI DALLA NASCITA
A CURA DI PIERFRANCO BRUNI
“PIRANDELLO STREGATO DALLA LUNA”
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PIERFRANCO BRUNI autore di diversi scritti sul Novecento letterario e antropologico
italiana, saggista e scrittore, vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani (SLSI),
studioso ed esperto di Etnie Mediterranee presso il Ministero dei beni culturali (MiBACT),
discuterà di LUIGI PIRANDELLO A 150 ANNI DALLA NASCITA.
Nel corso del di terrà la presentazione del libro di Pierfranco Bruni “Luigi Pirandello, il
tragico e la follia” (Nemapress) e verrà proiettato un VIDEO SU PIRANDELLO A CURA
DI ANNA MONTELLA: https://www.youtube.com/watch?v=vrzdqIxu5Ws
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“PIRANDELLO STREGATO DALLA LUNA”
- SINTESI La stregoneria è un elemento che si intreccia alla favola o alla leggenda o allo scavo
antropologico e simbolico. In Luigi Pirandello nella stregoneria si agitano alcune immagini
che sempre riportano alla luna.
La luna è madre e crea il riflesso sulla terra. La luna è propiziatrice. È un arcano. È un
archetipo. La scrittura di Pirandello è ‘lunatica’, è un arcipelago di un immaginario che è
scavo esistenziale, ma anche dimensione onirica. La luna influenza. La luna fraziona la vita
e collega il viaggio dei vivi nel regno de non-più-vivi. Uno dei percorsi più malinconici è un
guardarsi dentro e trovarsi.
Con quali occhi bisogna sostenere il tempo dell’assenza? Dirà nei “Colloqui coi
personaggi” in “Giornale di Sicilia” (11-12 settembre 1915): «Guarda le cose anche con gli
occhi di quelli che non le vedono più! Ne avrai un rammarico, figlio, che te le renderà più
sacre e più belle».
La sacralità è la durata di una frazione di tempo che diventa ricordo. Pirandello senza
misurarsi con il ricordo non sarebbe stato lo scrittore del Mattia Pascal.
Qui gioca fortemente il tempo come rivelazione. Ma non sarebbe stato lo scrittore della
rottura del rimpianto. Sostituisce il rimpianto con la il sublime della memoria: «Bisogna
vivere, cioè illudersi; lasciar giocare in noi il demoniaccio beffardo, finché non si sarà
stancato; e pensare che tutto questo passerà»(in “I vecchi e i giovani”, 1913).
La memoria è una danza che resta intrecciata come una catena al nostro esistere. Ci
racconta anche quando vorremmo che il silenzio prendesse il sopravvento. I suoi
personaggi sono destinatari di una magia. Destino e magia è una contraddizione che mai si
riappacificherà, perché vive nel cerchio alchemico della terra-madre:un canto nel vento di
una civiltà che ha saputo intercettare l’ovvio e le credenze che giocano dalla preistoria dei
mari.
Quali possono essere i limiti di tutto ciò? Pirandello scrive nel saggio “L’umorismo” (1908):
«I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti. Di là da
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quella linea vi sono memorie, vi sono percezioni e ragionamenti. Ciò che noi conosciamo di
noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo».
Perché tutto ciò? Perché afferma Pirandello: «Abbiamo tutti dentro un mondo di cose;
ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io
dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta,
inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l'ha
dentro? Crediamo d'intenderci; non c’intendiamo mai!” (in “Sei personaggi in cerca
d’autore”, 1921).
Dove si ascolta il dialogare tra la magia, il senso della follia, la credenza e la stregoneria?
Un’antropologia non solo della terra-luogo, ma dell’anima. Nei “I giganti della montagna”
del 1934 si legge: «Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che
ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore». Diventa più incisivo questo mosaico
quando si graffia nel profondo e si ascolta: «C’è forse qualcuno laggiù che s’illude di star
vivendo la nostra vita; ma non è vero. Nessuno di noi è nel corpo che l'altro ci vede; ma
nell’anima che parla chi sa da dove; nessuno può saperlo: apparenza tra apparenza…».
L’apparenza non è soltanto una maschera.
Certo, la maschera è il profondo. Ma insistono i luoghi dell’immaginario che provengono
da altri viaggi che sono insondabili, soprattutto quando si decide di recitare a soggetto o si
comprende che è necessario recitare a soggetto: «Il poeta s’illude quando crede d’aver
trovato la liberazione e raggiunto la quiete fissando per sempre in una forma immutabile la
sua opera d’arte. Ha soltanto finito di vivere questa sua opera. La liberazione e la quiete
non si hanno se non a costo di finire di vivere» (in “Questa sera si recita a soggetto”,
1930).
Recitare a soggetto non è un fatto che riguarda soltanto il teatro. Riguarda altresì il
viaggiare oltre o l’oltre. Il mistero e l’oltre sono princìpi che toccano la sfera delle credenze
e del visionario simbolico, così, «Da quale remota lontananza i miei occhi, quelli che mi
par d’avere avuti da bambino, guardano ora, sbarrati dal terrore, senza potersene
persuadere, questo viso di vecchio? Io, già vecchio? Così subito? E com’è possibile?» (in
“Una giornata”,1935).
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È possibile in Pirandello, a patto che si dia udienza alla magia!
Girgenti senza la facoltà della favola e della stregoneria non la si leggerebbe per la terra
sulla quale la luna balla. La luna è il simbolo a priori. Anzi, è il vero incipit di una
antropologia dei personaggi.
Da “La giara” a “Ciaula” dal “Il fu Mattia Pascal” ai “Giganti”. Tutta la sua opera è
impregnata dalla luna.
La luna è:
Maga
Strega
Canto
Danza
Specchio
Alice che si meraviglia nel suo paese della terra madre.
Tutto questo è il mistero che supera l’oltre o il mistero che esce dal suo guscio e si fa
stregoneria.
Pirandello, stregato dalla luna: una verità che non ha apparenze. Già, in Pirandello la luna
non è mai la notte e non ha mai la notte. La luna ha il cavallo del vento e sa indossare gli
occhi, il silenzio, la voce e attraversare i segreti che sono andati oltre il mistero. Appunto,
Pirandello stregato dalla luna!
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