L`evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo

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Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
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L’evoluzionismo:
paradigma e visione del mondo
del XX secolo
DI VINCENZO MAGI
Chi non vuole affidarsi al lavoro della ragione, non deve mettere le mani sulla
filosofia. T. W. Adorno
Se qualcuno dovesse prendere le mosse dal punto in cui le prese Adamo, egli non
oltrepasserebbe il punto a cui arrivò Adamo. K. R. Popper
Gli studenti accettano la teoria sulla base dell’autorità degli insegnanti e dei testi,
non a causa della loro evidenza. T. S. Kuhn
1.
Definizione di visione del mondo e di paradigma.
Il 9 febbraio 1809 nasceva Charles Robert Darwin. Sono passati duecento anni dalla sua
nascita e centocinquanta dalla pubblicazione di On the Origin of Species by Means of
Natural Selection (24.11.1859). Oggi più che mai il suo pensiero è al centro dei dibattiti
culturali, non sempre in modo pertinente, più spesso per semplice spirito di polemica.
Tuttavia, la vitalità delle sue ricerche è nel suo essere costantemente al centro delle nuove
indagini scientifiche e delle discussioni filosofiche religiose e spesso giornalistiche del
nostro tempo.
Darwin non usava il termine evoluzione e spiegava l’origine di nuove specie con la
selezione naturale e la discendenza con modificazioni, che attraverso piccole
variazioni distribuite su lunghi periodi determina il cambiamento adattivo delle popolazioni
degli esseri viventi. A questa teoria mancava il supporto dell’ereditarietà dei caratteri,
scoperta dall’abate Gregor Mendel nel 1854 e considerata fino al XX sec. come
un’alternativa invece che un completamento della teoria darwiniana. In seguito Ernst
Haekel scrisse una Storia naturale della creazione nel 1868 e sostenne una visione
unitaria dei fenomeni biologici, fondando così l’evoluzionismo cosmico e il monismo in
biologia, e generando polemiche con i sostenitori del vitalismo, che rifiutava una
spiegazione fisico-chimica dei processi vitali. In seguito la concezione evoluzionista si
diffuse a macchia d’olio in tutte le discipline scientifiche, tranne la matematica ancora
prigioniera dell’antico e tradizionale platonismo.
In tal modo l’evoluzionismo diventò una vera e propria visione del mondo, che si affermò
come dominante nel corso del Novecento. Ma che cos’è una visione del mondo?
“In ogni momento del nostro esserci si afferma un rapporto della nostra vita con il mondo,
che ci circonda come un intero immediatamente dato per intuizione. […] Ora, l’uomo
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religioso, l’artista, il filosofo si differenziano dall’uomo comune e pure dal genio di altra
specie, in quanto solidificano tali momenti della vita nel ricordo, elevano alla coscienza il
loro contenuto e collegano le esperienze particolari fino a formarne un’esperienza
generale della vita. Con ciò essi adempiono ad una funzione significativa non per sé soli,
ma pure per la società. Sorgono così da ogni parte interpretazioni della realtà: le
Weltanschauungen. […] Queste interpretazioni dovrebbero esprimere il senso e il
significato del Mondo!”1
“La Weltanschauung filosofica, che sta sotto l’influsso della tendenza alla validità
universale, […] si fonda sulla coscienza empirica, sull’esperienza e sulle scienze
sperimentali, secondo le leggi di formulazione fondate sull’oggettivazione in pensiero
concettuale dei contenuti vissuti. […] I momenti che formano la vita si uniscono in tal modo
reciprocamente in sistemi tramite l’universalizzarsi dei concetti e il generalizzarsi dei
principii; […] ed i concetti più alti cui questi sistemi pervengono, cioè l’essere in generale,
l’ultima causa, il valore incondizionato, il bene supremo si uniscono a formare
concettualmente un’unità completa e teleologica del mondo, […] della comprensione del
mondo”2.
E che cos’è la concezione scientifica del mondo?
“Con l’indagine e l’investigazione tento di liberarmi dal mio mondo per trovare il mondo […]
di pensare all’unico mondo generale come a quel supporto in cui quei mondi [particolari]
sono possibili. […] Ogni idea indagatrice che si realizza concretamente non tarda a
rivelarsi di nuovo come una particolare indagine nel mondo. L’unità del mondo, come ce la
propone l’idea, è la spinta che la coscienza in generale realizza […] quando,
oltrepassando le prospettive che le sono accessibili e realizzabili, cerca di incontrare
quell’unità del mondo che […] non esiste nella forma di un essere unico conoscibile. […]
L’orientazione scientifica nel mondo è quel cammino […] che io […] percorro come
coscienza in generale per trovare la realtà oggettiva. […] La totalità del mondo […] è solo il
concetto di un compito che prevede un progresso illimitato nell’orientazione nel mondo e
non un concetto il cui oggetto potrebbe offrirsi alla mia esperienza o presentarsi, talvolta,
nella serie delle mie percezioni, in tutta la sua compiutezza. […] L’immagine del mondo è,
come immagine, un tutto connesso nel mondo, ma non la totalità in sé connessa del
mondo […]. Ma per realizzare, senza limiti, un’autentica orientazione empirica nel mondo
occorre spezzare il cosmo. […] Ora, nell’orientazione nel mondo […] pongo in questione
sempre e solo le cose del mondo e non il mondo in generale che mai mi si presenta, né
mai mi si può presentare”3.
Così come non è possibile ottenere una conoscenza scientifica totale e assoluta del
mondo – “infatti ciò che vi si conosce è relativo” –, non si è in grado di ottenere
sperimentalmente una visione onnicomprensiva e completa del cosmo, bensì “molteplici
unità del mondo […] ognuna per sé”, una pluralità di mondi particolari studiati dalle
singole discipline scientifiche attraverso le differenti teorie formalmente concepite.
L’immagine del mondo della scienza è quindi una costruzione concettuale che collega le
1
Dilthey, L’essenza della filosofia, Ed. La Scuola, Brescia 1971, pp. 83-84.
Cfr. Dilthey, op. cit., pp. 124-126.
3
K. Jaspers, Filosofia, vol. 1 Orientazione filosofica nel mondo, Mursia, Milano 1977, pp. 57-71.
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singole unità particolari “tramite l’universalizzarsi dei concetti e il generalizzarsi dei
principii” e forma un ordine strutturato e organizzato di natura puramente astratta, cioè un
metamondo concettuale costruito attraverso le relazioni mentali che il pensiero coglie tra
i molti mondi particolari, senza alcuna pretesa di validità sperimentale universale,
spettante soltanto alle verità delle singole teorie. Per parafrasare Leibniz, noi possiamo
conoscere soltanto le verità particolari di uno o più mondi possibili – non necessariamente
tutte –, e come insegna Gödel, ci sfugge la totalità – tutte le verità di tutti i mondi possibili –
perché le teorie sono incomplete e alcune verità sconosciute. Il progresso delle
conoscenze è dunque illimitato, e l’immagine del mondo che ne deriva parziale e non
verificabile in quanto totalità. Questo però non significa che sia meramente soggettiva o
addirittura arbitraria. Collegando concettualmente i risultati specifici delle varie teorie e i
fenomeni dei rispettivi mondi particolari, essa si pone su un piano metateorico e la sua
giustificazione è nel suo essere condivisa dalla comunità scientifica in quanto costrutto
immaginario e concettuale intersoggettivamente comprensibile e comunicabile, che
da un significato unitario ordinato e strutturato alle visioni parziali delle singole discipline.
Solo il buon senso comune di menti razionali di ricercatori sperimentali, derivante da uno
scambio sociale e da un’interazione linguistica – da non confondere con il senso comune
della popolazione comune –, può immaginare un “unico mondo generale” senza
degenerare in fantasticherie che nulla hanno a che fare con la scienza. Si tratta sì di una
credenza – intesa con Hume come “differente modo di concepire un oggetto” –, ma non
abbiamo a che fare con un’opinione in senso platonico, perché formulata e statuita dalla
prassi scientifica e dalla comunità degli scienziati.
In maniera non dissimile T. S. Kuhn si è occupato della scienza rivoluzionaria e del
concetto di paradigma nella sua opera The Structure of Scientific Revolutions (1962).
Come spiegare il mutamento scientifico e le trasformazioni delle immagini del mondo?
Quando alcune teorie rivali si contrappongono come descrizioni alternative del mondo e
come linguaggi tra loro incomunicabili o addirittura incommensurabili, che “è il segno di
una rottura, di una discontinuità di significato, di una riforma del sapere”4, ne deriva un
cambiamento in termini sia di incoerenza dei principii teorici sia di variazione di senso
delle categorie concettuali.
Qual è la causa di tale contrapposizione?
“La ricerca scientifica richiede, in luogo della parata del dubbio universale, la costituzione
di una problematica. Il suo reale punto di partenza è un problema, anche se questo è mal
posto. […] Infatti, si conosce contro una conoscenza anteriore, distruggendo conoscenze
mal fatte, superando ciò che, all’interno dello stesso spirito, fa ostacolo alla
spiritualizzazione. […] Certe conoscenze anche giuste bloccano troppo presto ricerche
utili. […] Secondo l’ottica dell’epistemologo è un ostacolo, è un contro-pensiero. […]
Subito, il pensiero scientifico apparirà come una difficoltà vinta, come un ostacolo
superato.”5
In questo modo una teoria è sopraffatta dalle anomalie interne, come la scarsa capacità
definitoria di vecchi termini o la scorrettezza semantica, o da fattori esterni come fatti
4
5
G. Bachelard, Epistemologia, Ed. Laterza, Bari 1975, p. 199.
Cfr, G. Bachelard, op. cit., pp. 126, 161-164.
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incomprensibili, prima residuali e misconosciuti, e nuove prove sperimentali incompatibili
con le leggi della scienza ufficiale normale. I presunti fatti empirici che erano citati quali
supporti della vecchia teoria, diventano irrilevanti per quella nuova e nuove domande
richiedono differenti risposte, rivendicando il nuovo vocabolario un diverso linguaggio per
descrivere e spiegare i cambiamenti prodotti dall’ostacolo epistemologico6. I vecchi
risultati scientifici e le procedure sperimentali tradizionali sono prima messi in discussione
e poi accantonati a favore di un nuovo paradigma, cioè una visione concettuale del
mondo che consiste di credenze, valori e tecniche condivisi dai membri di una data
comunità. Questo insieme di credenze scientifiche e metafisiche forma una intelaiatura
teoretica le cui teorie scientifiche possono testarla, valutarla e correggerla. Questi periodi
di rivoluzione nella scienza si caratterizzano come “puzzle solving”:
“La prassi della scienza normale dipende dall’abilità, acquisita sulla base di esemplari, di
raggruppare oggetti e situazioni in insiemi similari che sono primitivi nel senso che il
raggruppamento viene fatto senza dare risposta alla domanda <<Simili rispetto a che
cosa?>> Un aspetto centrale di qualsiasi rivoluzione è, dunque, che qualcuna delle
relazioni di similarità cambia. Oggetti che erano stati precedentemente raggruppati nel
medesimo insieme vengono successivamente raggruppati in insiemi differenti, e
viceversa. […] Non appare sorprendente, pertanto, che allorché si verificano
redistribuzioni di questo genere, due persone i cui discorsi precedentemente avevano
proceduto con intendimento reciproco apparentemente completo, possano
improvvisamente reagire al medesimo stimolo con descrizioni e generalizzazioni
incompatibili. […] Di conseguenza, condividono lo stesso mondo e linguaggio d’ogni
giorno e gran parte del loro mondo e linguaggio scientifici. […] Ma non è detto che il
tentativo di persuasione debba necessariamente riuscire, ed anche se riuscisse, non è
detto che sia necessariamente accompagnato o seguito da una conversione. Le due
esperienze non sono identiche […]. Se il nuovo punto di vista viene mantenuto per un
certo tempo e continua ad essere fecondo, è verisimile che aumenti il numero dei risultati
di ricerca verbalizzabili in questa maniera. […] I sostenitori di teorie differenti sono simili ai
membri di comunità culturali e linguistiche differenti. […] Le teorie scientifiche posteriori
sono migliori di quelle anteriori per risolvere rompicapo nelle circostanze spesso molto
differenti alle quali vengono applicate.”7
“Questa concezione della scienza può essere descritta come una concezione selettiva,
darwiniana [mettendo l’accento] sulla selezione operata dall’ambiente.”8
6
“Ora, lo spirito scientifico è essenzialmente una rettificazione del sapere, un ampliamento degli schemi della
conoscenza. Esso giudica il suo passato storico condannandolo. La sua struttura è la coscienza dei suoi errori storici.
Dal punto di vista scientifico, il vero è pensato come rettificazione storica d’un lungo errore, l’esperienza come
rettificazione dell’illusione comune e primitiva. […] L’essenza stessa della riflessione consiste nel comprendere che
prima non si era compreso”. Ivi, p. 121.
7
T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1978, pp.240-247.
8
K. R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970, p. XV. “I periodi della vita umana in uno
sviluppo tipico percorrono, come già vide Goethe, diverse Weltanschauungen […]. Fra di loro si manifesta, come fra le
piante sullo stesso suolo, una lotta per l’esistenza e per lo spazio vitale: e prevalgono acquistando forza fra gli uomini
soltanto quelle forme particolari fra di esse che vengono imposte dalla grandezza di singole personalità” (Dilthey. op.
cit., pp.84-85). E per le scienze attraverso “puzzle solving” condivisi e statuiti dalla comunità scientifica.
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L’evoluzionismo come paradigma scientifico: biologia, geologia,
astronomia, scienze storico-sociali.
In origine, nel XVIII sec., evoluzione era lo sviluppo embriologico. Solo nel 1832 con
Charles Lyell il termine viene usato per definire la concezione di J. B. Lamarck. Darwin
preferiva termini più specificamente biologici (selezione naturale e discendenza con
modificazioni). Il grande divulgatore della parola evoluzione è stato H. Spencer. Dal 1860
il termine designa i processi generali di trasformazione e infine cambiamento progressivo,
nonostante l’obiezione di Darwin che lo sviluppo evolutivo in biologia non implica
necessariamente una maggiore complessità. Oggi il significato ha perso il nesso con il
progresso, quale carattere saliente del processo di trasformazione.
Biologia
Tranne l’eccezione antichissima della cosmogonia di Anassimandro (610-546 a. C.), fino
al XVIII sec. si consideravano le specie come tipi fissi seguendo l’autorità venerabile di
Aristotele (384-322 a. C.). A ulteriore prova si citava la testimonianza della Bibbia, facendo
risalire la creazione a circa seimila anni prima. Linneo (1707-1778), Buffon (1707-1788), e
altri rilevarono che nuove forme di vita erano sorte durante la storia della Terra. Tuttavia, il
problema fondamentale di questa è ancora il Diluvio, considerando la natura costante e
le sue leggi immutabili. Una continuità omogenea ed eterna di tipo parmenideo
caratterizzava l’Essere di allora. La storia naturale mirava soltanto a un metodo e a uno
studio meramente descrittivi e limitati mediante le denominazione, la descrizione e la
classificazione degli esseri organici e non. Di qui la produzione di manuali e cataloghi per
identificare gli oggetti naturali – “tuos les objets que nous presente l’Univers” (Buffon).
Erede diretto e collaboratore di Buffon fu Jean-Baptiste-Antoine de Monet de Lamarck
(1744-1829), che per primo elaborò una teoria delle trasformazioni organiche nella sua
Philosophie zoologique (1809) e in Histoire naturelle des animaux sans vertèbres (18151822): il potere della vita di accrescere la complessità delle classi animali e l’influenza di
particolari ambienti favorivano l’ereditarietà dei caratteri acquisiti grazie alle nuove
abitudini ai cambiamenti ambientali trasmessi alla prole. Egli sostenne quindi che le specie
animali dovevano cambiare nel tempo e che la natura presentava una graduale
complessità di forme e una permanente mutabilità. Il “puzzle solving” forniva ora un
nuovo ordinamento nel “raggruppare oggetti e situazioni in insiemi similari”. Alla
Weltanschauung di Parmenide subentrava quella di Eraclito. Si affermava così una
nuova classificazione degli esseri viventi, che non allineava in serie singole specie e
generi in uno schema fisso e immutabile, come nel Systema naturae (1758) di Linneo.
Il pieno successo di questo nuovo ordine naturale si ebbe con Étienne Geoffroy SaintHilaire (1772-1844), che prima concepì un singolo piano fondamentale comune a tutti i
vertebrati – corrispondenze comuni tra organi e scheletro – e in seguito all’intero regno
animale – progetto comune nelle somiglianze tra vertebrati e invertebrati –, sostenendo
anche che la storia della Terra subì trasformazioni successive.
Infine, la teoria dell’evoluzione per selezione naturale fornì un fondamento alla
rappresentazione delle relazioni di discendenza storiche e genealogiche con il modello di
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un albero ramificato. Venne illustrata indipendentemente da A. R. Wallace (1823-1913) e
Charles R. Darwin (1809-1882), la cui On the Origin of Species By Means of Natural
Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life (Londra 1859)
sintetizzava una serie di esperienze sul campo – viaggio a bordo del Beagle (1831-36) nel
Nuovo Mondo e nel Pacifico – e di influenze teoriche biologiche – l’anatomia comparata
sulle somiglianze tra forme fossili e viventi di Georges Cuvier (1797-98), o correlazione
delle parti – geologiche – i Principles of Geology di Charles Lyell – e demografiche – la
lotta per l’esistenza nell’incremento delle popolazioni e della produzione di cibo. L’antica
scala naturae di R. Lullo (1304) con un ordine a gradini di complessità crescente,
stabilito all’atto della creazione, era sostituita da una struttura ad albero, basata sulla non
fissità delle specie, i cui cambiamenti adattivi dipendevano dalla selezione naturale
operante in lunghi periodi su piccole variazioni: la lotta per l’esistenza non riguardava
soltanto le specie in competizione per le risorse alimentari, bensì gli individui delle stessa
specie, la cui adattabilità all’ambiente, dipendente dalle mutazioni ereditarie, selezionava
coloro che potevano sopravvivere. La selezione operata dalla natura rendeva così possibili
gli adattamenti delle variazioni individuali. Gli oppositori contrastarono la teoria darwiniana
con diverse argomentazioni, spesso precostituite, anche se l’unica seria e autorevole era
l’età della Terra erroneamente definita dal famoso lord Kelvin – vedi la sez. geologia più
avanti – , che non consentiva l’evoluzione di una grande varietà di viventi attraverso lenti e
lunghi processi.
La mancanza di un’ipotesi sulla modalità di intervento sulla “discendenza con
modificazioni” era il punto debole della teoria di Darwin, che trovò un fondamento
sperimentale nella genetica mendeliana, misconosciuta fino al Novecento, e una base
teorica nel neodarwinismo, secondo il quale la selezione naturale opera su piccole
variazioni genetiche. Questo indirizzo si sviluppò prima in Russia con Sergej Chetverikov
(1880-1959) e poi in Occidente con l’allievo Theodosius Dobzhansky (1900-1975), Julian
Huxley (1887-1975), George Gaylord Simpson (1902) e Ernst Walter Mayr (1904),
recentemente scomparso, il quale definì il concetto di specie come gruppo di popolazioni
naturali che si incrociano e riproducono, essendo isolate da altri gruppi analoghi –
Systematic and the Origin of Species (1942). Ivi si sosteneva una critica storica ed
epistemologica, che rilevava l’influenza dell’essenzialismo (da Platone all’idealismo) e del
nominalismo nella classificazione in biologia. Darwin e i darwinisti avevano così scardinato
la Weltanschauung della tradizione fondata sulla stabilità della natura e proposto un nuovo
paradigma basato sulla mutabilità e quindi sulla modificazione organica e storica degli
individui e delle popolazioni dei viventi.
Il Novecento vide uno sviluppo diversificato e titanico delle forze produttive delle zone
centrali dell’economia-mondo capitalistica, sorta nel XVI sec., in cui la scienza aveva la
funzione preminente e trainante e sosteneva un notevole aumento dell’efficienza e della
scientificità del sistema produttivo. Ne derivò la necessità di formare un personale
specializzato sia tecnico sia scientifico, l'apertura dei laboratori universitari e dei centri di
ricerca statali e di quelli delle grandi industrie private. Nella prima metà del secolo sorsero
numerosi e nuovi settori industriali (chimica, farmaceutica, energia, ecc.), che fecero
un’ulteriore salto di qualità dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la maggior parte dei
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paesi avanzati dovette ricostruire il proprio apparato industriale. A ciò si aggiunga lo
sviluppo dello Stato democratico, dell’economia mista (pubblica e privata) e del Welfare
state con i suoi diritti sociali (lavoro, salute, istruzione, …) dalla culla alla tomba. Rispetto
al secolo precedente, tendenzialmente “individualista” nell’azione dei suoi attori, questo
processo ampio e profondo di trasformazione dell’Occidente presentò una “tendenza
collettivista”9 che trasformò anche la prassi scientifica. Ora le scoperte erano frutto
dell’opera collaborativa di un gruppo, ma anche di più gruppi, di scienziati. E la biologia,
oltre a veder sorgere nuovi strumenti e nuovi campi d’indagine come la biochimica,
usufruì più di altre scienze del nuovo spirito dei tempi, perché fondamentale nello sviluppo
delle terapie mediche e dei sistemi sanitari nazionali con i loro centri di analisi e
ospedalieri. Era nata la “big science”.
Nell’aprile del 1953 in un breve articolo Molecular Structure of Nucleid Acids, pubblicato su
Nature, Francis Crick (1916) e James Watson (1928) illustrarono il modello tridimensionale
della struttura ad elica del DNA, che era l’oggetto di un acceso dibattito: l’acido
deossiribonucleico è la sostanza dei geni contenuti nel nucleo cellulare e nei mitocondri, e
trasporta l’informazione dell’ereditarietà. Il punto debole della teoria di Darwin non
esisteva più e al principio del XXI sec. la mappatura del codice genetico di molti
organismi, Homo sapiens compreso, era in grado di datare geneticamente le parentele e
la lontananza genetica tra le specie, oltre che tra gli individui. Il creazionismo religioso era
definitivamente sconfitto dal punto di vista scientifico e sopravviveva soltanto nelle
polemiche giornalistiche e ideologiche, e nelle fantasticherie fideistiche dei fanatici del
Kentucky.
Geologia
Fino al XIX sec. la geologia aveva la sua chiave di volta soprattutto nella mineralogia, che
era stata codificata nelle opere di Abraham Gottlob Werner (1749-1817) attraverso un
metodo descrittivo, le cui classificazioni ricercavano anche le relazioni tra i vari tipi di
minerali. Egli comprese che l’età della Terra era di milioni di anni, negando il dettato
biblico di Barnaba di 6000 anni o di J. Ussher, che datava la Creazione al pomeriggio del
22.10.4004 a. C. Un nuovo “puzzle solving” abbatteva “l’ostacolo epistemologico e il
contro-pensiero” del modello creazionista attraverso il concetto di differenziamento e di
evoluzione continua sulla base degli stadi precedenti, avendo in origine la Terra un
caotico e universale oceano, in cui si erano solidificate le rocce cristalline, e poi con il
rifluire delle acque si sarebbero formate quelle sedimentarie (nettunismo). Werner
formulò, inoltre, la suddivisione e la datazione delle formazioni rocciose, associandole a
uno specifico modo di sedimentazione – un tipo unico di minerali caratterizzava ogni
periodo di sedimentazione – e fondò una scienza della crosta terrestre.
Il quadro della storia della Terra tracciato da Werner era analogo a quello zoologico di
Georges Cuvier (1769-1832), il quale però fondava la paleontologia sul catastrofismo,
eliminando la nozione di lenta evoluzione a favore di sconvolgimenti catastrofici intervenuti
a modificare la crosta terrestre tra un ciclo e l’altro (Discours sur les révolution de la
surface du globe del 1812 e Le règne animal del 1817). Il primo, invece, conciliava la
9
Autori vari, Scienza e tecnica del Novecento, vol. I, Mondadori, Milano 1977, p.8.
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dottrina catastrofista con una successione di trasformazioni, anticipando Lyell.
L’uniformismo di James Hutton (1726-1797) in Theory of the Earth (1795) si oppose al
catastrofismo, perché anche le catastrofi potevano essere spiegate mediante le normali
leggi naturali operanti in un lungo periodo, agendo la Natura sempre con gli stessi
meccanismi. Le gigantesche trasformazioni delle terre derivavano da cambiamenti molto
lenti durati un lungo periodo di tempo grazie alla forza espansiva del calore. Le rocce più
antiche avevano un’origine ignea, specie il granito, sospinte dalla profondità della Terra,
sede di una fonte centrale di energia termica, verso l’alto, mentre le altre rocce più recenti
si sarebbero plasmate sul fondo del mare mediante detriti e sedimenti (plutonismo).
Con il XIX sec., però, la storia della Terra necessitava di differenti criteri rispetto alle
composizioni minerali e chimiche, soprattutto per la spiegazione dei cambiamenti delle
popolazioni di animali e piante e per il nesso tra campioni fossili e particolari epoche
storiche. I fossili diventarono un mezzo per identificare l’epoca delle rocce e la geologia
diede un nuovo senso al tempo nella storia naturale. Il modello non era più la fisica, ma
quello dell’archeologia e della storia.
Le teorie tradizionali di Werner e Hutton vennero superate dallo sviluppo della ricerca sul
campo di F. W. H. A. von Humboldt (1769-1859) nelle Ande – per primo salì fino a 5500 m
nel 1802 – per spiegare il ruolo dei vulcani nel sollevamento delle montagne, e di C.
Leopold von Buch (1774-1852), allievo di Werner e compagno di studi del grande alpinista
e naturalista prussiano, che postulava grandi movimenti terrestri all’origine delle Alpi e ad
azioni metamorfiche la formazione delle Dolomiti.
Un ritorno alla teoria di Hutton si ebbe con i Principles of Geology (1830-33) di Charles
Lyell (1797-1875), che propose cambiamenti graduali di una lenta evoluzione della Terra:
la sua storia si comprendeva mediante cause note e attuali, perché il presente è la chiave
del passato (attualismo). Al metodo esplicativo e speculativo di Cuvier, Lyell opponeva le
ricerche particolari e le analisi dettagliate, e collegava strettamente vulcanesimo,
terremoti e movimenti tettonici grazie al riscaldamento o al raffreddamento della crosta
terrestre, dovuti a vapori riscaldati risalenti dall’interno della Terra. Qui le trasformazioni
chimiche ed elettromagnetiche producevano il calore necessario che metteva in
movimento sia le profondità sia la crosta del pianeta, compreso il metamorfismo. Con i
Principles la formazione della geologia come scienza era giunta a compimento. Tuttavia,
Lyell era contro la teoria evoluzionista, perché riteneva le estinzioni prodotte da cause
ecologiche. Incredibile a dirsi, la nefasta influenza del barone Cuvier, devoto protestante,
sui naturalisti non fece accettare la teoria di Lyell fino alla pubblicazione del capolavoro di
Darwin e agli stimoli di ricerca provenienti dalla grande industria e dalle sue necessità
produttive.
È stato infatti lo sviluppo della tecnica durante la seconda rivoluzione industriale a
cambiare profondamente la pratica e la teoria della geologia novecentesca: acque
sotterranee, dighe, minerali, petrolio, e così via. Agli strumenti tradizionali del martello e
della lente di ingrandimento si aggiunsero i sondaggi di ricognizione, il metodo
gravimetrico e quello sismico, l’osservazione aerea per scoprire le faglie invisibili al suolo.
Fino ad allora la geologia era divisa in settori specializzati senza un comune programma di
ricerca. Nel XX sec. con la nascita della geofisica o scienze della terra si affermava un
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nuovo paradigma che unificava le indagini disparate, e che era accettato anche da tutti gli
scienziati. I giganteschi progetti di ricerca finanziati dalle grandi industrie fordiste, dalle
multinazionali, dai governi, dalle guerre mondiali e dalla corsa alla conquista dello spazio
tra USA e URSS diedero impulso alla “big science”.
Nel 1862 lord W. T. Kelvin aveva stimato l’età del sole in alcune decine, al più centinaia di
milioni di anni, datando così i fossili a non più di 20 milioni di anni. In seguito nel 1913 lord
Ernst Rutherford (1871-1937) definì l’uso del metodo del decadimento radioattivo per
datare le rocce e i fossili. I fisici conclusero che la Terra aveva miliardi di anni. Nel
1940 A. O. C.Nier la stimò intorno a 4550 milioni di anni.
Inoltre, Eduard Suess (1831-1914) scoprì che la crosta continentale era composta da
rocce più leggere (sial o silicati di alluminio) rispetto ai fondali oceanici (sima o silicati di
magnesio), per cui i continenti più leggeri galleggiavano su una sostanza più densa, non
potevano affondare e diventare i letti degli oceani, ed erano relativamente permanenti
sulla superficie. Negli anni trenta del ‘900 R. A. Daly indagò la struttura interna terrestre: la
crosta terrestre di natura cristallina era spessa al massimo 60 km, e poggiava sul sima
vetroso e viscosissmo, in cui si originano i fenomeni magmatici, esteso fino a 1200 km di
profondità, al di sotto del quale vi erano involucri vetrosi ultrafemici, e ancora al di sotto dei
2900 km il nucleo centrale fuso di ferro e nichel (nife).
Dal 1910 Alfred Lothar Wegener (1880-1930) sviluppò la teoria della deriva dei
continenti che espose in L’origine dei continenti e degli oceani del 1915. Postulò
l’esistenza di un supercontinente al polo Sud detto Pangea, che si era scisso nell’era
mesozoica: prima Sudamerica e Africa; poi Nordamerica ed Europa; quindi l’Australia si
separò dall’Antartide; le grandi catene montuose derivarono dalla compressione generata
dalla deriva dei continenti. Le somiglianze tra le rocce, i fossili e la vita organica erano un
sostegno all’ipotesi, che però Wegener non provò con cause fisiche – propose sia la forza
mareale verso ovest provocata dalla Luna sia la forza di “allontanamento dai poli” verso
l’equatore. Di qui l’iniziale diffidenza verso la teoria.
Tra i pochi geologi sostenitori della teoria vi era Alexander L. du Toit (1878-1948), che,
avendo confrontato il Sud Africa e l’America meridionale, in Our Wandering Continents del
1937 propose il supercontinente Gondwana, formato dai continenti dell’emisfero australe,
e diviso dal supercontinente Laurasia dell’emisfero boreale. Altro seguace della deriva dei
continenti fu Arthur Holmes (1890-1965), che lavorò per le multinazionali petrolifere e
confutò l’idea di Lord Kelvin del raffreddamento uniforme della crosta terrestre originaria
allo stato liquido e della derivante età della Terra, mediante il decadimento degli
elementi radioattivi delle rocce, arrivando a un’età superiore a 1600 milioni di anni. In
The Age of the Heart del 1913, riveduta nel 1937, contro la teoria del raffreddamento della
Terra, egli riteneva che la radioattività potesse produrre grandi quantità di calore e
dunque successive contrazioni e dilatazioni, in seguito definite correnti di convezione
sotto la crosta, all’interno del mantello, con l’ascesa del magma fuso verso la superficie, e
successivamente la sua discesa nelle profondità. Tali correnti convettive potevano
spiegare la deriva dei continenti.
Per risolvere il rompicapo e ordinare tutti gli elementi “in insiemi similari” mancava ancora
la spiegazione dei movimenti e delle deformazioni della crosta terrestre, che venne
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
10
realizzata non da una singola personalità ma da un intero gruppo di ricercatori, sfruttando
gli strumenti più avanzati e la velocità della comunicazione. Secondo la teoria della
tettonica delle placche, queste sono all’incirca una decina, relativamente rigide all’interno
e separate da faglie – fratture di una massa rocciosa con spostamento delle parti separate
–, e si muovono di continuo lateralmente l’una rispetto all’altra. Il movimento delle zolle
forma le creste quando si scontrano (Alpi e Himalaia), mentre la loro convergenza produce
le fosse oceaniche con l’immersione nel mantello sottostante di una di esse. L’incontro tra
la piattaforma oceanica e la crosta continentale può dar luogo alle catene montuose
(Ande). Le attività sismiche e vulcaniche derivano dall’interazione tra i bordi delle placche.
I fondali oceanici sono più recenti delle masse continentali, essendo in continua
formazione.
All’origine di questa teoria vi erano le ricerche sul magnetismo terrestre e sui fondali
oceanici, finanziate molto spesso da società petrolifere. Riguardo il campo magnetico
due teorie si contrapponevano: Edward Bullard (1907) lo spiegava con la circolazione
convettiva nel nucleo, mentre Patrick Blackett con la rotazione terrestre. Nel 1960 si
perfezionò la datazione delle rocce con il metodo potassio-argo e nel 1965 Richard Doell e
G. Brent Dalrymple identificarono l’ ”evento Jaramillo” – località del Nuovo Messico –
come il più recente evento di inversione del campo magnetico; Heirtzler, Le Pinchon,
Baron e altri lo misurarono dall’aereo sulle dorsali oceaniche. Questi risultati erano una
conferma della deriva dei continenti e della tettonica delle placche. Negli anni ’50 W. M
Ewing studiò i fondali oceanici con tecniche sismologiche, stabilendone lo spessore in 8
km – contro i 40 della crosta continentale –, osservando profondi canyons nelle dorsali
medio-oceaniche, presenti in tutti gli oceani e formate da rocce più recenti di origine
vulcanica, mentre gli strati sedimentari aumentavano allontanandosi dalla dorsale. Qui vi
erano frequenti terremoti, che presso le fosse oceaniche erano più profondi con la
presenza di vulcani alla superficie. Ai lati delle dorsali si presentavano strati paralleli di
roccia con un’alternanza della magnetizzazione normale e inversa.
Nel 1960 Harry Hess (1906-1969) elaborò la teoria dell’espansione dei fondali oceani e
completò la tettonica globale a placche: gli oceani erano i centri dell’attività geologica
con la nuova crosta delle dorsali, formante i fondali, e quella vecchia delle fosse, che
sprofonda e fonde distruggendoli; il movimento orizzontale delle correnti convettive
causava il movimento e la deriva dei continenti; formandosi di continuo i fondali oceanici
erano giovani, mentre la crosta continentale era più leggera e più antica. John Tuzo
Wilson (1908-1993) convalidò la teoria di Hess, affermando l’esistenza delle faglie
trasformi, tagli orizzontali tra le dorsali, e dello slittamento di placche sia nei fondali sia
in superficie (S. Andrea), dimostrando un’età maggiore delle isole distanti dalla dorsale e
indicando l’origine di alcune isole vulcaniche da punti caldi nel mantello con risalita di
magma per convezione. Drummond Hoyle Matthews e Fred Vine ipotizzarono che il
magma fuoriuscito dalla dorsale magnetizzava secondo la direzione del campo e che la
crosta era un’alternanza di direzioni opposte – la conferma venne dalla nave Eltanin.
A metà degli anni ’60 Jason Morgan, Dan Mc Kenzie e Xavier Le Pinchon stesero una
presentazione completa della tettonica a zolle, che ebbe un resoconto ulteriore
dell’avventura collettiva nell’articolo A Revolution in Earth science di Wilson (1968).
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
11
Astronomia
Fino al XIX sec. l’astronomia era soltanto astronomia di posizione e lo strumento
fondamentale il telescopio, prima quello a rifrazione semplice di Galilei (1564-1642) e poi
quello a riflessione (1668) di Isaac Newton (1642-1727). In seguito William Herschel
(1738-1822) costruì telescopi sempre più grandi e potenti a larga apertura per osservare
oggetti celesti molto deboli. Con simili mezzi lo scopo era la spiegazione dei moti del
sistema solare e la determinazione della posizione e dei movimenti dei corpi celesti in
base alla teoria della gravitazione universale. Newton considerava il sistema solare
instabile e Dio il suo stabilizzatore (Dio orologiaio). G. W. Leibniz (1646-1716) sostenne
che la periodica azione divina di Newton era insoddisfacente e che il mondo fosse perfetto
(principio del meglio e Armonia prestabilita). Immanuel Kant (1724-1804), PierreSimon de Laplace (1749-1827), Joseph Louis de Lagrange (1736-1813) dimostrarono,
invece, che la stabilità del sistema solare dipendeva soltanto dalla cosmologia
newtoniana (ipotesi nebulare), e che la discussione sullo sviluppo fisico nel tempo di un
universo ordinato non richiedeva alcun intervento divino. Come ebbe a dire Laplace a
Napoleone, presentando Exposition du système du monde (1796): “Non avevo bisogno di
una simile ipotesi”. Il maggiore successo di questa astronomia di posizione fu prima la
scoperta di Urano (1781) di Herschel e poi quella di Nettuno (1846) di Adams, Le Verrier,
Galle.
Dal terzo decennio dell’Ottocento lo spettroscopio diede informazioni sulle velocità radiali
e sulla chimica delle stelle, e la fotografia permise esposizioni prolungate per accumulare
la luce nelle immagini e rese visibili anche oggetti invisibili a un telescopio. Sorse così
l’astrofisica con gli studi sui processi fisico-chimici nelle stelle e nelle nebulose, sulle
galassie e sul cosmo come una totalità. Nel 1838 Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846)
usò l’eliometro per la determinazione della distanza di una stella (61 CYGNI in 11 anni
luce), arrivando in seguito a misurarne 63.000 fino a magnitudo 9. Lord William Parsons
Rosse (1800-1867) costruì il riflettore gigantesco” Leviatano di Parsonstown” con uno
specchio di 1,8m, con cui identificò la prima galassia a spirale M51 nel 1845. Ne seguì
una disputa sulle nebulose con due questioni da chiarire: a) le nebulose sono composte
da stelle oppure da un fluido luminoso; b) sono interne all Via Lattea oppure sono
universi-isole esterni ad essa. L’iniziale osservazione di nebulose interne alla nostra
galassia (Orione e quella di Hind) screditò l’ipotesi di un ammasso remoto ed esterno di
stelle. Era questo il “puzzle solving” che doveva rivoluzionare la cosmologia e abbattere
l’ostacolo epistemologico dell’antropocentrismo cosmico, non ancora pienamente
superato dalla rivoluzione copernicana eliocentrica. La ricombinazione degli elementi
similari derivante annienterà qualsiasi presunto privilegio della razza umana, del suo
pianeta e della sua civilizzazione da pretese assolutizzazioni mitico-magiche. Siamo
perduti in un immenso cosmo, violento e mutevole, su un granello di materia , la cui
biosfera è molto fragile e niente affatto eterna (cosmocentrismo, cioè la natura spiega se
stessa senza ricorrere a ipotesi soprannaturali). L’Ottocento aveva costruito un’immagine
dell’universo simile a un salotto della ricca borghesia vittoriana: tutto era tranquillo, al
proprio posto e immutabile, soprattutto perfettamente controllabile perché regolare. Il
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
12
nuovo paradigma dell’espansione dell’universo e del “big bang” spazzerà come polvere
millenaria questa concezione da filistei10.
La risposta definitiva sarebbe giunta con lo sviluppo degli strumenti dell’astrofisica. Nel
1814 Joseph von Fraunhofer (1787-1826), grande perfezionatore di strumenti ottici, scoprì
che il sole e le altre stelle presentavano nei loro spettri – rappresentazioni dell’intensità
della radiazione elettromagnetica dipendente dalla lunghezza d’onda – numerose righe
scure dette righe di Fraunhofer. Gli astronomi sospettavano che le righe spettrali
avrebbero permesso un’analisi chimica a distanza della sorgente, in quanto caratteristiche
delle sostanze che le producevano. L’amicizia di Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887) con
Robert Wilhelm E. von Bunsen (1811-1899) diede i natali alla spettroscopia con l’uso del
becco di Bunsen, formante una fiamma incolore, e con l’utilizzazione di prismi (invenzione
dello spettroscopio) di Kirchhoff. Essi scoprirono che ogni riga spettrale è tipica della
composizione chimica dell’elemento che la emette, e confrontando le righe presenti negli
spettri dei corpi celesti con quelle ottenute in laboratorio per elementi noti, interpretarono
le "linee di Fraunhofer” e determinarono la composizione chimica del Sole e dei corpi
celesti (1860 Sulle linee di Fraunhofer). Kirchhoff riteneva, inoltre, che il nucleo del Sole
fosse liquido e incandescente, e circondato da un involucro gassoso, demolendo l’ipotesi
di Herschel di un Sole interno solido e freddo.
Riguardo la natura delle nebulose, nel 1864 William Huggins (1824-1910), dilettante
assistito da un’amica artista, osservò la monocromaticità della radiazione proveniente
da una nebulosa planetaria nella costellazione del Drago, e ne dedusse che fosse un
ammasso di gas luminoso – declino degli universi-isole. In seguito studiò molte nebulose,
compresa Orione, le stelle variabili – variabilità dipendente da una stella compagna – e nel
1866 una nova – caratterizzata dalla combustione dell’idrogeno. Al principio del XX sec.
l’astrofisica raggiunse un notevole prestigio nell’opinione pubblica e ottenne finanziamenti
statali, la costruzione di osservatori e la formazione di astrofisici di professione, divenendo
una disciplina riconosciuta. Inizialmente la struttura a spirale delle nebulose fu usata
contro la teoria degli universi-isole e la formazione dei pianeti venne spiegata con l’ipotesi
della nebulosa spirale. In alternativa Thomas Chrowder Chamberlin (1843-1928), già
famoso per aver proposto nel 1899 la molteplicità ricorrente delle fasi glaciali terrestri
contro lord Kelvin, suggerì l’ipotesi dei planetesimi – elaborata nel 1903-4 ed esposta in
The Origin of the Earth del 1916. L’eruzione e l’espulsione di materia da parte delle stelle
sarebbe seguita da una graduale aggregazione, formando per condensazione e gravità
prima i planetesimi, minuscoli corpuscoli, e poi i satelliti e i pianeti.
Tuttavia, molti pensavano che le nebulose spirali fossero il primo anello dell’evoluzione
stellare e luoghi di nascita delle stelle oppure ammassi stellari. Nel 1900 la visone corrente
riteneva che tutto ciò che è visibile appartenesse alla Via Lattea con un diametro di
10.000 anni-luce con il Sole al centro di un insieme lenticolare di stelle – tesi esposta da
Jacobus Cornelis Kapteyn (1851-1922), padre anche della materia oscura; altri, però
10
“Si tratta del resto di una caratteristica che è profondamente radicata nella coscienza borghese, poiché quest’ultima ha
sempre avuto la tendenza a ingoiare ideologie o momenti che in fondo non prende affatto sul serio, solo perché giovano
al benessere della vita interiore, e nonostante la loro falsità oggettiva, anzi riconosciuta”. T.W. Adorno, Terminologia
filosofica, Mondadori, Milano 2008, p. 114.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
13
pensavano che lo spazio non osservabile fosse infinito. Il nodo gordiano fu risolto nel 1898
da Julius Scheiner, che fotografò lo spettro della Nebulosa spirale di Andromeda, la più
vicina a noi, e notò righe scure come quelle del sole, deducendo che le nebulose spirale
fossero sistemi stellari come la nostra galassia. Vesto Melvin Slipher (1875-1969) fu il
primo a utilizzare l’effetto Doppler – il quale nel 1842 considerò la variazione del colore
dello spettro di una sorgente luminosa, avvicinantesi violetto, e allontanantesi rosso – per
studiare le spirali. Osservò nel 1912 lo spostamento verso il blu delle righe emesse da
Andromeda, misurando la velocità di avvicinamento in 300 km al secondo, mentre fino al
1925 determinò le velocità di recessione di 39 spirali, molte che si allontanavano da noi,
fino a 1.125 km/s. Riprendendo Kapteyn, Harlow Shapley (1885-1972) dell’Osservatorio di
Monte Wilson formulò la tesi di una grande galassia (1918), immensa collezione di
ammassi stellari, con diametro di 300.000 anni-luce. Misurò le distanze degli ammassi
globulari, che circondano il centro della nostra galassia, mediante la relazione periodoluminosità delle variabili Cefeidi – la varazione regolare della loro luce consentiva il
calcolo della distanza dalla Terra. Il centro della Via lattea era a 60.000 anni-luce da noi.
Negò l’ipotesi degli universi-isola e quindi di galassie esterne.
Ma ormai il filisteismo antropocentrico aveva i giorni contati, perché sempre un
newyorckese, laureato in giurisprudenza con dottorato in astrtonomia, poco dipendente dai
giochi di potere accademici – come l’altro grande rivoluzionario Gamow – stava lavorando
a una nuova visione dell’universo del tutto alternativa a quella della tradizione. Il
problema era trovare un mezzo accettabile da tutta la comunità astronomica per
determinare le distanze delle spirali. Il 1924 portò a soluzione la controversia
sull’esistenza di galassie esterne grazie all’opera di Edwin Powell Hubble (1889-1953),
che sempre presso l’Osservatorio di Mount Wilson osservò una stella variabile Cefeide
nelle lastre fotografiche di Andromeda e poi in altre spirali. Ne calcolò la distanza per
mezzo della relazione fra il periodo della variazione di luce e la luminosità intrinseca, e
stabilì che Andromeda si trovava all’esterno della Via Lattea ed era una galassia a spirale
esterna. Dopo un anno dalla sua scoperta vi era un accordo generale nel considerare il
cosmo popolato da una moltitudine di galassie. Dal 1925 Hubble lavorò alla
classificazione delle galassie in base alla loro forma (ellittiche, spirali, irregolari),
sviluppando un metodo per misurare la distanza di galassie anche molto lontane. Notò che
la maggioranza presentava forti velocità di recessione e raccolse i dati sui red shifts delle
spirali con il suo collaboratore M. L. Humason. Nel 1929 presentò un articolo dove la
relazione tra red shift e distanza era lineare – maggiore è la distanza a cui è posta una
galassia, maggiore è il suo red shift o legge di Hubble: v=Hr con H costante di Hubble
affermava che le velocità di fuga v sono lineari e proporzionali alla loro distanza r. Dal
1930 la gran parte degli astronomi interpretò il risultato come una conferma
dell’espansione dell’universo, in particolare Arthur Eddigton (1882-1944) propose un
modello in cui non vi era alcuno stato singolare iniziale, il cosmo aveva un’età infinita e
l’espansione seguiva una crescente accelerazione (The Expanding Universe, 1933), oltre
a sostenere con J. Jeans la necessità della morte termica dell’universo. Ne seguì una
nuova controversia perché occorreva una spiegazione fisica della legge, visto che la
relatività generale einsteniana prevedeva un universo statico. Nel 1948 H. Bondi (1919), T.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
14
Gold (1920) e Fred Hoyle sostennero la teoria dello stato stazionario: l’universo
permarrebbe in uno stato stazionario a meno di locali irregolarità; perciò la materia
sarebbe continuamente creata per spiegare la perdita di materia causata dal processo di
nascita evoluzione e fine delle galassie; il principio cosmologico perfetto stabiliva che il
cosmo presenterebbe lo stesso assetto in ogni luogo e in ogni istante lo si osservi;
l’universo avrebbe così un’età infinita. Tale teoria non aveva il difetto della non
coincidenza tra l’età dell’espansione dell’universo e l’età delle stelle più vecchie della
nostra galassia. Frattanto si faceva strada, grazie allo sviluppo della meccanica
quantistica, l’idea di una nucleosintesi primordiale, differente da quella stellare, che
avrebbe dato origine alla materia nucleare, la quale si sarebbe poi cristallizzata per il
raffreddamento dell’universo in espansione. Nel 1946 George Gamow (1904-1968)
elaborò l’ipotesi del big bang caldo, che rendeva conto delle abbondanze degli elementi
presenti in natura, basandosi sulle proprietà delle reazioni nucleari. Alla fine degli anni ’50
l’età dell’espansione dell’universo venne aumentata grazie a una revisione delle distanze
cosmiche. Oggi (2009) l’età del cosmo stimata è di 13,5 miliardi di anni. E nel 1965 Arno
Allan Penzias (1933) e Robert Woodrow Wilson (1936) scoprirono casualmente con
un’antenna usata per le comunicazioni via satellite, posta su un tetto della Grande Mela, la
radiazione cosmica di fondo nelle microonde, un rumore fossile radioelettrico
ineliminabile proveniente con uguale intensità da tutte le direzioni e di natura termica, che
dava un’evidenza sperimentale al grande botto, in quanto suo residuo primordiale –
300.000 anni dopo – confermata nel 1990 dalle misure effettuate dal satellite COBE. In
seguito la credenza dominante – modello cosmologico classico –, suffragata da diverse
teorie elaborate per risolverne i problemi aperti (inflazione, buchi neri, teoria delle corde e
così via), propose una visione dell’universo in espansione, che evolveva secondo le leggi
della relatività generale e della meccanica quantistica, avendo origine da uno stato iniziale,
detto singolarità, ad altissima temperatura – un istante in cui tutta la materia si
concentrava in un solo punto con densità infinita. Di recente si è affermata la teoria del big
bounce, per cui il cosmo sarebbe prodotto da un grande rimbalzo, causato da una grande
compressione e dalla catastrofica implosione di un universo precedente, che avrebbe
raggiunto un punto di massima densità, cui seguirebbe il big bang11. Questo modello si
fonda sulla nuova teoria della gravità quantistica a loop, e spiega meglio lo spazio-tempo e
i problemi derivanti dalla concentrazione di materia, dalla gravità e dalla singolarità.
Scienze storico-sociali.
Le scienze storico-sociali vennero distinte da quelle naturali negli ultimi decenni
dell’Ottocento, quando i filosofi tedeschi Widelband e Rickert e altri storici, economisti,
ecc. dibatterono sul loro status epistemologico. Le cosiddette scienze dello spirito
andavano distinte da quelle naturali, e se sì per il metodo, o per l’oggetto, oppure per
entrambi?
I positivisti non distinguevano tra le leggi della storia umana e quelle della natura,
facendo corrispondere al metodo di queste ultime anche quello delle scienze sociali (unità
della scienza e naturalismo): soltanto la conoscenza scientifica sarebbe valida, e
11
Le Scienze, n. 484, dicembre 2008.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
15
riguarderebbe la descrizione di fatti osservabili e i dati accertati sperimentalmente; una
rigorosa dicotomia separerebbe i fatti e i valori, perché il ricercatore e dunque lo storico
debbono perseguire l’oggettività senza alcun punto di vista personale, in quanto
pregiudizio e interesse particolare; l’inevitabilità del progresso, mediato e dipendente
dalla scienza, giustificherebbe una concezione storicistica del sapere, della società e
della storia12. Il paradigma fondamentale dei positivisti, quindi, era il concetto di
un’evoluzione naturale della storia e della società di carattere progressivo. La teoria
generale del progresso naturale dell’umanità di Auguste Comte (1798-1857) distingueva
tre stadi dell’umanità: teologico, metafisico delle società moderne, positivo o tendenza
ultima delle società moderne. Ma oltre alla sociologia il positivismo influì anche
sull’antropologia culturale, soprattutto dopo la pubblicazione dell’opera La discendenza
dell’uomo (1871) di Darwin, che riconduceva lo sviluppo storico allo sviluppo cosmico e
naturale attraverso una descrizione dettagliata della continuità delle qualità mentali
negli animali e nell’uomo, spiegandole in termini di utilità. Edward Burnett Tylor (18321917) applicò l’evoluzionismo alla cultura delle società primitive (Primitive Culture 1871) e
definì la cultura come “complesso che include conoscenza, credenze, arti, morale, leggi,
usanze e ogni altra capacità o abito acquisiti dall’uomo come membro della società”. Lewis
Henry Morgan propose uno schema di sviluppo unilineare delle società umane
attraverso tre stadi, distinti dal tipo di economia, quale paradigma di tutti i sistemi sociali:
caccia e raccolta; allevamento e agricoltura; introduzione delle macchine e
industrializzazione (La società antica 1877) – già Comte aveva sottolineato la
razionalizzazione della vita sociale moderna come “la nostra legge fondamentale
dell’evoluzione umana”. Questa venne così caratterizzandosi come il passaggio dallo
stato selvaggio a quello della barbarie, e da questo a quello della civiltà.
Il darvinismo influì anche su Karl Marx (1818-1883) – che voleva dedicare a Darwin Il
capitale – e Friedrich Engels (1820-1895), i quali proposero la concezione materialistica
della storia (Ideologia tedesca 1846 e Manifesto del partito comunista 1848), una visione
progressiva e unilineare del processo storico, che è un succedersi di modi di produzione
(primitivo o tribale, asiatico, schiavistico, feudale, capitalistico), nei quali prevalgono
determinati rapporti di produzione (relazioni sociali di classe tra dominatori-oppressori e
dominati-oppressi) e un particolare sviluppo delle forze produttive e materiali (strumenti
di lavoro, tecnica e sapere scientifico). Questa struttura economica e sociale ha un
rapporto dialettico con la sovrastruttura culturale e politica, dove “in ultima istanza” lo
sviluppo della prima o condizione socio-economica materiale (tecnologia) influenza lo
sviluppo della seconda o coscienza, relazioni di proprietà e sistemi politici. Il motore dello
sviluppo storico è la lotta di classe, la cui contraddizione porta inevitabilmente alla
rivoluzione degli sfruttati contro gli sfruttatori, insieme all’antagonismo tra forze produttive,
12
“L’ordine e il progresso, che l’antichità considerava come assolutamente inconciliabili, rappresentano sempre più, per
la natura della civiltà moderna, due condizioni egualmente importanti, la cui intima e indissolubile combinazione
caratterizza ormai sia la fondamentale difficoltà sia la principale risorsa d’ogni vero sistema politico. […] Il risultato
generale della nostra evoluzione fondamentale non consiste soltanto nel migliorare la condizione naturale dell’uomo,
con l’estensione continua della sua azione sul mondo esteriore, ma anche soprattutto nello sviluppare, con un esercizio
sempre più preponderante, le nostre facoltà più eminenti, […] sollecitando continuamente il progresso delle funzioni
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
16
che dovrebbero crescere, e rapporti di produzione e di proprietà, che bloccano il
progresso. L’utopia comunista – ultimo stadio del processo storico e sociale – dimostra
che il pensiero marxiano non fuoriesce dal paradigma positivistico, come dimostra anche
la riflessione economica matura che riprende il prometeismo produttivistico della
scienza seicentesca (Bacone e Cartesio) e dell’economia classica.
In opposizione al positivismo, vi era la concezione di coloro che distinguevano tra
fenomeni storico-sociali e fenomeni naturali, perché i primi erano intenzionali e dipendenti
dall’azione cosciente degli individui. Questi sostenitori del Verstehen (comprendere,
intendere) delle scienze umane proponevano una penetrazione immaginativa e intuitiva
dei processi storico-sociali attraverso la propria esperienza vissuta interna (Erlebnis): il
loro oggetto era l’uomo nei suoi rapporti sociali, e si richiedeva l’interpretazione del
significato dei prodotti storici e culturali – Wilhelm Dilthey (1833-1911), Introduzione alle
scienze dello spirito, 1883. Quest’ultimo portò a compimento lo storicismo, che
considerava la realtà come storia, per cui l’evento, il personaggio e il pensiero erano
comprensibili soltanto all’interno di un preciso processo storico, negando però un principio
incondizionato di tipo metafisico sia trascendente (Agostino) sia immanente (Hegel), che
potesse guidare dall’alto e controllare e condizionare il corso storico, prodotto invece dal
libero corso dell’iniziativa umana. Questa analisi non metafisica della struttura del mondo
storico metteva già in crisi il paradigma del progresso, che in questo modo veniva a
perdere il carattere necessario e unilineare – il suo relativismo nega il valore assoluto di
qualsiasi visione del mondo.
Wilhelm Windelband (1848-1915) e Heinrich Rickert (1863-1936) si rifiutavano di
frantumare la realtà – quindi le diverse scienze non differivano per la natura dell’oggetto –
e proposero una rigida classificazione basata sulla diversità del metodo: da una parte le
scienze dello spirito avrebbero per oggetto gli eventi e utilizzerebbero un metodo
individualizzatore o idiografico, che trascura gli elementi generici e quantitativi e si
concentra sui caratteri individuali peculiari e qualitativi dei fenomeni; dall’altra le scienze
della natura si fonderebbero su leggi universali e adotterebbero il metodo
generalizzatore o nomotetico, che astrae dagli aspetti contingenti e individuali della
realtà e riduce le differenze qualitative a quantità misurabili formanti una definizione
generale normativa (Storia e scienza naturale, 1894 e La scienza della cultura 1899). Tale
impostazione è stata poi codificata dalla sociologia comprendente di Max Weber (18641920) in Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura del 1905, secondo il
quale il metodo naturalistico non rendeva intelligibile il comportamento umano,
conoscendo soltanto regolarità esteriori e ignorando ciò che è contingente e accidentale –
di qui la critica all’uso privilegiato della quantificazione. Viceversa, nelle discipline storicosociali la comprensione riusciva a cogliere l’evidenza di senso di un’azione,
imponendosi alla nostra mente. Infatti, gli uomini o i gruppi lo intuiscono e intendono
nell’agire reale soggettivamente intenzionato. Dato che il metodo individualizzatore
ricollegava un fatto particolare a cause specifiche o a un insieme determinato detto
costellazione, le conclusioni da trarre dovevano sempre fondarsi su dati di fatto e non su
intellettuali” A. Comte, Corso di filosofia positiva, Ed. La Scuola, Brescia 1981, pp.89, 108. Per una critica della
storiografia positivista il grande E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 1961.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
17
giudizi di valore (avalutatività). Il capitalismo si caratterizzava, inoltre, per il
perseguimento sistematico e razionale del profitto, in quanto “l’impresa capitalistica
razionale è quella che comporta il calcolo dei capitali, cioè è un’impresa di produzione che
controlla le possibilità di rendimento con il calcolo”13. Questa capacità di razionalizzare le
proprie operazioni e pianificarle del capitalismo si ritrovava nella razionalità formale e
impersonale dell’organizzazione burocratica. “Con la vittoria del razionalismo giuridico
formalistico apparve nell’Occidente […] il tipo legale della dominazione, […] la
dominazione burocratica”14. Il mondo moderno si caratterizzava per la tendenza alla
razionalizzazione e a un ordinamento sempre più razionale della vita, spiegando perché
soltanto in Occidente si era affermata “una specializzazione razionale e sistematica della
scienza” e “un istituto politico, dotato di una costituzione razionalmente promulgata, con un
diritto razionalmente costituito, con un’amministrazione diretta da impiegati specializzati”15.
La razionalizzazione o intellettualizzazione, però, essendo il risultato della
specializzazione scientifica e della differenziazione tecnica, tipiche della civiltà occidentale,
portavano per Weber al disincantamento del mondo, che demoliva tutte le credenze
tradizionali nelle forze magiche, negli spiriti e nei demoni, e smarriva il senso del sacro,
abbandonando gli uomini all’utilitarismo e alla precarietà del relativo e del provvisorio, al
relativismo pluralista e al progresso della legge della quantità e non della qualità.
In seguito il paradigma del progresso e della razionalizzazione diverranno un topos della
sociologia: per Emile Durkheim (1858-1917) la progressiva razionalizzazione non
supererebbe del tutto l’irrazionalità, ma il processo sarebbe irreversibile; per Vilfredo
Pareto (1848-1923) le azioni logiche farebbero un uso adeguato dei mezzi rispetto allo
scopo, definendo l’aspetto intenzionale dell’agire economico. Nascevano così due luoghi
comuni delle scienze storico-sociali della prima metà del Novecento, strettamente correlati
al progresso evoluzionistico: l’attore razionale e la modernizzazione. Il primo costituiva il
paradigma fondamentale delle scienze politiche e della microeconomia. Forse in quel
periodo la tipologia di libri più stampata, soprattutto in ambito accademico, trattava di
questo mitico personaggio che calcolava sempre e in ogni occasione i costi e i benefici
delle proprie scelte. È da notare di sfuggita che si trattò di un periodo storico pieno di
catastrofi (guerre mondiali, crisi economiche, dittature), che minò le certezze dei ceti
dirigenti e degli intellettuali, per cui occorreva ricostruire dalle macerie dei bombardamenti
e della grande depressione economica i valori fondanti di una società allo sbando. Anche il
secondo luogo comune era compromesso con la progressività inevitabile della storia
umana (teleologia), e veniva identificato con l’avvento della società industriale
occidentale – cosa che in gran parte aveva sostenuto in precedenza l’evoluzionista per
eccellenza Herbert Spencer (1820-1903). Il passaggio dal “mondo tradizionale” al
“mondo moderno” avveniva invariabilmente in ogni tempo e cultura grazie alla
modernizzazione, per cui la rivoluzione urbana costringeva una parte consistente della
popolazione, prima occupata nel settore primario o agricolo, a spostarsi dalle campagne
alle città, dove avrebbero trovato lavoro nel settore secondario, cioè industriale
13
M. Weber, Wirtschaftsgeschichte, Berlino 1958, p.238.
Cfr. M. Weber, op. cit.
15
M. Weber, L’etica protestantica e lo spirito del capitalismo, Roma 1958, pp. 3 e 2.
14
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
18
(rivoluzione industriale), a cui sarebbe seguita una modernizzazione dell’intero sistema
sociale portando allo sviluppo della tecnologia, del sistema scolastico, dello stato sociale,
dei servizi o settore terziario e dei consumi, fino alla rivoluzione dell’automazione
dell’epoca spaziale e della globalizzazione dell’informazione e dell’economia. Questo
modello teorico di progresso storico e sociale era diventato una verità incondizionata e
indiscutibile della “mentalità del mondo moderno […e…del] liberalismo kantiano
illuministico”16, e una delle maggiori testimonianze era il celebre Rapporto Brandt.
Soprattutto in macroeconomia e storia economica il concetto di sviluppo economico
era definito “processo di crescita nel reddito complessivo e di cospicuo aumento del
prodotto pro capite, accompagnato dalla crescita della popolazione e da cambiamenti
fondamentali nella struttura economica, istituzionale e culturale”. Tali cambiamenti
consisterebbero nella crescente importanza del settore industriale rispetto a quello
agricolo, nella migrazione del lavoro dalle aree agricole a quelle urbane, nel progresso
tecnologico, basato sull’avanzamento della scienza, nell’elevazione del tenore di vita e del
benessere generale dei cittadini. L’innovazione, quale realizzazione della
razionalizzazione e della maggiore efficienza del sistema attraverso l’introduzione di nuovi
prodotti e processi produttivi, ha avuto i suoi massimi profeti in Karl Marx e in particolare
Joseph Alois Schumpeter (1883-1950), il quale sosteneva che lo sviluppo economico
dipendesse soprattutto dalle innovazioni tecnologiche introdotte dalla ristretta élite degli
imprenditori, grazie alla creazione di credito delle banche e alle aspettative di un profitto
monopolistico, cioè di una grande valorizzazione del capitale per usare termini marxiani. Il
saggio di progresso tecnico condizionerebbe poi il saggio di profitto e quello di interesse. Il
progresso tecnico, però, procederebbe a balzi, secondo cicli di espansione e recessione,
per cui le crisi avrebbero un ruolo selettivo in senso darwiniano, eliminare dal mercato
le imprese inefficienti e far prosperare quelle produttive e innovative. Ma il non plus ultra di
questa concezione evoluzionistica dell’economia è stata la teoria degli stadi della
crescita economica di Walt Whitman Rostow (1916), esposta nell’omonima opera del
1960. Lo sviluppo economico attraverserebbe cinque stadi fondamentali: a) la società
tradizionale con prodotto pro capite basso e costante; b) la creazione delle pre-condizioni
del decollo grazie alla scienza e alla tecnologia; c) il decollo con la crescita economica
come condizione normale grazie a continui investimenti e innovazioni tecniche; d) il
passaggio alla maturità con crescente complessità del sistema; e) il consumo di massa
con una popolazione opulenta e con settori fondamentali nei beni durevoli e nei servizi.
Le scienze dell’uomo sono state profondamente condizionate dalla concezione darwiniana
che la specie umana fosse il risultato di una progressiva evoluzione, derivando da
precedenti specie animali. Tale visione naturalistica implicava la radicale esclusione di
ogni intervento soprannaturale e di qualsiasi disegno divino – importante nella polemica
contro gli oppositori del darwinismo fu Thomas Huxley (1825-1895), autore di Il posto
dell’uomo nella natura (1863), dove l’evoluzione spiegava filogeniticamente sia il fisico sia
la psiche e la condotta umane. La psicologia fino ad allora era derivata dalle teorie
greche e cristiane sull’anima e sul corpo. Il rapporto mente-corpo finì per reificarsi nel
16
I. Wallerstein, Geopolitica e geocultura, Asterios Ed., Trieste 1999, p.103.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
19
dualismo cartesiano mente-materia e in tale posizione rimase fino a quando
l’evoluzionismo provò sperimentalmente la continuità della mente con la natura,
frantumando la vecchia visione del mondo spiritualista con il nuovo paradigma darwiniano.
In origine la psicologia si accademizzò prima nelle università tedesche e poi in quelle
statunitensi, con un proprio gruppo professionale, con un curriculum e un sapere radicati
nella ricerca sperimentale, soprattutto dopo il 1850. Da allora, grazie allo sviluppo della
biologia e della medicina, la mente fu studiata mediante l’anatomia e la fisiologia. Il testo
fondamentale era De l’irritation et de la folie (1828) di Francois-Joseph-Victor Broussais
(1772-1838), che studiò il rapporto mente-corpo “sulla base della medicina fisiologica” e
fu il punto di partenza degli studi di A. Comte sull’uomo, criticando il metodo di
osservazione interno o introspezione. La sperimentazione diventò parte integrante della
psicologia con Ernst Heinrich Weber (1795-1878), che analizzò le esperienze fisiologiche
nelle sensazioni tattili, per cui le sensazioni aumenterebbero di quantità uguali quando le
eccitazioni aumentano di quantità relativamente uguali (proporzionalità). In seguito Gustav
Theodor Fechner (1801 -1887) introdusse nella ricerca i procedimenti di misurazione e
misurò le differenze d’intensità della sensazione in rapporto all’eccitazione, constatando
che la sensazione aumenta meno rapidamente dell’eccitazione (non proporzionalità). Il
problema fondamentale della seconda metà dell’Ottocento fu il problema della
percezione della spazio, che Wilhelm Wundt (1832-1920) risolve seguendo Daewin e
l’empirismo: né le impressioni locali né i movimenti fornirebbero la conoscenza dello
spazio, che si formava mediante una sintesi psicologica di quelli (Grundzüge der
physiologischen Psychologie 1874). Nasceva così la psicologia scientifica e Wundt aprì
nel 1979 il primo istituto psicologico del mondo. Altro divulgatore della psicologia
sperimentale fu Théodule Ribot (1839-1916), occupandosi di memoria, personalità e
volontà e facendosi fautore di una psicologia naturalista, pur riconoscendo l’osservazione
soggettiva dell’introspezione. Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936) fu il massimo esponente
del connubio tra fisiologia e psicologia, modellata sul rigore sperimentale e l’obiettività dei
risultati, e collegò l’azione della mente e la determinazione ambientale su di essa
attraverso esperimenti con animali. Definì il concetto di riflesso condizionato, che
collegava uno stimolo sensibile (suono di un cicalino) a processi di apprendimento e
associazione (cibo per il cane), finché l’apprendimento condizionava il comportamento
istintivo pur mancando lo stimolo (il suono del campanello induceva il cane a salivare).
Questa psicologia oggettiva proponeva l’espulsione della coscienza come oggetto di
studio e dell’introspezione soggettiva del ricercatore come metodo.
Quest’ultima, invece, fu il cardine del metodo psicoanalitico di Sigmund Freud (18561939), che sottolineava il ruolo dell’inconscio, quale sede delle pulsioni biologiche
umane, e il riaffioramento o rievocazione dei ricordi patogeni e inconsci. Lo sviluppo
psichico dell’individuo veniva così a dipendere dallo sviluppo psico-sessuale (le fasi
sono orale, anale, fallica, edipica, latenza, genitale). Nasceva così la psicologia dello
sviluppo, che introduceva un paradigma evolutivo nelle neuro-scienze e lo applicava
allo studio dell’intelligenza, della socializzazione, della personalità, del fisico e della
sessualità. Fondamentale in questo orientamento è stata l’opera di Jean Piaget (18961980), di formazione biologo, con il concetto dei gradi cognitivi dello sviluppo
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
20
psicologico, distinti in base a differenze qualitative tra strutture di pensiero, che si
susseguono in una sequenza invariante in ogni individuo – intelligenza sensorio-motrice,
rappresentazione preoperazionale, operazioni concrete, operazioni formali. Riprendendo
Darwin, l’adattamento era un rapporto bidirezionale tra l’adeguamento dell’ambiente
all’individuo (assimilazione) e l’adeguamento dell’individuo all’ambiente
(accomodazione), per cui lo sviluppo cognitivo era un processo di conquista d’un maggior
equilibrio tra assimilazione e accomodazione. Nel Novecento, quindi, il paradigma dello
sviluppo evolutivo ottocentesco si sposò all’altro paradigma novecentesco, sorto in
biologia anch’esso, della struttura o sistema, che fu inventato da Ludwig von Bertalanffy
(1901-1972) a partire da Teoria critica dello sviluppo delle forme del 1928 fino a
L’immagine biologica del mondo (1949) e Teoria generale dei sistemi (1950). Bertalanffy
criticò il metodo analitico-sommatorio del meccanicismo, perché l’organismo era diverso
dalla semplice somma delle parti, e considerò gli esseri viventi come sistemi complessi,
dotati di proprietà specifiche, e governati dall’omeostasi, o capacità di un organismo di
mantenere un equilibrio o una stabilità interni attraverso i processi di input-output e feedback – termine coniato da W. B. Cannon (1871-1945) in Wisdom of the Body (1939).
Nelle scienze storico-sociali il nuovo paradigma rivoluzionò la ricerca di tutte le discipline
attraverso il dilagare del funzionalismo e dello strutturalismo. Il funzionalismo (analisi
funzionale delle parti di un sistema secondo l’adattamento di esso all’ambiente) si affermò
nelle scienze dell’educazione con J. Dewey e E. Claparède, in antropologia con B.
Malinowscky, in sociologia con K. R. Merton e così via. Invece lo strutturalismo (studio
dell’organizzazione che sta alla base delle componenti di una totalità attraverso le relazioni
tra le parti della struttura) era sorto in linguistica con F. de Saussure fino a Noam
Chomsky, e poi venne applicato in altre scienze come l’antropologia con Claude LéviStrauss, in psicologia con F. Krueger (Gestalt e metodo globale), Kurt Koffka (teoria del
campo totale tra ambiente e organismo) e W. Köler (olismo metodologico e teoria
dell’isomorfsmo tra campo nervoso e forme fisiche)17, nelle scienze politiche con D.
Easton (sistema politico in generale), K. Watz e M.A. Kaplan (sistema politico
internazionale), in sociologia con T. Parsons (la struttura dell’azione sociale).
Anche la filosofia si appropriò del nuovo indirizzo con M. Foucault, J. Lacan, R. Bartes, L.
Althusser. Il primo filosofo a utilizzare un’impostazione olistico-sistemica è stato però
Marx, anche se il suo concetto di organizzazione era più hegeliano che darwiniano e
biologico.
Seguendo la classificazione prevalente nelle discipline storico-sociali, possiamo dire che
storicamente si sono distinti due approcci: a) l’individualismo metodologico, tipico delle
discipline ottocentesche influenzate dal positivismo, dallo storicismo e dal neokantismo,
afferma il primato dei fatti concernenti gli individui, che formano l’entità sociale
fondamentale, e dai cui comportamenti al più si possono trarre per astrazione e
generalizzazione delle regolarità sociali – in questo senso l’indirizzo non va al di là di un
empirismo già teorizzato da Hobbes e Hume; b) l’olismo metodologico, invece, tipico del
funzionalismo e dello strutturalismo, sottolinea l’autonomia e l’irriducibilità delle strutture
17
Per la psicologia della forma ciò che veniva prima era la forma o Gestalt, in quanto noi percepiamo prima la forma,
mentre gli elementi particolari sono il risultato di astrazioni compiute in seguito partendo dalle strutture.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
21
sociali che ordinano i vari sistemi considerati, avendo proprietà organizzative e dinamiche
indipendenti dalle credenze e dai propositi delle persone che occupano posizioni
all’interno della struttura – per esempio in politica internazionale l’indirizzo di una grande
potenza non dipenderebbe dalle opinioni individuali dei propri governanti ma dal contesto
geopolitico e strategico. Nelle discipline storiche il metodo sistemico si impose sia per
l’influenza del marxismo nel corso del Novecento e sia per la rivoluzione prodotta dalla
rivista storica francese Les Annales, fondata nel 1929 da M. Bloch e L. Febvre. Rispetto
alla tradizione della storia politica e militare, la rivista mise in primo piano la storia
economica e sociale, attraverso un approccio multidisciplinare – geografia, psicologia,
antropologia, sociologia, ecologia, medicina – e partecipò al movimento strutturalista,
riconoscendo l’interdipendeza fra i vari elementi dell’unità-totalità considerata (dimensione
sincronica) e i mutamenti che si verificano in essa (diacronia), per cui il sistema studiato
non è statico ma possiede un processo evolutivo proprio. Fernand Braudel (1902-1985)
diresse a lungo la rivista e intraprese un’analisi geostorica fondata sul rapporto tra spazio
e tempo distinti in differenti livelli d’analisi: il primo si struttura su più piani, cioè locale,
nazionale, continentale e globale a seconda della dimensione subsistemica considerata; il
secondo o tempo sociale si differenzia in storia episodica (fatti singoli), storia
congiunturale (processi ciclici interni al sistema storico), storia strutturale (longue durée),
lunghissima durata o tempo dei saggi – Storia e scienze sociali: la lunga durata del 1969.
Il suo allievo Immanuel Wallerstein proseguì l’opera del maestro introducendo un nuovo
paradigma nelle scienze storico-sociali, il concetto di sistema storico e l’analisi dei
sistemi-mondo: “tutto ciò che è storico è anche sistemico, e […] tutto ciò che è sistemico
è anche storico. Ogni struttura reale (in quanto opposta a strutture immaginarie) ha proprie
particolarità, dovute alla propria genesi, alla storia della propria vita, al suo ambiente; ha
dunque una storia che è centrale al suo modo di funzionare”18. La storia diventa così un
susseguirsi, ma anche la convivenza e coesistenza, di molteplici “sistemi storici”, che sono
entità su larga scala spaziale e di lunga durata temporale, dotati di autonomia – il
funzionamento dipende dai processi interni o vettori e da un ordine intrinseco particolare –,
di limiti temporali – origine e fine –, e di limiti spaziali – variabili nel corso della loro storia.
Tali confini dipendono dalla divisione del lavoro, che assicura la sopravvivenza e la
riproduzione sociale, e dall’organizzazione del lavoro, che distribuisce mansioni,
remunerazioni e status come lavoro coatto (schiavistico o servile), salariato, indipendente.
Un sistema storico è una rete integrata di processi economici, politici e culturali, la cui
stabilità dipende dalla retroazione dei cambiamenti subsistemici sulle altre componenti. Si
tratta di una dialettica interna tra, da una parte, congiunture cicliche di medio periodo –
per esempio i cicli economici e quelli politico-egemonici, oppure demografici – e tendenze
secolari a lungo termine (l’acquisizione della rendita nel sistema feudale o
l’accumulazione del capitale nell’economia-mondo capitalistica) e, dall’altra, le strutture
durevoli, un insieme di regole e di vincoli all’interno del quale operano gli attori e i gruppi, i
processi e l’ordinamento organizzativo delle istituzioni sociali. La contraddizione tra
congiunture cicliche e tendenze secolari, che porta l’evoluzione di elementi strutturali
18
I. Wallerstein, La scienza sociale: come sbarazzarsene, il Saggiatore, Milano 1995, p.245.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
22
verso asintoti catastrofici – l’erosione della rendita fondiaria nella seconda metà del ‘300 –
determina una crisi del sistema storico e una transizione verso uno nuovo, in cui è
possibile il libero arbitrio, la scelta umana può cioè influire sensibilmente sui cambiamenti
sistemici. Qui entrano in gioco le teorie della complessità e del caos per spiegare le
possibili opzioni che aprono la strada a destini differenti, perché “vicino ai punti di
biforcazione […] il sistema può ‘scegliere’ più di un possibile futuro”19. Mentre “all’interno di
un sistema storico funzionante, non esiste alcun vero libero arbitrio”, durante la transizione
“l’esito è indeterminato” e dipende dai rapporti di forza tra gli attori sociali e politici. I
sistemi storici si possono classificare secondo le dimensioni spaziali e le divisioni sociali
del lavoro: i) minisistemi – unità semplici e localizzate di breve vita senza registrazione
storica ufficiale –; ii) sistemi-mondo – di dimensioni relativamente grandi e di lunga
durata –, che si distinguono in a) imperi-mondo – dotati di un potere politico centrale e di
limiti spaziali e temporali intrinseci dipendenti dalle risorse disponibili e dalla capacità di
controllo territoriale della struttura dominante – e b) economie-mondo, del tutto prive del
sistema di dominio centralizzato.
Oggigiorno distinguere in modo rigido il metodo delle scienze naturali da quelle storicosociali non è solo un pregiudizio ideologico, ma persino improduttivo per lo sviluppo delle
differenti discipline, che si fecondano, come api con i fiori, vicendevolmente attraverso le
particolari ricerche e gli specifici risultati, che non sono possesso privato ed esclusivo di
una scienza particolare ma di tutta l’umanità, e dunque dell’intera scienza nella sua
variegata famiglia di indagini.
“La scienza istruisce la ragione. La ragione deve obbedire alla scienza, alla scienza più
evoluta, alla scienza che evolve"20.
La scienza degli ultimi duecento anni è stata profondamente influenzata dalla rivoluzione
darwiniana, che aveva introdotto il nuovo paradigma dello sviluppo evolutivo e stimolato
la ricerca di nuovi “puzzle solving” come la teoria dei sistemi. Migliaia di scienziati hanno
lavorato a questa opera gigantesca e universale, avendo concorso alla sua crescita tutte
le discipline, alcune con apporti più significativi, come le scienze della vita, altre con un
atteggiamento più ricettivo di acquisizione per freni dovuti ai pregiudizi filosofici dei
ricercatori, come le scienze storico-sociali. Forse la dicotomia tra le due culture sopravvive
ancora, ma più nelle opinioni soggettive degli intellettuali che nella pratica della ricerca
disciplinare.
Se qualcuno dovesse prendere le mosse dal punto in cui le prese Adamo, egli non
oltrepasserebbe il punto a cui arrivò Adamo. (K. R. Popper)
3.
L’evoluzionismo come visione del mondo.
“Il concetto di natura […] si ricollega oggi, non alle singole teorie, ma al patrimonio
scientifico-tecnico considerato nel suo complesso (cioè come insieme non solo delle teorie
pienamente elaborate, ma anche di teorie in formazione, e di tutti i fattori teorici e pratici
che concorrono allo sviluppo delle conoscenze scientifiche). Proprio basandoci su questo
legame, ne abbiamo ricavato che il concetto di natura deve oggi possedere un carattere
19
Prigogine e Stengers, La nuova alleanza, Einaudi, Torino 1981, p.164.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
23
essenzialmente dialettico, e con riferimento a tale carattere ci siamo sforzati di chiarire il
senso dell’intervento dell’uomo sulla natura (interpretato non già come intervento, sulla
natura, di un essere ad essa estraneo, ma come azione che si svolge all’interno dei
processi naturali in quanto l’uomo è uno dei fattori di tali processi). […] I successi
conseguiti nelle indagini specialistiche rientrano infatti, sia pure senza esaurirlo, in ciò che
abbiamo chiamato il ‘patrimonio scientifico-tecnico’ e lo arricchiscono in misura maggiore
o minore a seconda della loro importanza, delle loro applicazioni, dell’influenza che
esercitano in campi collaterali. Ne risulta ovviamente che contribuiscono allo sviluppo della
concezione generale della natura, dato che questa concezione è proprio connessa a tale
patrimonio. […] È un fatto incontestabile che l’uomo ha sempre cercato di costruirsi una
qualche immagine del mondo in cui si trovava a vivere. Trattasi di una esigenza che è
ancora viva oggi come lo era in passato, e della quale abbiamo il dovere di tenere
seriamente conto. […] Senza dubbio la scienza della nostra epoca, a carattere nettamente
specialistico, non può più illudersi – come si illudeva la scienza settecentesca – di essere
in grado di elaborare una concezione ‘razionale’ (assolutamente vera e definitiva)
dell’universo. Questo non significa però che essa non debba contribuire a rettificare le
vecchie concezioni di esso, ancora oggi assai diffuse, dimostrandone coraggiosamente
l’incompatibilità con il nostro patrimonio scientifico-tecnico. Il compito di elaborare una
concezione dell’universo nuova, da sostituirsi a quelle ormai incompatibili con il nostro
patrimonio scientifico-tecnico, spetterà a un altro tipo di studioso, che potremmo
qualificare come ‘scienziato-filosofo’. L’importante è, comunque, che tale nuova
concezione risulti aperta, flessibile, capace di fare ininterrottamente tesoro di tutte le
rettifiche che la scienza le suggerisce”21.
La visione del mondo dell’evoluzionismo è un’immagine della realtà basata sui
cambiamenti direzionali e, quindi, considera fondamentali i mutamenti di direzione
accaduti nel corso del tempo, la descrizione degli stadi di questo processo direzionale e
l’interpretazione di elementi particolari in funzione di un determinato stadio. Nel XIX sec. la
freccia del tempo, considerata come la direzionalità del tempo che distingue fra passato
e futuro le trasformazioni presenti nel mondo, era equivalente al progresso, che valutava
le successive epoche attraverso l’avanzamento della civiltà nel suo complesso e la
perfettibilità dell’uomo. In tal modo, la direzionalità presentava una sola modalità: ciò che è
nuovo è meglio del vecchio, che invece è peggiore (teleologismo). A parte tutti i discorsi
assiologici su che cosa è il meglio e chi lo definisce, anche usando soltanto il criterio
dell’utilità, ci accorgiamo subito che ad esempio in natura vi è anche il regresso – la
grande dimensione dei dinosauri fu un loro punto debole, come lo è anche uno sviluppo
tecnologico ecologicamente nichilista schiavo del produttivismo sviluppista degli
economisti pazzoidi. Prescindendo da qualsiasi giudizio di valore, che lasciamo volentieri
ai teologi e ai giuristi, ma anche ai moralisti, definiamo l’evoluzionismo come l’immagine
del mondo che ne sottolinea il carattere di trasformazione secondo una direzione
temporale e che spiega la natura con principi esplicativi interni ad essa, in
particolare tratti dalle scienze naturali, escludendo dunque qualsiasi intervento
20
21
Cfr. G. Bachelard, op. cit., pp.121-122.
Ludovico Geymonat, Scienza e realismo, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 110-113.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
24
sovrannaturale o magico-mitico. Lo stesso essere umano – homo sapiens sapiens – è
parte del cosmo e della sua evoluzione. Di qui il monismo e la fondamentale unità di
natura organica e inorganica, che possono distinguersi euristicamente come strati con
caratteristiche proprie dell’essere, che però è unico. Rispetto al passato l’evoluzionismo
non definisce più in modo unilaterale l’evoluzione – per esempio passaggio dal semplice al
complesso ecc. – perché le modalità delle trasformazioni della realtà, come ha notato
correttamente Bergson, sono imprevedibili: nessuno schema concettuale aprioristico deve
ingabbiare il processo di mutamento che si esplica nella natura – il cui comportamento
cambia da uno strato a un altro, deterministico nel macro come sistema lineare, caotico
nel macro e micro non lineare, indeterministico e stocastico nel micro. È la natura, dunque,
che deve indicarci i vari casi particolari e le possibili connessioni che legano i singolari
elementi in un cambiamento direzionale preciso e sperimentabile. Anche il processo
evolutivo si caratterizza come complessità, in cui piccole differenze nello stato iniziale
possono portare a traiettorie completamente differenti e imprevedibili.
La storicità della natura
La cosmologia e le scienze della Terra e della vita hanno condotto la scienza a una
visione della Natura che non è più statica, perché sia il cosmo sia il nostro pianeta e tutti
gli esseri qui presenti non hanno una forma e un’esistenza immutabili per l’eternità, bensì
un continuo processo di trasformazione caratterizza tutti gli enti naturali, viventi e non
viventi. L’evoluzione cosmica non risparmia nulla, perché il Nulla è ciò che le è estraneo e
al di fuori. All’interno vige sia il causa sui sia il pánta rêi.
La naturalità dell’uomo
Uno dei grandi contributi del pensiero darwiniano, oramai provato sperimentalmente grazie
alla paleontologia e alla genetica, è che la specie homo sapiens sapiens è l’ultimo anello
di una lunga catena vivente che ha 3,5 miliardi di anni, una delle tre specie di scimpanzé
presenti sul nostro pianeta. La nostra natura animale è stata studiata approfonditamente
dagli etologi come I. Eibl-Eibesfeldt, D. Morris, K. Lorenz e molti altri. Se l’umanità aspira
a migliorarsi non può non riconoscere i propri limiti animali, che hanno una lunga storia
filogenetica – l’aggressività, la violenza e la guerra sono un esempio di estrema
importanza per spiegare i tempi presenti, ma anche quelli passati, così come l’intelligenza
e la grande capacità di adattamento.
La storia umana come parte dell’evoluzione naturale
“La direzione di sviluppo della nostra civiltà non è affatto determinata esclusivamente dagli
ideali e dalla sensibilità dei nostri uomini migliori. Tale direzione di sviluppo sembra
dipendere assai di più da fattori antichissimi, che influenzavano già la storia filogenetica
dei nostri antenati preumani”22.
“In realtà è stato un tipico processo filogenetico a fare dell’uomo quell’essere culturale che
è attualmente. Le modificazioni subite dal cervello umano per opera della pressione
22
K. Lorenz, Il declino dell’uomo, A. Mondadori Ed., Milano 1984, p.65.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
25
selettiva dell’accumularsi del sapere tradizionale, non sono dovute a un processo
culturale, ma filogenetico”23.
La questione ambientale che minaccia l’esistenza della nostra stessa specie, dimostra una
volta di più il legame di dipendenza dell’evoluzione culturale da quella naturale.
La mente come prodotto dell’evoluzione
Seguendo Max Delbrück nella sua opera postuma Mind from Matter? An Essay on
Evolutionary Epistemology (1986), le leggi del pensiero dell’uomo sono a priori
nell’individuo, cioè dal punto di vista ontogenetico, ma a posteriori nella specie, in quanto
frutto dell’adattamento evolutivo all’ambiente, secondo un processo filogenetico. Così la
nostra mente ha sviluppato immagini e categorie per confrontarsi con successo in un
mondo reale di medie dimensioni – gli oggetti dei cacciatiri-raccoglitori non erano né astri
lontanissimi né corpuscoli infinitesimi. La mente umana ha però saputo adattarsi in
passato a ostacoli epistemologici, che lo sviluppo delle scienze e dei suoi strumenti ha
favorito. Soltanto la scienza e la sua tecnologia possono migliorare le capacità della mente
nel costruire una “visione del mondo” attendibile, che come sottolineava Dilthey, sarà
sempre perfettibile con nuove teorie e nuovi paradigmi, in quanto libere costruzioni
umane. Oggi, inoltre, quest’attività di indagine è opera della città scientifica, cioè della
comunità di scienziati che si occupano di una data problematica, e che attraverso la
pratica comune e la coscienza in generale statuisce le procedure legittime
differenziandole da quelle non scientifiche.
4.
Conoscenza scientifica e filosofia.
“La realtà storica del progresso scientifico […] si regge su due pilastri fondamentali,
costituiti dall’ampliamento del patrimonio tecnico-sperimentale e dal continuo
arricchimento del patrimonio teorico della scienza; pilastri legati l’uno all’altro da nessi
molto stretti (variamente articolati da epoca a epoca) […]. Un’autentica storicità scaturisce
tuttavia dal fatto che le teorie in cui si articola la scienza non risultano affatto chiuse, ma
sono – al contrario – ricche di comunicazioni l’una con l’altra e col linguaggio comune,
onde la medesima proposizione – trasferita da una teoria più ristretta ad una più generale
– si arricchisce di nuovi significati, diventa fonte di nuovi sviluppi, rivela con maggiore
chiarezza la ragione profonda della propria validità”24.
Come abbiamo potuto constatare nel 2° §, tale progresso non ha un andamento lineare e
graduale, ma presenta fratture profonde che cambiano i paradigmi e le visioni del mondo
corrispondenti – per esempio il discontinuismo storiografico della rivoluzione
darwiniana. Possiamo riassumere schematicamente tali trasformazioni con il seguente
diagramma:
PROBLEMA SCIENTIFICO APERTO E IRRISOLTO Ù OSTACOLO EPISTEMOLOGICO
Æ ROTTURA EPISTEMOLOGICA RIVOLUZIONARIA Æ NUOVO PARADIGMA O
PUZZLE SOLVING.
23
24
K. Lorenz, L’altra faccia dello specchio, Adelphi Ed., Milano 1974, p. 300.
L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, Feltrinelli, Milano 1960, pp.136 e 104.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
26
Questa “filosofia prodotta dalla scienza” è una “filosofia aperta”, che ha il compito di
“misurare il divenire di un pensiero” e “di mostrare l’importanza del carattere
intersoggettivo e del carattere storico e sociale” della scienza. Essendo lo spirito scientifico
l’opposto del principio di autorità, è dunque ricerca perenne e “imparare sistematicamente
dai nostri errori”25. La sua funzione fondamentale è chiedersi il senso del problema e
delle domande, che hanno di fronte un contro-concetto o ostacolo epistemologico, una
conoscenza anteriore che essendo diventata pre-scientifica o non-scientifica, impedisce
una soluzione sperimentale e teoretica più avanzata e profonda. La rottura
epistemologica rigetta il vecchio paradigma e può anche rivoluzionare la visione del
mondo mediante un nuovo “puzzle solving”, che trasforma la “prassi scientifica” e il
“linguaggio di una comunità”. In seguito “i futuri membri della comunità acquisiranno
mediante l'educazione" il cambiamento “delle relazioni di similarità” al fine di “risolvere
rompicapo”, perché “la conoscenza scientifica, come il linguaggio, è intrinsecamente la
proprietà comune di un gruppo o altrimenti non è assolutamente nulla”26.
Bibliografia essenziale
T.W. Adorno, Terminologia filosofica, Mondadori, Milano 2008.
R. Audi, The Cambridge Dictionary of Philosophy, Cambridge U. P., Cambridge UK 1999.
Autori vari, Scienza e tecnica dalle origini al Novecento, voll. I e II, Mondadori, Milano
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26
Cfr. G. Bachelard, op. cit.
Cfr. T. S. Kuhn, op. cit.
Vincenzo Magi L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo
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Indice
L’evoluzionismo: paradigma e visione del mondo del XX secolo .....................................................1
1. Definizione di visione del mondo e di paradigma. ......................................................................1
2. L’evoluzionismo come paradigma scientifico: biologia, geologia, astronomia, scienze storicosociali. ..................................................................................................................................................5
Biologia ......................................................................................................................................................... 5
Geologia ........................................................................................................................................................ 7
Astronomia ................................................................................................................................................. 11
Scienze storico-sociali. ............................................................................................................................... 14
3. L’evoluzionismo come visione del mondo:................................................................................22
La storicità della natura ............................................................................................................................ 24
La naturalità dell’uomo............................................................................................................................. 24
La storia umana come parte dell’evoluzione naturale ........................................................................... 24
La mente come prodotto dell’evoluzione ................................................................................................. 25
4. Conoscenza scientifica e filosofia. .............................................................................................25
Bibliografia essenziale ............................................................................................................................... 26
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