Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Stagione Sinfonica 2014-2015 Fondazione Teatro La Fenice di Venezia FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA Stagione Sinfonica 2014-2015 FONDAZIONE AMICI DELLA FENICE STAGIONE 2013-2014 Incontro con l’opera martedì 18 novembre 2014 ore 18.00 GIORGIO PESTELLI Simon Boccanegra lunedì 12 gennaio 2015 ore 18.00 GIOVANNI BIETTI I Capuleti e i Montecchi mercoledì 21 gennaio 2015 ore 18.00 ALBERTO MATTIOLI Il signor Bruschino martedì 27 gennaio 2015 ore 18.00 LUCA MOSCA L’elisir d’amore giovedì 5 febbraio 2015 ore 18.00 LUCA MOSCA Don Pasquale lunedì 16 marzo 2015 ore 17.30 PIER LUIGI PIZZI Alceste venerdì 15 maggio 2015 ore 18.00 MASSIMO CONTIERO Norma lunedì 22 giugno 2015 ore 17.30 GIANNI GARRERA Juditha triumphans lunedì 7 settembre 2015 ore 18.00 SANDRO CAPPELLETTO La cambiale di matrimonio giovedì 1 ottobre 2015 ore 17.00 DANIELE SPINI Clavicembalo francese a due manuali copia dello strumento di Goermans-Taskin, costruito attorno alla metà del XVIII secolo (originale presso la Russell Collection di Edimburgo). Opera del M° cembalaro Luca Vismara di Seregno (MI); ultimato nel gennaio 1998. Le decorazioni, la laccatura a tampone e le chinoiseries – che sono espressione di gusto tipicamente settecentesco per l’esotismo orientaleggiante, in auge soprattutto in ambito francese – sono state eseguite dal laboratorio dei fratelli Guido e Dario Tonoli di Meda (MI). Il diario di uno scomparso La voix humaine venerdì 16 ottobre 2015 ore 18.00 CARLA MORENI e PAOLO BARATTA Die Zauberflöte Incontro con il balletto lunedì 13 luglio 2015 ore 18.00 SILVIA POLETTI e FRANCO BOLLETTA Terza sinfonia di Gustav Mahler Caratteristiche tecniche: estensione fa1 - fa5, trasposizione tonale da 415 Hz a 440 Hz, dimensioni 247 × 93 × 28 cm. Dono al Teatro La Fenice degli Amici della Fenice, gennaio 1998. e-mail: [email protected] www.amicifenice.it tutti gli incontri avranno luogo presso il Teatro La Fenice - Sale Apollinee CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO DI VENEZIA Incontri con la stagione sinfonica Conferenze introduttive alla Stagione sinfonica 2014-2015 del Teatro La Fenice mercoledì 10 dicembre 2014 relatore Monica Bertagnin concerto diretto da Diego Matheuz (12 e 14 dicembre) musiche di Šostakovic martedì 16 dicembre 2014 relatore Giovanni Toffano concerto diretto da Marco Gemmani (Basilica di San Marco 17 e 18 dicembre) musiche di Gabrieli, Grandi, Grillo e Cavalli giovedì 18 dicembre 2014 relatore Franco Rossi concerto diretto da Gabriele Ferro (19 e 20 dicembre) musiche di Mendelssohn e Beethoven mercoledì 28 gennaio 2015 relatore Giovanni Battista Rigon mercoledì 25 febbraio 2015 relatore Federica Lotti mercoledì 4 marzo 2015 relatore Giovanni Mancuso mercoledì 11 marzo 2015 relatore Marco Peretti mercoledì 1 aprile 2015 relatore Franco Rossi concerto diretto da Alexandre Bloch (31 gennaio) musiche di Fauré, Britten, Stravinskij e Ravel concerto diretto da Diego Matheuz (27 e 28 febbraio) musiche di musiche di Vasks, Poulenc e Šostakovic concerto diretto da Lorenzo Viotti (Teatro Malibran 6 e 8 marzo) musiche di Mozart, Barber e Stravinskij concerto diretto da Jonathan Webb (Teatro Malibran 13 e 14 marzo) musiche di Gardella, Britten, Elgar e Haydn concerto diretto da Yuri Temirkanov (2 e 4 aprile) musiche di Haydn, Šostakovic e Brahms mercoledì 8 aprile 2015 relatore Michael Summers concerto diretto da Jeffrey Tate (10 e 11 aprile) musiche di Mahler mercoledì 15 aprile 2015 relatore Massimo Contiero concerto diretto da John Axelrod (Teatro Malibran 18 e 19 aprile) musiche di Stravinskij e Skrjabin mercoledì 29 aprile 2015 relatore Stefania Lucchetti concerto diretto da Michel Tabachnik (Teatro Malibran 30 aprile e 2 maggio) musiche di Brahms, Webern e Boulez mercoledì 10 giugno 2015 relatore Francesco Erle concerti diretti da Mario Brunello (12 e 14 giugno) musiche di Sciortino, Haydn e Rota INGRESSO LIBERO ore 17.30 Tutti gli incontri avranno luogo presso la sala n. 17 p.t. del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA Radio3 per la Fenice Opere della Stagione lirica 2014-2015 trasmesse dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran sabato 22 novembre 2014 ore 18.00 diretta Euroradio Simon Boccanegra mercoledì 14 gennaio 2015 ore 19.00 diretta Euroradio I Capuleti e i Montecchi domenica 8 febbraio 2015 ore 19.00 diretta Euroradio Pasquale ALBODon FONDATORI I venerdì 20 marzo 2015 ore 19.00 diretta Euroradio Alceste martedì 20 maggio 2015 ore 19.00 differita Norma giovedì 25 giugno 2015 ore 19.00 differita Juditha triumphans Concerti della Stagione sinfonica 2014-2015 trasmessi in differita dal Teatro La Fenice o dal Teatro Malibran Diego Matheuz (venerdì 12 dicembre 2014) Jonathan Webb (venerdì 13 marzo 2015) Yuri Temirkanov (giovedì 2 aprile 2015) Jeffrey Tate (venerdì 10 aprile 2015) John Axelrod (sabato 18 aprile 2015) Mario Brunello (venerdì 12 giugno 2015) Alessandro De Marchi (domenica 28 giugno 2015) www.radio3.rai.it – per le frequenze: numero verde 800.111.555 CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Vittorio Zappalorto Vittorio presidenteZappalorto presidente Giorgio Brunetti Giorgio Brunetti vicepresidente vicepresidente Marco Cappelletto Marco Cappelletto Fabio Cerchiai Fabio Cerchiai Cristiano Chiarot Cristiano Chiarot Mario Rigo Mario Rigo Luigino Rossi Luigino Rossi Francesca Zaccariotto Francesca Zaccariotto Gianni Zonin Gianni Zonin consiglieri consiglieri sovrintendente sovrintendente Cristiano Chiarot Cristiano Chiarot direttore artistico direttore artistico Fortunato Ortombina Fortunato Ortombina direttore principale direttore principale Diego Matheuz Diego Matheuz COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI Anna Maria Ustino, presidente Anna Maria Ustino, presidente Annalisa Andreetta Annalisa Andreetta Giampietro Brunello Giampietro Brunello Andreina Zelli, supplente Andreina Zelli, supplente SOCIETÀ DI REVISIONE SOCIETÀ DI REVISIONE PricewaterhouseCoopers S.p.A. PricewaterhouseCoopers S.p.A. albo dei soci soci fondatori soci sostenitori FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA Stagione Sinfonica 2014-2015 Venezia 12 dicembre 2014 - 28 giugno 2015 SOMMARIO 6 Diego Matheuz Teatro La Fenice 12 e 14 dicembre 2014 musiche di Dmitrij Šostakovič 14 Marco Gemmani I Solisti della Cappella Marciana Basilica di San Marco 17 e 18 dicembre 2014 musiche di Alessandro Grandi, Giovanni Gabrieli, Giovanni Battista Grillo, Francesco Cavalli 26 Gabriele Ferro Teatro La Fenice 19 e 20 dicembre 2014 musiche di Felix Mendelssohn Bartholdy, Ludwig van Beethoven 36 Alexandre Bloch Orchestra di Padova e del Veneto Teatro La Fenice sabato 31 gennaio 2015 musiche di Gabriel Fauré, Igor Stravinskij, Maurice Ravel 46Diego Matheuz Teatro La Fenice 27 e 28 febbraio 2015 musiche di Pēteris Vasks, Francis Poulenc, Dmitrij Šostakovič 54 Lorenzo Viotti Teatro Malibran 6 e 8 marzo 2015 musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Samuel Barber, Igor Stravinskij 62 Jonathan Webb Teatro Malibran 13 e 14 marzo 2015 musiche di Federico Gardella, Benjamin Britten, Edward Elgar, Franz Joseph Haydn 74 Yuri Temirkanov Teatro La Fenice 2 e 4 aprile 2015 musiche di Franz Joseph Haydn, Dmitrij Šostakovič, Johannes Brahms 82Jeffrey Tate Teatro La Fenice 10 e 11 aprile 2015 musiche di Gustav Mahler 88John Axelrod Teatro Malibran 18 e 19 aprile 2015 musiche di Igor Stravinskij, Aleksandr Skrjabin 94Michel Tabachnik Teatro Malibran 30 aprile e 2 maggio 2015 musiche di Johannes Brahms, Anton Webern, Pierre Boulez 102Mario Brunello Teatro La Fenice 12 e 14 giugno 2015 musiche di Orazio Sciortino, Franz Joseph Haydn, Nino Rota 114 John Axelrod Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi Teatro La Fenice 26 giugno 2015 musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Johannes Brahms 122 Alessandro De Marchi Teatro La Fenice 28 giugno 2015 musiche di Filippo Perocco, Antonio Vivaldi 136 Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Incontri di approfondimento sui programmi musicali Roberto Mori introduce i concerti della Stagione sinfonica venerdì 12 dicembre 2014 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Matheuz venerdì 10 aprile 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Tate venerdì 19 dicembre 2014 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Ferro sabato 18 aprile 2015 ore 19.20 Teatro Malibran concerto Axelrod sabato 31 gennaio 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Bloch giovedì 30 aprile 2015 ore 19.20 Teatro Malibran concerto Tabachnik venerdì 27 febbraio 2015 ore 19.20 Sale Apollinee cconcerto Matheuz venerdì 12 giugno 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Brunello venerdì 6 marzo 2015 ore 19.20 Teatro Malibran concerto Viotti venerdì 26 giugno 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Axelrod venerdì 13 marzo 2015 ore 19.20 Teatro Malibran concerto Webb domenica 28 giugno 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto De Marchi giovedì 2 aprile 2015 ore 19.20 Sale Apollinee concerto Temirkanov FONDAZIONE AMICI DELLA FENICE VENEZIA La Fondazione Teatro La Fenice e il sovrintendente Cristiano Chiarot ringraziano la Fondazione Amici della Fenice e in particolare Marina Gelmi di Caporiacco e Marino Golinelli per lo speciale contributo offerto, che ha reso possibile la prosecuzione dell’iniziativa «Nuova musica alla Fenice», giunta quest’anno alla sua quarta edizione. Avviata nella Stagione 2011-2012 e orientata alla valorizzazione del patrimonio della musica d’oggi e alla creazione di nuove opportunità produttive in grado di stimolare e supportare la creatività dei giovani compositori, l’iniziativa «Nuova musica alla Fenice» prevede la commissione di partiture originali da eseguirsi in prima assoluta nell’ambito della Stagione sinfonica come parte integrante del programma di alcuni dei concerti in cartellone. Dopo i lavori di Filippo Perocco (1972), Paolo Marzocchi (1971) e Giovanni Mancuso (1970) presentati nella Stagione 2011-2012, quelli di Edoardo Micheli (1984), Federico Costanza (1976) e Stefano Alessandretti (1980) proposti nella Stagione 2012-2013 e quelli di Luigi Sammarchi (1962), Vittorio Montalti (1984) e Mauro Lanza (1975) ascoltati nella stagione 2013-2014, i direttori Jonathan Webb e Mario Brunello includeranno quest’anno nei loro programmi due pezzi commissionati appositamente, secondo precise esigenze di organico orchestrale, a Federico Gardella (1979) e Orazio Sciortino (1984). Teatro La Fenice venerdì 12 dicembre 2014 ore 20.00 turno S domenica 14 dicembre 2014 ore 17.00 turno U DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ Ouverture festiva in la maggiore op. 96 Concerto per violino e orchestra n. 1 in la minore op. 77 Notturno: Moderato Scherzo: Allegro Passacaglia: Andante - Cadenza Burlesque: Allegro con brio - Presto Anna Tifu violino • Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 Moderato Allegretto Largo Allegro non troppo direttore Diego Matheuz Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Dmitrij Šostakovič, Ouverture festiva in la maggiore op. 96 La parabola umana e artistica di Dmitrij Šostakovič (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) è intimamente legata alla storia della cultura sovietica. Potremmo quasi considerarla la rappresentazione di un dramma dove le vicende personali e quelle politiche si intrecciano fin quasi a confondersi. Non per niente questa figura contraddittoria e complessa di sinfonista continua a esercitare il fascino tipico di quei compositori il cui linguaggio parla di crisi profonde delle coscienze e dei tempi. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il giovane Šostakovič è un fiore all’occhiello delle avanguardie e della nuova Unione Sovietica; non appena Stalin impone il realismo socialista come unica possibile estetica, l’enfant prodige diventa tuttavia un elemento sospetto, oggetto di censure e reprimende. La sua musica si muoverà così su due versanti simmetrici: da un lato la produzione pubblica, ligia (apparentemente) ai diktat del regime; dall’altro una scrittura più libera, intima e drammatica. Nella Ouverture festiva op. 96, dal carattere eminentemente celebrativo, il musicista sembra uniformarsi senza devianze e problematicità ai canoni estetici imposti. Concepita nel 1947 per il trentennale della Rivoluzione d’Ottobre, la composizione viene ultimata solo nel 1954 ed eseguita il 6 novembre dello stesso anno, al Teatro Bol’šoj di Mosca, per i festeggiamenti del 37° anniversario. Ispirato alla più tipica tradizione russa ottocentesca di Glinka e RimskijKorsakov, il brano inizia con la fanfara degli ottoni (Allegretto) cui segue un Presto in cui si alternano gli interventi degli archi e dei fiati. Raggiunta la massima tensione, i violoncelli introducono un tema di più lirico respiro, poi ripreso ed elaborato da tutta l’orchestra. Nel finale, una banda di ottoni (quattro corni, tre trombe e tre tromboni) rafforza l’organico strumentale riproponendo, con crescente clangore, la fanfara iniziale. Una composizione estroversa e dall’effetto travolgente, utilizzata, fra l’altro, durante la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi tenute a Mosca nel 1980. 7 diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014 Dmitrij Šostakovič, Concerto minore op. 77 per violino e orchestra n. 1 in la Di tutt’altro segno, rispetto all’Ouverture festiva, il clima espressivo che contraddistingue il Concerto per violino e orchestra n. 1 op. 77. Dedicato a David Ojstrach, viene composto tra il luglio 1947 e il marzo 1948, in un periodo particolarmente difficile della vita di Šostakovič. Già attaccato ideologicamente nel 1936 per Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, tacciata come opera anti-melodica e degenerata («caos anziché musica», secondo un articolo della «Pravda»), nel 1948 il compositore viene censurato e privato per qualche tempo del lavoro. Lo si accusa di «formalismo», di scrivere cioè una musica dissonante, priva di spunti melodici ed eccessivamente elaborata: troppo difficile per le masse popolari. Il Concerto per violino e orchestra sarà destinato a rimanere inedito e ineseguito fino al «disgelo» successivo alla morte di Stalin: Ojstrach lo suonerà per la prima volta nella Sala Filarmonica di Leningrado il 29 ottobre 1955, sotto la direzione di Evgenij Mravinskij. L’iniziale Notturno (Moderato) ha un carattere cupo e doloroso: è una sorta di lamento continuo su un ritmo uniforme, con variazioni impercettibili. Più che la contrapposizione di due temi, presenta un motivo base che si trasforma dando la sensazione di una pluralità tematica. Prevalgono le sonorità magmatiche, diafane, i pianissimi evanescenti. Il rapporto fra solista e orchestra non si basa su un contrasto di stampo romantico, ma su una affinità espressiva che fa quasi pensare a una sinfonia concertante. Nello Scherzo successivo (Allegro), prevale invece il gusto per il divertimento musicale e il solista può dunque fare sfoggio del suo virtuosismo. Il tema consiste in una citazione quasi letterale di un tema della Decima Sinfonia e si svolge su toni brillanti e ironici, non senza una venatura grottesca. Malgrado lo scarso interesse dimostrato da Šostakovič per il folclore, sembrano aleggiare gli echi di una danza paesana dal sapore vagamente orientale. Il terzo tempo è una Passacaglia (Andante) che riporta all’antica forma barocca, con un tema che accompagna in forma di ostinato una serie di variazioni. Il clima ritorna drammatico, la parte del violino solista asseconda con dolorosa, lirica nobiltà le ripetizioni ossessive del medesimo tema. Un’ampia Cadenza collega questo brano all’ultimo movimento senza soluzione di continuità. Nella Burlesca finale (Allegro con brio) il discorso musicale ritrova una intonazione popolaresca e festosa: il violino può esibirsi in un esuberante tecnicismo sostenuto da una orchestra ricca di trovate ritmiche e di ornamenti che, nel febbrile Presto conclusivo, contribuiscono a dare alla pagina un’impronta sfrenata e insieme grottesca. 8 note al programma Dmitrij Šostakovič, Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 La Sinfonia n. 5 in re minore op 47 non è solo la più conosciuta ed eseguita fra le 15 composte da Šostakovič, ma è anche una delle più emblematiche, nella storia della musica, dei conflitti esistenti fra arte e potere politico, fra creatività e propaganda. Dopo la stroncatura della Lady Macbeth nel 1936, il musicista si vede costretto a ritirare poco prima dell’esecuzione pubblica la Quarta Sinfonia, una partitura che, con il suo audace «formalismo», conferma i sospetti di una personalità complessa e di una sensibilità problematica. Inizia così, tra l’aprile e il luglio 1837, la stesura della Quinta Sinfonia, che avrà come sottotitolo: «Risposta di un artista sovietico ad una giusta critica». Di primo acchito, si potrebbe pensare a una ammenda, a un cambiamento di rotta, dopo una fase sperimentale, per riabilitarsi agli occhi del regime con un’opera più tradizionale e ottimistica. Šostakovič tiene anche a precisare che al centro della composizione, «concepita liricamente dall’inizio alla fine», intende collocare «un uomo con tutte le sue emozioni e le sue tragedie; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo, e la loro tragica tensione, in ottimismo e in gioia di vivere». Quanto basta, insomma, per garantire alla Sinfonia accoglienze entusiastiche di pubblico e critica. Eseguita per la prima volta a Leningrado il 21 ottobre 1937, proprio nel giorno del ventennale della Rivoluzione, diventa una sorta di emblema dell’ottimismo e della fiducia nel progresso imposti dal regime stalinista, tanto da essere definita dallo scrittore Aleksej Tolstoj «la Sinfonia del Socialismo». Con Šostakovič, tuttavia, bisogna fare attenzione: l’ossequio alle norme estetiche del regime è solo apparente e le dichiarazioni pubbliche possono essere interpretate come abili depistaggi e confessioni ‘in codice’. Tant’è vero che le riflessioni private, raccolte da Solomon Volkov nel volume Testimonianza, sono ben diverse: Ritengo sia chiaro a tutti quel che ‘accade’ nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione, esattamente come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: «Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare», e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremante, e riprendi a marciare bofonchiando: «Il nostro dovere è di giubilare, il nostro dovere è di giubilare». Si può dunque definirla un’apoteosi, quella della Quinta? Bisogna essere completamente sordi per crederlo. Insomma, è come se il compositore si muovesse su un doppio binario e oggettivasse i propri materiali privandoli di un segno interpretativo, per ricoprirli ora di ironia e sarcasmo, ora di enfasi (falsamente) celebrativa, ora di straniamento. In quest’ottica, la sua musica non è tonale, sentimentale o vitalistica, ma s’incarica di mettere in scena la tonalità, il sentimentalismo, la vitalità. 9 diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014 Per il pubblico e la critica dell’epoca la Quinta Sinfonia si muove sul terreno sicuro del sinfonismo tardo romantico, non presenta particolari elementi dissonanti. Eppure, nonostante la levigatezza dell’orchestrazione, il rigore della forma sonata classica, la semplificazione del linguaggio e l’ottimismo del finale, si sente che la violenza di alcune sonorità e la pregnanza simbolica di certi temi alludono a conflitti drammatici e fanno emergere dall’affresco sinfonico una vena tragica e desolata. Significativo, in questo senso, il Moderato iniziale che si apre con un tema degli archi in forma di canone e tratteggia l’esperienza dolorosa della coscienza umana. Una diversa atmosfera contrassegna invece il secondo tema presentato dai primi violini con una cantabilità dolcemente lirica. Gli illusori profili classici del movimento trovano ben presto un risvolto tragico, annunciato dal pianoforte e portato avanti in un clima di crescente parossismo sonoro. La conclusione, avvolta da un’aura esangue e attonita, è affidata alla melodia dell’ottavino e ai tocchi della celesta. Il secondo movimento, Allegretto in forma di scherzo, introduce elementi di una danza vigorosa e anche un po’ grottesca, non priva di reminiscenze del sinfonismo russo ottocentesco, in particolare di Čajkovskij. Il Largo successivo, dall’andamento lento e alquanto libero, è caratterizzato soprattutto dalla cantabilità trasognata e dalle sonorità rarefatte degli archi (gli ottoni qui tacciono). Nel corso di questo ampio movimento, si susseguono senza contrasti quattro temi di pregnante lirismo: due affidati ai violini, uno al flauto, un altro ancora all’oboe. Una pagina introspettiva e di grande intensità – una delle più riuscite di Šostakovič – nella quale si può cogliere un senso di pietà e di commossa sublimazione del dolore. L’Allegro non troppo conclusivo sembra imboccare la via della certezza e della positività. Il ritmo incalzante, gli accenti trionfalistici, gli squilli degli strumenti a fiato e gli interventi delle percussioni danno vita ad un crescendo di grande potenza sonora, a un ottimismo epidermico e appariscente. La risposta ai conflitti tragici dei precedenti movimenti ha un che di ansioso e di forzato: dietro l’enfasi e la retorica, restano i dubbi e gli interrogativi, il senso di una tragedia artificiosamente ammantata di entusiasmo. Roberto Mori 10 biografie Anna Tifu Vincitrice nel 2007 del Concorso Enescu di Bucarest, Anna Tifu è nata a Cagliari e ha iniziato gli studi musicali a sei anni sotto la guida del padre, debuttando a dodici alla Scala con il Concerto n. 1 di Bruch. Vincitrice dei concorsi Viotti Valsesia e Abbado di Stresa, si diploma quindicenne al Conservatorio di Cagliari. Dagli otto ai diciott’anni è allieva di Salvatore Accardo all’Accademia Walter Stauffer di Cremona e all’Accademia Chigiana di Siena e dal 2005 al 2008 studia al Curtis Institute di Philadelphia (con Aaron Rosand, Shmuel Ashkenasi e Pamela Frank) e a Parigi. Si è esibita come solista con importanti orchestre italiane (Rai di Torino, I Pomeriggi Musicali, Lirico di Cagliari, Arena di Verona, Massimo di Palermo, Olimpico di Vicenza, Orchestra Haydn di Bolzano, Orchestra Verdi di Trieste) e internazionali (Filarmonica Enescu e Radio di Bucarest, Münchener Kammerorchester, Orchestra da Camera di Praga, LSO di Maastricht, Orchestra da Camera della Israel Philharmonic, KZN Philharmonic di Durban, Qatar Philharmonic, Sinfónica Simón Bolívar), diretta da maestri quali Dudamel, Matheuz, Valčuha, Kovatchev, Poppen, Soudant, Korsten, Ötvös, Frantz, Lü Jia. Ha collaborato con musicisti come Maxim Vengerov, Alexander Romanovsky, Boris Andrianov, Giuseppe Andaloro, Pekka Kuusisto, Andrea Bocelli e l’attore statunitense John Malkovich, ed è stata invitata in importanti festival (Tuscan Sun Festival, Enescu Festival, Mentone, Ravello, Beirut, Yerevan) e sale da concerto (Scala, Parco della Musica, Palazzo del Quirinale, Auditorium della Rai di Torino, Arcimboldi, Tel Aviv Museum of Art, Konzerthaus di Berlino, Salle Cortot di Parigi, Rudolfinum di Praga, Madison Square Garden di New York, Staples Center di Los Angeles). Suona un violino Carlo Bergonzi Cremona 1739 detto Mischa Piastro e un Giambattista Guadagini 1783 gentilmente offerto dall’Associazione Pro Canale di Milano. 11 diego matheuz - 12, 14 dicembre 2014 Diego Matheuz Direttore principale del Teatro La Fenice dal luglio 2011 e direttore ospite principale dell’Orchestra Mozart dal novembre 2009 e della Melbourne Symphony Orchestra dall’agosto 2013, il trentenne violinista e direttore Diego Matheuz è uno dei frutti migliori del Sistema Nacional de Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela fondato nel 1975 da José Antonio Abreu. Nato nel 1984, studia violino a Barquisimeto, sua città natale, e a Caracas. Il debutto internazionale come direttore avviene nel marzo 2008 al Festival Casals di Puerto Rico con l’Orquesta Sinfónica de la Juventud Venezolana Simón Bolívar. Nell’ottobre dello stesso anno debutta in Italia sul podio dell’Orchestra Mozart di Claudio Abbado, e nel 2009 sostituisce Antonio Pappano in una tournée dell’Orchestra di Santa Cecilia a Milano, Torino e Lucerna. Invitato a dirigere l’Orchestra Nazionale della Rai, l’Orchestra del Maggio Fiorentino, la Filarmonica della Scala e l’Orchestra Verdi di Milano, nell’ottobre 2010 debutta sulla scena lirica con Rigoletto al Teatro La Fenice, dove ha in seguito diretto La traviata, La bohème, Carmen, The Rake’s Progress, i Concerti di Capodanno 2012 e 2014 (in diretta Rai Uno) e numerosi concerti sinfonici tra cui un ciclo Č ajkovskij. Oltre che in Italia, si è esibito a Londra con la Philharmonia e la Royal Philharmonic, a Berlino in tournée con la Filarmonica della Scala e ad Amsterdam in tournée con l’Orchestra Mozart, e ha diretto alcune delle principali orchestre europee (hr-Sinfonieorchester di Francoforte, Philharmoniker Hamburg, Gürzenich-Orchester Köln, BBC Philharmonic, City of Birmingham Symphony, Česká filharmonie, Orchestre Philharmonique de Radio France, Orchestre National de Lyon, Orchestra della Radio Olandese, Filarmonica di Stoccolma, Wiener Kammer Orchester, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre de la Suisse Romande, Philharmonia Zürich, Orquesta y Coro Nacionales de España) e internazionali (Israel Philharmonic, Los Angeles Philharmonic, Houston Symphony, Vancouver Symphony, National Arts Centre Orchestra di Ottawa, Saito Kinen Orchestra di Seiji Ozawa, NHK Symphony di Tokyo). Nominato nel 2013 direttore associato della Sinfónica Simón Bolívar, che ha portato in tournée a Torino, Napoli, Genova, Palermo e Reggio Emilia, nell’estate 2013 ha diretto alcuni concerti della Teresa Carreño Youth Orchestra of Venezuela al Festival di Salisburgo. 12 Diego matheuz 13 Basilica di San Marco mercoledì 17 dicembre 2014 ore 20.00 solo per invito giovedì 18 dicembre 2014 ore 20.00 turno S GIOVANNI GABRIELI Canzon per sonar a otto, primi toni CANTO PATRIARCHINO «Puer natus est nobis» (Schola patriarchina della Basilica di San Marco) ALESSANDRO GRANDI * «Sancta et immaculata Virginitas» * (Jesús Rodil Rodríguez tenore, Yiannis Vassilakis baritono) ** Kyrie ** ** Gloria ** CANTO PATRIARCHINO «Viderunt omnes» (Schola patriarchina della Basilica di San Marco) GIOVANNI BATTISTA GRILLO Canzone in eco a otto ALESSANDRO GRANDI * «O felix, o lucidissima nox» * (Julio Fioravanti controtenore, Jesús Rodil Rodríguez tenore) ** Credo ** * «Tu pulchra es, Maria» * (Julio Fioravanti controtenore, Riccardo Martin tenore) ** Sanctus ** * «Transfige, dulcissime Domine» * (Aurelio Schiavoni controtenore, Andrea Inghisciano, Núria Sanromà Gabàs cornetti) ** Benedictus ** ** Agnus Dei ** * «Beata viscera Mariae virginis» * (Aurelio Schiavoni, Julio Fioravanti controtenori, Thomas Mazzucchi, Marcin Wyszkowski bassi) FRANCESCO CAVALLI Canzon a otto a due cori * Cinque mottetti per la Messa del S. Natale, prima esecuzione in tempi moderni ** Messa concertata seconda a otto voci, prima esecuzione in tempi moderni direttore MARCO GEMMANI I Solisti della Cappella Marciana primo coro Aurelio Schiavoni, Alvise Mason, Jesús Rodil Rodríguez, Thomas Mazzucchi secondo coro Julio Fioravanti, Riccardo Martin, Yiannis Vassilakis, Marcin Wyszkowski ripieno secondo coro Gabriele Petruzzo, Alvise Luchetta, Marco Cisco, Marco Bellussi Andrea Inghisciano, Núria Sanromà Gabàs cornetti Francesco Nigris, Valerio Bassanello, Sergio Bernetti, Ivo Pezzutti, Mauro Morini, David Joseph Yacus tromboni Pier Paolo Ciurlia, Gianluca Geremia tiorbe in collaborazione con la Procuratoria di San Marco NOTE AL PROGRAMMA Fino alla perdita della autonomia repubblicana, la chiesa di San Marco ha rappresentato per Venezia non solo uno dei luoghi più sacri della città ma anche l’edificio nel quale si celebravano, cristianamente, i fasti della stessa repubblica. Il luogo delegato a rappresentare la massima autorità religiosa, sede della cattedra patriarcale, è sempre stato invece la chiesa di San Pietro di Castello, che non a caso fino a una manciata di anni dopo la conclusione del millennio repubblicano è stata anche sede del potere religioso e del suo rappresentante più alto, il patriarca. Sono due storie parallele, che si snodano senza troppe differenze e senza troppe rivalità: tradizionalmente il patriarca veniva scelto anche rispettando alcuni desiderata della nobiltà veneziana, tanto che in più occasioni proprio uno dei suoi rappresentanti veniva elevato a questa altissima carica. All’interno di questo dualismo San Marco acquista e sottolinea alcune differenze sensibili, quasi a voler marcare la differenza e il distacco, pur nella concordia, tra il potere ecclesiastico e il potere politico. Mancando a San Marco il vescovo, si cercò di sostituirlo rispolverando un ruolo, quello del primicerio, che altrove era sostanzialmente scomparso: di fatto un sostituto (di provata fede repubblicana) che potesse celebrare comunque ai massimi livelli i numerosi riti sempre contigui tra ambito sacro ed ambito politico. E naturalmente, proprio per l’importanza attribuita alla chiesa principale di Venezia, diventa indispensabile provvedere non solo ad abbellirla oltre misura sotto l’aspetto architettonico, musivo, decorativo, ma anche sotto quello musicale, investendo nella presenza delle cerimonie religiose cifre veramente importanti, ed esigendo risultati sicuri. Quando nel 1532 il doge Andrea Gritti dovette scegliere il nuovo maestro di cappella, pretese la chiamata di Adrian Willaert quasi contro e in opposizione ai procuratori di San Marco, che avrebbero preferito un musicista locale, più vicino alla tradizione improvvisativa anche se meno dotto sotto il profilo contrappuntistico. E quanta ragione abbia avuto Andrea Gritti è evidente dal massimo impegno che mostrò sempre il Fiammingo al servizio della chiesa di San Marco anche quando le forze lo stavano abbandonando e le rivalità tra cantore e cantore sembravano prevalere; la nascita stessa della scuola veneziana passa attraverso questa tappa obbligata, e l’obbligo di provvedere non solo alla esecuzione e alla composizione musicale bensì anche alla formazione di otto giovani musicisti locali portò di fatto alla fusione 16 note al programma dell’arte polifonica con la capacità improvvisativa innata nella tradizione italiana. La chiesa di San Marco è quindi chiesa di stato, e come tale deve far convivere tradizioni della più alta sacralità con tradizioni rispettose delle caratteristiche e dello stato veneziano. La scelta nella formazione del santorale e la sottolineatura che veniva sempre imposta alle feste veneziane era molto attenta, riuscendo per la verità a stringere in un unico connubio l’aspetto religioso e l’aspetto politico: normale che vengano celebrati alcuni santi locali, ad esempio il vero e proprio culto nei confronti di Pietro Orseolo, doge e beato prima, santo poi; normale che si voglia celebrare nel fasto più assoluto il santo patrono, prima San Teodoro e poi San Marco; normale anche che venga sottolineata la presenza delle chiese di pertinenza ducale con le ricorrenti visite del doge stesso. Un poco meno evidente potrebbe essere l’attenzione posta sempre alla festività della assunzione del Signore, fatta coincidere con lo sposalizio del mare, cerimonia nella quale la parte politica e quella religiosa riescono a convivere con una qualche difficoltà. La segnalazione della importanza di una festività veniva data con l’esposizione della pala d’oro, generalmente esibita ai fedeli solo nella parte pittorica; addirittura si divideranno nel Settecento le feste con o senza «palla» (evidente ipercorrettismo veneto) fissando le prime in un numero di trentacinque occasioni nelle quali era d’obbligo la partecipazione del plenum anche dei musicisti. Tra queste festività quella di gran lunga più condivisa era certamente la messa della vigilia di Natale, vera e propria celebrazione religiosa strettamente unita ad una sorta di partecipazione comune totale, indistinta. La festa è tale che chi vi partecipa spesso viene letteralmente rapito dal gioioso nascere del Salvatore, celebrato con la musica più bella e più originale del momento. Gli unici obblighi compositivi del maestro di cappella a ben vedere consistono proprio nella stesura di una «muda» di salmi per i vespri e della messa di Natale, che ogni anno deve essere nuova ed originale. In un momento meno alto della religiosità, soprattutto nel corso del Settecento, le prove stesse per la esecuzione musicale diventano un momento e una occasione di esibizione, sottraendo forse qualcosa alla celebrazione; gestite nei conventi di monache, o addirittura in alcuni ridotti di palazzi nobiliari, la partecipazione a questo evento diventa necessaria per dimostrare la propria importanza. Ma la celebrazione marciana è ben altro: fin dalle origini a San Marco è in essere un coro di chierici e di canonici, che esprime il canto piano, quello che generalmente e con qualche approssimazione viene identificato nel cosiddetto canto gregoriano. Accanto a questa realtà ecco invece la presenza dei cantori marciani, che almeno dal Quattrocento si esprimono in polifonia; sempre in questa epoca vengono inoltre fissati gli organisti (inizialmente due) per gli organi a cornu epistulae e a cornu evangeli. E con la seconda metà del Cinquecento l’organico viene ampliato dalla presenza di numerosi strumentisti: prima i piffari e trombetti ducali, che inizialmente 17 marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014 sono direttamente alle dipendenze del doge e poi vengono ‘girati’ alle dipendenze della cappella, poi tanti altri strumenti, principalmente archi, che vanno a formare il nerbo dell’orchestra tradizionale. I tentativi di procedere a riordini di questa compagine sono innumerevoli: in occasione dei pensionamenti ad esempio si cerca ripetutamente di portare equilibrio nella distribuzione delle voci e degli strumenti, giungendo a delle vere e proprie ‘riforme’ che comunque avranno a loro volta vita limitata nel tempo. Si giunge quindi a delle esecuzioni che solo oggi sono state riprese nella loro fedeltà all’originale che, non dimentichiamolo, è e deve coincidere con una vera e propria celebrazione religiosa, dove i valori del concerto e della meravigliosa musica marciana devono fondersi strettamente con i valori della liturgia e del credo cristiano. Generalmente quindi possono coesistere generi profondamente diversi: dal canto piano (sempre usato per il proprium missae, quindi le parti mobili della liturgia) al canto polifonico o addirittura concertato per l’ordinarium missae. La messa di Natale quindi deve proporre un panorama complesso di canti: qui il canto patriarchino, vera e propria tradizione veneziana relativa a varianti locali del canto gregoriano, gioiosa e fiorita espansione del canto romano, celebra due momenti fondamentali come l’invitatorio natalizio. «Puer natus est nobis», recita la preghiera che ci ricorda come finalmente la promessa si compia, e la gioia per la conclusione di questa lunga attesa esplode totale. Come avviene del resto avviene nel «Viderunt omnes», a sua volta testimonianza della certezza della manifestazione divina. La struttura della messa viene garantita dalla presenza dell’intero ordinarium della seconda messa di Alessandro Grandi, edita post mortem (il compositore era scomparso da sette anni) da Alessandro Vincenti nel 1637. Siamo negli anni della terribile peste descritta da Manzoni e dal contagio non potrà esimersi neanche il compositore, in quegli anni alla guida della cappella della chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo, vera e propria fucina di eventi e di protagonisti musicali: anche la strada seguita dal compositore è simile a quella dei maggiori compositori del tempo, che dopo la formazione probabilmente veneziana approda a Ferrara alla Accademia della Morte, per poi tornare in laguna e scegliere successivamente Bergamo; strada che verrà puntualmente ripetuta, anche se in ordine inverso, da un altro grande maestro marciano, Giovanni Legrenzi. Benché la struttura della messa sia organizzata sul doppio coro a quattro voci miste (finalmente riportate in questa esecuzione alle sonorità e alla peculiarità delle sole voci maschili), sono numerosi i momenti nei quali Grandi ricorre alla tecnica del bicinium: pur nella ricchezza delle otto voci complessive, sono dominanti i passi nei quali due voci, generalmente appartenenti ai due cori, intonano sfruttando tutti gli intervalli possibili, e riutilizzano la indiscutibile abilità del compositore sia nelle versioni a voce sola sia appunto nella struttura a due voci, che appare del tutto evidente ad esempio nel Kyrie e non solo – in questo altrimenti frequente – nel Christe. Particolarmente evidente è 18 note al programma questa pratica, retaggio del mottetto ad una voce, nel «Qui propter nos homines» del Credo, vero e proprio mini-mottetto a voce sola per soprano maschile e continuo. Anche la struttura del doppio coro indaga tutte le possibilità marciane, passando dal vero e proprio coro battente di molti momenti principalmente del Gloria al pieno di molti momenti del Credo, soprattutto. Ovvia ma elegante l’imitazione canonica del Benedictus con la scontata conclusione del doppio coro pieno dell’«Hosanna». In questo senso risulta particolarmente apprezzabile l’idea di alternare all’ordinario della messa non tanto il rispettivo proprio, bensì una serie di cinque mottetti prevalentemente a due voci, tratti dal Secondo libro di mottetti a 1, 2 e 4 voci del 1637, quindi contemporaneo alla pubblicazione delle messe, e dal Terzo libro di mottetti del 1618. Di particolare interesse anche per l’organico usato il «Transfige dulcissime Domine» del 1621 per canto, due violini ed organo, con frequenti interventi della sola parte strumentale. A completare il programma la Canzon per sonar primi toni (1597) di Giovanni Gabrieli, la Canzone in eco (1618) di Giovanni Battista Grillo e la Canzon a otto in due cori (1656) di Francesco Cavalli. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria parade di autori della scuola marciana: da una parte il capostipite Giovanni Gabrieli, a detta di Schütz l’unico compositore per il quale valesse la pena attraversare le Alpi, all’altro estremo Francesco Cavalli, l’autore che con Giovanni Legrenzi conclude il periodo barocco veneziano. Tre canzoni quindi, altro genere strumentale ampiamente debitore alla tradizione veneziana, non solo organistica. Il lavoro di Giovanni Gabrieli realizzato su un primo tono trasposto esalta l’incipit dattilico proprio della canzon francese: il primo coro propone l’Altus con minima due semiminime, ed è solo alla fine di questa enunciazione che entrano le restanti tre voci, così come una posizione in eco (e quindi del tutto simile) viene ripresentata nella proposta del secondo coro. Nella Canzona di Grillo invece, pur rispettando la medesima ritmica, l’imitazione viene a cadere a distanza di due quarti alla quinta inferiore e all’ottava inferiore rispetto al soprano, nell’equivalente di quattro battute dopo (la concezione delle battute è ovviamente molto più recente), mentre l’ultima delle voci del primo coro entra a sua volta un’ottava sotto il contralto ben nove battute più tardi. Altrettanto accade nella Canzona di Francesco Cavalli: anche qui l’incipit è riservato al soprano e replicato a distanza di una battuta alla quinta inferiore, però contrariamente a Grillo qui la successione delle entrate si ripete pari pari anche se esibendo la medesima struttura imitativa. La varietà nella omogeneità della composizione viene qui garantita dall’entrata compatta del secondo coro, anche qui ovviamente con analoga struttura ritmica ma con le singole voci a formare la triade di Do: siamo entrati decisamente nella seconda metà del Seicento e in quasi tutti questi brani traspare la lezione offerta da Claudio Monteverdi, autentico convitato di pietra e dominus della cappella marciana. Franco Rossi 19 marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014 MESSA DI NATALE A SAN MARCO MUSICHE DI ALESSANDRO GRANDI (1590-1630) Puer natus est nobis (canto patriarchino) Puer natus est nobis Et filius datus est nobis Cuius imperium super humerum eius Et vocabitur nomen eius magni consilii angelus. Cantate Domino canticum novum quia mirabilia fecit. Sancta et immaculata Virginitas (dal Terzo libro de motteti a 2, 3, et 4 voci, Venezia, Giacomo Vincenti, 1618) Sancta et immaculata Virginitas quibus te laudibus efferam nescio quia quem caeli capere non poterant tuo gremio contulisti. Kyrie (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Kyrie eleyson. Christe eleyson. Kyrie eleyson. Gloria in excelsis Deo (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Laudamuste. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Domine Deus. Rex caelestis, Deus pater omnipotens. Domine fili unigenite Jesu Christe. Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris. Qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram. Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis. Quoniam tu solus sanctus. Tu solus Dominus. Tu solus altissimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris. Amen. 20 testi vocali Viderunt omnes (canto patriarchino) Viderunt omnes fines terrae salutare Dei nostri, iubilate Deo omnis terra. Notum fecit Dominus salutare suum, ante conspectum gentium revelavit iustitiam suam. O felix, o lucidissima nox (dai Motetti a 1, 2 e 4 voci con sinfonie d’istromenti. Libro secondo, Venezia, Alessandro Vincenti, 1625) O felix, o lucidissima nox. O iucunda, o sanctissima dies. O nox in qua Paradisi portae aperiuntur. O dies in qua melliflui facti sunt caeli. Plaudat Mater Ecclesia, iubilet universus orbis et alternantibus modulis. A solis ortus cardine ad usque terrae limitem, Christum canamus, principem natum Maria Virgine. Domus pudici pectoris, templum repente sit Dei intacta, nesciens virum Verbo concepit filium. Beatus auctor saeculi servile corpus induit, ut carne carnem liberans ne perderet quos condidit. Alleluia. Credo (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem caeli et terrae, visibilium et invisibilium. Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Die unigenitum. Et ex Patre natum ante omnia saecula. Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero. Genitum non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt. Qui propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de caelis. Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus, et sepultus est. Et resurrexit tertia die, secundum scripturas. Et ascendit in caelum: sedet ad dexteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos, cujus regni non erit finis. Et in Spiritum Sanctum Dominum, et vivificantem: qui ex Patre, Filioque procedit. 21 marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014 Qui cum Patre, et Filio simul adoratur, et conglorificatur, qui locutus est per Prophetas. Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi saeculi Amen. Tu pulchra es, Maria (da Celesti fiori. Libro quinto de concerti a 1, 2, 3, 4 voci, Venezia, Bartolomeo Magni, 1619) Tu pulchra es, Maria. Tu peperisti Salvatorem mundi. Pulchra es et decora, o Maria, depraecare pro nobis salutem animarum. O dulcissima Virgo, o Sanctissima Mater, libera nos ab infelici peccatorum laqueo ut mereamur ingredi Regnum Caelorum. Sanctus (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth Pleni sunt caeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Transfige, dulcissime Domine (da Mottetti ad 1 et 2 voci con sinfonie d’istromenti, Venezia, Alessandro Vincenti, 1621) Transfige, dulcissime Domine Iesu Christe, transfige medulas et viscera animae meae suavissimo ac saluberrimo amoris tui. Vulnere ut langueat et liquefiat anima mea solo semper amore et desiderio tui. Da ut anima mea te esuriat panem Angelorum refectionem animarum sanctarum panem nostrum quotidianum super substantialem Da ut anima mea te esuriat te in quem desiderant Angeli prospicere Da ut anima mea semper te esuriat, te comedat cor meum et dulcedine saporis tui repleantur viscera animae meae. Alleluia. 22 testi vocali Benedictus (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis. Agnus Dei (Messa seconda dalle Messe concertate a otto voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1637) Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis. Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis. Agnus Dei qui tollis peccata mundi dona nobis pacem. Beata viscera Mariae virginis (dal Terzo libro de motteti a 2, 3, et 4 voci, Venezia, Giacomo Vincenti, 1618) Beata viscera Mariae virginis quae portaverunt aeterni Patris Filium. Et beata ubera quae lactaverunt Christum Dominum, quia hodie pro salute mundi de Virgine nasci dignatus est. Dies sanctificatus illuxit nobis. Venite gentes et adorate Dominum, quia hodie pro salute mundi de Virgine nasci dignatus est. Alleluia. 23 marco gemmani - 17, 18 dicembre 2014 Marco Gemmani Inizia a quattro anni lo studio del pianoforte, a sette quello del violino e a quindici dirige il suo primo concerto. È diplomato in musica corale e direzione di coro, violino e composizione. È stato fondatore e membro dell’Accademia Bizantina di Ravenna dove ha collaborato con Carlo Chiarappa e Ottavio Dantone. Ha diretto i cori In terra viventium, Kairòs, Accademia Bizantina e Creator Ensemble, con i quali ha svolto un’intensa attività concertistica in tutta Europa. Dal 1991 al 1995 è stato maestro di cappella della Cattedrale di Rimini. Nel 1998 diventa insegnante del Metodo funzionale di Gisela Rohmert. Nel 2000 è nominato maestro di cappella della Basilica di S. Marco a Venezia, carica che detiene tuttora. Tale incarico, alla guida di una delle più importanti istituzioni musicali del mondo che ebbe maestri illustri come Willaert, i Gabrieli, Monteverdi, Cavalli, Lotti, Galuppi e Perosi, lo ha portato ad approfondire il repertorio vocale veneziano divenendone uno dei massimi esperti. Le continue esecuzioni della Cappella Marciana, durante le funzioni di tutto l’anno, sono un punto fermo per chi vuole ascoltare musica di rara bellezza nella splendida cornice della Basilica di S. Marco. Nel 2010 fonda I Cantori di San Marco, con i quali ha inciso lavori di Monteverdi e Andrea Gabrieli. È attualmente docente di direzione di coro e composizione corale presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Autore di numerose trascrizioni di musiche inedite, pubblicate online sul sito www. cantoressanctimarci.it, svolge un’approfondita ricerca musicologica nel campo della polifonia vocale antica e in particolare sulla musica a Venezia dalle origini a oggi. Oltre alle partiture, pubblica libri di carattere musicologico (il più recente è Il canone a due voci: alla ricerca del segreto dei fiamminghi), compone musica vocale e cura mostre. 24 biografie I Solisti della Cappella Marciana I Cantores Sancti Marci sono documentati fin dagli inizi del 1300, ma con tutta probabilità una formazione musicale attiva a S. Marco risale ben più addietro, per cui si può affermare che la Cappella della Basilica di S. Marco a Venezia è una delle più antiche istituzioni di musica, tuttora operanti, che vi siano al mondo. Un altro primato della Cappella riguarda la nascita di opere musicali al suo interno. La produzione dei maestri operanti nella Basilica di S. Marco supera di gran lunga, perlomeno in quantità, quella di altre cappelle musicali del mondo. L’elenco dei compositori, spesso di chiara fama, che vi operarono, è composto di circa 150 nomi e il loro numero è destinato ad aumentare. Alcune delle intuizioni e soluzioni sonoro-musicali (la più celebre è quella dei cori battenti o spezzati) sperimentate a S. Marco costituiscono il patrimonio genetico di tutta la cultura musicale occidentale. La particolare posizione geopolitica di Venezia e la continua serie di scambi con le varie culture europee e mediterranee resero la Cappella di S. Marco un punto di riferimento universalmente riconosciuto, contribuendo a rendere la Serenissima una delle capitali mondiali della musica. Questa singolare formazione è una delle poche rimaste in Italia ad eseguire regolarmente polifonia di pregio durante l’ufficio liturgico, in continuità con la propria tradizione. Da secoli essa presenzia regolarmente, senza soluzione di continuità, alle più importanti funzioni della Basilica, e questo patrimonio culturale, questo modus cantandi, si perpetua tuttora in uno ‘stile’ inconfondibile. Consci del fatto che la Cappella Marciana è uno dei simboli viventi della tradizione musicale occidentale, i suoi maestri, a partire dalla fine del XIX secolo, hanno iniziato un’opera di recupero del suo patrimonio più antico, con l’intento di restituire e mantenere vivo l’enorme bagaglio che ci consegna il passato. Chi frequenta la Basilica oggi, può ascoltare musica scritta dagli inizi del XIV secolo fino ai giorni nostri. 25 Teatro La Fenice venerdì 19 dicembre 2014 ore 20.00 turno S sabato 20 dicembre 2014 ore 17.00 fuori abbonamento FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42 Coro: «Wie der Hirsch schreit» Aria: «Meine Seele dürstet nach Gott» Recitativo e aria con coro: «Meine Tränen sind meine Speise» Coro: «Was betrübst du dich, meine Seele» Recitativo: «Mein Gott, betrübt ist meine Seele» Quintetto: «Der Herr hat des Tages verheißen» Coro finale: «Was betrübst du dich, meine Seele» Monica Bacelli soprano • LUDWIG VAN BEETHOVEN Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 Allegro vivace e con brio Allegretto scherzando Tempo di menuetto Allegro vivace direttore GABRIELE FERRO Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti NOTE AL PROGRAMMA Felix Mendelssohn Bartholdy, Salmo 42 orchestra op. 42 per soprano, coro e Il contributo di Felix Mendelssohn Bartholdy (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847) alla rinascita della musica corale tedesca nella prima metà dell’Ottocento è documentato, oltre che dagli oratori Elijah, Paulus e Christus, da una nutrita raccolta di salmi, mottetti e pezzi sacri. Composizioni in cui è possibile cogliere, al di là della sensibilità romantica nelle scelte melodiche e timbriche, una notevole padronanza della polifonia classica e un gusto della elaborazione tematica che si rifà alle lezioni di Bach e Händel. È nota la profonda fede religiosa di Mendelssohn. In diverse occasioni, il compositore esprime l’esigenza di ritornare a composizioni più aderenti allo spirito delle Sacre Scritture. Polemizza persino con le esecuzioni ascoltate a Roma nella Cappella Sistina, dove i testi biblici, dal suo punto di vista, vengono addirittura deformati: «sfigurati da una melodia monotona, vaga e senza accento». La mancanza di espressione rappresenta per lui una vera profanazione. Le voci, inoltre, devono avere pari dignità con gli strumenti e contribuire alla definizione più adeguata e completa della religiosità indicata dal testo in latino. Il Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42 «Wie der Hirsch schreit» si distingue per la purezza dell’ispirazione e dello stile. Mendelssohn lo compone a più riprese tra l’aprile e il dicembre 1837, mettendone a punto una prima versione durante il viaggio di nozze con Cécile Jeanrenaud, figlia di un pastore della Chiesa riformata di Francia. Eseguita per la prima volta durante il concerto di capodanno del 1838 al Gewandhaus di Lipsia, la composizione riflette lo stato d’animo sereno del musicista per l’evento gioioso del matrimonio. Non a caso, l’appunto più ricorrente mosso a questo salmo è proprio il contrasto tra il prevalente, morbido lirismo della musica e la drammaticità del contenuto testuale. Sarebbe riduttivo, tuttavia, spiegare il carattere della composizione legandolo semplicemente alle vicende biografiche. Se il grido di angoscia di un’anima alla ricerca di Dio espresso dal testo salmodico cede a un sentimento di fiducia e totale abbandono alla volontà divina, questo dipende anche da una consapevole scelta programmatica del musicista. 27 gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014 Diviso in sette parti, il Salmo 42 si apre con un coro che esprime un senso di malinconica nostalgia interiore attraverso l’immagine della cerva che ha sete d’acqua come l’anima ha sete di Dio. La successiva aria del soprano vede la voce solista dialogare con l’oboe, come nelle arie bachiane, e si sviluppa attraverso un recitativo che conduce, nella terza parte, a un coro femminile che, intrecciandosi con la voce del soprano, esprime il desiderio dell’anima di avanzare, tra canti di gioia, verso la casa del Signore. La quarta parte, centro del salmo, è un’esortazione per l’anima triste a sperare in Dio. Dopo il doloroso, toccante recitativo affidato al soprano e il tono supplicante del quintetto, il coro finale amplifica il totale senso di adesione spirituale con una vasta fuga dove Mendelssohn si rifà ancora una volta alla lezione di Bach. Tra le molteplici possibilità espressive, Mendelssohn sceglie quelle più aderenti alla sua sensibilità: in linea con le istanze romantiche, interpreta il testo del salmo soggettivamente, dandone una lettura musicale che non si esprime necessariamente attraverso passioni agitate e disperazione. Anche per questo Robert Schumann, nella rivista «Neue Zeitschrift für Musik», definisce il Salmo 42 il più riuscito tra i lavori di ispirazione religiosa realizzati da Mendelssohn, ponendolo come ideale a cui dovrebbe aspirare la nuova musica sacra. Ludwig van Beethoven, Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 È la più breve e atipica delle sinfonie di Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827). La meno amata dal pubblico e la più discussa dalla critica: una specie di Cenerentola. Le dimensioni ridotte, la presenza di numerosi stilemi preromantici, di tratti umoristici e burleschi, fanno della Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 un’opera disorientante, antitetica rispetto all’immagine del titano da sempre associata al genio di Bonn. La composizione inizia nel 1811 e viene completata tra l’estate e l’autunno del 1812, quasi in parallelo alla stesura della Settima. La prima esecuzione pubblica ha luogo, sotto la direzione dell’autore, nella Redoutensaal di Vienna il 27 febbraio 1814, in un concerto che comprende anche la Sinfonia n. 7 op. 92 e La vittoria di Wellington op. 91. Stando a un resoconto pubblicato dalla «Allgemeine musikalische Zeitung», l’opera non viene accolta con particolare entusiasmo. L’imbarazzo del pubblico e dei primi commentatori si spiega con l’inatteso ritorno di Beethoven ai modi di Haydn e Mozart dopo tante esperienze innovatrici: quasi un voltafaccia rispetto al mito sinfonico da lui stesso costruito. Il ritorno all’antico è evidente soprattutto nel Tempo di menuetto – che recupera la danza simbolo del Settecento galante – e nel Trio centrale con 28 note al programma l’uso dei fiati soli in stile di serenata settecentesca; pure il Finale riallaccia i legami con i finali giocosi di Haydn. Questi richiami formali al passato, tuttavia, non vanno interpretati come un momento di disimpegno o un passo indietro. Si tratta piuttosto di una affermazione di umorismo e di vitalità capace di sorprendere e di giocare con le forme. Non a caso la sapienza costruttiva, la leggerezza scherzosa e il misurato gusto ritmico dell’Ottava saranno oggetto di ammirazione da parte di Stravinskij e indurranno il musicologo Paul Bekker a individuare in questo lavoro «la liberazione da ogni peso terrestre, l’assoluto superamento della materia, verso una forma di pura saggezza speculativa». La sinfonia sembra scandire le tappe di un itinerario che da un inizio festoso e sereno arriva alla massima tensione dell’ultimo tempo, spalancando profondità improvvise e inattese aperture di grande pathos. Il primo movimento, Allegro vivace e con brio, ha una struttura bitematica. Il primo motivo, energico e cantabile, si presenta senza introduzione e, a sorpresa, si inceppa poco dopo. Dall’arresto si genera un ostinato ritmico, quasi un ticchettio, che percorre l’intero movimento e, con opportune variazioni, tutta la sinfonia. Viene in mente il meccanismo di un pendolo, pulsante e nervoso, che richiama quello famoso innescato da Haydn nella Sinfonia n. 101 in re maggiore (L’orologio). Subito dopo appare a sorpresa il secondo tema, più dolce e meditativo. Lo sviluppo, tra inceppamenti e riprese, procede tumultuosamente, ma più che drammaticità genera un diffuso senso di ironia, a tratti perfino di sarcasmo, per approdare – con effetto straniante – a una coda che si spegne in pianissimo con la citazione dell’inciso iniziale. Il canonico tempo lento è sostituito nell’Ottava da un breve Allegretto scherzando, basato sul tema di un canone composto da Beethoven in omaggio all’inventore del moderno metronomo, Johann Nepomuk Mälzel. L’impalcatura ritmica a «tic-tac» dei legni sostiene una linea melodica degli archi, ora incisiva ora grottesca, continuamente variata, in un ‘montaggio’ meccanico e oggettivo che tanto piacerà a Stravinskij. Uno spirito settecentesco aleggia, a gloria dei minuetti haydniani, nel successivo Tempo di menuetto. Non si tratta, tuttavia, della riesumazione nostalgica di una forma superata. L’operazione è sempre ironica, ma questa volta l’ironia ha qualcosa di greve e il risultato è parodistico. Si pensi ai bruschi accordi sforzati che scuotono a tratti la melodia principale, o all’irrompere, poco prima del Trio, di un motivo di fanfara rinforzato dai colpi dei timpani: sembra quasi che la danza ancien régime debba soccombere simbolicamente all’assalto rivoluzionario. Nel Trio la parodia si trasforma in nostalgica poesia: sopra il borbottio asmatico dei violoncelli, i corni e il clarinetto ridanno vita alla serena, giovanile melodia di un minuetto composto da Beethoven nel 1792. La meccanicità parodistica si afferma anche nell’Allegro vivace finale. 29 gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014 Concitato e scattante, è una ripresa sofisticata del finale burlesco alla Haydn, con qualche risvolto di allegria rossiniana ante litteram. Il movimento, dalla forma labirintica, è uno strano amalgama di sonata e rondò, dove l’estro inventivo è pari alla sapienza polifonica. L’effetto ironico, in questo caso, nasce non solo dal disordine formale, ma anche da altri elementi, come il goffo ticchettio ripreso dal primo tema del primo movimento, leggermente variato, o il do diesis a piena orchestra che qua e là irrompe beffardo, sbarrando il passo anche al tema principale. Beethoven sembra quasi ridere di se stesso e della sinfonia tout court. E in questo ironico distacco, che sposta l’attenzione dai contenuti dell’opera d’arte ai suoi meccanismi, Maynard Solomon arriverà a intravedere, oltre alla «dissoluzione dello stile eroico», anche lo spirito della festa che «rovescia le regole della società». Roberto Mori 30 testi vocali FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42 1. Chor 1. Coro Wie der Hirsch schreit nach frischem Wasser, so schreit meine Seele, Gott, zu Dir. Come il cervo anela all’acqua fresca, così l’anima mia anela a te, o Dio. 2. Arie 2. Aria Meine Seele dürstet nach Gott, nach dem lebendigen Gotte! Wann werde ich dahin kommen, dass ich Gottes Angesicht schaue? L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente! Quando verrò e vedrò il volto di Dio? 3. Rezitativ und Arie mit Chor 3. Recitativo e aria con coro Meine Tränen sind meine Speise Tag und Nacht, weil man täglich zu mir sagt: «Wo ist nun Dein Gott?». Wenn ich des innewerde, so schütte ich mein Herz aus bei mir selbst: denn ich wollte gern hingehen mit dem Haufen und mit ihnen wallen zum Hause Gottes, mit Frohlocken und mit Danken unter dem Haufen die da feiern. Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?». Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia e ringraziamento di una moltitudine in festa. 4. Chor 4. Coro Was betrübst du dich, meine Seele, und bist so unruhig in mir? Harre auf Gott! Denn ich werde ihm noch danken, dass er mir hilft mit seinem Angesicht. Perché ti rattristi, anima mia, e sei così inquieta in me? Spera in Dio! Io ancora lo loderò, perché egli con il suo volto è la mia salvezza. 5. Rezitativ 5. Recitativo Mein Gott, betrübt ist meine Seele in mir, darum gedenke ich an dich! Deine Fluten rauschen daher, dass hier eine Tiefe, und dort eine Tiefe brausen; alle deine Wasserwogen und Wellen gehen über mich. Mein Gott, betrübt ist meine Seele in mir! Mio Dio, la mia anima è afflitta in me; perciò io penso a te! Un abisso chiama un altro abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Mio Dio, la mia anima è afflitta in me! 31 gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014 6. Quintett 6. Quintetto Der Herr hat des Tages verheißen seine Güte, und des Nachts singe ich zu ihm, und bete zu dem Gotte meines Lebens. Mein Gott, betrübt ist meine Seele in mir. Warum hast du meiner vergessen? Warum muss ich so traurig gehen, wenn mein Feind mich drängt? Di giorno il Signore mi dona la sua grazia, di notte per lui innalzo il mio canto, la mia preghiera al Dio della mia vita. Mio Dio, la mia anima è afflitta in me. Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? 7. Schlusschor 7. Coro finale Was betrübst du dich, meine Seele, und bist so unruhig in mir? Harre auf Gott! Denn ich werde ihm noch danken, dass er meines Angesichts Hilfe und mein Gott ist. Preis sei dem Herrn, dem Gott Israels, von nun an bis in Ewigkeit. Perché ti rattristi, anima mia, perché sei così inquieta in me? Spera in Dio! Ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Sia lode al Signore, Dio di Israele, ora e nei secoli dei secoli. 32 biografie Monica Bacelli Diplomatasi con Maria Vittoria Romano e Donato Martorella presso il Conservatorio di Pescara, vince il Concorso Belli di Spoleto che la porta a debuttare al Teatro Sperimentale come Cherubino nelle Nozze di Figaro e Dorabella in Così fan tutte. Da allora ha cantato nei principali teatri italiani e internazionali (Scala, Staatsoper di Vienna, Covent Garden, San Francisco Opera) e presso le principali istituzioni concertistiche (Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Philharmonie di Berlino, Concertgebouw di Amsterdam), collaborando con direttori quali Abbado, Chailly, Chung, Mehta, Muti, Ozawa, Pappano e Rattle. Vincitrice del premio Abbiati, il suo ampio repertorio comprende ruoli mozartiani (Idamante, Cherubino, Donna Elvira, Dorabella, Sesto) e rossiniani, ma si estende dall’opera barocca (la trilogia monteverdiana, La Calisto di Cavalli, Tamerlano, Alcina e Giulio Cesare di Händel) all’opera francese dell’Otto e Novecento (Les contes d’Hoffmann, Werther, Don Quichotte, L’enfant et les sortilèges). Riconosciuta interprete del teatro musicale contemporaneo, le sono state affidate numerose prime esecuzioni, tra cui il monologo lirico Le bel indifférent di Marco Tutino e il ruolo eponimo in Antigone di Ivan Fedele. Luciano Berio ha scritto per lei i ruoli di Marina in Outis (Scala 1996) e di Orvid in Cronaca del luogo, e il brano Altra voce (Festival di Salisburgo 1999). Di Berio ha inoltre interpretato i Folksongs con la Filarmonica della Scala, con l’Ensemble Intercontemporain, con i Berliner Philharmoniker e ai Proms di Londra. Tra i suoi impegni operistici recenti Isolier nel Comte Ory a Ginevra, la prima assoluta del Re Orso di Marco Stroppa all’OpéraComique di Parigi, Mélisande in Pelléas et Mélisande a Bruxelles, Donna Elvira in Don Giovanni a São Paulo, Sesto nella Clemenza di Tito a Venezia, Dialogues des Carmélites a Santa Cecilia e Ottavia nell’Incoronazione di Poppea all’Opéra di Parigi. 33 gabriele ferro - 19, 20 dicembre 2014 Gabriele Ferro Diplomatosi in pianoforte e composizione presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, nel 1970 ha vinto il concorso per giovani direttori d’orchestra della Rai, collaborando da allora con le sue orchestre e con quelle dell’Accademia di Santa Cecilia e della Scala per i concerti sinfonici. Ha riscosso un ampio successo internazionale dirigendo i Wiener e i Bamberger Symphoniker, l’Orchestre de la Suisse Romande, l’Orchestre Philharmonique de Radio France, la BBC Symphony Orchestra, la WDR Sinfonieorchester, la Gewandhausorchester e la Cleveland Orchestra. Ha inoltre collaborato per molti anni con l’Orchestre National de France. È stato direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica Siciliana (1979-1997), dell’Orchestra della Rai di Roma (1987-1991), dello Staatstheater di Stoccarda (1991-1997), del Teatro di San Carlo di Napoli (1999-2004, Premio Abbiati per Elektra di Strauss) e direttore principale ospite del Teatro Massimo di Palermo (2001-2006). Il suo repertorio spazia dalla musica classica alla contemporanea, nell’ambito della quale ha diretto in prima mondiale opere di Berio, Clementi, Maderna, Stockhausen, Ligeti, Nono, Rihm, Battistelli. In ambito lirico ha affrontato un repertorio che va dal Settecento al Novecento nei principali teatri europei (Scala, Opera di Roma, Venezia, Firenze, Bastille e Châtelet di Parigi, Lione, Amsterdam, Ginevra, Monaco di Baviera, Deutsche Oper di Berlino, Covent Garden, Madrid, Tel Aviv) e statunitensi (Chicago, San Francisco, Los Angeles). È stato ospite dei maggiori festival internazionali, tra cui Wiener Festwochen, Festival di Schwetzingen, Schleswig-Holstein Musik Festival, Rossini Opera Festival, Maggio Musicale Fiorentino, Coruña Mozart Festival, Ferrara Musica e Biennale di Venezia. La sua Sonnambula allo Staatstheater di Stoccarda si è aggiudicata il premio Beste Aufführung 2012 della rivista «Opernwelt». Dopo Semiramide nel 2011, Les pêcheurs de perles nel 2012 e l’inaugurazione della stagione sinfonica 2013-2014, nel novembre 2014 è tornato al San Carlo di Napoli con Salome di Strauss. Recentissima è la sua nuova nomina a direttore musicale del Teatro Massimo di Palermo. È docente di direzione d’orchestra alla Scuola di Musica di Fiesole e accademico di Santa Cecilia. 34 gabriele ferro 35 Teatro La Fenice sabato 31 gennaio 2015 ore 20.00 fuori abbonamento GABRIEL FAURÉ Pelléas et Mélisande, suite op. 80 Prélude: Quasi adagio La fileuse: Andantino quasi allegretto Sicilienne: Allegretto molto moderato La mort de Mélisande: Molto adagio MAURICE RAVEL Le tombeau de Couperin, suite d’orchestre Prélude Forlane Menuet Rigaudon • Igor Stravinskij Pulcinella, suite per orchestra Sinfonia Serenata Scherzino - Allegretto - Andantino Tarantella Toccata Gavotta (con due variazioni) Vivo Minuetto - Finale MAURICE RAVEL Ma mère l’Oye cinq pièces enfantines, suite pour orchestre Pavane de la Belle au bois dormant Petit Poucet Laideronnette, impératrice des pagodes Les entretiens de la Belle et de la Bête Le jardin féerique direttore ALEXANDRE BLOCH Orchestra di Padova e del Veneto Progetto «Orchestre e teatri del Veneto alla Fenice» NOTE AL PROGRAMMA Gabriel Fauré, Pelléas et Mélisande, suite op. 80 L’attività di Gabriel Fauré (Pamiers, 1845 – Parigi, 1924) non risente della crisi del linguaggio musicale europeo tra Otto e Novecento. Di qui uno stile che si tiene lontano da influssi e condizionamenti del panorama musicale coevo e guarda piuttosto a modelli preesistenti. Educato dalla École Niedermeyer di Parigi alla venerazione dei classici francesi (da Josquin Desprez a Couperin e Rameau) e dei classici stranieri (da Palestrina a Bach, a Haydn), Fauré è grande ammiratore di Beethoven, discepolo spirituale di Chopin nelle composizioni per pianoforte, nonché di Schumann nelle prime pagine cameristiche. Tuttavia la sua arte, fatta di grazia e levità, tende progressivamente a un ritorno alla tradizione nazionale francese, intesa come modello di chiarezza, semplicità ed equilibrio. Queste caratteristiche si ritrovano nella pacatezza classica e nella tersa serenità delle musiche di scena composte per il dramma di Maurice Maeterlinck Pelléas et Mélisande, rappresentato al Prince of Wales Theatre di Londra il 21 giugno 1898, con la presenza sul podio dello stesso compositore. Dai 19 numeri della partitura londinese, composta in tempi stretti e con l’aiuto di un allievo, Charles Koechlin, a cui viene affidata l’orchestrazione, Fauré ricava una suite da concerto, eseguita dall’Orchestra Lamoureux a Parigi il 3 febbraio 1901. In questa prima versione della Suite op. 80 figurano solo tre brani: Prélude, Fileuse, Molto adagio. Mancano invece due pezzi delle musiche di scena, Sicilienne e Mélisande’s Song, integrati successivamente nella partitura. Immerso in un clima di rassegnata malinconia, il Prélude evoca con il suo lirismo severo e contenuto la foresta incantata e misteriosa dove si incontrano Golaud e Mélisande. La successiva Fileuse (la filatrice) è invece un interludio posto a commento della prima scena del terzo atto: un ritratto aggraziato e pieno di freschezza di Mélisande all’arcolaio. Quanto alla Sicilienne, dove il dialogo fluido, quasi ipnotico, tra flauto e arpa evoca atmosfere mediterranee indefinite e immaginarie, si tratta della trascrizione orchestrale di un brano precedentemente composto da Fauré per violoncello e pianoforte: la Sicilienne in sol minore op. 78. 38 note al programma La suite si chiude con il Molto adagio: una marcia funebre che dopo un avvio sommesso vede la scrittura via via infittirsi per poi sfumare in una atmosfera rarefatta e impalpabile. Alla fine, il canto solitario del flauto sostenuto dagli archi accompagna nella maniera più appropriata e toccante la morte di Mélisande: «un piccolo essere così tranquillo, così timido e così silenzioso», secondo le parole del vecchio Arkël che chiudono il dramma di Maeterlinck. Roberto Mori Maurice Ravel, Le tombeau de Couperin Come Debussy, che aggiunse alla sua firma la qualifica di «musicista francese», anche Ravel si accese di patriottismo allo scoppio della prima guerra mondiale. Fece di tutto per arruolarsi, ma la bassa statura e l’insufficienza toracica lo confinarono a far l’autista di ambulanze militari. Vecchie foto ce ne rimandano l’immagine orgogliosa. I vari brani di Tombeau de Couperin portano ciascuno la dedica a un commilitone scomparso in guerra e lo stesso Ravel disegnò un’urna cineraria per la copertina dello spartito. È una suite per pianoforte che prevede il recupero di forme del barocco e del rococò come la forlana, la giga, il rigaudon, il menuet, la fuga, la toccata. Ravel vuol «torcere il collo all’eloquenza» tardoromantica, ritrovando la semplicità del linguaggio settecentesco, spegnendo i furori con un’umile opera di artigianato, con un sapiente e raffinato uso del mestiere, uno stile dimesso e spoglio. Ma a differenza di Debussy, che come i simbolisti ama la nuance, più spesso Ravel persegue linee nette, chiarezza melodica e contrappuntistica e prende a modello in quest’opera le grandi creazioni clavicembalistiche del xviii secolo, proprio mentre Wanda Landowska andava riproponendo l’uso del clavicembalo. Non è ancora neoclassicismo: «i vecchi schemi non hanno il peso di rigidi modelli richiamati a vivere una vita fittizia, ma sono la labile e duttile traccia lungo la quale si muove il compositore» (Mantelli). Il tombeau era un genere letterario alla memoria di un Grande. Ravel lo riprende in onore del più illustre clavicembalista francese del xviii secolo, Couperin. «A dire il vero l’omaggio non è tanto al solo Couperin, quanto all’intera musica francese del xviii secolo» scrive l’autore. La pianista Marguerite Long, vedova del musicologo Joseph de Marliave, dedicatario della Toccata, fu la prima ad interpretare l’opera, l’11 aprile 1919, alla Salle Gaveau. Prélude, Forlane, Menuet e Rigaudon vennero poi strumentati da Ravel per l’Orchestra Pasdeloup, adottando un piccolo organico con l’arpa, ma senza percussioni. In seguito i Balletti svedesi di Jean Börlin ne ricavarono una coreografia. Il 15 giugno 1921 lo stesso Ravel diresse la centesima replica. Massimo Contiero 39 alexandre bloch - 31 gennaio 2015 Igor Stravinskij, Pulcinella, suite per orchestra Tra il 1919 e il 1920, su commissione di Sergej Djagilev, Igor Stravinskij (Lomonosov, 1882 – New York 1971) compone Pulcinella, balletto in un atto con tre voci soliste e piccola orchestra su temi di Giovanni Battista Pergolesi. Il lavoro, a fronte delle incomprensioni della critica, ottiene grande successo di pubblico fin dalla prima all’Opéra di Parigi il 15 maggio 1920, sotto la direzione di Ernest Ansermet (nella parte principale danza Léonide Massine). Due anni dopo, il compositore appronta una suite da concerto – con le voci sostituite da strumenti – che sarà diretta il 22 dicembre 1922 da Pierre Monteux sul podio della Boston Symphony Orchestra. Pulcinella rappresenta per Stravinskij la scoperta del passato: «l’epifania attraverso la quale l’insieme della mia opera successiva diventerà possibile». Gli spunti della musica di Pergolesi, elaborati con distacco ironico e sensibilità armonica moderna, gli consentono di stabilire un rapporto tra avanguardia e tradizione, tra ricalco stilistico e libera invenzione. Se la melodia dell’originale napoletano viene rispettata nella sua solare linearità, la deformazione e il ‘rimontaggio’ degli altri parametri attraverso armonie dissonanti e ritmi spezzati creano un effetto di straniamento. Ne esce un geniale gioco di metamorfosi in cui i procedimenti compositivi settecenteschi non vengono sottoposti a restauro, ma risuonano con i tratti evidenti della modernità. La suite si articola in otto parti, ognuna delle quali circoscrive un mondo sonoro ed espressivo a sé stante, unendo un lucido virtuosismo al gusto dello spiazzamento e della sorpresa. La prima parte, Sinfonia, è una tradizionale sinfonia all’italiana, composta col materiale del primo movimento della Prima Sonata a tre di Pergolesi. La seconda parte è invece una Serenata dal ritmo cullante, dove all’oboe (che sostituisce il tenore) è affidata la melodia dell’aria di Polidoro tratta dal Flaminio (1735). La terza ha forma tripartita: comprende uno Scherzino, un Allegretto (con violino obbligato) e un cantabile Andantino, plasmati rispettivamente sul primo e sul terzo tempo della Seconda Sonata a tre e sul primo movimento dell’Ottava Sonata a tre. Segue una Tarantella, basata sul terzo tempo della Settima Sonata a tre. La quinta parte si intitola Toccata ed è ricavata dalla Settima Sonata per clavicembalo (Allegro in forma di rondò), mentre la successiva Gavotta con due variazioni corrisponde a una Gavotta inserita da Pergolesi nella sua Seconda Sonata per clavicembalo. La settima parte è un divertente Duetto, rielaborato dalla Sonata per violoncello e basso continuo: inizia con un Minuetto che si atteggia burlescamente a marcia funebre e utilizza il materiale della canzone 40 note al programma di Don Pietro dal primo atto dell’opera buffa Lo frate ’nnamorato del 1732. Infine, un brillante Allegro assai (ricalcato sul terzo tempo della Dodicesima Sonata a tre) conclude l’opera in un clima di sfrenata allegria. Maurice Ravel, Ma mère l’Oye, suite per orchestra Per quanto attento alle novità provenienti sia dal mondo musicale che dalla letteratura e dalle arti visive, Maurice Ravel (Ciboure, 1875 – Parigi 1937) fonda la sua poetica nel confronto con il passato, come fonte d’ispirazione e metro di valore. Le sue composizioni ora guardano al mondo antico (la Grecia di sogno immaginata come in una pittura del Settecento nel balletto Daphnis et Chloé), ora resuscitano grandi maestri in sontuosi abiti da cerimonia, con arcani riti di magia (la Sonatina, Le tombeau de Couperin). Il rapporto con il passato riguarda anche il modo incantato e privo di implicazioni psicanalitiche con cui si addentra nella purezza dell’infanzia e della fiaba: un interesse culminato nel 1825 con l’opera L’enfant et les sortilèges. Già nel 1908 Ravel aveva dato un contributo alla letteratura pianistica per l’infanzia con Ma mère l’Oye: una raccolta di cinque bevi brani per pianoforte a quattro mani, ispirati a celebri fiabe di autori del Sei-Settecento e dedicati ai piccoli Mimie e Jean, figli di una coppia di amici, Ida e Cipa Godebski. Dall’album pianistico ricaverà una versione orchestrale in cinque quadri e, successivamente, un balletto. La suite per orchestra, eseguita con successo nel 1910, si caratterizza per la costruzione lineare, la strumentazione trasparente, la semplicità dei profili tematici. Una sobrietà che deriva naturalmente anche dal fatto di essere l’elaborazione di pagine originariamente destinate a esecutori dilettanti. E tuttavia, come nella versione pianistica Ravel riesce a ottenere il massimo effetto con minime risorse, anche nella trascrizione orchestrale la semplicità di mezzi e d’espressione non preclude risultati di grande suggestione. Il primo quadro, Pavane de la Belle au bois dormant, è un breve lento: il suo tema dolce e malinconico descrive l’atmosfera sospesa e misteriosa del bosco che avvolge il sonno della principessa. Ancora a Perrault si ispira Petit Poucet, dove un continuo gioco di scale allude al girovagare di Pollicino alla ricerca delle molliche di pane. Un acceso tocco di Oriente caratterizza invece il più complesso Laideronnette, impératrice des pagodes, una marcia euforica in parte basata sulla scala pentatonica, dove gli interventi di xilofono, celesta, ottavino e arpa sembrano evocare a tratti le sonorità delle orchestre gamelan. Un nostalgico valzer apre Les entretiens de la Belle et 41 alexandre bloch - 31 gennaio 2015 de la Bête, evidente omaggio alle Gymnopédies di Satie: il dialogo tra la candida melodia della bella e il borbottio cromatico della bestia si conclude con la diafana trasparenza della magia che spezza l’incantesimo e trasforma la bestia in principe. Il clima di metamorfosi e incantesimi prosegue nel quadro conclusivo, Le jardin féerique, che descrive un giardino fatato pieno di ineffabili bellezze: una melodia inizialmente lieve viene trasportata da sonorità sempre più accese verso l’apoteosi di una brillante fanfara. Roberto Mori 42 biografie Orchestra di Padova e del Veneto Costituitasi nell’ottobre 1966, sulla base dell’organico del sinfonismo classico, nei suoi quasi cinquant’anni di attività si è affermata come una delle principali orchestre da camera italiane nelle più prestigiose sedi concertistiche in Italia e all’estero. Peter Maag ne è stato il direttore principale dal 1983 al 2001. Alla direzione artistica si sono succeduti Claudio Scimone, Bruno Giuranna, Guido Turchi, Mario Brunello (direttore musicale, 2002-2003), Filippo Juvarra (Premio Abbiati 2002) e, dall’agosto 2014, Clive Britton. L’Orchestra ha collaborato con direttori e concertisti quali Accardo, Anderszewski, Argerich, Ashkenazy, Barbirolli, Bashmet, Buchbinder, Campanella, Carmignola, Chailly, Desderi, Gavazzeni, Goebel, Gutman, Hamar, Herreweghe, Hewitt, Hogwood, Kavakos, Koopman, Lonquich, Lupu, Maisky, Mullova, Mutter, Perahia, Perlman, Quarta, Rampal, Richter, Rostropovich, Shelley, Starker, Stoltzman, Szeryng, Ughi, Vegh, Zimerman. L’Orchestra è l’unica Istituzione Concertistico-Orchestrale (I.C.O.) operante nel Veneto e realizza circa 120 concerti l’anno con una propria stagione a Padova e concerti in regione, in Italia e all’estero. Tra gli impegni più recenti si ricordano i concerti al Festival di Brescia e Bergamo (direttore Tan Dun), al Festival «In terra di Siena» (direttore Ashkenazy), al Festival MITO (pianista e direttore Olli Mustonen), alla Biennale Danza e alla Biennale Musica di Venezia, al Festival Rostropovich di Orenburg (violoncellista e direttore David Geringas). Nelle ultime stagioni si è distinta anche nel repertorio operistico, in allestimenti di Don Giovanni, Le nozze di Figaro e Così fan tutte di Mozart, L’elisir d’amore, Don Pasquale e Lucrezia Borgia di Donizetti, Rigoletto di Verdi, La voix humaine di Poulenc e Il telefono di Menotti. L’Orchestra di Padova e del Veneto è sostenuta da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione del Veneto, Provincia di Padova e Comune di Padova. Dall’ottobre 2011 ha acquisito la natura giuridica di «Fondazione». www.opvorchestra.it. 43 alexandre bloch - 31 gennaio 2015 Alexandre Bloch Vincitore della Donatella Flick LSO Conducting Competition 2012, che gli è valsa la nomina a direttore assistente della London Symphony Orchestra, Alexandre Bloch ha studiato violoncello a Orléans e composizione al Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris, concentrandosi quindi sulla direzione d’orchestra nella classe di Zsolt Nagy. Borsista della SYLFF Tokyo Foundation e della Fondation Tarazzi, nel 2012 è stato premiato con la borsa di studio «Sir John Zochonis Junior Fellowship in Conducting» al Royal Northern College of Music di Manchester, dove ha studiato e diretto l’opera Mosca, Čerëmuški di Šostakovič, e nel 2012 e 2013 è stato conducting fellow al Tanglewood Music Center Festival. Premiato come «Talent 2012» dalla ADAMI (Società francese dei diritti degli interpreti musicali) e apprezzato da direttori quali Jansons, Dutoit, Boulez, Haitink, Elder, Salonen, nell’ottobre 2012 ha sostituito all’ultimo minuto Mariss Jansons in un concerto con l’Orchestra del Concertgebouw dirigendo Tod und Verklärung di Strauss e una prima assoluta di Jörg Widmann. Ha debuttato con importanti orchestre europee (Royal Liverpool Philharmonic, BBC National Orchestra of Wales, Royal Northern Sinfonia, Manchester Camerata, Ulster Orchestra, Orchestra da Camera e Orchestra Reale Danese, Orchestre National de Lyon, Orchestre National du Capitole de Toulouse, Orchestre de Chambre de Paris, Orchestre National de Lille, Musikkollegium Winterthur, NWD Philharmonie, Düsseldorfer Symphoniker, Filharmonia Poznanska) e internazionali (Australian Youth Orchestra). Lavora anche in studio con la BBC Philharmonic. È fondatore (2011) e direttore musicale dell’Orchestra Antipodes, che raccoglie giovani strumentisti di talento e mira a rinnovare il dialogo tra musicisti e pubblico. 44 alexandre bloch 45 Teatro La Fenice venerdì 27 febbraio 2015 ore 20.00 turno S sabato 28 febbraio 2015 ore 17.00 turno U* PĒTERIS VASKS Cantabile per archi FRANCIS POULENC Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP 61 Allegro ma non troppo Larghetto Allegro molto Anna Barutti pianoforte Massimo Somenzi pianoforte • DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 Allegro Moderato Presto Largo Allegretto direttore DIEGO MATHEUZ Orchestra del Teatro La Fenice * in abbonamento XXIX Stagione di musica sinfonica e da camera di Mestre in collaborazione con gli Amici della Musica di Mestre NOTE AL PROGRAMMA Pēteris Vasks, Cantabile per archi Nato nel 1946 ad Aizpute, in Lettonia, Pēteris Vasks rappresenta, insieme ad autori come gli estoni Arvo Pärt e Veljo Tormis o il lituano Algirdas Martinaitis, una delle figure più autorevoli nel variegato e stimolante panorama che caratterizza la rinascita culturale degli Stati baltici dopo la fine del dominio sovietico. La consapevolezza dell’identità nazionale, linguistica e culturale – mai del tutto sopita, anche negli anni più difficili – si rivela per questi artisti la forza principale che consente il superamento di grandi difficoltà e l’uscita dall’isolamento. Spirito inquieto e indipendente, Vasks riesce a comunicare con la sua musica proprio questo senso di diffusa aspirazione alla libertà ritrovata. Al contempo esprime con intensità il bisogno di nuovi punti di riferimento, di riscoprire il rapporto non solo con la natura, ma con le radici stesse del proprio essere, senza nostalgie di un passato che non può più ritornare. Da questo punto di vista la fede rappresenta per il musicista lettone il baricentro esistenziale attorno al quale ruota un percorso creativo dove le più profonde convinzioni in campo estetico e religioso arrivano a coincidere. Figlio di un pastore battista, sull’onda della ritrovata libertà di culto e di espressione artistica, Vasks compone diverse pagine di musica sacra, fra cui Pater noster (1991), Dona nobis pacem (1996), Missa (2000-2005). Influenzato inizialmente dalla forza drammatica e dalle tecniche aleatorie dell’avanguardia musicale polacca, Vasks recupera via via un’impronta armonico-melodica ricca di comunicativa spesso attingendo alla tradizione musicale lettone. Il veicolo espressivo più congeniale lo trova negli strumenti ad arco: lo dimostrano composizioni come Musica Dolorosa (1983), la sinfonia Stimmen (1990-91), Musica Adventus (1996), nonché il Cantabile per archi (1979) in programma questa sera, dove un andamento quasi mahleriano si arricchisce di un ampio ventaglio di microsfumature creando paesaggi sonori sospesi, diafani nella loro lontananza. È una musica che, con il suo melos struggente e le sue armonie dense e meditative, sembra alludere alla fragilità della bellezza. Un universo sonoro delicato e rarefatto che a tratti si intensifica per poi sfaldarsi nuovamente e trascolorare fino alle soglie del silenzio. 47 diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015 Francis Poulenc, Concerto minore FP 61 per due pianoforti e orchestra in re A partire dagli anni venti, Francis Poulenc (Parigi, 1899 – 1963) frequenta la residenza della principessa Edmond de Polignac, amica e mecenate, che gli commissionerà un Concerto per due pianoforti e orchestra. Portato a termine in breve tempo, il lavoro viene eseguito il 5 settembre 1932 al Festival di Musica Contemporanea di Venezia con l’Orchestra della Scala diretta da Désiré Defauw: solisti lo stesso Poulenc e l’amico Jacques Février. Il Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP 61 è di fatto una sorta di pastiche neoclassico realizzato con materiali musicali eterogenei e intessuto di citazioni che vanno da Scarlatti e Mozart a Ravel e Stravinskij. Secondo Giacomo Manzoni gravita nell’orbita di un «melodismo decadente, dove non è difficile riconoscere l’influsso di Puccini». Il risultato è un’opera dalla scrittura strumentale brillante, ironica, avvolta da un esprit tipicamente parigino. In apparenza priva di coerenza costruttiva, si articola in tre movimenti secondo la forma settecentesca del concerto grosso. La partitura si apre con un Allegro ma non troppo pieno di dinamismo, dove il discorso musicale procede attraverso una serie di contrasti velocelento che consentono, sul piano espressivo, di alternare lirismo malinconico e ironia, esuberanza e leggerezza. Al termine del primo tema, dopo una breve modulazione dei violoncelli e un tocco di nacchere, i due pianoforti evocano anche le sonorità di un’orchestra gamelan giavanese, reminiscenza di un ascolto di Poulenc in occasione dell’Exposition coloniale internationale del 1931. Non convenzionale la conclusione del movimento, immerso in un’atmosfera rarefatta dove risuonano solo gli arpeggi dei pianoforti. L’inizio del successivo Larghetto, dal tono sommesso e malinconico, è per ammissione dello stesso compositore «un gioco poetico davanti al ritratto di Mozart». Un chiaro omaggio ai movimenti centrali dei concerti per pianoforte del salisburghese, in particolare del Concerto in re minore KV 466. Animato da un episodio centrale più energico, questo tempo si sviluppa attraverso un singolare quanto suggestivo amalgama di stili e autori diversi, da cui emergono tra gli altri Offenbach e Satie. Chiude il concerto il brillante Allegro molto, dove i virtuosismi dei due pianoforti sono sollecitati da un ritmo incalzante. Anche qui l’ironia la fa da padrona. Melodie orchestrate si alternano a effetti rumoristici, temi brevissimi a mutevolezze timbriche continue, citazioni ad autocitazioni (Le lion amoureux da Les animaux modèles). Alla fine, il richiamo all’effetto gamelan evocato nel primo movimento chiude circolarmente la composizione. 48 note al programma Dmitrij Šostakovic, Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 Il rapporto tra il regime staliniano e Dmitrij Šostakovic (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) è contrassegnato da ambiguità e oscillazioni. Da un lato, il compositore diventa un artista ufficiale, adottato come bandiera culturale del Paese. Dall’altro, viene bollato come nemico del popolo e la sua opera attaccata come «flusso intenzionalmente discordante e confuso di suoni». Costretto a fare i conti con i dettami del realismo socialista e non credendo affatto nella funzione sociale dell’arte, Šostakovic fatica non poco a restare fedele alla propria ispirazione. Combattuto fra aspirazioni e compromessi, si trova a ingaggiare una lotta incessante e disperata per la sopravvivenza, sia fisica che creativa. Prendiamo il caso della Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70, composta al termine della seconda guerra mondiale come terza parte della cosiddetta «trilogia bellica». Se la Settima e l’Ottava raccontano le sofferenze e lo sforzo eroico del popolo sovietico contro il nazismo, la Nona dovrebbe essere, sulla carta, una grande sinfonia patriottica, un inno trionfale in cui si manifesta la gioia per la vittoria. Il risultato è invece antitetico a quanto ci si aspetterebbe: l’occasione celebrativa viene oscurata da una componente ludico-satirica e da una ironia che susciteranno l’avversione della critica ufficiale sovietica. Scritta in poco più di un mese, la Sinfonia n. 9 viene eseguita per la prima volta il 3 novembre 1945 presso la Sala grande della Filarmonica di Leningrado sotto la direzione di Evgenij Mravinskij. Šostakovic rivendica «un clima luminoso e solare», ma il senso di gioia espresso è troppo spensierato e pieno di humour. Non ci sono cori, fanfare, marce, magniloquenze. La struttura classica, la semplicità e la concisione dell’opera vengono considerate un affronto alla memoria dei caduti in guerra. Il «cinismo» e la «fredda ironia» dimostrati dal musicista sono il risultato, secondo Israel Nestyev, dell’influenza di Stravinskij. Effettivamente, ascoltando le scorribande liberatorie e gioiose del flauto piccolo nell’Allegro – il primo dei cinque movimenti in cui si divide la sinfonia – è difficile pensare a una composizione celebrativa. Il tono è vivace e festoso, inclina ora all’umorismo ora alla vera e propria buffoneria; nei successivi temi danzanti, le citazioni e gli ammiccamenti agli stili di altri autori sono utilizzati in senso parodistico. L’inizio del secondo movimento, Moderato (al posto del classico Scherzo), è affidato a due clarinetti che cantano una melodia mesta per poi lasciare respiro agli accordi dell’orchestra che, con possenti legati, tratteggiano una atmosfera di intimo e desolato lirismo dove non si fatica a cogliere un tocco mahleriano. La presenza di battute binarie e ternarie alternate rende inoltre instabile la cantabilità tradizionale della melodia. 49 diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015 L’incalzante Presto si ricollega all’intonazione gioiosa dell’Allegro. Nello scatenamento ritmico le percussioni giocano un ruolo fondamentale accanto alla presenza – come nel terzo tempo dell’Ottava – della tromba solista. Al tono scherzoso e all’humour del brano contribuisce anche una melodia spagnoleggiante. L’atmosfera energica si placa nel breve Largo con funzione di intermezzo, dove il recitativo dei sinistri tromboni e dei fagotti è percorso da un filo d’inquietudine, per poi riaccendersi nel conclusivo Allegretto. Si ritorna così a un tono vivace e brioso che assume qua e là atteggiamenti burleschi, quasi in odore di Rossini. Il tema è un autoimprestito e proviene da una polka composta da Šostakovic per il film La giovinezza di Maksim (Il bolscevico) del 1934. La gioia per la vittoria risulta ancora una volta stemperata, ironicamente e cinicamente trattenuta. Si capisce perché la Nona Sinfonia non tarderà molto a finire sul libro nero della censura. Roberto Mori 50 BIOGRAFIE Anna Barutti Prima classificata al Premio Città di Treviso, ha tenuto concerti in importanti sedi in Italia (Piccola Scala, Teatro La Fenice, Biennale Musica, Società del Quartetto di Bergamo, Maggio Musicale ed Estate Fiesolana di Firenze, Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, Bologna Festival, Festival Internazionale di Musica da Camera di Portogruaro) e all’estero (Schlösskonzert a Vienna, Festival Internazionale di Lubiana, Radio España di Madrid, Auditorium di Lérida, Accademia Chopin di Varsavia, Sala del Conservatorio Cajkovskij di Mosca, International Music Festival di Houston, Teatro Sejong e Teatro Sun Cion di Seoul, Seoul Philharmonic Orchestra). Si è formata con Eugenio Bagnoli, Sergio Lorenzi e Giuseppe Sinopoli al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Premiata all’Accademia Chigiana di Siena con diploma d’onore, ha studiato al Conservatorio Cajkovskij di Mosca con Liubov Timofeieva e si è perfezionata nel repertorio beethoveniano con Wilhelm Kempff. Ha eseguito i Concerti di Beethoven sotto la guida di Roberto Abbado e Vladimir Delman. Apprezzata interprete camerista, ha collaborato con prestigiosi musicisti in importanti festival in Italia e all’estero. È titolare della cattedra di pianoforte principale al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Ha tenuto masterclass in Italia, Germania e Corea del Sud, dove è frequentemente invitata per concerti e corsi presso la Seoul National University e la Sungshin University; ha fatto parte della giuria di concorsi nazionali ed internazionali. Di recente ha fondato il Quintetto Barutti (quartetto d’archi con pianoforte) con il quale è stata invitata a esibirsi in prestigiose sedi concertistiche. 51 diego matheuz - 27, 28 febbraio 2015 Massimo Somenzi Veneziano, ha studiato pianoforte con Maria Italia Biagi, illustre allieva di Rio Nardi e Alfredo Casella, diplomandosi al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Ha studiato musica da camera con Sergio Lorenzi, Franco Rossi e Antonio Janigro. Si è perfezionato al Mozarteum di Salisburgo e all’Association Musicale de Paris dove ha ottenuto un Premier Prix di musica da camera. Ha vinto numerosi premi in concorsi nazionali e internazionali. Nel corso della sua intensa attività concertistica in formazioni da camera, come solista e con orchestra, ha suonato nelle sale più prestigiose d’Italia (Scala e Sala Verdi di Milano, Pergola di Firenze, Teatro Grande di Brescia, Accademia Chigiana di Siena, Fenice di Venezia, Sala Verdi di Torino, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Olimpico di Roma), Francia (Auditorium du Louvre a Parigi), Austria (Musikverein di Vienna), Giappone (Bunka Kaikan di Tokyo), Spagna, Portogallo, Germania, ex Iugoslavia, Bulgaria, Turchia, Albania, Stati Uniti, Canada, Cina, ex Unione Sovietica. Il suo repertorio comprende più di 400 composizioni eseguite in pubblico, tra cui l’integrale delle sonate, fantasie e rondò per pianoforte di Mozart e, con Gustavo Romero, l’integrale delle composizioni mozartiane per duo pianistico. Fin dal 1980 svolge intensa attività concertistica con il violoncellista Mario Brunello. Gli Amici della Musica di Mestre gli hanno dedicato tra il 2012 e il 2013 un «primo piano» in omaggio alla carriera. È docente di pianoforte al Conservatorio di Venezia, ed è stato per un decennio direttore del Conservatorio di Castelfranco Veneto. Giurato in importanti concorsi nazionali e internazionali, tiene regolarmente corsi di perfezionamento in Italia e all’estero. Per la biografia di Diego Matheuz si veda sopra, p. 12. 52 DIEGO MATHEUZ 53 Teatro Malibran venerdì 6 marzo 2015 ore 20.00 turno S domenica 8 marzo 2015 ore 17.00 turno U WOLFGANG AMADEUS MOZART Die Entführung aus dem Serail KV 384: Ouverture Presto - Andante - Primo tempo Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 Haffner Allegro con spirito Andante Menuetto Presto • SAMUEL BARBER Adagio per archi op. 11a IGOR STRAVINSKIJ Sinfonia in do Moderato alla breve Larghetto concertante Allegretto Largo - Tempo giusto, alla breve direttore LORENZO VIOTTI Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Wolfgang Amadeus Mozart, Die Entführung aus dem Serail KV 384: Ouverture Nella produzione giovanile di Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791), l’ouverture non fa parte integrante dell’opera. Solo con Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) comincia a essere costruita con il materiale tematico dell’opera stessa. Rappresentato al Burgtheater di Vienna nel 1782, questo lavoro segna del resto la scoperta da parte del genio salisburghese delle possibilità del teatro, dei suoi meccanismi, delle sue pratiche e strategie. Proprio da qui inizia un decennio che vedrà Mozart sconvolgere e riplasmare il teatro musicale del suo tempo, nel duplice versante dell’opera tedesca e della commedia realistica a sfondo psicologico, innestata sulla gloriosa tradizione italiana. Con il Ratto Mozart affranca il Singspiel dalla dimensione di genere dilettantesco. Lo innalza a opera d’arte drammatica complessa, cercando di superare le convenzioni teatrali del tempo. Combina il gusto tipicamente viennese con gli stilemi dell’opera italiana, dell’opéra comique e con la franchezza della melodia popolare tedesca. La partitura, pertanto, accoglie elementi diversi dell’esperienza teatrale mozartiana. A questi si aggiungono il colore esotico della vicenda sviluppata dal libretto di Johann Gottlieb Stephanie e le «turcherie» della stessa musica, presenti fin dall’Ouverture tripartita. Nell’iniziale, esuberante Presto in do maggiore, le atmosfere orientali sono evocate dall’impiego di strumenti all’epoca considerati tipici della musica «alla turca»: ottavino, triangolo, piatti, timpani e grancassa. Il successivo Andante in do minore anticipa nei suoi momenti salienti l’aria di Belmonte che apre l’opera, contrapponendo al ritmo energico e allo spirito giocoso dell’inizio un sentimento tenero e accorato che rappresenta l’altro impulso motore dell’intreccio. Conclude l’Ouverture la ripresa abbreviata del Presto, che invece di affermare la tonalità fondamentale di do maggiore si conclude su una cadenza sospesa alla dominante direttamente collegata all’apertura del primo atto. La versione «chiusa» per l’esecuzione in concerto, con riesposizione completa e cadenza conclusiva sul primo grado di do maggiore, è stata scritta da Johann Anton André, compositore ed editore della musica di Mozart. 55 lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015 Wolfgang Amadeus Mozart, Sinfonia Haffner in re maggiore KV 385 La Sinfonia in re maggiore KV 385 Haffner nasce come arrangiamento di una serenata commissionata per festeggiare il conferimento di un titolo nobiliare a Sigmund Haffner, borgomastro di Salisburgo. È il luglio 1782 e Mozart, a Vienna, è alle prese con le prove del Ratto dal serraglio e con i preparativi per il suo matrimonio con Constanze Weber, che gli procura duri contrasti con il padre Leopold. Nonostante sia sotto pressione, tiene fede all’impegno e con la consueta rapidità compone la serenata in sei movimenti, per poi trasformarla di lì a qualche mese in una sinfonia. Gli basterà eliminare la marcia iniziale e uno dei due minuetti per far emergere una struttura sinfonica latente, ma già compiuta sia nello scheletro formale che nel carattere stilistico. Con poche altre modifiche e un piccolo ampliamento dell’organico (flauti e clarinetti nel primo e nell’ultimo movimento), la sinfonia viene eseguita per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 23 marzo 1783. Come Il ratto dal serraglio, anche la Haffner accompagna il passaggio di Mozart dalla nativa Salisburgo a Vienna, quindi da una condizione di subalternità (anche psicologica) al vescovo Colloredo a quella di libero professionista, cui non vengono imposti limiti al di fuori del suo genio. Ed è proprio questa sinfonia, caratterizzata da grande vitalità e anche da un certo nervosismo, a riflettere emblematicamente il passaggio da un genere sinfonico ancora legato al tono leggero e di circostanza della serenata a un organismo più complesso in cui si incrociano tensioni stilistiche e ideali. L’Allegro con spirito apre il lavoro con un imperioso e trascinante salto d’ottava degli strumenti all’unisono: un’idea su cui viene costruito con ritmo energico l’intero movimento. Si tratta di una pagina dall’impianto possente e percorsa da un moto febbrile, molto lontana dall’atmosfera della serenata. Pur utilizzando un solo tema principale, Mozart evita ogni rischio di monotonia, imprimendo al brano un ampio respiro che sembra preludere alle sinfonie della maturità. Il secondo tempo, Andante, è avvolto da un clima terso, più intimo e delicato, e presenta una ispirazione melodica di sapore quasi galante. Momenti di malinconica meditazione lirica si alternano ad altri più spigliati e divertenti. È il caso del secondo tema affidato a secondi violini e viole che dipanano quartine di arpeggi e scalette sulla pulsazione di un’unica nota ribattuta dei violini primi: viene in mente il meccanico ticchettio che ritroveremo nella Sinfonia n. 101 in re maggiore (L’orologio) di Haydn, o nel breve Allegro scherzando dell’Ottava di Beethoven. Il successivo Menuetto – dove emerge chiaramente il modello di Haydn – si apre in maniera roboante e pomposa con una figurazione ascendente in forte; a questa si contrappone una figurazione scalare discendente in piano 56 NOTE AL PROGRAMMA che sembra quasi farsi beffe dell’energica apertura. In contrapposizione con le sezioni esterne, il Trio si caratterizza invece per lo strumentale alleggerito e la cantabilità tutta mozartiana. L’ultimo movimento, Presto, ha un’impronta brillante e giocosa. Contraddistinto da continui contrasti tra forte e piano, presenta un’irresistibile vivacità ritmica e coloristica a tratti intercalata da pause e momenti cantabili. Il tema di apertura è una citazione dell’aria di Osmin dal terzo atto del Ratto dal serraglio («O wie will ich triumphieren»), e in effetti questo brano sembra tradurre in cifra sonora certi momenti frenetici del Ratto, ma anche delle Nozze di Figaro. Un brano da eseguire, per desiderio espresso di Mozart, «il più veloce possibile». Quasi una voglia di fuga, o forse soltanto di abbandono al flusso degli eventi. Samuel Barber, Adagio per archi Nel corso del tempo è diventato un’icona musicale della tristezza e della malinconia, tanto da essere utilizzato negli Stati Uniti come «national funeral music». Da quando poi Oliver Stone lo ha inserito in Platoon, nella sequenza in cui il sergente Elias (Willem Dafoe) cade sotto i colpi dei vietcong, l’Adagio per archi di Samuel Barber (West Chester, 1910 – New York, 1981) si è trasformato anche in simbolo della sofferenza e della vita spezzata dalla guerra. Vero è che nel comporre quello che sarebbe divenuto un classico della musica americana neoromantica, il ventiseienne Barber non si propone di scrivere una pagina a programma. Piuttosto, ha in mente una musica pura, svincolata dal culto dell’avanguardia, frutto della sensibilità e dell’ispirazione, attenta alla comunicazione immediata: «Scrivo quello che sento. Non sono un compositore a disagio, in lotta con me stesso. Dicono non abbia uno stile mio, ma non importa. Vado a fare, come si suol dire, la mia partita». L’Adagio nasce nel 1936 come movimento lento del Quartetto per archi n. 1 in si minore op. 11, quindi viene trascritto per orchestra d’archi e trasformato in una composizione autonoma, eseguita per la prima volta da Arturo Toscanini a New York, il 5 novembre 1938, sul podio della NBC Symphony Orchestra. Dopo un trentennio, nel 1968, Barber metterà a punto un ulteriore adattamento per coro misto a otto voci, senza accompagnamento strumentale, sul testo dell’Agnus Dei, trasformando quindi il brano in una invocazione di perdono al Signore. Strutturalmente l’Adagio è una lunga fascia timbrica in crescendo dinamico graduato: si basa su una breve cellula melodica che si sviluppa per gradi congiunti ascendenti. Gli archi scivolano in modo continuo tra i loro 57 lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015 accordi lamentosi fino a raggiungere un picco spasmodico, una fibrillazione al limite del collasso che sembra quasi perforarne il tenue tessuto. Placata la tensione, il discorso musicale si scioglie in una dimensione più tranquilla e semimelodica, dove però l’elegia viene in parte ridimensionata a favore di un clima più doloroso. Come se tutto, dopo la calma ritrovata, non potesse essere più come prima. Igor Stravinskij, Sinfonia in do A partire da Pulcinella (1920), inizia una lunga serie di lavori nei quali Igor Stravinskij (Lomonosov, 1882 – New York 1971) sembra voler ricostruire immagini di diversi periodi della civiltà musicale dell’Occidente, attraverso riferimenti, ora evidenti ora celati, alle opere di maestri del passato. Le operazioni neoclassiche del compositore sono analoghe a quelle portate avanti da Picasso nelle arti visive: un modo di guardare e portare in scena la storia con spirito moderno, intelligente, qualche volta spassoso, qualche altra volta struggente. Questo metodo in Stravinskij assume aspetti diversi: spazia da Bach (Ottetto e Concertino) a Händel (Oedipus Rex), da Rossini (Jeu de cartes) al pianismo brillante alla Weber e Mendelssohn (Capriccio) e a Cajkovskij (Le baiser de la fée). Opere che interpretano e non imitano i vari modelli, dove le citazioni vengono poste in un contesto che le deforma e le stravolge, divenendo vere e proprie invenzioni. Composta a ridosso della seconda guerra mondiale, in parte in Francia e in parte negli Stati Uniti, su commissione della Chicago Symphony Orchestra, la Sinfonia in do è una delle partiture più significative della produzione neoclassica di Stravinskij. Scritta nello spirito di Haydn e Beethoven, si rifà alla struttura tradizionale della sinfonia classica in quattro movimenti, della quale ha anche la durata e l’organico, ma che rivisita liberamente, senza progetti di restaurazione fine a se stessi, con un linguaggio moderno. Nel primo movimento, Moderato alla breve, l’orchestra crea subito una cornice ritmica pulsante nella quale si inserisce, dopo poche battute, un tema leggero e sereno affidato all’oboe: si capisce fin dall’inizio che gli spunti melodici e i materiali ritmici sono accattivanti. Nonostante si sia voluto individuare nella Sinfonia in do una certa staticità di idee musicali, è indubbio che il fraseggio irregolare e certi bruschi cambiamenti di umore di questo movimento (che ritroviamo anche nel terzo e in quello finale) stravolgano creativamente lo schema sonatistico, evitando ogni rischio di accademismo e di routine. Il seguente Larghetto concertante, definito dallo stesso compositore «simple, clear and tranquil», è caratterizzato da sonorità alleggerite, quasi cameristiche: alcuni strumenti assumono un ruolo solistico, creando a tratti 58 note al programma atmosfere pastorali, alle quali si contrappone una sezione centrale senz’altro più movimentata. Il terzo tempo è un Allegretto, vivacemente scandito e dai tipici ritmi irregolari, che si conclude con un fugato. Le complessità di ordine metrico di cui è disseminato questo brano sono da considerare uno dei cimenti più impegnativi dell’intera attività compositiva di Stravinskij. L’ultimo movimento si apre con un Adagio dove il canto sommesso di fagotti, corni e tromboni evoca le atmosfere peculiari del sinfonismo russo. Poche battute che lasciano quindi il posto al tema vigoroso e squadrato del Tempo giusto alla breve, al quale segue, dopo una breve transizione, la ripresa del materiale tematico, opportunamente variato, del primo movimento. Notevole la conclusione in dissolvenza, dove risuonano grandi accordi immobili di quasi tutti i fiati e, alla fine, tre battute in cui gli accordi passano agli archi in sordina. La Sinfonia in do viene eseguita per la prima volta a Chicago il 7 novembre 1940. Roberto Mori 59 lorenzo viotti - 6, 8 marzo 2015 Lorenzo Viotti Vincitore nel dicembre 2013, a 23 anni, del Concorso di Cadaqués in Spagna, Lorenzo Viotti nasce a Losanna da una famiglia di musicisti italofrancesi; fino a 19 anni studia pianoforte, canto e percussioni a Lione, e nel 2009 si trasferisce a Vienna per specializzarsi come percussionista e seguire in Conservatorio i corsi di direzione d’orchestra di Georg Mark. Durante il periodo viennese acquisisce anche un’ampia esperienza suonando come percussionista nelle maggiori orchestre locali, compresi i Wiener Philharmoniker. Direttore ospite principale della Akademische Symphonie Orchester Wien, che dirige per la prima volta in concerto nel 2013 nella Sala d’Oro del Musikverein, continua gli studi di direzione d’orchestra con Nicolás Pasquet, debuttando tra l’altro con la Filarmonica di Jena. Sempre nel 2013 debutta con l’Orchestre Philharmonique de Nice, e in estate debutta in ambito operistico con Le nozze di Figaro allo Schlosstheater Schönbrunn. Vincitore nel 2013 del Concorso della MDR di Lipsia, nel marzo 2014 ha diretto la MDR Symphonieorchester nella Decima Sinfonia di Šostakovič. Come vincitore del Concorso di Cadaqués, nel maggio 2014 ha partecipato al Festival Musical Olympus di San Pietroburgo, e nei mesi successivi ha debuttato con la Tokyo Symphony Orchestra, la Nederlands Symfonieorkest, l’Orchestre National de Lille, l’Orquestra Simfònica de les Illes Balears, l’Orchestre National de France e la BBC Philharmonic. Prosegue gli studi di direzione d’orchestra con Nicolas Pasquet alla Musikhochschule Franz Liszt di Weimar. 60 LORENZO VIOTTI 61 Teatro Malibran venerdì 13 marzo 2015 ore 20.00 turno S sabato 14 marzo 2015 ore 17.00 turno U FEDERICO GARDELLA (vincitore del Premio Una vita nella musica Nuove generazioni 2014) Metrica dell’istante per orchestra nuova commissione nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Fenice» con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice e lo speciale contributo di Marino Golinelli prima esecuzione assoluta BENJAMIN BRITTEN Quatre chansons françaises per soprano e orchestra su testi di Victor Hugo e Paul Verlaine Nuits de juin Sagesse L’enfance Chanson d’automne EDWARD ELGAR Serenata per archi in mi minore op. 20 Allegro piacevole Larghetto Allegretto • FRANZ JOSEPH HAYDN Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford Adagio - Allegro spiritoso Adagio Menuet: Allegretto Finale: Presto direttore JONATHAN WEBB Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Federico Gardella, Metrica dell’istante (2014) per orchestra Come misurare un istante? Come coglierne la struttura interna? Nel suo dirsi nel tempo la musica non si esaurisce in una cronologia di gesti, al contrario ogni elemento, se osservato alla giusta distanza, rivela una sua verità; questa «verità dell’istante» si articola in una visione sincronica del tempo, in cui la forma non si manifesta più come narrazione, ma come percezione di uno spazio sonoro. Ho iniziato a comporre Metrica dell’istante, per orchestra, pensando ad una serie di variazioni, ma presto mi sono accorto che l’idea di istante a cui pensavo non era suscettibile di variazioni (né di sviluppi); ho immaginato, allora, di osservare questo istante da diverse prospettive, in modo da definirne i contorni attraverso differenti angolazioni. Le «variazioni» si sono trasformate, allora, in punti di vista su quell’istante, progressive messe a fuoco dell’idea iniziale: nel momento in cui la forma diventa misura dell’istante la musica si declina in un’anamorfosi del tempo. Federico Gardella Benjamin Britten, Quatre chansons françaises per soprano e orchestra Talento precocissimo quello di Benjamin Britten (Lowestoft, 1913 – Aldeburgh, 1976). Inizia a comporre a cinque anni senza una guida tecnica, prende quindi lezioni private di viola e pianoforte; a quattordici vanta già un cospicuo catalogo di sonate e suite pianistiche, cui si aggiungono un oratorio, alcuni quartetti e vari songs. Non ancora quindicenne, tra il 17 giugno e il 31 agosto 1928, scrive le Quatre chansons françaises per voce acuta (soprano o tenore) e orchestra su testi di Victor Hugo e Paul Verlaine, considerate una sorta di spartiacque nella sua produzione. Il risultato è infatti sorprendente e il salto di qualità viene collegato soprattutto all’influenza esercitata da Frank Bridge, che dal 1927 insegna composizione e direzione d’orchestra al giovane Britten, divenendo una 64 NOTE AL PROGRAMMA figura fondamentale per la sua formazione artistica e umana. In questi brani non mancano, com’è ovvio, le suggestioni di autori francesi, a cominciare da Debussy: lo dimostrano certi passaggi sensuali dei violini in sordina che accompagnano la voce solista in Nuits de juin, la prima chanson su versi di Hugo, oppure il trattamento degli archi e dei fiati in alcuni momenti della quarta, Chanson d’automne, su testo di Verlaine. Ci sono tuttavia elementi peculiari e novità che non si spiegano con l’ascendenza dell’insegnante o la lezione di altri compositori. È curioso, per esempio, che l’inizio di Nuits de juin richiami, per analogia di clima e tonalità, l’apertura di un futuro capolavoro: Billy Budd. Già significativa, poi, risulta la capacità di indagare il rapporto tra parola e musica che sarà al centro della produzione a venire di Britten. L’atmosfera evocata dall’orchestra e dal canto è sempre pienamente rispondente al significato e al contenuto emotivo dei versi. Una particolare sensibilità emerge quando i testi toccano il tema dell’infanzia. È il caso della terza chanson, L’enfance, su testo di Hugo, dove l’immagine di un bambino di cinque anni che canta si contrappone alle sofferenze della madre sul letto di morte: «Il dolore è un frutto. Dio non lo fa crescere / sul ramo ancora troppo debole per sorreggerlo». La voce è accompagnata da una melodia innocente del flauto più volte troncata da armonie scure e minacciose. È il primo esempio di una tecnica che Britten userà frequentemente nelle sue composizioni, accostando il canto dell’innocenza alla paura e al terrore. Edward Elgar, Serenata per archi in mi minore op. 20 Sir Edward Elgar (Broadheat, 1857 – Worcester, 1934) è il caposcuola della rinascita musicale inglese tra Otto e Novecento. Ancorato al tardo romanticismo e al sinfonismo mitteleuropeo, di cui accoglie l’architettura formale e la minuta elaborazione tematica, in alcuni capitoli della sua produzione, in particolare nelle ouverture, si abbandona anche alla contemplazione della natura, alla fede nell’ispirazione artistica («La musica è scritta sulle nuvole del cielo», recita un suo motto). L’elegia compositiva, il genuino afflato melodico e la spiccata tendenza naturalistica permettono di inquadrarlo non solo come un epigono del tardo romanticismo postwagneriano, ma anche come un autentico figlio della sua epoca e della sua terra, l’equivalente musicale di scrittori quali Dickens, Kipling o di pittori come Whistler. Di qui la propensione, in alcune pagine, a una sorta di poema sinfonico in miniatura, in cui risulta estremamente accurata l’attenzione ai singoli dettagli, alle sottili ed eleganti implicazioni coloristiche e timbriche. Le melodie liriche e meditative della Serenata per archi in mi minore op. 20 sembrano snodarsi spontaneamente come le dolci ondulazioni delle Costwold Hills a sud di Worcester, la cittadina cui Elgar rimarrà legato per 65 jonathan webb - 13, 14 marzo 2015 tutta la vita. Composta nel 1892, in un periodo in cui la carriera sembrava destinata a non decollare, è la rielaborazione dei Tre Pezzi per orchestra d’archi scritti qualche anno prima e andati perduti. La prima esecuzione avviene lo stesso anno in forma privata con la Worcester Ladies’ Orchestral Class sotto la direzione del compositore. La prima presentazione pubblica avrà invece luogo ad Anversa, in Belgio, nel 1896. Articolata in tre brevi movimenti, questa composizione giovanile sembra unire la chiarezza ritmica dell’antica tradizione italiana al calore espressivo della Serenata di Cajkovskij, alternando momenti sereni ad altri più introspettivi e malinconici. Dopo il luminoso e, a tratti, agrodolce Allegro piacevole, il Larghetto centrale denota un’eleganza di scrittura e una vena malinconica che già si avvicinano a certe caratteristiche della produzione più matura. Anche l’Allegretto conclusivo, con il suo contrappunto discreto e riservato, sembra ripensare al passato con una punta di malinconia. La Serenata emana così il fascino di quelle opere che sentono di essere arrivate al confine di un’epoca, quasi a esprimere la nostalgia di chi stringe in mano per l’ultima volta un bene che sembra irrimediabilmente perduto. Franz Joseph Haydn, Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford L’attitudine di Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) a piegare il genere sinfonico a un senso di immediatezza e al gusto per gli effetti, si rivela già a partire dalle sei sinfonie «parigine» (nn. 82-87) composte tra il 1785 e il 1786. A queste vanno unite le cinque immediatamente seguenti (nn. 88-92), scritte a Eisenstadt tra il 1787 e il 1789 e sempre destinate, dopo una serie di intricati passaggi di mano, a esecuzioni parigine. In questi lavori, la propensione al gioco e la voglia di esprimersi in forma di comunicazione diretta sono già simili alle trovate e alle ‘sorprese’ di varie altre sinfonie ‘nominate’ che saranno composte da Haydn dopo il trasferimento a Londra, l’altra grande capitale del commercio sinfonico europeo. La Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford è l’ultima delle composizioni composte per Parigi. Dedicata al Conte d’Ogny, uno degli aristocratici sostenitori del Concert de la Loge Olympique, che aveva già commissionato a Haydn le Sinfonie nn. 82-87, viene composta a Eisenstadt nel 1789, pubblicata da Le Duc a Parigi nel 1790 e, successivamente, intitolata Oxford perché eseguita nella cittadina universitaria inglese in occasione del conferimento al musicista della laurea honoris causa nel marzo 1791. Il successo è travolgente. Il desiderio di un immediato contatto con il pubblico, al di là delle barriere accademiche, spinge Haydn a escogitare figurazioni ritmiche e melodiche che invitano al sorriso con la stessa 66 NOTE AL PROGRAMMA eloquenza di una battuta o di un gesto comico. Un’altra caratteristica di questa e altre sinfonie «parigine», che poi troverà espressione compiuta nelle opere successive al viaggio oltremanica, è l’umanizzazione della musica attraverso la semplificazione delle melodie, tratte abbondantemente dal folclore, ma talvolta ridotte a frasi di elementare cantabilità. L’equilibrio formale dei quattro movimenti contribuisce a rendere la Oxford una composizione cristallina e razionale. L’Adagio che apre la sinfonia dipinge un’atmosfera inizialmente serena, ma nel giro di poche battute si carica di accenti dolorosi: è una breve introduzione che serve a preparare il tema principale dell’Allegro spiritoso. Lo sviluppo presenta una serie di entrate imitative dei vari strumenti e una fusione espressiva di spunti, ora esitanti ora gioiosi, che arriva a toccare momenti di notevole intensità drammatica. Dopo tanta concitazione subentrano la serenità e la pace del secondo movimento, un Adagio in re maggiore dominato da uno splendido tema cantabile variato più volte. La marziale sezione centrale in re minore introduce un po’ di agitazione e inquietudine, ma il ritorno del tema iniziale riporta a una atmosfera tersa e tranquilla, che ritroviamo anche nel successivo Minuetto, contraddistinto da pause inattese e squilibri ritmici. Il Trio è giocosamente impostato su un dialogo tra gli interventi dei corni e quelli degli archi che dà vita a una specie di danza goffa e sorridente. L’ultimo movimento è un impetuoso Presto: aperto da un tema scattante affidato ai violini su un pedale dei violoncelli, presenta un brillante intreccio di temi, ritmi e cromatismi che, non senza le trovate a effetto care ad Haydn, conclude ottimisticamente la sinfonia. Roberto Mori 67 jonathan webb - 13, 14 marzo 2015 FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY Salmo 42 per soprano, coro e orchestra op. 42 Nuits de juin Notti di giugno (testo di Victor Hugo, dalla raccolta Les rayons et les ombres) L’été, lorsque le jour [a fui, de fleurs couverte la plaine verse au loin [un parfum enivrant ; les yeux fermés, l’oreille [aux rumeurs entr’ouverte, on ne dort qu’à demi [d’un sommeil transparent. D’estate, quando il giorno [è fuggito, la pianura ricoperta di fiori diffonde da lontano [un profumo inebriante; gli occhi chiusi, l’orecchio [semi aperto ai rumori, non si dorme che a metà [di un sonno trasparente. Les astres sont plus purs, [l’ombre paraît meilleure ; un vague demi-jour [teint le dôme éternel ; et l’aube, douce et pâle, [en attendant son heure, semble toute la nuit [errer au bas du ciel. Gli astri sono più puri, [l’ombra sembra migliore; un vago mezzogiorno [tinge la cupola eterna; e l’alba, dolce e pallida, [attendendo la sua ora, sembra errare tutta la notte [in basso al cielo. Sagesse Saggezza (testo di Paul Verlaine, dalla raccolta Sagesse. III) Le ciel est, par-dessus le toit, si bleu, si calme ! Un arbre, par-dessus le toit, berce sa palme. Il cielo è, sopra il tetto, così blu, così calmo! Un albero, sul tetto, culla la sua chioma. La cloche, dans le ciel qu’on voit, doucement tinte. Un oiseau sur l’arbre qu’on voit chante sa plainte. La campana, nel cielo che si vede, rintocca dolcemente. Un uccello sull’albero che si vede canta il suo lamento. 68 testi vocali Mon Dieu, mon Dieu, la vie est là, simple et tranquille. Cette paisible rumeur-là vient de la ville. Mio Dio, mio Dio, la vita è questa, semplice e tranquilla. Questo placido rumore viene dalla città. – Qu’as-tu fait, ô toi que voilà pleurant sans cesse, dis, qu’as-tu fait, toi que voilà, de ta jeunesse ? – Che hai fatto, tu che qui piangi senza cessare, di’, che hai fatto, tu che sei qui, della tua giovinezza? L’enfance L’infanzia (testo di Victor Hugo, dalla raccolta Les contemplations) L’enfant chantait; la mère [au lit exténuée, agonisait, beau front [dans l’ombre se penchant ; la mort au-dessus d’elle [errait dans la nuée ; et j’écoutais ce râle, [et j’entendais ce chant. Il bambino cantava; la madre [a letto, estenuata, agonizzava, piegando [la bella fronte nell’ombra; la morte errava sopra di lei [nella nube; e io sentivo questo rantolo, [e ascoltavo quel canto L’enfant avait cinq ans, [et, près de la fenêtre, ses rires et ses jeux [faisaient un charmant bruit ; et la mère, à côté [de ce pauvre doux être qui chantait tout le jour, [toussait toute la nuit. Il bambino aveva cinque anni, [e vicino alla finestra le sue risate e i suoi giochi [facevano un fascinoso rumore; e la madre, accanto [a questo povero dolce essere che cantava tutto il giorno, [tossiva tutta la notte. La mère alla dormir [sous les dalles du cloître ; et le petit enfant [se remit à chanter… – La douleur est un fruit : [Dieu ne le fait pas croître sur la branche trop faible [encor pour le porter. La madre andò a dormire [sotto le pietre del chiostro; e il piccolo bambino [si rimise a cantare… – Il dolore è un frutto: [Dio non lo fa crescere sul ramo ancora troppo debole per portarlo. 69 jonathan webb - 13, 14 marzo 2015 Chanson d’automne Canzone d’autunno (testo di Paul Verlaine, dalla raccolta Poèmes saturniens) Les sanglots longs des violons de l’automne blessent mon cœur d’une langueur monotone. I singhiozzi lunghi dei violini d’autunno mi feriscono il cuore con languore monotono. Tout suffocant et blême, quand sonne l’heure, je me souviens des jours anciens, et je pleure… Ansimante e smorto, quando l’ora rintocca, io mi ricordo dei giorni antichi e piango… Et je m’en vais au vent mauvais qui m’emporte de çà, de là, pareil à la feuille morte… E me ne vado nel vento ostile che mi trascina di qua e di là come la foglia morta… 70 biografie Federico Gardella Nato a Milano nel 1979, ha studiato al Conservatorio di Milano con Alessandro Solbiati e all’Accademia di Santa Cecilia con Azio Corghi; particolarmente importanti per la sua formazione sono stati inoltre gli incontri con Brian Ferneyhough e Toshio Hosokawa. La sua musica è stata presentata nei principali festival italiani (Milano Musica, Maggio Musicale Fiorentino, Play It!, Unione Musicale, Rai NuovaMusica, Traiettorie, La Biennale, Parco della Musica) e internazionali (Voix Nouvelles di Royaumont, Société de Musique Contemporaine di Losanna, Flagey di Bruxelles, Auditorio Nacional de Música di Madrid, Great Guild Concert Hall di Riga, Lodz Philharmonic Hall, Columbia University, Tokyo Opera City, Takefu Music Festival). È stato premiato in numerosi concorsi internazionali di composizione (Tansman Competition di Lodz, Takefu Composition Award 2009, Toru Takemitsu Composition Award 2012) e nel 2014 gli è stato assegnato il Premio «Una vita nella musica - Giovani» al Teatro La Fenice. Sue composizioni, dirette tra gli altri da Zsolt Nagy, Tito Ceccherini, Guillaume Bourgogne, Carlo Boccadoro, Naohiro Totsuka e Sandro Gorli, sono state interpretate da orchestre quali Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Orchestra della Toscana, Orchestra I Pomeriggi Musicali, Latvijas Nacionālais Simfoniskais Orķestris, Filharmonia Łódzka, Tokyo Philharmonic; collabora inoltre con ensemble quali Trio di Parma, Quatuor Diotima, Hilliard Ensemble, Neue Vocalsolisten Stuttgart, Vertixe Sonora Ensemble, Divertimento Ensemble. Nel 2014 Mano d’erba (per orchestra) è stato scelto come «recommended work» all’International Rostrum of Composers di Helsinki; i suoi lavori sono stati inoltre trasmessi da Radio Tre, Radio France, ORF, Sverige Radio, ABC Radio, RTHK, NHK. La sua musica è pubblicata dalle Edizioni Suvini Zerboni-SugarMusic S.p.A. di Milano. 71 jonathan webb - 13, 14 marzo 2015 Jonathan Webb Dopo gli studi di pianoforte, violino e direzione d’orchestra all’Università di Manchester, debutta all’Opera di Manchester con West Side Story. Su invito di Gary Bertini è stato per alcuni anni direttore stabile all’Israeli Opera di Tel Aviv, dirigendovi numerose nuove produzioni operistiche. È stato recentemente nominato direttore musicale della Camerata Strumentale Città di Prato. Ha collaborato con i principali teatri italiani ed europei (tra cui Theater an der Wien di Vienna, Deutsche Oper di Berlino, Teatro São Carlos di Lisbona, Opéra de Marseille, Teatro de la Maestranza di Siviglia) dirigendo un ampio repertorio che comprende lavori di Gluck (Orfeo ed Euridice), Mozart (Die Entführung aus dem Serail, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Die Zauberflöte), Rossini (Tancredi, L’italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola), Donizetti (L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Don Pasquale), Verdi (Macbeth, La traviata, La forza del destino, Falstaff), Puccini (Tosca, Madama Butterfly), Mascagni (Cavalleria rusticana), Leoncavallo (Pagliacci); Halévy (La juive), Bizet (Carmen), Gounod (Faust), Massenet (La navarraise), Saint-Saëns (Samson et Dalila); Weber (Der Freischütz), Johann Strauss (Der Zigeunerbaron), Zemlinsky (Eine florentinische Tragödie), Weill (Mahagonny); Rachmaninov (Il cavaliere avaro), Stravinskij (L’histoire du soldat), Šostakovic (Lady Macbeth del distretto di Mcensk), Janácek (Jenufa, La volpe astuta); Britten (The Rape of Lucretia, The Turn of the Screw, Peter Grimes, Billy Budd, A Midsummer Night’s Dream, Curlew River), Menotti (The Saint of Bleecker Street), Henze (Elegy for Young Lovers), Adams (The Death of Klinghoffer), Francesconi (Terra). Ha collaborato con registi quali Friedrich, de Ana, Carsen, Vick, Pizzi, Abbado, Krief, Pountney, Alden, De Rosa. È stato invitato in numerosi festival tra cui La Coruña, Wexford, Caracalla, Settembre Musica, Sagra Musicale Umbra, Caesarea, Liturgica Festival di Gerusalemme, Saito Kinen, e ha diretto varie orchestre italiane, spagnole e israeliane. 72 jonathan webb 73 Teatro La Fenice giovedì 2 aprile 2015 ore 20.00 turno S sabato 4 aprile 2015 ore 17.00 turno U FRANZ JOSEPH HAYDN Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa Adagio - Vivace assai Andante Menuet: Allegro molto Finale: Allegro di molto DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ Concerto per pianoforte, orchestra d’archi e tromba in do minore op. 35 Allegro moderato Lento Moderato Allegro con brio Alexander Gadjiev pianoforte (vincitore del Premio Venezia 2013) Piergiuseppe Doldi tromba • JOHANNES BRAHMS Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 Allegro non troppo Adagio non troppo Allegretto grazioso (quasi andantino) Allegro con spirito direttore YURI TEMIRKANOV Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Franz Joseph Haydn, Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa Affrancato dai vincoli con i principi Esterházy, Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) approda a Londra nel 1791. È l’inizio di un periodo particolarmente felice sia per l’uomo che per il compositore, accolto in Inghilterra con eccezionale calore fin dal primo concerto. Nel corso dei soggiorni londinesi (1791-92 e 1794-95), Haydn compone dodici sinfonie (dalla n. 93 alla n. 104) che agli inglesi appaiono straordinarie e alcune delle quali ricevono soprannomi ancora oggi evocatori di mito e di magia: Surprise, Miracle, Military, The Clock, Drum Roll. Denominazioni che non nascono dall’intento di fare musica a programma, ma da dettagli in fondo trascurabili, a volte quasi sfuggenti: un «tutti» d’orchestra con spicco del timpano, un rullo di tamburi, uno speciale tipo di accompagnamento, l’uso di strumenti militari turchi. Ma la facilità con la quale Haydn si inserisce nella vita londinese, il suo spirito, la sua duttilità danno a queste trovate il peso di un colpo di genio che esalta la fantasia del pubblico, divenendo il contrassegno, la sigla di sinfonie che, anche per altri meriti, entrano nel novero dei capolavori. Nel caso della Sinfonia in sol maggiore n. 94, i due soprannomi (La sorpresa nei paesi anglosassoni e Colpo di timpano in quelli di lingua tedesca) derivano dal fortissimo di tutta l’orchestra rinforzato dal timpano che caratterizza il secondo movimento. Eseguita per la prima volta il 23 marzo 1792 sotto la direzione del compositore, è la terza (al di là del numero d’ordine) delle sinfonie «londinesi». L’organico comprende coppie di flauti, oboi, fagotti, corni, trombe, più timpani e archi. L’introduttivo Adagio cantabile è avvolto da una atmosfera lirica e presenta due incisi melodici nei quali si alternano i fiati e gli archi. Poco dopo scatta un Vivace assai dal carattere danzante, basato non tanto su una contrapposizione tematica, quanto sulla magistrale elaborazione e l’ampio sviluppo sinfonico. Nel secondo tempo, Andante, compare la formula del tema con variazioni: un tema piano e scorrevole affidato agli archi che Haydn riprenderà qualche anno dopo nell’oratorio Le stagioni. È qui che compare la ‘sorpresa’ dell’improvviso, violento colpo di timpano in fff che si unisce al «tutti» orchestrale. 75 yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015 Nel Minuetto e nel Trio del terzo movimento di questa come di altre sinfonie «londinesi», la città innamorata di nuovi balli ispira a Haydn ritmi di Ländler, la danza popolare tedesca. Da notare che nel secondo soggiorno l’imperversare delle guerre napoleoniche, e il particolare clima della capitale inglese, gli suggeriranno spunti solenni e severi. L’intelligenza dell’uomo – a parte il genio del musicista – si evidenzia anche in questa straordinaria sensibilità alla temperie storico-culturale. Il conclusivo Allegro di molto combina più classicamente i principi costruttivi del rondò con altri della forma sonata: un finale scattante, ricco di contrasti e arricchito da pause improvvise e false riprese che sono le espressioni più tipiche dell’umorismo e dell’arguzia haydniani. Dmitrij Šostakovic, Concerto e orchestra op. 35 in do minore per pianoforte, tromba Considerato l’ampio spazio dato agli strumenti solisti nel repertorio sinfonico, è curioso che in campo concertistico la produzione di Dmitrij Šostakovic (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) si limiti in tutto a sei composizioni: due dedicate al pianoforte, due al violino e due al violoncello. La stesura del Concerto in do minore per pianoforte, tromba e orchestra op. 35 risale al 1933, nel pieno di una crisi espressiva del musicista iniziata dopo la Lady Macbeth e che troverà un parziale superamento con la Sinfonia n. 4 in sol minore. È un lavoro che non ha mai suscitato grandi entusiasmi critici: più che in altre composizioni, qui sembra pesare una eccessiva eterogeneità stilistica, un eclettismo tecnico ed estetico che non arriva a sublimarsi veramente nell’ironia, oscillando con esasperazione tra adesione alla tradizione romantica e sarcasmo graffiante. Questo concerto dall’organico quasi cameristico, dove il pianoforte è accompagnato dai soli archi e dai ‘commenti’ della tromba concertante, è di fatto un mosaico disinvolto realizzato in buona parte con autoimprestiti e rimandi a temi di altri autori e a melodie popolari entro una cornice rapsodica. Il risultato è un eccentrico divertissement musicale che Šostakovic, dopo la prima esecuzione a Leningrado (15 ottobre 1933), difenderà rivendicando «il diritto di ridere della musica seria». Il primo movimento, Allegro moderato, si apre nientemeno che con la citazione della beethoveniana Sonata op. 23 Appassionata, il cui tema iniziale, affidato al pianoforte e poi ripreso dagli archi, viene elaborato e piegato a uno spiccato virtuosismo strumentale. Segue un secondo tema (Allegro vivace) sempre proposto dal pianoforte con il sostegno marcato degli archi, e i cui frammenti vengono poi intonati con estroversione dalla tromba. Dopo la ripresa del motivo iniziale e di un frammento del secondo tema, la cupa conclusione è affidata al pianoforte – con l’ennesima citazione 76 NOTE AL PROGRAMMA dell’Appassionata – e al registro grave della tromba. Il secondo movimento è un Lento immerso in un’atmosfera di delicato, romantico lirismo, che si apre con un tema malinconico esposto dai violini primi: dopo un intervento del pianoforte, il motivo viene ripreso dalla tromba concertante in sordina con un’espressione ancora più nostalgica. Segue il breve Moderato, aperto da un assolo del pianoforte cui seguono un tema pregnante degli archi e alcuni arpeggi del pianoforte che preparano, senza soluzione di continuità, l’Allegro con brio conclusivo. Si tratta di un movimento dal ritmo fortemente scandito, con un primo tema presentato in tonalità diverse, mentre il secondo viene anticipato nervosamente dal pianoforte e ripreso dalla tromba a suono di fanfara. Ancora la tromba ritorna con una frase di sapore grottesco nella sezione centrale, per poi concludere il movimento tra squilli enfatici e caricaturali: un divertente galop dove viene ripreso un tema dalle musiche scritte da Šostakovic nel 1929 per la prima pietroburghese di Der arme Columbus (Il povero Colombo), un’opera del compositore tedesco Erwin Dressel. Johannes Brahms, Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 La composizione della Prima Sinfonia aveva richiesto a Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) una lunga gestazione: quasi un quindicennio di dubbi e rielaborazioni, dal 1862 al 1876. La Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 nasce invece quasi di getto nel giro di pochi mesi durante l’estate del 1877, come se difficoltà e ostacoli si fossero dissolti nello sforzo della prima prova, mettendo il compositore nello stato d’animo ideale per affrontare una partitura tanto scorrevole e serena quanto originale e formalmente densa. Il dissidio tra grande forma classica e libera inventiva romantica viene in un certo senso ricomposto con il superamento della soggezione psicologica rispetto al modello di Beethoven. La prima esecuzione a Vienna, il 30 dicembre 1877, con i Wiener Philharmoniker diretti da Hans Richter, riceve accoglienze trionfali: il punto di forza, per il pubblico, sembra essere la maggiore comprensibilità della nuova sinfonia rispetto a quella precedente. Al di fuori della capitale dell’impero austro-ungarico, tuttavia, i giudizi non sono altrettanto entusiastici: dopo la presentazione al Gewandhaus di Lipsia (10 gennaio 1878), ambiente più severo e conservatore, il critico Alfred Dörffel scrive: «I viennesi sono molto meno esigenti di noi. Noi chiediamo a Brahms ben di più che della musica graziosa, molto graziosa, nelle sue sinfonie». Come a dire che il limite dell’opera consiste nel non essere sufficientemente beethoveniana. Si inizia così a considerare la Seconda Sinfonia la ‘pastorale’ di Brahms, tanto che qualche anno dopo Ferruccio Busoni paragonerà la musica del 77 yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015 compositore tedesco a «uno di quei piccoli laghi di montagna in cui un fiume entra da una parte ed esce dall’altra, senza che la tranquillità del lago ne venga turbata». Lo stesso Brahms concorre a questa fama definendola: «una piccola sinfonia, gaia, assolutamente innocente», e ancora: «un terreno vergine, dove fluttuano così tante melodie che bisogna stare attenti a non calpestarle». Vero è che, presentandola in una lettera al suo editore, Fritz Simrock, Brahms sembra contraddirsi: «La nuova sinfonia è così malinconica da non potersi sopportare. Non ho mai scritto nulla di altrettanto triste: la partitura deve uscire listata a lutto». Considerata la diversità dei punti di vista e delle definizioni («pastorale», come s’è detto, ma anche «mozartiana», «sinfonia viennese», «l’ultima di Schubert», «una suite di valzer»), sembra esserci qualcosa di peculiare e allo stesso tempo inafferrabile nel carattere di questo lavoro. Al di là delle etichette, gli spunti lirici e gli echi pastorali che si possono cogliere nel trattamento dei fiati coesistono di fatto con la struggente malinconia romantica che emerge dalla cantabilità degli archi, in particolare dei violoncelli. Quanto ai mezzi costruttivi e formali impiegati, Brahms concilia la monumentalità con la sensibilità intimista, e trova una propria strada e una nuova espressività percorrendo consapevolmente la via ‘costruttivista’ del classicismo impersonato da Haydn, Mozart e Beethoven. Così, se i legami con la tradizione sono evidenti nell’articolazione in quattro movimenti, la forma sonata che rappresenta l’ossatura formale del primo e del quarto tempo è trattata con la più ampia libertà. L’iniziale Allegro non troppo è una delle costruzioni più grandiose e articolate del sinfonismo ottocentesco: dal primo tema frammentato in cui predomina il colore dei corni al secondo più disteso e lirico, simile a un valzer, esposto da viole e violoncelli, fino alla complessità contrappuntistica del successivo sviluppo, Brahms sembra gettare le basi per un superamento della forma sonata, rimettendone in gioco le possibilità di elaborazione formale. Nella coda – che del movimento è forse il cuore ideologico e strutturale – si annullano le tensioni del conflitto drammatico. L’assolo del corno sfocia in un canto solitario, in un abbandono lirico che sostituisce così un finale clamoroso con uno struggente addio. L’Adagio non troppo è il movimento che ha fornito appigli a una lettura funerea della sinfonia. Ha una struttura tripartita: si apre con un tema malinconico esposto dai violoncelli e accompagnato dai fagotti, e prosegue con un secondo motivo che, affidato al corno, evoca atmosfere alpestri. Anche nella parte centrale figurano due temi: il primo, esposto dai fiati, è sereno e tranquillo; il secondo, affidato ai violini, è più lirico ed espressivo. Quest’ultimo, nella terza sezione, viene a poco a poco sviluppato in maniera più tesa e drammatica fino a quando i violini ripropongono, variandolo, il triste tema iniziale, concludendo il movimento con lo stesso tono sobrio e pacato dell’avvio. 78 note al programma Il breve terzo movimento, Allegretto grazioso, è uno scherzo con due trii e presenta una serie di temi accattivanti che si sviluppano tutti a partire da quello iniziale: un motivo pastorale esposto dagli oboi accompagnati dal pizzicato dei violoncelli. L’unità tematica, le variazioni ritmiche, i contrasti timbrici tra fiati e archi, tra aeree leggerezze e orchestra piena hanno stimolato, insieme con la cantabilità dei motivi, i giudizi ‘agresti’ e ‘popolareschi’ sulla sinfonia. L’Allegro con spirito finale riprende specularmente la forma sonata con due temi principali del movimento di apertura, con il quale condivide anche le proporzioni strutturali dello sviluppo e della ripresa. Di rilievo sia la trasparenza enigmatica del tema iniziale, attaccato «sottovoce» dagli archi, che l’ampio e nobile secondo motivo intonato dai violini primi e dalle viole. La coda ricapitola una serie di elementi tematici diversi, chiudendo la sinfonia con toni trionfali e improvvise pause, come se il tempo dovesse prolungarsi all’infinito. Roberto Mori 79 yuri temirkanov - 2, 4 aprile 2015 Alexander Gadjiev Nato a Gorizia nel 1994, inizia a cinque anni lo studio del pianoforte con la madre Ingrid Silic, proseguendolo con il padre Siavush Gadjiev, noto didatta russo. Vincitore di diversi concorsi giovanili, si esibisce con l’orchestra a nove anni e a dieci tiene il suo primo recital. Ha tenuto recital solistici in numerosi teatri e sale da concerto, tra cui il Palazzo del Governo, il Museo Revoltella e il Ridotto del Teatro Verdi di Trieste, l’Auditorium di Gorizia, il Teatro Alfieri di Torino, il Teatro Fumagalli di Cantù, l’Auditorium Pollini di Padova, i Festival di Lubiana, Feldkirchen e Dilsberg, la Filarmonia di Maribor, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, il Museo dell’Ara Pacis di Roma. Nel 2009 ha suonato il Concerto di Grieg con l’orchestra Ars Atelier di Gorizia e con l’Orchestra dell’Opera di Lubiana e nel 2012 il Concerto di Cajkovskij con l’Orchestra RTV Slovenija. Terzo premio alla FVG International Piano Competition 2012 e vincitore del Premio delle Arti 2012, si diploma nel 2012 al Conservatorio di Cesena e nel novembre 2013 vince la XXX edizione del Premio Venezia, esibendosi nel gennaio 2014 al Teatro La Fenice per la Società Veneziana di Concerti e in giugno per la Festa della Repubblica. Nel giugno 2013 ha conseguito la maturità scientifica e dall’autunno 2013 si perfeziona con Pavel Gililov al Mozarteum di Salisburgo. Nella stagione 2013-2014 si è esibito in importanti sedi italiane (Bologna Festival, Amici della Musica di Padova, Circolo Culturale Bellunese, Teatro Comunale di Treviso, Fazioli Concert Hall, Settimane Musicali del Teatro Olimpico di Vicenza, Accademia degli Sfaccendati in Roma). Semifinalista nel giugno 2014 della Gina Bachauer Piano Competition di Salt Lake City, in agosto è stato selezionato per le finali del Concorso Busoni 2015 e in ottobre è stato tra i sei pianisti selezionati per la Klavierakademie Eppan, dove ha seguito la masterclass di Arie Vardi. Piergiuseppe Doldi Diplomato in tromba nel 1994 presso il Conservatorio di Piacenza, collabora successivamente con varie orchestre italiane tra cui l’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, l’Orchestra Sinfonica Toscanini di Parma e l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretto da maestri di fama internazionale quali Daniel Barenboim, Lorin Maazel, Gustavo Dudamel, Riccardo Muti e Daniel Harding, solo per citarne alcuni. Frequenti sono inoltre le sue apparizioni in qualità di solista con I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone. Vincitore del concorso per prima tromba dell’Orchestra del Teatro la Fenice di Venezia, dal 2008 ricopre stabilmente questo ruolo. Suona strumenti Yamaha dei quali è testimonial Yamaha Artist. 80 biografie Yuri Temirkanov Dal 1988 Yuri Temirkanov è direttore artistico e direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, con cui effettua regolarmente importanti tournée internazionali e registrazioni discografiche. Vincitore nel 1966 del prestigioso Concorso pansovietico di direzione d’orchestra, è subito invitato da Kirill Kondrašin a effettuare una tournée in Europa e negli Stati Uniti con l’Orchestra Filarmonica di Mosca e il violinista David Ojstrach. Nel 1967 debutta con la Filarmonica di San Pietroburgo, nel 1968 è nominato direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Leningrado e nel 1976 diviene direttore musicale del Teatro Kirov, carica che mantiene fino al 1988, con leggendarie produzioni di Evgenij Onegin e La dama di picche. Nel 1977 debutta a Londra con la Royal Philharmonic Orchestra, divenendone dapprima direttore ospite principale e poi, dal 1992 al 1998, direttore principale. È stato inoltre direttore ospite principale dei Dresdner Philharmoniker (1992-1997) e della Danmarks Radio SymfoniOrkestret (1998-2008), e direttore musicale della Baltimore Symphony Orchestra (20002006). Direttore ospite principale del Teatro Bol’šoj fino al 2009, dal 2010 al 2012 è stato direttore musicale del Teatro Regio di Parma. Le sue numerose incisioni comprendono collaborazioni con la Filarmonica di San Pietroburgo, la New York Philharmonic, la Danmarks Radio SymfoniOrkestret e la Royal Philharmonic, con cui ha registrato l’integrale dei balletti di Stravinskij e delle sinfonie di Cajkovskij. Su sua iniziativa, dal 1999 San Pietroburgo ospita nel periodo natalizio il Festival invernale internazionale «Piazza delle Arti», che nel 2013 ha festeggiato il suo 75° compleanno e i suoi 25 anni alla testa della Filarmonica di San Pietroburgo. Yuri Temirkanov ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Russia, tra cui i quattro gradi dell’Ordine al merito per la Patria. In Italia ha ricevuto due Premi Abbiati (2003 e 2007), il titolo di «direttore dell’anno» (2003), il titolo di Commendatore dell’Ordine della stella d’Italia (2012) e il Premio Arturo Benedetti Michelangeli (2014). 81 Teatro La Fenice venerdì 10 aprile 2015 ore 20.00 turno S sabato 11 aprile 2015 ore 17.00 turno U GUSTAV MAHLER Sinfonia n. 9 in re maggiore Andante comodo Im Tempo eines gemächlichen Ländlers. Etwas täppisch und sehr derb (Nel tempo di un tranquillo Ländler. Un po' goffo e molto rude) Rondo-Burleske: Allegro assai. Sehr trotzig (Rondo-Burlesca: Allegro assai. Molto ostinato) Adagio: Sehr langsam und noch zurückhaltend (Adagio: Molto lento e trattenuto) direttore JEFFREY TATE Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Gustav Mahler, Sinfonia n. 9 in re maggiore Divise in due grandi generi speculari – quello sinfonico-corale e quello esclusivamente strumentale – le sinfonie di Gustav Mahler (Kalište, Boemia, 1860 – Vienna, 1911) formano un corpus dai significati contraddittori. Accostando per esempio le strutture più raffinate del sinfonismo tedesco con i movimenti di marcia, o la vocalità liederistica con la canzone popolare, tendono a sottolineare, attraverso forti dislivelli, una nuova estetica in cui la musica assume un valore totalizzante e rispecchia una concezione del mondo pessimista, anche se generatrice di gioia sublimata. Per coglierne l’orientamento complessivo, si ricorre per praticità allo schema descritto da Michael Kennedy, che divide le nove sinfonie mahleriane in tre gruppi. Le prime quattro sono le cosiddette «austriache», legate in qualche modo al patrimonio popolare della civiltà contadina e nelle quali il senso di tragedia e pessimismo è ancora mediato dalla fiaba. Il secondo gruppo, dalla Quinta alla Settima Sinfonia, non è più riconducibile ai valori della società preindustriale ma è pervaso da una molteplicità di stimoli da collegare ai ritmi della cultura urbana e, nello specifico, all’ambiente e alla sensibilità «viennesi». L’Ottava e la Nona Sinfonia, invece, sono da considerare opere «cosmopolite», dove isolamento e lacerazione dell’individuo non si possono più porre in relazione a un ambiente preciso, ma riguardano il rapporto più in generale con il mondo e la dimensione esistenziale. La Sinfonia in n. 9 in re minore rappresenta in particolare una sorta di bilancio, una testimonianza riassuntiva in cui Mahler ripropone in modo introspettivo, e con più essenzialità rispetto alla mastodontica Ottava (la Sinfonia dei mille), le tappe del suo percorso sinfonico. Ritroviamo così nel corso dei movimenti reminiscenze delle sinfonie «austriache» e tracce «viennesi». Nell’Andante comodo d’apertura, c’è anche un rimando esplicito a Das Lied von der Erde (Il canto della terra), l’ultimo lavoro completato da Mahler, già stanco e malato, prima di iniziare la composizione della Nona. La cellula tematica che chiude Das Lied ritorna infatti nel primo tema della sinfonia a tessere una nuova trama di motivi, assumendo le sembianze di un congedo dalla vita. Non per niente Alban Berg associa la Nona a una definizione lapidaria: «la morte in persona». 83 jeffrey tate - 10, 11 aprile 2015 Vero è che a partire da Das klagende Lied il pensiero della morte, nei suoi numerosi travestimenti musicali, è presente in forme diverse sia nelle sinfonie che in parecchi cicli liederistici di Mahler. Jean Matter, a questo proposito, osserva che la Nona «non contiene un movimento funebre come la maggior parte delle altre sinfonie, perché è tutto un poema funebre». Prima di comporla Mahler incontra effettivamente la morte ‘in persona’. Nel luglio 1907 perde la figlia Marie e dopo pochi giorni gli viene diagnosticata una disfunzione cardiaca che non gli lascia speranza. Questi eventi, insieme ad altre travagliate vicende professionali, segnano una svolta drammatica nella vita personale e creativa del musicista. Dopo aver portato a termine l’impresa dell’Ottava Sinfonia, l’anno successivo il musicista si trasferisce vicino a Dobbiaco. Qui, in una piccola casa isolata dal mondo, a contatto con la natura, inizia la composizione della Nona che, alternando i periodi di riposo in Tirolo con una serie di spostamenti negli Stati Uniti, porterà a termine nel marzo 1910. L’Adagio della Decima Sinfonia, destinata a rimanere incompiuta, rappresenterà l’ultimo, disperato traguardo dell’itinerario poetico di Mahler. Anche qui ritornano immagini luttuose, cariche di tristezza, ma accostabili più al commiato finale di Das Lied von der Erde, in quanto tendono a porre maggiormente l’accento sulla rassegnazione e accettazione della fine anziché sull’angosciosa consapevolezza di una scadenza non rinviabile. Das Lied, Nona e i frammenti della Decima formano insomma quella che Hans F. Redlich ha definito «la trilogia della morte». Collocata al centro di questo percorso, la Nona Sinfonia fa quasi pensare all’esercizio di un programmatico e consapevole predisporsi a lasciare il mondo: «è l’esperienza della morte vissuta razionalmente, della morte come certezza conquistata» (Ugo Duse). Un distacco indubbiamente estenuato, che esita a compiersi, e che Mahler affida a due ampi tempi lenti, da sempre particolarmente congeniali al suo registro poetico-espressivo. L’architettura sinfonica tradizionale, suggerita dalla suddivisione in quattro movimenti, viene negata dal fatto che questi non sono disposti secondo la successione canonica e, soprattutto, sono concepiti in tonalità del tutto diverse, contrariamente a ogni logica consequenziale dello sviluppo sinfonico: i due movimenti lenti, rispettivamente in re maggiore e in re bemolle maggiore, incorniciano due movimenti rapidi: un Ländler in do maggiore e un Rondo-Burleske in la minore. L’Andante comodo è una pagina di raffinata complessità. Si apre con un motivo esitante, dall’andamento sincopato, in cui si è voluto riconoscere il battito irregolare del cuore ammalato di Mahler. È come se la musica alludesse al risveglio da un lungo sogno o da una condizione amorfa: poche battute disseminate di motivi brevi e materiali frammentati che, tra palpiti drammatici, sfociano in un tema ampio e disteso che sembra dissipare i presentimenti di morte. A questo, subito dopo, si contrappone un altro 84 note al programma motivo, questa volta in tonalità minore, di grande concitazione drammatica. Al culmine dello sviluppo ritorna il gruppo tematico dell’introduzione, ma quello che all’inizio suonava come qualcosa di neutro e indistinto ora assume una dimensione angosciosa e appare come una tragica intrusione della morte «nel mezzo della vita». Nello schizzo della partitura Mahler annota: «O giorni svaniti della gioventù, o disperso amore». La tensione accumulata nello sviluppo giunge al culmine con la deflagrazione dell’esitante motivo iniziale, suonato «con la massima forza» da tromboni e tuba. Al crollo catastrofico segue un episodio, «Wie ein schwerer Kondukt», che sembra la rappresentazione sonora di un corteo funebre. Alla fine del movimento, i combattimenti, le lacerazioni e i crolli si dissolvono in una atmosfera sospesa e rarefatta: il dolore sembra cedere alla rassegnazione di fronte alla morte, ma il momento del congedo dalla vita è rimandato e sarà ripreso nell’Adagio finale dopo la più estroversa parentesi dei due tempi centrali. Il secondo movimento è infatti uno Scherzo in forma di Ländler, danza tradizionale austriaca in 3/4 antesignana del valzer viennese. L’inizio ha tutto il sapore di una festa contadina scandita da balli sgraziati e volgari, dopo di che l’atmosfera assume improvvisamente il carattere allegro di un valzer fastoso per poi trapassare in un episodio, tenebroso e burlesco al tempo stesso, dove protagonista è invece una danza macabra. Alla fine del movimento ritorna il tempo di Ländler della danza rustica: dopo l’animazione della festa la scena si svuota e, sul pianissimo spettrale della chiusura, resta un senso di tristezza e desolazione. L’atmosfera di disillusione cede il passo, nell’inquietante RondoBurleske, a una rabbia aggressiva e a una furia quasi distruttiva che si esprimono nella forma del rondò, con i periodici ritorni del suo svolgimento circolare, e nella densità eccezionale del contrappunto. Temi e ritmi bizzarri si susseguono in una sorta di frenetica, lugubre cavalcata nella quale Willem Mengelberg individua una raffigurazione degli inutili sforzi dell’uomo di fronte all’eternità della morte. Questo girare a vuoto concitato e frustrante viene interrotto, alla fine del Rondo, da un episodio disteso e luminoso dove compare uno struggente motivo che diventerà il nucleo tematico del quarto movimento. Il Burleske finale riporta a una dimensione percussiva che in chiusura approda a una sfrenatezza dal sapore quasi orgiastico. Dopo il tono ironico e dissacratorio dei due movimenti centrali, lo smisurato Adagio conclusivo – il più grande scritto da Mahler – ritorna a un lirismo luttuoso e pieno di pathos che rappresenta una delle immagini musicali più intense e disperate della morte. Si apre con una sommessa introduzione degli archi e una citazione diretta del motivo già ascoltato nel terzo tempo: una vera e propria elegia che sembra librarsi verso l’alto, trasferendo simbolicamente i conflitti passati nella purezza incontaminata di un’altra dimensione. Armonie romantiche e toni bruckneriani si contrappongono alla rielaborazione di materiali tratti dalla tradizione, in 85 jeffrey tate - 10, 11 aprile 2015 particolare dalle Passioni bachiane, come se raccontando la storia della propria morte e della trasfigurazione nel divino, Mahler si identificasse nella figura di Cristo. Nel corso del movimento la scrittura si fa sempre più aerea e rarefatta, fino a raggiungere un’essenza cameristica, per sublimarsi nella quiete irreversibile di una realtà superiore. Nelle ultime battute, tutto pare essere stupore e silenzio e i suoni sembrano avere il timbro della morte. Uno stato d’animo che Mahler riflette persino nelle numerose didascalie che accompagnano questo episodio conclusivo: «Adagissimo», «Lento e pianissimo», quindi «con intimo sentimento», «morendo», «Estremamente lento», e poi ancora, per l’ultimo accordo, «morendo». La Nona Sinfonia viene eseguita postuma a Vienna, il 26 giugno 1912, dai Wiener Philharmoniker diretti da Bruno Walter. Roberto Mori 86 biografia Jeffrey Tate Dottorato in medicina a Cambridge, inizia la carriera musicale nello staff del Covent Garden. Particolarmente formativa è nel 1976 la partecipazione al Ring del centenario al Festival di Bayreuth come assistente di Pierre Boulez. Su questa base elaborerà più tardi la sua personale interpretazione della tetralogia a Parigi (produzione ripresa ad Adelaide per la prima integrale del ciclo wagneriano in Australia) e a Colonia, sviluppando come principali punti di forza del suo ampio repertorio i drammi musicali wagneriani e le opere di Mozart. Nel 1978 debutta come direttore con Carmen a Göteborg, iniziando una rapida carriera internazionale in ambito lirico e sinfonico. A Parigi ha diretto Lulu e Peter Grimes allo Châtelet, Mahagonny, Billy Budd e Wozzeck all’Opéra Bastille e Così fan tutte all’Opéra Garnier; al Covent Garden nuovi allestimenti di Idomeneo, Manon, Così fan tutte e Capriccio e riprese di Fidelio, Carmen, Lohengrin, Les contes d’Hoffmann e Der fliegende Holländer; al Metropolitan di New York un ampio repertorio che va da Don Giovanni a Lulu e Mahagonny; a Ginevra Orphée et Eurydice, Lulu, Le nozze di Figaro, The Turn of the Screw e Ariadne auf Naxos; alla Staatsoper di Vienna Der Rosenkavalier. Frequente e gradito ospite dei teatri italiani, ha diretto alla Scala Peter Grimes, Der Rosenkavalier, Tannhäuser e Ariadne auf Naxos; alla Fenice Die Walküre, Siegfried, Götterdämmerung (Premio Abbiati 2009) e The Turn of the Screw; al San Carlo di Napoli Königskinder di Humperdinck (Premio Abbiati 2002) e, come direttore musicale (2005-2010), Le nozze di Figaro, Die Walküre, Falstaff, Candide, L’enfant et les sortilèges, Peter Grimes, Die Entführung aus dem Serail, La clemenza di Tito e numerosi concerti sinfonici. In ambito concertistico ha diretto le maggiori orchestre del mondo, fra cui Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI (di cui è direttore onorario), London Symphony, Berliner Philharmoniker, Mozarteum di Salisburgo, Dresdner Philharmonie, Maggio Musicale Fiorentino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, DR Symfoniorkestret di Copenhagen, Orchestre de Paris, Yomiuri Nippon Symphony, Boston Symphony, Cleveland Orchestra, Toronto, Montreal, Melbourne e Sydney Symphony. In Francia è stato nominato Chevalier de la Légion d’Honneur e Chevalier des Arts et des Lettres e in Gran Bretagna Commander of the British Empire. Dall’inizio della stagione 2009-2010 è direttore principale degli Hamburger Symphoniker. 87 Teatro La Fenice sabato 18 aprile 2015 ore 20.00 turno S domenica 19 aprile 2015 ore 17.00 turno U IGOR STRAVINSKIJ Apollon musagète balletto in due quadri per orchestra d’archi Premier tableau Prologue: Naissance d’Apollon Second tableau Variation d’Apollon (Apollon et les Muses) Pas d’action (Apollon et les trois Muses: Calliope, Polymnie et Terpsichore) Variation de Calliope (L’Alexandrin) Variation de Polymnie Variation de Terpsichore Variation d’Apollon Pas de deux (Apollon et Terpsichore) Coda (Apollon et les Muses) Apothéose • ALEKSANDR SKRJABIN Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 Andante Allegro Andante Tempestoso Maestoso direttore JOHN AXELROD Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Igor Stravinskij, Apollon musagète Dopo il trasferimento a Parigi nel 1920, Igor Stravinskij (Lomonosov, 1882 – New York 1971) dà il via alla sua stagione neoclassica con le musiche per Pulcinella, balletto in un atto su temi di Giovanni Battista Pergolesi. Nel 1926-27 è la volta di Oedipus Rex, opera-oratorio su testo di Jean Cocteau ispirato all’omonima tragedia di Sofocle. Alla drammaticità dell’Oedipus segue, nel 1927-28, un lavoro di segno opposto, dal classicismo più sobrio, dove a prevalere è un ideale di serena contemplazione: Apollon musagète. Quando nell’estate 1927 la mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge gli commissiona un balletto su soggetto libero per il Festival di musica contemporanea alla Library of Congress di Washington, Stravinskij non ha dubbi sull’argomento: «da tempo coltivavo l’idea di scrivere un balletto basato su momenti o episodi della mitologia greca interpretati plasticamente da ballerini della cosiddetta scuola classica». Nella realizzazione del progetto il compositore sceglie così il tema di Apollo musagete, filtrando tuttavia le suggestioni della Grecia antica attraverso il Seicento francese e la musica di Jean-Baptiste Lully, il compositore di Luigi XIV. Nello scenario della «calma degli dei», il protagonista è Apollo, figlio di Zeus e Leto, nato già adulto nell’isola di Delo. Liberatosi dalle fasce che lo avvolgono, si mette a danzare accompagnandosi con un liuto ricevuto in dono da due dee. Le muse Calliope, Polimnia e Tersicore rendono omaggio al dio, che le guida e le istruisce, conferendo loro l’investitura della tutela delle rispettive arti: poesia, mimica e danza. Dopo aver intrecciato con Tersicore un ispirato passo a due, alla fine Apollo conduce tutte al Monte Parnaso. Apollon musagète è dunque una celebrazione della danza classica, della dimensione apollinea della bellezza e dell’arte. Gli strumenti principali utilizzati da Stravinskij per realizzare questa immagine di purezza e armonia sono la leggerezza del ballet blanc ottocentesco e l’impiego di un complesso di soli archi, da cui ottiene una grande varietà di intrecci polifonici, di assottigliamenti e ispessimenti sonori. Significativo è anche il piacere dell’effusione melodica, in cui si possono riconoscere rimandi a 89 john axelrod - 18, 19 aprile 2015 Cajkovskij, Delibes e ai balletti francesi e russi del secondo Ottocento. Altra caratteristica ricorrente è il ritmo puntato, presente in numerose varianti: Il vero soggetto di Apollon è la versificazione, che per i più significa qualcosa di arbitrario e di artificiale. Gli schemi ritmici principali sono giambici, e le singole danze si possono considerare come variazioni del metro giambico, in ritmo puntato e nel suo inverso. Si tratta di un evidente omaggio all’ouverture di Lully, di cui Stravinskij intende riflettere il solenne andamento cerimoniale già a partire dal Prologue. I vari brani del balletto si susseguono tra toni nobilmente austeri e una timbrica tersa e raffinata nella varietà delle sfumature. Nel Pas de deux di Apollo e Tersicore, ad esempio, gli archi con sordina creano – attraverso un ordito polifonico complesso – una sonorità diafana e rarefatta, come se i passi di danza del dio e della musa si muovessero dietro un velario, e si assistesse alla materializzazione di una bellezza ancora ignota. Suggestivi effetti di dissolvenza ritornano anche nell’Apothéose che conclude il balletto: la musica procede con solennità trasformando il ritmo giambico del Prologue in un movimento circolare che sembra affacciarsi gradualmente sulla contemplazione dell’infinito. Completato nel gennaio 1928, Apollon musagète va in scena il 27 aprile dello stesso anno, con la coreografia di Adolph Bolm, nello spazio un po’ angusto della Library of Congress di Washigton. L’esito non convince Stravinskij, che di lì a pochi mesi sarà invece pienamente soddisfatto dalla versione di George Balanchine per i Ballets Russes di Sergej Diaghilev. Il 12 giugno 1928 il balletto viene accolto trionfalmente al Théâtre Sarah Bernhardt di Parigi, con Serge Lifar nel ruolo del protagonista e, sul podio, lo stesso compositore. In Italia Apollon musagète sarà eseguito per la prima volta in forma concertistica l’11 settembre 1949, alla Fenice di Venezia, in occasione del XII Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Aleksandr Skrjabin, Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 Rispetto alla tradizione musicale russa e ai compositori a lui contemporanei, Aleksandr Skrjabin (Mosca, 1872 – 1915) si colloca in una posizione di isolamento. Rifiuta infatti di ispirarsi al patrimonio folcloristico nazionale e, nel trattamento orchestrale, più che a Rimskij-Korsakov o Glinka guarda a Berlioz, Liszt e Wagner. Dotato di una tecnica pianistica raffinata e di notevole sensibilità armonica, con l’orchestra intrattiene rapporti conflittuali e fatica a trovare un linguaggio personale che lo liberi dalle influenze tardoromantiche. Significative in questo senso le prime due sinfonie, composte nell’arco di un triennio, tra il 1900 e il 1902: ambiziose e un po’ prolisse, non arrivano 90 note al programma a competere con le contemporanee prove pianistiche (si pensi soltanto alle prime sonate) e possono considerarsi opere di preparazione alla Sinfonia n. 3 in do minore op. 43 (Poema divino) e, soprattutto, al Poema dell’estasi op. 54, il capolavoro sinfonico di Skrjabin. A partire dalla Prima Sinfonia, tutte le opere del musicista poggiano su un programma, più o meno occulto, di ordine artistico e filosofico. L’attrazione per certe teorie mistico-teosofiche si riverbera sull’adesione a un sinfonismo ‘puro’, estraneo a una personificazione dei temi o a tendenze narrative. Nel caso specifico delle sinfonie, si può parlare di «drammi strumentali» che alternano momenti lirici ad altri di tensione e conflitto interiore. Diversamente da Cajkovskij, però, non abbiamo un’opposizione dialettica tra ‘io’ e ineluttabilità del destino. In Skrjabin la lotta tra ‘io’ e mondo esterno tende al ricongiungimento e all’armonia, dunque all’apoteosi finale, all’estasi. Non c’è spazio per gli esiti tragici. Questo percorso ideale dalle tenebre alla luce contraddistingue anche la Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 che, come la Prima, è un lavoro di grandi dimensioni articolato in cinque movimenti. Strutturalmente, fra le sinfonie di Skrjabin, è quella che più si avvicina allo schema classico in quattro tempi, posto che l’Andante iniziale si unisce all’Allegro maggiore senza soluzione di continuità. La novità consiste nell’impronta sostanzialmente monotematica (che sarà peculiare anche del Poema dell’estasi), che permette di vedere il primo movimento come introduzione, il secondo come esposizione, il terzo come zona di contrasto, il penultimo come rielaborazione e l’ultimo come ripresa con coda. Un elemento unificatore è fornito anche dal tema in do minore affidato al clarinetto che, alla seconda battuta, apre l’Andante e viene successivamente utilizzato in vari punti della sinfonia fino a fornire la base (questa volta in do maggiore) per il Maestoso conclusivo. L’Andante iniziale, d’altra parte, non ha solo il compito di spianare la strada alla tensione del secondo tempo, ma spezzando le sonorità a tratti cupe con una parte più mossa in do maggiore, dove intervengono le trombe a suon di fanfara, offre subito un’idea del carattere e della drammaturgia dell’opera nel suo complesso. Se l’Allegro successivo si contraddistingue per l’ampio utilizzo degli ottoni e la prevalente esuberanza sonora, il terzo movimento, Andante, è avvolto invece da una atmosfera pastorale. La dolce cantabilità del primo tema, intonato dal violino sulle fioriture del flauto, ondeggia come una melodia infinita wagneriana, in cui si perdono impalpabilmente le conclusioni delle singole frasi. Nettamente contrastante è il clima evocato dal successivo Tempestoso, che con la sua incalzante impetuosità fonica sfocia nel Maestoso che chiude l’opera. Anche se qualche anno dopo sarà sconfessata dallo stesso compositore («invece della trasparenza che volevo, sono andato a finire in una parata militare»), questa pagina rappresenta, con i suoi ritmi di marcia e 91 john axelrod - 18, 19 aprile 2015 la sua vitalità, l’ideale di finale ottimistico tipico del sinfonismo di Skrjabin. La Sinfonia viene proposta con successo per la prima volta a San Pietroburgo, sotto la direzione di Anatolij K. Ljadov, il 12 gennaio 1902. Contrastanti, invece, le reazioni di pubblico< e critica dopo l’esecuzione moscovita del 3 aprile 1903 diretta da Vasilij Safonov. Roberto Mori 92 biografia John Axelrod Direttore principale e direttore artistico della Real Orquesta Sinfónica de Sevilla (dal novembre 2014) e direttore principale ospite dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi (di cui è stato direttore principale dal 2011 al 2014), John Axelrod è stato dal 2004 al 2009 direttore principale della Luzerner Sinfonieorchester e direttore musicale del Teatro di Lucerna, e dal 2010 al 2013 direttore musicale dell’Orchestre National des Pays de la Loire. Laureato alla Harvard University nel 1988 e formatosi nella tradizione di Bernstein, ha studiato al Conservatorio di San Pietroburgo con Ilya Musin nel 1996, e ha partecipato al programma dell’American Symphony Orchestra League. Sin dal 2001 ha diretto oltre 150 orchestre internazionali, 30 titoli d’opera e 50 prime assolute. Fra le orchestre con cui collabora regolarmente figurano la Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino, la NDR Sinfonieorchester di Amburgo, la hr-Sinfonieorchester di Francoforte, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, la Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, la OSI di Lugano, la Camerata Salzburg, la ORF Radio Symphony e i Grazer Philharmoniker. In ambito operistico ricordiamo Candide di Bernstein allo Châtelet e alla Scala, Flight di Dove all’Opera di Lipsia, Tristan und Isolde ad Angers e Nantes, Idomeneo, Don Giovanni, Rigoletto, Die Dreigroschenoper, Der Kaiser von Atlantis e The Rake’s Progress al Festival di Lucerna. Nel 2014 ha diretto Evgenij Onegin al San Carlo di Napoli e inaugurato il Festival di Spoleto con il trittico Erwartung, La dame de Monte-Carlo e La mort de Cléopâtre. Appassionato sostenitore delle nuove generazioni di musicisti, collabora con diverse orchestre giovanili professionali, tra cui SchleswigHolstein Festival Orchestra (che ha diretto al Festival di Salisburgo), Orchestra Giovanile Italiana, Accademia della Scala, Junge Norddeutsche Philharmonie, Sinfonia Iuventus e Wiener Jeunesse Orchester. 93 Teatro Malibran giovedì 30 aprile 2015 ore 20.00 turno S sabato 2 maggio 2015 ore 20.00 fuori abbonamento JOHANNES BRAHMS Ouverture tragica in re minore op. 81 ANTON WEBERN Sinfonia op. 21 per orchestra da camera Ruhig schreitend (Con andamento tranquillo) Variationen (Variazioni) PIERRE BOULEZ Livre pour cordes Variation Mouvement • JOHANNES BRAHMS Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 Allegro non troppo Andante moderato Allegro giocoso Allegro energico e passionato direttore MICHEL TABACHNIK Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Johannes Brahms, Ouverture tragica in re minore op. 81 Nel marzo 1879, Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) riceve dall’Università di Breslavia una laurea honoris causa in filosofia. In segno di ringraziamento, secondo una tradizione risalente ai tempi di Haydn, compone una nuova partitura, l’Ouverture accademica op. 80, imbastita con citazioni di canti goliardici. Forse per compensare il carattere estroverso, per lui inconsueto, di questa pagina di circostanza, il musicista si dedica parallelamente alla stesura di un altro brano, complementare e opposto nello stile: l’Ouverture tragica in re minore op. 81. Si tratta dunque di due opere gemelle («una piange, mentre l’altra ride»), accomunate anche nell’esecuzione: dopo aver presentato la Tragica a Vienna il 26 dicembre 1880, sotto la guida di Hans Richter, Brahms dirigerà personalmente entrambe le ouverture a Breslavia, il 4 gennaio 1881, in occasione del conferimento della laurea. Tra le due, l’Ouverture in re minore, pur liquidata inizialmente come un’imitazione del Coriolano di Beethoven, è la più considerata in sede critica. Si sono ipotizzate infatti le più diverse intenzioni programmatiche e ispirazioni letterarie (dall’Amleto di Shakespeare al Faust di Goethe) e si è valutata pure la possibilità che il brano contenga spunti tematici per un’opera teatrale mai realizzata. Tuttavia, considerate anche le smentite dello stesso Brahms riguardo all’influenza di soggetti letterari specifici, l’Ouverture op. 81 resta un esempio di musica pura, dove i violenti contrasti dinamici e i colori corruschi rimandano a un clima da tragedia. Realizzata in forma sonata, l’opera è divisa in tre sezioni principali, tutte in re minore: Allegro ma non troppo, Molto più moderato e Tempo primo ma tranquillo. Fin dai due accordi secchi dell’orchestra che aprono il brano in fortissimo, prevale un’atmosfera tesa e incisiva, spezzata solo occasionalmente da qualche episodio più lirico e disteso. L’energia ritmica e la contrapposizione dei temi si riversano in percorsi imprevedibili e labirintici, per approdare a un finale che non offre alla tragedia alcuna via d’uscita. Prima della chiusura sembra affacciarsi qualche segno di speranza, ma la stretta finale perentoria e tagliente riporta a una dimensione cupa e drammatica di carattere quasi beethoveniano. 95 michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015 Anton Webern, Sinfonia op. 21 per orchestra da camera Il declino graduale della sinfonia intesa in senso classico e ottocentesco si accentua, agli inizi del Novecento, con l’avvento della Seconda scuola di Vienna. L’apporto del fondatore, Arnold Schoenberg, si limita a quattro lavori (le Kammersymphonie op. 9 e op. 38, Verklärte Nacht op. 4 e Pelleas und Melisande op. 5), mentre Alban Berg ignora completamente il genere. Nella produzione della Seconda scuola di Vienna, il termine sinfonia ritorna di fatto solo in un’altra occasione per designare una composizione di Anton Webern (Vienna, 1883 – Mittersill, Salisburgo, 1945). Si tratta della Sinfonia op. 21 per orchestra da camera che, costruita in due movimenti, conserva solo un vago riferimento alle grandi forme di impianto tradizionale. Essendo abolita la forma sonata, il termine va inteso pertanto in senso lato, senza riferimenti precisi a una concezione strutturale estensiva della musica, che è del tutto estranea a Webern. Proprio a partire da quest’opera, scritta tra il 1927 e il 1928, l’ordine della struttura seriale diventa una delle componenti estetiche essenziali del lavoro del compositore, rivelando alcuni tratti importanti della sua personale concezione dodecafonica. Il primo movimento (Con andamento tranquillo) è un «doppio canone per moto contrario a quattro parti», mentre il secondo è costituito da un tema con sette variazioni. L’organico orchestrale è ridotto al minimo e prevede quattro fiati (clarinetto, clarinetto basso, due corni), quattro archi (due violini, viola e violoncello) e arpa. In questo modo ogni strumento può contribuire con il timbro specifico a individuare i singoli atomi derivanti dalla dissociazione del discorso, ricomponendoli in una trama prevalentemente timbrica secondo la tecnica del divisionismo. L’impiego rigoroso della tecnica seriale e il contrappunto altrettanto calcolato consentono così a Webern di liberare, nella Sinfonia op. 21, una dimensione sonora estremamente rarefatta e del tutto nuova, non più interpretabile secondo i tradizionali concetti di armonia o di polifonia. Uno spazio fatto non di linee e accordi, ma di ‘punti’ e costellazioni, di esili trame strumentali dove si agita un afflato lirico sommesso e rarefatto che, quasi paradossalmente, riesce a innestarsi sulla straordinaria luminosità e sottigliezza del tessuto puntillistico. Pierre Boulez, Livre pour cordes Il processo puntillistico verso la dissociazione del discorso in «suoni isolati», avviato da Webern, viene portato alle estreme conseguenze da Pierre Boulez (Montbrison, 1925). Partito da posizioni di estremo rigorismo, il compositore, teorico e direttore d’orchestra francese arriva a compiere, 96 note al programma insieme con Stockhausen e Pousseur, un’operazione di totale serializzazione dello spazio acustico. Composto nel 1948-49, e pubblicato parzialmente nel 1960, Livre pour quatuor, per quartetto d’archi, rappresenta uno dei primi tentativi di organizzazione sistematica di tutti i parametri sonori compiuti da Boulez. Il principio seriale schoenberghiano è applicato non più alle sole altezze, ma anche alle durate, alle dinamiche, ai timbri e soprattutto ai valori ritmici, il cui trattamento si rivela qui di una complessità mai raggiunta prima. Rispetto alle composizioni strumentali precedenti, Livre pour quatuor non si rifà ad alcun schema strutturale classico. I movimenti sono sei e possono essere eseguiti separatamente, persino spostati o raggruppati secondo la volontà degli interpreti. Eseguito a frammenti a Donaueschingen e a Darmstadt tra il 1955 e il 1962, il lavoro è stato quindi rielaborato da Boulez nel 1968 per orchestra d’archi e proposto a Londra, nel dicembre dello stesso anno, dalla New Philharmonia Orchestra con il titolo Livre pour cordes. Questa versione non è solo un adattamento di ordine pratico (le notevoli difficoltà esecutive vengono infatti distribuite in un organico più ampio) ma è una revisione totale, che esplora ogni implicazione dello spartito precedente. Il quartetto originale non viene tanto ampliato quanto trasformato in un lavoro complesso, profondo e di straordinaria bellezza strutturale. Dopo un ulteriore rimaneggiamento nel 1988, la versione definitiva di Livre pour cordes viene eseguita l’anno successivo a Londra dalla BBC Symphony Orchestra diretta dallo stesso compositore. Caratteristica dell’attività compositiva di Boulez è del resto la costante rielaborazione di propri lavori, o di parte di questi, spesso a distanza di molti anni dall’opera originaria, in una forma da lui stesso definita «a spirale». Di qui un corpus particolare, fitto di relazioni e rimandi interni che attraversano l’evoluzione del linguaggio e della ricerca del compositore. Johannes Brahms, Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 Per Johannes Brahms l’esperienza sinfonica oscilla tra ossequio alla tradizione e urgenza di una nuova espressività. La condizione del compositore è del resto particolare: da un lato, è l’epigono della stagione romantica tedesca, come dimostrano le sonorità orchestrali, i percorsi armonici, la varietà di sfumature espressive; dall’altro, procede sulla via costruttivista del classicismo, che si incarna nel mito nazionale impersonato dalla triade Haydn-Mozart-Beethoven. L’esempio di Beethoven, in particolare, agisce in lui come un freno potente, aumentando a dismisura le difficoltà: «Tu non puoi nemmeno immaginare – scrive Brahms al direttore d’orchestra Hermann Levi – in che stato d’animo si trovi uno come me nel sentire 97 michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015 incessantemente un tale gigante marciare alle sue spalle». Vero è che la Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 appare ormai affrancata dall’incombere di modelli storici. Nella struttura formale convergono gli elementi costitutivi di un passato cui guardare con fedeltà e nostalgia, ma anche con la consapevolezza di aver raggiunto il massimo conseguibile con i mezzi a disposizione e, dunque, un punto di non ritorno. Se la grande costruzione contrappuntistica dell’ultimo movimento denota sapienza accademica, voglia di classicità e chiarezza, nelle serie di variazioni che lo costituiscono è praticamente già in atto lo smembramento delle forme cui il musicista in apparenza si attiene. Brahms inizia la stesura della sua ultima sinfonia a un anno di distanza dalla Terza, componendola in gran parte nel corso di due soggiorni estivi a Mürzzuschlag, in Austria, nel 1884 e nel 1885. Inizialmente, lo spiccato senso autocritico lo porta a esprimersi a proposito della sua opera in modo lapidario e ironico: in una lettera a Hans von Bülow – direttore stabile dell’Orchestra di corte di Meiningen a cui affida i preparativi della prima esecuzione – la paragona a delle ciliegie cresciute in un clima alpino: «non riescono a maturare e tu non le mangeresti». Nonostante lo scetticismo e il timore di una scarsa presa sul pubblico, Brahms concerterà e dirigerà personalmente la sinfonia in occasione del debutto a Meiningen, il 25 ottobre 1885, ottenendo un successo travolgente. Un entusiasmo destinato a rinnovarsi nella tournée dell’Orchestra di Meiningen in Germania e Olanda, con von Bülow sul podio, e nella prima esecuzione londinese del 1886 diretta da Hans Richter. Solo a Vienna, diffidente verso le novità, le accoglienze saranno inizialmente tiepide. Certo, le novità della Quarta non sono eclatanti e di superficie. Il carattere austero e severo della composizione rispecchia il rigore ‘luterano’ tipico di Brahms: privilegia dunque lo scavo interiore, il lavoro certosino che passa al setaccio ogni idea con una raffinatezza che rimanda ai tratti della musica reservata. È nel primo e nell’ultimo movimento, in particolare, che le novità della tecnica sinfonica si impongono compiutamente, sia nel carattere dei temi che nel rapporto che si instaura fra questi, e nella loro reciproca elaborazione. L’Allegro non troppo apre la sinfonia senza preamboli: una cellula tematica di due note dà vita a una melodia orecchiabile, singhiozzante e malinconica, di cui rimarranno tracce nel corso dell’intero movimento. È l’unico tema che si impone immediatamente, delineando uno scenario vertiginoso: una drammatica e profonda meditazione sull’esistenza. All’interno di una imponente forma sonata sono racchiusi diversi altri spunti tematici, che vanno dall’eroico al lirico, e che difficilmente possono essere ordinati secondo una precisa gerarchia. Linee melodiche cantabili e un insieme di piccoli frammenti si espandono e si riproducono generando un organismo complesso e di grande tensione drammatica: un edificio costruito 98 note al programma rigorosamente, in grado di valorizzare lo slancio a tratti quasi passionale dei motivi. Il titanico finale, dove viene ripreso il primo tema con una modifica della struttura ritmica, raggiunge il culmine dell’esasperazione, assumendo quasi l’aspetto di una invocazione urlata a piena voce nei confronti del destino. A tanta tensione drammatica si oppone il trascolorare malinconico dell’Andante moderato. Il primo tema, esposto dal corno, evoca un’arcaizzante atmosfera da sogno, per poi confluire in una melodia affidata ai clarinetti sostenuti dal pizzicato degli archi. L’unico momento di tensione è nella parte centrale, dove si apre uno squarcio lirico di contenuta drammaticità che presto si scioglie in un clima più sereno, quasi in una domanda di pace. La quiete viene travolta dall’impetuosa energia e dalla potenza sonora dell’Allegro giocoso, dove l’organico orchestrale è ampliato anche in vista di particolari effetti timbrici: per la prima e unica volta nelle sinfonie di Brahms figura perfino il triangolo. Assimilabile a uno Scherzo e scritto in forma sonata (con una parte centrale di contrasto affidata alla voce bucolica dei corni), questo movimento sembra affogare ogni dramma o conflitto in una spensierata gioia di vivere. La fine dell’opera, tuttavia, non contempla la negazione del dramma. L’Allegro energico e appassionato che chiude la sinfonia fa convergere e ‘risolve’ i problemi formali riesumando la pratica strumentale della ciaccona attraverso il filtro e l’invenzione di Bach. Il tema di otto battute esposto dai fiati è infatti mutuato dalla Cantata BWV 150 «Nach dir, Herr, verlanget mich» e viene seguito da 32 variazioni che si aprono sulle più diverse possibilità combinatorie del linguaggio e dei suoi parametri. La forma sembra riflettere un percorso faticoso, in salita (come il tema), che si tende fino al limite delle energie umane, aspirando a una meta pacificante in cui poter riprendere fiato, ma che si ritrova, per misteriosa necessità, a riprendere sempre il passo dal punto in cui lo si aveva lasciato, fino al precipitare inesorabile della conclusione. Roberto Mori 99 michel tabachnik - 30 aprile, 2 maggio 2015 Michel Tabachnik Direttore musicale e artistico della Brussels Philharmonic dal 2008, è stato dal 2005 direttore stabile della Noord Nederlands Orkest di cui è ora direttore emerito. È stato in passato direttore stabile dell’Orchestra della Fondazione Gulbenkian a Lisbona, dell’Orchestre Philharmonique de Lorraine e dell’Ensemble InterContemporain a Parigi. Ha collaborato con i Berliner Philharmoniker, l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, l’Orchestra della NHK di Tokyo, l’Orchestre de Paris, l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia. È stato invitato in numerosi festival tra cui quelli di Lucerna, Salisburgo, Aix-en-Provence. Con la Brussels Philharmonic ha ricevuto molti inviti per tournée: alla Cité de la Musique di Parigi (tredici concerti in tre stagioni), al Musikverein di Vienna, al Concertgebouw di Amsterdam, al Doelen di Rotterdam, al Festspielhaus di Salisburgo, in Cina, Germania, Gran Bretagna, America del Sud. Ha studiato pianoforte, composizione e direzione d’orchestra a Ginevra. Terminati gli studi, ha collaborato con Igor Markevitch (di cui è stato assistente all’Orchestra della Radio Televisione a Madrid), Herbert von Karajan e Pierre Boulez (di cui è stato per quattro anni assistente presso la BBC Symphony Orchestra di Londra). È stato codirettore dell’Ensemble InterContemporain di Parigi, dove ha diretto numerose prime mondiali di Stockhausen, Berio, Ligeti, Messiaen, e più di venti composizioni di Iannis Xenakis, con cui ha stretto un rapporto di intensa collaborazione. In ambito operistico, ha diretto le orchestre dei teatri di Parigi, Ginevra, Zurigo, Copenaghen, Lisbona, Roma, Montreal, Genova, e del Bol’šoj. Invitato regolarmente dalla Canadian Opera di Toronto, vi ha diretto Lohengrin, Madama Butterfly, Carmen, The Rake’s Progress. Molto del suo tempo è consacrato ai giovani musicisti. Ha diretto diverse orchestre internazionali giovanili, tra cui l’Orchestre des Jeunes du Québec e, per dodici anni, l’Orchestre des Jeunes de la Méditerranée, da lui fondata nel 1984. Ha tenuto numerose masterclass a Hilversum, Lisbona, e ai Conservatori di Parigi, Bruxelles e Stoccolma. È stato professore di direzione d’orchestra all’Università di Toronto (1984-1991) e all’Accademia Reale di Musica di Copenaghen (1993-2001). 100 michel tabachnik 101 Teatro La Fenice venerdì 12 giugno 2015 ore 20.00 turno S domenica 14 giugno 2015 ore 20.00 fuori abbonamento FRANZ JOSEPH HAYDN Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto Adagio - Allegro di molto Andante Menuetto Presto Adagio (di lamentatione) Finale: Prestissimo Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore Hob. VIIb: 1 Moderato Adagio Allegro molto • ORAZIO SCIORTINO Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre 1915 per orchestra nuova commissione nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Fenice» con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice e lo speciale contributo di Marina Gelmi di Caporiacco prima esecuzione assoluta NINO ROTA Concerto per violoncello e orchestra n. 2 Allegro moderato Andantino cantabile, con grazia - Variazioni I-VI Finale: Allegro vivo direttore e violoncello solista MARIO BRUNELLO Orchestra del Teatro La Fenice NOTE AL PROGRAMMA Franz Joseph Haydn, Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto Nel 1774 Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) scrive le musiche di scena per una commedia in cinque atti di Jean-François Regnard, Le distrait (1697), incentrata sui numerosi equivoci originati dal protagonista, Léandre, un tipo talmente distratto e smemorato che per poco non dimentica di andare al suo matrimonio. Liberamente tradotta e adattata dalla compagnia di Karl Wahr, la pièce viene rappresenta lo stesso anno alla corte degli Esterházy, ad Eisenstadt, con il titolo Der Zerstreute, e ripresa successivamente a Salisburgo (1785) e Vienna (1786). Soddisfatto del successo ottenuto dall’ouverture, dagli intermezzi e dal finale in chiusura di rappresentazione, Haydn assembla il tutto in una sinfonia in sei movimenti che seguono l’originaria funzione scenica, mantenendo l’ordine dell’esecuzione in teatro. Il risultato è la Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto, opera sorprendente in cui il compositore, tenendo conto della destinazione prima del lavoro, per il teatro e per il pubblico, attinge più volte al grande patrimonio della musica popolare. L’impronta complessiva è naturalmente umoristica: gli aspetti comici, legati al carattere del personaggio di Regnard, sono resi da forti contrasti dinamici, cambiamenti armonici, sospensioni di fraseggio, variazioni ritmiche. L’introduzione della sinfonia è un breve Adagio lento e solenne che, dopo poche battute, si addolcisce nella dolce cantabilità di un tema affidato ai violini. Il movimento vivace, Allegro di molto, presenta un primo motivo leggero e brillate, quasi un girotondo, esposto dai violini e ripreso dagli oboi. Il secondo tema riserva una sorpresa: Haydn porta gli archi a un sottile pianissimo (in partitura c’è l’annotazione «perdendosi», evidente allusione al protagonista della commedia), per poi passare improvvisamente al forte. Non mancano le autocitazioni: nel breve Adagio riecheggia l’inizio della Sinfonia n. 50, mentre nella sezione di sviluppo fa irruzione il più tumultuoso incipit della Sinfonia n. 45 Degli addii. Il secondo tempo, Andante, è una canzonetta continuamente variata alla sapiente maniera haydniana, che non muta mai sostanzialmente il tema 104 note al programma ma lo sottopone a rivisitazioni dinamiche e ritmiche. Nello sviluppo entra poi un nuovo motivo vagamente parodistico che, in una copia manoscritta dell’epoca, è definito «ancien chant francais»: ennesimo omaggio haydniano al mondo della musica popolare. Il breve Menuetto successivo presenta un contrasto fra il tono inizialmente vigoroso e la grazia raffinata del confronto contrappuntistico fra primi e secondi violini. Nel Trio, in tonalità minore, figura invece a sorpresa un tema di ispirazione balcanica. Altri festosi motivi popolari compaiono nella seconda parte del quarto tempo, Presto, che si apre peraltro con un tema nervoso e pieno di slancio. È un movimento vertiginoso, dove ritroviamo tutte le caratteristiche – intensità, vivacità, tensione – delle sinfonie Sturm und Drang di Haydn. Dopo questo vortice sonoro, l’Adagio ripiega in una atmosfera di più intima meditazione, quasi religiosa. Il tema cantabile fa pensare infatti a una melodia gregoriana e, non caso, in un manoscritto d’epoca il movimento viene definito «di lamentatione». Il tema viene interrotto all’improvviso da una fanfara, con fiati e timpani in massima evidenza; seguono altre riprese della melodia e ulteriori cesure. Proprio la frammentarietà, dovuta all’originaria destinazione teatrale, contribuisce a rendere questa pagina una delle creazioni più originali della produzione sinfonica haydniana. Le sorprese e i gesti umoristici continuano nel rapido tempo di chiusura, Prestissimo, che inizia con grande slancio e concitazione per poi interrompersi improvvisamente. I violini, distratti pure loro come il personaggio di Regnard, hanno dimenticato di accordarsi e sono costretti a fermarsi perché la quarta corda è scesa di tono. Ritrovata la giusta intonazione, la sinfonia può riprendere e, dopo l’ennesima melodia balcanica, avviarsi alla conclusione. Franz Joseph Haydn, Concerto maggiore Hob. VIIb: 1 per violoncello e orchestra in do I concerti solistici di Franz Joseph Haydn vengono in genere considerati lavori minori, vuoi per il carattere disimpegnato, vuoi per le strutture meccanicistiche che, legate ancora alla logica del concerto barocco, condizionano il rapporto tra solista e «tutti». Nondimeno, pur non toccando i livelli vertiginosi raggiunti da Mozart, anche in questo campo Haydn realizza pagine di indubbia qualità e degne di attenzione. È il caso del Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore Hob. VIIb: 1, del quale non si conosce la data precisa di composizione, collocabile comunque tra il 1761 e il 1765, nei primi anni in cui il musicista è al servizio degli Esterházy. Scritto per Joseph Weigl, unico violoncellista stabile dell’orchestra di corte lungo quasi tutti gli anni sessanta, andrà 105 mario brunello - 12, 14 giugno 2015 disperso come altri lavori coevi, per essere riscoperto solo nel 1961, dal musicologo Oldrich Pulkert, al Museo Nazionale di Praga. Il concerto si contraddistingue per l’abilità della scrittura riservata al violoncello, anche se le difficoltà non raggiungono quelle riservate al solista nel Concerto n. 2 in re maggiore, posteriore di un ventennio. Il virtuosismo è acceso, non ostentato; i contrasti drammatici tra solista e orchestra sono equilibrati. Per quanto non manchino momenti di tensione, prevalgono le sonorità brillanti e l’atmosfera è nell’insieme serena. Nel primo tempo, Moderato, l’orchestra presenta senza introduzioni un tema principale che, con il suo andamento maestoso su ritmi puntati, sembra quasi una fanfara di vittoria. A questo si contrappone un motivo più pacato che conferisce al brano dinamica emozionale. Il violoncello ripercorre quindi alla lettera il tema di apertura e, nel corso del movimento, mantiene i suoi interventi per lo più sul versante lirico e melodico, non senza qualche sfoggio di agilità e brillantezza virtuosistica. Haydn, qui, si tiene formalmente in bilico tra il modello del concerto barocco e la forma classica che proprio in quegli anni stava mettendo a punto. L’Adagio successivo costituisce una parentesi di intimo lirismo e pacatezza che, malgrado qualche lieve increspatura drammatica, non arriva a intaccare la dimensione serena e ottimistica complessiva del concerto. Il solista, accompagnato dai soli archi, ha modo di esibire tutte le sue doti di cantabilità ed espressività. L’Allegro molto finale è un movimento di grande brillantezza e vitalità che fa pensare a una specie di moto perpetuo di note veloci e staccate, e vede il violoncello cimentarsi in passaggi di agilità molto impegnativi. L’arguzia e l’inventiva più tipiche di Haydn emergono a tutto tondo, conferendo al discorso musicale un carattere estroverso e privo di ombre. Il concerto viene eseguito per la prima volta in tempi moderni a Praga, il 19 maggio 1962, dal violoncellista Miloš Sádlo e dall’Orchestra della Radio Cecoslovacca diretta da Charles Mackerras. Roberto Mori Orazio Sciortino, Veglia. Cima Quattro, (2014) per orchestra il 23 dicembre 1915 Il percorso doloroso della memoria dovrebbe costituire un fondamento di consapevolezza della storia, della vita di un popolo, nel tentativo di stabilire un monito, nella volontà di non ripetere orrori e stragi. Frustrante è invece la costatazione del tragico divario tra il facile accesso allo studio del passato e un’umanità sempre più cieca nei confronti del dolore che si rinnova e sorda al grido di quelle anime scolpite nei memoriali, nelle 106 note al programma piazze, nel nostro tempo. La tecnica istruisce ma non insegna, perché a mancare sono le lacrime, gocce di tempo di quegli occhi vivi a cui non abbiamo teso le orecchie quando avremmo dovuto. I nonni non possono più raccontare il sangue delle trincee, e noi non possiamo più ascoltare la voce rauca di un’Italia, dell’Ultima Italia, che si è compiuta. I nonni non possono più raccontare quanti dialetti le acque dell’Isonzo o le rocce del Carso udirono, e quanto eroismo vide giovani corpi sfilare sotto i tiri micidiali degli austriaci. I nonni non possono più raccontare che i nomi che oggi sono vie e piazze d’Italia un tempo erano luoghi della lacerazione, della passione spezzata, della speranza di un futuro migliore. Così la Grande Guerra è diventata la grande guerra della poesia e dei racconti, di Gadda, di De Roberto, di Rebora, la cui memoria non conosce gli opportunismi del mercato mediatico ed è destinata a sopravvivere nel cuore di chi crede nel potere della bellezza e della storia. La composizione Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre 1915, sull’omonima poesia di Ungaretti, è una sorta di Lied ohne Worte sul grido silenzioso di un poeta arruolato volontario al fronte e della sua esperienza diretta col dolore e con la guerra. Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita Veglia di un soldato dalla sua postazione che trasforma il tempo di una notte in uno spazio eterno per sognare la vita, l’amore, la fratellanza. Circolare è la forma della composizione, che nella sua breve durata di poco più di 5 minuti procede sino alla fine, per poi, data la struttura ritmica palindroma, potenzialmente ricominciare. Il canto, evocato e mai chiaramente espresso, è dato da strati timbrici e armonici sovrapposti, dal quale emergono rifrazioni di linee melodiche. Scritta per il centesimo anniversario dell’entrata ufficiale dell’Italia nella Prima Guerra mondiale, questa composizione non vuole essere un 107 mario brunello - 12, 14 giugno 2015 retorico ricordo di una delle pagine più sanguinose della nostra storia. La musica, nella sua missione etica, non ha qui il compito di commemorare ma di suscitare quel motus animi indispensabile a far risuonare quel senso della memoria condivisa portatrice di valori civili. Orazio Sciortino Nino Rota, Concerto per violoncello e orchestra n. 2 Nino Rota (Milano, 1911 – Roma, 1979) è stato forse il più ‘inattuale’ fra i compositori italiani del secondo Novecento. Un enfant terrible alla rovescia, candidamente fedele alla tonalità e alla melodia in un’epoca turbolenta di avanguardie e sperimentalismi. L’etichetta di autore di colonne sonore, e di musicista di Fellini in particolare, ha contribuito a confinarlo in una specie di limbo, difficilmente catalogabile nel quadro della musica colta contemporanea. Così, se il pubblico lo ha sempre amato per l’immediatezza espressiva, la critica ne ha spesso preso le distanze. Solo di recente, grazie anche all’impegno concertistico e discografico di interpreti prestigiosi, si è iniziato a valutare con maggiore interesse e obiettività la vasta produzione extra cinematografica di Rota. È il caso dei due concerti per violoncello e orchestra, appartenenti al suo ultimo periodo compositivo e preceduti da un analogo lavoro adolescenziale del 1925, rimasto senza numerazione. Scritti tra il 1972 e il 1973, dopo il successo clamoroso ottenuto con la colonna sonora del Padrino (un periodo segnato tuttavia anche dall’amarezza per l’esclusione dagli Oscar), i concerti sono entrambi strutturati accademicamente nei classici tre movimenti ed evidenziano l’innato talento del musicista per una scrittura fluida e comunicativa, fatta di slanci drammatici e levità, di ingenuo candore e scanzonata ironia. Se il primo ha un’impronta più aspra e febbrile, decisamente in contrasto con l’immagine di un Rota solare e leggero, il Concerto per violoncello e orchestra n. 2 guarda invece al Settecento e presenta, a tratti, una trasparenza e una grazia quasi mozartiane. L’Allegro moderato iniziale prende spunto, non a caso, dall’incipit del Concerto per violino e orchestra n. 3 KV 216 di Mozart, per poi sottoporlo con eleganza e raffinatezza a un’ampia elaborazione, priva di intenti deformanti. Si tratta di un movimento sostanzialmente monotematico, scorrevole e limpido che, dopo aver dato spazio anche a momenti espressivi più contrastati, sfocia in una chiusa sfumata in pianissimo. Al violoncello è affidato un virtuosismo concepito in funzione rigorosamente contrappuntistica. Un’atmosfera evanescente e trasognata avvolge il secondo movimento, 108 note al programma Andantino cantabile con grazia, aperto da un tema languido esposto dal violoncello, subito ripreso dall’orchestra e quindi elaborato attraverso una serie di variazioni: alcune leggere e umoristiche, altre dal tono più crepuscolare. La più particolare e misteriosa vede il violoncello contrapporsi con un gioco di pizzicati agli accordi dei legni. Il breve Allegro vivo che chiude il concerto è un brano vivace, dominato da una brillante scrittura virtuosistica che porta solista e orchestra a un confronto incalzante, a un rincorrersi convulso che si conclude con una scaletta ascendente del solista bruscamente troncata dall’orchestra. Roberto Mori 109 mario brunello - 12, 14 giugno 2015 Orazio Sciortino Orazio Sciortino è pianista e compositore nato a Siracusa nel 1984. Ha compiuto la sua formazione musicale con Louis Lortie, Michel Dalberto, Boris Petrushansky per il pianoforte presso l’Accademia di Imola e con Fabio Vacchi per la composizione. La recente incisione discografica Wagner&Verdi piano transcriptions by Tausig&Liszt ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti da parte della critica specializzata e, tra gli altri, le Cinque Stelle della rivista «Musica». Sia l’attività di pianista che quella di compositore lo portano a collaborare con istituzioni musicali prestigiose, in Italia e all’estero, tra cui il Teatro alla Scala e la Sala Verdi del Conservatorio di Milano, la Sagra Malatestiana di Rimini, l’Associazione Scarlatti di Napoli, il Maggio Musicale Fiorentino, il Bologna Festival, il Teatro La Fenice, il Teatro Politeama di Palermo, la Società dei Concerti e le Serate Musicali di Milano, il Teatro Greco di Siracusa, il Festival MiTo Settembre Musica, l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, l’Orchestra Filarmonica di Torino, il Festival di Ankara, l’Ensemble Sentieri Selvaggi, l’Ensemble Swiss New Wave, I Concerti del Quirinale, Perugia Classica, la Konzerthaus di Berlino, il Festival di Ottawa, il Barge Music Festival di New York. Ha registrato per Rai Tre, Radio Tre, Radio Classica, Radio Svizzera Italiana e Sky Classica. 110 orazio sciortino 111 mario brunello - 12, 14 giugno 2015 Mario Brunello Studia violoncello al Conservatorio di Venezia con Adriano Vendramelli, perfezionandosi in seguito con Antonio Janigro. Nel 1986 è il primo artista italiano a vincere il Concorso Caikovskij di Mosca che lo proietta sulla scena internazionale. Viene invitato dalle più prestigiose orchestre, tra le quali London Philharmonic, Münchner Philharmoniker, Philadelphia Orchestra, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre Philharmonique de Radio-France, DSO Berlin, London Symphony, NHK Symphony di Tokyo, Kioi Sinfonietta, Filarmonica della Scala, Accademia di Santa Cecilia; lavora con direttori quali Gergiev, Pappano, Temirkanov, Honeck, Chailly, Jurowski, Koopman, Axelrod, Muti, Gatti, Chung, Ozawa, e in ambito cameristico collabora con artisti quali Kremer, Bashmet, Argerich, Lucchesini, Zimmermann, Faust, Pollini, Afanassiev e l’Hugo Wolf Quartett. Si presenta sempre più di frequente nella doppia veste di direttore e solista dal 1994, quando fonda l’Orchestra d’Archi Italiana, con la quale ha una intensa attività sia in Italia che all’estero. Nella sua vita artistica riserva ampio spazio a progetti che coinvolgono forme d’arte e saperi diversi (teatro, letteratura, filosofia, scienza), integrandoli con il repertorio tradizionale. Interagisce con artisti di altra estrazione culturale, quali Uri Caine, Paolo Fresu, Marco Paolini, Stefano Benni, Gianmaria Testa, Margherita Hack, Moni Ovadia e Vinicio Capossela. Attraverso nuovi canali di comunicazione cerca di avvicinare il pubblico a un’idea diversa e multiforme del far musica, creando spettacoli interattivi che nascono in gran parte nello spazio Antiruggine, un’exofficina ristrutturata, luogo ideale per la sperimentazione. Ha iniziato la stagione 2014-2015 con un tour in Giappone e Cina nel corso del quale ha presentato l’integrale delle sonate e variazioni di Beethoven con Andrea Lucchesini alla Kioi Hall di Tokyo e il Concerto di Dvorák con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano. È direttore musicale del festival «Artesella arte e natura» e accademico di Santa Cecilia. Suona il prezioso violoncello Maggini dei primi del Seicento appartenuto a Franco Rossi. 112 mario brunello 113 Teatro La Fenice venerdì 26 giugno 2015 ore 20.00 turno S PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35 Allegro moderato - Moderato assai Canzonetta: Andante Finale: Allegro vivacissimo Vadim Gluzman violino • JOHANNES BRAHMS Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 Un poco sostenuto - Allegro Andante sostenuto Un poco allegretto e grazioso Adagio - Più andante - Allegro non troppo, ma con brio direttore JOHN AXELROD Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi NOTE AL PROGRAMMA Pëtr Il’ic Cajkovskij, Concerto maggiore op. 35 per violino e orchestra in re Nel marzo del 1878 Pëtr Il’ic Cajkovskij (Votkinsk, 1840 – San Pietroburgo, 1893) si ritira a Clarens, sul lago di Ginevra, in un momento difficile e cruciale della sua esistenza. Ha 38 anni ed è reduce dalla composizione di capolavori come la Sinfonia n. 4 in fa minore ed Evgenij Onegin, ma anche dal fallimento del breve matrimonio con Antonina Miljukova, con il quale aveva sperato di ‘guarire’ dalla propria omosessualità. Qui, nel giro di poche settimane, grazie anche al sostegno della mecenate Nadežda von Meck, compone il Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35, la sua unica partitura per violino e orchestra, ultima opera di spicco prima di una lunga stagione segnata da una tormentata crisi creativa. La stesura si svolge a stretto contatto con un giovane violinista, Josif Kotek, amico e allievo del maestro, che interviene con consigli tecnici sulla praticabilità esecutiva della parte solistica. Nella produzione di Cajkovskij, infatti, le pagine dedicate al violino si limitavano fino a quel momento alla Serenata malinconica op. 26 (1875) e al Valzer-scherzo op. 34 (1877). Dopo una prima esecuzione in forma privata affidata a Kotek, il compositore tenta di coinvolgere il grande violinista ungherese Leopold von Auer, primo dedicatario dell’opera, che però si rifiuta di tenere a battesimo il concerto, ritenendolo ineseguibile (per ironia della sorte, anni dopo lo porterà in trionfo in tutto il mondo). Sarà un altro virtuoso, Adolf Brodskij ad assumersi l’impegno di eseguirlo per la prima volta in pubblico a Vienna, il 4 dicembre 1881, con i Wiener Philharmoniker diretti da Hans Richter. Le reazioni alla première del concerto sono tutt’altro che favorevoli. Alla freddezza del pubblico si accompagna l’ostilità della critica, che si accoda al giudizio particolarmente aspro di Eduard Hanslick apparso sulla «Neue Freie Presse»: Il nuovo pretenzioso concerto di Cajkovskij solo per qualche istante procede con musicalità, ma presto la rozzezza prende il sopravvento […]. Il Finale ci trasporta nella brutale sfrenatezza di un’orgia russa […] par di sentire il puzzo di acquavite scadente. 115 john axelrod - 26 giugno 2015 L’opera, in realtà, è uno straordinario esempio di espressività e di equilibrio allo stesso tempo, e combina tratti magniloquenti ad altri di più raccolto lirismo con calcolo preciso degli effetti. Il suo contenuto espressivo non lascia emergere riferimenti alle vicende e ai conflitti personali dell’autore: la ricerca di vitalità espressiva si manifesta nella presenza di motivi di danza e di ispirazione gitana, nonché di temi che evocano le caratteristiche della grande tradizione russa. Non per niente quando il concerto approda finalmente a Mosca, nell’agosto 1882, eseguito ancora da Brodskij, le accoglienze sono talmente trionfali che, in segno di gratitudine, Cajkovskij cancella la dedica al riluttante von Auer, sostituendola con quella a Brodskij, che diventerà quindi paladino nella diffusione di questa pagina. Costruito secondo lo schema tradizionale, il concerto comprende tre movimenti. Il primo, Allegro moderato, è nella classica forma sonata, bitematica e tripartita, adattata al genere altamente performativo del concerto solista e personalizzata con notevole libertà. Occupa in pratica la prima metà della composizione e si apre con una breve introduzione affidata agli archi che espone un’idea di tipo pre-tematico. L’elegante primo tema (Moderato assai) si confronta quindi con lo spirito fantastico del secondo motivo in un percorso tortuoso e rapsodico che oscilla tra due poli: «un settecentismo reso ancor più morbido da ritardi, appoggiature e sognanti modulazioni, e un accentuato virtuosismo» (Quirino Principe). La centrale Canzonetta, Andante, è invece un Lied tripartito di impronta popolare russa (nella prima stesura del concerto figura un altro brano, poi eliminato da Cajkovskij e ripreso come Méditation in Souvenir d’un lieu cher op. 42). Dopo una breve, assorta introduzione orchestrale, il solista entra esponendo il primo tema: una melodia dalla cantabilità dolce e malinconica, ripresa poco dopo dal flauto. Il secondo motivo è un più drammatico lamento del violino su un accompagnamento sincopato degli archi. Alla fine di questo secondo tempo, l’idea iniziale viene ripresa con funzione di collegamento, senza interruzione, con il terzo movimento. Nel Finale, Allegro vivacissimo, irrompe una danza di trascinante vitalità, annunciata a frammenti prima dall’orchestra e poi dal solista. L’elemento gitano si trasforma qui in virtuosismo eclatante che vede protagonista assoluto il violino. I temi di aggressivo stampo popolare si rincorrono freneticamente, non senza qualche sosta lirica prima che il concerto venga chiuso da una brillante coda a effetto. Johannes Brahms, Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 Poche altre composizioni, nella storia della musica, hanno avuto una gestazione lunga e laboriosa come la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68. Quando inizia a concepirla su incoraggiamento di Schumann, Johannes 116 note al programma Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897) ha poco più di vent’anni. Quando la composizione viene eseguita per la prima volta in pubblico, il 4 novembre 1876 a Karlsruhe, il musicista ne ha quarantatré. Un ventennio di tormento creativo, dunque. Una pagina rimeditata fino all’esasperazione, che entra ed esce da un cassetto e stenta a trovare la strada per progredire. Nonostante l’ammirazione per Haydn, Mozart e Beethoven, il mondo della sinfonia ispira al giovane Brahms un timore reverenziale, quasi fosse un obiettivo irraggiungibile. A frenarlo è soprattutto l’immagine titanica di Beethoven: «È difficile compiere qualcosa quando si sente l’ombra di quel gigante dietro di noi». Un pensiero espresso qualche anno prima, con gli stessi accenti, da Schubert. L’idea che Beethoven rappresenti qualcosa di gigantesco e condizionante è ricorrente nell’Ottocento: per vari motivi, non si riesce ancora a comprendere fino in fondo su quali basi il genio di Bonn abbia maturato e sviluppato il suo pensiero. Ci si limita, così, a inchinarsi di fronte alla sua musica in atteggiamento di soggezione. Nel 1862, sulla soglia dei trent’anni, Brahms ha pronto solo il primo tempo. Ci vorranno ancora quattordici anni prima che a quel movimento iniziale, pieno di equilibrio e di ispirazione, nonché testimonianza di una grande abilità contrappuntistica, seguano gli altri tre. La composizione, concentrata soprattutto negli ultimi due anni, dopo la ‘prova generale’ delle Variazioni su un tema di Haydn op. 56a (che confermano l’attitudine storicistica e la tecnica della variazione come elementi centrali nel sinfonismo brahmsiano), viene completata nel settembre del 1876. Non contento, Brahms apporta ulteriori ritocchi ai due movimenti centrali fino alla vigilia della prima, che viene diretta con successo da Felix Otto Dessoff. Beethoven era morto ormai da mezzo secolo, eppure la continuità con la sua opera è l’aspetto che più colpisce della Prima Sinfonia brahmsiana al suo apparire. Lo rilevano sia Eduard Hanslick che Hans von Bülow. È proprio quest’ultimo, tra i maggiori direttori d’orchestra della seconda metà dell’Ottocento, a definire la composizione come «la Decima di Beethoven», ovvero la prima sinfonia che può essere legittimamente considerata una diretta continuazione dell’opera beethoveniana. Lo dimostrano senza dubbio i richiami tematici dell’ultimo movimento all’Inno alla gioia della Nona e l’evoluzione espressiva dei quattro tempi, che dalla cupa tragicità del primo porta alla gioiosa luminosità dell’ultimo. A Beethoven rimandano pure la densità contrappuntistica e il pathos, oltre che la forza morale e la serietà etica con cui l’opera viene concepita. Spirito e stile, tuttavia, sono del tutto personali. Brahms si allontana dalla concisa e plastica drammaticità beethoveniana. Con lui la sinfonia prende un carattere più decisamente lirico: il discorso musicale scorre infatti in modo fluente e ininterrotto; l’ampiezza e la complessità dei giri armonici, che evitano continuamente i punti di appoggio troppo netti e conclusivi, 117 john axelrod - 26 giugno 2015 tengono sospesa l’attenzione dell’ascoltatore in un concatenarsi incessante di episodi musicali. Il primo movimento è caratterizzato da una introduzione tormentata e tesa (Un poco sostenuto), il cui impatto tragico è determinato da implacabili colpi di timpano e armonie dissonanti. Figura qui una cellula cromatica (do-do diesis-re) che ritroveremo sia nel corso del movimento che in quelli successivi. Nell’esposizione (Allegro) il primo tema è affidato ai violini e ascende con ampi salti verso l’acuto; il secondo (esposto dai legni con l’oboe in evidenza) ha un carattere più tenero e melodico. Questi motivi, come anche la citazione della Quinta Sinfonia beethoveniana che chiude l’esposizione, non hanno ampio respiro e vengono sviluppati in frasi di lunghezza irregolare, creando un clima di instabilità e inquietudine. Seguono lo sviluppo, il cui tono interlocutorio viene turbato dall’irruzione di una terza idea tematica, e la ripresa conclusa da tutta l’orchestra in fortissimo, mentre la coda (Meno allegro) ripropone l’atmosfera solenne delle battute iniziali, ma in tonalità maggiore e spegnendosi su sonorità enigmatiche. L’inquietudine del primo tempo si dissolve nell’atmosfera serena e intimista dell’Andante sostenuto, in forma di Lied e nella luminosa tonalità di mi maggiore. Se i temi hanno una struggente intensità lirica, l’orchestrazione si fa a tratti quasi cameristica lasciando emergere alcuni assoli strumentali: all’oboe è affidata per esempio la melodia del secondo tema, mentre nella parte centrale, tra le ascese e gli arabeschi dei violini primi, si inserisce ancora la voce dell’oboe e poi quella del clarinetto. Nella ripresa variata del secondo tema è quindi la volta del violino, a cui è affidata anche la coda, avvolta da una atmosfera estatica e di pacificazione. Aperto da una melodia del clarinetto e caratterizzato prevalentemente dal timbro dei fiati, il terzo movimento (Un poco allegretto e grazioso) è immerso in un clima da idillio bucolico, leggermente più animato rispetto al tempo precedente. Ha lo schema formale, più che il carattere e la fisionomia, di uno scherzo: la parte centrale, con la funzione di trio, presenta un tema di sapore popolareggiante su un danzante 6/8 che rievoca per alcuni aspetti l’Allegretto della Pastorale di Beethoven. Il conclusivo, monumentale Adagio-Allegro si ricollega alla complessità del primo movimento e rappresenta il culmine espressivo della sinfonia. È un finale di impronta beethoveniana, non solo per la nota citazione tematica della Nona, ma per lo spirito e la poderosa architettura. Articolato in due parti, è aperto da un’ampia sezione lenta: un Adagio che ha quasi un andamento da recitativo, contrassegnato da una scrittura frammentata, con alcune misure affidate ai soli pizzicati degli archi, cui seguono passaggi dalle sonorità minacciose e inquietanti. La tempesta poi si placa e subentra la seconda parte dell’introduzione, Più andante, dove si alza il canto del corno: la melodia di un Alpenhorn, che Brahms – in una lettera a Clara Schumann – dichiara di aver ascoltato durante una vacanza nelle Alpi 118 note al programma svizzere. Inatteso, compare anche un breve corale affidato ai tromboni. Dopo questa lunga introduzione inizia l’Allegro non troppo ma con brio, aperto dal tema principale, cantabile e sereno, che cita la melodia dell’inno beethoveniano An die Freude. Compaiono quindi un tema secondario e altre idee complementari esposte nell’introduzione che vengono via via assorbite dalla densa elaborazione contrappuntistica e dal crescente virtuosismo orchestrale. Al termine di un sofferto percorso per aspera ad astra, la grandiosa coda (Più allegro) è una pagina liberatoria che, col suo solare do maggiore, ribalta il do minore del primo tempo, dando luogo a una trionfante conclusione. Roberto Mori 119 john axelrod - 26 giugno 2015 Vadim Gluzman Nato nel 1973 in Ucraina, inizia a sette anni lo studio del violino. Prima di trasferirsi nel 1990 in Israele, dove è stato allievo di Yair Kless, studia con Roman Sne in Lettonia e Zakhar Bron in Russia. Negli Stati Uniti i suoi insegnanti sono stati Arkady Fomin e, alla Juilliard School, Dorothy DeLay e Masao Kawasaki. Ha inoltre goduto dell’incoraggiamento di Isaac Stern, e nel 1994 ha ricevuto l’Henryk Szeryng Foundation Career Award. Ospite regolare delle principali orchestre (London Philharmonic, London Symphony, Gewandhaus di Lipsia, Münchner Philharmoniker, Israel Philharmonic, Chicago Symphony, San Francisco Symphony, Minnesota Orchestra, NHK Symphony) e festival internazionali (Verbier, Ravinia, Lockenhaus, Pablo Casals, Colmar, Jerusalem), ha collaborato con direttori quali Järvi, Tilson Thomas, Litton, Janowski, Perlman, Sokhiev, Järvi, Frühbeck de Burgos, Lintu, Axelrod, Oundjian. Con la moglie, la pianista Angela Yoffe, ha fondato il North Shore Chamber Music Festival di Northbrook, Illinois. La sua arte affonda le radici nella grande tradizione violinistica del XIX e XX secolo, vivificata da un’attenzione particolare alla musica contemporanea. Ha eseguito in prima assoluta lavori di Giya Kancheli, Pēteris Vasks, Lera Auerbach e Sofia Gubaidulina, e presentato in prima britannica Fire and Blood di Michael Daugherty con la London Symphony diretta da Kristjan Järvi e il Concerto per violino di Balys Dvarionas con la BBC Symphony diretta da Thomas Søndergard. Nell’autunno 2014 ha debuttato con l’Orchestre National de France e i Berliner Philharmoniker, ha tenuto concerti con la Dresdner Philharmonie, la Seoul Philharmonic e la Bournemouth Symphony, e ha diretto i Virtuosi di Mosca e la Philharmonisches Kammerorchester Dresden. Suona il violino Stradivari «ex-Leopold Auer» del 1690, generosamente prestato dalla Stradivari Society di Chicago. Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi Nata nel 1993, laVerdi è oggi una protagonista indiscussa del panorama culturale italiano e non solo. Lo testimoniano un Grammy Award, le numerose tournée internazionali (ultima in ordine di tempo, settembre 2013, a Londra per i prestigiosi BBC Proms), la ricca produzione discografica. Formata da Vladimir Delman e guidata oggi da Zhang Xian, l’Orchestra nacque quando a Milano la musica classica sembrava destinata ad avere nella scena culturale un ruolo sempre più minoritario. I suoi obiettivi erano allargare la platea del pubblico, offrendo l’ascolto della musica classica anche a chi non aveva mai frequentato una sala da concerto; offrire un servizio culturale e sociale alla città e al paese; offrire un’opportunità di lavoro ai giovani musicisti di talento. Obiettivi che sono stati raggiunti, come dimostrano la qualità e la professionalità dei suoi musicisti e dei direttori d’orchestra che si sono 120 biografie succeduti come titolari o ospiti, i 230.000 spettatori che ogni anno assistono agli oltre 250 concerti proposti, un’attività musicale che si svolge ormai per tutti i dodici mesi dell’anno. Un’attività sempre più premiata dai successi di pubblico, dall’apprezzamento della critica, dall’attenzione degli organi d’informazione. Fra i molti esempi, i due concerti tenuti nella Sala Nervi del Vaticano per S.S. Benedetto XVI e la recentissima esecuzione (novembre 2013) a Milano dell’Ottava Sinfonia di Mahler diretta da Riccardo Chailly. La musica è di tutti ed è per tutti, e l’attività dell’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi negli anni è stata affiancata dal Coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, oggi diretto da Erina Gambarini, dall’Ensemble laBarocca, dal Coro di Voci Bianche, dall’Orchestra Amatoriale ‘laVerdi per tutti’ e dall’Orchestra Sinfonica Junior, riservata ai ragazzi con meno di 18 anni. laVerdi oggi è una Casa della musica: una felice intuizione che si è concretizzata, che ha portato frutto e che ha radici ben salde. Una realtà solida con una caratteristica unica fra le istituzioni musicali italiane: la proprietà dell’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, in largo Mahler, realizzato nel 1998 e acquistato nel 2008. Per la biografia di John Axelrod si veda sopra, p. 93. 121 Teatro La Fenice domenica 28 giugno 2015 ore 20.00 turno S FILIPPO PEROCCO Vestita di sole, segno grande nel cielo per coro e orchestra d’archi commissione Fondazione Teatro La Fenice prima esecuzione assoluta ANTONIO VIVALDI «Nulla in mundo pax sincera» mottetto per soprano, archi e basso continuo in mi maggiore RV 630 Giulia Semenzato soprano Concerto per archi e basso continuo in sol maggiore RV 151 Alla rustica Presto Adagio Allegro • Gloria per soli, coro e orchestra in re maggiore RV 589 Gloria in excelsis Deo Et in terra pax hominibus Laudamus te Gratias agimus tibi Propter magnam gloriam Domine Deus Domine Fili unigenite Domine Deus, Agnus Dei Qui tollis peccata mundi Qui sedes ad dexteram Patris Quoniam tu solus Sanctus Cum Sancto Spiritu direttore ALESSANDRO DE MARCHI Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti NOTE AL PROGRAMMA Filippo Perocco, Vestita di sole, segno grande nel cielo (2015) per coro e orchestra d’archi Mentre scrivo questo breve testo di presentazione non ho ancora un’idea ultima del lavoro che andrò a comporre. Si tratta di una scena di Aquagranda, opera commissionata dalla Fenice per la stagione 2016-2017. L’opera – tratta dal romanzo di Roberto Bianchin, su testo di Luigi Cerantola e con la regia di Damiano Michieletto – evoca l’alluvione del 1966 sulla laguna veneta. Ambientata a Pellestrina, mette in scena il dramma collettivo dell’umile gente travolta dai furori del mare, in balìa della paura. Vestita di sole, segno grande nel cielo è l’invocazione del popolo rivolto alla sacralità della Natura. Filippo Perocco Antonio Vivaldi, «Nulla in mundo pax sincera», soprano, archi e continuo in mi maggiore RV 630 mottetto per Per quanto ridotta rispetto a quella strumentale, la musica vocale sacra di Antonio Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna, 1741) comprende una cinquantina di opere, composte in buona parte per le «putte» dell’Ospedale della Pietà di Venezia che, com’è noto, all’epoca era in pratica un conservatorio. Tra questi lavori figurano i dodici mottetti per voce solista e orchestra che nel catalogo vivaldiano di Peter Ryom (sigla RV) occupano i numeri dal 623 al 634. Il termine «mottetto» non va ovviamente inteso nel senso del severo brano polifonico cinquecentesco, ma in quello più generico di «cantata» in uso nel Settecento. In Vivaldi appare anzi nella forma di «concerto per voce e orchestra»; il contrappunto cede quindi il posto al virtuosismo, in un colorito affresco che fa intuire le potenzialità delle interpreti della Pietà 124 note al programma cui i brani erano destinati, e quanto labili fossero all’epoca i confini con il mondo operistico, tanto che l’intenzione religiosa veniva sopraffatta dalla glorificazione della vocalità più impervia. Una simile libertà compositiva è consentita anche dai testi non liturgici su cui vengono composti questi pezzi: un latino para-chiesastico, approssimativo e di dubbio gusto, dove ha più importanza l’impatto emotivo delle singole parole che non una loro impeccabile coordinazione logica. A proposito della collocazione cronologica dei mottetti vivaldiani, Michael Talbot osserva: L’accompagnamento strumentale [dei mottetti] è più dimesso che nella maggior parte delle arie d’opera di Vivaldi anteriori al secondo decennio del Settecento, e la scrittura vocale correlativamente più fiorita; tuttavia il loro stile, unitamente ai pochi altri elementi che possono documentarlo, fa ritenere che siano stati scritti nell’ambito della prima produzione di musica vocale sacra. Saremmo quindi negli anni fra il 1712 e il 1716, quando Vivaldi sostituisce alla Pietà Francesco Gasparini nell’incarico di maestro del coro. La struttura del mottetto «Nulla in mundo pax sincera» è quella convenzionale: un’aria tripartita A-B-A’ (prima parte, seconda parte di atmosfera contrastante, ‘da capo’ della prima parte con variazioni), un breve recitativo di collegamento, una seconda aria e il conclusivo, brillante «Alleluia». La voce è protagonista assoluta sia nella prima aria, che ha l’andamento ritmico e il carattere espressivo di una siciliana, sia nella seconda, più vivace e animata da un ritmo puntato alla francese, e ancor più nelle agilità dell’«Alleluia». Il manoscritto autografo di questo mottetto è conservato alla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Antonio Vivaldi, Concerto RV 151 Alla rustica per archi e continuo in sol maggiore I concerti di Antonio Vivaldi con titolo o con un’intestazione particolare sono una cinquantina. Ispirati per lo più ai fenomeni della natura o a particolari stati d’animo, utilizzano il mimetismo e le onomatopee musicali. Evidente il loro legame con la produzione operistica del «prete rosso». Se la musica strumentale da concerto offre al teatro d’opera gli elementi del linguaggio descrittivo, d’altra parte la musica operistica trasmette al repertorio strumentale la ricchezza e la varietà delle sue tematiche inesauribili. In Vivaldi il virtuoso del violino, il compositore di musica strumentale e l’uomo di teatro si contemperano nell’ispirazione e nell’atto creativo. 125 alessandro de marchi - 28 giugno 2015 Il Concerto per archi e continuo in sol maggiore RV 151, Alla rustica, di cui esiste un’unica partitura autografa, ricorre a strutture melodiche e armoniche proprie della musica popolare. Gli elementi descrittivi sono assunti in funzione di una costruzione musicale equilibrata e concisa. Nel Presto, basato su un breve inciso che ritorna con insistenza, i violini evocano il ritmo di un galoppo, trasportando l’ascoltatore in una concitata scena di caccia a cavallo. Una corsa precipitosa che si placa nell’Adagio, dove gli accordi ribattuti su armonie lamentose e le cadenze respirate, precedute e seguite da silenzi espressivi, fanno sentire il respiro affannato e l’ansimare di chi è stanco di correre. I suoni flebili e smorzati delle ultime battute sembrano un’espirazione: il divertimento della battuta di caccia non è certo stato incruento. L’Allegro finale, con la sua melodia semplice dagli accenti marcati, evoca una festa campestre animata da un ballo, simile alla gavotta. Ruvide dissonanze si appoggiano su robusti accordi maggiori e dolci sequenze di armonie delicate scivolano alle cadenze. Più che a una raffigurazione arcadica, il concerto fa pensare a un rapido schizzo, a una visione del mondo rustico forse un po’ ironica, ma al tempo stesso intrisa di vitale energia. Antonio Vivaldi, Gloria RV 589 per soli, coro e orchestra in re maggiore Come quasi tutte le opere di Antonio Vivaldi, il Gloria per soli, coro e orchestra in re maggiore RV 589 ha datazione incerta. Pervenuto attraverso una sola fonte autografa, conservata nel Fondo Foà-Giordano della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, potrebbe risalire, secondo gli studi di Paul Everett, al 1716. Stando a diversi indizi, il Gloria viene scritto per il coro dell’Ospedale della Pietà a Venezia, formato da sole voci femminili, per quanto non si possano escludere come destinatarie altre istituzioni musicali. Incerta è anche l’occasione compositiva. Michael Talbot ipotizza che potrebbe trattarsi del perfezionamento del precedente Gloria RV 588 e che Vivaldi potrebbe averlo concepito – come l’oratorio Juditha triumphans – per celebrare una vittoria della Serenissima sui turchi. Proprio tra il luglio e l’agosto del 1716, dopo aver perso i possedimenti della Morea, Venezia, forte anche della vittoria di Petervaradino dell’impero austriaco sugli ottomani, riesce a far fronte all’assedio di Corfù, impedendo lo sbarco sull’isola di 40.000 soldati del sultano Ahmed III. A ogni modo, se non si hanno notizie di esecuzioni del Gloria RV 589 vivente l’autore, è legittimo supporre che sia stato composto per qualche occasione specifica e dunque eseguito almeno una volta. Di sicuro, l’opera 126 note al programma non sarà più ripresa fino alla prima senese del 1939 sotto la direzione di Alfredo Casella. Non appare infatti sufficientemente comprovata l’ipotesi di un’esecuzione per il matrimonio di Luigi XV nel 1725, e puramente ipotetica rimane ogni congettura sulla possibilità che Bach conoscesse questo brano al tempo della Messa in si minore. È difficile anche stabilire se il Gloria abbia destinazione liturgica o concertistica: l’ampiezza delle proporzioni e la maestosità dell’architettura, unite alla varietà delle sue sezioni, farebbero escludere la prima ipotesi, anche se la messa dell’epoca includeva lunghe parentesi di carattere prettamente concertistico. Certo è che si tratta di un capolavoro del Settecento sacro. Le sue dodici parti sono un paradigma della potenza della fantasia e della libertà formale, in una diversificazione di accenti, colori, e in una concisione che non hanno molti confronti in questo repertorio. Vivaldi nella sua opera spazia dai cori omofonici a quelli polifonici, dalle arie solistiche al duetto; alterna pagine luminose e drammatiche, numeri ora solenni, ora intimistici, dove si mescolano stili, linguaggi, organici. Ma al di là dei singoli brani il Gloria vive di una sua interiore unità che è estro, fervore, invenzione melodica, intima adesione al testo sacro. Gran parte delle sezioni vede protagonista il coro, come del resto richiede il testo: trionfale, laudativo, affermativo della potenza pacificatrice di Dio. È il caso del «Gloria in excelsis Deo», Allegro in re maggiore aperto da un incalzante preludio strumentale, e affidato poi alla piena orchestra e al coro a quattro parti. L’irresistibile dinamismo vivaldiano e l’acceso colore strumentale emergono in pieno: tutto concorre a un estroverso clima di glorificazione. Alla luminosità dell’esordio si contrappone l’intimismo malinconico dell’Andante in si minore «Et in terra pax hominibus»: su un accompagnamento scarno degli archi, il coro, trattato contrappuntisticamente, è protagonista di un iter polifonico contrassegnato dal fitto cromatismo delle linee melodiche e dal continuo trascolorare armonico. Il successivo «Laudamus te» è un Allegro in sol maggiore, con accompagnamento di archi e continuo, che vede le voci dei soprani (nella prassi concertistica un soprano e un contralto) impegnate in un elegante gioco imitativo. Il coro ritorna nel più lento e omofonico «Gratias agimus tibi», un Adagio di sole sei battute che confluisce subito nell’Allegro «Propter magnam gloriam tuam», un incisivo quanto stringato episodio contrappuntistico a quattro parti, con le sezioni del coro sostenute dagli archi. All’austerità del fugato segue la delicatezza del Largo «Domine Deus», una siciliana dove soprano e oboe dialogano languidamente accompagnati dal solo basso continuo. Sempre con il gusto per i contrasti netti, segue il ritmo trascinante del «Domine Fili», dove l’incisivo ritmo puntato 127 alessandro de marchi - 28 giugno 2015 dell’orchestra sostiene l’impianto contrappuntistico della parte corale. Introdotto (e concluso) da un assolo del basso continuo, il «Domine Deus, Agnus Dei» presenta un dialogo intenso e meditativo, in forma responsoriale, tra la voce del contralto e gli interventi del coro. Il clima intenso e l’asciutta concentrazione espressiva prosegue nell’Adagio «Qui tollis», dove coro e orchestra procedono con mesta solennità introducendo l’aria del contralto, «Qui sedes ad dexteram Patris», un vigoroso Allegro accompagnato dagli archi. A questo punto, nel «Quoniam tu solus Sanctus», viene riutilizzato in forma variata e abbreviata il materiale del «Gloria in excelsis Deo» iniziale, senza le modulazioni e lo sviluppo tematico centrale. Il brano fa in pratica da introduzione al coro finale, «Cum Sancto Spiritu», dove Vivaldi – come aveva già fatto nel Gloria RV 588 – rielabora la fuga di un Gloria scritto nel 1708 da un altro compositore, Giovanni Maria Ruggieri. Roberto Mori 128 testi vocali FILIPPO PEROCCO Vestita di sole, segno grande nel cielo per coro e orchestra d’archi testo di Luigi Cerantola, per l’opera Aquagranda1 Segno segno grande segno grande nel cielo segno grande sole segno cielo grande cielo sole grande segno sole cielo grande cielo segno sole Nel cielo nel cielo il sole nel cielo una donna vestita di sole di sole ammantata una donna nel cielo di sole una donna luna stelle sole cieli donna stelle sole cieli donna luna sole cieli donna luna stelle cieli donna luna stelle sole donna luna stelle sole cieli Donna la luna donna la luna il sole le stelle Ammantata di sole una donna sotto i suoi piedi la luna e in capo dodici stelle luna sole cieli donna manto sole cieli donna manto stelle donna cieli manto donna stelle luna manto stelle luna sole stelle luna sole cieli stelle manto luna sole cieli donna luna stelle sole cieli donna manto Il testo di Luigi Cerantola viene qui pubblicato (dicembre 2014) prima dell’effettiva composizione musicale del brano, che potrà dunque presentare qualche differenza nella scelta e nella disposizione delle parole intonate. 1 129 alessandro de marchi - 28 giugno 2015 luna sole cieli donna manto stelle sole cieli donna manto stelle luna cieli donna manto stelle luna sole donna manto stelle luna sole cieli manto stelle luna sole cieli donna stelle luna sole cieli donna manto La Vergine de li angeli ci copra del suo manto de li angeli ci copra del suo manto del suo manto manto angeli manto Vergine stelle manto Vergine stelle angeli Vergine stelle angeli manto stelle angeli manto Vergine angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto angeli stelle Vergine luna sole manto Una donna ammantata di sole angeli manto Vergine luna stelle donna sole manto Vergine luna stelle donna sole angeli Vergine luna stelle donna sole angeli manto luna stelle donna sole angeli manto Vergine stelle donna sole angeli manto Vergine luna donna sole angeli manto Vergine luna stelle sole angeli manto Vergine luna stelle donna manto luna stelle angeli donna sole Vergine manto luna angeli stelle donna Vergine sole donna angeli manto sole Vergine luna stelle angeli luna stelle Vergine donna sole manto sole donna Vergine manto luna stelle angeli manto Vergine luna sole donna angeli stelle Vergine sole manto luna angeli stelle donna Una donna vestita di sole 130 testi vocali ANTONIO VIVALDI «Nulla in mundo pax sincera» mottetto in mi maggiore per soprano, archi e basso continuo RV 630 Aria Nulla in mundo pax sincera sine felle, pura et vera, dulcis Jesu, est in te. Inter poenas et tormenta, vivit anima contenta, casti amoris sola spe. Recitativo Blando colore oculos mundus decepit et occulto vulnere corda conficit; fugiamus ridentem, vitemus sequentem, nam delicias ostentando arte secura velet ludendo superare. Aria Spirat anguis inter flores et colores explicando tegit fel, sed occulto cactus ore homo demens in amore saepe lambit quasi mel. Alleluja Alleluja 131 alessandro de marchi - 28 giugno 2015 ANTONIO VIVALDI Gloria per soli, coro e orchestra in re maggiore RV 589 1. Coro Gloria in excelsis Deo. 2. Coro Et in terra pax hominibus bonae voluntatis. 3. Duetto Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te. 4. Coro Gratias agimus tibi 5. Coro propter magnam gloriam tuam. 6. Aria Domine Deus, Rex caelestis, Deus Pater omnipotens. 7. Coro Domine Fili unigenite, Jesu Christe. 8. Aria con coro Domine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris, qui tollis peccata mundi, miserere nobis. 9. Coro Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram. 10. Aria Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis. 11. Coro Quoniam tu solus Sanctus, tu solus Dominus, tu solus Altissimus, Jesu Christe. 12. Coro Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen. 132 biografie Filippo Perocco Diplomato in composizione (con Riccardo Vaglini) e organo presso il Conservatorio di Venezia, ha studiato direzione d’orchestra con Emilio Pomarico e Sylvain Cambreling. Ha partecipato ai 40. e 41. Ferienkurse für neue Musik di Darmstadt. È stato composer in residence all’European Centre for the Arts di Dresda e all’American Academy in Rome, visiting composer presso Boston University, Tufts University, New York University, Conservatorio di Lugano, e borsista Fulbright a Boston. Sue opere sono commissionate da Biennale Musica di Venezia, ENPARTS, Eclat, Siemens Foundation, la Fenice, Villa Romana, Mata Festival, Tilt Brass, Milano Musica, Sentieri Selvaggi, Taschenopern Salzburg, Klang21, Incontri Asolani, Teatro Olimpico di Vicenza, Finestre sul ’900, Divertimento ensemble, ExNovo, Brighton Festival, Kaida, VokalensembleNeueMusik, Astra Concerts, Altri canti, Brinkhall Summer Concerts, ECHO. I suoi lavori sono eseguiti da Holland Symphonia, Dresdner Sinfonikern, Young Janácek Philharmonic Orchestra, Sinfonia Varsovia, Orchestre National de Lorraine, Orchestra d’Archi Italiana, ORT, Orchestra Mitteleuropa, ModernArtEnsemble, Orchestra del Teatro La Fenice, Dresden Sinfonietta, Virtuosi Italiani, Vocal Modern, CoroinCanto, Ixion, Aleph, Argento, Knights, Accroche Note, Algoritmo, Kaida, ExNovo, Astra Choir, e trasmesse da Radio di Belgrado, NPS, WQXR, SBS, BBC, RAI, Polski Radio. È stato presente in rassegne internazionali tra le quali Gaudeamus, Manca, Aspekte Salzburg, Time of Music, Acanthes, Warsaw Autumn, Musica Strasbourg, Nuova Consonanza, American Film Festival, Unerhörte Musik, Timisoara International Music Festival, Contemporanea Udine, Theatre Dunois Paris, Musica/Realtà, Cantiere di Montepulciano, BEAMS, Zèppelin, Axes, De IJsbreker, Logos Foundation Ghent, Tufts New Music Festival, Rencontres Lunel, C. N. de la Música México, New London Wind Festival, Boston Harp Festival, Review of Belgrade. È cofondatore e direttore artistico dell’ensemble L’arsenale (Treviso). È pubblicato da ArsPublica e Doblinger. 133 alessandro de marchi - 28 giugno 2015 Giulia Semenzato Diplomata al Conservatorio di Venezia, si perfeziona attualmente nel repertorio barocco con Rosa Dominguez alla Schola Cantorum Basiliensis di Basilea. Ha frequentato le master class di Christopher Robson, Cinzia Forte, Vivica Genaux, Gemma Bertagnolli e Maria Cristina Kiehr. Vincitrice dei concorsi Città di Bologna (Premio Farinelli) e Toti Dal Monte 2012, ha debuttato a Treviso come Elisetta nel Matrimonio segreto, poi riproposto a Ferrara, Rovigo, Lucca e Ravenna. Nel 2013 è stata ammessa all’Académie Européenne de Musique del Festival d’Aix-en-Provence e selezionata per il ruolo eponimo in Elena di Cavalli con Leonardo García Alarcón e la Capella Mediterranea, debuttando a Lilla e Lisbona nell’aprile 2014 e a Nantes, Angers e Rennes nel novembre successivo. Tra gli impegni precedenti, Sandrina nella Cecchina di Piccinni, Maria nei Due timidi di Rota e Zerlina in Don Giovanni a Venezia, e concerti con l’Orchestra Barocca di Villa Contarini diretta da Alfredo Bernardini e Roy Goodman. Nel maggio 2014 si è esibita sotto la direzione di René Jacobs alla Fondazione Cini in un programma di cantate inedite di Stradella e nel luglio 2014 ha interpretato il ruolo eponimo nell’Eritrea di Francesco Cavalli in una produzione della Fondazione Teatro La Fenice e del Venetian Centre for Baroque Music a Ca’ Pesaro. Nell’agosto 2014 ha vinto il secondo premio alla Cesti Competition di Innsbruck. È laureata in scienze giuridiche all’Università di Udine. 134 biografie Alessandro De Marchi Apprezzato interprete del repertorio barocco, con orchestre di strumenti sia antichi che moderni, ha diretto importanti produzioni di lavori di Monteverdi (L’incoronazione di Poppea e Il ritorno di Ulisse in patria alla Norske Opera di Oslo), Provenzale (La Stellidaura vendicante alle Innsbrucker Festwochen), Keiser (Der lächerliche Prinz Jodelet alla Staatsoper di Amburgo), Vivaldi (Orlando Paladino al Concertgebouw di Amsterdam), Telemann (Flavius Bertaridus a Innsbruck e Amburgo), Händel (Giulio Cesare in Egitto ad Amburgo, alla Semperoper di Dresda e al Teatro Regio di Torino, Hercules a Halle, Orlando a Essen e Berlino, Alcina a Lione, Teseo alla Komische Oper di Berlino, Almira e il Messiah ad Amburgo), Hasse (Cleofide a Dresda), Graun (Cleopatra e Cesare alla Staatsoper di Berlino), Pergolesi (L’Olimpiade a Innsbruck, al San Carlo di Napoli e al Festival Pergolesi di Jesi), Gluck (Iphigénie en Aulide al Theater an der Wien di Vienna, Iphigénie en Tauride ad Amburgo), Haydn (L’isola disabitata a Innsbruck), Mozart (Die Entführung aus dem Serail a Dresda, Don Giovanni ad Amburgo, Così fan tutte alla Monnaie di Bruxelles, La clemenza di Tito a Innsbruck), fino a Rossini (La scala di seta al Concertgebouw di Amsterdam e al Teatro Malibran di Venezia, Demetrio e Polibio al San Carlo di Napoli, Il barbiere di Siviglia a Berlino, Amburgo, Dresda e Torino) e Donizetti (Anna Bolena all’Opera di Colonia). Dal 1998 è direttore principale dell’Academia Montis Regalis, con la quale ha ottenuto nel 2005 il Premio Abbiati. Svolge attività concertistica con orchestre quali l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, i Wiener Symphoniker, la NDR Radiophilharmonie, le Staatskapelle di Berlino e di Dresda. Dal 2009 è direttore artistico del Festival di Musica Antica di Innsbruck. 135 orchestra e coro del teatro la fenice 136 orchestra e coro del teatro la fenice Orchestra del Teatro La Fenice La storia dell’Orchestra del Teatro La Fenice è legata a quella del teatro stesso, centro produttivo di primaria importanza che nel corso dell’Ottocento ha presentato prime assolute di opere fondamentali nella storia del melodramma (Semiramide, I Capuleti e i Montecchi, Rigoletto, La traviata). Nella seconda parte del secolo scorso l’impegno dei complessi orchestrali si concentrò nell’internazionalizzazione del repertorio, ampliato anche sul fronte sinfonico-concertistico (con solisti quali Enrico Mainardi, Mstislav Rostropovich, Edwin Fischer, Aldo Ferraresi, Arthur Rubinstein). Nel corso dell’Otto e Novecento, sul podio dell’Orchestra si susseguirono celebri direttori e compositori: Lorenzo Perosi, Giuseppe Martucci, Arturo Toscanini, Antonio Guarnieri, Richard Strauss, Pietro Mascagni, Giorgio Ghedini, Ildebrando Pizzetti, Goffredo Petrassi, Alfredo Casella, Gian Francesco Malipiero, Willy Ferrero, Leopold Stokowski, Fritz Reiner, Vittorio Gui, Tullio Serafin, Giuseppe Del Campo, Nino Sanzogno, Ermanno Wolf-Ferrari, Carlo Zecchi, John Barbirolli, Herbert Albert, Franco Ferrara, Guido Cantelli, Thomas Schippers, Dimitri Mitropoulos. Nel 1938 il Teatro La Fenice divenne Ente Autonomo: anche l’Orchestra vide un riassetto e un rilancio, grazie pure all’attiva partecipazione al Festival di Musica Contemporanea della Biennale d’Arte. Negli anni Quaranta e Cinquanta sotto la guida di Scherchen, Bernstein, Celibidache (impegnato nell’integrale delle sinfonie beethoveniane), Konwitschny (nell’integrale del Ring wagneriano) e Stravinskij, la formazione veneziana diede vita a concerti di portata storica. Negli anni, si sono susseguiti sul podio veneziano i più celebri direttori d’orchestra, tra i quali ricordiamo ancora: Bruno Maderna, Herbert von Karajan, Karl Böhm, Claudio Abbado, Riccardo Muti, Georges Prêtre, Eliahu Inbal, Seiji Ozawa, Lorin Maazel, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung (recente protagonista della doppia inaugurazione della stagione 2012-2013 con Otello e Tristan und Isolde e della stagione 2014-2015 con Simon Boccanegra). Notevole la proposta di opere contemporanee come The Rake’s Progress di Stravinskij e The Turn of the Screw di Britten negli anni Cinquanta (entrambe in prima rappresentazione assoluta), Aus Deutschland (in prima rappresentazione italiana) ed Entführung im Konzertsaal (in prima rappresentazione assoluta) di Mauricio Kagel, e recentemente, in prima rappresentazione assoluta, Medea di Adriano Guarnieri (Premio Abbiati 2003), Signor Goldoni di Luca Mosca e Il killer di parole di Claudio Ambrosini (Premio Abbiati 2010). Da segnalare inoltre la prima esecuzione assoluta del recentemente ritrovato Requiem giovanile di Bruno Maderna e, nelle ultime stagioni, le riprese di Intolleranza 1960 di Luigi Nono e Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli (quest’ultima in prima italiana). In ambito sinfonico l’Orchestra si è cimentata in vasti cicli, tra cui quelli dedicati a Berg, Mahler e Beethoven, 137 orchestra e coro del teatro la fenice sotto la direzione di maestri quali Sinopoli, Kakhidze, Masur, Barshai, Tate, Ahronovitch, Kitajenko, Inbal, Temirkanov. Formazione che si pone fra le più interessanti realtà del panorama italiano, l’Orchestra del Teatro La Fenice svolge regolarmente tournée in Italia e all’estero (di recente in Polonia, Francia, Danimarca, Giappone, Cina, Emirato di Abu Dhabi), riscuotendo calorosi consensi di pubblico e critica. Tra i direttori principali dell’Orchestra negli ultimi anni si sono alternati Eliahu Inbal (ricordiamo le sue integrali delle sinfonie di Beethoven e di Mahler), Vjekoslav Sutej, Isaac Karabtchevsky (che ha realizzato l’integrale delle sinfonie di Mahler); tra i principali direttori ospiti ricordiamo Jeffrey Tate. Dal 2002 al 2004 il direttore musicale è stato il compianto Marcello Viotti, che ha diretto l’Orchestra del Teatro La Fenice in opere quali Thaïs, Les pêcheurs de perles, Le roi de Lahore. Dal 2007 al 2009 gli è succeduto Eliahu Inbal, che ha diretto quattro importanti produzioni operistiche: Elektra, Boris Godunov, il dittico Von heute auf morgen - Pagliacci e Die tote Stadt. Diego Matheuz è l’attuale direttore principale, nominato nel luglio 2011. Coro del Teatro La Fenice È una formazione stabile i cui componenti sono selezionati con concorsi internazionali. All’impegno nella programmazione operistica del Teatro (in sede e fuori) esso ha progressivamente affiancato una crescente presenza nel repertorio sacro, sinfonico e cameristico. Oggi costituisce un punto fermo anche nella programmazione sinfonica della Fenice e svolge attività concertistica in Italia ed all’estero sia con l’Orchestra della Fenice che in formazioni autonome o con altri complessi orchestrali. Nell’ultimo dopoguerra ne hanno curato la quotidiana preparazione Sante Zanon, Corrado Mirandola, Aldo Danieli, Ferruccio Lozer, Marco Ghiglione, Vittorio Sicuri, Giulio Bertola, Giovanni Andreoli, Guillaume Tourniaire, Piero Monti, Emanuela Di Pietro e attualmente Claudio Marino Moretti. Tra i direttori con i quali il coro ha collaborato in tempi recenti si annoverano Abbado, Ahronovitch, Arena, Bertini, Campori, Chung, Clemencic, Dantone, Ferro, Fournier, Gardiner, Gavazzeni, Gelmetti, Horvat, Inbal, Kakhidze, Kitajenko, Maazel, Marriner, Melles, Muti, Oren, Pesko, Prêtre, Santi, Semkov, Sinopoli, Tate, Temirkanov, Thielemann. Il repertorio spazia dal xvi al xxi secolo. Fra le incisioni discografiche ricordiamo Il barbiere di Siviglia con Claudio Abbado e Thaïs di Massenet con Marcello Viotti. Fra i più significativi impegni recenti, l’Oratorio di Natale e la Messa in si minore di Bach con Riccardo Chailly e Stefano Montanari, il War Requiem di Britten con Bruno Bartoletti, la Messa da Requiem di Verdi con MyungWhun Chung, le prime esecuzioni assolute del Requiem di Bruno Maderna e del Killer di parole di Claudio Ambrosini con Andrea Molino, Intolleranza 138 orchestra e coro del teatro la fenice di Luigi Nono e Lou Salomé di Giuseppe Sinopoli con Lothar Zagrosek e due concerti monografici dedicati ad Arvo Pärt e a Ives, Cage e Feldman con Claudio Marino Moretti. Claudio Marino Moretti Inizia gli studi musicali al Conservatorio di Brescia. Si diploma in pianoforte al Conservatorio di Milano con Antonio Ballista. Collabora per alcuni anni con Mino Bordignon ai Civici Cori e successivamente con Bruno Casoni al Teatro Regio di Torino. Fonda il Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino con il quale svolge un’intensa attività didattica e concertistica. Dal 2001 al 2008 è maestro del coro al Teatro Regio di Torino. Dal 2008 è maestro del coro al Teatro La Fenice di Venezia. 139 Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica Diego Matheuz direttore principale Marco Paladin direttore musicale di palcoscenico e coordinatore dei complessi artistici ORCHESTRA DEL TEATRO L A FENICE Violini primi Viole Flauti Trombe Roberto Baraldi D Fulvio Furlanut Nicholas Myall Mauro Chirico Loris Cristofoli Andrea Crosara Roberto Dall’Igna Elisabetta Merlo Sara Michieletto Martina Molin Annamaria Pellegrino Daniela Santi Xhoan Shkreli Anna Tositti Anna Trentin Maria Grazia Zohar Alfredo Zamarra • Antonio Bernardi Lorenzo Corti Paolo Pasoli Maria Cristina Arlotti Elena Battistella Rony Creter Margherita Fanton Valentina Giovannoli Anna Mencarelli Stefano Pio Angelo Moretti • Andrea Romani • Luca Clementi Fabrizio Mazzacua Piergiuseppe Doldi • Fabiano Maniero • Mirko Bellucco Eleonora Zanella Oboi Tromboni Violoncelli Renato Nason Athos Castellan Claudio Magnanini Clarinetti Tuba Violini secondi Alessandro Cappelletto • Gianaldo Tatone • Samuel Angeletti Ciaramicoli Nicola Fregonese Alessio Dei Rossi Maurizio Fagotto Emanuele Fraschini Maddalena Main Luca Minardi Mania Ninova Suela Piciri Elizaveta Rotari Aldo Telesca Livio Salvatore Troiano Johanna Verheijen Alessandro Zanardi • Nicola Boscaro Marco Trentin Bruno Frizzarin Paolo Mencarelli Filippo Negri Antonino Puliafito Mauro Roveri Renato Scapin Contrabbassi Matteo Liuzzi • Stefano Pratissoli • Massimo Frison Walter Garosi Ennio Dalla Ricca Giulio Parenzan Marco Petruzzi Denis Pozzan Ottavino Franco Massaglia D primo violino di spalla • prime parti Rossana Calvi • Marco Gironi • Angela Cavallo Valter De Franceschi Corno inglese Vincenzo Paci • Simone Simonelli • Federico Ranzato Claudio Tassinari Fagotti Roberto Giaccaglia • Marco Giani • Roberto Fardin Controfagotto Fabio Grandesso Corni Konstantin Becker • Andrea Corsini • Loris Antiga Adelia Colombo Stefano Fabris Guido Fuga Giuseppe Mendola • Domenico Zicari • Federico Garato Tromboni bassi Alessandro Ballarin Timpani Dimitri Fiorin • Percussioni Claudio Cavallini Gottardo Paganin Pianoforte Carlo Rebeschini • Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Artistica Claudio Marino Moretti maestro del Coro CORO DEL Ulisse Trabacchin altro maestro del Coro TEATRO L A FENICE Soprani Alti Tenori Bassi Nicoletta Andeliero Cristina Baston Lorena Belli Anna Maria Braconi Lucia Braga Caterina Casale Mercedes Cerrato Emanuela Conti Chiara Dal Bo’ Milena Ermacora Alessandra Giudici Susanna Grossi Michiko Hayashi Maria Antonietta Lago Anna Malvasio Loriana Marin Antonella Meridda Alessia Pavan Lucia Raicevich Andrea Lia Rigotti Ester Salaro Elisa Savino Valeria Arrivo Claudia Clarich Marta Codognola Roberta De Iuliis Simona Forni Elisabetta Gianese Manuela Marchetto Eleonora Marzaro Misuzu Ozawa Gabriella Pellos Francesca Poropat Orietta Posocco Nausica Rossi Paola Rossi Domenico Altobelli Ferruccio Basei Cosimo D’Adamo Dionigi D'Ostuni Enrico Masiero Carlo Mattiazzo Stefano Meggiolaro Roberto Menegazzo Dario Meneghetti Ciro Passilongo Marco Rumori Bo Schunnesson Salvatore Scribano Massimo Squizzato Paolo Ventura Bernardino Zanetti Giuseppe Accolla Carlo Agostini Giampaolo Baldin Julio Cesar Bertollo Antonio Casagrande Antonio S. Dovigo Salvatore Giacalone Umberto Imbrenda Massimiliano Liva Gionata Marton Nicola Nalesso Emanuele Pedrini Mauro Rui Roberto Spanò Franco Zanette Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa SOVRINTENDENZA Cristiano Chiarot sovrintendente Rossana Berti Cristina Rubini DIREZIONI OPERATIVE PERSONALE E SVILUPPO ORGANIZZATIVO MARKETING - COMMERCIALE E COMUNICAZIONE Giorgio Amata Giampiero Beltotto direttore Lucio Gaiani responsabile ufficio gestione del personale Alessandro Fantini controllo di gestione e coordinatore attività metropolitane Stefano Callegaro Giovanna Casarin Antonella D’Este Alfredo Iazzoni Renata Magliocco Lorenza Vianello Fabrizio Penzo ◊ AMMINISTRATIVA E CONTROLLO direttore Nadia Buoso responsabile della biglietteria Laura Coppola Alessia Libettoni ◊ Jacopo Longato ◊ Mauro Rocchesso UFFICIO STAMPA Ruggero Peraro Barbara Montagner responsabile Elisabetta Gardin ◊ Andrea Pitteri ◊ Pietro Tessarin ◊ direttore Lorenza Bortoluzzi Dino Calzavara Anna Trabuio SERVIZI GENERALI responsabile e RSPP nnp * Liliana Fagarazzi Stefano Lanzi Nicola Zennaro Marco Giacometti ◊ ARCHIVIO STORICO Domenico Cardone direttore Marina Dorigo Franco Rossi consulente scientifico AREA FORMAZIONE E MULTIMEDIA Simonetta Bonato responsabile Andrea Giacomini Thomas Silvestri Alessia Pelliciolli ◊ ◊ a termine * nnp nominativo non pubblicato per mancato consenso FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Struttura Organizzativa DIREZIONE ARTISTICA Fortunato Ortombina direttore artistico Diego Matheuz direttore principale Bepi Morassi direttore della produzione Franco Bolletta consulente artistico per la danza SEGRETERIA ARTISTICA DIREZIONE SERVIZI DI ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE DIREZIONE ALLESTIMENTO SCENOTECNICO Lucas Christ ◊ Lorenzo Zanoni Massimo Checchetto UFFICIO CASTING Anna Migliavacca Monica Fracassetti SERVIZI MUSICALI Cristiano Beda Salvatore Guarino Andrea Rampin Francesca Tondelli ARCHIVIO MUSICALE Gianluca Borgonovi Tiziana Paggiaro ◊ a termine direttore di scena e palcoscenico Valter Marcanzin altro direttore di scena e palcoscenico Lucia Cecchelin responsabile produzione Silvia Martini Fabio Volpe Paolo Dalla Venezia ◊ direttore Carmen Attisani ◊ Area tecnica Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Area Tecnica Macchinisti, falegnameria, magazzini Elettricisti Audiovisivi Attrezzeria Interventi scenografici Sartoria e vestizione Massimiliano Ballarini capo reparto Andrea Muzzati vice capo reparto Roberto Rizzo vice capo reparto Mario Visentin vice capo reparto Paolo De Marchi responsabile falegnameria Michele Arzenton Pierluca Conchetto Roberto Cordella Antonio Covatta nnp* Dario De Bernardin Roberto Gallo Michele Gasparini Roberto Mazzon Carlo Melchiori Francesco Nascimben Francesco Padovan Claudio Rosan Stefano Rosan Paolo Rosso Massimo Senis Luciano Tegon Andrea Zane Mario Bazzellato ◊ Vitaliano Bonicelli ◊ Franco Contini ◊ Cristiano Gasparini ◊ Luca Micconi ◊ Stefano Neri ◊ Giovanni Pancino ◊ Paolo Scarabel ◊ Vilmo Furian capo reparto Fabio Barettin vice capo reparto Costantino Pederoda vice capo reparto Alberto Bellemo Andrea Benetello Marco Covelli Federico Geatti Roberto Nardo Maurizio Nava Marino Perini nnp* Alberto Petrovich nnp* Luca Seno Teodoro Valle Giancarlo Vianello Massimo Vianello Roberto Vianello Alessandro Diomede ◊ Michele Voltan ◊ Alessandro Ballarin capo reparto Michele Benetello Cristiano Faè Stefano Faggian Tullio Tombolani Marco Zen Roberto Fiori capo reparto Sara Valentina Bresciani vice capo reparto Salvatore De Vero Vittorio Garbin Romeo Gava Dario Piovan Paola Ganeo ◊ Roberto Pirrò ◊ Marcello Valonta Carlos Tieppo ◊ Giorgio Mascia ◊ capo reparto Emma Bevilacqua vice capo reparto Bernadette Baudhuin Valeria Boscolo Luigina Monaldini Silvana Dabalà ◊ Luisella Isicato ◊ Stefania Mercanzin ◊ Paola Milani addetta calzoleria ◊ a termine * nnp nominativo non pubblicato per mancato FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA LIRICA E BALLETTO 2014-2015 DOPPIA INAUGURAZIONE Teatro La Fenice 22 / 25 / 30 novembre 2 / 4 / 6 dicembre 2014 Simon Boccanegra musica di Giuseppe Verdi versione definitiva 1881 personaggi e interpreti principali Simon Boccanegra Simone Piazzola Maria Boccanegra Maria Agresta Jacopo Fiesco Giacomo Prestia Gabriele Adorno Francesco Meli Paolo Albiani Julian Kim maestro concertatore e direttore Myung-Whun Chung regia e scene Andrea De Rosa costumi Alessandro Lai Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova con il sostegno del Freundeskreis des Teatro La Fenice Teatro La Fenice 23 / 27 / 29 novembre 5 / 7 dicembre 2014 La traviata musica di Giuseppe versione 1854 Verdi personaggi e interpreti principali Violetta Valéry Francesca Dotto Alfredo Germont Leonardo Cortellazzi Giorgio Germont Marco Caria maestro concertatore e direttore Diego Matheuz regia Robert Carsen scene e costumi Patrick Kinmonth coreografia Philippe Giraudeau Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice con il sostegno del Freundeskreis des Teatro La Fenice 100a replica dell’allestimento che il 12 novembre 2004 inaugurò la Fenice ricostruita Teatro La Fenice 14 / 15 / 16 / 17 / 18 / 20 gennaio 2015 I Capuleti e i Montecchi musica di Vincenzo Bellini personaggi e interpreti principali Giulietta Jessica Pratt / Mihaela Marcu Romeo Sonia Ganassi / Paola Gardina Tebaldo Shalva Mukeria / Francesco Marsiglia maestro concertatore e direttore Omer Meir Wellber regia Arnaud Bernard scene Alessandro Camera costumi Maria Carla Ricotti Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Fondazione Arena di Verona e Opera Nazionale Ellenica Teatro Malibran 23 / 25 / 27 / 29 / 31 gennaio 2015 Il signor Bruschino musica di Gioachino Rossini personaggi e interpreti principali Gaudenzio Omar Montanari Sofia Irina Dubrovskaya maestro concertatore e direttore Francesco Ommassini Bepi Morassi Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia regia scene, costumi e luci Orchestra del Teatro La Fenice nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito del progetto Atelier della Fenice al Teatro Malibran LIRICA E BALLETTO 2014-2015 Teatro La Fenice 30 gennaio 1 / 7 / 12 / 19 febbraio 2015 L’elisir d’amore musica di Gaetano Donizetti PROGETTO EXPO TRAVIATA 13 febbraio - 4 ottobre 2015 personaggi e interpreti principali Adina Mihaela Marcu Nemorino Giorgio Misseri Belcore Alessandro Luongo Il dottor Dulcamara Carlo Lepore La traviata maestro concertatore e direttore scene e costumi Omer Meir Wellber regia Bepi Morassi scene e costumi Gianmaurizio Fercioni Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice musica di Giuseppe Verdi versione 1854 regia Robert Carsen coreografia Patrick Kinmonth Philippe Giraudeau Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice Teatro La Fenice 13 / 15 / 17 / 21 febbraio 21 / 25 / 27 / 29 marzo 2015 maestro concertatore e direttore Teatro La Fenice 8 / 14 / 18 / 20 / 22 febbraio 2015 Don Pasquale musica di Gaetano Donizetti personaggi e interpreti principali Don Pasquale Roberto Scandiuzzi Il dottor Malatesta Davide Luciano Ernesto Alessandro Scotto Di Luzio Norina Barbara Bargnesi maestro concertatore e direttore Omer Meir Wellber regia Italo Nunziata scene e costumi Pasquale Grossi Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice Omer Meir Wellber Teatro La Fenice 24 / 26 aprile 3 / 7 / 9 / 21 / 23 / 29 maggio 4 / 7 / 9 / 13 giugno 2015 maestro concertatore e direttore Gaetano d’Espinosa / Francesco Ivan Ciampa Teatro La Fenice 28 / 30 agosto 1 / 3 / 8 / 13 / 15 / 18 / 23 / 27 / 29 settembre - 4 ottobre 2015 maestro concertatore e direttore Riccardo Frizza LIRICA E BALLETTO 2014-2015 Teatro La Fenice 20 / 22 / 24 / 26 / 28 marzo 2015 Alceste musica di Gluck Christoph Willibald versione originale in italiano, Vienna 1767 Teatro La Fenice 20 / 24 / 27 / 30 maggio 3 / 6 giugno 2015 Norma musica di Vincenzo Bellini Teatro La Fenice 25 / 27 / 30 giugno 2015 3 / 5 luglio 2015 Juditha triumphans musica di Antonio Vivaldi personaggi e interpreti principali Pollione Gregory Kunde Oroveso Dmitry Beloselskiy Norma Anna Pirozzi / Maria Billeri Adalgisa Veronica Simeoni personaggi e interpreti principali Juditha Manuela Custer Vagaus Paola Gardina Holofernes Teresa Iervolino Abra Giulia Semenzato maestro concertatore e direttore maestro concertatore e direttore maestro del Coro Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Orchestra e Coro del Teatro La Fenice nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con il Centre de Musique Baroque de Versailles e la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino nel tricentenario della nascita di Christoph Willibald Gluck (1714) maestro del Coro maestro del Coro nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice progetto speciale della 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito del Festival «Lo spirito della musica di Venezia» personaggi e interpreti principali Alceste Carmela Remigio maestro concertatore e direttore Guillaume Tourniaire regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Claudio Marino Moretti Teatro La Fenice 8 / 10 / 22 / 26 / 28 / 31 maggio 2015 Madama Butterfly musica di Giacomo versione 1907 Puccini personaggi e interpreti principali Cio-Cio-San Svetlana Kasyan Suzuki Manuela Custer Pinkerton Vincenzo Costanzo Sharpless Luca Grassi maestro concertatore e direttore Jader Bignamini regia Àlex Rigola scene e costumi Mariko Mori Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice progetto speciale nel 2013 della 55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia Gaetano d’Espinosa regia, scene e costumi Kara Walker Claudio Marino Moretti Teatro Malibran 24 / 26 / 28 giugno 2015 2 / 4 luglio 2015 La scala di seta musica di Gioachino Rossini personaggi e interpreti principali Giulia Irina Dubrovskaya Dorvil Giorgio Misseri Germano Omar Montanari maestro concertatore e direttore Francesco Pasqualetti regia Bepi Morassi scene, costumi e luci Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Orchestra del Teatro La Fenice allestimento Fondazione Teatro La Fenice produzione Atelier della Fenice al Teatro Malibran nell’ambito del Festival «Lo spirito della musica di Venezia» Alessandro De Marchi regia Elena Barbalich Claudio Marino Moretti Teatro La Fenice 15 / 16 / 17 luglio 2015 Hamburg Ballett - John Neumeier Terza sinfonia di Gustav Mahler John Neumeier Gustav Mahler coreografia di musica di interpreti primi ballerini, solisti e corpo di ballo dell’Hamburg Ballett John Neumeier allestimento Hamburg Ballett nei quarant’anni della prima assoluta amburghese e della prima italiana in Piazza San Marco nell’ambito del Festival «Lo spirito della musica di Venezia» LIRICA E BALLETTO 2014-2015 Teatro La Fenice 22 / 23 luglio 2015 Teatro La Fenice 12 / 17 / 19 / 24 / 26 settembre 2015 Giovani talenti diplomati presso le migliori accademie internazionali musica di Gala internazionale di danza quarta edizione nell’ambito del Festival «Lo spirito della musica di Venezia» La cambiale di matrimonio Gioachino Rossini personaggi e interpreti principali Tobia Mill Omar Montanari Fannì Marina Bucciarelli Edoardo Milfort Giorgio Misseri maestro concertatore e direttore Teatro La Fenice 29 agosto 2 / 6 / 11 / 16 / 20 / 22 / 25 settembre 2 ottobre 2015 Tosca musica di Giacomo Puccini maestro concertatore e direttore Riccardo Frizza regia Serena Sinigaglia scene Maria Spazzi costumi Federica Ponissi Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti allestimento Fondazione Teatro La Fenice Lorenzo Viotti regia Enzo Dara Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia scene, costumi e luci Orchestra del Teatro La Fenice allestimento Fondazione Teatro La Fenice produzione Atelier della Fenice al Teatro Malibran Teatro Malibran 6 / 8 / 10 / 11 / 13 ottobre 2015 Dittico Il diario di uno scomparso (Zápisník zmizelého) musica di Leoš Janáček personaggi e interpreti principali Janek Leonardo Cortellazzi Claudio Marino Moretti Coro del Teatro La Fenice pianoforte La voce umana (La voix humaine) musica di Francis Poulenc personaggi e interpreti Una donna Ángeles Blancas Gulín maestro concertatore e direttore Francesco Lanzillotta Orchestra del Teatro La Fenice regia Gianmaria Aliverta nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice Teatro La Fenice 20 / 21 / 22 / 23 / 24 / 25 / 27 / 28 / 29 / 30 / 31 ottobre 2015 Die Zauberflöte (Il flauto magico) musica di Mozart Wolfgang Amadeus personaggi e interpreti principali Sarastro Goran Juri Tamino Antonio Poli Pamina Ekaterina Bakanova Papageno Alex Esposito maestro concertatore e direttore Antonello Manacorda regia Damiano Michieletto scene Paolo Fantin costumi Carla Teti Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Claudio Marino Moretti nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino STAGIONE SINFONICA 2014-2015 Teatro La Fenice 12 dicembre 2014 ore 20.00 turno S 14 dicembre 2014 ore 17.00 turno U Teatro La Fenice 19 dicembre 2014 ore 20.00 turno S 20 dicembre 2014 ore 17.00 f.a. 6 marzo 2015 ore 20.00 turno S 8 marzo 2015 ore 17.00 turno U direttore direttore Lorenzo Viotti Dmitrij Šostakovič Felix Mendelssohn Bartholdy Diego Matheuz Ouverture festiva in la maggiore op. 96 Concerto per violino e orchestra n. 1 in la minore op. 77 violino Anna Tifu Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 Orchestra del Teatro La Fenice Gabriele Ferro Ludwig van Beethoven Adagio per archi op. 11a Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Igor Stravinskij Claudio Marino Moretti direttore direttore Canzon per sonar a otto, primi toni Alessandro Grandi Messa concertata seconda a otto voci (1637) Teatro La Fenice 31 gennaio 2015 ore 20.00 f.a. Alexandre Bloch Canzon a otto a due cori Le tombeau de Couperin Pulcinella, suite per orchestra Ma mère l’Oye, suite per orchestra Orchestra di Padova e del Veneto progetto «Orchestre e teatri del Veneto alla Fenice» I Solisti della Cappella Marciana in collaborazione con la Procuratoria di San Marco direttore Federico Gardella Maurice Ravel Maurice Ravel Francesco Cavalli Teatro Malibran 13 marzo 2015 ore 20.00 turno S 14 marzo 2015 ore 17.00 turno U Jonathan Webb Cinque mottetti per la Messa del Santo Natale Canzon in eco a otto Orchestra del Teatro La Fenice Pelléas et Mélisande, suite op. 80 Igor Stravinskij Giovanni Battista Grillo Sinfonia in do Gabriel Fauré prima esecuzione in tempi moderni prima esecuzione in tempi moderni Samuel Barber Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 Basilica di San Marco 17 dicembre 2014 ore 20.00 solo per invito 18 dicembre 2014 ore 20.00 turno S Giovanni Gabrieli Wolfgang Amadeus Mozart Die Entführung aus dem Serail KV 384: Salmo 42 per soprano, coro e orchestra Ouverture op. 42 Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 Haffner soprano Monica Bacelli maestro del Coro Marco Gemmani direttore vincitore del Premio Una vita nella musica Nuove generazioni 2014 Metrica dell’istante Nuova commissione nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Fenice» con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice prima esecuzione assoluta Benjamin Britten Quatre chansons françaises per soprano e orchestra Edward Elgar Serenata per archi in mi minore op. 20 Teatro La Fenice 27 febbraio 2015 ore 20.00 turno S 28 febbraio 2015 ore 17.00 turno U* direttore Diego Matheuz Pēteris Vasks Cantabile per archi Francis Poulenc Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP 61 pianoforti Anna Barutti, Massimo Somenzi Dmitrij Šostakovič Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 Orchestra del Teatro La Fenice * in collaborazione con gli Amici della Musica di Mestre Teatro Malibran Franz Joseph Haydn Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 92 Oxford Orchestra del Teatro La Fenice STAGIONE SINFONICA 2014-2015 Teatro La Fenice 2 aprile 2015 ore 20.00 turno S 4 aprile 2015 ore 17.00 turno U Teatro Malibran 30 aprile 2015 ore 20.00 turno S 2 maggio 2015 ore 20.00 f.a. Teatro La Fenice 26 giugno 2015 ore 20.00 turno S direttore direttore John Axelrod Franz Joseph Haydn Johannes Brahms Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa Ouverture tragica in re minore op. 81 Dmitrij Šostakovič Sinfonia op. 21 per orchestra da camera Johannes Brahms Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 Pierre Boulez Livre pour cordes Orchestra Sinfonica di Milano Yuri Temirkanov Michel Tabachnik direttore Pëtr Il’ič Čajkovskij Anton Webern Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35 violino Vadim Gluzman vincitore del Premio Venezia 2013 tromba Piergiuseppe Doldi Johannes Brahms Giuseppe Verdi Johannes Brahms Orchestra del Teatro La Fenice Concerto per pianoforte, orchestra d’archi e tromba in do minore op. 35 pianoforte Alexander Gadjiev Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 Orchestra del Teatro La Fenice Teatro La Fenice 10 aprile 2015 ore 20.00 turno S 11 aprile 2015 ore 17.00 turno U direttore Jeffrey Tate Gustav Mahler Sinfonia n. 9 in re maggiore Orchestra del Teatro La Fenice Teatro Malibran 18 aprile 2015 ore 20.00 turno S 19 aprile 2015 ore 17.00 turno U direttore John Axelrod Igor Stravinskij Apollon musagète, balletto in due quadri per orchestra d’archi Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98 Teatro La Fenice 12 giugno 2015 ore 20.00 turno S 14 giugno 2015 ore 20.00 f.a. direttore e violoncello solista Teatro La Fenice 28 giugno 2015 ore 20.00 turno S direttore Alessandro De Marchi Filippo Perocco Mario Brunello Vestita di sole, segno grande nel cielo per coro e orchestra d’archi Franz Joseph Haydn commissione Fondazione Teatro La Fenice prima esecuzione assoluta Sinfonia in do maggiore Hob. I: 60 Il distratto Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore Hob. VIIb: 1 Antonio Vivaldi «Nulla in mundo pax sincera», mottetto per soprano, archi e continuo in mi maggiore RV 630 Orazio Sciortino soprano Giulia Semenzato Veglia. Cima Quattro, il 23 dicembre Concerto per archi e continuo 1915 in sol maggiore RV 151 Alla rustica nell’ambito del progetto «Nuova musica alla Gloria per soli, coro e orchestra Fenice» in re maggiore RV 589 con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice prima esecuzione assoluta Nino Rota Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro Concerto per violoncello e orchestra n. 2 Claudio Marino Moretti Orchestra del Teatro La Fenice Aleksandr Skrjabin Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 Orchestra del Teatro La Fenice FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA foto Diego Matheuz: Marco Caselli Nirmal, Michele Crosera, Lucas Dawson Marco Gemmani: Stefano Barzizza Orchestra di Padova e del Veneto: Alessandra Lazzarotto Alexandre Bloch: Sebastian Ene Lorenzo Viotti: Stephan Doleschal Jonathan Webb: Maurizio Montanari Yuri Temirkanov: Stas Levshin Jeffrey Tate: Matthias Mramor John Axelrod: Priska Ketterrer, Daniel Vass Michel Tabachnik: Jean-Baptiste Millot Orazio Sciortino: Davide Patanè Mario Brunello: Giulio Favotto / Otium Filippo Perocco: Michele Crosera Il Teatro La Fenice è disponibile a regolare eventuali diritti di riproduzione per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. Edizioni del Teatro La Fenice di Venezia a cura dell’Ufficio stampa redazione Barbara Montagner, Elena Tonolo realizzazione grafica Grafotech Supplemento a La Fenice Notiziario di informazione musicale culturale e avvenimenti culturali della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia dir. resp. Cristiano Chiarot aut. trib. di Ve 10.4.1997 iscr. n. 1257, R.G. stampa concessionarie per la pubblicità A.P. Comunicazione VeNet comunicazioni IVA assolta dall'editore ex art. 74 DPR 633/1972 finito di stampare nel mese di dicembre 2014 da Imprimenda - Limena (PD) ,00 e 15 FONDAZIONE AMICI DELLA Il Teatro La Fenice, nato nel 1792 dalle ceneri del vecchio Teatro San Benedetto per opera di Giannantonio Selva, appartiene al patrimonio culturale di Venezia e del mondo intero: come ha confermato l’ondata di universale commozione dopo l’incendio del gennaio 1996 e la spinta di affettuosa partecipazione che ha accompagnato la rinascita a nuova vita della Fenice, ancora una volta risorta dalle sue ceneri. Imprese di questo impegno spirituale e materiale, nel quadro di una società moderna, hanno bisogno di essere appoggiate e incoraggiate dall’azione e dall’iniziativa di istituzioni e persone private: in tale prospettiva si è costituita nel 1979 l’Associazione «Amici della Fenice», con lo scopo di sostenere e affiancare il Teatro nelle sue molteplici attività e d’incrementare l’interesse attorno ai suoi allestimenti e ai suoi programmi. La Fondazione Amici della Fenice attende la risposta degli appassionati di musica e di chiunque abbia a cuore la storia teatrale e culturale di Venezia: da Voi, dalla Vostra partecipazione attiva, dipenderà in misura decisiva il successo del nostro progetto. Sentitevi parte viva del nostro Teatro! Associatevi dunque e fate conoscere le nostre iniziative a tutti gli amici della musica, dell’arte e della cultura. Quote associative Ordinario € 60 Benemerito € 250 Emerito € 1.000 Sostenitore € 120 Donatore € 500 I versamenti vanno effettuati su Iban: IT77 Y 03069 02117 1000 0000 7406 Intesa San Paolo intestati a Fondazione Amici della Fenice Campo San Fantin 1897, San Marco 30124 Venezia Tel e fax: 041 5227737 FENICE Consiglio direttivo Luciana Bellasich Malgara, Alfredo Bianchini, Carla Bonsembiante, Yaya Coin Masutti, Emilio Melli, Antonio Pagnan, Orsola Spinola, Paolo Trentinaglia de Daverio, Barbara di Valmarana Presidente Barbara di Valmarana Tesoriere Luciana Bellasich Malgara Revisori dei conti Carlo Baroncini, Gianguido Ca’ Zorzi Contabilità Nicoletta di Colloredo Segreteria organizzativa Maria Donata Grimani, Alessandra Toffanin Viaggi musicali Teresa De Bello I soci hanno diritto a: • Inviti a conferenze di presentazione delle opere in cartellone • Partecipazione a viaggi musicali organizzati per i soci • Inviti ad iniziative e manifestazioni musicali • Inviti al «Premio Venezia», concorso pianistico • Sconti al Fenice-bookshop • Visite guidate al Teatro La Fenice • Prelazione nell’acquisto di abbonamenti e biglietti fino ad esaurimento dei posti disponibili • Invito alle prove aperte per i concerti e le opere Le principali iniziative della Fondazione • Restauro del Sipario Storico del Teatro La Fenice: olio su tela di 140 mq dipinto da Ermolao Paoletti nel 1878, restauro eseguito grazie al contributo di Save Venice Inc. • Commissione di un’opera musicale a Marco Di Bari nell’occasione dei 200 anni del Teatro La Fenice • Premio Venezia Concorso Pianistico • Incontri con l’opera e-mail: [email protected] - sito web: www.amicifenice.it INIZIATIVE PER IL TEATRO DOPO L’INCENDIO EFFETTUATE GRAZIE AL CONTO «RICOSTRUZIONE» Restauri • Modellino ligneo settecentesco del Teatro La Fenice dell’architetto Giannantonio Selva, scala 1: 25 • Consolidamento di uno stucco delle Sale Apollinee • Restauro del sipario del Teatro Malibran con un contributo di Yoko Nagae Ceschina Donazioni Sipario del Gran Teatro La Fenice offerto da Laura Biagiotti a ricordo del marito Gianni Cigna Acquisti • Due pianoforti a gran coda da concerto Steinway • Due pianoforti da concerto Fazioli • Due pianoforti verticali Steinway • Un clavicembalo • Un contrabbasso a 5 corde • Un Glockenspiel • Tube wagneriane • Stazione multimediale per Ufficio Decentramento PUBBLICAZIONI Il Teatro La Fenice. I progetti, l’architettura, le decorazioni, di Manlio Brusatin e Giuseppe Pavanello, con un saggio di Cesare De Michelis, Venezia, Albrizzi, 19871, 19962 (dopo l’incendio); Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli, 1792-1991, 2 voll., di Michele Girardi e Franco Rossi, Venezia, Albrizzi, 1989-1992 (pubblicato con il contributo di Yoko Nagae Ceschina); Gran Teatro La Fenice, a cura di Terisio Pignatti, con note storiche di Paolo Cossato, Elisabetta Martinelli Pedrocco, Filippo Pedrocco, Venezia, Marsilio, 19811, 19842, 19943; L’immagine e la scena. Bozzetti e figurini dall’archivio del Teatro La Fenice, 1938-1992, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1992; Giuseppe Borsato scenografo alla Fenice, 1809-1823, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1995; Francesco Bagnara scenografo alla Fenice, 1820-1839, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1996; Giuseppe e Pietro Bertoja scenografi alla Fenice, 1840-1902, a cura di Maria Ida Biggi e Maria Teresa Muraro, Venezia, Marsilio, 1998; Il concorso per la Fenice 1789-1790, di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 1997; I progetti per la ricostruzione del Teatro La Fenice, 1997, Venezia, Marsilio, 2000; Teatro Malibran, a cura di Maria Ida Biggi e Giorgio Mangini, con saggi di Giovanni Morelli e Cesare De Michelis, Venezia, Marsilio, 2001; La Fenice 1792-1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, di Anna Laura Bellina e Michele Girardi, Venezia, Marsilio, 2003; Il mito della fenice in Oriente e in Occidente, a cura di Francesco Zambon e Alessandro Grossato, Venezia, Marsilio, 2004; Pier Luigi Pizzi alla Fenice, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Marsilio, 2005; A Pier Luigi Pizzi. 80, a cura di Maria Ida Biggi, Venezia, Amici della Fenice, 2010. Presidente Fabio Cerchiai Consiglio d’Amministrazione Fabio Achilli Ugo Campaner Fabio Cerchiai Cristiano Chiarot Franca Coin Giovanni Dell’Olivo Jas Gawronski Francesco Panfilo Luciano Pasotto Eugenio Pino Vittorio Radice Direttore Giusi Conti Collegio Sindacale Giampietro Brunello Presidente Giancarlo Giordano Paolo Trevisanato FEST srl Fenice Servizi Teatrali