Stagione Sinfonica 2014/2015 Compositore: AA

Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Stagione Sinfonica
2014-2015
Fondazione Teatro La Fenice
di Venezia
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
Stagione Sinfonica
2014-2015
FONDAZIONE
AMICI DELLA FENICE
STAGIONE 2013-2014
Incontro con l’opera
martedì 18 novembre 2014 ore 18.00
GIORGIO PESTELLI
Simon Boccanegra
lunedì 12 gennaio 2015 ore 18.00
GIOVANNI BIETTI
I Capuleti e i Montecchi
mercoledì 21 gennaio 2015 ore 18.00
ALBERTO MATTIOLI
Il signor Bruschino
martedì 27 gennaio 2015 ore 18.00
LUCA MOSCA
L’elisir d’amore
giovedì 5 febbraio 2015 ore 18.00
LUCA MOSCA
Don Pasquale
lunedì 16 marzo 2015 ore 17.30
PIER LUIGI PIZZI
Alceste
venerdì 15 maggio 2015 ore 18.00
MASSIMO CONTIERO
Norma
lunedì 22 giugno 2015 ore 17.30
GIANNI GARRERA
Juditha triumphans
lunedì 7 settembre 2015 ore 18.00
SANDRO CAPPELLETTO
La cambiale di matrimonio
giovedì 1 ottobre 2015 ore 17.00
DANIELE SPINI
Clavicembalo francese a due manuali copia dello
strumento di Goermans-Taskin, costruito attorno
alla metà del XVIII secolo (originale presso la Russell
Collection di Edimburgo).
Opera del M° cembalaro Luca Vismara di Seregno
(MI); ultimato nel gennaio 1998.
Le decorazioni, la laccatura a tampone e le
chinoiseries – che sono espressione di gusto
tipicamente settecentesco per l’esotismo
orientaleggiante, in auge soprattutto in ambito
francese – sono state eseguite dal laboratorio
dei fratelli Guido e Dario Tonoli di Meda (MI).
Il diario di uno scomparso
La voix humaine
venerdì 16 ottobre 2015 ore 18.00
CARLA MORENI e PAOLO BARATTA
Die Zauberflöte
Incontro con il balletto
lunedì 13 luglio 2015 ore 18.00
SILVIA POLETTI e FRANCO BOLLETTA
Terza sinfonia di Gustav Mahler
Caratteristiche tecniche:
estensione fa1 - fa5,
trasposizione tonale da 415 Hz a 440 Hz,
dimensioni 247 × 93 × 28 cm.
Dono al Teatro La Fenice
degli Amici della Fenice, gennaio 1998.
e-mail: [email protected]
www.amicifenice.it
tutti gli incontri avranno luogo presso
il Teatro La Fenice - Sale Apollinee
CONSERVATORIO
BENEDETTO MARCELLO
DI VENEZIA
Incontri con la stagione sinfonica
Conferenze introduttive alla Stagione sinfonica 2014-2015
del Teatro La Fenice
mercoledì 10 dicembre 2014
relatore Monica Bertagnin
concerto diretto da Diego Matheuz (12 e 14 dicembre)
musiche di Šostakovic
martedì 16 dicembre 2014
relatore Giovanni Toffano
concerto diretto da Marco Gemmani
(Basilica di San Marco 17 e 18 dicembre)
musiche di Gabrieli, Grandi, Grillo e Cavalli
giovedì 18 dicembre 2014
relatore Franco Rossi
concerto diretto da Gabriele Ferro (19 e 20 dicembre)
musiche di Mendelssohn e Beethoven
mercoledì 28 gennaio 2015
relatore Giovanni Battista Rigon
mercoledì 25 febbraio 2015
relatore Federica Lotti
mercoledì 4 marzo 2015
relatore Giovanni Mancuso
mercoledì 11 marzo 2015
relatore Marco Peretti
mercoledì 1 aprile 2015
relatore Franco Rossi
concerto diretto da Alexandre Bloch (31 gennaio)
musiche di Fauré, Britten, Stravinskij e Ravel
concerto diretto da Diego Matheuz (27 e 28 febbraio)
musiche di musiche di Vasks, Poulenc e Šostakovic
concerto diretto da Lorenzo Viotti
(Teatro Malibran 6 e 8 marzo)
musiche di Mozart, Barber e Stravinskij
concerto diretto da Jonathan Webb
(Teatro Malibran 13 e 14 marzo)
musiche di Gardella, Britten, Elgar e Haydn
concerto diretto da Yuri Temirkanov (2 e 4 aprile)
musiche di Haydn, Šostakovic e Brahms
mercoledì 8 aprile 2015
relatore Michael Summers
concerto diretto da Jeffrey Tate (10 e 11 aprile)
musiche di Mahler
mercoledì 15 aprile 2015
relatore Massimo Contiero
concerto diretto da John Axelrod
(Teatro Malibran 18 e 19 aprile)
musiche di Stravinskij e Skrjabin
mercoledì 29 aprile 2015
relatore Stefania Lucchetti
concerto diretto da Michel Tabachnik
(Teatro Malibran 30 aprile e 2 maggio)
musiche di Brahms, Webern e Boulez
mercoledì 10 giugno 2015
relatore Francesco Erle
concerti diretti da Mario Brunello (12 e 14 giugno)
musiche di Sciortino, Haydn e Rota
INGRESSO LIBERO
ore 17.30
Tutti gli incontri avranno luogo presso la sala n. 17 p.t.
del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
Radio3 per la Fenice
Opere della Stagione lirica 2014-2015
trasmesse dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran
sabato 22 novembre 2014 ore 18.00
diretta Euroradio
Simon Boccanegra
mercoledì 14 gennaio 2015 ore 19.00
diretta Euroradio
I Capuleti e i Montecchi
domenica 8 febbraio 2015 ore 19.00
diretta Euroradio
Pasquale
ALBODon
FONDATORI
I
venerdì 20 marzo 2015 ore 19.00
diretta Euroradio
Alceste
martedì 20 maggio 2015 ore 19.00
differita
Norma
giovedì 25 giugno 2015 ore 19.00
differita
Juditha triumphans
Concerti della Stagione sinfonica 2014-2015
trasmessi in differita dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran
Diego Matheuz (venerdì 12 dicembre 2014)
Jonathan Webb (venerdì 13 marzo 2015)
Yuri Temirkanov (giovedì 2 aprile 2015)
Jeffrey Tate (venerdì 10 aprile 2015)
John Axelrod (sabato 18 aprile 2015)
Mario Brunello (venerdì 12 giugno 2015)
Alessandro De Marchi (domenica 28 giugno 2015)
www.radio3.rai.it – per le frequenze: numero verde 800.111.555
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Vittorio Zappalorto
Vittorio
presidenteZappalorto
presidente
Giorgio Brunetti
Giorgio
Brunetti
vicepresidente
vicepresidente
Marco Cappelletto
Marco Cappelletto
Fabio Cerchiai
Fabio Cerchiai
Cristiano Chiarot
Cristiano Chiarot
Mario Rigo
Mario Rigo
Luigino Rossi
Luigino Rossi
Francesca Zaccariotto
Francesca Zaccariotto
Gianni Zonin
Gianni
Zonin
consiglieri
consiglieri
sovrintendente
sovrintendente
Cristiano Chiarot
Cristiano Chiarot
direttore artistico
direttore artistico
Fortunato Ortombina
Fortunato Ortombina
direttore principale
direttore principale
Diego Matheuz
Diego Matheuz
COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI
COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI
Anna Maria Ustino, presidente
Anna Maria Ustino, presidente
Annalisa Andreetta
Annalisa Andreetta
Giampietro Brunello
Giampietro Brunello
Andreina Zelli, supplente
Andreina Zelli, supplente
SOCIETÀ DI REVISIONE
SOCIETÀ DI REVISIONE
PricewaterhouseCoopers S.p.A.
PricewaterhouseCoopers S.p.A.
albo dei soci
soci fondatori
soci sostenitori
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
Stagione Sinfonica
2014-2015
Venezia
12 dicembre 2014 - 28 giugno 2015
SOMMARIO
6
Diego Matheuz
Teatro La Fenice 12 e 14 dicembre 2014
musiche di Dmitrij Šostakovič
14
Marco Gemmani
I Solisti della Cappella Marciana
Basilica di San Marco 17 e 18 dicembre 2014
musiche di Alessandro Grandi, Giovanni Gabrieli,
Giovanni Battista Grillo, Francesco Cavalli
26
Gabriele Ferro
Teatro La Fenice 19 e 20 dicembre 2014
musiche di Felix Mendelssohn Bartholdy, Ludwig van Beethoven
36
Alexandre Bloch
Orchestra di Padova e del Veneto
Teatro La Fenice sabato 31 gennaio 2015
musiche di Gabriel Fauré, Igor Stravinskij, Maurice Ravel
46Diego Matheuz
Teatro La Fenice 27 e 28 febbraio 2015
musiche di Pēteris Vasks, Francis Poulenc, Dmitrij Šostakovič
54
Lorenzo Viotti
Teatro Malibran 6 e 8 marzo 2015
musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Samuel Barber, Igor Stravinskij
62
Jonathan Webb
Teatro Malibran 13 e 14 marzo 2015
musiche di Federico Gardella, Benjamin Britten,
Edward Elgar, Franz Joseph Haydn
74
Yuri Temirkanov
Teatro La Fenice 2 e 4 aprile 2015
musiche di Franz Joseph Haydn, Dmitrij Šostakovič, Johannes Brahms
82Jeffrey Tate
Teatro La Fenice 10 e 11 aprile 2015
musiche di Gustav Mahler
88John Axelrod
Teatro Malibran 18 e 19 aprile 2015
musiche di Igor Stravinskij, Aleksandr Skrjabin
94Michel Tabachnik
Teatro Malibran 30 aprile e 2 maggio 2015
musiche di Johannes Brahms, Anton Webern, Pierre Boulez
102Mario Brunello
Teatro La Fenice 12 e 14 giugno 2015
musiche di Orazio Sciortino, Franz Joseph Haydn, Nino Rota
114
John Axelrod
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Teatro La Fenice 26 giugno 2015
musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Johannes Brahms
122
Alessandro De Marchi
Teatro La Fenice 28 giugno 2015
musiche di Filippo Perocco, Antonio Vivaldi
136
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Incontri di approfondimento
sui programmi musicali
Roberto Mori introduce i concerti della Stagione sinfonica
venerdì 12 dicembre 2014
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Matheuz
venerdì 10 aprile 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Tate
venerdì 19 dicembre 2014
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Ferro
sabato 18 aprile 2015
ore 19.20
Teatro Malibran
concerto Axelrod
sabato 31 gennaio 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Bloch
giovedì 30 aprile 2015
ore 19.20
Teatro Malibran
concerto Tabachnik
venerdì 27 febbraio 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
cconcerto Matheuz
venerdì 12 giugno 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Brunello
venerdì 6 marzo 2015
ore 19.20
Teatro Malibran
concerto Viotti
venerdì 26 giugno 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Axelrod
venerdì 13 marzo 2015
ore 19.20
Teatro Malibran
concerto Webb
domenica 28 giugno 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto De Marchi
giovedì 2 aprile 2015
ore 19.20
Sale Apollinee
concerto Temirkanov
FONDAZIONE
AMICI DELLA FENICE
VENEZIA
La Fondazione Teatro La Fenice e il sovrintendente Cristiano Chiarot
ringraziano la Fondazione Amici della Fenice e in particolare Marina
Gelmi di Caporiacco e Marino Golinelli per lo speciale contributo
offerto, che ha reso possibile la prosecuzione dell’iniziativa «Nuova
musica alla Fenice», giunta quest’anno alla sua quarta edizione.
Avviata nella Stagione 2011-2012 e orientata alla valorizzazione del
patrimonio della musica d’oggi e alla creazione di nuove opportunità
produttive in grado di stimolare e supportare la creatività dei giovani
compositori, l’iniziativa «Nuova musica alla Fenice» prevede la
commissione di partiture originali da eseguirsi in prima assoluta
nell’ambito della Stagione sinfonica come parte integrante del
programma di alcuni dei concerti in cartellone.
Dopo i lavori di Filippo Perocco (1972), Paolo Marzocchi (1971) e
Giovanni Mancuso (1970) presentati nella Stagione 2011-2012,
quelli di Edoardo Micheli (1984), Federico Costanza (1976) e Stefano
Alessandretti (1980) proposti nella Stagione 2012-2013 e quelli di
Luigi Sammarchi (1962), Vittorio Montalti (1984) e Mauro Lanza
(1975) ascoltati nella stagione 2013-2014, i direttori Jonathan Webb e
Mario Brunello includeranno quest’anno nei loro programmi due pezzi
commissionati appositamente, secondo precise esigenze di organico
orchestrale, a Federico Gardella (1979) e Orazio Sciortino (1984).
Teatro La Fenice
venerdì 12 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
domenica 14 dicembre 2014 ore 17.00 turno U
DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ
Ouverture festiva in la maggiore op. 96
Concerto per violino e orchestra n. 1 in la minore op. 77
Notturno: Moderato
Scherzo: Allegro
Passacaglia: Andante - Cadenza
Burlesque: Allegro con brio - Presto
Anna Tifu violino
•
Sinfonia n. 5 in re minore op. 47
Moderato
Allegretto
Largo
Allegro non troppo
direttore
Diego Matheuz
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Dmitrij Šostakovič, Ouverture festiva in la maggiore op. 96
La parabola umana e artistica di Dmitrij Šostakovič (San Pietroburgo, 1906
– Mosca, 1975) è intimamente legata alla storia della cultura sovietica.
Potremmo quasi considerarla la rappresentazione di un dramma dove le
vicende personali e quelle politiche si intrecciano fin quasi a confondersi.
Non per niente questa figura contraddittoria e complessa di sinfonista
continua a esercitare il fascino tipico di quei compositori il cui linguaggio
parla di crisi profonde delle coscienze e dei tempi.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il giovane Šostakovič è un fiore
all’occhiello delle avanguardie e della nuova Unione Sovietica; non appena
Stalin impone il realismo socialista come unica possibile estetica, l’enfant
prodige diventa tuttavia un elemento sospetto, oggetto di censure e
reprimende. La sua musica si muoverà così su due versanti simmetrici: da
un lato la produzione pubblica, ligia (apparentemente) ai diktat del regime;
dall’altro una scrittura più libera, intima e drammatica.
Nella Ouverture festiva op. 96, dal carattere eminentemente celebrativo,
il musicista sembra uniformarsi senza devianze e problematicità ai canoni
estetici imposti. Concepita nel 1947 per il trentennale della Rivoluzione
d’Ottobre, la composizione viene ultimata solo nel 1954 ed eseguita il 6
novembre dello stesso anno, al Teatro Bol’šoj di Mosca, per i festeggiamenti
del 37° anniversario.
Ispirato alla più tipica tradizione russa ottocentesca di Glinka e RimskijKorsakov, il brano inizia con la fanfara degli ottoni (Allegretto) cui segue
un Presto in cui si alternano gli interventi degli archi e dei fiati. Raggiunta
la massima tensione, i violoncelli introducono un tema di più lirico respiro,
poi ripreso ed elaborato da tutta l’orchestra. Nel finale, una banda di ottoni
(quattro corni, tre trombe e tre tromboni) rafforza l’organico strumentale
riproponendo, con crescente clangore, la fanfara iniziale. Una composizione
estroversa e dall’effetto travolgente, utilizzata, fra l’altro, durante la
cerimonia d’apertura delle Olimpiadi tenute a Mosca nel 1980.
7
diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014
Dmitrij Šostakovič, Concerto
minore op. 77
per violino e orchestra n.
1
in la
Di tutt’altro segno, rispetto all’Ouverture festiva, il clima espressivo che
contraddistingue il Concerto per violino e orchestra n. 1 op. 77.
Dedicato a David Ojstrach, viene composto tra il luglio 1947 e il marzo
1948, in un periodo particolarmente difficile della vita di Šostakovič. Già
attaccato ideologicamente nel 1936 per Una Lady Macbeth del distretto
di Mcensk, tacciata come opera anti-melodica e degenerata («caos anziché
musica», secondo un articolo della «Pravda»), nel 1948 il compositore
viene censurato e privato per qualche tempo del lavoro. Lo si accusa di
«formalismo», di scrivere cioè una musica dissonante, priva di spunti
melodici ed eccessivamente elaborata: troppo difficile per le masse popolari.
Il Concerto per violino e orchestra sarà destinato a rimanere inedito
e ineseguito fino al «disgelo» successivo alla morte di Stalin: Ojstrach
lo suonerà per la prima volta nella Sala Filarmonica di Leningrado il 29
ottobre 1955, sotto la direzione di Evgenij Mravinskij.
L’iniziale Notturno (Moderato) ha un carattere cupo e doloroso: è una
sorta di lamento continuo su un ritmo uniforme, con variazioni impercettibili.
Più che la contrapposizione di due temi, presenta un motivo base che si
trasforma dando la sensazione di una pluralità tematica. Prevalgono le
sonorità magmatiche, diafane, i pianissimi evanescenti. Il rapporto fra
solista e orchestra non si basa su un contrasto di stampo romantico, ma su
una affinità espressiva che fa quasi pensare a una sinfonia concertante.
Nello Scherzo successivo (Allegro), prevale invece il gusto per
il divertimento musicale e il solista può dunque fare sfoggio del suo
virtuosismo. Il tema consiste in una citazione quasi letterale di un tema
della Decima Sinfonia e si svolge su toni brillanti e ironici, non senza una
venatura grottesca. Malgrado lo scarso interesse dimostrato da Šostakovič
per il folclore, sembrano aleggiare gli echi di una danza paesana dal sapore
vagamente orientale.
Il terzo tempo è una Passacaglia (Andante) che riporta all’antica
forma barocca, con un tema che accompagna in forma di ostinato una
serie di variazioni. Il clima ritorna drammatico, la parte del violino solista
asseconda con dolorosa, lirica nobiltà le ripetizioni ossessive del medesimo
tema. Un’ampia Cadenza collega questo brano all’ultimo movimento senza
soluzione di continuità.
Nella Burlesca finale (Allegro con brio) il discorso musicale ritrova una
intonazione popolaresca e festosa: il violino può esibirsi in un esuberante
tecnicismo sostenuto da una orchestra ricca di trovate ritmiche e di
ornamenti che, nel febbrile Presto conclusivo, contribuiscono a dare alla
pagina un’impronta sfrenata e insieme grottesca.
8
note al programma
Dmitrij Šostakovič, Sinfonia n. 5 in re minore op. 47
La Sinfonia n. 5 in re minore op 47 non è solo la più conosciuta ed eseguita
fra le 15 composte da Šostakovič, ma è anche una delle più emblematiche,
nella storia della musica, dei conflitti esistenti fra arte e potere politico, fra
creatività e propaganda.
Dopo la stroncatura della Lady Macbeth nel 1936, il musicista si vede
costretto a ritirare poco prima dell’esecuzione pubblica la Quarta Sinfonia,
una partitura che, con il suo audace «formalismo», conferma i sospetti di
una personalità complessa e di una sensibilità problematica. Inizia così,
tra l’aprile e il luglio 1837, la stesura della Quinta Sinfonia, che avrà come
sottotitolo: «Risposta di un artista sovietico ad una giusta critica».
Di primo acchito, si potrebbe pensare a una ammenda, a un cambiamento
di rotta, dopo una fase sperimentale, per riabilitarsi agli occhi del regime con
un’opera più tradizionale e ottimistica. Šostakovič tiene anche a precisare
che al centro della composizione, «concepita liricamente dall’inizio alla
fine», intende collocare «un uomo con tutte le sue emozioni e le sue tragedie;
il Finale risolve gli impulsi del primo tempo, e la loro tragica tensione,
in ottimismo e in gioia di vivere». Quanto basta, insomma, per garantire
alla Sinfonia accoglienze entusiastiche di pubblico e critica. Eseguita per
la prima volta a Leningrado il 21 ottobre 1937, proprio nel giorno del
ventennale della Rivoluzione, diventa una sorta di emblema dell’ottimismo
e della fiducia nel progresso imposti dal regime stalinista, tanto da essere
definita dallo scrittore Aleksej Tolstoj «la Sinfonia del Socialismo».
Con Šostakovič, tuttavia, bisogna fare attenzione: l’ossequio alle norme
estetiche del regime è solo apparente e le dichiarazioni pubbliche possono
essere interpretate come abili depistaggi e confessioni ‘in codice’. Tant’è
vero che le riflessioni private, raccolte da Solomon Volkov nel volume
Testimonianza, sono ben diverse:
Ritengo sia chiaro a tutti quel che ‘accade’ nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto
di costrizione, esattamente come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti picchiasse
con un bastone e intanto ti ripetesse: «Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di
giubilare», e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremante, e riprendi a marciare bofonchiando:
«Il nostro dovere è di giubilare, il nostro dovere è di giubilare». Si può dunque definirla
un’apoteosi, quella della Quinta? Bisogna essere completamente sordi per crederlo.
Insomma, è come se il compositore si muovesse su un doppio binario
e oggettivasse i propri materiali privandoli di un segno interpretativo, per
ricoprirli ora di ironia e sarcasmo, ora di enfasi (falsamente) celebrativa, ora
di straniamento. In quest’ottica, la sua musica non è tonale, sentimentale o
vitalistica, ma s’incarica di mettere in scena la tonalità, il sentimentalismo,
la vitalità.
9
diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014
Per il pubblico e la critica dell’epoca la Quinta Sinfonia si muove sul
terreno sicuro del sinfonismo tardo romantico, non presenta particolari
elementi dissonanti. Eppure, nonostante la levigatezza dell’orchestrazione,
il rigore della forma sonata classica, la semplificazione del linguaggio
e l’ottimismo del finale, si sente che la violenza di alcune sonorità e la
pregnanza simbolica di certi temi alludono a conflitti drammatici e fanno
emergere dall’affresco sinfonico una vena tragica e desolata.
Significativo, in questo senso, il Moderato iniziale che si apre con un
tema degli archi in forma di canone e tratteggia l’esperienza dolorosa della
coscienza umana. Una diversa atmosfera contrassegna invece il secondo
tema presentato dai primi violini con una cantabilità dolcemente lirica.
Gli illusori profili classici del movimento trovano ben presto un risvolto
tragico, annunciato dal pianoforte e portato avanti in un clima di crescente
parossismo sonoro. La conclusione, avvolta da un’aura esangue e attonita,
è affidata alla melodia dell’ottavino e ai tocchi della celesta.
Il secondo movimento, Allegretto in forma di scherzo, introduce elementi
di una danza vigorosa e anche un po’ grottesca, non priva di reminiscenze
del sinfonismo russo ottocentesco, in particolare di Čajkovskij.
Il Largo successivo, dall’andamento lento e alquanto libero, è
caratterizzato soprattutto dalla cantabilità trasognata e dalle sonorità
rarefatte degli archi (gli ottoni qui tacciono). Nel corso di questo ampio
movimento, si susseguono senza contrasti quattro temi di pregnante lirismo:
due affidati ai violini, uno al flauto, un altro ancora all’oboe. Una pagina
introspettiva e di grande intensità – una delle più riuscite di Šostakovič –
nella quale si può cogliere un senso di pietà e di commossa sublimazione
del dolore.
L’Allegro non troppo conclusivo sembra imboccare la via della certezza
e della positività. Il ritmo incalzante, gli accenti trionfalistici, gli squilli degli
strumenti a fiato e gli interventi delle percussioni danno vita ad un crescendo
di grande potenza sonora, a un ottimismo epidermico e appariscente. La
risposta ai conflitti tragici dei precedenti movimenti ha un che di ansioso e
di forzato: dietro l’enfasi e la retorica, restano i dubbi e gli interrogativi, il
senso di una tragedia artificiosamente ammantata di entusiasmo.
Roberto Mori
10
biografie
Anna Tifu
Vincitrice nel 2007 del Concorso Enescu di Bucarest, Anna Tifu è
nata a Cagliari e ha iniziato gli studi musicali a sei anni sotto la guida
del padre, debuttando a dodici alla Scala con il Concerto n. 1 di Bruch.
Vincitrice dei concorsi Viotti Valsesia e Abbado di Stresa, si diploma
quindicenne al Conservatorio di Cagliari. Dagli otto ai diciott’anni è
allieva di Salvatore Accardo all’Accademia Walter Stauffer di Cremona
e all’Accademia Chigiana di Siena e dal 2005 al 2008 studia al Curtis
Institute di Philadelphia (con Aaron Rosand, Shmuel Ashkenasi e Pamela
Frank) e a Parigi. Si è esibita come solista con importanti orchestre italiane
(Rai di Torino, I Pomeriggi Musicali, Lirico di Cagliari, Arena di Verona,
Massimo di Palermo, Olimpico di Vicenza, Orchestra Haydn di Bolzano,
Orchestra Verdi di Trieste) e internazionali (Filarmonica Enescu e Radio
di Bucarest, Münchener Kammerorchester, Orchestra da Camera di Praga,
LSO di Maastricht, Orchestra da Camera della Israel Philharmonic, KZN
Philharmonic di Durban, Qatar Philharmonic, Sinfónica Simón Bolívar),
diretta da maestri quali Dudamel, Matheuz, Valčuha, Kovatchev, Poppen,
Soudant, Korsten, Ötvös, Frantz, Lü Jia. Ha collaborato con musicisti come
Maxim Vengerov, Alexander Romanovsky, Boris Andrianov, Giuseppe
Andaloro, Pekka Kuusisto, Andrea Bocelli e l’attore statunitense John
Malkovich, ed è stata invitata in importanti festival (Tuscan Sun Festival,
Enescu Festival, Mentone, Ravello, Beirut, Yerevan) e sale da concerto
(Scala, Parco della Musica, Palazzo del Quirinale, Auditorium della Rai
di Torino, Arcimboldi, Tel Aviv Museum of Art, Konzerthaus di Berlino,
Salle Cortot di Parigi, Rudolfinum di Praga, Madison Square Garden di
New York, Staples Center di Los Angeles). Suona un violino Carlo Bergonzi
Cremona 1739 detto Mischa Piastro e un Giambattista Guadagini 1783
gentilmente offerto dall’Associazione Pro Canale di Milano.
11
diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014
Diego Matheuz
Direttore principale del Teatro La Fenice dal luglio 2011 e direttore ospite
principale dell’Orchestra Mozart dal novembre 2009 e della Melbourne
Symphony Orchestra dall’agosto 2013, il trentenne violinista e direttore
Diego Matheuz è uno dei frutti migliori del Sistema Nacional de Orquestas
Juveniles e Infantiles de Venezuela fondato nel 1975 da José Antonio Abreu.
Nato nel 1984, studia violino a Barquisimeto, sua città natale, e a Caracas.
Il debutto internazionale come direttore avviene nel marzo 2008 al Festival
Casals di Puerto Rico con l’Orquesta Sinfónica de la Juventud Venezolana
Simón Bolívar. Nell’ottobre dello stesso anno debutta in Italia sul podio
dell’Orchestra Mozart di Claudio Abbado, e nel 2009 sostituisce Antonio
Pappano in una tournée dell’Orchestra di Santa Cecilia a Milano, Torino
e Lucerna. Invitato a dirigere l’Orchestra Nazionale della Rai, l’Orchestra
del Maggio Fiorentino, la Filarmonica della Scala e l’Orchestra Verdi di
Milano, nell’ottobre 2010 debutta sulla scena lirica con Rigoletto al Teatro
La Fenice, dove ha in seguito diretto La traviata, La bohème, Carmen,
The Rake’s Progress, i Concerti di Capodanno 2012 e 2014 (in diretta Rai
Uno) e numerosi concerti sinfonici tra cui un ciclo Č ajkovskij. Oltre che in
Italia, si è esibito a Londra con la Philharmonia e la Royal Philharmonic, a
Berlino in tournée con la Filarmonica della Scala e ad Amsterdam in tournée
con l’Orchestra Mozart, e ha diretto alcune delle principali orchestre
europee (hr-Sinfonieorchester di Francoforte, Philharmoniker Hamburg,
Gürzenich-Orchester Köln, BBC Philharmonic, City of Birmingham
Symphony, Česká filharmonie, Orchestre Philharmonique de Radio France,
Orchestre National de Lyon, Orchestra della Radio Olandese, Filarmonica
di Stoccolma, Wiener Kammer Orchester, Mahler Chamber Orchestra,
Orchestre de la Suisse Romande, Philharmonia Zürich, Orquesta y Coro
Nacionales de España) e internazionali (Israel Philharmonic, Los Angeles
Philharmonic, Houston Symphony, Vancouver Symphony, National Arts
Centre Orchestra di Ottawa, Saito Kinen Orchestra di Seiji Ozawa, NHK
Symphony di Tokyo). Nominato nel 2013 direttore associato della Sinfónica
Simón Bolívar, che ha portato in tournée a Torino, Napoli, Genova, Palermo
e Reggio Emilia, nell’estate 2013 ha diretto alcuni concerti della Teresa
Carreño Youth Orchestra of Venezuela al Festival di Salisburgo.
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Diego matheuz
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Basilica di San Marco
mercoledì 17 dicembre 2014 ore 20.00 solo per invito
giovedì 18 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
GIOVANNI GABRIELI
Canzon per sonar a otto, primi toni
CANTO PATRIARCHINO
«Puer natus est nobis»
(Schola patriarchina della Basilica di San Marco)
ALESSANDRO GRANDI
* «Sancta et immaculata Virginitas» *
(Jesús Rodil Rodríguez tenore, Yiannis Vassilakis baritono)
** Kyrie **
** Gloria **
CANTO PATRIARCHINO
«Viderunt omnes»
(Schola patriarchina della Basilica di San Marco)
GIOVANNI BATTISTA GRILLO
Canzone in eco a otto
ALESSANDRO GRANDI
* «O felix, o lucidissima nox» *
(Julio Fioravanti controtenore, Jesús Rodil Rodríguez tenore)
** Credo **
* «Tu pulchra es, Maria» *
(Julio Fioravanti controtenore, Riccardo Martin tenore)
** Sanctus **
*
«Transfige, dulcissime Domine» *
(Aurelio Schiavoni controtenore, Andrea Inghisciano, Núria Sanromà Gabàs cornetti)
** Benedictus **
** Agnus Dei **
* «Beata viscera Mariae virginis» *
(Aurelio Schiavoni, Julio Fioravanti controtenori, Thomas Mazzucchi,
Marcin Wyszkowski bassi)
FRANCESCO CAVALLI
Canzon a otto a due cori
* Cinque mottetti per la Messa del S. Natale, prima esecuzione in tempi moderni
** Messa concertata seconda a otto voci, prima esecuzione in tempi moderni
direttore
MARCO GEMMANI
I Solisti della Cappella Marciana
primo coro Aurelio Schiavoni, Alvise Mason, Jesús Rodil Rodríguez, Thomas Mazzucchi
secondo coro Julio Fioravanti, Riccardo Martin, Yiannis Vassilakis, Marcin Wyszkowski
ripieno secondo coro Gabriele Petruzzo, Alvise Luchetta, Marco Cisco, Marco Bellussi
Andrea Inghisciano, Núria Sanromà Gabàs cornetti
Francesco Nigris, Valerio Bassanello, Sergio Bernetti, Ivo Pezzutti, Mauro Morini,
David Joseph Yacus tromboni
Pier Paolo Ciurlia, Gianluca Geremia tiorbe
in collaborazione con la Procuratoria di San Marco
NOTE AL PROGRAMMA
Fino alla perdita della autonomia repubblicana, la chiesa di San Marco ha
rappresentato per Venezia non solo uno dei luoghi più sacri della città ma
anche l’edificio nel quale si celebravano, cristianamente, i fasti della stessa
repubblica. Il luogo delegato a rappresentare la massima autorità religiosa,
sede della cattedra patriarcale, è sempre stato invece la chiesa di San Pietro
di Castello, che non a caso fino a una manciata di anni dopo la conclusione
del millennio repubblicano è stata anche sede del potere religioso e del suo
rappresentante più alto, il patriarca. Sono due storie parallele, che si snodano
senza troppe differenze e senza troppe rivalità: tradizionalmente il patriarca
veniva scelto anche rispettando alcuni desiderata della nobiltà veneziana, tanto
che in più occasioni proprio uno dei suoi rappresentanti veniva elevato a questa
altissima carica. All’interno di questo dualismo San Marco acquista e sottolinea
alcune differenze sensibili, quasi a voler marcare la differenza e il distacco, pur
nella concordia, tra il potere ecclesiastico e il potere politico. Mancando a San
Marco il vescovo, si cercò di sostituirlo rispolverando un ruolo, quello del
primicerio, che altrove era sostanzialmente scomparso: di fatto un sostituto (di
provata fede repubblicana) che potesse celebrare comunque ai massimi livelli i
numerosi riti sempre contigui tra ambito sacro ed ambito politico.
E naturalmente, proprio per l’importanza attribuita alla chiesa
principale di Venezia, diventa indispensabile provvedere non solo ad
abbellirla oltre misura sotto l’aspetto architettonico, musivo, decorativo,
ma anche sotto quello musicale, investendo nella presenza delle cerimonie
religiose cifre veramente importanti, ed esigendo risultati sicuri. Quando nel
1532 il doge Andrea Gritti dovette scegliere il nuovo maestro di cappella,
pretese la chiamata di Adrian Willaert quasi contro e in opposizione ai
procuratori di San Marco, che avrebbero preferito un musicista locale, più
vicino alla tradizione improvvisativa anche se meno dotto sotto il profilo
contrappuntistico. E quanta ragione abbia avuto Andrea Gritti è evidente
dal massimo impegno che mostrò sempre il Fiammingo al servizio della
chiesa di San Marco anche quando le forze lo stavano abbandonando e le
rivalità tra cantore e cantore sembravano prevalere; la nascita stessa della
scuola veneziana passa attraverso questa tappa obbligata, e l’obbligo di
provvedere non solo alla esecuzione e alla composizione musicale bensì anche
alla formazione di otto giovani musicisti locali portò di fatto alla fusione
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note al programma
dell’arte polifonica con la capacità improvvisativa innata nella tradizione
italiana. La chiesa di San Marco è quindi chiesa di stato, e come tale deve
far convivere tradizioni della più alta sacralità con tradizioni rispettose
delle caratteristiche e dello stato veneziano. La scelta nella formazione del
santorale e la sottolineatura che veniva sempre imposta alle feste veneziane
era molto attenta, riuscendo per la verità a stringere in un unico connubio
l’aspetto religioso e l’aspetto politico: normale che vengano celebrati alcuni
santi locali, ad esempio il vero e proprio culto nei confronti di Pietro Orseolo,
doge e beato prima, santo poi; normale che si voglia celebrare nel fasto più
assoluto il santo patrono, prima San Teodoro e poi San Marco; normale
anche che venga sottolineata la presenza delle chiese di pertinenza ducale
con le ricorrenti visite del doge stesso. Un poco meno evidente potrebbe
essere l’attenzione posta sempre alla festività della assunzione del Signore,
fatta coincidere con lo sposalizio del mare, cerimonia nella quale la parte
politica e quella religiosa riescono a convivere con una qualche difficoltà.
La segnalazione della importanza di una festività veniva data con
l’esposizione della pala d’oro, generalmente esibita ai fedeli solo nella parte
pittorica; addirittura si divideranno nel Settecento le feste con o senza
«palla» (evidente ipercorrettismo veneto) fissando le prime in un numero di
trentacinque occasioni nelle quali era d’obbligo la partecipazione del plenum
anche dei musicisti. Tra queste festività quella di gran lunga più condivisa
era certamente la messa della vigilia di Natale, vera e propria celebrazione
religiosa strettamente unita ad una sorta di partecipazione comune totale,
indistinta. La festa è tale che chi vi partecipa spesso viene letteralmente
rapito dal gioioso nascere del Salvatore, celebrato con la musica più bella
e più originale del momento. Gli unici obblighi compositivi del maestro di
cappella a ben vedere consistono proprio nella stesura di una «muda» di
salmi per i vespri e della messa di Natale, che ogni anno deve essere nuova
ed originale. In un momento meno alto della religiosità, soprattutto nel
corso del Settecento, le prove stesse per la esecuzione musicale diventano
un momento e una occasione di esibizione, sottraendo forse qualcosa alla
celebrazione; gestite nei conventi di monache, o addirittura in alcuni ridotti
di palazzi nobiliari, la partecipazione a questo evento diventa necessaria per
dimostrare la propria importanza.
Ma la celebrazione marciana è ben altro: fin dalle origini a San Marco
è in essere un coro di chierici e di canonici, che esprime il canto piano,
quello che generalmente e con qualche approssimazione viene identificato
nel cosiddetto canto gregoriano. Accanto a questa realtà ecco invece la
presenza dei cantori marciani, che almeno dal Quattrocento si esprimono
in polifonia; sempre in questa epoca vengono inoltre fissati gli organisti
(inizialmente due) per gli organi a cornu epistulae e a cornu evangeli. E con
la seconda metà del Cinquecento l’organico viene ampliato dalla presenza
di numerosi strumentisti: prima i piffari e trombetti ducali, che inizialmente
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marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014
sono direttamente alle dipendenze del doge e poi vengono ‘girati’ alle
dipendenze della cappella, poi tanti altri strumenti, principalmente archi,
che vanno a formare il nerbo dell’orchestra tradizionale. I tentativi di
procedere a riordini di questa compagine sono innumerevoli: in occasione
dei pensionamenti ad esempio si cerca ripetutamente di portare equilibrio
nella distribuzione delle voci e degli strumenti, giungendo a delle vere e
proprie ‘riforme’ che comunque avranno a loro volta vita limitata nel
tempo. Si giunge quindi a delle esecuzioni che solo oggi sono state riprese
nella loro fedeltà all’originale che, non dimentichiamolo, è e deve coincidere
con una vera e propria celebrazione religiosa, dove i valori del concerto
e della meravigliosa musica marciana devono fondersi strettamente con
i valori della liturgia e del credo cristiano. Generalmente quindi possono
coesistere generi profondamente diversi: dal canto piano (sempre usato per
il proprium missae, quindi le parti mobili della liturgia) al canto polifonico
o addirittura concertato per l’ordinarium missae.
La messa di Natale quindi deve proporre un panorama complesso di
canti: qui il canto patriarchino, vera e propria tradizione veneziana relativa
a varianti locali del canto gregoriano, gioiosa e fiorita espansione del canto
romano, celebra due momenti fondamentali come l’invitatorio natalizio.
«Puer natus est nobis», recita la preghiera che ci ricorda come finalmente
la promessa si compia, e la gioia per la conclusione di questa lunga attesa
esplode totale. Come avviene del resto avviene nel «Viderunt omnes», a sua
volta testimonianza della certezza della manifestazione divina. La struttura
della messa viene garantita dalla presenza dell’intero ordinarium della
seconda messa di Alessandro Grandi, edita post mortem (il compositore
era scomparso da sette anni) da Alessandro Vincenti nel 1637. Siamo negli
anni della terribile peste descritta da Manzoni e dal contagio non potrà
esimersi neanche il compositore, in quegli anni alla guida della cappella
della chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo, vera e propria fucina di
eventi e di protagonisti musicali: anche la strada seguita dal compositore è
simile a quella dei maggiori compositori del tempo, che dopo la formazione
probabilmente veneziana approda a Ferrara alla Accademia della Morte,
per poi tornare in laguna e scegliere successivamente Bergamo; strada
che verrà puntualmente ripetuta, anche se in ordine inverso, da un altro
grande maestro marciano, Giovanni Legrenzi. Benché la struttura della
messa sia organizzata sul doppio coro a quattro voci miste (finalmente
riportate in questa esecuzione alle sonorità e alla peculiarità delle sole voci
maschili), sono numerosi i momenti nei quali Grandi ricorre alla tecnica del
bicinium: pur nella ricchezza delle otto voci complessive, sono dominanti
i passi nei quali due voci, generalmente appartenenti ai due cori, intonano
sfruttando tutti gli intervalli possibili, e riutilizzano la indiscutibile abilità
del compositore sia nelle versioni a voce sola sia appunto nella struttura
a due voci, che appare del tutto evidente ad esempio nel Kyrie e non solo
– in questo altrimenti frequente – nel Christe. Particolarmente evidente è
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note al programma
questa pratica, retaggio del mottetto ad una voce, nel «Qui propter nos
homines» del Credo, vero e proprio mini-mottetto a voce sola per soprano
maschile e continuo. Anche la struttura del doppio coro indaga tutte le
possibilità marciane, passando dal vero e proprio coro battente di molti
momenti principalmente del Gloria al pieno di molti momenti del Credo,
soprattutto. Ovvia ma elegante l’imitazione canonica del Benedictus con la
scontata conclusione del doppio coro pieno dell’«Hosanna».
In questo senso risulta particolarmente apprezzabile l’idea di alternare
all’ordinario della messa non tanto il rispettivo proprio, bensì una serie
di cinque mottetti prevalentemente a due voci, tratti dal Secondo libro di
mottetti a 1, 2 e 4 voci del 1637, quindi contemporaneo alla pubblicazione
delle messe, e dal Terzo libro di mottetti del 1618. Di particolare interesse
anche per l’organico usato il «Transfige dulcissime Domine» del 1621
per canto, due violini ed organo, con frequenti interventi della sola parte
strumentale. A completare il programma la Canzon per sonar primi
toni (1597) di Giovanni Gabrieli, la Canzone in eco (1618) di Giovanni
Battista Grillo e la Canzon a otto in due cori (1656) di Francesco Cavalli.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria parade di autori della scuola
marciana: da una parte il capostipite Giovanni Gabrieli, a detta di Schütz
l’unico compositore per il quale valesse la pena attraversare le Alpi, all’altro
estremo Francesco Cavalli, l’autore che con Giovanni Legrenzi conclude il
periodo barocco veneziano. Tre canzoni quindi, altro genere strumentale
ampiamente debitore alla tradizione veneziana, non solo organistica. Il
lavoro di Giovanni Gabrieli realizzato su un primo tono trasposto esalta
l’incipit dattilico proprio della canzon francese: il primo coro propone l’Altus
con minima due semiminime, ed è solo alla fine di questa enunciazione che
entrano le restanti tre voci, così come una posizione in eco (e quindi del tutto
simile) viene ripresentata nella proposta del secondo coro. Nella Canzona
di Grillo invece, pur rispettando la medesima ritmica, l’imitazione viene a
cadere a distanza di due quarti alla quinta inferiore e all’ottava inferiore
rispetto al soprano, nell’equivalente di quattro battute dopo (la concezione
delle battute è ovviamente molto più recente), mentre l’ultima delle voci del
primo coro entra a sua volta un’ottava sotto il contralto ben nove battute
più tardi. Altrettanto accade nella Canzona di Francesco Cavalli: anche
qui l’incipit è riservato al soprano e replicato a distanza di una battuta alla
quinta inferiore, però contrariamente a Grillo qui la successione delle entrate
si ripete pari pari anche se esibendo la medesima struttura imitativa. La
varietà nella omogeneità della composizione viene qui garantita dall’entrata
compatta del secondo coro, anche qui ovviamente con analoga struttura
ritmica ma con le singole voci a formare la triade di Do: siamo entrati
decisamente nella seconda metà del Seicento e in quasi tutti questi brani
traspare la lezione offerta da Claudio Monteverdi, autentico convitato di
pietra e dominus della cappella marciana.
Franco Rossi
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marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014
MESSA DI NATALE A SAN MARCO
MUSICHE DI ALESSANDRO GRANDI (1590-1630)
Puer natus est nobis
(canto patriarchino)
Puer natus est nobis
Et filius datus est nobis
Cuius imperium super humerum eius
Et vocabitur nomen eius magni consilii angelus.
Cantate Domino canticum novum quia mirabilia fecit.
Sancta et immaculata Virginitas
(dal Terzo libro de motteti a 2, 3, et 4 voci, Venezia, Giacomo Vincenti, 1618)
Sancta et immaculata Virginitas
quibus te laudibus efferam nescio
quia quem caeli capere non poterant
tuo gremio contulisti.
Kyrie
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Kyrie eleyson. Christe eleyson. Kyrie eleyson.
Gloria in excelsis Deo
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamuste. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te.
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
Domine Deus. Rex caelestis, Deus pater omnipotens.
Domine fili unigenite Jesu Christe.
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
Quoniam tu solus sanctus. Tu solus Dominus. Tu solus altissimus, Jesu Christe.
Cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris. Amen.
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testi vocali
Viderunt omnes
(canto patriarchino)
Viderunt omnes fines terrae salutare Dei nostri,
iubilate Deo omnis terra.
Notum fecit Dominus salutare suum,
ante conspectum gentium revelavit iustitiam suam.
O felix, o lucidissima nox
(dai Motetti a 1, 2 e 4 voci con sinfonie d’istromenti.
Libro secondo, Venezia, Alessandro Vincenti, 1625)
O felix, o lucidissima nox.
O iucunda, o sanctissima dies.
O nox in qua Paradisi portae aperiuntur.
O dies in qua melliflui facti sunt caeli.
Plaudat Mater Ecclesia,
iubilet universus orbis et alternantibus modulis.
A solis ortus cardine ad usque terrae limitem,
Christum canamus, principem natum Maria Virgine.
Domus pudici pectoris, templum repente sit Dei intacta,
nesciens virum Verbo concepit filium.
Beatus auctor saeculi servile corpus induit,
ut carne carnem liberans ne perderet quos condidit. Alleluia.
Credo
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem,
factorem caeli et terrae, visibilium et invisibilium.
Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Die unigenitum.
Et ex Patre natum ante omnia saecula.
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero.
Genitum non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt.
Qui propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de caelis.
Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.
Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus, et sepultus est.
Et resurrexit tertia die, secundum scripturas.
Et ascendit in caelum: sedet ad dexteram Patris.
Et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos, cujus regni non erit finis.
Et in Spiritum Sanctum Dominum, et vivificantem: qui ex Patre, Filioque procedit.
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marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014
Qui cum Patre, et Filio simul adoratur, et conglorificatur, qui locutus est per Prophetas.
Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam.
Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum.
Et expecto resurrectionem mortuorum.
Et vitam venturi saeculi Amen.
Tu pulchra es, Maria
(da Celesti fiori. Libro quinto de concerti a 1, 2, 3, 4 voci, Venezia, Bartolomeo Magni, 1619)
Tu pulchra es, Maria.
Tu peperisti Salvatorem mundi.
Pulchra es et decora, o Maria,
depraecare pro nobis salutem animarum.
O dulcissima Virgo, o Sanctissima Mater,
libera nos ab infelici peccatorum laqueo
ut mereamur ingredi Regnum Caelorum.
Sanctus
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth
Pleni sunt caeli et terra gloria tua.
Hosanna in excelsis.
Transfige, dulcissime Domine
(da Mottetti ad 1 et 2 voci con sinfonie d’istromenti, Venezia, Alessandro Vincenti, 1621)
Transfige, dulcissime Domine Iesu Christe,
transfige medulas et viscera animae meae
suavissimo ac saluberrimo amoris tui.
Vulnere ut langueat et liquefiat anima mea
solo semper amore et desiderio tui.
Da ut anima mea te esuriat panem Angelorum
refectionem animarum sanctarum
panem nostrum quotidianum super substantialem
Da ut anima mea te esuriat
te in quem desiderant Angeli prospicere
Da ut anima mea semper te esuriat, te comedat cor meum
et dulcedine saporis tui repleantur viscera animae meae. Alleluia.
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testi vocali
Benedictus
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Benedictus qui venit in nomine Domini.
Hosanna in excelsis.
Agnus Dei
(Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637)
Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis.
Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis.
Agnus Dei qui tollis peccata mundi dona nobis pacem.
Beata viscera Mariae virginis
(dal Terzo libro de motteti a 2, 3, et 4 voci, Venezia, Giacomo Vincenti, 1618)
Beata viscera Mariae virginis
quae portaverunt aeterni Patris Filium.
Et beata ubera quae lactaverunt Christum Dominum,
quia hodie pro salute mundi de Virgine nasci dignatus est.
Dies sanctificatus illuxit nobis.
Venite gentes et adorate Dominum,
quia hodie pro salute mundi de Virgine nasci dignatus est. Alleluia.
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marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014
Marco Gemmani
Inizia a quattro anni lo studio del pianoforte, a sette quello del violino e a
quindici dirige il suo primo concerto. È diplomato in musica corale e direzione
di coro, violino e composizione. È stato fondatore e membro dell’Accademia
Bizantina di Ravenna dove ha collaborato con Carlo Chiarappa e Ottavio
Dantone. Ha diretto i cori In terra viventium, Kairòs, Accademia Bizantina
e Creator Ensemble, con i quali ha svolto un’intensa attività concertistica in
tutta Europa. Dal 1991 al 1995 è stato maestro di cappella della Cattedrale
di Rimini. Nel 1998 diventa insegnante del Metodo funzionale di Gisela
Rohmert. Nel 2000 è nominato maestro di cappella della Basilica di S.
Marco a Venezia, carica che detiene tuttora. Tale incarico, alla guida di una
delle più importanti istituzioni musicali del mondo che ebbe maestri illustri
come Willaert, i Gabrieli, Monteverdi, Cavalli, Lotti, Galuppi e Perosi, lo ha
portato ad approfondire il repertorio vocale veneziano divenendone uno dei
massimi esperti. Le continue esecuzioni della Cappella Marciana, durante le
funzioni di tutto l’anno, sono un punto fermo per chi vuole ascoltare musica
di rara bellezza nella splendida cornice della Basilica di S. Marco. Nel 2010
fonda I Cantori di San Marco, con i quali ha inciso lavori di Monteverdi e
Andrea Gabrieli. È attualmente docente di direzione di coro e composizione
corale presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Autore di
numerose trascrizioni di musiche inedite, pubblicate online sul sito www.
cantoressanctimarci.it, svolge un’approfondita ricerca musicologica nel campo
della polifonia vocale antica e in particolare sulla musica a Venezia dalle
origini a oggi. Oltre alle partiture, pubblica libri di carattere musicologico
(il più recente è Il canone a due voci: alla ricerca del segreto dei fiamminghi),
compone musica vocale e cura mostre.
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biografie
I Solisti della Cappella Marciana
I Cantores Sancti Marci sono documentati fin dagli inizi del 1300, ma con
tutta probabilità una formazione musicale attiva a S. Marco risale ben più
addietro, per cui si può affermare che la Cappella della Basilica di S. Marco a
Venezia è una delle più antiche istituzioni di musica, tuttora operanti, che vi
siano al mondo. Un altro primato della Cappella riguarda la nascita di opere
musicali al suo interno. La produzione dei maestri operanti nella Basilica di
S. Marco supera di gran lunga, perlomeno in quantità, quella di altre cappelle
musicali del mondo. L’elenco dei compositori, spesso di chiara fama, che vi
operarono, è composto di circa 150 nomi e il loro numero è destinato ad
aumentare. Alcune delle intuizioni e soluzioni sonoro-musicali (la più celebre
è quella dei cori battenti o spezzati) sperimentate a S. Marco costituiscono il
patrimonio genetico di tutta la cultura musicale occidentale. La particolare
posizione geopolitica di Venezia e la continua serie di scambi con le varie culture
europee e mediterranee resero la Cappella di S. Marco un punto di riferimento
universalmente riconosciuto, contribuendo a rendere la Serenissima una delle
capitali mondiali della musica. Questa singolare formazione è una delle poche
rimaste in Italia ad eseguire regolarmente polifonia di pregio durante l’ufficio
liturgico, in continuità con la propria tradizione. Da secoli essa presenzia
regolarmente, senza soluzione di continuità, alle più importanti funzioni della
Basilica, e questo patrimonio culturale, questo modus cantandi, si perpetua
tuttora in uno ‘stile’ inconfondibile. Consci del fatto che la Cappella Marciana
è uno dei simboli viventi della tradizione musicale occidentale, i suoi maestri,
a partire dalla fine del XIX secolo, hanno iniziato un’opera di recupero
del suo patrimonio più antico, con l’intento di restituire e mantenere vivo
l’enorme bagaglio che ci consegna il passato. Chi frequenta la Basilica oggi,
può ascoltare musica scritta dagli inizi del XIV secolo fino ai giorni nostri.
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Teatro La Fenice
venerdì 19 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
sabato 20 dicembre 2014 ore 17.00 fuori abbonamento
FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY
Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42
Coro: «Wie der Hirsch schreit»
Aria: «Meine Seele dürstet nach Gott»
Recitativo e aria con coro: «Meine Tränen sind meine Speise»
Coro: «Was betrübst du dich, meine Seele»
Recitativo: «Mein Gott, betrübt ist meine Seele»
Quintetto: «Der Herr hat des Tages verheißen»
Coro finale: «Was betrübst du dich, meine Seele»
Monica Bacelli soprano
•
LUDWIG VAN BEETHOVEN
Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93
Allegro vivace e con brio
Allegretto scherzando
Tempo di menuetto
Allegro vivace
direttore
GABRIELE FERRO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
NOTE AL PROGRAMMA
Felix Mendelssohn Bartholdy, Salmo 42
orchestra op. 42
per soprano, coro e
Il contributo di Felix Mendelssohn Bartholdy (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847)
alla rinascita della musica corale tedesca nella prima metà dell’Ottocento
è documentato, oltre che dagli oratori Elijah, Paulus e Christus, da una
nutrita raccolta di salmi, mottetti e pezzi sacri. Composizioni in cui è
possibile cogliere, al di là della sensibilità romantica nelle scelte melodiche e
timbriche, una notevole padronanza della polifonia classica e un gusto della
elaborazione tematica che si rifà alle lezioni di Bach e Händel.
È nota la profonda fede religiosa di Mendelssohn. In diverse occasioni, il
compositore esprime l’esigenza di ritornare a composizioni più aderenti allo
spirito delle Sacre Scritture. Polemizza persino con le esecuzioni ascoltate
a Roma nella Cappella Sistina, dove i testi biblici, dal suo punto di vista,
vengono addirittura deformati: «sfigurati da una melodia monotona, vaga
e senza accento». La mancanza di espressione rappresenta per lui una vera
profanazione. Le voci, inoltre, devono avere pari dignità con gli strumenti
e contribuire alla definizione più adeguata e completa della religiosità
indicata dal testo in latino.
Il Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42 «Wie der Hirsch
schreit» si distingue per la purezza dell’ispirazione e dello stile. Mendelssohn
lo compone a più riprese tra l’aprile e il dicembre 1837, mettendone a punto
una prima versione durante il viaggio di nozze con Cécile Jeanrenaud, figlia
di un pastore della Chiesa riformata di Francia. Eseguita per la prima volta
durante il concerto di capodanno del 1838 al Gewandhaus di Lipsia, la
composizione riflette lo stato d’animo sereno del musicista per l’evento
gioioso del matrimonio. Non a caso, l’appunto più ricorrente mosso
a questo salmo è proprio il contrasto tra il prevalente, morbido lirismo
della musica e la drammaticità del contenuto testuale. Sarebbe riduttivo,
tuttavia, spiegare il carattere della composizione legandolo semplicemente
alle vicende biografiche. Se il grido di angoscia di un’anima alla ricerca di
Dio espresso dal testo salmodico cede a un sentimento di fiducia e totale
abbandono alla volontà divina, questo dipende anche da una consapevole
scelta programmatica del musicista.
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gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014
Diviso in sette parti, il Salmo 42 si apre con un coro che esprime un
senso di malinconica nostalgia interiore attraverso l’immagine della cerva
che ha sete d’acqua come l’anima ha sete di Dio. La successiva aria del
soprano vede la voce solista dialogare con l’oboe, come nelle arie bachiane,
e si sviluppa attraverso un recitativo che conduce, nella terza parte, a un coro
femminile che, intrecciandosi con la voce del soprano, esprime il desiderio
dell’anima di avanzare, tra canti di gioia, verso la casa del Signore. La
quarta parte, centro del salmo, è un’esortazione per l’anima triste a sperare
in Dio. Dopo il doloroso, toccante recitativo affidato al soprano e il tono
supplicante del quintetto, il coro finale amplifica il totale senso di adesione
spirituale con una vasta fuga dove Mendelssohn si rifà ancora una volta alla
lezione di Bach.
Tra le molteplici possibilità espressive, Mendelssohn sceglie quelle più
aderenti alla sua sensibilità: in linea con le istanze romantiche, interpreta il
testo del salmo soggettivamente, dandone una lettura musicale che non si
esprime necessariamente attraverso passioni agitate e disperazione. Anche
per questo Robert Schumann, nella rivista «Neue Zeitschrift für Musik»,
definisce il Salmo 42 il più riuscito tra i lavori di ispirazione religiosa
realizzati da Mendelssohn, ponendolo come ideale a cui dovrebbe aspirare
la nuova musica sacra.
Ludwig van Beethoven, Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93
È la più breve e atipica delle sinfonie di Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770
– Vienna, 1827). La meno amata dal pubblico e la più discussa dalla critica:
una specie di Cenerentola. Le dimensioni ridotte, la presenza di numerosi
stilemi preromantici, di tratti umoristici e burleschi, fanno della Sinfonia
n. 8 in fa maggiore op. 93 un’opera disorientante, antitetica rispetto
all’immagine del titano da sempre associata al genio di Bonn.
La composizione inizia nel 1811 e viene completata tra l’estate e
l’autunno del 1812, quasi in parallelo alla stesura della Settima. La
prima esecuzione pubblica ha luogo, sotto la direzione dell’autore, nella
Redoutensaal di Vienna il 27 febbraio 1814, in un concerto che comprende
anche la Sinfonia n. 7 op. 92 e La vittoria di Wellington op. 91. Stando a
un resoconto pubblicato dalla «Allgemeine musikalische Zeitung», l’opera
non viene accolta con particolare entusiasmo. L’imbarazzo del pubblico e
dei primi commentatori si spiega con l’inatteso ritorno di Beethoven ai modi
di Haydn e Mozart dopo tante esperienze innovatrici: quasi un voltafaccia
rispetto al mito sinfonico da lui stesso costruito.
Il ritorno all’antico è evidente soprattutto nel Tempo di menuetto – che
recupera la danza simbolo del Settecento galante – e nel Trio centrale con
28
note al programma
l’uso dei fiati soli in stile di serenata settecentesca; pure il Finale riallaccia
i legami con i finali giocosi di Haydn. Questi richiami formali al passato,
tuttavia, non vanno interpretati come un momento di disimpegno o un passo
indietro. Si tratta piuttosto di una affermazione di umorismo e di vitalità
capace di sorprendere e di giocare con le forme. Non a caso la sapienza
costruttiva, la leggerezza scherzosa e il misurato gusto ritmico dell’Ottava
saranno oggetto di ammirazione da parte di Stravinskij e indurranno il
musicologo Paul Bekker a individuare in questo lavoro «la liberazione da
ogni peso terrestre, l’assoluto superamento della materia, verso una forma
di pura saggezza speculativa».
La sinfonia sembra scandire le tappe di un itinerario che da un inizio
festoso e sereno arriva alla massima tensione dell’ultimo tempo, spalancando
profondità improvvise e inattese aperture di grande pathos.
Il primo movimento, Allegro vivace e con brio, ha una struttura
bitematica. Il primo motivo, energico e cantabile, si presenta senza
introduzione e, a sorpresa, si inceppa poco dopo. Dall’arresto si genera un
ostinato ritmico, quasi un ticchettio, che percorre l’intero movimento e,
con opportune variazioni, tutta la sinfonia. Viene in mente il meccanismo
di un pendolo, pulsante e nervoso, che richiama quello famoso innescato
da Haydn nella Sinfonia n. 101 in re maggiore (L’orologio). Subito dopo
appare a sorpresa il secondo tema, più dolce e meditativo. Lo sviluppo, tra
inceppamenti e riprese, procede tumultuosamente, ma più che drammaticità
genera un diffuso senso di ironia, a tratti perfino di sarcasmo, per approdare
– con effetto straniante – a una coda che si spegne in pianissimo con la
citazione dell’inciso iniziale.
Il canonico tempo lento è sostituito nell’Ottava da un breve Allegretto
scherzando, basato sul tema di un canone composto da Beethoven in
omaggio all’inventore del moderno metronomo, Johann Nepomuk Mälzel.
L’impalcatura ritmica a «tic-tac» dei legni sostiene una linea melodica degli
archi, ora incisiva ora grottesca, continuamente variata, in un ‘montaggio’
meccanico e oggettivo che tanto piacerà a Stravinskij.
Uno spirito settecentesco aleggia, a gloria dei minuetti haydniani, nel
successivo Tempo di menuetto. Non si tratta, tuttavia, della riesumazione
nostalgica di una forma superata. L’operazione è sempre ironica, ma
questa volta l’ironia ha qualcosa di greve e il risultato è parodistico. Si
pensi ai bruschi accordi sforzati che scuotono a tratti la melodia principale,
o all’irrompere, poco prima del Trio, di un motivo di fanfara rinforzato
dai colpi dei timpani: sembra quasi che la danza ancien régime debba
soccombere simbolicamente all’assalto rivoluzionario. Nel Trio la parodia
si trasforma in nostalgica poesia: sopra il borbottio asmatico dei violoncelli,
i corni e il clarinetto ridanno vita alla serena, giovanile melodia di un
minuetto composto da Beethoven nel 1792.
La meccanicità parodistica si afferma anche nell’Allegro vivace finale.
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gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014
Concitato e scattante, è una ripresa sofisticata del finale burlesco alla Haydn,
con qualche risvolto di allegria rossiniana ante litteram. Il movimento, dalla
forma labirintica, è uno strano amalgama di sonata e rondò, dove l’estro
inventivo è pari alla sapienza polifonica. L’effetto ironico, in questo caso,
nasce non solo dal disordine formale, ma anche da altri elementi, come il
goffo ticchettio ripreso dal primo tema del primo movimento, leggermente
variato, o il do diesis a piena orchestra che qua e là irrompe beffardo,
sbarrando il passo anche al tema principale.
Beethoven sembra quasi ridere di se stesso e della sinfonia tout court. E
in questo ironico distacco, che sposta l’attenzione dai contenuti dell’opera
d’arte ai suoi meccanismi, Maynard Solomon arriverà a intravedere,
oltre alla «dissoluzione dello stile eroico», anche lo spirito della festa che
«rovescia le regole della società».
Roberto Mori
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testi vocali
FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY
Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42
1. Chor
1. Coro
Wie der Hirsch schreit nach frischem
Wasser, so schreit meine Seele, Gott, zu
Dir.
Come il cervo anela all’acqua fresca,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
2. Arie
2. Aria
Meine Seele dürstet nach Gott, nach
dem lebendigen Gotte! Wann werde
ich dahin kommen, dass ich Gottes
Angesicht schaue?
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio
vivente! Quando verrò e vedrò il volto
di Dio?
3. Rezitativ und Arie mit Chor
3. Recitativo e aria con coro
Meine Tränen sind meine Speise Tag
und Nacht, weil man täglich zu mir
sagt: «Wo ist nun Dein Gott?».
Wenn ich des innewerde, so schütte ich
mein Herz aus bei mir selbst:
denn ich wollte gern hingehen mit dem
Haufen und mit ihnen wallen zum
Hause Gottes, mit Frohlocken und mit
Danken unter dem Haufen die da feiern.
Le lacrime sono mio pane giorno e
notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’è
il tuo Dio?».
Questo io ricordo, e il mio cuore si
strugge:
attraverso la folla avanzavo tra i primi
fino alla casa di Dio, in mezzo ai
canti di gioia e ringraziamento di una
moltitudine in festa.
4. Chor
4. Coro
Was betrübst du dich, meine Seele, und
bist so unruhig in mir? Harre auf Gott!
Denn ich werde ihm noch danken, dass
er mir hilft mit seinem Angesicht.
Perché ti rattristi, anima mia, e sei così
inquieta in me? Spera in Dio! Io ancora
lo loderò, perché egli con il suo volto è
la mia salvezza.
5. Rezitativ
5. Recitativo
Mein Gott, betrübt ist meine Seele in
mir, darum gedenke ich an dich! Deine
Fluten rauschen daher, dass hier eine
Tiefe, und dort eine Tiefe brausen; alle
deine Wasserwogen und Wellen gehen
über mich. Mein Gott, betrübt ist meine
Seele in mir!
Mio Dio, la mia anima è afflitta in me;
perciò io penso a te! Un abisso chiama
un altro abisso al fragore delle tue
cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati. Mio Dio, la
mia anima è afflitta in me!
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gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014
6. Quintett
6. Quintetto
Der Herr hat des Tages verheißen seine
Güte, und des Nachts singe ich zu ihm,
und bete zu dem Gotte meines Lebens.
Mein Gott, betrübt ist meine Seele in
mir. Warum hast du meiner vergessen?
Warum muss ich so traurig gehen, wenn
mein Feind mich drängt?
Di giorno il Signore mi dona la sua
grazia, di notte per lui innalzo il mio
canto, la mia preghiera al Dio della mia
vita. Mio Dio, la mia anima è afflitta in
me. Perché mi hai dimenticato? Perché
triste me ne vado, oppresso dal nemico?
7. Schlusschor
7. Coro finale
Was betrübst du dich, meine Seele, und
bist so unruhig in mir? Harre auf Gott!
Denn ich werde ihm noch danken, dass
er meines Angesichts Hilfe und mein
Gott ist. Preis sei dem Herrn, dem Gott
Israels, von nun an bis in Ewigkeit.
Perché ti rattristi, anima mia, perché sei
così inquieta in me?
Spera in Dio! Ancora potrò lodarlo, lui,
salvezza del mio volto e mio Dio. Sia
lode al Signore, Dio di Israele, ora e nei
secoli dei secoli.
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biografie
Monica Bacelli
Diplomatasi con Maria Vittoria Romano e Donato Martorella presso il
Conservatorio di Pescara, vince il Concorso Belli di Spoleto che la porta
a debuttare al Teatro Sperimentale come Cherubino nelle Nozze di Figaro
e Dorabella in Così fan tutte. Da allora ha cantato nei principali teatri
italiani e internazionali (Scala, Staatsoper di Vienna, Covent Garden, San
Francisco Opera) e presso le principali istituzioni concertistiche (Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, Philharmonie di Berlino, Concertgebouw di
Amsterdam), collaborando con direttori quali Abbado, Chailly, Chung,
Mehta, Muti, Ozawa, Pappano e Rattle. Vincitrice del premio Abbiati, il
suo ampio repertorio comprende ruoli mozartiani (Idamante, Cherubino,
Donna Elvira, Dorabella, Sesto) e rossiniani, ma si estende dall’opera
barocca (la trilogia monteverdiana, La Calisto di Cavalli, Tamerlano, Alcina
e Giulio Cesare di Händel) all’opera francese dell’Otto e Novecento (Les
contes d’Hoffmann, Werther, Don Quichotte, L’enfant et les sortilèges).
Riconosciuta interprete del teatro musicale contemporaneo, le sono state
affidate numerose prime esecuzioni, tra cui il monologo lirico Le bel
indifférent di Marco Tutino e il ruolo eponimo in Antigone di Ivan Fedele.
Luciano Berio ha scritto per lei i ruoli di Marina in Outis (Scala 1996) e
di Orvid in Cronaca del luogo, e il brano Altra voce (Festival di Salisburgo
1999). Di Berio ha inoltre interpretato i Folksongs con la Filarmonica della
Scala, con l’Ensemble Intercontemporain, con i Berliner Philharmoniker e
ai Proms di Londra. Tra i suoi impegni operistici recenti Isolier nel Comte
Ory a Ginevra, la prima assoluta del Re Orso di Marco Stroppa all’OpéraComique di Parigi, Mélisande in Pelléas et Mélisande a Bruxelles, Donna
Elvira in Don Giovanni a São Paulo, Sesto nella Clemenza di Tito a Venezia,
Dialogues des Carmélites a Santa Cecilia e Ottavia nell’Incoronazione di
Poppea all’Opéra di Parigi.
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gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014
Gabriele Ferro
Diplomatosi in pianoforte e composizione presso il Conservatorio Santa
Cecilia di Roma, nel 1970 ha vinto il concorso per giovani direttori
d’orchestra della Rai, collaborando da allora con le sue orchestre e con
quelle dell’Accademia di Santa Cecilia e della Scala per i concerti sinfonici.
Ha riscosso un ampio successo internazionale dirigendo i Wiener e i
Bamberger Symphoniker, l’Orchestre de la Suisse Romande, l’Orchestre
Philharmonique de Radio France, la BBC Symphony Orchestra, la WDR
Sinfonieorchester, la Gewandhausorchester e la Cleveland Orchestra. Ha
inoltre collaborato per molti anni con l’Orchestre National de France.
È stato direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica Siciliana (1979-1997),
dell’Orchestra della Rai di Roma (1987-1991), dello Staatstheater di
Stoccarda (1991-1997), del Teatro di San Carlo di Napoli (1999-2004,
Premio Abbiati per Elektra di Strauss) e direttore principale ospite del
Teatro Massimo di Palermo (2001-2006). Il suo repertorio spazia dalla
musica classica alla contemporanea, nell’ambito della quale ha diretto in
prima mondiale opere di Berio, Clementi, Maderna, Stockhausen, Ligeti,
Nono, Rihm, Battistelli. In ambito lirico ha affrontato un repertorio che
va dal Settecento al Novecento nei principali teatri europei (Scala, Opera
di Roma, Venezia, Firenze, Bastille e Châtelet di Parigi, Lione, Amsterdam,
Ginevra, Monaco di Baviera, Deutsche Oper di Berlino, Covent Garden,
Madrid, Tel Aviv) e statunitensi (Chicago, San Francisco, Los Angeles). È
stato ospite dei maggiori festival internazionali, tra cui Wiener Festwochen,
Festival di Schwetzingen, Schleswig-Holstein Musik Festival, Rossini Opera
Festival, Maggio Musicale Fiorentino, Coruña Mozart Festival, Ferrara
Musica e Biennale di Venezia. La sua Sonnambula allo Staatstheater di
Stoccarda si è aggiudicata il premio Beste Aufführung 2012 della rivista
«Opernwelt». Dopo Semiramide nel 2011, Les pêcheurs de perles nel 2012
e l’inaugurazione della stagione sinfonica 2013-2014, nel novembre 2014
è tornato al San Carlo di Napoli con Salome di Strauss. Recentissima è la
sua nuova nomina a direttore musicale del Teatro Massimo di Palermo.
È docente di direzione d’orchestra alla Scuola di Musica di Fiesole e
accademico di Santa Cecilia.
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gabriele ferro
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Teatro La Fenice
sabato 31 gennaio 2015 ore 20.00 fuori abbonamento
GABRIEL FAURÉ
Pelléas et Mélisande, suite op. 80
Prélude: Quasi adagio
La fileuse: Andantino quasi allegretto
Sicilienne: Allegretto molto moderato
La mort de Mélisande: Molto adagio
MAURICE RAVEL
Le tombeau de Couperin, suite d’orchestre
Prélude
Forlane
Menuet
Rigaudon
•
Igor Stravinskij
Pulcinella, suite per orchestra
Sinfonia
Serenata
Scherzino - Allegretto - Andantino
Tarantella
Toccata
Gavotta (con due variazioni)
Vivo
Minuetto - Finale
MAURICE RAVEL
Ma mère l’Oye
cinq pièces enfantines, suite pour orchestre
Pavane de la Belle au bois dormant
Petit Poucet
Laideronnette, impératrice des pagodes
Les entretiens de la Belle et de la Bête
Le jardin féerique
direttore
ALEXANDRE BLOCH
Orchestra di Padova e del Veneto
Progetto «Orchestre e teatri del Veneto alla Fenice»
NOTE AL PROGRAMMA
Gabriel Fauré, Pelléas et Mélisande, suite op. 80
L’attività di Gabriel Fauré (Pamiers, 1845 – Parigi, 1924) non risente della
crisi del linguaggio musicale europeo tra Otto e Novecento. Di qui uno stile
che si tiene lontano da influssi e condizionamenti del panorama musicale
coevo e guarda piuttosto a modelli preesistenti. Educato dalla École
Niedermeyer di Parigi alla venerazione dei classici francesi (da Josquin
Desprez a Couperin e Rameau) e dei classici stranieri (da Palestrina a Bach,
a Haydn), Fauré è grande ammiratore di Beethoven, discepolo spirituale
di Chopin nelle composizioni per pianoforte, nonché di Schumann nelle
prime pagine cameristiche. Tuttavia la sua arte, fatta di grazia e levità, tende
progressivamente a un ritorno alla tradizione nazionale francese, intesa
come modello di chiarezza, semplicità ed equilibrio.
Queste caratteristiche si ritrovano nella pacatezza classica e nella
tersa serenità delle musiche di scena composte per il dramma di Maurice
Maeterlinck Pelléas et Mélisande, rappresentato al Prince of Wales Theatre
di Londra il 21 giugno 1898, con la presenza sul podio dello stesso
compositore. Dai 19 numeri della partitura londinese, composta in tempi
stretti e con l’aiuto di un allievo, Charles Koechlin, a cui viene affidata
l’orchestrazione, Fauré ricava una suite da concerto, eseguita dall’Orchestra
Lamoureux a Parigi il 3 febbraio 1901. In questa prima versione della Suite
op. 80 figurano solo tre brani: Prélude, Fileuse, Molto adagio. Mancano
invece due pezzi delle musiche di scena, Sicilienne e Mélisande’s Song,
integrati successivamente nella partitura.
Immerso in un clima di rassegnata malinconia, il Prélude evoca con
il suo lirismo severo e contenuto la foresta incantata e misteriosa dove si
incontrano Golaud e Mélisande. La successiva Fileuse (la filatrice) è invece
un interludio posto a commento della prima scena del terzo atto: un ritratto
aggraziato e pieno di freschezza di Mélisande all’arcolaio. Quanto alla
Sicilienne, dove il dialogo fluido, quasi ipnotico, tra flauto e arpa evoca
atmosfere mediterranee indefinite e immaginarie, si tratta della trascrizione
orchestrale di un brano precedentemente composto da Fauré per violoncello
e pianoforte: la Sicilienne in sol minore op. 78.
38
note al programma
La suite si chiude con il Molto adagio: una marcia funebre che dopo
un avvio sommesso vede la scrittura via via infittirsi per poi sfumare in una
atmosfera rarefatta e impalpabile. Alla fine, il canto solitario del flauto sostenuto
dagli archi accompagna nella maniera più appropriata e toccante la morte di
Mélisande: «un piccolo essere così tranquillo, così timido e così silenzioso»,
secondo le parole del vecchio Arkël che chiudono il dramma di Maeterlinck.
Roberto Mori
Maurice Ravel, Le tombeau de Couperin
Come Debussy, che aggiunse alla sua firma la qualifica di «musicista francese»,
anche Ravel si accese di patriottismo allo scoppio della prima guerra
mondiale. Fece di tutto per arruolarsi, ma la bassa statura e l’insufficienza
toracica lo confinarono a far l’autista di ambulanze militari. Vecchie foto ce
ne rimandano l’immagine orgogliosa. I vari brani di Tombeau de Couperin
portano ciascuno la dedica a un commilitone scomparso in guerra e lo stesso
Ravel disegnò un’urna cineraria per la copertina dello spartito. È una suite
per pianoforte che prevede il recupero di forme del barocco e del rococò
come la forlana, la giga, il rigaudon, il menuet, la fuga, la toccata. Ravel vuol
«torcere il collo all’eloquenza» tardoromantica, ritrovando la semplicità
del linguaggio settecentesco, spegnendo i furori con un’umile opera di
artigianato, con un sapiente e raffinato uso del mestiere, uno stile dimesso
e spoglio. Ma a differenza di Debussy, che come i simbolisti ama la nuance,
più spesso Ravel persegue linee nette, chiarezza melodica e contrappuntistica
e prende a modello in quest’opera le grandi creazioni clavicembalistiche del
xviii secolo, proprio mentre Wanda Landowska andava riproponendo l’uso
del clavicembalo. Non è ancora neoclassicismo: «i vecchi schemi non hanno
il peso di rigidi modelli richiamati a vivere una vita fittizia, ma sono la labile
e duttile traccia lungo la quale si muove il compositore» (Mantelli).
Il tombeau era un genere letterario alla memoria di un Grande. Ravel
lo riprende in onore del più illustre clavicembalista francese del xviii secolo,
Couperin. «A dire il vero l’omaggio non è tanto al solo Couperin, quanto
all’intera musica francese del xviii secolo» scrive l’autore. La pianista
Marguerite Long, vedova del musicologo Joseph de Marliave, dedicatario
della Toccata, fu la prima ad interpretare l’opera, l’11 aprile 1919, alla Salle
Gaveau. Prélude, Forlane, Menuet e Rigaudon vennero poi strumentati
da Ravel per l’Orchestra Pasdeloup, adottando un piccolo organico con
l’arpa, ma senza percussioni. In seguito i Balletti svedesi di Jean Börlin ne
ricavarono una coreografia. Il 15 giugno 1921 lo stesso Ravel diresse la
centesima replica.
Massimo Contiero
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alexandre bloch - 31 gennaio 2015
Igor Stravinskij, Pulcinella, suite per orchestra
Tra il 1919 e il 1920, su commissione di Sergej Djagilev, Igor Stravinskij
(Lomonosov, 1882 – New York 1971) compone Pulcinella, balletto in un
atto con tre voci soliste e piccola orchestra su temi di Giovanni Battista
Pergolesi. Il lavoro, a fronte delle incomprensioni della critica, ottiene grande
successo di pubblico fin dalla prima all’Opéra di Parigi il 15 maggio 1920,
sotto la direzione di Ernest Ansermet (nella parte principale danza Léonide
Massine). Due anni dopo, il compositore appronta una suite da concerto –
con le voci sostituite da strumenti – che sarà diretta il 22 dicembre 1922 da
Pierre Monteux sul podio della Boston Symphony Orchestra.
Pulcinella rappresenta per Stravinskij la scoperta del passato: «l’epifania
attraverso la quale l’insieme della mia opera successiva diventerà possibile».
Gli spunti della musica di Pergolesi, elaborati con distacco ironico e
sensibilità armonica moderna, gli consentono di stabilire un rapporto tra
avanguardia e tradizione, tra ricalco stilistico e libera invenzione.
Se la melodia dell’originale napoletano viene rispettata nella sua solare
linearità, la deformazione e il ‘rimontaggio’ degli altri parametri attraverso
armonie dissonanti e ritmi spezzati creano un effetto di straniamento. Ne
esce un geniale gioco di metamorfosi in cui i procedimenti compositivi
settecenteschi non vengono sottoposti a restauro, ma risuonano con i tratti
evidenti della modernità.
La suite si articola in otto parti, ognuna delle quali circoscrive un
mondo sonoro ed espressivo a sé stante, unendo un lucido virtuosismo al
gusto dello spiazzamento e della sorpresa.
La prima parte, Sinfonia, è una tradizionale sinfonia all’italiana,
composta col materiale del primo movimento della Prima Sonata a tre di
Pergolesi. La seconda parte è invece una Serenata dal ritmo cullante, dove
all’oboe (che sostituisce il tenore) è affidata la melodia dell’aria di Polidoro
tratta dal Flaminio (1735). La terza ha forma tripartita: comprende uno
Scherzino, un Allegretto (con violino obbligato) e un cantabile Andantino,
plasmati rispettivamente sul primo e sul terzo tempo della Seconda Sonata
a tre e sul primo movimento dell’Ottava Sonata a tre. Segue una Tarantella,
basata sul terzo tempo della Settima Sonata a tre. La quinta parte si intitola
Toccata ed è ricavata dalla Settima Sonata per clavicembalo (Allegro
in forma di rondò), mentre la successiva Gavotta con due variazioni
corrisponde a una Gavotta inserita da Pergolesi nella sua Seconda Sonata
per clavicembalo. La settima parte è un divertente Duetto, rielaborato dalla
Sonata per violoncello e basso continuo: inizia con un Minuetto che si
atteggia burlescamente a marcia funebre e utilizza il materiale della canzone
40
note al programma
di Don Pietro dal primo atto dell’opera buffa Lo frate ’nnamorato del 1732.
Infine, un brillante Allegro assai (ricalcato sul terzo tempo della Dodicesima
Sonata a tre) conclude l’opera in un clima di sfrenata allegria.
Maurice Ravel, Ma mère l’Oye, suite per orchestra
Per quanto attento alle novità provenienti sia dal mondo musicale che dalla
letteratura e dalle arti visive, Maurice Ravel (Ciboure, 1875 – Parigi 1937)
fonda la sua poetica nel confronto con il passato, come fonte d’ispirazione
e metro di valore. Le sue composizioni ora guardano al mondo antico (la
Grecia di sogno immaginata come in una pittura del Settecento nel balletto
Daphnis et Chloé), ora resuscitano grandi maestri in sontuosi abiti da
cerimonia, con arcani riti di magia (la Sonatina, Le tombeau de Couperin).
Il rapporto con il passato riguarda anche il modo incantato e privo di
implicazioni psicanalitiche con cui si addentra nella purezza dell’infanzia
e della fiaba: un interesse culminato nel 1825 con l’opera L’enfant et les
sortilèges.
Già nel 1908 Ravel aveva dato un contributo alla letteratura pianistica
per l’infanzia con Ma mère l’Oye: una raccolta di cinque bevi brani per
pianoforte a quattro mani, ispirati a celebri fiabe di autori del Sei-Settecento
e dedicati ai piccoli Mimie e Jean, figli di una coppia di amici, Ida e Cipa
Godebski. Dall’album pianistico ricaverà una versione orchestrale in cinque
quadri e, successivamente, un balletto.
La suite per orchestra, eseguita con successo nel 1910, si caratterizza per
la costruzione lineare, la strumentazione trasparente, la semplicità dei profili
tematici. Una sobrietà che deriva naturalmente anche dal fatto di essere
l’elaborazione di pagine originariamente destinate a esecutori dilettanti. E
tuttavia, come nella versione pianistica Ravel riesce a ottenere il massimo
effetto con minime risorse, anche nella trascrizione orchestrale la semplicità
di mezzi e d’espressione non preclude risultati di grande suggestione.
Il primo quadro, Pavane de la Belle au bois dormant, è un breve lento:
il suo tema dolce e malinconico descrive l’atmosfera sospesa e misteriosa
del bosco che avvolge il sonno della principessa. Ancora a Perrault si ispira
Petit Poucet, dove un continuo gioco di scale allude al girovagare di Pollicino
alla ricerca delle molliche di pane. Un acceso tocco di Oriente caratterizza
invece il più complesso Laideronnette, impératrice des pagodes, una marcia
euforica in parte basata sulla scala pentatonica, dove gli interventi di
xilofono, celesta, ottavino e arpa sembrano evocare a tratti le sonorità delle
orchestre gamelan. Un nostalgico valzer apre Les entretiens de la Belle et
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alexandre bloch - 31 gennaio 2015
de la Bête, evidente omaggio alle Gymnopédies di Satie: il dialogo tra la
candida melodia della bella e il borbottio cromatico della bestia si conclude
con la diafana trasparenza della magia che spezza l’incantesimo e trasforma
la bestia in principe. Il clima di metamorfosi e incantesimi prosegue nel
quadro conclusivo, Le jardin féerique, che descrive un giardino fatato pieno
di ineffabili bellezze: una melodia inizialmente lieve viene trasportata da
sonorità sempre più accese verso l’apoteosi di una brillante fanfara.
Roberto Mori
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biografie
Orchestra di Padova e del Veneto
Costituitasi nell’ottobre 1966, sulla base dell’organico del sinfonismo
classico, nei suoi quasi cinquant’anni di attività si è affermata come una
delle principali orchestre da camera italiane nelle più prestigiose sedi
concertistiche in Italia e all’estero. Peter Maag ne è stato il direttore
principale dal 1983 al 2001. Alla direzione artistica si sono succeduti
Claudio Scimone, Bruno Giuranna, Guido Turchi, Mario Brunello (direttore
musicale, 2002-2003), Filippo Juvarra (Premio Abbiati 2002) e, dall’agosto
2014, Clive Britton. L’Orchestra ha collaborato con direttori e concertisti
quali Accardo, Anderszewski, Argerich, Ashkenazy, Barbirolli, Bashmet,
Buchbinder, Campanella, Carmignola, Chailly, Desderi, Gavazzeni, Goebel,
Gutman, Hamar, Herreweghe, Hewitt, Hogwood, Kavakos, Koopman,
Lonquich, Lupu, Maisky, Mullova, Mutter, Perahia, Perlman, Quarta,
Rampal, Richter, Rostropovich, Shelley, Starker, Stoltzman, Szeryng, Ughi,
Vegh, Zimerman. L’Orchestra è l’unica Istituzione Concertistico-Orchestrale
(I.C.O.) operante nel Veneto e realizza circa 120 concerti l’anno con una
propria stagione a Padova e concerti in regione, in Italia e all’estero. Tra gli
impegni più recenti si ricordano i concerti al Festival di Brescia e Bergamo
(direttore Tan Dun), al Festival «In terra di Siena» (direttore Ashkenazy),
al Festival MITO (pianista e direttore Olli Mustonen), alla Biennale Danza
e alla Biennale Musica di Venezia, al Festival Rostropovich di Orenburg
(violoncellista e direttore David Geringas). Nelle ultime stagioni si è distinta
anche nel repertorio operistico, in allestimenti di Don Giovanni, Le nozze di
Figaro e Così fan tutte di Mozart, L’elisir d’amore, Don Pasquale e Lucrezia
Borgia di Donizetti, Rigoletto di Verdi, La voix humaine di Poulenc e Il
telefono di Menotti. L’Orchestra di Padova e del Veneto è sostenuta da
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione del Veneto, Provincia
di Padova e Comune di Padova. Dall’ottobre 2011 ha acquisito la natura
giuridica di «Fondazione». www.opvorchestra.it.
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alexandre bloch - 31 gennaio 2015
Alexandre Bloch
Vincitore della Donatella Flick LSO Conducting Competition 2012, che gli
è valsa la nomina a direttore assistente della London Symphony Orchestra,
Alexandre Bloch ha studiato violoncello a Orléans e composizione al
Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris,
concentrandosi quindi sulla direzione d’orchestra nella classe di Zsolt Nagy.
Borsista della SYLFF Tokyo Foundation e della Fondation Tarazzi, nel 2012
è stato premiato con la borsa di studio «Sir John Zochonis Junior Fellowship
in Conducting» al Royal Northern College of Music di Manchester, dove
ha studiato e diretto l’opera Mosca, Čerëmuški di Šostakovič, e nel 2012
e 2013 è stato conducting fellow al Tanglewood Music Center Festival.
Premiato come «Talent 2012» dalla ADAMI (Società francese dei diritti
degli interpreti musicali) e apprezzato da direttori quali Jansons, Dutoit,
Boulez, Haitink, Elder, Salonen, nell’ottobre 2012 ha sostituito all’ultimo
minuto Mariss Jansons in un concerto con l’Orchestra del Concertgebouw
dirigendo Tod und Verklärung di Strauss e una prima assoluta di Jörg
Widmann. Ha debuttato con importanti orchestre europee (Royal Liverpool
Philharmonic, BBC National Orchestra of Wales, Royal Northern Sinfonia,
Manchester Camerata, Ulster Orchestra, Orchestra da Camera e Orchestra
Reale Danese, Orchestre National de Lyon, Orchestre National du
Capitole de Toulouse, Orchestre de Chambre de Paris, Orchestre National
de Lille, Musikkollegium Winterthur, NWD Philharmonie, Düsseldorfer
Symphoniker, Filharmonia Poznanska) e internazionali (Australian Youth
Orchestra). Lavora anche in studio con la BBC Philharmonic. È fondatore
(2011) e direttore musicale dell’Orchestra Antipodes, che raccoglie giovani
strumentisti di talento e mira a rinnovare il dialogo tra musicisti e pubblico.
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alexandre bloch
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Teatro La Fenice
venerdì 27 febbraio 2015 ore 20.00 turno S
sabato 28 febbraio 2015 ore 17.00 turno U*
PĒTERIS VASKS
Cantabile per archi
FRANCIS POULENC
Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP 61
Allegro ma non troppo
Larghetto
Allegro molto
Anna Barutti pianoforte
Massimo Somenzi pianoforte
•
DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ
Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70
Allegro
Moderato
Presto
Largo
Allegretto
direttore
DIEGO MATHEUZ
Orchestra del Teatro La Fenice
* in abbonamento XXIX Stagione di musica sinfonica e da camera di Mestre
in collaborazione con gli Amici della Musica di Mestre
NOTE AL PROGRAMMA
Pēteris Vasks, Cantabile per archi
Nato nel 1946 ad Aizpute, in Lettonia, Pēteris Vasks rappresenta, insieme
ad autori come gli estoni Arvo Pärt e Veljo Tormis o il lituano Algirdas
Martinaitis, una delle figure più autorevoli nel variegato e stimolante
panorama che caratterizza la rinascita culturale degli Stati baltici dopo
la fine del dominio sovietico. La consapevolezza dell’identità nazionale,
linguistica e culturale – mai del tutto sopita, anche negli anni più difficili –
si rivela per questi artisti la forza principale che consente il superamento di
grandi difficoltà e l’uscita dall’isolamento.
Spirito inquieto e indipendente, Vasks riesce a comunicare con la sua
musica proprio questo senso di diffusa aspirazione alla libertà ritrovata. Al
contempo esprime con intensità il bisogno di nuovi punti di riferimento,
di riscoprire il rapporto non solo con la natura, ma con le radici stesse del
proprio essere, senza nostalgie di un passato che non può più ritornare. Da
questo punto di vista la fede rappresenta per il musicista lettone il baricentro
esistenziale attorno al quale ruota un percorso creativo dove le più profonde
convinzioni in campo estetico e religioso arrivano a coincidere. Figlio di un
pastore battista, sull’onda della ritrovata libertà di culto e di espressione
artistica, Vasks compone diverse pagine di musica sacra, fra cui Pater noster
(1991), Dona nobis pacem (1996), Missa (2000-2005).
Influenzato inizialmente dalla forza drammatica e dalle tecniche
aleatorie dell’avanguardia musicale polacca, Vasks recupera via via
un’impronta armonico-melodica ricca di comunicativa spesso attingendo
alla tradizione musicale lettone. Il veicolo espressivo più congeniale lo trova
negli strumenti ad arco: lo dimostrano composizioni come Musica Dolorosa
(1983), la sinfonia Stimmen (1990-91), Musica Adventus (1996), nonché il
Cantabile per archi (1979) in programma questa sera, dove un andamento
quasi mahleriano si arricchisce di un ampio ventaglio di microsfumature
creando paesaggi sonori sospesi, diafani nella loro lontananza. È una musica
che, con il suo melos struggente e le sue armonie dense e meditative, sembra
alludere alla fragilità della bellezza. Un universo sonoro delicato e rarefatto
che a tratti si intensifica per poi sfaldarsi nuovamente e trascolorare fino
alle soglie del silenzio.
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diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015
Francis Poulenc, Concerto
minore FP 61
per due pianoforti e orchestra in re
A partire dagli anni venti, Francis Poulenc (Parigi, 1899 – 1963) frequenta
la residenza della principessa Edmond de Polignac, amica e mecenate, che
gli commissionerà un Concerto per due pianoforti e orchestra. Portato
a termine in breve tempo, il lavoro viene eseguito il 5 settembre 1932 al
Festival di Musica Contemporanea di Venezia con l’Orchestra della Scala
diretta da Désiré Defauw: solisti lo stesso Poulenc e l’amico Jacques Février.
Il Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP 61 è di
fatto una sorta di pastiche neoclassico realizzato con materiali musicali
eterogenei e intessuto di citazioni che vanno da Scarlatti e Mozart a Ravel e
Stravinskij. Secondo Giacomo Manzoni gravita nell’orbita di un «melodismo
decadente, dove non è difficile riconoscere l’influsso di Puccini». Il risultato
è un’opera dalla scrittura strumentale brillante, ironica, avvolta da un esprit
tipicamente parigino. In apparenza priva di coerenza costruttiva, si articola
in tre movimenti secondo la forma settecentesca del concerto grosso.
La partitura si apre con un Allegro ma non troppo pieno di dinamismo,
dove il discorso musicale procede attraverso una serie di contrasti velocelento che consentono, sul piano espressivo, di alternare lirismo malinconico
e ironia, esuberanza e leggerezza. Al termine del primo tema, dopo una
breve modulazione dei violoncelli e un tocco di nacchere, i due pianoforti
evocano anche le sonorità di un’orchestra gamelan giavanese, reminiscenza
di un ascolto di Poulenc in occasione dell’Exposition coloniale internationale
del 1931. Non convenzionale la conclusione del movimento, immerso in
un’atmosfera rarefatta dove risuonano solo gli arpeggi dei pianoforti.
L’inizio del successivo Larghetto, dal tono sommesso e malinconico,
è per ammissione dello stesso compositore «un gioco poetico davanti al
ritratto di Mozart». Un chiaro omaggio ai movimenti centrali dei concerti
per pianoforte del salisburghese, in particolare del Concerto in re minore
KV 466. Animato da un episodio centrale più energico, questo tempo si
sviluppa attraverso un singolare quanto suggestivo amalgama di stili e
autori diversi, da cui emergono tra gli altri Offenbach e Satie.
Chiude il concerto il brillante Allegro molto, dove i virtuosismi dei
due pianoforti sono sollecitati da un ritmo incalzante. Anche qui l’ironia la
fa da padrona. Melodie orchestrate si alternano a effetti rumoristici, temi
brevissimi a mutevolezze timbriche continue, citazioni ad autocitazioni
(Le lion amoureux da Les animaux modèles). Alla fine, il richiamo
all’effetto gamelan evocato nel primo movimento chiude circolarmente la
composizione.
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note al programma
Dmitrij Šostakovic, Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70
Il rapporto tra il regime staliniano e Dmitrij Šostakovic (San Pietroburgo,
1906 – Mosca, 1975) è contrassegnato da ambiguità e oscillazioni. Da un
lato, il compositore diventa un artista ufficiale, adottato come bandiera
culturale del Paese. Dall’altro, viene bollato come nemico del popolo e la
sua opera attaccata come «flusso intenzionalmente discordante e confuso
di suoni».
Costretto a fare i conti con i dettami del realismo socialista e non
credendo affatto nella funzione sociale dell’arte, Šostakovic fatica non
poco a restare fedele alla propria ispirazione. Combattuto fra aspirazioni
e compromessi, si trova a ingaggiare una lotta incessante e disperata per la
sopravvivenza, sia fisica che creativa.
Prendiamo il caso della Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70,
composta al termine della seconda guerra mondiale come terza parte della
cosiddetta «trilogia bellica». Se la Settima e l’Ottava raccontano le sofferenze
e lo sforzo eroico del popolo sovietico contro il nazismo, la Nona dovrebbe
essere, sulla carta, una grande sinfonia patriottica, un inno trionfale in cui
si manifesta la gioia per la vittoria. Il risultato è invece antitetico a quanto ci
si aspetterebbe: l’occasione celebrativa viene oscurata da una componente
ludico-satirica e da una ironia che susciteranno l’avversione della critica
ufficiale sovietica.
Scritta in poco più di un mese, la Sinfonia n. 9 viene eseguita per la
prima volta il 3 novembre 1945 presso la Sala grande della Filarmonica di
Leningrado sotto la direzione di Evgenij Mravinskij.
Šostakovic rivendica «un clima luminoso e solare», ma il senso di gioia
espresso è troppo spensierato e pieno di humour. Non ci sono cori, fanfare,
marce, magniloquenze. La struttura classica, la semplicità e la concisione
dell’opera vengono considerate un affronto alla memoria dei caduti in
guerra. Il «cinismo» e la «fredda ironia» dimostrati dal musicista sono il
risultato, secondo Israel Nestyev, dell’influenza di Stravinskij.
Effettivamente, ascoltando le scorribande liberatorie e gioiose del
flauto piccolo nell’Allegro – il primo dei cinque movimenti in cui si divide
la sinfonia – è difficile pensare a una composizione celebrativa. Il tono è
vivace e festoso, inclina ora all’umorismo ora alla vera e propria buffoneria;
nei successivi temi danzanti, le citazioni e gli ammiccamenti agli stili di altri
autori sono utilizzati in senso parodistico.
L’inizio del secondo movimento, Moderato (al posto del classico
Scherzo), è affidato a due clarinetti che cantano una melodia mesta per
poi lasciare respiro agli accordi dell’orchestra che, con possenti legati,
tratteggiano una atmosfera di intimo e desolato lirismo dove non si fatica
a cogliere un tocco mahleriano. La presenza di battute binarie e ternarie
alternate rende inoltre instabile la cantabilità tradizionale della melodia.
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diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015
L’incalzante Presto si ricollega all’intonazione gioiosa dell’Allegro.
Nello scatenamento ritmico le percussioni giocano un ruolo fondamentale
accanto alla presenza – come nel terzo tempo dell’Ottava – della tromba
solista. Al tono scherzoso e all’humour del brano contribuisce anche una
melodia spagnoleggiante.
L’atmosfera energica si placa nel breve Largo con funzione di
intermezzo, dove il recitativo dei sinistri tromboni e dei fagotti è percorso
da un filo d’inquietudine, per poi riaccendersi nel conclusivo Allegretto. Si
ritorna così a un tono vivace e brioso che assume qua e là atteggiamenti
burleschi, quasi in odore di Rossini. Il tema è un autoimprestito e proviene
da una polka composta da Šostakovic per il film La giovinezza di Maksim
(Il bolscevico) del 1934. La gioia per la vittoria risulta ancora una volta
stemperata, ironicamente e cinicamente trattenuta. Si capisce perché la
Nona Sinfonia non tarderà molto a finire sul libro nero della censura.
Roberto Mori
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BIOGRAFIE
Anna Barutti
Prima classificata al Premio Città di Treviso, ha tenuto concerti in
importanti sedi in Italia (Piccola Scala, Teatro La Fenice, Biennale Musica,
Società del Quartetto di Bergamo, Maggio Musicale ed Estate Fiesolana
di Firenze, Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, Bologna
Festival, Festival Internazionale di Musica da Camera di Portogruaro) e
all’estero (Schlösskonzert a Vienna, Festival Internazionale di Lubiana,
Radio España di Madrid, Auditorium di Lérida, Accademia Chopin di
Varsavia, Sala del Conservatorio Cajkovskij di Mosca, International
Music Festival di Houston, Teatro Sejong e Teatro Sun Cion di Seoul,
Seoul Philharmonic Orchestra). Si è formata con Eugenio Bagnoli, Sergio
Lorenzi e Giuseppe Sinopoli al Conservatorio Benedetto Marcello di
Venezia. Premiata all’Accademia Chigiana di Siena con diploma d’onore,
ha studiato al Conservatorio Cajkovskij di Mosca con Liubov Timofeieva
e si è perfezionata nel repertorio beethoveniano con Wilhelm Kempff.
Ha eseguito i Concerti di Beethoven sotto la guida di Roberto Abbado e
Vladimir Delman. Apprezzata interprete camerista, ha collaborato con
prestigiosi musicisti in importanti festival in Italia e all’estero. È titolare
della cattedra di pianoforte principale al Conservatorio Benedetto Marcello
di Venezia. Ha tenuto masterclass in Italia, Germania e Corea del Sud,
dove è frequentemente invitata per concerti e corsi presso la Seoul National
University e la Sungshin University; ha fatto parte della giuria di concorsi
nazionali ed internazionali. Di recente ha fondato il Quintetto Barutti
(quartetto d’archi con pianoforte) con il quale è stata invitata a esibirsi in
prestigiose sedi concertistiche.
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diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015
Massimo Somenzi
Veneziano, ha studiato pianoforte con Maria Italia Biagi, illustre allieva
di Rio Nardi e Alfredo Casella, diplomandosi al Conservatorio Benedetto
Marcello di Venezia. Ha studiato musica da camera con Sergio Lorenzi,
Franco Rossi e Antonio Janigro. Si è perfezionato al Mozarteum di
Salisburgo e all’Association Musicale de Paris dove ha ottenuto un Premier
Prix di musica da camera. Ha vinto numerosi premi in concorsi nazionali
e internazionali. Nel corso della sua intensa attività concertistica in
formazioni da camera, come solista e con orchestra, ha suonato nelle sale più
prestigiose d’Italia (Scala e Sala Verdi di Milano, Pergola di Firenze, Teatro
Grande di Brescia, Accademia Chigiana di Siena, Fenice di Venezia, Sala
Verdi di Torino, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Olimpico di Roma),
Francia (Auditorium du Louvre a Parigi), Austria (Musikverein di Vienna),
Giappone (Bunka Kaikan di Tokyo), Spagna, Portogallo, Germania, ex
Iugoslavia, Bulgaria, Turchia, Albania, Stati Uniti, Canada, Cina, ex Unione
Sovietica. Il suo repertorio comprende più di 400 composizioni eseguite in
pubblico, tra cui l’integrale delle sonate, fantasie e rondò per pianoforte di
Mozart e, con Gustavo Romero, l’integrale delle composizioni mozartiane
per duo pianistico. Fin dal 1980 svolge intensa attività concertistica con il
violoncellista Mario Brunello. Gli Amici della Musica di Mestre gli hanno
dedicato tra il 2012 e il 2013 un «primo piano» in omaggio alla carriera.
È docente di pianoforte al Conservatorio di Venezia, ed è stato per un
decennio direttore del Conservatorio di Castelfranco Veneto. Giurato in
importanti concorsi nazionali e internazionali, tiene regolarmente corsi di
perfezionamento in Italia e all’estero.
Per la biografia di Diego Matheuz si veda sopra, p. 12.
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DIEGO MATHEUZ
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Teatro Malibran
venerdì 6 marzo 2015 ore 20.00 turno S
domenica 8 marzo 2015 ore 17.00 turno U
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Die Entführung aus dem Serail KV 384: Ouverture
Presto - Andante - Primo tempo
Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 Haffner
Allegro con spirito
Andante
Menuetto
Presto
•
SAMUEL BARBER
Adagio per archi op. 11a
IGOR STRAVINSKIJ
Sinfonia in do
Moderato alla breve
Larghetto concertante
Allegretto
Largo - Tempo giusto, alla breve
direttore
LORENZO VIOTTI
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Wolfgang Amadeus Mozart, Die Entführung aus dem Serail KV 384:
Ouverture
Nella produzione giovanile di Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791),
l’ouverture non fa parte integrante dell’opera. Solo con Die Entführung aus
dem Serail (Il ratto dal serraglio) comincia a essere costruita con il materiale
tematico dell’opera stessa. Rappresentato al Burgtheater di Vienna nel 1782,
questo lavoro segna del resto la scoperta da parte del genio salisburghese
delle possibilità del teatro, dei suoi meccanismi, delle sue pratiche e
strategie. Proprio da qui inizia un decennio che vedrà Mozart sconvolgere e
riplasmare il teatro musicale del suo tempo, nel duplice versante dell’opera
tedesca e della commedia realistica a sfondo psicologico, innestata sulla
gloriosa tradizione italiana.
Con il Ratto Mozart affranca il Singspiel dalla dimensione di genere
dilettantesco. Lo innalza a opera d’arte drammatica complessa, cercando
di superare le convenzioni teatrali del tempo. Combina il gusto tipicamente
viennese con gli stilemi dell’opera italiana, dell’opéra comique e con la
franchezza della melodia popolare tedesca. La partitura, pertanto, accoglie
elementi diversi dell’esperienza teatrale mozartiana. A questi si aggiungono il
colore esotico della vicenda sviluppata dal libretto di Johann Gottlieb Stephanie
e le «turcherie» della stessa musica, presenti fin dall’Ouverture tripartita.
Nell’iniziale, esuberante Presto in do maggiore, le atmosfere orientali
sono evocate dall’impiego di strumenti all’epoca considerati tipici della
musica «alla turca»: ottavino, triangolo, piatti, timpani e grancassa. Il
successivo Andante in do minore anticipa nei suoi momenti salienti l’aria di
Belmonte che apre l’opera, contrapponendo al ritmo energico e allo spirito
giocoso dell’inizio un sentimento tenero e accorato che rappresenta l’altro
impulso motore dell’intreccio. Conclude l’Ouverture la ripresa abbreviata
del Presto, che invece di affermare la tonalità fondamentale di do maggiore
si conclude su una cadenza sospesa alla dominante direttamente collegata
all’apertura del primo atto. La versione «chiusa» per l’esecuzione in
concerto, con riesposizione completa e cadenza conclusiva sul primo grado
di do maggiore, è stata scritta da Johann Anton André, compositore ed
editore della musica di Mozart.
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lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015
Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia
Haffner
in re maggiore
KV 385
La Sinfonia in re maggiore KV 385 Haffner nasce come arrangiamento
di una serenata commissionata per festeggiare il conferimento di un titolo
nobiliare a Sigmund Haffner, borgomastro di Salisburgo. È il luglio 1782
e Mozart, a Vienna, è alle prese con le prove del Ratto dal serraglio e con
i preparativi per il suo matrimonio con Constanze Weber, che gli procura
duri contrasti con il padre Leopold. Nonostante sia sotto pressione, tiene
fede all’impegno e con la consueta rapidità compone la serenata in sei
movimenti, per poi trasformarla di lì a qualche mese in una sinfonia. Gli
basterà eliminare la marcia iniziale e uno dei due minuetti per far emergere
una struttura sinfonica latente, ma già compiuta sia nello scheletro
formale che nel carattere stilistico. Con poche altre modifiche e un piccolo
ampliamento dell’organico (flauti e clarinetti nel primo e nell’ultimo
movimento), la sinfonia viene eseguita per la prima volta al Burgtheater di
Vienna il 23 marzo 1783.
Come Il ratto dal serraglio, anche la Haffner accompagna il passaggio
di Mozart dalla nativa Salisburgo a Vienna, quindi da una condizione di
subalternità (anche psicologica) al vescovo Colloredo a quella di libero
professionista, cui non vengono imposti limiti al di fuori del suo genio. Ed
è proprio questa sinfonia, caratterizzata da grande vitalità e anche da un
certo nervosismo, a riflettere emblematicamente il passaggio da un genere
sinfonico ancora legato al tono leggero e di circostanza della serenata a un
organismo più complesso in cui si incrociano tensioni stilistiche e ideali.
L’Allegro con spirito apre il lavoro con un imperioso e trascinante salto
d’ottava degli strumenti all’unisono: un’idea su cui viene costruito con
ritmo energico l’intero movimento. Si tratta di una pagina dall’impianto
possente e percorsa da un moto febbrile, molto lontana dall’atmosfera della
serenata. Pur utilizzando un solo tema principale, Mozart evita ogni rischio
di monotonia, imprimendo al brano un ampio respiro che sembra preludere
alle sinfonie della maturità.
Il secondo tempo, Andante, è avvolto da un clima terso, più intimo
e delicato, e presenta una ispirazione melodica di sapore quasi galante.
Momenti di malinconica meditazione lirica si alternano ad altri più spigliati
e divertenti. È il caso del secondo tema affidato a secondi violini e viole
che dipanano quartine di arpeggi e scalette sulla pulsazione di un’unica
nota ribattuta dei violini primi: viene in mente il meccanico ticchettio che
ritroveremo nella Sinfonia n. 101 in re maggiore (L’orologio) di Haydn, o
nel breve Allegro scherzando dell’Ottava di Beethoven.
Il successivo Menuetto – dove emerge chiaramente il modello di Haydn
– si apre in maniera roboante e pomposa con una figurazione ascendente in
forte; a questa si contrappone una figurazione scalare discendente in piano
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NOTE AL PROGRAMMA
che sembra quasi farsi beffe dell’energica apertura. In contrapposizione con
le sezioni esterne, il Trio si caratterizza invece per lo strumentale alleggerito
e la cantabilità tutta mozartiana.
L’ultimo movimento, Presto, ha un’impronta brillante e giocosa.
Contraddistinto da continui contrasti tra forte e piano, presenta
un’irresistibile vivacità ritmica e coloristica a tratti intercalata da pause e
momenti cantabili. Il tema di apertura è una citazione dell’aria di Osmin dal
terzo atto del Ratto dal serraglio («O wie will ich triumphieren»), e in effetti
questo brano sembra tradurre in cifra sonora certi momenti frenetici del
Ratto, ma anche delle Nozze di Figaro. Un brano da eseguire, per desiderio
espresso di Mozart, «il più veloce possibile». Quasi una voglia di fuga, o
forse soltanto di abbandono al flusso degli eventi.
Samuel Barber, Adagio per archi
Nel corso del tempo è diventato un’icona musicale della tristezza e della
malinconia, tanto da essere utilizzato negli Stati Uniti come «national
funeral music». Da quando poi Oliver Stone lo ha inserito in Platoon,
nella sequenza in cui il sergente Elias (Willem Dafoe) cade sotto i colpi dei
vietcong, l’Adagio per archi di Samuel Barber (West Chester, 1910 – New
York, 1981) si è trasformato anche in simbolo della sofferenza e della vita
spezzata dalla guerra.
Vero è che nel comporre quello che sarebbe divenuto un classico della
musica americana neoromantica, il ventiseienne Barber non si propone
di scrivere una pagina a programma. Piuttosto, ha in mente una musica
pura, svincolata dal culto dell’avanguardia, frutto della sensibilità e
dell’ispirazione, attenta alla comunicazione immediata: «Scrivo quello che
sento. Non sono un compositore a disagio, in lotta con me stesso. Dicono
non abbia uno stile mio, ma non importa. Vado a fare, come si suol dire, la
mia partita».
L’Adagio nasce nel 1936 come movimento lento del Quartetto per
archi n. 1 in si minore op. 11, quindi viene trascritto per orchestra d’archi
e trasformato in una composizione autonoma, eseguita per la prima
volta da Arturo Toscanini a New York, il 5 novembre 1938, sul podio
della NBC Symphony Orchestra. Dopo un trentennio, nel 1968, Barber
metterà a punto un ulteriore adattamento per coro misto a otto voci, senza
accompagnamento strumentale, sul testo dell’Agnus Dei, trasformando
quindi il brano in una invocazione di perdono al Signore.
Strutturalmente l’Adagio è una lunga fascia timbrica in crescendo
dinamico graduato: si basa su una breve cellula melodica che si sviluppa per
gradi congiunti ascendenti. Gli archi scivolano in modo continuo tra i loro
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lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015
accordi lamentosi fino a raggiungere un picco spasmodico, una fibrillazione
al limite del collasso che sembra quasi perforarne il tenue tessuto. Placata
la tensione, il discorso musicale si scioglie in una dimensione più tranquilla
e semimelodica, dove però l’elegia viene in parte ridimensionata a favore di
un clima più doloroso. Come se tutto, dopo la calma ritrovata, non potesse
essere più come prima.
Igor Stravinskij, Sinfonia in do
A partire da Pulcinella (1920), inizia una lunga serie di lavori nei quali Igor
Stravinskij (Lomonosov, 1882 – New York 1971) sembra voler ricostruire
immagini di diversi periodi della civiltà musicale dell’Occidente, attraverso
riferimenti, ora evidenti ora celati, alle opere di maestri del passato.
Le operazioni neoclassiche del compositore sono analoghe a quelle
portate avanti da Picasso nelle arti visive: un modo di guardare e portare
in scena la storia con spirito moderno, intelligente, qualche volta spassoso,
qualche altra volta struggente. Questo metodo in Stravinskij assume aspetti
diversi: spazia da Bach (Ottetto e Concertino) a Händel (Oedipus Rex),
da Rossini (Jeu de cartes) al pianismo brillante alla Weber e Mendelssohn
(Capriccio) e a Cajkovskij (Le baiser de la fée). Opere che interpretano e
non imitano i vari modelli, dove le citazioni vengono poste in un contesto
che le deforma e le stravolge, divenendo vere e proprie invenzioni.
Composta a ridosso della seconda guerra mondiale, in parte in Francia e
in parte negli Stati Uniti, su commissione della Chicago Symphony Orchestra,
la Sinfonia in do è una delle partiture più significative della produzione
neoclassica di Stravinskij. Scritta nello spirito di Haydn e Beethoven, si rifà
alla struttura tradizionale della sinfonia classica in quattro movimenti, della
quale ha anche la durata e l’organico, ma che rivisita liberamente, senza
progetti di restaurazione fine a se stessi, con un linguaggio moderno.
Nel primo movimento, Moderato alla breve, l’orchestra crea subito
una cornice ritmica pulsante nella quale si inserisce, dopo poche battute,
un tema leggero e sereno affidato all’oboe: si capisce fin dall’inizio che gli
spunti melodici e i materiali ritmici sono accattivanti. Nonostante si sia
voluto individuare nella Sinfonia in do una certa staticità di idee musicali,
è indubbio che il fraseggio irregolare e certi bruschi cambiamenti di umore
di questo movimento (che ritroviamo anche nel terzo e in quello finale)
stravolgano creativamente lo schema sonatistico, evitando ogni rischio di
accademismo e di routine.
Il seguente Larghetto concertante, definito dallo stesso compositore
«simple, clear and tranquil», è caratterizzato da sonorità alleggerite, quasi
cameristiche: alcuni strumenti assumono un ruolo solistico, creando a tratti
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note al programma
atmosfere pastorali, alle quali si contrappone una sezione centrale senz’altro
più movimentata.
Il terzo tempo è un Allegretto, vivacemente scandito e dai tipici ritmi
irregolari, che si conclude con un fugato. Le complessità di ordine metrico
di cui è disseminato questo brano sono da considerare uno dei cimenti più
impegnativi dell’intera attività compositiva di Stravinskij.
L’ultimo movimento si apre con un Adagio dove il canto sommesso di
fagotti, corni e tromboni evoca le atmosfere peculiari del sinfonismo russo.
Poche battute che lasciano quindi il posto al tema vigoroso e squadrato
del Tempo giusto alla breve, al quale segue, dopo una breve transizione,
la ripresa del materiale tematico, opportunamente variato, del primo
movimento. Notevole la conclusione in dissolvenza, dove risuonano grandi
accordi immobili di quasi tutti i fiati e, alla fine, tre battute in cui gli accordi
passano agli archi in sordina.
La Sinfonia in do viene eseguita per la prima volta a Chicago il 7
novembre 1940.
Roberto Mori
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lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015
Lorenzo Viotti
Vincitore nel dicembre 2013, a 23 anni, del Concorso di Cadaqués in
Spagna, Lorenzo Viotti nasce a Losanna da una famiglia di musicisti italofrancesi; fino a 19 anni studia pianoforte, canto e percussioni a Lione, e
nel 2009 si trasferisce a Vienna per specializzarsi come percussionista e
seguire in Conservatorio i corsi di direzione d’orchestra di Georg Mark.
Durante il periodo viennese acquisisce anche un’ampia esperienza suonando
come percussionista nelle maggiori orchestre locali, compresi i Wiener
Philharmoniker. Direttore ospite principale della Akademische Symphonie
Orchester Wien, che dirige per la prima volta in concerto nel 2013 nella
Sala d’Oro del Musikverein, continua gli studi di direzione d’orchestra con
Nicolás Pasquet, debuttando tra l’altro con la Filarmonica di Jena. Sempre
nel 2013 debutta con l’Orchestre Philharmonique de Nice, e in estate
debutta in ambito operistico con Le nozze di Figaro allo Schlosstheater
Schönbrunn. Vincitore nel 2013 del Concorso della MDR di Lipsia, nel
marzo 2014 ha diretto la MDR Symphonieorchester nella Decima Sinfonia
di Šostakovič. Come vincitore del Concorso di Cadaqués, nel maggio 2014
ha partecipato al Festival Musical Olympus di San Pietroburgo, e nei mesi
successivi ha debuttato con la Tokyo Symphony Orchestra, la Nederlands
Symfonieorkest, l’Orchestre National de Lille, l’Orquestra Simfònica de les
Illes Balears, l’Orchestre National de France e la BBC Philharmonic. Prosegue
gli studi di direzione d’orchestra con Nicolas Pasquet alla Musikhochschule
Franz Liszt di Weimar.
60
LORENZO VIOTTI
61
Teatro Malibran
venerdì 13 marzo 2015 ore 20.00 turno S
sabato 14 marzo 2015 ore 17.00 turno U
FEDERICO GARDELLA
(vincitore del Premio Una vita nella musica Nuove generazioni 2014)
Metrica dell’istante
per orchestra
nuova commissione nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Fenice»
con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice
e lo speciale contributo di Marino Golinelli
prima esecuzione assoluta
BENJAMIN BRITTEN
Quatre chansons françaises
per soprano e orchestra
su testi di Victor Hugo e Paul Verlaine
Nuits de juin
Sagesse
L’enfance
Chanson d’automne
EDWARD ELGAR
Serenata per archi in mi minore op. 20
Allegro piacevole
Larghetto
Allegretto
•
FRANZ JOSEPH HAYDN
Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford
Adagio - Allegro spiritoso
Adagio
Menuet: Allegretto
Finale: Presto
direttore
JONATHAN WEBB
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Federico Gardella, Metrica dell’istante (2014) per orchestra
Come misurare un istante? Come coglierne la struttura interna? Nel suo dirsi
nel tempo la musica non si esaurisce in una cronologia di gesti, al contrario
ogni elemento, se osservato alla giusta distanza, rivela una sua verità; questa
«verità dell’istante» si articola in una visione sincronica del tempo, in cui
la forma non si manifesta più come narrazione, ma come percezione di uno
spazio sonoro. Ho iniziato a comporre Metrica dell’istante, per orchestra,
pensando ad una serie di variazioni, ma presto mi sono accorto che l’idea
di istante a cui pensavo non era suscettibile di variazioni (né di sviluppi);
ho immaginato, allora, di osservare questo istante da diverse prospettive,
in modo da definirne i contorni attraverso differenti angolazioni. Le
«variazioni» si sono trasformate, allora, in punti di vista su quell’istante,
progressive messe a fuoco dell’idea iniziale: nel momento in cui la forma
diventa misura dell’istante la musica si declina in un’anamorfosi del tempo.
Federico Gardella
Benjamin Britten, Quatre
chansons
françaises
per
soprano
e
orchestra
Talento precocissimo quello di Benjamin Britten (Lowestoft, 1913 –
Aldeburgh, 1976). Inizia a comporre a cinque anni senza una guida tecnica,
prende quindi lezioni private di viola e pianoforte; a quattordici vanta già
un cospicuo catalogo di sonate e suite pianistiche, cui si aggiungono un
oratorio, alcuni quartetti e vari songs. Non ancora quindicenne, tra il 17
giugno e il 31 agosto 1928, scrive le Quatre chansons françaises per voce
acuta (soprano o tenore) e orchestra su testi di Victor Hugo e Paul Verlaine,
considerate una sorta di spartiacque nella sua produzione.
Il risultato è infatti sorprendente e il salto di qualità viene collegato
soprattutto all’influenza esercitata da Frank Bridge, che dal 1927 insegna
composizione e direzione d’orchestra al giovane Britten, divenendo una
64
NOTE AL PROGRAMMA
figura fondamentale per la sua formazione artistica e umana. In questi brani
non mancano, com’è ovvio, le suggestioni di autori francesi, a cominciare
da Debussy: lo dimostrano certi passaggi sensuali dei violini in sordina che
accompagnano la voce solista in Nuits de juin, la prima chanson su versi di
Hugo, oppure il trattamento degli archi e dei fiati in alcuni momenti della
quarta, Chanson d’automne, su testo di Verlaine.
Ci sono tuttavia elementi peculiari e novità che non si spiegano con
l’ascendenza dell’insegnante o la lezione di altri compositori. È curioso,
per esempio, che l’inizio di Nuits de juin richiami, per analogia di clima e
tonalità, l’apertura di un futuro capolavoro: Billy Budd. Già significativa,
poi, risulta la capacità di indagare il rapporto tra parola e musica che
sarà al centro della produzione a venire di Britten. L’atmosfera evocata
dall’orchestra e dal canto è sempre pienamente rispondente al significato e
al contenuto emotivo dei versi. Una particolare sensibilità emerge quando i
testi toccano il tema dell’infanzia. È il caso della terza chanson, L’enfance,
su testo di Hugo, dove l’immagine di un bambino di cinque anni che canta
si contrappone alle sofferenze della madre sul letto di morte: «Il dolore
è un frutto. Dio non lo fa crescere / sul ramo ancora troppo debole per
sorreggerlo». La voce è accompagnata da una melodia innocente del flauto
più volte troncata da armonie scure e minacciose. È il primo esempio di una
tecnica che Britten userà frequentemente nelle sue composizioni, accostando
il canto dell’innocenza alla paura e al terrore.
Edward Elgar, Serenata per archi in mi minore op. 20
Sir Edward Elgar (Broadheat, 1857 – Worcester, 1934) è il caposcuola
della rinascita musicale inglese tra Otto e Novecento. Ancorato al tardo
romanticismo e al sinfonismo mitteleuropeo, di cui accoglie l’architettura
formale e la minuta elaborazione tematica, in alcuni capitoli della sua
produzione, in particolare nelle ouverture, si abbandona anche alla
contemplazione della natura, alla fede nell’ispirazione artistica («La musica
è scritta sulle nuvole del cielo», recita un suo motto). L’elegia compositiva,
il genuino afflato melodico e la spiccata tendenza naturalistica permettono
di inquadrarlo non solo come un epigono del tardo romanticismo
postwagneriano, ma anche come un autentico figlio della sua epoca e della
sua terra, l’equivalente musicale di scrittori quali Dickens, Kipling o di pittori
come Whistler. Di qui la propensione, in alcune pagine, a una sorta di poema
sinfonico in miniatura, in cui risulta estremamente accurata l’attenzione ai
singoli dettagli, alle sottili ed eleganti implicazioni coloristiche e timbriche.
Le melodie liriche e meditative della Serenata per archi in mi minore
op. 20 sembrano snodarsi spontaneamente come le dolci ondulazioni delle
Costwold Hills a sud di Worcester, la cittadina cui Elgar rimarrà legato per
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jonathan webb - 13, 14 marzo 2015
tutta la vita. Composta nel 1892, in un periodo in cui la carriera sembrava
destinata a non decollare, è la rielaborazione dei Tre Pezzi per orchestra
d’archi scritti qualche anno prima e andati perduti. La prima esecuzione
avviene lo stesso anno in forma privata con la Worcester Ladies’ Orchestral
Class sotto la direzione del compositore. La prima presentazione pubblica
avrà invece luogo ad Anversa, in Belgio, nel 1896.
Articolata in tre brevi movimenti, questa composizione giovanile
sembra unire la chiarezza ritmica dell’antica tradizione italiana al calore
espressivo della Serenata di Cajkovskij, alternando momenti sereni ad altri
più introspettivi e malinconici. Dopo il luminoso e, a tratti, agrodolce Allegro
piacevole, il Larghetto centrale denota un’eleganza di scrittura e una vena
malinconica che già si avvicinano a certe caratteristiche della produzione
più matura. Anche l’Allegretto conclusivo, con il suo contrappunto discreto
e riservato, sembra ripensare al passato con una punta di malinconia. La
Serenata emana così il fascino di quelle opere che sentono di essere arrivate
al confine di un’epoca, quasi a esprimere la nostalgia di chi stringe in mano
per l’ultima volta un bene che sembra irrimediabilmente perduto.
Franz Joseph Haydn, Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford
L’attitudine di Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) a piegare
il genere sinfonico a un senso di immediatezza e al gusto per gli effetti, si
rivela già a partire dalle sei sinfonie «parigine» (nn. 82-87) composte tra il
1785 e il 1786. A queste vanno unite le cinque immediatamente seguenti
(nn. 88-92), scritte a Eisenstadt tra il 1787 e il 1789 e sempre destinate,
dopo una serie di intricati passaggi di mano, a esecuzioni parigine. In
questi lavori, la propensione al gioco e la voglia di esprimersi in forma
di comunicazione diretta sono già simili alle trovate e alle ‘sorprese’ di
varie altre sinfonie ‘nominate’ che saranno composte da Haydn dopo il
trasferimento a Londra, l’altra grande capitale del commercio sinfonico
europeo.
La Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford è l’ultima delle
composizioni composte per Parigi. Dedicata al Conte d’Ogny, uno degli
aristocratici sostenitori del Concert de la Loge Olympique, che aveva già
commissionato a Haydn le Sinfonie nn. 82-87, viene composta a Eisenstadt
nel 1789, pubblicata da Le Duc a Parigi nel 1790 e, successivamente,
intitolata Oxford perché eseguita nella cittadina universitaria inglese in
occasione del conferimento al musicista della laurea honoris causa nel
marzo 1791.
Il successo è travolgente. Il desiderio di un immediato contatto con il
pubblico, al di là delle barriere accademiche, spinge Haydn a escogitare
figurazioni ritmiche e melodiche che invitano al sorriso con la stessa
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NOTE AL PROGRAMMA
eloquenza di una battuta o di un gesto comico. Un’altra caratteristica di
questa e altre sinfonie «parigine», che poi troverà espressione compiuta
nelle opere successive al viaggio oltremanica, è l’umanizzazione della
musica attraverso la semplificazione delle melodie, tratte abbondantemente
dal folclore, ma talvolta ridotte a frasi di elementare cantabilità.
L’equilibrio formale dei quattro movimenti contribuisce a rendere la
Oxford una composizione cristallina e razionale. L’Adagio che apre la
sinfonia dipinge un’atmosfera inizialmente serena, ma nel giro di poche
battute si carica di accenti dolorosi: è una breve introduzione che serve
a preparare il tema principale dell’Allegro spiritoso. Lo sviluppo presenta
una serie di entrate imitative dei vari strumenti e una fusione espressiva di
spunti, ora esitanti ora gioiosi, che arriva a toccare momenti di notevole
intensità drammatica.
Dopo tanta concitazione subentrano la serenità e la pace del secondo
movimento, un Adagio in re maggiore dominato da uno splendido tema
cantabile variato più volte. La marziale sezione centrale in re minore
introduce un po’ di agitazione e inquietudine, ma il ritorno del tema
iniziale riporta a una atmosfera tersa e tranquilla, che ritroviamo anche nel
successivo Minuetto, contraddistinto da pause inattese e squilibri ritmici. Il
Trio è giocosamente impostato su un dialogo tra gli interventi dei corni e
quelli degli archi che dà vita a una specie di danza goffa e sorridente.
L’ultimo movimento è un impetuoso Presto: aperto da un tema scattante
affidato ai violini su un pedale dei violoncelli, presenta un brillante intreccio
di temi, ritmi e cromatismi che, non senza le trovate a effetto care ad Haydn,
conclude ottimisticamente la sinfonia.
Roberto Mori
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jonathan webb - 13, 14 marzo 2015
FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY
Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42
Nuits de juin
Notti di giugno
(testo di Victor Hugo,
dalla raccolta Les rayons et les ombres)
L’été, lorsque le jour [a fui, de fleurs couverte
la plaine verse au loin [un parfum enivrant ;
les yeux fermés, l’oreille
[aux rumeurs entr’ouverte,
on ne dort qu’à demi [d’un sommeil transparent.
D’estate, quando il giorno
[è fuggito, la pianura
ricoperta di fiori diffonde da lontano
[un profumo inebriante;
gli occhi chiusi, l’orecchio
[semi aperto ai rumori,
non si dorme che a metà
[di un sonno trasparente.
Les astres sont plus purs, [l’ombre paraît meilleure ;
un vague demi-jour [teint le dôme éternel ;
et l’aube, douce et pâle,
[en attendant son heure,
semble toute la nuit [errer au bas du ciel.
Gli astri sono più puri, [l’ombra sembra migliore;
un vago mezzogiorno
[tinge la cupola eterna;
e l’alba, dolce e pallida,
[attendendo la sua ora,
sembra errare tutta la notte
[in basso al cielo.
Sagesse
Saggezza
(testo di Paul Verlaine,
dalla raccolta Sagesse. III)
Le ciel est, par-dessus le toit,
si bleu, si calme !
Un arbre, par-dessus le toit,
berce sa palme.
Il cielo è, sopra il tetto,
così blu, così calmo!
Un albero, sul tetto,
culla la sua chioma.
La cloche, dans le ciel qu’on voit,
doucement tinte.
Un oiseau sur l’arbre qu’on voit
chante sa plainte.
La campana, nel cielo che si vede,
rintocca dolcemente.
Un uccello sull’albero che si vede
canta il suo lamento.
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testi vocali
Mon Dieu, mon Dieu, la vie est là,
simple et tranquille.
Cette paisible rumeur-là
vient de la ville.
Mio Dio, mio Dio, la vita è questa,
semplice e tranquilla.
Questo placido rumore
viene dalla città.
– Qu’as-tu fait, ô toi que voilà
pleurant sans cesse,
dis, qu’as-tu fait, toi que voilà,
de ta jeunesse ?
– Che hai fatto, tu che qui
piangi senza cessare,
di’, che hai fatto, tu che sei qui,
della tua giovinezza?
L’enfance
L’infanzia
(testo di Victor Hugo,
dalla raccolta Les contemplations)
L’enfant chantait; la mère [au lit exténuée,
agonisait, beau front [dans l’ombre se penchant ;
la mort au-dessus d’elle [errait dans la nuée ;
et j’écoutais ce râle,
[et j’entendais ce chant.
Il bambino cantava; la madre [a letto, estenuata,
agonizzava, piegando
[la bella fronte nell’ombra;
la morte errava sopra di lei [nella nube;
e io sentivo questo rantolo, [e ascoltavo quel canto
L’enfant avait cinq ans, [et, près de la fenêtre,
ses rires et ses jeux [faisaient un charmant bruit ;
et la mère, à côté
[de ce pauvre doux être
qui chantait tout le jour,
[toussait toute la nuit.
Il bambino aveva cinque anni,
[e vicino alla finestra
le sue risate e i suoi giochi
[facevano un fascinoso rumore;
e la madre, accanto
[a questo povero dolce essere
che cantava tutto il giorno,
[tossiva tutta la notte.
La mère alla dormir [sous les dalles du cloître ;
et le petit enfant
[se remit à chanter… –
La douleur est un fruit :
[Dieu ne le fait pas croître
sur la branche trop faible
[encor pour le porter.
La madre andò a dormire
[sotto le pietre del chiostro;
e il piccolo bambino
[si rimise a cantare… –
Il dolore è un frutto:
[Dio non lo fa crescere
sul ramo ancora troppo debole
per portarlo.
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Chanson d’automne
Canzone d’autunno
(testo di Paul Verlaine,
dalla raccolta Poèmes saturniens)
Les sanglots longs
des violons
de l’automne
blessent mon cœur
d’une langueur
monotone.
I singhiozzi lunghi
dei violini
d’autunno
mi feriscono il cuore
con languore
monotono.
Tout suffocant
et blême, quand
sonne l’heure,
je me souviens
des jours anciens,
et je pleure…
Ansimante
e smorto, quando
l’ora rintocca,
io mi ricordo
dei giorni antichi
e piango…
Et je m’en vais
au vent mauvais
qui m’emporte
de çà, de là,
pareil à la
feuille morte…
E me ne vado
nel vento ostile
che mi trascina
di qua e di là
come la foglia
morta…
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biografie
Federico Gardella
Nato a Milano nel 1979, ha studiato al Conservatorio di Milano con
Alessandro Solbiati e all’Accademia di Santa Cecilia con Azio Corghi;
particolarmente importanti per la sua formazione sono stati inoltre gli incontri
con Brian Ferneyhough e Toshio Hosokawa. La sua musica è stata presentata
nei principali festival italiani (Milano Musica, Maggio Musicale Fiorentino,
Play It!, Unione Musicale, Rai NuovaMusica, Traiettorie, La Biennale, Parco
della Musica) e internazionali (Voix Nouvelles di Royaumont, Société de
Musique Contemporaine di Losanna, Flagey di Bruxelles, Auditorio Nacional
de Música di Madrid, Great Guild Concert Hall di Riga, Lodz Philharmonic
Hall, Columbia University, Tokyo Opera City, Takefu Music Festival). È stato
premiato in numerosi concorsi internazionali di composizione (Tansman
Competition di Lodz, Takefu Composition Award 2009, Toru Takemitsu
Composition Award 2012) e nel 2014 gli è stato assegnato il Premio «Una
vita nella musica - Giovani» al Teatro La Fenice. Sue composizioni, dirette
tra gli altri da Zsolt Nagy, Tito Ceccherini, Guillaume Bourgogne, Carlo
Boccadoro, Naohiro Totsuka e Sandro Gorli, sono state interpretate da
orchestre quali Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra della
Toscana, Orchestra I Pomeriggi Musicali, Latvijas Nacionālais Simfoniskais
Orķestris, Filharmonia Łódzka, Tokyo Philharmonic; collabora inoltre con
ensemble quali Trio di Parma, Quatuor Diotima, Hilliard Ensemble, Neue
Vocalsolisten Stuttgart, Vertixe Sonora Ensemble, Divertimento Ensemble.
Nel 2014 Mano d’erba (per orchestra) è stato scelto come «recommended
work» all’International Rostrum of Composers di Helsinki; i suoi lavori
sono stati inoltre trasmessi da Radio Tre, Radio France, ORF, Sverige Radio,
ABC Radio, RTHK, NHK. La sua musica è pubblicata dalle Edizioni Suvini
Zerboni-SugarMusic S.p.A. di Milano.
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jonathan webb - 13, 14 marzo 2015
Jonathan Webb
Dopo gli studi di pianoforte, violino e direzione d’orchestra
all’Università di Manchester, debutta all’Opera di Manchester con
West Side Story. Su invito di Gary Bertini è stato per alcuni anni direttore
stabile all’Israeli Opera di Tel Aviv, dirigendovi numerose nuove produzioni
operistiche. È stato recentemente nominato direttore musicale della Camerata
Strumentale Città di Prato. Ha collaborato con i principali teatri italiani ed
europei (tra cui Theater an der Wien di Vienna, Deutsche Oper di Berlino,
Teatro São Carlos di Lisbona, Opéra de Marseille, Teatro de la Maestranza
di Siviglia) dirigendo un ampio repertorio che comprende lavori di Gluck
(Orfeo ed Euridice), Mozart (Die Entführung aus dem Serail, Le nozze di
Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Die Zauberflöte), Rossini (Tancredi,
L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola), Donizetti
(L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Don Pasquale), Verdi (Macbeth,
La traviata, La forza del destino, Falstaff), Puccini (Tosca, Madama
Butterfly), Mascagni (Cavalleria rusticana), Leoncavallo (Pagliacci); Halévy
(La juive), Bizet (Carmen), Gounod (Faust), Massenet (La navarraise),
Saint-Saëns (Samson et Dalila); Weber (Der Freischütz), Johann Strauss
(Der Zigeunerbaron), Zemlinsky (Eine florentinische Tragödie), Weill
(Mahagonny); Rachmaninov (Il cavaliere avaro), Stravinskij (L’histoire du
soldat), Šostakovic (Lady Macbeth del distretto di Mcensk), Janácek (Jenufa,
La volpe astuta); Britten (The Rape of Lucretia, The Turn of the Screw,
Peter Grimes, Billy Budd, A Midsummer Night’s Dream, Curlew River),
Menotti (The Saint of Bleecker Street), Henze (Elegy for Young Lovers),
Adams (The Death of Klinghoffer), Francesconi (Terra). Ha collaborato
con registi quali Friedrich, de Ana, Carsen, Vick, Pizzi, Abbado, Krief,
Pountney, Alden, De Rosa. È stato invitato in numerosi festival tra cui La
Coruña, Wexford, Caracalla, Settembre Musica, Sagra Musicale Umbra,
Caesarea, Liturgica Festival di Gerusalemme, Saito Kinen, e ha diretto varie
orchestre italiane, spagnole e israeliane.
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jonathan webb
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Teatro La Fenice
giovedì 2 aprile 2015 ore 20.00 turno S
sabato 4 aprile 2015 ore 17.00 turno U
FRANZ JOSEPH HAYDN
Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa
Adagio - Vivace assai
Andante
Menuet: Allegro molto
Finale: Allegro di molto
DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ
Concerto per pianoforte, orchestra d’archi e tromba in do minore op. 35
Allegro moderato
Lento
Moderato
Allegro con brio
Alexander Gadjiev pianoforte
(vincitore del Premio Venezia 2013)
Piergiuseppe Doldi tromba
•
JOHANNES BRAHMS
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73
Allegro non troppo
Adagio non troppo
Allegretto grazioso (quasi andantino)
Allegro con spirito
direttore
YURI TEMIRKANOV
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Franz Joseph Haydn, Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa
Affrancato dai vincoli con i principi Esterházy, Franz Joseph Haydn
(Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) approda a Londra nel 1791. È l’inizio di
un periodo particolarmente felice sia per l’uomo che per il compositore,
accolto in Inghilterra con eccezionale calore fin dal primo concerto.
Nel corso dei soggiorni londinesi (1791-92 e 1794-95), Haydn compone
dodici sinfonie (dalla n. 93 alla n. 104) che agli inglesi appaiono straordinarie
e alcune delle quali ricevono soprannomi ancora oggi evocatori di mito e di
magia: Surprise, Miracle, Military, The Clock, Drum Roll. Denominazioni
che non nascono dall’intento di fare musica a programma, ma da dettagli in
fondo trascurabili, a volte quasi sfuggenti: un «tutti» d’orchestra con spicco
del timpano, un rullo di tamburi, uno speciale tipo di accompagnamento,
l’uso di strumenti militari turchi. Ma la facilità con la quale Haydn si
inserisce nella vita londinese, il suo spirito, la sua duttilità danno a queste
trovate il peso di un colpo di genio che esalta la fantasia del pubblico,
divenendo il contrassegno, la sigla di sinfonie che, anche per altri meriti,
entrano nel novero dei capolavori.
Nel caso della Sinfonia in sol maggiore n. 94, i due soprannomi (La
sorpresa nei paesi anglosassoni e Colpo di timpano in quelli di lingua
tedesca) derivano dal fortissimo di tutta l’orchestra rinforzato dal timpano
che caratterizza il secondo movimento. Eseguita per la prima volta il 23
marzo 1792 sotto la direzione del compositore, è la terza (al di là del numero
d’ordine) delle sinfonie «londinesi». L’organico comprende coppie di flauti,
oboi, fagotti, corni, trombe, più timpani e archi.
L’introduttivo Adagio cantabile è avvolto da una atmosfera lirica e presenta
due incisi melodici nei quali si alternano i fiati e gli archi. Poco dopo scatta un
Vivace assai dal carattere danzante, basato non tanto su una contrapposizione
tematica, quanto sulla magistrale elaborazione e l’ampio sviluppo sinfonico.
Nel secondo tempo, Andante, compare la formula del tema con
variazioni: un tema piano e scorrevole affidato agli archi che Haydn
riprenderà qualche anno dopo nell’oratorio Le stagioni. È qui che compare
la ‘sorpresa’ dell’improvviso, violento colpo di timpano in fff che si unisce
al «tutti» orchestrale.
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yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015
Nel Minuetto e nel Trio del terzo movimento di questa come di altre
sinfonie «londinesi», la città innamorata di nuovi balli ispira a Haydn ritmi
di Ländler, la danza popolare tedesca. Da notare che nel secondo soggiorno
l’imperversare delle guerre napoleoniche, e il particolare clima della capitale
inglese, gli suggeriranno spunti solenni e severi. L’intelligenza dell’uomo –
a parte il genio del musicista – si evidenzia anche in questa straordinaria
sensibilità alla temperie storico-culturale.
Il conclusivo Allegro di molto combina più classicamente i principi
costruttivi del rondò con altri della forma sonata: un finale scattante, ricco
di contrasti e arricchito da pause improvvise e false riprese che sono le
espressioni più tipiche dell’umorismo e dell’arguzia haydniani.
Dmitrij Šostakovic, Concerto
e orchestra op. 35
in do minore per pianoforte, tromba
Considerato l’ampio spazio dato agli strumenti solisti nel repertorio
sinfonico, è curioso che in campo concertistico la produzione di Dmitrij
Šostakovic (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) si limiti in tutto a sei
composizioni: due dedicate al pianoforte, due al violino e due al violoncello.
La stesura del Concerto in do minore per pianoforte, tromba e orchestra
op. 35 risale al 1933, nel pieno di una crisi espressiva del musicista iniziata
dopo la Lady Macbeth e che troverà un parziale superamento con la
Sinfonia n. 4 in sol minore. È un lavoro che non ha mai suscitato grandi
entusiasmi critici: più che in altre composizioni, qui sembra pesare una
eccessiva eterogeneità stilistica, un eclettismo tecnico ed estetico che non
arriva a sublimarsi veramente nell’ironia, oscillando con esasperazione tra
adesione alla tradizione romantica e sarcasmo graffiante.
Questo concerto dall’organico quasi cameristico, dove il pianoforte è
accompagnato dai soli archi e dai ‘commenti’ della tromba concertante, è di
fatto un mosaico disinvolto realizzato in buona parte con autoimprestiti e
rimandi a temi di altri autori e a melodie popolari entro una cornice rapsodica.
Il risultato è un eccentrico divertissement musicale che Šostakovic, dopo la
prima esecuzione a Leningrado (15 ottobre 1933), difenderà rivendicando
«il diritto di ridere della musica seria».
Il primo movimento, Allegro moderato, si apre nientemeno che con
la citazione della beethoveniana Sonata op. 23 Appassionata, il cui tema
iniziale, affidato al pianoforte e poi ripreso dagli archi, viene elaborato e
piegato a uno spiccato virtuosismo strumentale. Segue un secondo tema
(Allegro vivace) sempre proposto dal pianoforte con il sostegno marcato
degli archi, e i cui frammenti vengono poi intonati con estroversione dalla
tromba. Dopo la ripresa del motivo iniziale e di un frammento del secondo
tema, la cupa conclusione è affidata al pianoforte – con l’ennesima citazione
76
NOTE AL PROGRAMMA
dell’Appassionata – e al registro grave della tromba.
Il secondo movimento è un Lento immerso in un’atmosfera di delicato,
romantico lirismo, che si apre con un tema malinconico esposto dai violini
primi: dopo un intervento del pianoforte, il motivo viene ripreso dalla
tromba concertante in sordina con un’espressione ancora più nostalgica.
Segue il breve Moderato, aperto da un assolo del pianoforte cui
seguono un tema pregnante degli archi e alcuni arpeggi del pianoforte che
preparano, senza soluzione di continuità, l’Allegro con brio conclusivo.
Si tratta di un movimento dal ritmo fortemente scandito, con un primo
tema presentato in tonalità diverse, mentre il secondo viene anticipato
nervosamente dal pianoforte e ripreso dalla tromba a suono di fanfara.
Ancora la tromba ritorna con una frase di sapore grottesco nella sezione
centrale, per poi concludere il movimento tra squilli enfatici e caricaturali:
un divertente galop dove viene ripreso un tema dalle musiche scritte da
Šostakovic nel 1929 per la prima pietroburghese di Der arme Columbus (Il
povero Colombo), un’opera del compositore tedesco Erwin Dressel.
Johannes Brahms, Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73
La composizione della Prima Sinfonia aveva richiesto a Johannes Brahms
(Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) una lunga gestazione: quasi un quindicennio
di dubbi e rielaborazioni, dal 1862 al 1876. La Sinfonia n. 2 in re maggiore
op. 73 nasce invece quasi di getto nel giro di pochi mesi durante l’estate del
1877, come se difficoltà e ostacoli si fossero dissolti nello sforzo della prima
prova, mettendo il compositore nello stato d’animo ideale per affrontare
una partitura tanto scorrevole e serena quanto originale e formalmente
densa. Il dissidio tra grande forma classica e libera inventiva romantica
viene in un certo senso ricomposto con il superamento della soggezione
psicologica rispetto al modello di Beethoven.
La prima esecuzione a Vienna, il 30 dicembre 1877, con i Wiener
Philharmoniker diretti da Hans Richter, riceve accoglienze trionfali: il
punto di forza, per il pubblico, sembra essere la maggiore comprensibilità
della nuova sinfonia rispetto a quella precedente. Al di fuori della capitale
dell’impero austro-ungarico, tuttavia, i giudizi non sono altrettanto
entusiastici: dopo la presentazione al Gewandhaus di Lipsia (10 gennaio
1878), ambiente più severo e conservatore, il critico Alfred Dörffel scrive:
«I viennesi sono molto meno esigenti di noi. Noi chiediamo a Brahms
ben di più che della musica graziosa, molto graziosa, nelle sue sinfonie».
Come a dire che il limite dell’opera consiste nel non essere sufficientemente
beethoveniana.
Si inizia così a considerare la Seconda Sinfonia la ‘pastorale’ di Brahms,
tanto che qualche anno dopo Ferruccio Busoni paragonerà la musica del
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yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015
compositore tedesco a «uno di quei piccoli laghi di montagna in cui un
fiume entra da una parte ed esce dall’altra, senza che la tranquillità del lago
ne venga turbata». Lo stesso Brahms concorre a questa fama definendola:
«una piccola sinfonia, gaia, assolutamente innocente», e ancora: «un
terreno vergine, dove fluttuano così tante melodie che bisogna stare
attenti a non calpestarle». Vero è che, presentandola in una lettera al suo
editore, Fritz Simrock, Brahms sembra contraddirsi: «La nuova sinfonia è
così malinconica da non potersi sopportare. Non ho mai scritto nulla di
altrettanto triste: la partitura deve uscire listata a lutto».
Considerata la diversità dei punti di vista e delle definizioni («pastorale»,
come s’è detto, ma anche «mozartiana», «sinfonia viennese», «l’ultima
di Schubert», «una suite di valzer»), sembra esserci qualcosa di peculiare
e allo stesso tempo inafferrabile nel carattere di questo lavoro. Al di là
delle etichette, gli spunti lirici e gli echi pastorali che si possono cogliere
nel trattamento dei fiati coesistono di fatto con la struggente malinconia
romantica che emerge dalla cantabilità degli archi, in particolare dei
violoncelli. Quanto ai mezzi costruttivi e formali impiegati, Brahms concilia
la monumentalità con la sensibilità intimista, e trova una propria strada e
una nuova espressività percorrendo consapevolmente la via ‘costruttivista’
del classicismo impersonato da Haydn, Mozart e Beethoven. Così, se i legami
con la tradizione sono evidenti nell’articolazione in quattro movimenti, la
forma sonata che rappresenta l’ossatura formale del primo e del quarto
tempo è trattata con la più ampia libertà.
L’iniziale Allegro non troppo è una delle costruzioni più grandiose e
articolate del sinfonismo ottocentesco: dal primo tema frammentato in cui
predomina il colore dei corni al secondo più disteso e lirico, simile a un
valzer, esposto da viole e violoncelli, fino alla complessità contrappuntistica
del successivo sviluppo, Brahms sembra gettare le basi per un superamento
della forma sonata, rimettendone in gioco le possibilità di elaborazione
formale. Nella coda – che del movimento è forse il cuore ideologico e
strutturale – si annullano le tensioni del conflitto drammatico. L’assolo del
corno sfocia in un canto solitario, in un abbandono lirico che sostituisce
così un finale clamoroso con uno struggente addio.
L’Adagio non troppo è il movimento che ha fornito appigli a una lettura
funerea della sinfonia. Ha una struttura tripartita: si apre con un tema
malinconico esposto dai violoncelli e accompagnato dai fagotti, e prosegue
con un secondo motivo che, affidato al corno, evoca atmosfere alpestri.
Anche nella parte centrale figurano due temi: il primo, esposto dai fiati, è
sereno e tranquillo; il secondo, affidato ai violini, è più lirico ed espressivo.
Quest’ultimo, nella terza sezione, viene a poco a poco sviluppato in maniera
più tesa e drammatica fino a quando i violini ripropongono, variandolo, il
triste tema iniziale, concludendo il movimento con lo stesso tono sobrio e
pacato dell’avvio.
78
note al programma
Il breve terzo movimento, Allegretto grazioso, è uno scherzo con due
trii e presenta una serie di temi accattivanti che si sviluppano tutti a partire
da quello iniziale: un motivo pastorale esposto dagli oboi accompagnati
dal pizzicato dei violoncelli. L’unità tematica, le variazioni ritmiche, i
contrasti timbrici tra fiati e archi, tra aeree leggerezze e orchestra piena
hanno stimolato, insieme con la cantabilità dei motivi, i giudizi ‘agresti’ e
‘popolareschi’ sulla sinfonia.
L’Allegro con spirito finale riprende specularmente la forma sonata
con due temi principali del movimento di apertura, con il quale condivide
anche le proporzioni strutturali dello sviluppo e della ripresa. Di rilievo
sia la trasparenza enigmatica del tema iniziale, attaccato «sottovoce» dagli
archi, che l’ampio e nobile secondo motivo intonato dai violini primi e dalle
viole. La coda ricapitola una serie di elementi tematici diversi, chiudendo
la sinfonia con toni trionfali e improvvise pause, come se il tempo dovesse
prolungarsi all’infinito.
Roberto Mori
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yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015
Alexander Gadjiev
Nato a Gorizia nel 1994, inizia a cinque anni lo studio del pianoforte con la
madre Ingrid Silic, proseguendolo con il padre Siavush Gadjiev, noto didatta
russo. Vincitore di diversi concorsi giovanili, si esibisce con l’orchestra a
nove anni e a dieci tiene il suo primo recital. Ha tenuto recital solistici in
numerosi teatri e sale da concerto, tra cui il Palazzo del Governo, il Museo
Revoltella e il Ridotto del Teatro Verdi di Trieste, l’Auditorium di Gorizia, il
Teatro Alfieri di Torino, il Teatro Fumagalli di Cantù, l’Auditorium Pollini
di Padova, i Festival di Lubiana, Feldkirchen e Dilsberg, la Filarmonia di
Maribor, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, il Museo dell’Ara Pacis
di Roma. Nel 2009 ha suonato il Concerto di Grieg con l’orchestra Ars
Atelier di Gorizia e con l’Orchestra dell’Opera di Lubiana e nel 2012 il
Concerto di Cajkovskij con l’Orchestra RTV Slovenija. Terzo premio alla
FVG International Piano Competition 2012 e vincitore del Premio delle
Arti 2012, si diploma nel 2012 al Conservatorio di Cesena e nel novembre
2013 vince la XXX edizione del Premio Venezia, esibendosi nel gennaio
2014 al Teatro La Fenice per la Società Veneziana di Concerti e in giugno
per la Festa della Repubblica. Nel giugno 2013 ha conseguito la maturità
scientifica e dall’autunno 2013 si perfeziona con Pavel Gililov al Mozarteum
di Salisburgo. Nella stagione 2013-2014 si è esibito in importanti sedi
italiane (Bologna Festival, Amici della Musica di Padova, Circolo Culturale
Bellunese, Teatro Comunale di Treviso, Fazioli Concert Hall, Settimane
Musicali del Teatro Olimpico di Vicenza, Accademia degli Sfaccendati
in Roma). Semifinalista nel giugno 2014 della Gina Bachauer Piano
Competition di Salt Lake City, in agosto è stato selezionato per le finali del
Concorso Busoni 2015 e in ottobre è stato tra i sei pianisti selezionati per la
Klavierakademie Eppan, dove ha seguito la masterclass di Arie Vardi.
Piergiuseppe Doldi
Diplomato in tromba nel 1994 presso il Conservatorio di Piacenza,
collabora successivamente con varie orchestre italiane tra cui l’Orchestra
del Teatro alla Scala di Milano, l’Orchestra Sinfonica Toscanini di Parma
e l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretto da maestri di fama
internazionale quali Daniel Barenboim, Lorin Maazel, Gustavo Dudamel,
Riccardo Muti e Daniel Harding, solo per citarne alcuni. Frequenti sono
inoltre le sue apparizioni in qualità di solista con I Solisti Veneti diretti da
Claudio Scimone. Vincitore del concorso per prima tromba dell’Orchestra
del Teatro la Fenice di Venezia, dal 2008 ricopre stabilmente questo ruolo.
Suona strumenti Yamaha dei quali è testimonial Yamaha Artist.
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biografie
Yuri Temirkanov
Dal 1988 Yuri Temirkanov è direttore artistico e direttore principale
dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, con cui effettua regolarmente
importanti tournée internazionali e registrazioni discografiche. Vincitore
nel 1966 del prestigioso Concorso pansovietico di direzione d’orchestra,
è subito invitato da Kirill Kondrašin a effettuare una tournée in Europa e
negli Stati Uniti con l’Orchestra Filarmonica di Mosca e il violinista David
Ojstrach. Nel 1967 debutta con la Filarmonica di San Pietroburgo, nel 1968
è nominato direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Leningrado e
nel 1976 diviene direttore musicale del Teatro Kirov, carica che mantiene
fino al 1988, con leggendarie produzioni di Evgenij Onegin e La dama di
picche. Nel 1977 debutta a Londra con la Royal Philharmonic Orchestra,
divenendone dapprima direttore ospite principale e poi, dal 1992 al 1998,
direttore principale. È stato inoltre direttore ospite principale dei Dresdner
Philharmoniker (1992-1997) e della Danmarks Radio SymfoniOrkestret
(1998-2008), e direttore musicale della Baltimore Symphony Orchestra (20002006). Direttore ospite principale del Teatro Bol’šoj fino al 2009, dal 2010 al
2012 è stato direttore musicale del Teatro Regio di Parma. Le sue numerose
incisioni comprendono collaborazioni con la Filarmonica di San Pietroburgo,
la New York Philharmonic, la Danmarks Radio SymfoniOrkestret e la Royal
Philharmonic, con cui ha registrato l’integrale dei balletti di Stravinskij e delle
sinfonie di Cajkovskij. Su sua iniziativa, dal 1999 San Pietroburgo ospita nel
periodo natalizio il Festival invernale internazionale «Piazza delle Arti», che
nel 2013 ha festeggiato il suo 75° compleanno e i suoi 25 anni alla testa
della Filarmonica di San Pietroburgo. Yuri Temirkanov ha ricevuto numerosi
riconoscimenti in Russia, tra cui i quattro gradi dell’Ordine al merito per
la Patria. In Italia ha ricevuto due Premi Abbiati (2003 e 2007), il titolo di
«direttore dell’anno» (2003), il titolo di Commendatore dell’Ordine della
stella d’Italia (2012) e il Premio Arturo Benedetti Michelangeli (2014).
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Teatro La Fenice
venerdì 10 aprile 2015 ore 20.00 turno S
sabato 11 aprile 2015 ore 17.00 turno U
GUSTAV MAHLER
Sinfonia n. 9 in re maggiore
Andante comodo
Im Tempo eines gemächlichen Ländlers. Etwas täppisch und sehr derb
(Nel tempo di un tranquillo Ländler. Un po' goffo e molto rude)
Rondo-Burleske: Allegro assai. Sehr trotzig
(Rondo-Burlesca: Allegro assai. Molto ostinato)
Adagio: Sehr langsam und noch zurückhaltend
(Adagio: Molto lento e trattenuto)
direttore
JEFFREY TATE
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Gustav Mahler, Sinfonia n. 9 in re maggiore
Divise in due grandi generi speculari – quello sinfonico-corale e quello
esclusivamente strumentale – le sinfonie di Gustav Mahler (Kalište, Boemia,
1860 – Vienna, 1911) formano un corpus dai significati contraddittori.
Accostando per esempio le strutture più raffinate del sinfonismo tedesco con
i movimenti di marcia, o la vocalità liederistica con la canzone popolare,
tendono a sottolineare, attraverso forti dislivelli, una nuova estetica in cui
la musica assume un valore totalizzante e rispecchia una concezione del
mondo pessimista, anche se generatrice di gioia sublimata.
Per coglierne l’orientamento complessivo, si ricorre per praticità allo
schema descritto da Michael Kennedy, che divide le nove sinfonie mahleriane in
tre gruppi. Le prime quattro sono le cosiddette «austriache», legate in qualche
modo al patrimonio popolare della civiltà contadina e nelle quali il senso di
tragedia e pessimismo è ancora mediato dalla fiaba. Il secondo gruppo, dalla
Quinta alla Settima Sinfonia, non è più riconducibile ai valori della società
preindustriale ma è pervaso da una molteplicità di stimoli da collegare ai
ritmi della cultura urbana e, nello specifico, all’ambiente e alla sensibilità
«viennesi». L’Ottava e la Nona Sinfonia, invece, sono da considerare opere
«cosmopolite», dove isolamento e lacerazione dell’individuo non si possono
più porre in relazione a un ambiente preciso, ma riguardano il rapporto più
in generale con il mondo e la dimensione esistenziale.
La Sinfonia in n. 9 in re minore rappresenta in particolare una sorta di
bilancio, una testimonianza riassuntiva in cui Mahler ripropone in modo
introspettivo, e con più essenzialità rispetto alla mastodontica Ottava (la
Sinfonia dei mille), le tappe del suo percorso sinfonico. Ritroviamo così
nel corso dei movimenti reminiscenze delle sinfonie «austriache» e tracce
«viennesi». Nell’Andante comodo d’apertura, c’è anche un rimando esplicito
a Das Lied von der Erde (Il canto della terra), l’ultimo lavoro completato da
Mahler, già stanco e malato, prima di iniziare la composizione della Nona.
La cellula tematica che chiude Das Lied ritorna infatti nel primo tema della
sinfonia a tessere una nuova trama di motivi, assumendo le sembianze di
un congedo dalla vita. Non per niente Alban Berg associa la Nona a una
definizione lapidaria: «la morte in persona».
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jeffrey tate - 10, 11 aprile 2015
Vero è che a partire da Das klagende Lied il pensiero della morte, nei
suoi numerosi travestimenti musicali, è presente in forme diverse sia nelle
sinfonie che in parecchi cicli liederistici di Mahler. Jean Matter, a questo
proposito, osserva che la Nona «non contiene un movimento funebre come
la maggior parte delle altre sinfonie, perché è tutto un poema funebre».
Prima di comporla Mahler incontra effettivamente la morte ‘in
persona’. Nel luglio 1907 perde la figlia Marie e dopo pochi giorni gli viene
diagnosticata una disfunzione cardiaca che non gli lascia speranza. Questi
eventi, insieme ad altre travagliate vicende professionali, segnano una svolta
drammatica nella vita personale e creativa del musicista. Dopo aver portato
a termine l’impresa dell’Ottava Sinfonia, l’anno successivo il musicista si
trasferisce vicino a Dobbiaco. Qui, in una piccola casa isolata dal mondo,
a contatto con la natura, inizia la composizione della Nona che, alternando
i periodi di riposo in Tirolo con una serie di spostamenti negli Stati Uniti,
porterà a termine nel marzo 1910.
L’Adagio della Decima Sinfonia, destinata a rimanere incompiuta,
rappresenterà l’ultimo, disperato traguardo dell’itinerario poetico di Mahler.
Anche qui ritornano immagini luttuose, cariche di tristezza, ma accostabili
più al commiato finale di Das Lied von der Erde, in quanto tendono a
porre maggiormente l’accento sulla rassegnazione e accettazione della fine
anziché sull’angosciosa consapevolezza di una scadenza non rinviabile. Das
Lied, Nona e i frammenti della Decima formano insomma quella che Hans
F. Redlich ha definito «la trilogia della morte».
Collocata al centro di questo percorso, la Nona Sinfonia fa quasi
pensare all’esercizio di un programmatico e consapevole predisporsi a
lasciare il mondo: «è l’esperienza della morte vissuta razionalmente, della
morte come certezza conquistata» (Ugo Duse). Un distacco indubbiamente
estenuato, che esita a compiersi, e che Mahler affida a due ampi tempi lenti,
da sempre particolarmente congeniali al suo registro poetico-espressivo.
L’architettura sinfonica tradizionale, suggerita dalla suddivisione in
quattro movimenti, viene negata dal fatto che questi non sono disposti
secondo la successione canonica e, soprattutto, sono concepiti in tonalità
del tutto diverse, contrariamente a ogni logica consequenziale dello sviluppo
sinfonico: i due movimenti lenti, rispettivamente in re maggiore e in re
bemolle maggiore, incorniciano due movimenti rapidi: un Ländler in do
maggiore e un Rondo-Burleske in la minore.
L’Andante comodo è una pagina di raffinata complessità. Si apre con
un motivo esitante, dall’andamento sincopato, in cui si è voluto riconoscere
il battito irregolare del cuore ammalato di Mahler. È come se la musica
alludesse al risveglio da un lungo sogno o da una condizione amorfa: poche
battute disseminate di motivi brevi e materiali frammentati che, tra palpiti
drammatici, sfociano in un tema ampio e disteso che sembra dissipare i
presentimenti di morte. A questo, subito dopo, si contrappone un altro
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note al programma
motivo, questa volta in tonalità minore, di grande concitazione drammatica.
Al culmine dello sviluppo ritorna il gruppo tematico dell’introduzione, ma
quello che all’inizio suonava come qualcosa di neutro e indistinto ora assume
una dimensione angosciosa e appare come una tragica intrusione della morte
«nel mezzo della vita». Nello schizzo della partitura Mahler annota: «O
giorni svaniti della gioventù, o disperso amore». La tensione accumulata
nello sviluppo giunge al culmine con la deflagrazione dell’esitante motivo
iniziale, suonato «con la massima forza» da tromboni e tuba. Al crollo
catastrofico segue un episodio, «Wie ein schwerer Kondukt», che sembra
la rappresentazione sonora di un corteo funebre. Alla fine del movimento,
i combattimenti, le lacerazioni e i crolli si dissolvono in una atmosfera
sospesa e rarefatta: il dolore sembra cedere alla rassegnazione di fronte alla
morte, ma il momento del congedo dalla vita è rimandato e sarà ripreso
nell’Adagio finale dopo la più estroversa parentesi dei due tempi centrali.
Il secondo movimento è infatti uno Scherzo in forma di Ländler, danza
tradizionale austriaca in 3/4 antesignana del valzer viennese. L’inizio ha
tutto il sapore di una festa contadina scandita da balli sgraziati e volgari,
dopo di che l’atmosfera assume improvvisamente il carattere allegro di
un valzer fastoso per poi trapassare in un episodio, tenebroso e burlesco
al tempo stesso, dove protagonista è invece una danza macabra. Alla
fine del movimento ritorna il tempo di Ländler della danza rustica: dopo
l’animazione della festa la scena si svuota e, sul pianissimo spettrale della
chiusura, resta un senso di tristezza e desolazione.
L’atmosfera di disillusione cede il passo, nell’inquietante RondoBurleske, a una rabbia aggressiva e a una furia quasi distruttiva che si
esprimono nella forma del rondò, con i periodici ritorni del suo svolgimento
circolare, e nella densità eccezionale del contrappunto. Temi e ritmi bizzarri
si susseguono in una sorta di frenetica, lugubre cavalcata nella quale Willem
Mengelberg individua una raffigurazione degli inutili sforzi dell’uomo di
fronte all’eternità della morte. Questo girare a vuoto concitato e frustrante
viene interrotto, alla fine del Rondo, da un episodio disteso e luminoso dove
compare uno struggente motivo che diventerà il nucleo tematico del quarto
movimento. Il Burleske finale riporta a una dimensione percussiva che in
chiusura approda a una sfrenatezza dal sapore quasi orgiastico.
Dopo il tono ironico e dissacratorio dei due movimenti centrali, lo
smisurato Adagio conclusivo – il più grande scritto da Mahler – ritorna a
un lirismo luttuoso e pieno di pathos che rappresenta una delle immagini
musicali più intense e disperate della morte. Si apre con una sommessa
introduzione degli archi e una citazione diretta del motivo già ascoltato
nel terzo tempo: una vera e propria elegia che sembra librarsi verso l’alto,
trasferendo simbolicamente i conflitti passati nella purezza incontaminata
di un’altra dimensione. Armonie romantiche e toni bruckneriani si
contrappongono alla rielaborazione di materiali tratti dalla tradizione, in
85
jeffrey tate - 10, 11 aprile 2015
particolare dalle Passioni bachiane, come se raccontando la storia della
propria morte e della trasfigurazione nel divino, Mahler si identificasse
nella figura di Cristo. Nel corso del movimento la scrittura si fa sempre più
aerea e rarefatta, fino a raggiungere un’essenza cameristica, per sublimarsi
nella quiete irreversibile di una realtà superiore. Nelle ultime battute, tutto
pare essere stupore e silenzio e i suoni sembrano avere il timbro della morte.
Uno stato d’animo che Mahler riflette persino nelle numerose didascalie
che accompagnano questo episodio conclusivo: «Adagissimo», «Lento e
pianissimo», quindi «con intimo sentimento», «morendo», «Estremamente
lento», e poi ancora, per l’ultimo accordo, «morendo».
La Nona Sinfonia viene eseguita postuma a Vienna, il 26 giugno 1912,
dai Wiener Philharmoniker diretti da Bruno Walter.
Roberto Mori
86
biografia
Jeffrey Tate
Dottorato in medicina a Cambridge, inizia la carriera musicale nello staff del
Covent Garden. Particolarmente formativa è nel 1976 la partecipazione al
Ring del centenario al Festival di Bayreuth come assistente di Pierre Boulez.
Su questa base elaborerà più tardi la sua personale interpretazione della
tetralogia a Parigi (produzione ripresa ad Adelaide per la prima integrale
del ciclo wagneriano in Australia) e a Colonia, sviluppando come principali
punti di forza del suo ampio repertorio i drammi musicali wagneriani e le
opere di Mozart. Nel 1978 debutta come direttore con Carmen a Göteborg,
iniziando una rapida carriera internazionale in ambito lirico e sinfonico. A
Parigi ha diretto Lulu e Peter Grimes allo Châtelet, Mahagonny, Billy Budd
e Wozzeck all’Opéra Bastille e Così fan tutte all’Opéra Garnier; al Covent
Garden nuovi allestimenti di Idomeneo, Manon, Così fan tutte e Capriccio
e riprese di Fidelio, Carmen, Lohengrin, Les contes d’Hoffmann e Der
fliegende Holländer; al Metropolitan di New York un ampio repertorio che
va da Don Giovanni a Lulu e Mahagonny; a Ginevra Orphée et Eurydice,
Lulu, Le nozze di Figaro, The Turn of the Screw e Ariadne auf Naxos;
alla Staatsoper di Vienna Der Rosenkavalier. Frequente e gradito ospite
dei teatri italiani, ha diretto alla Scala Peter Grimes, Der Rosenkavalier,
Tannhäuser e Ariadne auf Naxos; alla Fenice Die Walküre, Siegfried,
Götterdämmerung (Premio Abbiati 2009) e The Turn of the Screw; al San
Carlo di Napoli Königskinder di Humperdinck (Premio Abbiati 2002) e,
come direttore musicale (2005-2010), Le nozze di Figaro, Die Walküre,
Falstaff, Candide, L’enfant et les sortilèges, Peter Grimes, Die Entführung
aus dem Serail, La clemenza di Tito e numerosi concerti sinfonici. In ambito
concertistico ha diretto le maggiori orchestre del mondo, fra cui Orchestra
Sinfonica Nazionale della RAI (di cui è direttore onorario), London
Symphony, Berliner Philharmoniker, Mozarteum di Salisburgo, Dresdner
Philharmonie, Maggio Musicale Fiorentino, Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, DR Symfoniorkestret di Copenhagen, Orchestre de Paris, Yomiuri
Nippon Symphony, Boston Symphony, Cleveland Orchestra, Toronto,
Montreal, Melbourne e Sydney Symphony. In Francia è stato nominato
Chevalier de la Légion d’Honneur e Chevalier des Arts et des Lettres e in
Gran Bretagna Commander of the British Empire. Dall’inizio della stagione
2009-2010 è direttore principale degli Hamburger Symphoniker.
87
Teatro La Fenice
sabato 18 aprile 2015 ore 20.00 turno S
domenica 19 aprile 2015 ore 17.00 turno U
IGOR STRAVINSKIJ
Apollon musagète
balletto in due quadri per orchestra d’archi
Premier tableau
Prologue: Naissance d’Apollon
Second tableau
Variation d’Apollon (Apollon et les Muses)
Pas d’action (Apollon et les trois Muses: Calliope, Polymnie et Terpsichore)
Variation de Calliope (L’Alexandrin)
Variation de Polymnie
Variation de Terpsichore
Variation d’Apollon
Pas de deux (Apollon et Terpsichore)
Coda (Apollon et les Muses)
Apothéose
•
ALEKSANDR SKRJABIN
Sinfonia n. 2 in do minore op. 29
Andante
Allegro
Andante
Tempestoso
Maestoso
direttore
JOHN AXELROD
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Igor Stravinskij, Apollon musagète
Dopo il trasferimento a Parigi nel 1920, Igor Stravinskij (Lomonosov, 1882
– New York 1971) dà il via alla sua stagione neoclassica con le musiche per
Pulcinella, balletto in un atto su temi di Giovanni Battista Pergolesi. Nel
1926-27 è la volta di Oedipus Rex, opera-oratorio su testo di Jean Cocteau
ispirato all’omonima tragedia di Sofocle. Alla drammaticità dell’Oedipus
segue, nel 1927-28, un lavoro di segno opposto, dal classicismo più sobrio,
dove a prevalere è un ideale di serena contemplazione: Apollon musagète.
Quando nell’estate 1927 la mecenate americana Elizabeth Sprague
Coolidge gli commissiona un balletto su soggetto libero per il Festival di
musica contemporanea alla Library of Congress di Washington, Stravinskij
non ha dubbi sull’argomento: «da tempo coltivavo l’idea di scrivere un
balletto basato su momenti o episodi della mitologia greca interpretati
plasticamente da ballerini della cosiddetta scuola classica». Nella
realizzazione del progetto il compositore sceglie così il tema di Apollo
musagete, filtrando tuttavia le suggestioni della Grecia antica attraverso il
Seicento francese e la musica di Jean-Baptiste Lully, il compositore di Luigi
XIV.
Nello scenario della «calma degli dei», il protagonista è Apollo, figlio
di Zeus e Leto, nato già adulto nell’isola di Delo. Liberatosi dalle fasce che
lo avvolgono, si mette a danzare accompagnandosi con un liuto ricevuto in
dono da due dee. Le muse Calliope, Polimnia e Tersicore rendono omaggio
al dio, che le guida e le istruisce, conferendo loro l’investitura della tutela
delle rispettive arti: poesia, mimica e danza. Dopo aver intrecciato con
Tersicore un ispirato passo a due, alla fine Apollo conduce tutte al Monte
Parnaso.
Apollon musagète è dunque una celebrazione della danza classica, della
dimensione apollinea della bellezza e dell’arte. Gli strumenti principali
utilizzati da Stravinskij per realizzare questa immagine di purezza e
armonia sono la leggerezza del ballet blanc ottocentesco e l’impiego di
un complesso di soli archi, da cui ottiene una grande varietà di intrecci
polifonici, di assottigliamenti e ispessimenti sonori. Significativo è anche
il piacere dell’effusione melodica, in cui si possono riconoscere rimandi a
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john axelrod - 18, 19 aprile 2015
Cajkovskij, Delibes e ai balletti francesi e russi del secondo Ottocento. Altra
caratteristica ricorrente è il ritmo puntato, presente in numerose varianti:
Il vero soggetto di Apollon è la versificazione, che per i più significa qualcosa di arbitrario
e di artificiale. Gli schemi ritmici principali sono giambici, e le singole danze si possono
considerare come variazioni del metro giambico, in ritmo puntato e nel suo inverso.
Si tratta di un evidente omaggio all’ouverture di Lully, di cui Stravinskij
intende riflettere il solenne andamento cerimoniale già a partire dal Prologue.
I vari brani del balletto si susseguono tra toni nobilmente austeri e una
timbrica tersa e raffinata nella varietà delle sfumature. Nel Pas de deux di
Apollo e Tersicore, ad esempio, gli archi con sordina creano – attraverso
un ordito polifonico complesso – una sonorità diafana e rarefatta, come se
i passi di danza del dio e della musa si muovessero dietro un velario, e si
assistesse alla materializzazione di una bellezza ancora ignota. Suggestivi
effetti di dissolvenza ritornano anche nell’Apothéose che conclude il
balletto: la musica procede con solennità trasformando il ritmo giambico del
Prologue in un movimento circolare che sembra affacciarsi gradualmente
sulla contemplazione dell’infinito.
Completato nel gennaio 1928, Apollon musagète va in scena il 27
aprile dello stesso anno, con la coreografia di Adolph Bolm, nello spazio un
po’ angusto della Library of Congress di Washigton. L’esito non convince
Stravinskij, che di lì a pochi mesi sarà invece pienamente soddisfatto dalla
versione di George Balanchine per i Ballets Russes di Sergej Diaghilev. Il
12 giugno 1928 il balletto viene accolto trionfalmente al Théâtre Sarah
Bernhardt di Parigi, con Serge Lifar nel ruolo del protagonista e, sul podio,
lo stesso compositore.
In Italia Apollon musagète sarà eseguito per la prima volta in forma
concertistica l’11 settembre 1949, alla Fenice di Venezia, in occasione del
XII Festival Internazionale di Musica Contemporanea.
Aleksandr Skrjabin, Sinfonia n. 2 in do minore op. 29
Rispetto alla tradizione musicale russa e ai compositori a lui contemporanei,
Aleksandr Skrjabin (Mosca, 1872 – 1915) si colloca in una posizione di
isolamento. Rifiuta infatti di ispirarsi al patrimonio folcloristico nazionale
e, nel trattamento orchestrale, più che a Rimskij-Korsakov o Glinka guarda
a Berlioz, Liszt e Wagner. Dotato di una tecnica pianistica raffinata e di
notevole sensibilità armonica, con l’orchestra intrattiene rapporti conflittuali
e fatica a trovare un linguaggio personale che lo liberi dalle influenze tardoromantiche.
Significative in questo senso le prime due sinfonie, composte nell’arco di
un triennio, tra il 1900 e il 1902: ambiziose e un po’ prolisse, non arrivano
90
note al programma
a competere con le contemporanee prove pianistiche (si pensi soltanto alle
prime sonate) e possono considerarsi opere di preparazione alla Sinfonia n.
3 in do minore op. 43 (Poema divino) e, soprattutto, al Poema dell’estasi
op. 54, il capolavoro sinfonico di Skrjabin.
A partire dalla Prima Sinfonia, tutte le opere del musicista poggiano
su un programma, più o meno occulto, di ordine artistico e filosofico.
L’attrazione per certe teorie mistico-teosofiche si riverbera sull’adesione a
un sinfonismo ‘puro’, estraneo a una personificazione dei temi o a tendenze
narrative. Nel caso specifico delle sinfonie, si può parlare di «drammi
strumentali» che alternano momenti lirici ad altri di tensione e conflitto
interiore. Diversamente da Cajkovskij, però, non abbiamo un’opposizione
dialettica tra ‘io’ e ineluttabilità del destino. In Skrjabin la lotta tra ‘io’ e
mondo esterno tende al ricongiungimento e all’armonia, dunque all’apoteosi
finale, all’estasi. Non c’è spazio per gli esiti tragici.
Questo percorso ideale dalle tenebre alla luce contraddistingue anche la
Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 che, come la Prima, è un lavoro di grandi
dimensioni articolato in cinque movimenti. Strutturalmente, fra le sinfonie
di Skrjabin, è quella che più si avvicina allo schema classico in quattro tempi,
posto che l’Andante iniziale si unisce all’Allegro maggiore senza soluzione di
continuità. La novità consiste nell’impronta sostanzialmente monotematica
(che sarà peculiare anche del Poema dell’estasi), che permette di vedere il
primo movimento come introduzione, il secondo come esposizione, il terzo
come zona di contrasto, il penultimo come rielaborazione e l’ultimo come
ripresa con coda. Un elemento unificatore è fornito anche dal tema in do
minore affidato al clarinetto che, alla seconda battuta, apre l’Andante e
viene successivamente utilizzato in vari punti della sinfonia fino a fornire la
base (questa volta in do maggiore) per il Maestoso conclusivo.
L’Andante iniziale, d’altra parte, non ha solo il compito di spianare la
strada alla tensione del secondo tempo, ma spezzando le sonorità a tratti
cupe con una parte più mossa in do maggiore, dove intervengono le trombe
a suon di fanfara, offre subito un’idea del carattere e della drammaturgia
dell’opera nel suo complesso.
Se l’Allegro successivo si contraddistingue per l’ampio utilizzo degli
ottoni e la prevalente esuberanza sonora, il terzo movimento, Andante,
è avvolto invece da una atmosfera pastorale. La dolce cantabilità del
primo tema, intonato dal violino sulle fioriture del flauto, ondeggia come
una melodia infinita wagneriana, in cui si perdono impalpabilmente le
conclusioni delle singole frasi.
Nettamente contrastante è il clima evocato dal successivo Tempestoso,
che con la sua incalzante impetuosità fonica sfocia nel Maestoso che
chiude l’opera. Anche se qualche anno dopo sarà sconfessata dallo stesso
compositore («invece della trasparenza che volevo, sono andato a finire in
una parata militare»), questa pagina rappresenta, con i suoi ritmi di marcia e
91
john axelrod - 18, 19 aprile 2015
la sua vitalità, l’ideale di finale ottimistico tipico del sinfonismo di Skrjabin.
La Sinfonia viene proposta con successo per la prima volta a San
Pietroburgo, sotto la direzione di Anatolij K. Ljadov, il 12 gennaio 1902.
Contrastanti, invece, le reazioni di pubblico< e critica dopo l’esecuzione
moscovita del 3 aprile 1903 diretta da Vasilij Safonov.
Roberto Mori
92
biografia
John Axelrod
Direttore principale e direttore artistico della Real Orquesta Sinfónica de
Sevilla (dal novembre 2014) e direttore principale ospite dell’Orchestra
Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi (di cui è stato direttore principale dal
2011 al 2014), John Axelrod è stato dal 2004 al 2009 direttore principale
della Luzerner Sinfonieorchester e direttore musicale del Teatro di Lucerna,
e dal 2010 al 2013 direttore musicale dell’Orchestre National des Pays
de la Loire. Laureato alla Harvard University nel 1988 e formatosi nella
tradizione di Bernstein, ha studiato al Conservatorio di San Pietroburgo
con Ilya Musin nel 1996, e ha partecipato al programma dell’American
Symphony Orchestra League. Sin dal 2001 ha diretto oltre 150 orchestre
internazionali, 30 titoli d’opera e 50 prime assolute. Fra le orchestre con
cui collabora regolarmente figurano la Rundfunk-Sinfonieorchester di
Berlino, la NDR Sinfonieorchester di Amburgo, la hr-Sinfonieorchester
di Francoforte, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, la
Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, la OSI di Lugano, la Camerata
Salzburg, la ORF Radio Symphony e i Grazer Philharmoniker. In ambito
operistico ricordiamo Candide di Bernstein allo Châtelet e alla Scala,
Flight di Dove all’Opera di Lipsia, Tristan und Isolde ad Angers e Nantes,
Idomeneo, Don Giovanni, Rigoletto, Die Dreigroschenoper, Der Kaiser
von Atlantis e The Rake’s Progress al Festival di Lucerna. Nel 2014 ha
diretto Evgenij Onegin al San Carlo di Napoli e inaugurato il Festival di
Spoleto con il trittico Erwartung, La dame de Monte-Carlo e La mort de
Cléopâtre. Appassionato sostenitore delle nuove generazioni di musicisti,
collabora con diverse orchestre giovanili professionali, tra cui SchleswigHolstein Festival Orchestra (che ha diretto al Festival di Salisburgo),
Orchestra Giovanile Italiana, Accademia della Scala, Junge Norddeutsche
Philharmonie, Sinfonia Iuventus e Wiener Jeunesse Orchester.
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Teatro Malibran
giovedì 30 aprile 2015 ore 20.00 turno S
sabato 2 maggio 2015 ore 20.00 fuori abbonamento
JOHANNES BRAHMS
Ouverture tragica in re minore op. 81
ANTON WEBERN
Sinfonia op. 21
per orchestra da camera
Ruhig schreitend (Con andamento tranquillo)
Variationen (Variazioni)
PIERRE BOULEZ
Livre pour cordes
Variation
Mouvement
•
JOHANNES BRAHMS
Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Allegro non troppo
Andante moderato
Allegro giocoso
Allegro energico e passionato
direttore
MICHEL TABACHNIK
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Johannes Brahms, Ouverture tragica in re minore op. 81
Nel marzo 1879, Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897)
riceve dall’Università di Breslavia una laurea honoris causa in filosofia.
In segno di ringraziamento, secondo una tradizione risalente ai tempi di
Haydn, compone una nuova partitura, l’Ouverture accademica op. 80,
imbastita con citazioni di canti goliardici. Forse per compensare il carattere
estroverso, per lui inconsueto, di questa pagina di circostanza, il musicista
si dedica parallelamente alla stesura di un altro brano, complementare e
opposto nello stile: l’Ouverture tragica in re minore op. 81.
Si tratta dunque di due opere gemelle («una piange, mentre l’altra
ride»), accomunate anche nell’esecuzione: dopo aver presentato la Tragica a
Vienna il 26 dicembre 1880, sotto la guida di Hans Richter, Brahms dirigerà
personalmente entrambe le ouverture a Breslavia, il 4 gennaio 1881, in
occasione del conferimento della laurea.
Tra le due, l’Ouverture in re minore, pur liquidata inizialmente come
un’imitazione del Coriolano di Beethoven, è la più considerata in sede
critica. Si sono ipotizzate infatti le più diverse intenzioni programmatiche
e ispirazioni letterarie (dall’Amleto di Shakespeare al Faust di Goethe) e
si è valutata pure la possibilità che il brano contenga spunti tematici per
un’opera teatrale mai realizzata. Tuttavia, considerate anche le smentite
dello stesso Brahms riguardo all’influenza di soggetti letterari specifici,
l’Ouverture op. 81 resta un esempio di musica pura, dove i violenti contrasti
dinamici e i colori corruschi rimandano a un clima da tragedia.
Realizzata in forma sonata, l’opera è divisa in tre sezioni principali,
tutte in re minore: Allegro ma non troppo, Molto più moderato e Tempo
primo ma tranquillo. Fin dai due accordi secchi dell’orchestra che aprono
il brano in fortissimo, prevale un’atmosfera tesa e incisiva, spezzata solo
occasionalmente da qualche episodio più lirico e disteso.
L’energia ritmica e la contrapposizione dei temi si riversano in percorsi
imprevedibili e labirintici, per approdare a un finale che non offre alla
tragedia alcuna via d’uscita. Prima della chiusura sembra affacciarsi qualche
segno di speranza, ma la stretta finale perentoria e tagliente riporta a una
dimensione cupa e drammatica di carattere quasi beethoveniano.
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michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015
Anton Webern, Sinfonia op. 21 per orchestra da camera
Il declino graduale della sinfonia intesa in senso classico e ottocentesco si
accentua, agli inizi del Novecento, con l’avvento della Seconda scuola di
Vienna. L’apporto del fondatore, Arnold Schoenberg, si limita a quattro
lavori (le Kammersymphonie op. 9 e op. 38, Verklärte Nacht op. 4 e Pelleas
und Melisande op. 5), mentre Alban Berg ignora completamente il genere.
Nella produzione della Seconda scuola di Vienna, il termine sinfonia ritorna
di fatto solo in un’altra occasione per designare una composizione di Anton
Webern (Vienna, 1883 – Mittersill, Salisburgo, 1945). Si tratta della Sinfonia
op. 21 per orchestra da camera che, costruita in due movimenti, conserva
solo un vago riferimento alle grandi forme di impianto tradizionale. Essendo
abolita la forma sonata, il termine va inteso pertanto in senso lato, senza
riferimenti precisi a una concezione strutturale estensiva della musica, che è
del tutto estranea a Webern.
Proprio a partire da quest’opera, scritta tra il 1927 e il 1928, l’ordine
della struttura seriale diventa una delle componenti estetiche essenziali
del lavoro del compositore, rivelando alcuni tratti importanti della sua
personale concezione dodecafonica. Il primo movimento (Con andamento
tranquillo) è un «doppio canone per moto contrario a quattro parti»,
mentre il secondo è costituito da un tema con sette variazioni.
L’organico orchestrale è ridotto al minimo e prevede quattro fiati
(clarinetto, clarinetto basso, due corni), quattro archi (due violini, viola e
violoncello) e arpa. In questo modo ogni strumento può contribuire con il
timbro specifico a individuare i singoli atomi derivanti dalla dissociazione
del discorso, ricomponendoli in una trama prevalentemente timbrica
secondo la tecnica del divisionismo.
L’impiego rigoroso della tecnica seriale e il contrappunto altrettanto
calcolato consentono così a Webern di liberare, nella Sinfonia op. 21,
una dimensione sonora estremamente rarefatta e del tutto nuova, non più
interpretabile secondo i tradizionali concetti di armonia o di polifonia. Uno
spazio fatto non di linee e accordi, ma di ‘punti’ e costellazioni, di esili
trame strumentali dove si agita un afflato lirico sommesso e rarefatto che,
quasi paradossalmente, riesce a innestarsi sulla straordinaria luminosità e
sottigliezza del tessuto puntillistico.
Pierre Boulez, Livre pour cordes
Il processo puntillistico verso la dissociazione del discorso in «suoni isolati»,
avviato da Webern, viene portato alle estreme conseguenze da Pierre
Boulez (Montbrison, 1925). Partito da posizioni di estremo rigorismo, il
compositore, teorico e direttore d’orchestra francese arriva a compiere,
96
note al programma
insieme con Stockhausen e Pousseur, un’operazione di totale serializzazione
dello spazio acustico.
Composto nel 1948-49, e pubblicato parzialmente nel 1960, Livre
pour quatuor, per quartetto d’archi, rappresenta uno dei primi tentativi di
organizzazione sistematica di tutti i parametri sonori compiuti da Boulez. Il
principio seriale schoenberghiano è applicato non più alle sole altezze, ma
anche alle durate, alle dinamiche, ai timbri e soprattutto ai valori ritmici,
il cui trattamento si rivela qui di una complessità mai raggiunta prima.
Rispetto alle composizioni strumentali precedenti, Livre pour quatuor non
si rifà ad alcun schema strutturale classico. I movimenti sono sei e possono
essere eseguiti separatamente, persino spostati o raggruppati secondo la
volontà degli interpreti.
Eseguito a frammenti a Donaueschingen e a Darmstadt tra il 1955 e il
1962, il lavoro è stato quindi rielaborato da Boulez nel 1968 per orchestra
d’archi e proposto a Londra, nel dicembre dello stesso anno, dalla New
Philharmonia Orchestra con il titolo Livre pour cordes.
Questa versione non è solo un adattamento di ordine pratico (le
notevoli difficoltà esecutive vengono infatti distribuite in un organico
più ampio) ma è una revisione totale, che esplora ogni implicazione dello
spartito precedente. Il quartetto originale non viene tanto ampliato quanto
trasformato in un lavoro complesso, profondo e di straordinaria bellezza
strutturale. Dopo un ulteriore rimaneggiamento nel 1988, la versione
definitiva di Livre pour cordes viene eseguita l’anno successivo a Londra
dalla BBC Symphony Orchestra diretta dallo stesso compositore.
Caratteristica dell’attività compositiva di Boulez è del resto la costante
rielaborazione di propri lavori, o di parte di questi, spesso a distanza di
molti anni dall’opera originaria, in una forma da lui stesso definita «a
spirale». Di qui un corpus particolare, fitto di relazioni e rimandi interni
che attraversano l’evoluzione del linguaggio e della ricerca del compositore.
Johannes Brahms, Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Per Johannes Brahms l’esperienza sinfonica oscilla tra ossequio alla
tradizione e urgenza di una nuova espressività. La condizione del compositore
è del resto particolare: da un lato, è l’epigono della stagione romantica
tedesca, come dimostrano le sonorità orchestrali, i percorsi armonici, la
varietà di sfumature espressive; dall’altro, procede sulla via costruttivista
del classicismo, che si incarna nel mito nazionale impersonato dalla triade
Haydn-Mozart-Beethoven. L’esempio di Beethoven, in particolare, agisce
in lui come un freno potente, aumentando a dismisura le difficoltà: «Tu
non puoi nemmeno immaginare – scrive Brahms al direttore d’orchestra
Hermann Levi – in che stato d’animo si trovi uno come me nel sentire
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michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015
incessantemente un tale gigante marciare alle sue spalle».
Vero è che la Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 appare ormai affrancata
dall’incombere di modelli storici. Nella struttura formale convergono gli
elementi costitutivi di un passato cui guardare con fedeltà e nostalgia, ma
anche con la consapevolezza di aver raggiunto il massimo conseguibile con
i mezzi a disposizione e, dunque, un punto di non ritorno. Se la grande
costruzione contrappuntistica dell’ultimo movimento denota sapienza
accademica, voglia di classicità e chiarezza, nelle serie di variazioni che lo
costituiscono è praticamente già in atto lo smembramento delle forme cui il
musicista in apparenza si attiene.
Brahms inizia la stesura della sua ultima sinfonia a un anno di distanza
dalla Terza, componendola in gran parte nel corso di due soggiorni estivi
a Mürzzuschlag, in Austria, nel 1884 e nel 1885. Inizialmente, lo spiccato
senso autocritico lo porta a esprimersi a proposito della sua opera in modo
lapidario e ironico: in una lettera a Hans von Bülow – direttore stabile
dell’Orchestra di corte di Meiningen a cui affida i preparativi della prima
esecuzione – la paragona a delle ciliegie cresciute in un clima alpino: «non
riescono a maturare e tu non le mangeresti». Nonostante lo scetticismo e
il timore di una scarsa presa sul pubblico, Brahms concerterà e dirigerà
personalmente la sinfonia in occasione del debutto a Meiningen, il 25
ottobre 1885, ottenendo un successo travolgente. Un entusiasmo destinato
a rinnovarsi nella tournée dell’Orchestra di Meiningen in Germania e
Olanda, con von Bülow sul podio, e nella prima esecuzione londinese del
1886 diretta da Hans Richter. Solo a Vienna, diffidente verso le novità, le
accoglienze saranno inizialmente tiepide.
Certo, le novità della Quarta non sono eclatanti e di superficie. Il
carattere austero e severo della composizione rispecchia il rigore ‘luterano’
tipico di Brahms: privilegia dunque lo scavo interiore, il lavoro certosino
che passa al setaccio ogni idea con una raffinatezza che rimanda ai tratti
della musica reservata. È nel primo e nell’ultimo movimento, in particolare,
che le novità della tecnica sinfonica si impongono compiutamente, sia nel
carattere dei temi che nel rapporto che si instaura fra questi, e nella loro
reciproca elaborazione.
L’Allegro non troppo apre la sinfonia senza preamboli: una cellula
tematica di due note dà vita a una melodia orecchiabile, singhiozzante e
malinconica, di cui rimarranno tracce nel corso dell’intero movimento.
È l’unico tema che si impone immediatamente, delineando uno scenario
vertiginoso: una drammatica e profonda meditazione sull’esistenza.
All’interno di una imponente forma sonata sono racchiusi diversi altri
spunti tematici, che vanno dall’eroico al lirico, e che difficilmente possono
essere ordinati secondo una precisa gerarchia. Linee melodiche cantabili e
un insieme di piccoli frammenti si espandono e si riproducono generando un
organismo complesso e di grande tensione drammatica: un edificio costruito
98
note al programma
rigorosamente, in grado di valorizzare lo slancio a tratti quasi passionale dei
motivi. Il titanico finale, dove viene ripreso il primo tema con una modifica
della struttura ritmica, raggiunge il culmine dell’esasperazione, assumendo
quasi l’aspetto di una invocazione urlata a piena voce nei confronti del
destino.
A tanta tensione drammatica si oppone il trascolorare malinconico
dell’Andante moderato. Il primo tema, esposto dal corno, evoca
un’arcaizzante atmosfera da sogno, per poi confluire in una melodia
affidata ai clarinetti sostenuti dal pizzicato degli archi. L’unico momento di
tensione è nella parte centrale, dove si apre uno squarcio lirico di contenuta
drammaticità che presto si scioglie in un clima più sereno, quasi in una
domanda di pace.
La quiete viene travolta dall’impetuosa energia e dalla potenza sonora
dell’Allegro giocoso, dove l’organico orchestrale è ampliato anche in vista
di particolari effetti timbrici: per la prima e unica volta nelle sinfonie di
Brahms figura perfino il triangolo. Assimilabile a uno Scherzo e scritto in
forma sonata (con una parte centrale di contrasto affidata alla voce bucolica
dei corni), questo movimento sembra affogare ogni dramma o conflitto in
una spensierata gioia di vivere.
La fine dell’opera, tuttavia, non contempla la negazione del dramma.
L’Allegro energico e appassionato che chiude la sinfonia fa convergere
e ‘risolve’ i problemi formali riesumando la pratica strumentale della
ciaccona attraverso il filtro e l’invenzione di Bach. Il tema di otto battute
esposto dai fiati è infatti mutuato dalla Cantata BWV 150 «Nach dir, Herr,
verlanget mich» e viene seguito da 32 variazioni che si aprono sulle più
diverse possibilità combinatorie del linguaggio e dei suoi parametri. La
forma sembra riflettere un percorso faticoso, in salita (come il tema), che si
tende fino al limite delle energie umane, aspirando a una meta pacificante
in cui poter riprendere fiato, ma che si ritrova, per misteriosa necessità,
a riprendere sempre il passo dal punto in cui lo si aveva lasciato, fino al
precipitare inesorabile della conclusione.
Roberto Mori
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michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015
Michel Tabachnik
Direttore musicale e artistico della Brussels Philharmonic dal 2008, è stato dal
2005 direttore stabile della Noord Nederlands Orkest di cui è ora direttore
emerito. È stato in passato direttore stabile dell’Orchestra della Fondazione
Gulbenkian a Lisbona, dell’Orchestre Philharmonique de Lorraine e
dell’Ensemble InterContemporain a Parigi. Ha collaborato con i Berliner
Philharmoniker, l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, l’Orchestra
della NHK di Tokyo, l’Orchestre de Paris, l’Orchestra del Teatro La Fenice
di Venezia. È stato invitato in numerosi festival tra cui quelli di Lucerna,
Salisburgo, Aix-en-Provence. Con la Brussels Philharmonic ha ricevuto
molti inviti per tournée: alla Cité de la Musique di Parigi (tredici concerti in
tre stagioni), al Musikverein di Vienna, al Concertgebouw di Amsterdam,
al Doelen di Rotterdam, al Festspielhaus di Salisburgo, in Cina, Germania,
Gran Bretagna, America del Sud. Ha studiato pianoforte, composizione e
direzione d’orchestra a Ginevra. Terminati gli studi, ha collaborato con Igor
Markevitch (di cui è stato assistente all’Orchestra della Radio Televisione
a Madrid), Herbert von Karajan e Pierre Boulez (di cui è stato per quattro
anni assistente presso la BBC Symphony Orchestra di Londra). È stato
codirettore dell’Ensemble InterContemporain di Parigi, dove ha diretto
numerose prime mondiali di Stockhausen, Berio, Ligeti, Messiaen, e più
di venti composizioni di Iannis Xenakis, con cui ha stretto un rapporto
di intensa collaborazione. In ambito operistico, ha diretto le orchestre dei
teatri di Parigi, Ginevra, Zurigo, Copenaghen, Lisbona, Roma, Montreal,
Genova, e del Bol’šoj. Invitato regolarmente dalla Canadian Opera di
Toronto, vi ha diretto Lohengrin, Madama Butterfly, Carmen, The Rake’s
Progress. Molto del suo tempo è consacrato ai giovani musicisti. Ha diretto
diverse orchestre internazionali giovanili, tra cui l’Orchestre des Jeunes du
Québec e, per dodici anni, l’Orchestre des Jeunes de la Méditerranée, da lui
fondata nel 1984. Ha tenuto numerose masterclass a Hilversum, Lisbona,
e ai Conservatori di Parigi, Bruxelles e Stoccolma. È stato professore di
direzione d’orchestra all’Università di Toronto (1984-1991) e all’Accademia
Reale di Musica di Copenaghen (1993-2001).
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michel tabachnik
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Teatro La Fenice
venerdì 12 giugno 2015 ore 20.00 turno S
domenica 14 giugno 2015 ore 20.00 fuori abbonamento
FRANZ JOSEPH HAYDN
Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto
Adagio - Allegro di molto
Andante
Menuetto
Presto
Adagio (di lamentatione)
Finale: Prestissimo
Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore Hob. VIIb: 1
Moderato
Adagio
Allegro molto
•
ORAZIO SCIORTINO
Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre 1915
per orchestra
nuova commissione nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Fenice»
con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice
e lo speciale contributo di Marina Gelmi di Caporiacco
prima esecuzione assoluta
NINO ROTA
Concerto per violoncello e orchestra n. 2
Allegro moderato
Andantino cantabile, con grazia - Variazioni I-VI
Finale: Allegro vivo
direttore e violoncello solista
MARIO BRUNELLO
Orchestra del Teatro La Fenice
NOTE AL PROGRAMMA
Franz Joseph Haydn, Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto
Nel 1774 Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) scrive
le musiche di scena per una commedia in cinque atti di Jean-François
Regnard, Le distrait (1697), incentrata sui numerosi equivoci originati
dal protagonista, Léandre, un tipo talmente distratto e smemorato che per
poco non dimentica di andare al suo matrimonio. Liberamente tradotta e
adattata dalla compagnia di Karl Wahr, la pièce viene rappresenta lo stesso
anno alla corte degli Esterházy, ad Eisenstadt, con il titolo Der Zerstreute, e
ripresa successivamente a Salisburgo (1785) e Vienna (1786).
Soddisfatto del successo ottenuto dall’ouverture, dagli intermezzi
e dal finale in chiusura di rappresentazione, Haydn assembla il tutto in
una sinfonia in sei movimenti che seguono l’originaria funzione scenica,
mantenendo l’ordine dell’esecuzione in teatro.
Il risultato è la Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto, opera
sorprendente in cui il compositore, tenendo conto della destinazione
prima del lavoro, per il teatro e per il pubblico, attinge più volte al grande
patrimonio della musica popolare. L’impronta complessiva è naturalmente
umoristica: gli aspetti comici, legati al carattere del personaggio di Regnard,
sono resi da forti contrasti dinamici, cambiamenti armonici, sospensioni di
fraseggio, variazioni ritmiche.
L’introduzione della sinfonia è un breve Adagio lento e solenne che,
dopo poche battute, si addolcisce nella dolce cantabilità di un tema affidato
ai violini. Il movimento vivace, Allegro di molto, presenta un primo motivo
leggero e brillate, quasi un girotondo, esposto dai violini e ripreso dagli
oboi. Il secondo tema riserva una sorpresa: Haydn porta gli archi a un
sottile pianissimo (in partitura c’è l’annotazione «perdendosi», evidente
allusione al protagonista della commedia), per poi passare improvvisamente
al forte. Non mancano le autocitazioni: nel breve Adagio riecheggia l’inizio
della Sinfonia n. 50, mentre nella sezione di sviluppo fa irruzione il più
tumultuoso incipit della Sinfonia n. 45 Degli addii.
Il secondo tempo, Andante, è una canzonetta continuamente variata
alla sapiente maniera haydniana, che non muta mai sostanzialmente il tema
104
note al programma
ma lo sottopone a rivisitazioni dinamiche e ritmiche. Nello sviluppo entra
poi un nuovo motivo vagamente parodistico che, in una copia manoscritta
dell’epoca, è definito «ancien chant francais»: ennesimo omaggio haydniano
al mondo della musica popolare.
Il breve Menuetto successivo presenta un contrasto fra il tono
inizialmente vigoroso e la grazia raffinata del confronto contrappuntistico
fra primi e secondi violini. Nel Trio, in tonalità minore, figura invece a
sorpresa un tema di ispirazione balcanica.
Altri festosi motivi popolari compaiono nella seconda parte del quarto
tempo, Presto, che si apre peraltro con un tema nervoso e pieno di slancio.
È un movimento vertiginoso, dove ritroviamo tutte le caratteristiche –
intensità, vivacità, tensione – delle sinfonie Sturm und Drang di Haydn.
Dopo questo vortice sonoro, l’Adagio ripiega in una atmosfera di più
intima meditazione, quasi religiosa. Il tema cantabile fa pensare infatti a una
melodia gregoriana e, non caso, in un manoscritto d’epoca il movimento
viene definito «di lamentatione». Il tema viene interrotto all’improvviso
da una fanfara, con fiati e timpani in massima evidenza; seguono altre
riprese della melodia e ulteriori cesure. Proprio la frammentarietà, dovuta
all’originaria destinazione teatrale, contribuisce a rendere questa pagina
una delle creazioni più originali della produzione sinfonica haydniana.
Le sorprese e i gesti umoristici continuano nel rapido tempo di
chiusura, Prestissimo, che inizia con grande slancio e concitazione per
poi interrompersi improvvisamente. I violini, distratti pure loro come
il personaggio di Regnard, hanno dimenticato di accordarsi e sono
costretti a fermarsi perché la quarta corda è scesa di tono. Ritrovata la
giusta intonazione, la sinfonia può riprendere e, dopo l’ennesima melodia
balcanica, avviarsi alla conclusione.
Franz Joseph Haydn, Concerto
maggiore Hob. VIIb: 1
per violoncello e orchestra in do
I concerti solistici di Franz Joseph Haydn vengono in genere considerati
lavori minori, vuoi per il carattere disimpegnato, vuoi per le strutture
meccanicistiche che, legate ancora alla logica del concerto barocco,
condizionano il rapporto tra solista e «tutti». Nondimeno, pur non
toccando i livelli vertiginosi raggiunti da Mozart, anche in questo campo
Haydn realizza pagine di indubbia qualità e degne di attenzione.
È il caso del Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore
Hob. VIIb: 1, del quale non si conosce la data precisa di composizione,
collocabile comunque tra il 1761 e il 1765, nei primi anni in cui il musicista
è al servizio degli Esterházy. Scritto per Joseph Weigl, unico violoncellista
stabile dell’orchestra di corte lungo quasi tutti gli anni sessanta, andrà
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mario brunello - 12, 14 giugno 2015
disperso come altri lavori coevi, per essere riscoperto solo nel 1961, dal
musicologo Oldrich Pulkert, al Museo Nazionale di Praga.
Il concerto si contraddistingue per l’abilità della scrittura riservata al
violoncello, anche se le difficoltà non raggiungono quelle riservate al solista
nel Concerto n. 2 in re maggiore, posteriore di un ventennio. Il virtuosismo
è acceso, non ostentato; i contrasti drammatici tra solista e orchestra sono
equilibrati. Per quanto non manchino momenti di tensione, prevalgono le
sonorità brillanti e l’atmosfera è nell’insieme serena.
Nel primo tempo, Moderato, l’orchestra presenta senza introduzioni
un tema principale che, con il suo andamento maestoso su ritmi puntati,
sembra quasi una fanfara di vittoria. A questo si contrappone un motivo
più pacato che conferisce al brano dinamica emozionale. Il violoncello
ripercorre quindi alla lettera il tema di apertura e, nel corso del movimento,
mantiene i suoi interventi per lo più sul versante lirico e melodico, non
senza qualche sfoggio di agilità e brillantezza virtuosistica. Haydn, qui, si
tiene formalmente in bilico tra il modello del concerto barocco e la forma
classica che proprio in quegli anni stava mettendo a punto.
L’Adagio successivo costituisce una parentesi di intimo lirismo e
pacatezza che, malgrado qualche lieve increspatura drammatica, non arriva
a intaccare la dimensione serena e ottimistica complessiva del concerto. Il
solista, accompagnato dai soli archi, ha modo di esibire tutte le sue doti di
cantabilità ed espressività.
L’Allegro molto finale è un movimento di grande brillantezza e vitalità
che fa pensare a una specie di moto perpetuo di note veloci e staccate, e vede
il violoncello cimentarsi in passaggi di agilità molto impegnativi. L’arguzia
e l’inventiva più tipiche di Haydn emergono a tutto tondo, conferendo al
discorso musicale un carattere estroverso e privo di ombre.
Il concerto viene eseguito per la prima volta in tempi moderni a Praga,
il 19 maggio 1962, dal violoncellista Miloš Sádlo e dall’Orchestra della
Radio Cecoslovacca diretta da Charles Mackerras.
Roberto Mori
Orazio Sciortino, Veglia. Cima Quattro,
(2014) per orchestra
il
23
dicembre
1915
Il percorso doloroso della memoria dovrebbe costituire un fondamento
di consapevolezza della storia, della vita di un popolo, nel tentativo di
stabilire un monito, nella volontà di non ripetere orrori e stragi. Frustrante
è invece la costatazione del tragico divario tra il facile accesso allo studio
del passato e un’umanità sempre più cieca nei confronti del dolore che
si rinnova e sorda al grido di quelle anime scolpite nei memoriali, nelle
106
note al programma
piazze, nel nostro tempo. La tecnica istruisce ma non insegna, perché a
mancare sono le lacrime, gocce di tempo di quegli occhi vivi a cui non
abbiamo teso le orecchie quando avremmo dovuto. I nonni non possono
più raccontare il sangue delle trincee, e noi non possiamo più ascoltare
la voce rauca di un’Italia, dell’Ultima Italia, che si è compiuta. I nonni
non possono più raccontare quanti dialetti le acque dell’Isonzo o le rocce
del Carso udirono, e quanto eroismo vide giovani corpi sfilare sotto i tiri
micidiali degli austriaci. I nonni non possono più raccontare che i nomi che
oggi sono vie e piazze d’Italia un tempo erano luoghi della lacerazione, della
passione spezzata, della speranza di un futuro migliore. Così la Grande
Guerra è diventata la grande guerra della poesia e dei racconti, di Gadda,
di De Roberto, di Rebora, la cui memoria non conosce gli opportunismi del
mercato mediatico ed è destinata a sopravvivere nel cuore di chi crede nel
potere della bellezza e della storia.
La composizione Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre 1915,
sull’omonima poesia di Ungaretti, è una sorta di Lied ohne Worte sul grido
silenzioso di un poeta arruolato volontario al fronte e della sua esperienza
diretta col dolore e con la guerra.
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Veglia di un soldato dalla sua postazione che trasforma il tempo di una
notte in uno spazio eterno per sognare la vita, l’amore, la fratellanza.
Circolare è la forma della composizione, che nella sua breve durata
di poco più di 5 minuti procede sino alla fine, per poi, data la struttura
ritmica palindroma, potenzialmente ricominciare. Il canto, evocato e mai
chiaramente espresso, è dato da strati timbrici e armonici sovrapposti, dal
quale emergono rifrazioni di linee melodiche.
Scritta per il centesimo anniversario dell’entrata ufficiale dell’Italia
nella Prima Guerra mondiale, questa composizione non vuole essere un
107
mario brunello - 12, 14 giugno 2015
retorico ricordo di una delle pagine più sanguinose della nostra storia. La
musica, nella sua missione etica, non ha qui il compito di commemorare ma
di suscitare quel motus animi indispensabile a far risuonare quel senso della
memoria condivisa portatrice di valori civili.
Orazio Sciortino
Nino Rota, Concerto per violoncello e orchestra n. 2
Nino Rota (Milano, 1911 – Roma, 1979) è stato forse il più ‘inattuale’ fra i
compositori italiani del secondo Novecento. Un enfant terrible alla rovescia,
candidamente fedele alla tonalità e alla melodia in un’epoca turbolenta di
avanguardie e sperimentalismi. L’etichetta di autore di colonne sonore, e
di musicista di Fellini in particolare, ha contribuito a confinarlo in una
specie di limbo, difficilmente catalogabile nel quadro della musica colta
contemporanea. Così, se il pubblico lo ha sempre amato per l’immediatezza
espressiva, la critica ne ha spesso preso le distanze.
Solo di recente, grazie anche all’impegno concertistico e discografico
di interpreti prestigiosi, si è iniziato a valutare con maggiore interesse e
obiettività la vasta produzione extra cinematografica di Rota. È il caso dei
due concerti per violoncello e orchestra, appartenenti al suo ultimo periodo
compositivo e preceduti da un analogo lavoro adolescenziale del 1925,
rimasto senza numerazione. Scritti tra il 1972 e il 1973, dopo il successo
clamoroso ottenuto con la colonna sonora del Padrino (un periodo segnato
tuttavia anche dall’amarezza per l’esclusione dagli Oscar), i concerti
sono entrambi strutturati accademicamente nei classici tre movimenti
ed evidenziano l’innato talento del musicista per una scrittura fluida e
comunicativa, fatta di slanci drammatici e levità, di ingenuo candore e
scanzonata ironia.
Se il primo ha un’impronta più aspra e febbrile, decisamente in
contrasto con l’immagine di un Rota solare e leggero, il Concerto per
violoncello e orchestra n. 2 guarda invece al Settecento e presenta, a tratti,
una trasparenza e una grazia quasi mozartiane.
L’Allegro moderato iniziale prende spunto, non a caso, dall’incipit del
Concerto per violino e orchestra n. 3 KV 216 di Mozart, per poi sottoporlo
con eleganza e raffinatezza a un’ampia elaborazione, priva di intenti
deformanti. Si tratta di un movimento sostanzialmente monotematico,
scorrevole e limpido che, dopo aver dato spazio anche a momenti
espressivi più contrastati, sfocia in una chiusa sfumata in pianissimo. Al
violoncello è affidato un virtuosismo concepito in funzione rigorosamente
contrappuntistica.
Un’atmosfera evanescente e trasognata avvolge il secondo movimento,
108
note al programma
Andantino cantabile con grazia, aperto da un tema languido esposto dal
violoncello, subito ripreso dall’orchestra e quindi elaborato attraverso
una serie di variazioni: alcune leggere e umoristiche, altre dal tono più
crepuscolare. La più particolare e misteriosa vede il violoncello contrapporsi
con un gioco di pizzicati agli accordi dei legni.
Il breve Allegro vivo che chiude il concerto è un brano vivace, dominato
da una brillante scrittura virtuosistica che porta solista e orchestra a un
confronto incalzante, a un rincorrersi convulso che si conclude con una
scaletta ascendente del solista bruscamente troncata dall’orchestra.
Roberto Mori
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mario brunello - 12, 14 giugno 2015
Orazio Sciortino
Orazio Sciortino è pianista e compositore nato a Siracusa nel 1984. Ha
compiuto la sua formazione musicale con Louis Lortie, Michel Dalberto,
Boris Petrushansky per il pianoforte presso l’Accademia di Imola e con Fabio
Vacchi per la composizione. La recente incisione discografica Wagner&Verdi
piano transcriptions by Tausig&Liszt ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti
da parte della critica specializzata e, tra gli altri, le Cinque Stelle della rivista
«Musica». Sia l’attività di pianista che quella di compositore lo portano
a collaborare con istituzioni musicali prestigiose, in Italia e all’estero, tra
cui il Teatro alla Scala e la Sala Verdi del Conservatorio di Milano, la
Sagra Malatestiana di Rimini, l’Associazione Scarlatti di Napoli, il Maggio
Musicale Fiorentino, il Bologna Festival, il Teatro La Fenice, il Teatro
Politeama di Palermo, la Società dei Concerti e le Serate Musicali di Milano,
il Teatro Greco di Siracusa, il Festival MiTo Settembre Musica, l’Orchestra
Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, l’Orchestra Filarmonica di Torino,
il Festival di Ankara, l’Ensemble Sentieri Selvaggi, l’Ensemble Swiss New
Wave, I Concerti del Quirinale, Perugia Classica, la Konzerthaus di Berlino,
il Festival di Ottawa, il Barge Music Festival di New York. Ha registrato per
Rai Tre, Radio Tre, Radio Classica, Radio Svizzera Italiana e Sky Classica.
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orazio sciortino
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mario brunello - 12, 14 giugno 2015
Mario Brunello
Studia violoncello al Conservatorio di Venezia con Adriano Vendramelli,
perfezionandosi in seguito con Antonio Janigro. Nel 1986 è il primo artista
italiano a vincere il Concorso Caikovskij di Mosca che lo proietta sulla scena
internazionale. Viene invitato dalle più prestigiose orchestre, tra le quali
London Philharmonic, Münchner Philharmoniker, Philadelphia Orchestra,
Mahler Chamber Orchestra, Orchestre Philharmonique de Radio-France,
DSO Berlin, London Symphony, NHK Symphony di Tokyo, Kioi Sinfonietta,
Filarmonica della Scala, Accademia di Santa Cecilia; lavora con direttori
quali Gergiev, Pappano, Temirkanov, Honeck, Chailly, Jurowski, Koopman,
Axelrod, Muti, Gatti, Chung, Ozawa, e in ambito cameristico collabora
con artisti quali Kremer, Bashmet, Argerich, Lucchesini, Zimmermann,
Faust, Pollini, Afanassiev e l’Hugo Wolf Quartett. Si presenta sempre più di
frequente nella doppia veste di direttore e solista dal 1994, quando fonda
l’Orchestra d’Archi Italiana, con la quale ha una intensa attività sia in
Italia che all’estero. Nella sua vita artistica riserva ampio spazio a progetti
che coinvolgono forme d’arte e saperi diversi (teatro, letteratura, filosofia,
scienza), integrandoli con il repertorio tradizionale. Interagisce con artisti
di altra estrazione culturale, quali Uri Caine, Paolo Fresu, Marco Paolini,
Stefano Benni, Gianmaria Testa, Margherita Hack, Moni Ovadia e Vinicio
Capossela. Attraverso nuovi canali di comunicazione cerca di avvicinare il
pubblico a un’idea diversa e multiforme del far musica, creando spettacoli
interattivi che nascono in gran parte nello spazio Antiruggine, un’exofficina ristrutturata, luogo ideale per la sperimentazione. Ha iniziato la
stagione 2014-2015 con un tour in Giappone e Cina nel corso del quale
ha presentato l’integrale delle sonate e variazioni di Beethoven con Andrea
Lucchesini alla Kioi Hall di Tokyo e il Concerto di Dvorák con l’Orchestra
dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano. È direttore
musicale del festival «Artesella arte e natura» e accademico di Santa Cecilia.
Suona il prezioso violoncello Maggini dei primi del Seicento appartenuto a
Franco Rossi.
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mario brunello
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Teatro La Fenice
venerdì 26 giugno 2015 ore 20.00 turno S
PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ
Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35
Allegro moderato - Moderato assai
Canzonetta: Andante
Finale: Allegro vivacissimo
Vadim Gluzman
violino
•
JOHANNES BRAHMS
Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Un poco sostenuto - Allegro
Andante sostenuto
Un poco allegretto e grazioso
Adagio - Più andante - Allegro non troppo, ma con brio
direttore
JOHN AXELROD
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
NOTE AL PROGRAMMA
Pëtr Il’ic Cajkovskij, Concerto
maggiore op. 35
per violino e orchestra in re
Nel marzo del 1878 Pëtr Il’ic Cajkovskij (Votkinsk, 1840 – San Pietroburgo,
1893) si ritira a Clarens, sul lago di Ginevra, in un momento difficile e
cruciale della sua esistenza. Ha 38 anni ed è reduce dalla composizione
di capolavori come la Sinfonia n. 4 in fa minore ed Evgenij Onegin, ma
anche dal fallimento del breve matrimonio con Antonina Miljukova, con il
quale aveva sperato di ‘guarire’ dalla propria omosessualità. Qui, nel giro
di poche settimane, grazie anche al sostegno della mecenate Nadežda von
Meck, compone il Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35,
la sua unica partitura per violino e orchestra, ultima opera di spicco prima
di una lunga stagione segnata da una tormentata crisi creativa.
La stesura si svolge a stretto contatto con un giovane violinista, Josif
Kotek, amico e allievo del maestro, che interviene con consigli tecnici sulla
praticabilità esecutiva della parte solistica. Nella produzione di Cajkovskij,
infatti, le pagine dedicate al violino si limitavano fino a quel momento alla
Serenata malinconica op. 26 (1875) e al Valzer-scherzo op. 34 (1877).
Dopo una prima esecuzione in forma privata affidata a Kotek, il
compositore tenta di coinvolgere il grande violinista ungherese Leopold von
Auer, primo dedicatario dell’opera, che però si rifiuta di tenere a battesimo
il concerto, ritenendolo ineseguibile (per ironia della sorte, anni dopo lo
porterà in trionfo in tutto il mondo). Sarà un altro virtuoso, Adolf Brodskij
ad assumersi l’impegno di eseguirlo per la prima volta in pubblico a Vienna,
il 4 dicembre 1881, con i Wiener Philharmoniker diretti da Hans Richter.
Le reazioni alla première del concerto sono tutt’altro che favorevoli.
Alla freddezza del pubblico si accompagna l’ostilità della critica, che si
accoda al giudizio particolarmente aspro di Eduard Hanslick apparso sulla
«Neue Freie Presse»:
Il nuovo pretenzioso concerto di Cajkovskij solo per qualche istante procede con
musicalità, ma presto la rozzezza prende il sopravvento […]. Il Finale ci trasporta nella
brutale sfrenatezza di un’orgia russa […] par di sentire il puzzo di acquavite scadente.
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john axelrod - 26 giugno 2015
L’opera, in realtà, è uno straordinario esempio di espressività e di
equilibrio allo stesso tempo, e combina tratti magniloquenti ad altri di più
raccolto lirismo con calcolo preciso degli effetti. Il suo contenuto espressivo
non lascia emergere riferimenti alle vicende e ai conflitti personali dell’autore:
la ricerca di vitalità espressiva si manifesta nella presenza di motivi di
danza e di ispirazione gitana, nonché di temi che evocano le caratteristiche
della grande tradizione russa. Non per niente quando il concerto approda
finalmente a Mosca, nell’agosto 1882, eseguito ancora da Brodskij, le
accoglienze sono talmente trionfali che, in segno di gratitudine, Cajkovskij
cancella la dedica al riluttante von Auer, sostituendola con quella a Brodskij,
che diventerà quindi paladino nella diffusione di questa pagina.
Costruito secondo lo schema tradizionale, il concerto comprende tre
movimenti. Il primo, Allegro moderato, è nella classica forma sonata,
bitematica e tripartita, adattata al genere altamente performativo del
concerto solista e personalizzata con notevole libertà. Occupa in pratica la
prima metà della composizione e si apre con una breve introduzione affidata
agli archi che espone un’idea di tipo pre-tematico. L’elegante primo tema
(Moderato assai) si confronta quindi con lo spirito fantastico del secondo
motivo in un percorso tortuoso e rapsodico che oscilla tra due poli: «un
settecentismo reso ancor più morbido da ritardi, appoggiature e sognanti
modulazioni, e un accentuato virtuosismo» (Quirino Principe).
La centrale Canzonetta, Andante, è invece un Lied tripartito di
impronta popolare russa (nella prima stesura del concerto figura un altro
brano, poi eliminato da Cajkovskij e ripreso come Méditation in Souvenir
d’un lieu cher op. 42). Dopo una breve, assorta introduzione orchestrale, il
solista entra esponendo il primo tema: una melodia dalla cantabilità dolce
e malinconica, ripresa poco dopo dal flauto. Il secondo motivo è un più
drammatico lamento del violino su un accompagnamento sincopato degli
archi. Alla fine di questo secondo tempo, l’idea iniziale viene ripresa con
funzione di collegamento, senza interruzione, con il terzo movimento.
Nel Finale, Allegro vivacissimo, irrompe una danza di trascinante
vitalità, annunciata a frammenti prima dall’orchestra e poi dal solista.
L’elemento gitano si trasforma qui in virtuosismo eclatante che vede
protagonista assoluto il violino. I temi di aggressivo stampo popolare si
rincorrono freneticamente, non senza qualche sosta lirica prima che il
concerto venga chiuso da una brillante coda a effetto.
Johannes Brahms, Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Poche altre composizioni, nella storia della musica, hanno avuto una
gestazione lunga e laboriosa come la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68.
Quando inizia a concepirla su incoraggiamento di Schumann, Johannes
116
note al programma
Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) ha poco più di vent’anni. Quando
la composizione viene eseguita per la prima volta in pubblico, il 4 novembre
1876 a Karlsruhe, il musicista ne ha quarantatré. Un ventennio di tormento
creativo, dunque. Una pagina rimeditata fino all’esasperazione, che entra ed
esce da un cassetto e stenta a trovare la strada per progredire.
Nonostante l’ammirazione per Haydn, Mozart e Beethoven, il mondo
della sinfonia ispira al giovane Brahms un timore reverenziale, quasi fosse
un obiettivo irraggiungibile. A frenarlo è soprattutto l’immagine titanica di
Beethoven: «È difficile compiere qualcosa quando si sente l’ombra di quel
gigante dietro di noi». Un pensiero espresso qualche anno prima, con gli
stessi accenti, da Schubert.
L’idea che Beethoven rappresenti qualcosa di gigantesco e condizionante
è ricorrente nell’Ottocento: per vari motivi, non si riesce ancora a
comprendere fino in fondo su quali basi il genio di Bonn abbia maturato e
sviluppato il suo pensiero. Ci si limita, così, a inchinarsi di fronte alla sua
musica in atteggiamento di soggezione.
Nel 1862, sulla soglia dei trent’anni, Brahms ha pronto solo il primo
tempo. Ci vorranno ancora quattordici anni prima che a quel movimento
iniziale, pieno di equilibrio e di ispirazione, nonché testimonianza di una
grande abilità contrappuntistica, seguano gli altri tre. La composizione,
concentrata soprattutto negli ultimi due anni, dopo la ‘prova generale’
delle Variazioni su un tema di Haydn op. 56a (che confermano l’attitudine
storicistica e la tecnica della variazione come elementi centrali nel sinfonismo
brahmsiano), viene completata nel settembre del 1876. Non contento,
Brahms apporta ulteriori ritocchi ai due movimenti centrali fino alla vigilia
della prima, che viene diretta con successo da Felix Otto Dessoff.
Beethoven era morto ormai da mezzo secolo, eppure la continuità con
la sua opera è l’aspetto che più colpisce della Prima Sinfonia brahmsiana
al suo apparire. Lo rilevano sia Eduard Hanslick che Hans von Bülow. È
proprio quest’ultimo, tra i maggiori direttori d’orchestra della seconda metà
dell’Ottocento, a definire la composizione come «la Decima di Beethoven»,
ovvero la prima sinfonia che può essere legittimamente considerata una
diretta continuazione dell’opera beethoveniana. Lo dimostrano senza
dubbio i richiami tematici dell’ultimo movimento all’Inno alla gioia della
Nona e l’evoluzione espressiva dei quattro tempi, che dalla cupa tragicità
del primo porta alla gioiosa luminosità dell’ultimo. A Beethoven rimandano
pure la densità contrappuntistica e il pathos, oltre che la forza morale e la
serietà etica con cui l’opera viene concepita.
Spirito e stile, tuttavia, sono del tutto personali. Brahms si allontana
dalla concisa e plastica drammaticità beethoveniana. Con lui la sinfonia
prende un carattere più decisamente lirico: il discorso musicale scorre infatti
in modo fluente e ininterrotto; l’ampiezza e la complessità dei giri armonici,
che evitano continuamente i punti di appoggio troppo netti e conclusivi,
117
john axelrod - 26 giugno 2015
tengono sospesa l’attenzione dell’ascoltatore in un concatenarsi incessante
di episodi musicali.
Il primo movimento è caratterizzato da una introduzione tormentata e
tesa (Un poco sostenuto), il cui impatto tragico è determinato da implacabili
colpi di timpano e armonie dissonanti. Figura qui una cellula cromatica
(do-do diesis-re) che ritroveremo sia nel corso del movimento che in quelli
successivi. Nell’esposizione (Allegro) il primo tema è affidato ai violini
e ascende con ampi salti verso l’acuto; il secondo (esposto dai legni con
l’oboe in evidenza) ha un carattere più tenero e melodico. Questi motivi,
come anche la citazione della Quinta Sinfonia beethoveniana che chiude
l’esposizione, non hanno ampio respiro e vengono sviluppati in frasi di
lunghezza irregolare, creando un clima di instabilità e inquietudine. Seguono
lo sviluppo, il cui tono interlocutorio viene turbato dall’irruzione di una
terza idea tematica, e la ripresa conclusa da tutta l’orchestra in fortissimo,
mentre la coda (Meno allegro) ripropone l’atmosfera solenne delle battute
iniziali, ma in tonalità maggiore e spegnendosi su sonorità enigmatiche.
L’inquietudine del primo tempo si dissolve nell’atmosfera serena
e intimista dell’Andante sostenuto, in forma di Lied e nella luminosa
tonalità di mi maggiore. Se i temi hanno una struggente intensità lirica,
l’orchestrazione si fa a tratti quasi cameristica lasciando emergere alcuni
assoli strumentali: all’oboe è affidata per esempio la melodia del secondo
tema, mentre nella parte centrale, tra le ascese e gli arabeschi dei violini
primi, si inserisce ancora la voce dell’oboe e poi quella del clarinetto. Nella
ripresa variata del secondo tema è quindi la volta del violino, a cui è affidata
anche la coda, avvolta da una atmosfera estatica e di pacificazione.
Aperto da una melodia del clarinetto e caratterizzato prevalentemente
dal timbro dei fiati, il terzo movimento (Un poco allegretto e grazioso) è
immerso in un clima da idillio bucolico, leggermente più animato rispetto al
tempo precedente. Ha lo schema formale, più che il carattere e la fisionomia,
di uno scherzo: la parte centrale, con la funzione di trio, presenta un tema
di sapore popolareggiante su un danzante 6/8 che rievoca per alcuni aspetti
l’Allegretto della Pastorale di Beethoven.
Il conclusivo, monumentale Adagio-Allegro si ricollega alla complessità
del primo movimento e rappresenta il culmine espressivo della sinfonia.
È un finale di impronta beethoveniana, non solo per la nota citazione
tematica della Nona, ma per lo spirito e la poderosa architettura. Articolato
in due parti, è aperto da un’ampia sezione lenta: un Adagio che ha quasi
un andamento da recitativo, contrassegnato da una scrittura frammentata,
con alcune misure affidate ai soli pizzicati degli archi, cui seguono passaggi
dalle sonorità minacciose e inquietanti. La tempesta poi si placa e subentra
la seconda parte dell’introduzione, Più andante, dove si alza il canto del
corno: la melodia di un Alpenhorn, che Brahms – in una lettera a Clara
Schumann – dichiara di aver ascoltato durante una vacanza nelle Alpi
118
note al programma
svizzere. Inatteso, compare anche un breve corale affidato ai tromboni.
Dopo questa lunga introduzione inizia l’Allegro non troppo ma con brio,
aperto dal tema principale, cantabile e sereno, che cita la melodia dell’inno
beethoveniano An die Freude. Compaiono quindi un tema secondario e
altre idee complementari esposte nell’introduzione che vengono via via
assorbite dalla densa elaborazione contrappuntistica e dal crescente
virtuosismo orchestrale. Al termine di un sofferto percorso per aspera ad
astra, la grandiosa coda (Più allegro) è una pagina liberatoria che, col suo
solare do maggiore, ribalta il do minore del primo tempo, dando luogo a
una trionfante conclusione.
Roberto Mori
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john axelrod - 26 giugno 2015
Vadim Gluzman
Nato nel 1973 in Ucraina, inizia a sette anni lo studio del violino. Prima
di trasferirsi nel 1990 in Israele, dove è stato allievo di Yair Kless, studia
con Roman Sne in Lettonia e Zakhar Bron in Russia. Negli Stati Uniti i
suoi insegnanti sono stati Arkady Fomin e, alla Juilliard School, Dorothy
DeLay e Masao Kawasaki. Ha inoltre goduto dell’incoraggiamento di
Isaac Stern, e nel 1994 ha ricevuto l’Henryk Szeryng Foundation Career
Award. Ospite regolare delle principali orchestre (London Philharmonic,
London Symphony, Gewandhaus di Lipsia, Münchner Philharmoniker,
Israel Philharmonic, Chicago Symphony, San Francisco Symphony,
Minnesota Orchestra, NHK Symphony) e festival internazionali (Verbier,
Ravinia, Lockenhaus, Pablo Casals, Colmar, Jerusalem), ha collaborato con
direttori quali Järvi, Tilson Thomas, Litton, Janowski, Perlman, Sokhiev,
Järvi, Frühbeck de Burgos, Lintu, Axelrod, Oundjian. Con la moglie,
la pianista Angela Yoffe, ha fondato il North Shore Chamber Music
Festival di Northbrook, Illinois. La sua arte affonda le radici nella grande
tradizione violinistica del XIX e XX secolo, vivificata da un’attenzione
particolare alla musica contemporanea. Ha eseguito in prima assoluta
lavori di Giya Kancheli, Pēteris Vasks, Lera Auerbach e Sofia Gubaidulina,
e presentato in prima britannica Fire and Blood di Michael Daugherty con
la London Symphony diretta da Kristjan Järvi e il Concerto per violino
di Balys Dvarionas con la BBC Symphony diretta da Thomas Søndergard.
Nell’autunno 2014 ha debuttato con l’Orchestre National de France e i
Berliner Philharmoniker, ha tenuto concerti con la Dresdner Philharmonie,
la Seoul Philharmonic e la Bournemouth Symphony, e ha diretto i Virtuosi
di Mosca e la Philharmonisches Kammerorchester Dresden. Suona il violino
Stradivari «ex-Leopold Auer» del 1690, generosamente prestato dalla
Stradivari Society di Chicago.
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Nata nel 1993, laVerdi è oggi una protagonista indiscussa del panorama
culturale italiano e non solo. Lo testimoniano un Grammy Award, le numerose
tournée internazionali (ultima in ordine di tempo, settembre 2013, a Londra
per i prestigiosi BBC Proms), la ricca produzione discografica. Formata da
Vladimir Delman e guidata oggi da Zhang Xian, l’Orchestra nacque quando
a Milano la musica classica sembrava destinata ad avere nella scena culturale
un ruolo sempre più minoritario. I suoi obiettivi erano allargare la platea
del pubblico, offrendo l’ascolto della musica classica anche a chi non aveva
mai frequentato una sala da concerto; offrire un servizio culturale e sociale
alla città e al paese; offrire un’opportunità di lavoro ai giovani musicisti
di talento. Obiettivi che sono stati raggiunti, come dimostrano la qualità e
la professionalità dei suoi musicisti e dei direttori d’orchestra che si sono
120
biografie
succeduti come titolari o ospiti, i 230.000 spettatori che ogni anno assistono
agli oltre 250 concerti proposti, un’attività musicale che si svolge ormai per
tutti i dodici mesi dell’anno. Un’attività sempre più premiata dai successi
di pubblico, dall’apprezzamento della critica, dall’attenzione degli organi
d’informazione. Fra i molti esempi, i due concerti tenuti nella Sala Nervi
del Vaticano per S.S. Benedetto XVI e la recentissima esecuzione (novembre
2013) a Milano dell’Ottava Sinfonia di Mahler diretta da Riccardo Chailly.
La musica è di tutti ed è per tutti, e l’attività dell’Orchestra sinfonica di
Milano Giuseppe Verdi negli anni è stata affiancata dal Coro sinfonico di
Milano Giuseppe Verdi, oggi diretto da Erina Gambarini, dall’Ensemble
laBarocca, dal Coro di Voci Bianche, dall’Orchestra Amatoriale ‘laVerdi
per tutti’ e dall’Orchestra Sinfonica Junior, riservata ai ragazzi con meno di
18 anni. laVerdi oggi è una Casa della musica: una felice intuizione che si
è concretizzata, che ha portato frutto e che ha radici ben salde. Una realtà
solida con una caratteristica unica fra le istituzioni musicali italiane: la
proprietà dell’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, in largo Mahler,
realizzato nel 1998 e acquistato nel 2008.
Per la biografia di John Axelrod si veda sopra, p. 93.
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Teatro La Fenice
domenica 28 giugno 2015 ore 20.00 turno S
FILIPPO PEROCCO
Vestita di sole, segno grande nel cielo
per coro e orchestra d’archi
commissione Fondazione Teatro La Fenice
prima esecuzione assoluta
ANTONIO VIVALDI
«Nulla in mundo pax sincera»
mottetto per soprano, archi e basso continuo in mi maggiore RV 630
Giulia Semenzato soprano
Concerto per archi e basso continuo
in sol maggiore RV 151 Alla rustica
Presto
Adagio
Allegro
•
Gloria
per soli, coro e orchestra in re maggiore RV 589
Gloria in excelsis Deo
Et in terra pax hominibus
Laudamus te
Gratias agimus tibi
Propter magnam gloriam
Domine Deus
Domine Fili unigenite
Domine Deus, Agnus Dei
Qui tollis peccata mundi
Qui sedes ad dexteram Patris
Quoniam tu solus Sanctus
Cum Sancto Spiritu
direttore
ALESSANDRO DE MARCHI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
NOTE AL PROGRAMMA
Filippo Perocco, Vestita di sole, segno grande nel cielo (2015) per
coro e orchestra d’archi
Mentre scrivo questo breve testo di presentazione non ho ancora un’idea
ultima del lavoro che andrò a comporre.
Si tratta di una scena di Aquagranda, opera commissionata dalla
Fenice per la stagione 2016-2017. L’opera – tratta dal romanzo di Roberto
Bianchin, su testo di Luigi Cerantola e con la regia di Damiano Michieletto
– evoca l’alluvione del 1966 sulla laguna veneta. Ambientata a Pellestrina,
mette in scena il dramma collettivo dell’umile gente travolta dai furori del
mare, in balìa della paura.
Vestita di sole, segno grande nel cielo è l’invocazione del popolo rivolto
alla sacralità della Natura.
Filippo Perocco
Antonio Vivaldi, «Nulla in mundo pax sincera»,
soprano, archi e continuo in mi maggiore RV 630
mottetto per
Per quanto ridotta rispetto a quella strumentale, la musica vocale sacra di
Antonio Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741) comprende una cinquantina
di opere, composte in buona parte per le «putte» dell’Ospedale della Pietà
di Venezia che, com’è noto, all’epoca era in pratica un conservatorio. Tra
questi lavori figurano i dodici mottetti per voce solista e orchestra che nel
catalogo vivaldiano di Peter Ryom (sigla RV) occupano i numeri dal 623
al 634.
Il termine «mottetto» non va ovviamente inteso nel senso del severo
brano polifonico cinquecentesco, ma in quello più generico di «cantata»
in uso nel Settecento. In Vivaldi appare anzi nella forma di «concerto per
voce e orchestra»; il contrappunto cede quindi il posto al virtuosismo, in
un colorito affresco che fa intuire le potenzialità delle interpreti della Pietà
124
note al programma
cui i brani erano destinati, e quanto labili fossero all’epoca i confini con il
mondo operistico, tanto che l’intenzione religiosa veniva sopraffatta dalla
glorificazione della vocalità più impervia.
Una simile libertà compositiva è consentita anche dai testi non
liturgici su cui vengono composti questi pezzi: un latino para-chiesastico,
approssimativo e di dubbio gusto, dove ha più importanza l’impatto emotivo
delle singole parole che non una loro impeccabile coordinazione logica.
A proposito della collocazione cronologica dei mottetti vivaldiani,
Michael Talbot osserva:
L’accompagnamento strumentale [dei mottetti] è più dimesso che nella maggior parte
delle arie d’opera di Vivaldi anteriori al secondo decennio del Settecento, e la scrittura
vocale correlativamente più fiorita; tuttavia il loro stile, unitamente ai pochi altri
elementi che possono documentarlo, fa ritenere che siano stati scritti nell’ambito della
prima produzione di musica vocale sacra.
Saremmo quindi negli anni fra il 1712 e il 1716, quando Vivaldi sostituisce
alla Pietà Francesco Gasparini nell’incarico di maestro del coro.
La struttura del mottetto «Nulla in mundo pax sincera» è quella
convenzionale: un’aria tripartita A-B-A’ (prima parte, seconda parte di
atmosfera contrastante, ‘da capo’ della prima parte con variazioni), un
breve recitativo di collegamento, una seconda aria e il conclusivo, brillante
«Alleluia». La voce è protagonista assoluta sia nella prima aria, che ha
l’andamento ritmico e il carattere espressivo di una siciliana, sia nella
seconda, più vivace e animata da un ritmo puntato alla francese, e ancor
più nelle agilità dell’«Alleluia».
Il manoscritto autografo di questo mottetto è conservato alla Biblioteca
Nazionale Universitaria di Torino.
Antonio Vivaldi, Concerto
RV 151 Alla rustica
per archi e continuo in sol maggiore
I concerti di Antonio Vivaldi con titolo o con un’intestazione particolare
sono una cinquantina. Ispirati per lo più ai fenomeni della natura o a
particolari stati d’animo, utilizzano il mimetismo e le onomatopee musicali.
Evidente il loro legame con la produzione operistica del «prete rosso».
Se la musica strumentale da concerto offre al teatro d’opera gli elementi
del linguaggio descrittivo, d’altra parte la musica operistica trasmette
al repertorio strumentale la ricchezza e la varietà delle sue tematiche
inesauribili. In Vivaldi il virtuoso del violino, il compositore di musica
strumentale e l’uomo di teatro si contemperano nell’ispirazione e nell’atto
creativo.
125
alessandro de marchi - 28 giugno 2015
Il Concerto per archi e continuo in sol maggiore RV 151, Alla rustica,
di cui esiste un’unica partitura autografa, ricorre a strutture melodiche e
armoniche proprie della musica popolare. Gli elementi descrittivi sono
assunti in funzione di una costruzione musicale equilibrata e concisa. Nel
Presto, basato su un breve inciso che ritorna con insistenza, i violini evocano
il ritmo di un galoppo, trasportando l’ascoltatore in una concitata scena di
caccia a cavallo. Una corsa precipitosa che si placa nell’Adagio, dove gli
accordi ribattuti su armonie lamentose e le cadenze respirate, precedute e
seguite da silenzi espressivi, fanno sentire il respiro affannato e l’ansimare
di chi è stanco di correre. I suoni flebili e smorzati delle ultime battute
sembrano un’espirazione: il divertimento della battuta di caccia non è certo
stato incruento.
L’Allegro finale, con la sua melodia semplice dagli accenti marcati,
evoca una festa campestre animata da un ballo, simile alla gavotta. Ruvide
dissonanze si appoggiano su robusti accordi maggiori e dolci sequenze
di armonie delicate scivolano alle cadenze. Più che a una raffigurazione
arcadica, il concerto fa pensare a un rapido schizzo, a una visione del mondo
rustico forse un po’ ironica, ma al tempo stesso intrisa di vitale energia.
Antonio Vivaldi, Gloria
RV 589
per soli, coro e orchestra in re maggiore
Come quasi tutte le opere di Antonio Vivaldi, il Gloria per soli, coro e
orchestra in re maggiore RV 589 ha datazione incerta. Pervenuto attraverso
una sola fonte autografa, conservata nel Fondo Foà-Giordano della
Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, potrebbe risalire, secondo gli
studi di Paul Everett, al 1716.
Stando a diversi indizi, il Gloria viene scritto per il coro dell’Ospedale
della Pietà a Venezia, formato da sole voci femminili, per quanto non si
possano escludere come destinatarie altre istituzioni musicali. Incerta è anche
l’occasione compositiva. Michael Talbot ipotizza che potrebbe trattarsi
del perfezionamento del precedente Gloria RV 588 e che Vivaldi potrebbe
averlo concepito – come l’oratorio Juditha triumphans – per celebrare una
vittoria della Serenissima sui turchi. Proprio tra il luglio e l’agosto del 1716,
dopo aver perso i possedimenti della Morea, Venezia, forte anche della
vittoria di Petervaradino dell’impero austriaco sugli ottomani, riesce a far
fronte all’assedio di Corfù, impedendo lo sbarco sull’isola di 40.000 soldati
del sultano Ahmed III.
A ogni modo, se non si hanno notizie di esecuzioni del Gloria RV 589
vivente l’autore, è legittimo supporre che sia stato composto per qualche
occasione specifica e dunque eseguito almeno una volta. Di sicuro, l’opera
126
note al programma
non sarà più ripresa fino alla prima senese del 1939 sotto la direzione di
Alfredo Casella. Non appare infatti sufficientemente comprovata l’ipotesi
di un’esecuzione per il matrimonio di Luigi XV nel 1725, e puramente
ipotetica rimane ogni congettura sulla possibilità che Bach conoscesse
questo brano al tempo della Messa in si minore.
È difficile anche stabilire se il Gloria abbia destinazione liturgica o
concertistica: l’ampiezza delle proporzioni e la maestosità dell’architettura,
unite alla varietà delle sue sezioni, farebbero escludere la prima ipotesi,
anche se la messa dell’epoca includeva lunghe parentesi di carattere
prettamente concertistico.
Certo è che si tratta di un capolavoro del Settecento sacro. Le sue dodici
parti sono un paradigma della potenza della fantasia e della libertà formale,
in una diversificazione di accenti, colori, e in una concisione che non hanno
molti confronti in questo repertorio. Vivaldi nella sua opera spazia dai
cori omofonici a quelli polifonici, dalle arie solistiche al duetto; alterna
pagine luminose e drammatiche, numeri ora solenni, ora intimistici, dove
si mescolano stili, linguaggi, organici. Ma al di là dei singoli brani il Gloria
vive di una sua interiore unità che è estro, fervore, invenzione melodica,
intima adesione al testo sacro.
Gran parte delle sezioni vede protagonista il coro, come del resto
richiede il testo: trionfale, laudativo, affermativo della potenza pacificatrice
di Dio. È il caso del «Gloria in excelsis Deo», Allegro in re maggiore aperto
da un incalzante preludio strumentale, e affidato poi alla piena orchestra e
al coro a quattro parti. L’irresistibile dinamismo vivaldiano e l’acceso colore
strumentale emergono in pieno: tutto concorre a un estroverso clima di
glorificazione.
Alla luminosità dell’esordio si contrappone l’intimismo malinconico
dell’Andante in si minore «Et in terra pax hominibus»: su un accompagnamento
scarno degli archi, il coro, trattato contrappuntisticamente, è protagonista di
un iter polifonico contrassegnato dal fitto cromatismo delle linee melodiche
e dal continuo trascolorare armonico.
Il successivo «Laudamus te» è un Allegro in sol maggiore, con
accompagnamento di archi e continuo, che vede le voci dei soprani (nella
prassi concertistica un soprano e un contralto) impegnate in un elegante
gioco imitativo. Il coro ritorna nel più lento e omofonico «Gratias agimus
tibi», un Adagio di sole sei battute che confluisce subito nell’Allegro
«Propter magnam gloriam tuam», un incisivo quanto stringato episodio
contrappuntistico a quattro parti, con le sezioni del coro sostenute dagli
archi.
All’austerità del fugato segue la delicatezza del Largo «Domine Deus»,
una siciliana dove soprano e oboe dialogano languidamente accompagnati
dal solo basso continuo. Sempre con il gusto per i contrasti netti, segue
il ritmo trascinante del «Domine Fili», dove l’incisivo ritmo puntato
127
alessandro de marchi - 28 giugno 2015
dell’orchestra sostiene l’impianto contrappuntistico della parte corale.
Introdotto (e concluso) da un assolo del basso continuo, il «Domine
Deus, Agnus Dei» presenta un dialogo intenso e meditativo, in forma
responsoriale, tra la voce del contralto e gli interventi del coro. Il clima
intenso e l’asciutta concentrazione espressiva prosegue nell’Adagio «Qui
tollis», dove coro e orchestra procedono con mesta solennità introducendo
l’aria del contralto, «Qui sedes ad dexteram Patris», un vigoroso Allegro
accompagnato dagli archi.
A questo punto, nel «Quoniam tu solus Sanctus», viene riutilizzato in
forma variata e abbreviata il materiale del «Gloria in excelsis Deo» iniziale,
senza le modulazioni e lo sviluppo tematico centrale. Il brano fa in pratica
da introduzione al coro finale, «Cum Sancto Spiritu», dove Vivaldi – come
aveva già fatto nel Gloria RV 588 – rielabora la fuga di un Gloria scritto nel
1708 da un altro compositore, Giovanni Maria Ruggieri.
Roberto Mori
128
testi vocali
FILIPPO PEROCCO
Vestita di sole, segno grande nel cielo
per coro e orchestra d’archi
testo di Luigi Cerantola, per l’opera Aquagranda1
Segno
segno grande
segno grande nel cielo
segno grande sole segno
cielo
grande
cielo
sole grande
segno sole cielo
grande cielo segno sole
Nel cielo
nel cielo il sole
nel cielo una donna vestita di sole
di sole ammantata una donna nel cielo
di sole una donna
luna stelle sole cieli donna
stelle sole cieli donna luna
sole cieli donna luna stelle
cieli donna luna stelle sole
donna luna stelle sole cieli
Donna la luna
donna la luna il sole
le stelle
Ammantata di sole una donna
sotto i suoi piedi la luna
e in capo dodici stelle
luna sole cieli donna manto sole cieli donna manto stelle donna cieli
manto donna
stelle
luna
manto stelle luna sole
stelle luna sole cieli
stelle manto luna sole cieli donna
luna stelle sole cieli donna manto
Il testo di Luigi Cerantola viene qui pubblicato (dicembre 2014) prima dell’effettiva
composizione musicale del brano, che potrà dunque presentare qualche differenza nella
scelta e nella disposizione delle parole intonate.
1
129
alessandro de marchi - 28 giugno 2015
luna sole cieli donna manto stelle
sole cieli donna manto stelle luna
cieli donna manto stelle luna sole
donna manto stelle luna sole cieli
manto stelle luna sole cieli donna
stelle luna sole cieli donna manto
La Vergine de li angeli
ci copra del suo manto
de li angeli ci copra del suo manto
del suo manto
manto
angeli manto Vergine stelle
manto Vergine stelle angeli
Vergine stelle angeli manto
stelle angeli manto Vergine
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
angeli stelle Vergine luna sole manto
Una donna ammantata di sole
angeli manto Vergine luna stelle donna sole
manto Vergine luna stelle donna sole angeli
Vergine luna stelle donna sole angeli manto
luna stelle donna sole angeli manto Vergine
stelle donna sole angeli manto Vergine luna
donna sole angeli manto Vergine luna stelle
sole angeli manto Vergine luna stelle donna
manto luna stelle angeli donna sole Vergine
manto luna angeli stelle donna Vergine sole
donna
angeli
manto
sole
Vergine
luna
stelle
angeli luna stelle Vergine donna sole manto
sole donna Vergine manto luna stelle angeli
manto
Vergine
luna
sole
donna
angeli
stelle
Vergine
sole
manto luna
angeli
stelle donna
Una donna vestita di sole
130
testi vocali
ANTONIO VIVALDI
«Nulla in mundo pax sincera»
mottetto in mi maggiore per soprano, archi e basso continuo
RV 630
Aria
Nulla in mundo pax sincera
sine felle, pura et vera,
dulcis Jesu, est in te.
Inter poenas et tormenta,
vivit anima contenta,
casti amoris sola spe.
Recitativo
Blando colore oculos mundus decepit
et occulto vulnere corda conficit;
fugiamus ridentem, vitemus sequentem,
nam delicias ostentando arte secura
velet ludendo superare.
Aria
Spirat anguis
inter flores
et colores
explicando
tegit fel,
sed occulto
cactus ore
homo demens
in amore
saepe lambit
quasi mel.
Alleluja
Alleluja
131
alessandro de marchi - 28 giugno 2015
ANTONIO VIVALDI
Gloria per soli, coro e orchestra in re maggiore RV 589
1. Coro
Gloria in excelsis Deo.
2. Coro
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
3. Duetto
Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te.
4. Coro
Gratias agimus tibi
5. Coro
propter magnam gloriam tuam.
6. Aria
Domine Deus, Rex caelestis, Deus Pater omnipotens.
7. Coro
Domine Fili unigenite, Jesu Christe.
8. Aria con coro
Domine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris, qui tollis peccata mundi, miserere
nobis.
9. Coro
Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram.
10. Aria
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
11. Coro
Quoniam tu solus Sanctus, tu solus Dominus, tu solus Altissimus, Jesu
Christe.
12. Coro
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
132
biografie
Filippo Perocco
Diplomato in composizione (con Riccardo Vaglini) e organo presso il
Conservatorio di Venezia, ha studiato direzione d’orchestra con Emilio
Pomarico e Sylvain Cambreling. Ha partecipato ai 40. e 41. Ferienkurse für
neue Musik di Darmstadt. È stato composer in residence all’European Centre
for the Arts di Dresda e all’American Academy in Rome, visiting composer
presso Boston University, Tufts University, New York University, Conservatorio
di Lugano, e borsista Fulbright a Boston. Sue opere sono commissionate da
Biennale Musica di Venezia, ENPARTS, Eclat, Siemens Foundation, la Fenice,
Villa Romana, Mata Festival, Tilt Brass, Milano Musica, Sentieri Selvaggi,
Taschenopern Salzburg, Klang21, Incontri Asolani, Teatro Olimpico di
Vicenza, Finestre sul ’900, Divertimento ensemble, ExNovo, Brighton Festival,
Kaida, VokalensembleNeueMusik, Astra Concerts, Altri canti, Brinkhall
Summer Concerts, ECHO. I suoi lavori sono eseguiti da Holland Symphonia,
Dresdner Sinfonikern, Young Janácek Philharmonic Orchestra, Sinfonia
Varsovia, Orchestre National de Lorraine, Orchestra d’Archi Italiana, ORT,
Orchestra Mitteleuropa, ModernArtEnsemble, Orchestra del Teatro La Fenice,
Dresden Sinfonietta, Virtuosi Italiani, Vocal Modern, CoroinCanto, Ixion,
Aleph, Argento, Knights, Accroche Note, Algoritmo, Kaida, ExNovo, Astra
Choir, e trasmesse da Radio di Belgrado, NPS, WQXR, SBS, BBC, RAI, Polski
Radio. È stato presente in rassegne internazionali tra le quali Gaudeamus,
Manca, Aspekte Salzburg, Time of Music, Acanthes, Warsaw Autumn, Musica
Strasbourg, Nuova Consonanza, American Film Festival, Unerhörte Musik,
Timisoara International Music Festival, Contemporanea Udine, Theatre
Dunois Paris, Musica/Realtà, Cantiere di Montepulciano, BEAMS, Zèppelin,
Axes, De IJsbreker, Logos Foundation Ghent, Tufts New Music Festival,
Rencontres Lunel, C. N. de la Música México, New London Wind Festival,
Boston Harp Festival, Review of Belgrade. È cofondatore e direttore artistico
dell’ensemble L’arsenale (Treviso). È pubblicato da ArsPublica e Doblinger.
133
alessandro de marchi - 28 giugno 2015
Giulia Semenzato
Diplomata al Conservatorio di Venezia, si perfeziona attualmente nel
repertorio barocco con Rosa Dominguez alla Schola Cantorum Basiliensis
di Basilea. Ha frequentato le master class di Christopher Robson, Cinzia
Forte, Vivica Genaux, Gemma Bertagnolli e Maria Cristina Kiehr. Vincitrice
dei concorsi Città di Bologna (Premio Farinelli) e Toti Dal Monte 2012, ha
debuttato a Treviso come Elisetta nel Matrimonio segreto, poi riproposto a
Ferrara, Rovigo, Lucca e Ravenna. Nel 2013 è stata ammessa all’Académie
Européenne de Musique del Festival d’Aix-en-Provence e selezionata per il
ruolo eponimo in Elena di Cavalli con Leonardo García Alarcón e la Capella
Mediterranea, debuttando a Lilla e Lisbona nell’aprile 2014 e a Nantes,
Angers e Rennes nel novembre successivo. Tra gli impegni precedenti,
Sandrina nella Cecchina di Piccinni, Maria nei Due timidi di Rota e Zerlina
in Don Giovanni a Venezia, e concerti con l’Orchestra Barocca di Villa
Contarini diretta da Alfredo Bernardini e Roy Goodman. Nel maggio 2014
si è esibita sotto la direzione di René Jacobs alla Fondazione Cini in un
programma di cantate inedite di Stradella e nel luglio 2014 ha interpretato
il ruolo eponimo nell’Eritrea di Francesco Cavalli in una produzione della
Fondazione Teatro La Fenice e del Venetian Centre for Baroque Music a Ca’
Pesaro. Nell’agosto 2014 ha vinto il secondo premio alla Cesti Competition
di Innsbruck. È laureata in scienze giuridiche all’Università di Udine.
134
biografie
Alessandro De Marchi
Apprezzato interprete del repertorio barocco, con orchestre di strumenti sia
antichi che moderni, ha diretto importanti produzioni di lavori di Monteverdi
(L’incoronazione di Poppea e Il ritorno di Ulisse in patria alla Norske Opera
di Oslo), Provenzale (La Stellidaura vendicante alle Innsbrucker Festwochen),
Keiser (Der lächerliche Prinz Jodelet alla Staatsoper di Amburgo), Vivaldi
(Orlando Paladino al Concertgebouw di Amsterdam), Telemann (Flavius
Bertaridus a Innsbruck e Amburgo), Händel (Giulio Cesare in Egitto ad
Amburgo, alla Semperoper di Dresda e al Teatro Regio di Torino, Hercules
a Halle, Orlando a Essen e Berlino, Alcina a Lione, Teseo alla Komische
Oper di Berlino, Almira e il Messiah ad Amburgo), Hasse (Cleofide a
Dresda), Graun (Cleopatra e Cesare alla Staatsoper di Berlino), Pergolesi
(L’Olimpiade a Innsbruck, al San Carlo di Napoli e al Festival Pergolesi di
Jesi), Gluck (Iphigénie en Aulide al Theater an der Wien di Vienna, Iphigénie
en Tauride ad Amburgo), Haydn (L’isola disabitata a Innsbruck), Mozart
(Die Entführung aus dem Serail a Dresda, Don Giovanni ad Amburgo, Così
fan tutte alla Monnaie di Bruxelles, La clemenza di Tito a Innsbruck), fino
a Rossini (La scala di seta al Concertgebouw di Amsterdam e al Teatro
Malibran di Venezia, Demetrio e Polibio al San Carlo di Napoli, Il barbiere
di Siviglia a Berlino, Amburgo, Dresda e Torino) e Donizetti (Anna Bolena
all’Opera di Colonia). Dal 1998 è direttore principale dell’Academia Montis
Regalis, con la quale ha ottenuto nel 2005 il Premio Abbiati. Svolge attività
concertistica con orchestre quali l’Orchestra dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, i Wiener Symphoniker, la NDR Radiophilharmonie,
le Staatskapelle di Berlino e di Dresda. Dal 2009 è direttore artistico del
Festival di Musica Antica di Innsbruck.
135
orchestra e coro del teatro la fenice
136
orchestra e coro del teatro la fenice
Orchestra del Teatro La Fenice
La storia dell’Orchestra del Teatro La Fenice è legata a quella del
teatro stesso, centro produttivo di primaria importanza che nel corso
dell’Ottocento ha presentato prime assolute di opere fondamentali nella
storia del melodramma (Semiramide, I Capuleti e i Montecchi, Rigoletto,
La traviata). Nella seconda parte del secolo scorso l’impegno dei complessi
orchestrali si concentrò nell’internazionalizzazione del repertorio, ampliato
anche sul fronte sinfonico-concertistico (con solisti quali Enrico Mainardi,
Mstislav Rostropovich, Edwin Fischer, Aldo Ferraresi, Arthur Rubinstein).
Nel corso dell’Otto e Novecento, sul podio dell’Orchestra si susseguirono
celebri direttori e compositori: Lorenzo Perosi, Giuseppe Martucci, Arturo
Toscanini, Antonio Guarnieri, Richard Strauss, Pietro Mascagni, Giorgio
Ghedini, Ildebrando Pizzetti, Goffredo Petrassi, Alfredo Casella, Gian
Francesco Malipiero, Willy Ferrero, Leopold Stokowski, Fritz Reiner,
Vittorio Gui, Tullio Serafin, Giuseppe Del Campo, Nino Sanzogno,
Ermanno Wolf-Ferrari, Carlo Zecchi, John Barbirolli, Herbert Albert,
Franco Ferrara, Guido Cantelli, Thomas Schippers, Dimitri Mitropoulos.
Nel 1938 il Teatro La Fenice divenne Ente Autonomo: anche l’Orchestra
vide un riassetto e un rilancio, grazie pure all’attiva partecipazione al
Festival di Musica Contemporanea della Biennale d’Arte. Negli anni
Quaranta e Cinquanta sotto la guida di Scherchen, Bernstein, Celibidache
(impegnato nell’integrale delle sinfonie beethoveniane), Konwitschny
(nell’integrale del Ring wagneriano) e Stravinskij, la formazione veneziana
diede vita a concerti di portata storica. Negli anni, si sono susseguiti sul
podio veneziano i più celebri direttori d’orchestra, tra i quali ricordiamo
ancora: Bruno Maderna, Herbert von Karajan, Karl Böhm, Claudio
Abbado, Riccardo Muti, Georges Prêtre, Eliahu Inbal, Seiji Ozawa, Lorin
Maazel, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung (recente protagonista della
doppia inaugurazione della stagione 2012-2013 con Otello e Tristan und
Isolde e della stagione 2014-2015 con Simon Boccanegra). Notevole la
proposta di opere contemporanee come The Rake’s Progress di Stravinskij
e The Turn of the Screw di Britten negli anni Cinquanta (entrambe in prima
rappresentazione assoluta), Aus Deutschland (in prima rappresentazione
italiana) ed Entführung im Konzertsaal (in prima rappresentazione assoluta)
di Mauricio Kagel, e recentemente, in prima rappresentazione assoluta,
Medea di Adriano Guarnieri (Premio Abbiati 2003), Signor Goldoni di
Luca Mosca e Il killer di parole di Claudio Ambrosini (Premio Abbiati
2010). Da segnalare inoltre la prima esecuzione assoluta del recentemente
ritrovato Requiem giovanile di Bruno Maderna e, nelle ultime stagioni,
le riprese di Intolleranza 1960 di Luigi Nono e Lou Salomé di Giuseppe
Sinopoli (quest’ultima in prima italiana). In ambito sinfonico l’Orchestra si
è cimentata in vasti cicli, tra cui quelli dedicati a Berg, Mahler e Beethoven,
137
orchestra e coro del teatro la fenice
sotto la direzione di maestri quali Sinopoli, Kakhidze, Masur, Barshai,
Tate, Ahronovitch, Kitajenko, Inbal, Temirkanov. Formazione che si pone
fra le più interessanti realtà del panorama italiano, l’Orchestra del Teatro
La Fenice svolge regolarmente tournée in Italia e all’estero (di recente in
Polonia, Francia, Danimarca, Giappone, Cina, Emirato di Abu Dhabi),
riscuotendo calorosi consensi di pubblico e critica. Tra i direttori principali
dell’Orchestra negli ultimi anni si sono alternati Eliahu Inbal (ricordiamo
le sue integrali delle sinfonie di Beethoven e di Mahler), Vjekoslav Sutej,
Isaac Karabtchevsky (che ha realizzato l’integrale delle sinfonie di Mahler);
tra i principali direttori ospiti ricordiamo Jeffrey Tate. Dal 2002 al 2004
il direttore musicale è stato il compianto Marcello Viotti, che ha diretto
l’Orchestra del Teatro La Fenice in opere quali Thaïs, Les pêcheurs de perles,
Le roi de Lahore. Dal 2007 al 2009 gli è succeduto Eliahu Inbal, che ha
diretto quattro importanti produzioni operistiche: Elektra, Boris Godunov,
il dittico Von heute auf morgen - Pagliacci e Die tote Stadt. Diego Matheuz
è l’attuale direttore principale, nominato nel luglio 2011.
Coro del Teatro La Fenice
È una formazione stabile i cui componenti sono selezionati con concorsi
internazionali. All’impegno nella programmazione operistica del Teatro (in
sede e fuori) esso ha progressivamente affiancato una crescente presenza
nel repertorio sacro, sinfonico e cameristico. Oggi costituisce un punto
fermo anche nella programmazione sinfonica della Fenice e svolge attività
concertistica in Italia ed all’estero sia con l’Orchestra della Fenice che
in formazioni autonome o con altri complessi orchestrali. Nell’ultimo
dopoguerra ne hanno curato la quotidiana preparazione Sante Zanon,
Corrado Mirandola, Aldo Danieli, Ferruccio Lozer, Marco Ghiglione,
Vittorio Sicuri, Giulio Bertola, Giovanni Andreoli, Guillaume Tourniaire,
Piero Monti, Emanuela Di Pietro e attualmente Claudio Marino Moretti.
Tra i direttori con i quali il coro ha collaborato in tempi recenti si annoverano
Abbado, Ahronovitch, Arena, Bertini, Campori, Chung, Clemencic,
Dantone, Ferro, Fournier, Gardiner, Gavazzeni, Gelmetti, Horvat, Inbal,
Kakhidze, Kitajenko, Maazel, Marriner, Melles, Muti, Oren, Pesko, Prêtre,
Santi, Semkov, Sinopoli, Tate, Temirkanov, Thielemann. Il repertorio spazia
dal xvi al xxi secolo. Fra le incisioni discografiche ricordiamo Il barbiere
di Siviglia con Claudio Abbado e Thaïs di Massenet con Marcello Viotti.
Fra i più significativi impegni recenti, l’Oratorio di Natale e la Messa in si
minore di Bach con Riccardo Chailly e Stefano Montanari, il War Requiem
di Britten con Bruno Bartoletti, la Messa da Requiem di Verdi con MyungWhun Chung, le prime esecuzioni assolute del Requiem di Bruno Maderna e
del Killer di parole di Claudio Ambrosini con Andrea Molino, Intolleranza
138
orchestra e coro del teatro la fenice
di Luigi Nono e Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli con Lothar Zagrosek e
due concerti monografici dedicati ad Arvo Pärt e a Ives, Cage e Feldman
con Claudio Marino Moretti.
Claudio Marino Moretti
Inizia gli studi musicali al Conservatorio di Brescia. Si diploma in pianoforte
al Conservatorio di Milano con Antonio Ballista. Collabora per alcuni anni
con Mino Bordignon ai Civici Cori e successivamente con Bruno Casoni al
Teatro Regio di Torino. Fonda il Coro di voci bianche del Teatro Regio e
del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino con il quale svolge un’intensa
attività didattica e concertistica. Dal 2001 al 2008 è maestro del coro al
Teatro Regio di Torino. Dal 2008 è maestro del coro al Teatro La Fenice di
Venezia.
139
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica
Diego Matheuz
direttore principale
Marco Paladin
direttore musicale di palcoscenico e
coordinatore dei complessi artistici
ORCHESTRA
DEL
TEATRO L A FENICE
Violini primi
Viole
Flauti
Trombe
Roberto Baraldi D
Fulvio Furlanut
Nicholas Myall
Mauro Chirico
Loris Cristofoli
Andrea Crosara
Roberto Dall’Igna
Elisabetta Merlo
Sara Michieletto
Martina Molin
Annamaria Pellegrino
Daniela Santi
Xhoan Shkreli
Anna Tositti
Anna Trentin
Maria Grazia Zohar
Alfredo Zamarra •
Antonio Bernardi
Lorenzo Corti
Paolo Pasoli
Maria Cristina Arlotti
Elena Battistella
Rony Creter
Margherita Fanton
Valentina Giovannoli
Anna Mencarelli
Stefano Pio
Angelo Moretti •
Andrea Romani •
Luca Clementi
Fabrizio Mazzacua
Piergiuseppe Doldi •
Fabiano Maniero •
Mirko Bellucco
Eleonora Zanella
Oboi
Tromboni
Violoncelli
Renato Nason
Athos Castellan
Claudio Magnanini
Clarinetti
Tuba
Violini secondi
Alessandro Cappelletto •
Gianaldo Tatone •
Samuel Angeletti Ciaramicoli
Nicola Fregonese
Alessio Dei Rossi
Maurizio Fagotto
Emanuele Fraschini
Maddalena Main
Luca Minardi
Mania Ninova
Suela Piciri
Elizaveta Rotari
Aldo Telesca
Livio Salvatore Troiano
Johanna Verheijen
Alessandro Zanardi •
Nicola Boscaro
Marco Trentin
Bruno Frizzarin
Paolo Mencarelli
Filippo Negri
Antonino Puliafito
Mauro Roveri
Renato Scapin
Contrabbassi
Matteo Liuzzi •
Stefano Pratissoli •
Massimo Frison
Walter Garosi
Ennio Dalla Ricca
Giulio Parenzan
Marco Petruzzi
Denis Pozzan
Ottavino
Franco Massaglia
D primo violino di spalla
• prime parti
Rossana Calvi •
Marco Gironi •
Angela Cavallo
Valter De Franceschi
Corno inglese
Vincenzo Paci •
Simone Simonelli •
Federico Ranzato
Claudio Tassinari
Fagotti
Roberto Giaccaglia •
Marco Giani •
Roberto Fardin
Controfagotto
Fabio Grandesso
Corni
Konstantin Becker •
Andrea Corsini •
Loris Antiga
Adelia Colombo
Stefano Fabris
Guido Fuga
Giuseppe Mendola •
Domenico Zicari •
Federico Garato
Tromboni bassi
Alessandro Ballarin
Timpani
Dimitri Fiorin •
Percussioni
Claudio Cavallini
Gottardo Paganin
Pianoforte
Carlo Rebeschini •
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica
Claudio Marino Moretti
maestro del Coro
CORO
DEL
Ulisse Trabacchin
altro maestro del Coro
TEATRO L A FENICE
Soprani
Alti
Tenori
Bassi
Nicoletta Andeliero
Cristina Baston
Lorena Belli
Anna Maria Braconi
Lucia Braga
Caterina Casale
Mercedes Cerrato
Emanuela Conti
Chiara Dal Bo’
Milena Ermacora
Alessandra Giudici
Susanna Grossi
Michiko Hayashi
Maria Antonietta Lago
Anna Malvasio
Loriana Marin
Antonella Meridda
Alessia Pavan
Lucia Raicevich
Andrea Lia Rigotti
Ester Salaro
Elisa Savino
Valeria Arrivo
Claudia Clarich
Marta Codognola
Roberta De Iuliis
Simona Forni
Elisabetta Gianese
Manuela Marchetto
Eleonora Marzaro
Misuzu Ozawa
Gabriella Pellos
Francesca Poropat
Orietta Posocco
Nausica Rossi
Paola Rossi
Domenico Altobelli
Ferruccio Basei
Cosimo D’Adamo
Dionigi D'Ostuni
Enrico Masiero
Carlo Mattiazzo
Stefano Meggiolaro
Roberto Menegazzo
Dario Meneghetti
Ciro Passilongo
Marco Rumori
Bo Schunnesson
Salvatore Scribano
Massimo Squizzato
Paolo Ventura
Bernardino Zanetti
Giuseppe Accolla
Carlo Agostini
Giampaolo Baldin
Julio Cesar Bertollo
Antonio Casagrande
Antonio S. Dovigo
Salvatore Giacalone
Umberto Imbrenda
Massimiliano Liva
Gionata Marton
Nicola Nalesso
Emanuele Pedrini
Mauro Rui
Roberto Spanò
Franco Zanette
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa
SOVRINTENDENZA
Cristiano Chiarot sovrintendente
Rossana Berti
Cristina Rubini
DIREZIONI
OPERATIVE
PERSONALE E SVILUPPO
ORGANIZZATIVO
MARKETING - COMMERCIALE
E COMUNICAZIONE
Giorgio Amata
Giampiero Beltotto
direttore
Lucio Gaiani
responsabile ufficio
gestione del personale
Alessandro Fantini
controllo di gestione e
coordinatore attività
metropolitane
Stefano Callegaro
Giovanna Casarin
Antonella D’Este
Alfredo Iazzoni
Renata Magliocco
Lorenza Vianello
Fabrizio Penzo ◊
AMMINISTRATIVA E
CONTROLLO
direttore
Nadia Buoso
responsabile della biglietteria
Laura Coppola
Alessia Libettoni ◊
Jacopo Longato ◊
Mauro Rocchesso
UFFICIO STAMPA
Ruggero Peraro
Barbara Montagner
responsabile
Elisabetta Gardin ◊
Andrea Pitteri ◊
Pietro Tessarin ◊
direttore
Lorenza Bortoluzzi
Dino Calzavara
Anna Trabuio
SERVIZI GENERALI
responsabile e RSPP
nnp *
Liliana Fagarazzi
Stefano Lanzi
Nicola Zennaro
Marco Giacometti ◊
ARCHIVIO STORICO
Domenico Cardone
direttore
Marina Dorigo
Franco Rossi
consulente scientifico
AREA FORMAZIONE E MULTIMEDIA
Simonetta Bonato
responsabile
Andrea Giacomini
Thomas Silvestri
Alessia Pelliciolli ◊
◊ a termine
* nnp nominativo non pubblicato per mancato consenso
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa
DIREZIONE
ARTISTICA
Fortunato Ortombina direttore artistico
Diego Matheuz direttore principale
Bepi Morassi direttore della produzione
Franco Bolletta consulente artistico per la danza
SEGRETERIA ARTISTICA
DIREZIONE SERVIZI DI ORGANIZZAZIONE
DELLA PRODUZIONE
DIREZIONE ALLESTIMENTO
SCENOTECNICO
Lucas Christ ◊
Lorenzo Zanoni
Massimo Checchetto
UFFICIO CASTING
Anna Migliavacca
Monica Fracassetti
SERVIZI MUSICALI
Cristiano Beda
Salvatore Guarino
Andrea Rampin
Francesca Tondelli
ARCHIVIO MUSICALE
Gianluca Borgonovi
Tiziana Paggiaro
◊ a termine
direttore di scena e palcoscenico
Valter Marcanzin
altro direttore di scena e palcoscenico
Lucia Cecchelin
responsabile produzione
Silvia Martini
Fabio Volpe
Paolo Dalla Venezia ◊
direttore
Carmen Attisani ◊
Area tecnica
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Tecnica
Macchinisti,
falegnameria,
magazzini
Elettricisti
Audiovisivi
Attrezzeria
Interventi
scenografici
Sartoria
e vestizione
Massimiliano Ballarini
capo reparto
Andrea Muzzati
vice capo reparto
Roberto Rizzo
vice capo reparto
Mario Visentin
vice capo reparto
Paolo De Marchi
responsabile
falegnameria
Michele Arzenton
Pierluca Conchetto
Roberto Cordella
Antonio Covatta
nnp*
Dario De Bernardin
Roberto Gallo
Michele Gasparini
Roberto Mazzon
Carlo Melchiori
Francesco Nascimben
Francesco Padovan
Claudio Rosan
Stefano Rosan
Paolo Rosso
Massimo Senis
Luciano Tegon
Andrea Zane
Mario Bazzellato ◊
Vitaliano Bonicelli ◊
Franco Contini ◊
Cristiano Gasparini ◊
Luca Micconi ◊
Stefano Neri ◊
Giovanni Pancino ◊
Paolo Scarabel ◊
Vilmo Furian
capo reparto
Fabio Barettin
vice capo reparto
Costantino Pederoda
vice capo reparto
Alberto Bellemo
Andrea Benetello
Marco Covelli
Federico Geatti
Roberto Nardo
Maurizio Nava
Marino Perini
nnp*
Alberto Petrovich
nnp*
Luca Seno
Teodoro Valle
Giancarlo Vianello
Massimo Vianello
Roberto Vianello
Alessandro Diomede ◊
Michele Voltan ◊
Alessandro Ballarin
capo reparto
Michele Benetello
Cristiano Faè
Stefano Faggian
Tullio Tombolani
Marco Zen
Roberto Fiori
capo reparto
Sara Valentina
Bresciani
vice capo reparto
Salvatore De Vero
Vittorio Garbin
Romeo Gava
Dario Piovan
Paola Ganeo ◊
Roberto Pirrò ◊
Marcello Valonta Carlos Tieppo ◊
Giorgio Mascia ◊ capo reparto
Emma Bevilacqua
vice capo reparto
Bernadette Baudhuin
Valeria Boscolo
Luigina Monaldini
Silvana Dabalà ◊
Luisella Isicato ◊
Stefania Mercanzin ◊
Paola Milani
addetta calzoleria
◊ a termine
* nnp nominativo non pubblicato per mancato
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
LIRICA
E BALLETTO 2014-2015
DOPPIA INAUGURAZIONE
Teatro La Fenice
22 / 25 / 30 novembre
2 / 4 / 6 dicembre 2014
Simon Boccanegra
musica di Giuseppe Verdi
versione definitiva 1881
personaggi e interpreti principali
Simon Boccanegra Simone Piazzola
Maria Boccanegra Maria Agresta
Jacopo Fiesco Giacomo Prestia
Gabriele Adorno Francesco Meli
Paolo Albiani Julian Kim
maestro concertatore e direttore
Myung-Whun Chung
regia e scene Andrea De Rosa
costumi Alessandro Lai
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
in coproduzione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
con il sostegno del Freundeskreis des Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
23 / 27 / 29 novembre
5 / 7 dicembre 2014
La traviata
musica di Giuseppe
versione 1854
Verdi
personaggi e interpreti principali
Violetta Valéry Francesca Dotto
Alfredo Germont Leonardo Cortellazzi
Giorgio Germont Marco Caria
maestro concertatore e direttore
Diego Matheuz
regia Robert Carsen
scene e costumi Patrick Kinmonth
coreografia Philippe Giraudeau
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
con il sostegno del Freundeskreis des Teatro La Fenice
100a replica dell’allestimento che il 12 novembre 2004 inaugurò la Fenice ricostruita
Teatro La Fenice
14 / 15 / 16 / 17 / 18 / 20 gennaio
2015
I Capuleti e i
Montecchi
musica di
Vincenzo Bellini
personaggi e interpreti principali
Giulietta Jessica Pratt / Mihaela
Marcu
Romeo Sonia Ganassi / Paola Gardina
Tebaldo Shalva Mukeria / Francesco
Marsiglia
maestro concertatore e direttore
Omer Meir Wellber
regia Arnaud Bernard
scene Alessandro Camera
costumi Maria Carla Ricotti
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
in coproduzione con Fondazione Arena di
Verona e Opera Nazionale Ellenica
Teatro Malibran
23 / 25 / 27 / 29 / 31 gennaio 2015
Il signor Bruschino
musica di
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Gaudenzio Omar Montanari
Sofia Irina Dubrovskaya
maestro concertatore e direttore
Francesco Ommassini
Bepi Morassi
Scuola di
scenografia dell’Accademia di
Belle Arti di Venezia
regia
scene, costumi e luci
Orchestra del Teatro La Fenice
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
nell’ambito del progetto Atelier della Fenice
al Teatro Malibran
LIRICA
E BALLETTO 2014-2015
Teatro La Fenice
30 gennaio
1 / 7 / 12 / 19 febbraio 2015
L’elisir d’amore
musica di
Gaetano Donizetti
PROGETTO EXPO TRAVIATA
13 febbraio - 4 ottobre 2015
personaggi e interpreti principali
Adina Mihaela Marcu
Nemorino Giorgio Misseri
Belcore Alessandro Luongo
Il dottor Dulcamara Carlo Lepore
La traviata
maestro concertatore e direttore
scene e costumi
Omer Meir Wellber
regia Bepi Morassi
scene e costumi Gianmaurizio
Fercioni
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
musica di Giuseppe Verdi
versione 1854
regia Robert Carsen
coreografia
Patrick Kinmonth
Philippe Giraudeau
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
13 / 15 / 17 / 21 febbraio
21 / 25 / 27 / 29 marzo 2015
maestro concertatore e direttore
Teatro La Fenice
8 / 14 / 18 / 20 / 22 febbraio 2015
Don Pasquale
musica di
Gaetano Donizetti
personaggi e interpreti principali
Don Pasquale Roberto Scandiuzzi
Il dottor Malatesta Davide Luciano
Ernesto Alessandro Scotto Di Luzio
Norina Barbara Bargnesi
maestro concertatore e direttore
Omer Meir Wellber
regia Italo Nunziata
scene e costumi Pasquale Grossi
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Omer Meir Wellber
Teatro La Fenice
24 / 26 aprile
3 / 7 / 9 / 21 / 23 / 29 maggio
4 / 7 / 9 / 13 giugno 2015
maestro concertatore e direttore
Gaetano d’Espinosa / Francesco Ivan Ciampa
Teatro La Fenice
28 / 30 agosto
1 / 3 / 8 / 13 / 15 / 18 / 23 / 27 / 29 settembre - 4 ottobre 2015
maestro concertatore e direttore
Riccardo Frizza
LIRICA
E BALLETTO 2014-2015
Teatro La Fenice
20 / 22 / 24 / 26 / 28 marzo 2015
Alceste
musica di
Gluck
Christoph Willibald
versione originale in italiano, Vienna 1767
Teatro La Fenice
20 / 24 / 27 / 30 maggio
3 / 6 giugno 2015
Norma
musica di
Vincenzo Bellini
Teatro La Fenice
25 / 27 / 30 giugno 2015
3 / 5 luglio 2015
Juditha triumphans
musica di
Antonio Vivaldi
personaggi e interpreti principali
Pollione Gregory Kunde
Oroveso Dmitry Beloselskiy
Norma Anna Pirozzi / Maria Billeri
Adalgisa Veronica Simeoni
personaggi e interpreti principali
Juditha Manuela Custer
Vagaus Paola Gardina
Holofernes Teresa Iervolino
Abra Giulia Semenzato
maestro concertatore e direttore
maestro concertatore e direttore
maestro del Coro
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
in coproduzione con il Centre de Musique
Baroque de Versailles
e la Fondazione Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino
nel tricentenario della nascita di Christoph
Willibald Gluck (1714)
maestro del Coro
maestro del Coro
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
progetto speciale della 56. Esposizione
Internazionale d’Arte della Biennale di
Venezia
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
nell’ambito del Festival «Lo spirito della
musica di Venezia»
personaggi e interpreti principali
Alceste Carmela Remigio
maestro concertatore e direttore
Guillaume Tourniaire
regia, scene e costumi
Pier Luigi Pizzi
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
Claudio Marino Moretti
Teatro La Fenice
8 / 10 / 22 / 26 / 28 / 31 maggio 2015
Madama Butterfly
musica di Giacomo
versione 1907
Puccini
personaggi e interpreti principali
Cio-Cio-San Svetlana Kasyan
Suzuki Manuela Custer
Pinkerton Vincenzo Costanzo
Sharpless Luca Grassi
maestro concertatore e direttore
Jader Bignamini
regia Àlex Rigola
scene e costumi Mariko Mori
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
progetto speciale nel 2013 della 55.
Esposizione Internazionale d’Arte della
Biennale di Venezia
Gaetano d’Espinosa
regia, scene e costumi Kara Walker
Claudio Marino Moretti
Teatro Malibran
24 / 26 / 28 giugno 2015
2 / 4 luglio 2015
La scala di seta
musica di
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Giulia Irina Dubrovskaya
Dorvil Giorgio Misseri
Germano Omar Montanari
maestro concertatore e direttore
Francesco Pasqualetti
regia Bepi Morassi
scene, costumi e luci Scuola di
scenografia dell’Accademia di
Belle Arti di Venezia
Orchestra del Teatro La Fenice
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
produzione Atelier della Fenice al Teatro
Malibran
nell’ambito del Festival «Lo spirito della
musica di Venezia»
Alessandro De Marchi
regia Elena Barbalich
Claudio Marino Moretti
Teatro La Fenice
15 / 16 / 17 luglio 2015
Hamburg Ballett - John
Neumeier
Terza sinfonia di
Gustav Mahler
John Neumeier
Gustav Mahler
coreografia di
musica di
interpreti primi ballerini, solisti e
corpo di ballo dell’Hamburg Ballett John Neumeier
allestimento Hamburg Ballett
nei quarant’anni della prima assoluta
amburghese e della prima italiana in Piazza
San Marco
nell’ambito del Festival «Lo spirito della
musica di Venezia»
LIRICA
E BALLETTO 2014-2015
Teatro La Fenice
22 / 23 luglio 2015
Teatro La Fenice
12 / 17 / 19 / 24 / 26 settembre 2015
Giovani talenti diplomati presso le
migliori accademie internazionali
musica di
Gala internazionale di
danza
quarta edizione
nell’ambito del Festival «Lo spirito della
musica di Venezia»
La cambiale
di matrimonio
Gioachino Rossini
personaggi e interpreti principali
Tobia Mill Omar Montanari
Fannì Marina Bucciarelli
Edoardo Milfort Giorgio Misseri
maestro concertatore e direttore
Teatro La Fenice
29 agosto
2 / 6 / 11 / 16 / 20 / 22 / 25 settembre
2 ottobre 2015
Tosca
musica di
Giacomo Puccini
maestro concertatore e direttore
Riccardo Frizza
regia Serena Sinigaglia
scene Maria Spazzi
costumi Federica Ponissi
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Lorenzo Viotti
regia Enzo Dara
Scuola di
scenografia dell’Accademia di
Belle Arti di Venezia
scene, costumi e luci
Orchestra del Teatro La Fenice
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
produzione Atelier della Fenice al Teatro
Malibran
Teatro Malibran
6 / 8 / 10 / 11 / 13 ottobre 2015
Dittico
Il diario di uno scomparso
(Zápisník zmizelého)
musica di Leoš Janáček
personaggi e interpreti principali
Janek Leonardo Cortellazzi
Claudio Marino Moretti
Coro del Teatro La Fenice
pianoforte
La voce umana
(La voix humaine)
musica di Francis Poulenc
personaggi e interpreti
Una donna Ángeles Blancas Gulín
maestro concertatore e direttore
Francesco Lanzillotta
Orchestra del Teatro La Fenice
regia
Gianmaria Aliverta
nuovo allestimento Fondazione Teatro
La Fenice
Teatro La Fenice
20 / 21 / 22 / 23 / 24 / 25 / 27 / 28 / 29
/ 30 / 31 ottobre 2015
Die Zauberflöte
(Il flauto magico)
musica di
Mozart
Wolfgang Amadeus
personaggi e interpreti principali
Sarastro Goran Juri
Tamino Antonio Poli
Pamina Ekaterina Bakanova
Papageno Alex Esposito
maestro concertatore e direttore
Antonello Manacorda
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La
Fenice
in coproduzione con la Fondazione Teatro
del Maggio Musicale Fiorentino
STAGIONE
SINFONICA 2014-2015
Teatro La Fenice
12 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
14 dicembre 2014 ore 17.00 turno U
Teatro La Fenice
19 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
20 dicembre 2014 ore 17.00 f.a.
6 marzo 2015 ore 20.00 turno S
8 marzo 2015 ore 17.00 turno U
direttore
direttore
Lorenzo Viotti
Dmitrij Šostakovič
Felix Mendelssohn Bartholdy
Diego Matheuz
Ouverture festiva in la maggiore op. 96
Concerto per violino e orchestra n. 1
in la minore op. 77
violino Anna Tifu
Sinfonia n. 5 in re minore op. 47
Orchestra del Teatro La Fenice
Gabriele Ferro
Ludwig van Beethoven
Adagio per archi op. 11a
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
Igor Stravinskij
Claudio Marino Moretti
direttore
direttore
Canzon per sonar a otto, primi toni
Alessandro Grandi
Messa concertata seconda a otto voci
(1637)
Teatro La Fenice
31 gennaio 2015 ore 20.00 f.a.
Alexandre Bloch
Canzon a otto a due cori
Le tombeau de Couperin
Pulcinella, suite per orchestra
Ma mère l’Oye, suite per orchestra
Orchestra di Padova e del
Veneto
progetto «Orchestre e teatri del Veneto alla
Fenice»
I Solisti della Cappella Marciana
in collaborazione con la Procuratoria
di San Marco
direttore
Federico Gardella
Maurice Ravel
Maurice Ravel
Francesco Cavalli
Teatro Malibran
13 marzo 2015 ore 20.00 turno S
14 marzo 2015 ore 17.00 turno U
Jonathan Webb
Cinque mottetti
per la Messa del Santo Natale
Canzon in eco a otto
Orchestra del Teatro La Fenice
Pelléas et Mélisande, suite op. 80
Igor Stravinskij
Giovanni Battista Grillo
Sinfonia in do
Gabriel Fauré
prima esecuzione in tempi moderni
prima esecuzione in tempi moderni
Samuel Barber
Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93
Basilica di San Marco
17 dicembre 2014 ore 20.00 solo per
invito
18 dicembre 2014 ore 20.00 turno S
Giovanni Gabrieli
Wolfgang Amadeus Mozart
Die Entführung aus dem Serail KV 384:
Salmo 42 per soprano, coro e orchestra Ouverture
op. 42
Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385
Haffner
soprano Monica Bacelli
maestro del Coro
Marco Gemmani
direttore
vincitore del Premio Una vita nella musica
Nuove generazioni 2014
Metrica dell’istante
Nuova commissione nell’ambito del
progetto «Nuova musica alla Fenice»
con il sostegno della Fondazione Amici della
Fenice
prima esecuzione assoluta
Benjamin Britten
Quatre chansons françaises
per soprano e orchestra
Edward Elgar
Serenata per archi in mi minore op. 20
Teatro La Fenice
27 febbraio 2015 ore 20.00 turno S
28 febbraio 2015 ore 17.00 turno U*
direttore
Diego Matheuz
Pēteris Vasks
Cantabile per archi
Francis Poulenc
Concerto per due pianoforti e orchestra
in re minore FP 61
pianoforti
Anna Barutti, Massimo Somenzi
Dmitrij Šostakovič
Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore
op. 70
Orchestra del Teatro La Fenice
* in collaborazione con gli Amici della
Musica di Mestre
Teatro Malibran
Franz Joseph Haydn
Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92
Oxford
Orchestra del Teatro La Fenice
STAGIONE
SINFONICA 2014-2015
Teatro La Fenice
2 aprile 2015 ore 20.00 turno S
4 aprile 2015 ore 17.00 turno U
Teatro Malibran
30 aprile 2015 ore 20.00 turno S
2 maggio 2015 ore 20.00 f.a.
Teatro La Fenice
26 giugno 2015 ore 20.00 turno S
direttore
direttore
John Axelrod
Franz Joseph Haydn
Johannes Brahms
Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94
La sorpresa
Ouverture tragica in re minore op. 81
Dmitrij Šostakovič
Sinfonia op. 21 per orchestra da camera Johannes Brahms
Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Pierre Boulez
Livre pour cordes
Orchestra Sinfonica di Milano
Yuri Temirkanov
Michel Tabachnik
direttore
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Anton Webern
Concerto per violino e orchestra
in re maggiore op. 35
violino Vadim Gluzman
vincitore del Premio Venezia 2013
tromba Piergiuseppe Doldi
Johannes Brahms
Giuseppe Verdi
Johannes Brahms
Orchestra del Teatro La Fenice
Concerto per pianoforte, orchestra
d’archi e tromba in do minore op. 35
pianoforte Alexander Gadjiev
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73
Orchestra del Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
10 aprile 2015 ore 20.00 turno S
11 aprile 2015 ore 17.00 turno U
direttore
Jeffrey Tate
Gustav Mahler
Sinfonia n. 9 in re maggiore
Orchestra del Teatro La Fenice
Teatro Malibran
18 aprile 2015 ore 20.00 turno S
19 aprile 2015 ore 17.00 turno U
direttore
John Axelrod
Igor Stravinskij
Apollon musagète, balletto
in due quadri per orchestra d’archi
Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Teatro La Fenice
12 giugno 2015 ore 20.00 turno S
14 giugno 2015 ore 20.00 f.a.
direttore e violoncello solista
Teatro La Fenice
28 giugno 2015 ore 20.00 turno S
direttore
Alessandro De Marchi
Filippo Perocco
Mario Brunello
Vestita di sole, segno grande nel cielo
per coro e orchestra d’archi
Franz Joseph Haydn
commissione Fondazione Teatro La Fenice
prima esecuzione assoluta
Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60
Il distratto
Concerto per violoncello e orchestra
in do maggiore Hob. VIIb: 1
Antonio Vivaldi
«Nulla in mundo pax sincera»,
mottetto per soprano, archi e continuo
in mi maggiore RV 630
Orazio Sciortino
soprano Giulia Semenzato
Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre
Concerto per archi e continuo
1915
in sol maggiore RV 151 Alla rustica
nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Gloria per soli, coro e orchestra
Fenice»
in re maggiore RV 589
con il sostegno della Fondazione Amici della
Fenice
prima esecuzione assoluta
Nino Rota
Orchestra e Coro
del Teatro La Fenice
maestro del Coro
Concerto per violoncello e orchestra n. 2 Claudio Marino Moretti
Orchestra del Teatro La Fenice
Aleksandr Skrjabin
Sinfonia n. 2 in do minore op. 29
Orchestra del Teatro La Fenice
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
DI VENEZIA
foto
Diego Matheuz: Marco Caselli Nirmal, Michele Crosera, Lucas Dawson
Marco Gemmani: Stefano Barzizza
Orchestra di Padova e del Veneto: Alessandra Lazzarotto
Alexandre Bloch: Sebastian Ene
Lorenzo Viotti: Stephan Doleschal
Jonathan Webb: Maurizio Montanari
Yuri Temirkanov: Stas Levshin
Jeffrey Tate: Matthias Mramor
John Axelrod: Priska Ketterrer, Daniel Vass
Michel Tabachnik: Jean-Baptiste Millot
Orazio Sciortino: Davide Patanè
Mario Brunello: Giulio Favotto / Otium
Filippo Perocco: Michele Crosera
Il Teatro La Fenice è disponibile a regolare eventuali diritti di riproduzione
per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Edizioni del Teatro La Fenice di Venezia
a cura dell’Ufficio stampa
redazione
Barbara Montagner, Elena Tonolo
realizzazione grafica
Grafotech
Supplemento a
La Fenice
Notiziario di informazione musicale culturale e avvenimenti culturali
della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
dir. resp. Cristiano Chiarot
aut. trib. di Ve 10.4.1997
iscr. n. 1257, R.G. stampa
concessionarie per la pubblicità
A.P. Comunicazione
VeNet comunicazioni
IVA assolta dall'editore ex art. 74 DPR 633/1972
finito di stampare
nel mese di dicembre 2014
da Imprimenda - Limena (PD)
,00
e
15
FONDAZIONE
AMICI
DELLA
Il Teatro La Fenice, nato nel 1792 dalle ceneri
del vecchio Teatro San Benedetto per opera di
Giannantonio Selva, appartiene al patrimonio
culturale di Venezia e del mondo intero: come ha
confermato l’ondata di universale commozione
dopo l’incendio del gennaio 1996 e la spinta di
affettuosa partecipazione che ha accompagnato
la rinascita a nuova vita della Fenice, ancora una
volta risorta dalle sue ceneri.
Imprese di questo impegno spirituale e materiale,
nel quadro di una società moderna, hanno
bisogno di essere appoggiate e incoraggiate
dall’azione e dall’iniziativa di istituzioni e
persone private: in tale prospettiva si è costituita
nel 1979 l’Associazione «Amici della Fenice»,
con lo scopo di sostenere e affiancare il Teatro
nelle sue molteplici attività e d’incrementare
l’interesse attorno ai suoi allestimenti e ai suoi
programmi. La Fondazione Amici della Fenice
attende la risposta degli appassionati di musica e
di chiunque abbia a cuore la storia teatrale e
culturale di Venezia: da Voi, dalla Vostra
partecipazione attiva, dipenderà in misura
decisiva il successo del nostro progetto.
Sentitevi parte viva del nostro Teatro!
Associatevi dunque e fate conoscere le nostre
iniziative a tutti gli amici della musica, dell’arte
e della cultura.
Quote associative
Ordinario € 60
Benemerito € 250
Emerito
€ 1.000
Sostenitore € 120
Donatore € 500
I versamenti vanno effettuati su
Iban: IT77 Y 03069 02117 1000 0000 7406
Intesa San Paolo
intestati a
Fondazione Amici della Fenice
Campo San Fantin 1897, San Marco
30124 Venezia
Tel e fax: 041 5227737
FENICE
Consiglio direttivo
Luciana Bellasich Malgara, Alfredo Bianchini,
Carla Bonsembiante, Yaya Coin Masutti, Emilio
Melli, Antonio Pagnan, Orsola Spinola, Paolo
Trentinaglia de Daverio, Barbara di Valmarana
Presidente Barbara di Valmarana
Tesoriere Luciana Bellasich Malgara
Revisori dei conti Carlo Baroncini, Gianguido
Ca’ Zorzi
Contabilità Nicoletta di Colloredo
Segreteria organizzativa Maria Donata Grimani,
Alessandra Toffanin
Viaggi musicali Teresa De Bello
I soci hanno diritto a:
• Inviti a conferenze di presentazione delle
opere in cartellone
• Partecipazione a viaggi musicali organizzati
per i soci
• Inviti ad iniziative e manifestazioni musicali
• Inviti al «Premio Venezia», concorso
pianistico
• Sconti al Fenice-bookshop
• Visite guidate al Teatro La Fenice
• Prelazione nell’acquisto di abbonamenti e
biglietti fino ad esaurimento dei posti
disponibili
• Invito alle prove aperte per i concerti e le
opere
Le principali iniziative della Fondazione
• Restauro del Sipario Storico del Teatro La
Fenice: olio su tela di 140 mq dipinto da
Ermolao Paoletti nel 1878, restauro eseguito
grazie al contributo di Save Venice Inc.
• Commissione di un’opera musicale a Marco
Di Bari nell’occasione dei 200 anni del Teatro
La Fenice
• Premio Venezia Concorso Pianistico
• Incontri con l’opera
e-mail: [email protected] - sito web: www.amicifenice.it
INIZIATIVE PER IL TEATRO DOPO L’INCENDIO
EFFETTUATE GRAZIE AL CONTO «RICOSTRUZIONE»
Restauri
• Modellino ligneo settecentesco del Teatro La Fenice dell’architetto Giannantonio Selva, scala 1: 25
• Consolidamento di uno stucco delle Sale Apollinee
• Restauro del sipario del Teatro Malibran con un contributo di Yoko Nagae Ceschina
Donazioni
Sipario del Gran Teatro La Fenice offerto da Laura Biagiotti a ricordo del marito Gianni Cigna
Acquisti
• Due pianoforti a gran coda da concerto Steinway
• Due pianoforti da concerto Fazioli
• Due pianoforti verticali Steinway
• Un clavicembalo
• Un contrabbasso a 5 corde
• Un Glockenspiel
• Tube wagneriane
• Stazione multimediale per Ufficio Decentramento
PUBBLICAZIONI
Il Teatro La Fenice. I progetti, l’architettura, le decorazioni, di Manlio Brusatin e Giuseppe Pavanello,
con un saggio di Cesare De Michelis, Venezia, Albrizzi, 19871, 19962 (dopo l’incendio);
Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli, 1792-1991, 2 voll., di Michele Girardi e Franco Rossi, Venezia, Albrizzi, 1989-1992 (pubblicato con il contributo di Yoko Nagae Ceschina);
Gran Teatro La Fenice, a cura di Terisio Pignatti, con note storiche di Paolo Cossato, Elisabetta Martinelli Pedrocco, Filippo Pedrocco, Venezia, Marsilio, 19811, 19842, 19943;
L’immagine e la scena. Bozzetti e figurini dall’archivio del Teatro La Fenice, 1938-1992, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1992;
Giuseppe Borsato scenografo alla Fenice, 1809-1823, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio,
1995;
Francesco Bagnara scenografo alla Fenice, 1820-1839, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio,
1996;
Giuseppe e Pietro Bertoja scenografi alla Fenice, 1840-1902, a cura di Maria Ida Biggi e Maria Teresa
Muraro, Venezia, Marsilio, 1998;
Il concorso per la Fenice 1789-1790, di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1997;
I progetti per la ricostruzione del Teatro La Fenice, 1997, Venezia, Marsilio, 2000;
Teatro Malibran, a cura di Maria Ida Biggi e Giorgio Mangini, con saggi di Giovanni Morelli e Cesare
De Michelis, Venezia, Marsilio, 2001;
La Fenice 1792-1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, di Anna Laura Bellina e Michele Girardi, Venezia, Marsilio, 2003;
Il mito della fenice in Oriente e in Occidente, a cura di Francesco Zambon e Alessandro Grossato, Venezia, Marsilio, 2004;
Pier Luigi Pizzi alla Fenice, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 2005;
A Pier Luigi Pizzi. 80, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Amici della Fenice, 2010.
Presidente
Fabio Cerchiai
Consiglio d’Amministrazione
Fabio Achilli
Ugo Campaner
Fabio Cerchiai
Cristiano Chiarot
Franca Coin
Giovanni Dell’Olivo
Jas Gawronski
Francesco Panfilo
Luciano Pasotto
Eugenio Pino
Vittorio Radice
Direttore
Giusi Conti
Collegio Sindacale
Giampietro Brunello
Presidente
Giancarlo Giordano
Paolo Trevisanato
FEST srl
Fenice Servizi Teatrali