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NOTIZIE DI
ONA/2
ONA FRANCA
Niguarda festeggia i suoi partigiani
a cura di Sandra Saita
Riccardo Degregorio
Dario Fo, il grande giullare
nel ricordo di Renato Sarti
opo la cerimonia che si è tenuta in
D
via Conservatorio con la consegna
di una medaglia commemorativa per il
70° anniversario della Liberazione ai
partigiani ancora in vita della provincia
di Milano, la sezione Anpi Martiri
Niguardesi ha dedicato un pomeriggio
ai suoi partigiani premiati.
E così sabato 22 ottobre, al Centro Culturale della Cooperativa in via Hermada,
iscritti e simpatizzanti hanno potuto incontrare Carlo Rovelli e Dante Reggi, renitente alla leva durante la repubblica di Salò ed ex presidente
della sezione Anpi di Niguarda. Motivi di salute legati all’età non
hanno permesso a Giuseppe Colzani e a Rino Zenti di essere presenti. È stato proiettato un recentissimo documentario dedicato
proprio a Carlo Rovelli, nome di battaglia Rovo, partigiano della
Val Grande, curato da Nico Tordini e dallo storico Paolo De Toni
presenti in sala insieme ad altri amici dell’Anpi di Verbania e allo storico Luigi Borgomaneri.
Ricordiamo brevemente le figure dei tre partigiani con le loro diverse esperienze nella Resistenza.
• Giuseppe Colzani. Nato nel 1927 era quindi giovanissimo quando è entrato nelle formazione cattolica delle Brigate del Popolo che, a
Niguarda, faceva riferimento a don Giovanni Macchi e al più giovane don Aniceto Bianchi. Ha visto morire i suoi amici di gioco all’oratorio, uno fucilato al Campo Giuriati di Milano e l’altro nel campo di
concentramento di Mauthausen. Era sulle barricate durante l’insurrezione di Niguarda il 24 aprile 1945. Lo ricorda in un bel documentario, realizzato dalla Rai qualche anno fa, che si conclude con una riflessione, bellissima ma amara, sulla tragedia della guerra e sulla differenza tra chi era dalla parte giusta, della libertà, e chi dalla parte
sbagliata, della dittatura. Dopo la resa e il disarmo della guarnigione fascista, entrato nella caserma di viale Suzzani trova nascosti due
fascisti e decide di lasciarli andare. Dopo qualche anno uno di questi
lo rintraccia e lo va a trovare con la piccola figlia. “Devo ringraziarla
perché lei mi ha salvato la vita” dice l’uomo. Accarezzando la bambina, simbolo della pace e della vita che continua, Colzani
pensa: ma se avesse vinto suo padre, i miei
tre figli non sarebbero mai nati.
• Carlo Rovelli. Nato nel 1925, figlio di
un esule comunista fuggito in Francia perché perseguitato dai fascisti. Insieme ad
altri ragazzi di Niguarda comincia a distribuire volantini contro il regime fascista.
Individuato grazie ad una delle tante spie,
insieme a Ersilio Rigoldi lascia Niguarda,
raggiunge Intra e entra nelle brigate partigiane della Val Grande.
Ha patito il freddo e la fame, ha subito i rastrellamenti (quello
della Val Toce è stato uno dei più noti e brutali nella storia della
Resistenza), esperienze tragiche e durissime per un ragazzo di
appena 18 anni. Difficili da raccontare, come ha voluto confermare anche al Centro Culturale della Cooperativa. Fa parte, insieme
ad una quindicina di giovani, delle squadre d’assalto incaricate di
sabotaggi e attacchi agli avamposti tedeschi e fascisti per recuperare armi, cibo, munizioni e soldi. Con coraggio, senza pensare alla morte che è arrivata per tanti suoi compagni.
• Rino Zenti. Nato nel 1924, dopo l’8 settembre fu fatto prigioniero
dai tedeschi a Bolzano, dove si trovava con la sua guarnigione, e - dopo qualche giorno senza cibo e senza acqua - deportato, su un carro
bestiame, in Austria, a Terniz, in un campo di lavori forzati dove è impegnato in una fabbrica di produzione bellica. Come molti altri prigionieri, rifiuta l’offerta di aderire alla Repubblica di Salò. Sopravvive
in condizioni durissime, per venti mesi, fino al termine della guerra
quando, liberato il campo dall’Armata Rossa, sarebbe destinato ad
essere portato in Unione Sovietica. Per fortuna non fu così. L’Italia
riesce a farsi riconoscere come cobelligerante degli Alleati e Zenti può
rientrare a casa, come tanti, un po’ in treno e un po’ a piedi.
La sezione Anpi Martiri Niguardesi ha raccolto i documentari dedicati a Carlo Rovelli, Giuseppe Colzani e Dante Reggi. Chi è interessato può richiederli scrivendo una email a [email protected].
Amianto: “Alla Pirelli nessuna protezione”
Michele Michelino
ell’udienza del 17 ottobre la commercialista Alessandra UnN
garo nominata perito dal giudice di Milano dott. ssa
Annamaria Gatto nel processo a carico di nove ex dirigenti Pirelli,
accusati di omicidio colposo e lesioni gravissime di 28 operai morti, ha riferito i risultati della sua perizia.
Il tribunale aveva disposto la perizia accogliendo la tesi delle difese degli imputati che avevano sollevato dubbi sugli assetti societari e sulle responsabilità dei manager, per accertare chi avesse avuto davvero ruoli di responsabilità nei rami di azienda presso i quali hanno lavorato gli operai deceduti.
Il perito dopo sei mesi di lavoro è intervenuto in aula ricostruendo
tutti gli assetti societari e le singole responsabilità dei componenti
del Consiglio di Amministrazione e in conclusione della sua perizia
ha affermato: “Nelle mie ricerche non ho trovato nulla che riguardasse l'amianto. Non una scheda, non un documento. Nemmeno nel
periodo in cui ormai i rischi per la salute erano chiari”. ”Negli stabilimenti di via Ripamonti, come in Sarca e in Bovisa, la situazio-
Le centraline
come portaritratti
in tutti gli stili
Beatrice Corà
asseggiare in zona e scoprire, ogni tanP
to, nuovi personaggi esposti sulle centraline: in via Albini (angolo viale Zara),
un volto iracondo a colori vivaci con un
grande naso pulcinellesco; in via
Taramelli (angolo via Pola) una faccia inquietante da robot del futuro; in via Stresa
un viscido uomo dalla faccia da piovra; e,
infine, in viale Marche, angolo via Arbe un
bell’uomo con barba e baffi ben curati!
Tanti sguardi, molti colori e, ognuno, un
notevole messaggio...
ne era la medesima. Dai componenti auto al settore cavi, la condizione era ovunque la medesima".
“Non solo nei singoli stabilimenti, ma anche a livello di azienda "madre”, non esisteva un protocollo per la sicurezza sul lavoro. In particolare, nella società Pirelli Cavi, come nella capogruppo Pirelli, non abbiamo trovato documenti che assegnassero deleghe di alcun tipo per
quanto riguarda la tutela della salute dei lavoratori”.
E ancora: “Alla Pirelli di Milano non c'erano procedure contro i rischi
“Non ho trovato né una scheda né un documento anche quando ormai
i rischi per la salute erano chiari”.
Il processo che riguarda gli operai morti o ammalati per tumori derivanti dall’amianto che hanno lavorato negli stabilimenti milanesi
Pirelli tra il ‘70 e gli anni ‘80 si dovrebbe concludere entro dicembre.
Ricordiamo che i 9 imputati sono stati già condannati il 15 luglio 2015
a pene fino a 7 anni e 8 mesi di reclusione nel primo processo che riguardava la morte di una ventina di operai che hanno lavorato negli
stabilimenti di Viale Sarca e Via Ripamonti negli stessi anni.
are lettrici, cari lettori,
C
Dario Fo è scomparso la
mattina del 13 ottobre.
Drammaturgo, attore, poeta,
regista, pittore e scenografo,
Fo è stato insignito nel 1997
del Premio Nobel per la letteratura. Nel 2013 era scomparsa la moglie Franca Rame, sua partner per tutta la
vita: il loro è stato un amore
senza fine. Si dichiarava ateo
e non credeva in Dio. Ora mi
commuovo ascoltando il figlio
Jacopo che, in piazza del
Duomo, ricorda il padre nell’ultimo saluto.
Personalmente, io che credo e per cui la mia fede viene prima
di tutto, vorrei che tanti che dicono di essere credenti vivessero anche solo una parte della loro vita come ha vissuto Dario
Fo in difesa degli ultimi.
Ma chi meglio di Renato Sarti ci può parlare di Dario Fo?
Renato Sarti, nato a Trieste, attore, regista, drammaturgo, nel
2001 fonda nella periferia milanese, a Niguarda, il Teatro della Cooperativa. Fra tanti premi il 14 maggio 2010 riceve il premio Isimbardi dalla Provincia di Milano perché considerato un
grande esempio di artista capace di tenere insieme, con il suo
teatro, la passione civile con la vena comica e drammatica.
Mi considero amica di Renato Sarti e gli chiedo di parlarmi di
Dario Fo nei suoi ricordi.
“Un uomo di grande disponibilità all’ascolto con tutti. Non diceva mai di no. Mi ricordo che nel ‘72 avevo portato il mio teatro nell’ospedale psichiatrico di Trieste quando c’era il dr.
Basaglia e invitai Dario Fo a intervenire nel dibattito che sarebbe seguito e lui, con grande generosità, venne a Trieste. La
sua disponibilità all’ascolto c‘era anche quando dovevo presentare la storia, svoltasi all’interno di un lager femminile a
Ravensbruck, di una donna che aveva partorito un bambino
che sarebbe morto dopo pochi giorni. Non è facile parlare della morte di un bambino; lui mi ascoltò, mi dette suggerimenti,
consigli e mi disse che il dolore va detto e quei brevi giorni di
vita furono scanditi in solo dieci parole. Professionalmente è
stato l’ultimo grande interprete della cultura teatrale, un colosso, il più importante nel nostro Paese. Negli anni ‘70 portava “il teatro vita-vita teatro” come specchio della società. Si abbeverava del presente e lo presentava nella gioia e nel dolore.
Lui era un giullare e diceva che la gente non va a teatro per
piangere come facevano Arlecchino, Pulcinella nel teatro del
‘600. Tutti noi abbiamo visto i burattini che ci facevano sorridere ma, in realtà, raccontavano storie tristi. Ecco Dario Fo è
stato l’unico a dimenarsi e sorridere, raccontando le storie della realtà della nostra società. Fo diceva sempre “quando si recita non esistono virgole, punti, punti interrogativi, esclamativi, pause. Bisogna parlare sempre senza fermarsi. Solo alle ultime battute ci si ferma, si da spazio alle parole dando ritmo e
tonalità, permettendo a chi ti ascolta di non annoiarsi e, nello
stesso tempo, percepire le emozioni di ciò che è stato detto”.
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