8 Capitale ICT, crescita e produttività


Capitale ICT, crescita e produttività:
analisi macro e settoriali
di Francesco Venturini
.
Introduzione
Nella prima parte del  si è conclusa per gli Stati Uniti una lunga fase di espansione che ha rappresentato una svolta significativa nella recente storia economica del paese. Il sostenuto ritmo di crescita è stato
accompagnato, a partire dalla metà degli anni Novanta, da una marcata accelerazione della produttività del lavoro (productivity resurgence).
L’andamento di questo indicatore è stato uno dei temi principali del recente dibattito economico, in quanto ha invertito il trend negativo che
durava dai primi anni Settanta (productivity slowdown). Infatti, a fronte di massicci investimenti in R&S e tecnologie avanzate (in primis i beni informatici), gli Stati Uniti non hanno registrato per oltre due decenni alcun miglioramento nell’andamento del prodotto per occupato.
Nonostante tale indicatore non si sia riallineato ai livelli della golden
age degli anni Sessanta, l’accelerazione del  e la concomitante massiccia diffusione delle ICT avevano suscitato in principio un forte entusiasmo sulla possibilità che un nuovo paradigma economico (quello
della new economy)  si fosse insediato sull’altra sponda dell’Atlantico
con il rischio, in parte realizzato, per i paesi europei di accumulare ritardo nei confronti degli Stati Uniti (Atlantic Divide). Il cambio di marcia americano, in effetti, ha segnato un punto di svolta nel rapporto tra
USA e UE: anche in ragione della sostanziale immobilità del Vecchio
Continente, per la prima volta la produttività del lavoro statunitense è
cresciuta più velocemente per un numero considerevole di anni (Timmer et al., , p. ).
Esauritasi la fase di espansione e stemperatosi il relativo entusiasmo, studi più recenti hanno mostrato come le ICT siano state un fattore determinante per la produttività delle due regioni atlantiche ma
non sufficiente, di per sé, a spiegarne interamente il divario . I risultati riportati da Gordon (), secondo cui dal  un nuovo ciclo del
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
la produttività del lavoro, che non trova pari nella recente storia americana, sembra essersi sovrapposto al ciclo economico terminato nel
, impongono la necessità di studiare ancora più a fondo la cause
del divario atlantico. L’Europa, infatti, corre il rischio di vedere spostarsi l’asse portante dell’economia globale dal bacino atlantico a quello del Pacifico, a causa della pressione competitiva esercitata dai paesi
asiatici.
Il presente contributo intende fornire un quadro aggiornato sullo
stato della ricerca sul divario di produttività tra Unione Europea e Stati
Uniti, rivolgendo un’attenzione particolare al rallentamento registrato
dall’Italia a partire dalla metà dello scorso decennio.
A tale scopo, nel PAR. . viene descritto l’andamento della produttività statunitense degli ultimi anni; questo è un passaggio necessario per
capire l’attuale situazione europea e le fonti della sua debolezza. Una disamina dettagliata sull’andamento della produttività del lavoro nei paesi europei e sul differente ruolo ricoperto dalle ICT nelle due regioni
atlantiche viene presentata nel PAR. .. Nel paragrafo successivo (.)
viene dato spazio alle indagini sulle fonti settoriali del divario di produttività. Infatti, solo scomponendo la performance aggregata nei contributi dei settori produttivi è possibile identificare le aree di maggiore
debolezza dell’economia europea.
Un quadro complessivo sullo stato dell’economia italiana, che ricompone gli spunti offerti dai vari studi passati in rassegna, viene presentato nel PAR. .. L’Italia è tra i paesi europei che sembrano aver tratto minore beneficio dalle ICT, rivelando la perdita di quella capacità innovativa che contraddistingueva le proprie imprese negli anni Ottanta.
Tuttavia, il ruolo delle nuove tecnologie sulla crescita della produttività
del lavoro non risulta particolarmente sottodimensionato rispetto agli
altri grandi paesi dell’Europa continentale, soprattutto se si tiene in
considerazione il quadro economico meno favorevole in cui la diffusione delle ICT ha avuto luogo. Gli elementi di maggiore preoccupazione
per l’economia italiana sono, piuttosto, il calo della produttività del lavoro in gran parte dei settori tradizionali, cioè dove si concentra il suo
vantaggio comparato, e soprattutto la perdita generalizzata di efficienza. Il declino della produttività totale dei fattori (TFP), che accomuna un
numero minoritario di paesi industrializzati, in Italia sembra essere un
processo pervasivo, avendo contraddistinto tutte le aree del suo tessuto produttivo, ed è andato aggravandosi negli anni più recenti () a causa della difficile fase congiunturale (PAR. .).
Il PAR. . conclude il presente contributo dopo aver fornito alcuni
spunti di riflessione sugli interventi di politica economica necessari per
ovviare alla stagnazione della crescita europea e italiana.

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
.
Il revival della produttività statunitense
A metà degli anni Novanta l’andamento della produttività del lavoro USA
ha subito una svolta storica, accelerando in modo significativo dopo oltre due decenni di sostanziale immobilità . Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono state il fattore guida (driver) di questa
performance; infatti, a seguito del marcato processo deflazionistico, il loro peso nell’economia è cresciuto considerevolmente, fino a contare per
l’intera accelerazione del prodotto per ora lavorata, pari allo ,% annuo secondo le stime di Jorgenson et al. ().
Due sono stati i canali diretti attraverso cui le ICT hanno alimentato
la ripresa della produttività: in primis, mediante la loro adozione da parte delle imprese (effetto utilizzo), che si è materializzata con una maggiore dotazione di capitale digitale (per unità di lavoro) nella misura dello ,% (ICT capital deepening) . In secondo luogo, tramite l’accelerazione (,%) dell’efficienza (TFP) dei settori che producono tali beni (effetto produzione) .
Di fronte all’entusiasmo suscitato da questi risultati, giustificato anche dal fatto che l’accelerazione della produttività era insolitamente iniziata nel mezzo di un’espansione (Stiroh, b), Gordon () faceva
notare che il puzzle era tutt’altro che risolto, in quanto il prodotto del
lavoro era accelerato solo nei settori produttori di computer, grazie all’inversione di tendenza della produttività totale dei fattori. Gli altri
comparti ad alto tasso di investimento informatico (ICT using industries:
commercio al dettaglio, banche, assicurazioni ecc.), infatti, segnavano
addirittura una riduzione della TFP, una volta depurata della componente ciclica. L’impatto delle ICT rimaneva circoscritto a un numero limitato di settori (produttori di questi stessi beni e di altri beni durevoli), che rappresentavano solo l’% dell’intera economia. Per questo motivo, l’Information Technology non poteva essere considerata al pari di
quelle grandi invenzioni che negli ultimi due secoli avevano cambiato radicalmente lo standard di vita delle società industrializzate .
Jorgenson e Stiroh (), dal canto loro, mostrano con un’analisi
settoriale molto particolareggiata come la crescita di efficienza sia stata
pervasiva, cioè abbia contraddistinto una larga parte dei comparti USA .
Con una disamina meno estensiva ma più focalizzata, Oliner e Sichel
() attribuiscono la crescita della TFP aggregata per un quinto al settore dei computer e per un terzo ai semiconduttori . In sostanza, rispetto a quanto sostenuto fino a quel momento, una parte considerevole della crescita nell’efficienza dei computer viene imputata al profondo cambiamento tecnologico in atto nel comparto dei semiconduttori, i quali,

ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
come loro principale fattore (intermedio) di produzione, ne hanno spinto al ribasso il prezzo . Infatti, le eccezionali condizioni concorrenziali
maturate nel settore delle componenti microelettroniche nel biennio
- avevano incentivato in modo significativo l’attività innovativa.
Tale sforzo si è tradotto in una riduzione del ciclo di vita dei chips (da tre
a due anni) e in un maggiore guadagno di efficienza che, alla fine, ha determinato una sensibile riduzione dei prezzi (– % annuo dal ).
Questo processo deflazionistico ha favorito la crescita della TFP negli altri settori produttori di ICT e di altri beni durevoli (autoveicoli, aerei,
strumenti scientifici ecc.) e la massiccia penetrazione dei computer e degli apparati per le telecomunicazioni nel resto dell’economia.
In questa stessa direzione vanno le analisi econometriche realizzate
da Stiroh (a e b) in cui viene mostrato che solo l’efficienza dei
produttori di ICT ha segnato una significativa accelerazione negli anni
più recenti. Tuttavia, essa risulta incorrelata con lo stock di capitale (ICT
e tradizionale). Invece, il capital deepening è stato il principale canale con
cui le nuove tecnologie hanno spinto al rialzo il tasso di crescita della
produttività media del lavoro nei settori IT intensive users.
Va puntualizzato, comunque, che il dibattito sulla presenza di esternalità non pecuniarie generate dalle ICT, cioè quegli effetti estranei al tradizionale meccanismo di trasmissione basato sui prezzi (canale indiretto), è solo all’inizio. Recentemente, infatti, O’Mahony e Vecchi (in press)
hanno fornito prova dell’esistenza di tali spillovers, adottando una tecnica di stima in grado di controllare sia il profilo temporale che l’eterogeneità nella diffusione delle nuove tecnologie tra i settori .
In una posizione intermedia si colloca lo studio di Mun e Nadiri
(). Infatti, osservando i flussi intersettoriali, tali autori registrano che
la crescita della TFP nella maggioranza dei servizi (e in alcuni comparti
del manifatturiero) è riconducibile per lo più agli spillovers generati dal
capitale ICT dei settori con cui essi intrattengono uno scambio commerciale. Il fatto che sia dominante l’effetto proveniente dai settori “a monte” sottolinea, anche in questo caso, la prevalenza della natura pecuniaria dell’esternalità .
.
Il contributo delle ICT alla crescita dell’Unione Europea
Nella seconda metà degli anni Novanta alla mirabile accelerazione USA
nella produttività  si è contrapposto il brusco rallentamento dell’Europa, che ha finito per amplificare il divario effettivo nel tasso di crescita tra queste due aree. In questo periodo, il processo di convergenza nella spesa high-tech tra le due sponde dell’Atlantico è tutt’altro che

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
compiuto, come si evince dall’ampliarsi del gap nella dotazione di capitale digitale  e del relativo contributo alla produttività del lavoro
(cfr. TAB. .). Questa differenza, alla fine, spiega una parte davvero
considerevole del divario nel prodotto per ora lavorata maturato tra il
 e .
La minore specializzazione nelle produzioni informatiche, invece,
ha avuto un peso più contenuto sul ritardo della performance tecnologica e della produttività del lavoro europea. Infatti, le ultime colonne
della TAB. . mostrano come la differenza nei confronti degli USA nella
TFP aggregata (– ,% medio annuo) possa essere equamente ripartita
tra settori tradizionali e high-tech (– ,%).
Nel complesso, tra capital deepening e incremento della TFP nei comparti produttori, il contributo alla crescita delle ICT è stato dello ,% in
Europa e dell’,% negli Stati Uniti, rappresentando rispettivamente la
metà e i due terzi dell’incremento del PIL per ora lavorata. Di conseguenza, il più lento tasso di crescita europeo nella produttività del lavoro del periodo - (,%) è interamente riconducibile alla minore
adozione e produzione di ICT.
Tuttavia, è importante notare che nel momento in cui si guarda alla dinamica del capitale digitale tra la fine degli anni Novanta e il periodo precedente non emergono variazioni di rilievo. Per questo motivo la fonte del rallentamento della UE deve essere ricercata, piuttosto,
nella scarsa performance degli input tradizionali (strutture non residenziali, attrezzature non ICT e mezzi di trasporto) e della produttività
totale dei fattori.
In effetti, scomponendo la variazione del PIL per ora lavorata tra il
- e il - può essere osservato come il cambio di marcia americano (,%) sia stato determinato da un buon andamento di tutti i fattori: capitale ICT, capitale non ICT e TFP. In Europa, invece, l’accelerazione dello ,% nell’ICT capital deepening non è stata sufficiente a contenere lo slowdown del capitale tradizionale e, soprattutto, della produttività totale dei fattori. Alla fine, il divario tra UE e USA nella dinamica della produttività del lavoro (– ,% tra il - e il -) è spiegato quasi interamente dal differenziale nel rendimento degli input tradizionali (– ,%) e nella TFP (– ,%).
All’interno dell’Unione Europea il quadro risulta assai differenziato. Per quanto riguarda i tassi di diffusione (investimento in ICT sul PIL),
nel  si va dall’,% dell’Irlanda al ,% della Svezia, paese quest’ultimo che, insieme alla Finlandia, si è distinto per una percentuale
di spesa addirittura superiore a quella degli Stati Uniti. Dal canto loro
Belgio, Germania e Italia hanno perduto posizioni rispetto ai primi anni Ottanta.


,
,
,
– ,
Stati Uniti
– USA
,
,
,
TFP
,
,
,
PIL
– ,
,
,
ICT
,
,
,
Non-ICT
– ,
,
,
TFP
-
– ,
,
,
PIL
– ,
,
,
ICT
– ,
,
– ,
Non-ICT
– ,
,
– ,
TFP
- – -
– ,
,
– ,
PIL
TFP
– ,
,
,
– ,
,
,
da settori
IT
Non-IT
– ,
,
,
Contributo
totale
ICT al PIL
-
Fonte: Timmer et al. (). I valori sono espressi per ora lavorata. Le ultime tre colonne della tabella scompongono la crescita della TFP nel periodo - nei contributi
derivanti dai settori produttori di ICT e dagli altri comparti, riportando in ultimo il contributo totale delle nuove tecnologie alla produttività del lavoro (effetto adozione più effetto produzione).
UE
,
,
Non-ICT
Unione Europea
ICT
-
.
Il contributo delle ICT alla produttività del lavoro in Europa e USA, tassi percentuali di crescita medi annui (-)
TABELLA
 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
Se da una parte l’estrema variabilità nell’adozione dei computer è riconducibile all’intrinseca propensione innovativa dei paesi, dall’altra,
nel corso del tempo, sono state determinanti anche le fasi del ciclo economico e le condizioni maturate sul mercato del credito (Guerrieri et al.,
).
In termini di contributo alla produttività del lavoro, va sottolineato
il considerevole peso assunto dalle nuove tecnologie sulla performance
di Svezia, Irlanda, Finlandia e Belgio, mentre è stato minimo nel caso di
Spagna e Portogallo.
In ragione della complementarità con l’hardware, la cui diffusione
in Europa risale agli anni Ottanta, il software è cresciuto in modo significativo solo nel periodo più recente, divenendo nei paesi scandinavi la
principale tipologia di asset per contributo alla produttività del lavoro.
Italia e Irlanda, invece, sono stati i maggiori beneficiari del contributo
alla crescita garantito dalle apparecchiature per le telecomunicazioni
(cfr. van Ark et al., ).
Nel complesso, l’andamento del PIL per ora lavorata nella seconda
metà degli anni Novanta rivela due fenomeni di rilievo; innanzitutto, il
processo di convergenza nei confronti delle economie più avanzate da
parte delle nazioni più piccole (Irlanda, Grecia e Finlandia con una crescita media superiore al % annuo); in secondo luogo, le performance
particolarmente deludenti di Olanda, Spagna e Italia, guidate al ribasso
dalla produttività totale dei fattori.
Va ricordato che nell’esercizio di contabilità della crescita di Timmer
et al. () il residuo incorpora anche la variazione nella qualità media
del lavoro. Su questa hanno sicuramente influito le politiche attive per il
lavoro che, con un diverso grado di intensità, sono state adottate negli
anni Novanta dai paesi europei (moderazione salariale e flessibilità contrattuale). Per questo motivo l’andamento del residuo potrebbe sottendere fenomeni potenzialmente differenti e non strettamente connessi all’evoluzione del progresso tecnico .
Qualora lo slowdown nella produttività del lavoro sia dettato dalle politiche per il lavoro, allora questo fenomeno potrebbe ritenersi
temporaneo e, quindi, meno preoccupante. Tuttavia, Daveri () fa
notare che se l’obiettivo della UE è quello di raggiungere un tasso di
occupazione del % entro il  come previsto dalla “strategia di Lisbona”, gli interventi a venire finiranno per frenare la ripresa della
produttività. Di conseguenza, almeno nel breve periodo, sembra
emergere un trade-off tra occupazione e produttività del lavoro a favore della prima (Mason et al., ; su questo aspetto cfr. anche supra, CAP. ).

ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
ICT
.
e produttività del lavoro nei settori europei
... Le fonti settoriali del ritardo
Le evidenze sin qui riportate hanno illustrato come il gap di crescita dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti sia in parte riconducibile al ritardo nell’adozione delle tecnologie informatiche e al minore guadagno
di efficienza associato alla loro produzione.
La debolezza della UE (a  paesi) sembra dipendere anche dal proprio tipo di specializzazione, poco concentrata nei settori high-tech (cfr.
supra, CAP. ). Infatti, dallo studio di O’Mahony e van Ark ()  emerge che la produttività del lavoro europea è stata deficitaria soprattutto
nei settori che producono e utilizzano in modo intensivo le tecnologie
informatiche (TAB. .).
La scomposizione dell’economia basata sui settori ICT è stata dominante nella letteratura sul “paradosso della produttività” sin da Baily e
Gordon (). Più di recente, è stata impiegata da Stiroh (b) per dimostrare come l’intera accelerazione americana sia riconducibile ai comparti che producono e utilizzano le nuove tecnologie, mentre negativo è
stato il contributo della parte non ICT dell’economia .
La distinzione tra chi produce e chi fa un uso intensivo di beni informatici è utile per capire il percorso di sviluppo che possono intraprendere quei paesi che hanno uno svantaggio comparato nei computer e nelle componenti elettroniche. Sulla scorta delle evidenze microeconomiche, infatti, le nuove tecnologie si qualificano come uno strumento di innovazione che favorisce un impiego più efficiente delle risorse e una maggiore personalizzazione dei servizi. Per questo motivo, un’adozione più
intensiva di ICT da parte dei settori utilizzatori viene usualmente indicata
come una strategia ottimale per ovviare alla despecializzazione high-tech
(Pilat, Wölfl, ) .
La dicotomia tra ICT producers e users permette di rintracciare con
maggiore facilità le affinità e le differenze maturate tra UE e USA nel corso degli ultimi anni. Nel comparto high-tech dell’economia, l’Europa eccelle solamente nella produzione di servizi ICT, i quali oltreoceano hanno risentito della crisi generalizzata delle imprese dei servizi informatici. Sensibile, invece, è il ritardo nella produzione di beni ICT, nonostante una simile performance nei semiconduttori e nelle macchine per ufficio. L’altra area di debolezza è quella dei servizi utilizzatori di ICT, in cui
la performance comunitaria è stata deficitaria soprattutto nel commercio all’ingrosso e al dettaglio e nell’intermediazione finanziaria non bancaria, cioè in quelle attività che oltreoceano hanno guidato l’accelera

Fonte: Inklaar et al. ().
SETTORI NON ICT
Manifattura
Servizi
UTILIZZATORI ICT
Manifattura
Servizi
PRODUTTORI ICT
TOTALE ECONOMIA
USA
,
,
,
,
,
,
,
,
UE
,
,
,
,
,
,
,
,
-
,
– USA
,
,
,
,
– ,
– ,
,
UE
.
Produttività settoriale del lavoro, tassi percentuali di crescita medi annui
TABELLA
,
,
,
,
,
,
,
,
UE
,
,
– ,
,
,
,
,
,
USA
-
,
– USA
,
,
,
,
– ,
– ,
,
UE
,
,
,
,
,
,
,
,
UE
– ,
,
,
,
,
,
,
,
USA
-
– USA
,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
UE
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
zione nella produttività aggregata del lavoro (van Ark et al., a). Nei
comparti più tradizionali, l’andamento tra le due sponde dell’Atlantico
è stato abbastanza simile, motivo per cui alla fine degli anni Novanta
l’Europa era ancora in grado di mantenere un vantaggio nei confronti
degli USA.
A livello di singolo paese, va segnalata la sensibile accelerazione nella
produttività del lavoro di Irlanda e Germania nei comparti ICT producing,
che è risultata addirittura superiore agli Stati Uniti. Per quanto riguarda i
settori utilizzatori, la buona performance dei piccoli paesi è stata ampiamente bilanciata dalla frenata delle grandi economie continentali (Germania, Francia e Italia). Nella parte residuale (non ICT) dell’economia, infine, solo Grecia, Irlanda, Portogallo e Svezia hanno conseguito un marcato incremento del prodotto per ora lavorata, risultato del processo di
convergenza nei confronti degli altri paesi europei, almeno per ciò che
concerne la componente “matura” dell’economia (old economy).
Per capire quali fattori abbiano determinato il divario settoriale tra
UE e USA nella produttività media del lavoro, Inklaar et al. () conducono un esercizio di contabilità della crescita con dati relativi a  settori. A causa della scarsa disponibilità di dati, per l’Europa questo studio
è limitato a soli quattro paesi (Francia, Germania, Olanda e Regno Unito), che comunque rappresentano circa il % del PIL comunitario. Questa analisi conferma il marcato guadagno di efficienza registrato dagli ICT
producers su entrambe le sponde dell’Atlantico, efficienza che è praticamente raddoppiata nel corso degli anni Novanta. Negli Stati Uniti, comunque, la TFP è cresciuta a una velocità di un terzo superiore all’Europa. L’ICT capital deepening, invece, è stato una fonte importante di crescita soprattutto per gli ICT users, dove ha contato per circa la metà della produttività del lavoro in Europa e un terzo negli USA. Tuttavia, in termini assoluti, tale contributo negli Stati Uniti è superiore a quello della
UE nella misura del %. Nei settori non ICT, il valore aggiunto per ora
lavorata è stato guidato al ribasso dalla contrazione generalizzata dei fattori tradizionali in Europa e dal crollo della TFP negli USA. Va ricordato,
comunque, che anche nel comparto low-tech gli Stati Uniti hanno tratto
un beneficio dalle ICT superiore al contributo garantito dal capitale tradizionale.
Nell’analisi della produttività del lavoro e del contributo alla crescita delle ICT vanno tenute in considerazione due questioni di carattere
metodologico in grado di condizionare in modo significativo il confronto internazionale. Il primo aspetto attiene alla tecnica di deflazionamento della spesa e della produzione di beni informatici. La seconda questione è più strettamente legata all’analisi settoriale e si riferisce al criterio adottato per classificare i settori come ICT producers, users e non ICT.

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
Con l’avvento massiccio dell’Information Technology tra imprese e famiglie ha assunto un’importanza fondamentale il sistema di misurazione
dei prezzi, che deve essere in grado di valutare correttamente la straordinaria crescita qualitativa di tali beni. Grazie al repentino progresso in
atto nel campo dei semiconduttori, infatti, si osserva una crescita continua nelle capacità di calcolo dei computer (memoria, velocità) e nel numero di funzioni che essi sono in grado di espletare. Questo aspetto richiede un sistema di deflazione in grado di mantenere costante il profilo qualitativo dei beni che vengono confrontati nel corso del tempo, attribuendo di conseguenza più valore a quelli che si distinguono per una
maggiore “quantità” di caratteristiche funzionali. In presenza di una diversa valutazione della qualità da parte degli uffici nazionali di statistica,
c’è il rischio che discrepanze di natura metodologica finiscano per oscurare le differenze reali nell’impiego e nella produzione di tecnologie
informatiche tra i paesi.
È ampiamente riconosciuto che il sistema edonico, stimando il prezzo del prodotto in funzione delle caratteristiche possedute, sia la tecnica in grado misurare meglio la crescita qualitativa dei beni ICT, o almeno più dei sistemi tradizionali (matched models) che invece “seguono”
nel tempo il prezzo di un prodotto merceologicamente identico . Sulla
scorta del fatto che negli Stati Uniti l’impiego dei prezzi edonici è da decenni una pratica consolidata, nelle analisi comparate Schreyer ()
suggerisce di conformare i deflatori nazionali agli indici USA (price harmonization), così da avere un trattamento omogeneo dei beni ICT . L’armonizzazione dei prezzi, che si basa sull’ipotesi dell’esistenza di un modello edonico globale e di un unico sistema di preferenze e tecnologie tra
paesi, ha intrinseco il rischio di produrre valori reali significativamente
diversi da quelli risultanti nelle statistiche ufficiali (per una discussione
approfondita di questo aspetto cfr. Daveri, ).
La seconda questione da tenere in considerazione è che la lettura
dell’Atlantic Divide basata sulla scomposizione dell’economia in settori
ICT e non (e le implicazioni di policy che da essa derivano) potrebbe rivelarsi troppo sensibile al criterio di classificazione impiegato (Daveri,
). Infatti, se viene presa in considerazione la quota di investimenti
in ICT prima dello shock informatico (pre-, tale da poter essere considerata esogena), alcuni settori quali commercio al dettaglio, abbigliamento, carta e stampa, mobili e mezzi di trasporto non possono essere
classificati come IT intensive, in quanto si posizionano al di sotto della
soglia media (valore preferito alla mediana). Attraverso questa correzione, il differenziale di crescita nella produttività del lavoro tra UE e USA
può essere imputato ai settori IT users solo per il %, contro il % originariamente attribuito.

ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
Secondo Daveri (), le ragioni del rallentamento europeo sono
più profonde e vanno ben oltre l’adozione e le modalità di implementazione delle nuove tecnologie. L’area di maggiore sofferenza della UE va
identificata nella manifattura di beni non durevoli (cioè non ICT), che ha
visto scendere la propria performance dal  al % annuo tra il - e
il -, a causa dello scarso non-IT capital deepening e della stagnazione della TFP . L’industria tradizionale ricopre ancora una parte rilevante del tessuto produttivo del Vecchio Continente, in cui, al contrario
degli Stati Uniti, esso gode dei maggiori vantaggi comparati nel commercio internazionale e dove è maggiormente sottoposto alla pressione
competitiva dei paesi asiatici. Per cui è su questo che, secondo Daveri,
dovrebbe concentrarsi l’attenzione degli studiosi.
... La significatività dell’impatto economico delle ICT
Il divario atlantico è stato presentato utilizzando una classificazione che
ha senso solo in ragione della significatività, in termini statistici, del capitale ICT per la crescita dei settori. A tale riguardo Stiroh (b), attraverso un’analisi di regressione difference-in-difference, ha mostrato
come negli USA i comparti IT intensive , siano essi produttori o utilizzatori, hanno registrato dal  un’accelerazione nella produttività del lavoro significativamente più grande dei settori non ICT, in una misura
proporzionale al grado di utilizzo del capitale digitale.
In una prima analisi condotta su  paesi OECD mediante la stessa tecnica di stima, van Ark et al. (a) osservano che solo negli Stati Uniti
i servizi utilizzatori di ICT si distinguono per una crescita sostanzialmente superiore ai comparti tradizionali. Tuttavia, più di recente, risultati simili anche per la maggioranza dei paesi europei vengono riportati da
Inklaar et al. (); va precisato, comunque, che in tale studio il coefficiente USA assume un valore molto più grande di quello dei paesi europei i quali, tra l’altro, mostrano un coefficiente meno significativo dal
punto di vista statistico.
Per quanto concerne la produttività totale dei fattori, limitatamente alla manifattura, Stiroh (a) osserva un’accelerazione considerevole solo tra gli ICT producers, mentre gli utilizzatori e i comparti
più tradizionali rivelano valori statisticamente simili. Quando poi si regredisce la TFP sull’intero set di fattori produttivi, emerge una sostanziale incorrelazione tra la performance tecnologica e l’intero stock di
capitale, una volta controllata l’eterogeneità di comportamento dei
settori .
Comunque, a causa della grande importanza acquisita dalle ICT solo
negli anni più recenti, la misurazione del loro impatto economico po
 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
trebbe richiedere una valutazione più approfondita del profilo temporale che, invece, le tecniche statiche di regressione panel alla base degli
studi passati in rassegna sono in grado di controllare solo parzialmente.
O’Mahony e Vecchi (in press) tengono conto di questo aspetto stimando una funzione di produzione con un modello a correzione dell’errore
che assume un’eterogeneità di comportamento dei settori nel breve periodo . In questo modo, almeno per gli Stati Uniti (ma non per il Regno
Unito), emerge un’elasticità del capitale IT significativa e, in più, con un
coefficiente decisamente superiore alla corrispondente quota di reddito.
Quest’ultimo risultato suggerisce l’esistenza di una correlazione positiva
tra la TFP e il capitale digitale.
.
La produttività italiana nell’era delle ICT
... Produttività aggregata e capitale ICT
Nel corso degli anni Novanta la produttività del lavoro italiana ha seguito un andamento simile a quello registrato dagli altri maggiori paesi
europei. Infatti, al pari di Francia, Germania e Regno Unito, il suo tasso
di crescita ha subito un sensibile rallentamento, finendo quasi per dimezzarsi rispetto al periodo - (dal  all’,%; cfr. TAB. .) .
Tuttavia, a differenza di tali paesi, l’Italia è cresciuta sotto la media
comunitaria per tutto l’arco degli ultimi due decenni . Questo significa
che alla fine del periodo considerato l’economia italiana ha accumulato
nei confronti dell’Unione Europea un ritardo di circa sei anni nel livello
della produttività del lavoro. Infatti, assumendo una parità all’inizio del
periodo ( = ), sulla scorta dei tassi riportati nella TAB. ., il PIL
per ora lavorata dell’Italia assume un valore di  nel  contro i 
della UE, per finire nel  a  rispetto ai  della media comunitaria.
In considerazione del fatto che la produttività del lavoro è considerata
la principale fonte dello standard di vita di una società , questo vuol dire che nel  il benessere dell’Italia è risultato pari al % di quello goduto, in media, dagli altri paesi europei.
Indagando sulle determinanti dello slowdown, emerge innanzitutto
il deterioramento nella performance innovativa delle imprese italiane,
che hanno perduto quell’elevata propensione a investire nelle ICT che le
contraddistingueva all’inizio del periodo analizzato. Nel , infatti, il
nostro paese risultava primo tra le grandi economie europee per tasso di
investimento informatico (,% sul PIL), subito dietro i piccoli paesi nordici e il Belgio, e secondo nel G per stock di capitale pro capite, in coda
solo alla Germania (Jorgenson, in press).


– ,
– ,
– ,
– ,
,
,
– ,
– ,
,
– ,
,
,
,
,
,
Software
– ,
– ,
,
,
,
– ,
,
,
,
,
,
,
IT
Fonte: nostre elaborazioni su dati Timmer et al. ().
-
-
-
– -
ITALIA MENO EUROPA
-
-
-
– -
EUROPA
-
-
-
– -
ITALIA
PIL
per ora lavorata
Capitale ICT per ora lavorata
,
,
,
,
,
,
,
,
,
TLC
,
,
,
– ,
,
,
,
,
,
Attrezzature
,
,
,
,
,
,
,
,
,
Veicoli
,
– ,
– ,
– ,
,
,
– ,
,
,
Strutture
Capitale non ICT per ora lavorata
.
Le fonti della produttività del lavoro: confronto Italia-UE, tassi percentuali di crescita medi annui (-)
TABELLA
– ,
– ,
– ,
– ,
,
,
– ,
,
,
TFP
 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
Se è vero che la spesa high-tech è cresciuta nel tempo (,% del PIL nel
), ciò è avvenuto a un ritmo inferiore a quello degli altri partner comunitari, motivo per cui alla fine l’Italia si è collocata in una posizione
medio-bassa (Timmer et al., , tab. ).
La composizione del capitale ICT denota dalla metà degli anni Ottanta un incremento nella quota degli apparati per le telecomunicazioni,
a discapito delle macchine per ufficio. Da questo segue un importante
contributo alla produttività del lavoro da parte delle TLC, quasi tre volte
superiore alla media europea, mentre quello dei computer è risultato
piuttosto sottodimensionato.
Nel complesso, l’ICT capital deepening  in Italia si è mantenuto sui
valori medi continentali (,% negli anni - e ,% nel periodo più
recente). Nei confronti degli altri grandi paesi è andato dilatandosi solo
il divario con il Regno Unito, dove il contributo delle nuove tecnologie
è passato dallo , allo ,% all’anno.
Nella seconda metà degli anni Novanta la differenza più rilevante tra
Italia e Unione Europea emerge nell’andamento della TFP, tanto da spiegare per intero il divario nella produttività del lavoro (– ,%). In Italia,
poi, il deterioramento della performance tecnologica dopo il  è stato più pronunciato, assumendo un peso considerevole nella riduzione
del tasso medio di crescita del PIL per ora lavorata.
Nel momento in cui l’apporto dei fattori viene analizzato in termini
relativi , così da avere un quadro di sintesi del contesto in cui è avvenuta la diffusione delle ICT (e della interazione con gli input tradizionali), è possibile osservare che in Italia il % della recente crescita della
produttività del lavoro è riconducibile alle nuove tecnologie, il % deriva dall’uso e il restante % dalla produzione.
In termini relativi, l’Italia ha tratto dalle ICT un beneficio superiore
agli altri grandi partner continentali (Germania %, Francia %) e
non molto distante dai valori del Regno Unito (%).
Questo risultato delinea con ulteriore chiarezza la dimensione e la
gravità del calo nel rendimento dei fattori tradizionali nell’efficienza nei
settori low-tech (non-ICT producing), che ha finito per amplificare il peso
delle nuove tecnologie sulla crescita italiana.
... Le tendenze settoriali
Dall’indagine settoriale curata da O’Mahony e van Ark () emergono indicazioni sulle fonti della debolezza dell’economia italiana che risultano del tutto coerenti con l’analisi aggregata sin qui sviluppata. Il calo della produttività del lavoro, infatti, si concentra nei settori tradizionali, che si distinguono per un minore livello di penetrazione delle nuo
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
ve tecnologie e un uso più intensivo dei fattori low-tech. In questo comparto, il tasso di crescita del valore aggiunto per ora lavorata si è praticamente azzerato nella seconda metà degli anni Novanta, come si evince dall’ultima riga della TAB. .. Rappresentando i due terzi dell’economia italiana, i settori tradizionali hanno esercitato un considerevole effetto depressivo sulla performance aggregata, scesa allo ,% annuo dal
% degli anni Ottanta . È da notare, poi, che l’intero differenziale di
crescita tra Italia e Unione Europea è riconducibile al gap di produttività in questo comparto.
Va ricordato, comunque, che in termini assoluti la performance del
nostro paese è stata particolarmente sottodimensionata nella produzione manifatturiera di ICT. Questa, infatti, ha segnato il passo nel corso degli anni Novanta con un rallentamento sostanziale nella produttività del
lavoro, passata dal , al ,%, nonostante il buon risultato nella produzione di semiconduttori (tubi e valvole elettroniche). Al contrario,
l’Europa ha mantenuto un tasso di crescita relativamente stabile nel tempo, per cui il ritardo accumulato nell’ultimo periodo dagli ICT producing
manufacturing italiani è stato piuttosto pesante (– % circa all’anno), a testimonianza del processo di despecializzazione che contraddistingue il
nostro paese sin dagli anni Ottanta (cfr. supra, CAP. ). Questa performance è stata solo in parte compensata dal buon risultato dei settori delle comunicazioni e dei servizi informatici (i servizi produttori) che, ormai, ricoprono un peso largamente maggioritario nella produzione totale di ICT (circa l’% del valore aggiunto).
Nei settori utilizzatori intensivi di tecnologie informatiche, invece,
l’Italia ha registrato un graduale miglioramento, recuperando posizioni
nei confronti dell’Europa, grazie al discreto tasso di crescita della manifattura nel periodo più recente e al netto progresso dei servizi rispetto
agli anni Ottanta. Non deve essere ignorato, comunque, che tale risultato potrebbe essere influenzato dal criterio utilizzato per la classificazione dei settori. Infatti, tra quei comparti la cui natura IT intensive viene
messa in discussione da Daveri (cfr. supra, PAR. ..), i settori italiani dell’abbigliamento e dei mobili non solo hanno registrato una buona crescita della produttività (, e %), ma detengono anche una quota considerevole del valore aggiunto su scala comunitaria ( e %). Questi
fattori potrebbero indurre a una sovrastima del risultato degli ICT using
manufacturing italiani rispetto ai partner europei .
In sintesi, l’Italia non solo ha manifestato una sostanziale debolezza
nei settori low-tech, ma ha mostrato anche un certo ritardo – pesante nella manifattura produttrice e più contenuto nei servizi utilizzatori – in
quegli stessi comparti ICT in cui l’Europa, di per sé, rivela una performance già sottodimensionata rispetto agli Stati Uniti .


,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
Fonte: nostre elaborazioni su O’Mahony e van Ark ().
SETTORI NON ICT
Manifattura
Servizi
UTILIZZATORI ICT
Manifattura
Servizi
PRODUTTORI ICT
TOTALE ECONOMIA
UE
Italia
-
,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
Italia – UE
,
,
,
,
,
,
,
,
Italia
,
,
,
,
,
,
,
,
UE
-
.
Produttività settoriale del lavoro: confronto Italia-UE, tassi percentuali di crescita medi annui
TABELLA
– ,
,
,
,
– ,
– ,
,
,
Italia – UE
,
,
,
,
,
,
,
,
Italia
,
,
,
,
,
,
,
,
UE
-
– ,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
Italia – UE
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
.
La dinamica della TFP in Italia
L’ultimo passaggio di questa rassegna prende in esame con un maggior
grado di dettaglio il declino dell’efficienza produttiva, il problema principale che sembra gravare sull’economia italiana. Questo processo non
è direttamente riconducibile agli interventi adottati sul mercato del lavoro negli anni Novanta (moderazione salariale e flessibilità contrattuale), i quali, invece, hanno contribuito allo slowdown della produttività
del lavoro a causa della variazione che hanno indotto nel rapporto capitale-lavoro.
Le stime più ottimistiche indicano per la TFP italiana una frenata tra
la prima e la seconda metà degli anni Novanta in media dello ,% annuo (Brandolini e Cipollone, , tab. .), mentre le fonti ufficiali parlano di un rallentamento che varia tra l’, e ,% (dati ISTAT e OECD) .
Nel peggiore dei casi (Jorgenson, in press), la TFP registra un tasso di variazione negativo tra il  e  (– ,%).
Ci sono almeno tre aspetti che connotano il processo di perdita di
efficienza e ne sottolineano l’importanza sul recente rallentamento nella
produttività del lavoro italiana.
Innanzitutto, la dimensione geografica (o internazionale). I dati OECD
(cfr. infra nota ), che garantiscono il maggiore grado di copertura, denotano come il declino della TFP sia un processo circoscritto a un numero ristretto di paesi industrializzati: Giappone (– ,% tra - e
-), Danimarca e Regno Unito (– ,%), Spagna (– ,%) e, in ultimo, Italia (– ,%), con la performance peggiore.
Il secondo aspetto è la persistenza del declino (dimensione temporale). Jorgenson (in press) stima un tasso negativo anche durante gli anni
Ottanta, mentre, più moderatamente, Brandolini e Cipollone ()
identificano in quel periodo l’inizio della fase del rallentamento per l’industria manifatturiera. Quando poi si guardano le stime più ottimistiche,
che collocano l’inizio dello slowdown nella TFP a metà del decennio scorso , non deve essere ignorato il peggioramento che ha avuto luogo negli anni più recenti, non considerati nella presente analisi. In virtù anche
della difficile fase congiunturale, infatti, per il biennio - l’ISTAT
stima un tasso di crescita negativo della TFP (in media – ,%).
L’ultimo aspetto da considerare, infine, è la dimensione settoriale. Il
declino della produttività emerge come una caratteristica generale del
tessuto produttivo italiano. Infatti, risultano coinvolti i settori più disparati (TAB. .), in primis i comparti non esposti alla concorrenza estera come il commercio; tra gli esportatori, poi, quelli con un vantaggio

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
.
La dinamica della TFP aggregata negli anni Novanta in Italia, tassi percentuali di
crescita medi annui
TABELLA
Timmer,
et al.
()d
Jorgenson
(in corso
di stampa)d
Brandolini
e Cipollone
()
OECD
OECD
ISTAT
()
()d
()
-
,
,a
,
,
,
,c
-
,
– ,
,
,
,
,
-
– -
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
b
-.
-.
-.
d
Viene impiegato un deflatore armonizzato per i beni ICT.
a
b
b
comparato nel commercio internazionale (tessile, abbigliamento e calzature, macchine e apparecchi meccanici) e, infine, tutte quelle produzioni ad alto contenuto tecnologico (macchine elettriche) che altrove
hanno trainato la produttività aggregata.
Dalla TAB. . si evince che solo  settori su  hanno registrato un
miglioramento nell’efficienza tra il - e -: alimentari, legno,
mezzi di trasporto, costruzioni, alberghi e sanità. Tessile, coke e raffinerie e prodotti in metallo presentano invece le performance peggiori.
Tuttavia, a causa della loro dimensione (quota sul valore aggiunto
dell’intera economia), commercio, trasporti e comunicazioni sono stati i
comparti che hanno maggiormente condizionato l’andamento della TFP
aggregata (– ,%), contando rispettivamente per un  e % dello slowdown totale. Nel manifatturiero, invece, è stato particolarmente pesante
il declino nel contributo di tessile (% circa del rallentamento), metalli
(%) e meccanica (%).
Nel momento in cui si confronta la dinamica della produttività italiana con quella europea e statunitense emergono almeno tre differenze
significative. Innanzitutto, l’efficienza dell’Italia è risultata in forte rallentamento in tutto il comparto dei servizi, in controtendenza rispetto
alla UE ma soprattutto agli USA . Il gap con i partner comunitari è assai
pronunciato nei trasporti e comunicazioni, probabilmente a causa della
crisi nel trasporto non terrestre. Infatti, trasporto aereo e marittimo e attività ausiliarie sono i comparti in cui l’Italia ha registrato la riduzione
più severa della produttività del lavoro nella seconda metà degli anni Novanta, al contrario degli altri paesi europei. Il fatto che tale declino sia
dipeso più dalla contrazione del valore aggiunto che da una dinamica
anomala nell’occupazione induce a ritenere che l’andamento della TFP,


,
,
,
,
,
,
,
,
Mezzi di trasporto
Altre manifatture
Energia elettrica, gas, acqua
,
Minerali non metalliferi
Macchine elettriche
,
Gomma e plastica
,
,
,
Prodotti chimici
– ,
,
– ,
,
Coke, raffinerie di petrolio
,
,
– ,
,
Carta e editoria
,
,
,
Legno e prodotti in legno
Macchine e apparecchi meccanici
,
Metallo e prodotti in metallo
– ,
,
Alimentari e tabacco
– ,
Estrazione
Tessile, abbigliamento e calzature
,
– ,
,
– ,
Agricoltura
-
-
Italia
– ,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
,
– ,
– ,
-
– -
,
– ,
,
,
,
,
,
,
,
,
– ,
,
– ,
,
,
,
-
,
,
– ,
,
,
,
,
,
,
– ,
,
,
,
– ,
,
,
-
,
,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
,
– ,
– ,
,
-
– -
(Regno Unito, Francia,
Olanda e Germania)*
UE-
.
La dinamica settoriale della TFP, tassi percentuali di crescita medi annui (- e -)
TABELLA
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
– ,
– ,
,
,
,
– ,
-
,
,
,
,
– ,
,
– ,
,
,
,
– ,
– ,
,
– ,
– ,
,
-
USA*
– ,
,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
– ,
,
,
,
– ,
– ,
,
-
– -

. (segue)
,
,
,
,
,
,
,
,
,
,
– ,
,
,
Trasporti e comunicazioni
Intermediazione monetaria e finanziaria
Attività immobiliare, noleggio
Servizi non market
Altri servizi pubblici
Totale economia
Fonte: Nostre elaborazioni su dati ISTAT per il  (cfr. nota ) e O’Mahony, van Ark ()
,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
,
-
– -
* Viene impiegato un deflatore armonizzato per la produzione delle macchine elettriche.
– ,
,
,
,
– ,
Alberghi e ristoranti
-
-
Italia
Commercio e riparazioni
Costruzioni
TABELLA
,
,
,
– ,
– ,
,
– ,
,
– ,
-
,
– ,
,
– ,
,
,
– ,
,
,
-
,
– ,
,
,
,
,
,
– ,
,
-
– -
(Regno Unito, Francia,
Olanda e Germania)*
UE-
– ,
– ,
– ,
– ,
– ,
,
– ,
– ,
– ,
-
,
– ,
– ,
– ,
,
,
– ,
,
– ,
-
USA*
,
– ,
,
,
,
,
– ,
,
– ,
-
– -
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
al pari del capitale, sia alla base della crisi di questo settore (Venturini,
). La maggiore distanza nei confronti degli Stati Uniti, invece, emerge nel commercio, caratteristica questa che è comune a diversi stati
membri della UE .
In secondo luogo, in tutti i paesi emerge un trend negativo nell’industria manifatturiera; in Italia, comunque, questo processo appare
maggiormente diffuso e pronunciato. È da notare a tale riguardo che i
settori di maggiore specializzazione del nostro paese (tessile, meccanica
e altre industrie manifatturiere, compresa anche quella del mobile) hanno dimezzato o, addirittura, azzerato la propria efficienza nel corso degli ultimi anni.
Infine, va osservato il discreto risultato dei mezzi di trasporto, che
hanno consolidato il proprio differenziale di crescita nei confronti dei
competitori comunitari e, soprattutto, la performance negativa delle
macchine elettriche. Quest’ultimo comparto rivela una perdita di efficienza molto significativa proprio nella fase di repentino avanzamento
del progresso tecnico nell’Information Technology, che quindi sembra
aver accelerato il deterioramento della performance di produttività e
della sua capacità competitiva. In tal senso, va notato che lo slowdown
nella TFP delle macchine elettriche non è affetto da questioni di misurazione statistica. Infatti, quando l’output di tale settore viene aggiustato
per la qualità, attraverso il meccanismo di armonizzazione dei prezzi basato sugli indici USA , otteniamo una stima più alta dei tassi di crescita
in entrambi i sottoperiodi, ma la dinamica rimane immutata, ed è chiaramente in controtendenza rispetto a quella dell’Unione Europea e degli Stati Uniti (Venturini, ).
.
Considerazioni conclusive e implicazioni di policy
In questo contributo si è cercato di dar conto del ruolo ricoperto dalle
ICT sul divario di crescita maturato negli ultimi anni tra Unione Europea
e Stati Uniti. In tale cornice, poi, è stato analizzato approfonditamente il
legame tra il ritardo tecnologico e la performance di produttività dell’Italia. È stato mostrato come il gap tra le regioni atlantiche sia riconducibile in parte, ma non in modo esclusivo, a un differente grado di adozione e specializzazione nella produzione di ICT.
A livello aggregato e settoriale il contributo delle nuove tecnologie
si è materializzato principalmente attraverso i canali tradizionali (o diretti), a seguito del marcato processo deflazionistico che ha caratterizzato semiconduttori e computer. Gli studi econometrici condotti su dati
settoriali hanno rilevato infatti una significativa differenza nella crescita

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
della produttività media del lavoro tra settori IT intensive (produttori e
utilizzatori) e settori low-tech: tale evidenza riguarda soprattutto gli USA,
mentre è meno pronunciata nei paesi della UE. Pochi sono invece i riscontri sulla presenza di esternalità prodotte dalle ICT sull’efficienza produttiva (TFP), nonostante questi effetti siano stati a lungo celebrati come
fattori qualificanti la new economy. Il fatto che le uniche evidenze siano
relative agli Stati Uniti fa ritenere che, nel caso europeo, la mancanza di
tali spillovers sia imputabile al più basso livello di capitale ICT, a causa
del ritardo con cui è avvenuta la loro diffusione rispetto all’altra sponda
dell’Atlantico. In pratica, finora soltanto le analisi econometriche con
dati di impresa hanno fornito in modo diffuso la prova della crescita di
produttività associata all’impiego delle tecnologie informatiche (canale
indiretto) . Rinviamo al CAP.  per una rassegna di questa letteratura e
un’analisi del caso italiano.
Nel corso del presente lavoro è emerso come l’Europa sia stata incapace di cogliere l’opportunità tecnologica offerta dalla recente evoluzione dell’Information Technology a causa di un quadro economico meno favorevole, caratterizzato da una contrazione generalizzata nel contributo dei fattori tradizionali e nell’efficienza produttiva. Il fatto che oltreoceano l’avvento delle ICT sia avvenuto da più tempo, poi, ha permesso al sistema statunitense di sviluppare, in anticipo rispetto all’Europa, un adeguato livello di capitale umano che è ritenuto un fattore critico nell’implementazione delle nuove tecnologie e nella transizione organizzativa delle imprese.
Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, è stato sottolineato
come il beneficio tratto dall’Information Technology sia stato modesto.
Tuttavia, sul rallentamento della produttività del lavoro ha pesato maggiormente il declino dell’efficienza produttiva, che è risultato più pronunciato e pervasivo rispetto agli altri paesi avanzati.
Alla base del deterioramento nella performance tecnologica vengono
indicati due ordini di fattori, tra loro fortemente interrelati: la crisi del modello innovativo e l’eccessiva regolamentazione del mercato dei prodotti.
I tradizionali strumenti di innovazione (incrementale, non formalizzata, imitativa) su cui l’economia europea e italiana hanno fatto leva per
lungo tempo sembrano aver esaurito la propria efficacia. Infatti, si è ridotta sensibilmente la distanza dalla frontiera (gli Stati Uniti) rispetto agli
anni Settanta e Ottanta, quando era possibile competere facendo leva
sulla capacità innovativa sviluppata altrove (Daveri, , p. ). L’Europa, viene sostenuto, necessita ormai di una strategia di sviluppo autonoma, centrata su un’attività di ricerca sistematica (R&S), che potrebbe
essere favorita da un adeguato sistema di incentivi fiscali e coordinata su
scala comunitaria da un’agenzia su cui far confluire una parte delle ri
ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
sorse destinate alla politica agricola. In Italia poi, suggerisce Sterlacchini
(), andrebbe ristimolato con maggiore incisività l’impegno dei maggiori gruppi industriali alla luce della ricaduta tecnologica su tutto il tessuto di PMI derivante dal loro sforzo innovativo. Solo in questo modo
sembra possibile colmare il divario con gli Stati Uniti nel processo di
creazione di conoscenza che, nella seconda metà degli anni Novanta, è
andato addirittura allargandosi nonostante i propositi di Lisbona .
La regolamentazione del mercato dei prodotti è l’altro fattore che si
ritiene possa aver condizionato in modo significativo l’andamento della
TFP. È noto, infatti, come la pressione competitiva aumenti gli incentivi
a impiegare in modo efficiente le risorse (Mason, et al., ); in questo
modo, le imprese sono indotte a rischiare e sperimentare e, quindi, a sviluppare una capacità innovativa autonoma che, alla fine, si traduce in innovazioni complementari e a sostegno dell’adozione di ICT (Pilat, ).
Il quadro normativo-istituzionale meno favorevole è considerato da
Bassanini e Scarpetta () uno dei motivi per cui l’impatto delle nuove tecnologie in Europa è stato più modesto. Le maggiori barriere amministrative, infatti, hanno impedito o limitato l’entrata di nuove imprese dotate di un assetto organizzativo-gestionale ritagliato ad hoc sulle tecnologie informatiche e, quindi, caratterizzate da un elevato potenziale di
sviluppo. Negli Stati Uniti proprio gli start-up hanno contribuito in modo considerevole alla crescita della produttività in diversi settori. Si deve ricordare, a questo proposito, che l’Italia figura nelle ultime posizioni in tutte le indagini condotte in seno all’OECD  sulla relazione tra regolamentazione-liberalizzazione, innovazione ed efficienza. Anche secondo Blanchard (in press) la liberalizzazione del mercato dei prodotti
(e finanziario) è la principale riforma da attuare in Europa per poter
creare quelle condizioni favorevoli a un veloce recupero del ritardo accumulato nei confronti degli Stati Uniti. Considerato l’impegno profuso
negli ultimi anni dalle autorità comunitarie in materia di concorrenza e
armonizzazione degli standard, vi è spazio per un cauto ottimismo.
Note
. Caratterizzato da crescita duratura, alta produttività, bassa disoccupazione e assenza di inflazione.
. Secondo Feldstein (), l’Information Technology è stata la leva tecnologica con
cui il sistema americano, in una precisa fase storica, ha attuato un processo di ristrutturazione imposto dalla crescente competitività e turbolenza dei mercati. Le principali economie europee, invece, ingessate in quadri normativi molto più rigidi, non sono riuscite
ad attuare alcuna riforma organizzativa dei mercati e dei suoi attori, per cui hanno vissuto come meno stringente il vincolo a investire nelle nuove tecnologie.
. Lo slowdown della produttività è stato a lungo ritenuto un’illusione statistica a causa degli errori di misurazione associati alla crescita del settore dei servizi (Griliches, ),

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
all’esplosione della capacità di calcolo delle attrezzature informatiche adottate dalle imprese (Baily, Gordon, ) e agli indici di volume a base fissa che tendevano a sovrastimare la quantità reale dell’investimento in Information Technology (Oliner, Sichel, ).
Per gli anni più recenti dello slowdown (-), McGuckin e Stiroh () calcolano in
,-, punti percentuali la sottostima annuale del PIL associata a problemi di ordine
statistico. L’errore di misurazione deriva per due terzi dalla crescita delle hard-to-measure industries (between effect) e per un terzo dalla progressiva adozione di computer da
parte di questi stessi settori (within effect).
. Esso è definibile come l’incremento della quantità di servizi da capitale ICT per
ogni unità di lavoro impiegata.
. La TFP aggregata, come misura di efficienza dell’intero sistema economico, può essere scomposta nei contributi dei comparti produttivi. Le produttività settoriali vengono
calcolate attraverso un esercizio di contabilità della crescita a livello di industria e aggregate utilizzando dei pesi (Domar, ) consistenti nel rapporto tra output lordo di settore e quasi-valore aggiunto dell’economia (valore aggiunto più i beni intermedi di importazione). Cfr. infra, TAB. ..
. Cfr. Schivardi e Trento () per una discussione sulle proprietà della microelettronica e dei computer come tecnologie di scopo generale (general purpose technologies)
e per un confronto con le altre grandi invenzioni del passato.
. Jorgenson e Stiroh () reputano inadeguata l’argomentazione riportata da
Gordon (). Infatti, qualora fosse vero che, rispetto ai produttori di ICT, nel resto dell’economia (il % del totale) la TFP fosse ristagnata, ciò non significherebbe che tutti i
settori utilizzatori avessero registrato performance negative. È probabile infatti che l’andamento poco brillante di alcuni comparti possa aver celato quello positivo di altri utilizzatori di ICT.
. Oliner e Sichel () dividono l’economia in produttori di computer, produttori di semiconduttori e comparti non ICT, stimando una crescita della TFP aggregata per gli
anni - dell’,%, derivante per , punti percentuali dai computer, , dai semiconduttori e il residuale , dal resto dell’economia. Ulteriori aggiornamenti sono forniti in Oliner e Sichel ().
. Per una disamina particolareggiata dell’impatto sull’economia USA dei recenti sviluppi nella tecnologia dei semiconduttori cfr. Jorgenson () e (in press).
. A tale riguardo cfr. anche Pilat e Wölfl (), p. .
. Cfr. infra, PAR. .., per un’esposizione più completa degli studi econometrici che
hanno investigato sull’impatto dell’Information Technology sulla performance settoriale.
. Un risultato simile viene riportato da Daveri e Silva () per il caso della Finlandia.
. Cfr. infra, TAB. ., in cui vengono riportati i risultati ottenuti da Timmer et al.
(). Tale lavoro va a completare e integrare una serie di studi precedenti i quali, per
natura dei dati e copertura dei paesi, hanno una portata più limitata (Schreyer, ; Colecchia, Schreyer, ; Daveri, ; van Ark et al., b). Questa analisi comprende
tutti i paesi dell’Unione Europea prima dell’allargamento (ad eccezione del Lussemburgo), riportando tassi di diffusione e contributo alla crescita delle attrezzature informatiche, apparati per le telecomunicazioni e software. Per un confronto con alcuni dei paesi
che dal  maggio  sono entrati nell’UE cfr. van Ark e Piatkowski (). Va ricordato
che lo studio di Timmer et al. () adotta una definizione ampia di attrezzature informatiche (IT equipment) la quale comprende anche periferiche, fotocopiatrici, stampanti
ecc. Questo deriva dall’assunto che tali prodotti abbiano condiviso con i computer quel
profondo avanzamento tecnologico alla base della rivoluzione informatica, cioè il miglioramento di efficienza dei semiconduttori. Inoltre, il concetto di output utilizzato in questa analisi aggregata (e riflesso nei dati della TAB. .) differisce dal PIL in quanto esclude
i servizi abitativi; invece, le analisi settoriali sviluppate nel prosieguo si riferiscono all’intera economia.

ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
. Secondo Chinn e Fairlie () il differenziale tra Europa e Stati Uniti nella diffusione dei computer (PC ogni  abitanti) è riconducibile principalmente al divario nel
reddito pro capite e nel livello medio di istruzione (circa il % del gap), mentre le differenze di natura infrastrutturale (densità delle linee telefoniche e consumo di elettricità) e
istituzionale (il livello della regolamentazione) sembrano ricoprire un ruolo minore. Questo studio appartiene a quel filone della ricerca che indaga sulle determinanti (e le barriere) dell’adozione delle tecnologie digitali nei paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo (digital divide). Per una breve rassegna cfr. Pohjola ().
. In effetti, controllando il profilo qualitativo del lavoro (istruzione, esperienza, genere) nei paesi del G, Jorgenson (in press) rileva per la Germania e l’Italia una riduzione della TFP tra il  e , in media dello , e dello ,% all’anno.
. Il rapporto di ricerca curato da O’Mahony e van Ark () per la Commissione
Europea fornisce il quadro più dettagliato esistente al momento su questo tema. Tale studio scompone la produttività aggregata del lavoro nel contributo di  settori produttivi,
utilizzando come principale fonte la banca dati STAN (Structural Analysis) dell’OECD.
. Risultati simili vengono riportati anche da Nordhaus (). Stiroh (b) definisce utilizzatori quei comparti non produttori la cui quota di servizi da capitale ICT è superiore alla mediana.
. Fuori dal bacino atlantico, Pilat e Wölfl () mostrano che la specializzazione
nelle produzioni ICT è stata determinante per l’accelerazione nella produttività aggregata
del lavoro in Corea. La performance dei settori utilizzatori, invece, è stata particolarmente
brillante in Australia e, in misura minore, in Messico.
. Cfr. su questo tema il manuale dell’OECD curato da Triplett ().
. L’armonizzazione proposta da Schreyer, che in pratica ratifica la strategia seguita da alcuni uffici di statistica, presuppone l’adozione degli indici statunitensi, una volta
aggiustati per le oscillazioni sul tasso di cambio o il differenziale nell’inflazione generale.
Quest’ultima opzione è quella impiegata, tra gli altri, da O’Mahony e van Ark () e
da Timmer et al. () e, quindi, è alla base di tutte le statistiche riportate nel presente
lavoro.
. I servizi, invece, sembrano aver mancato quell’opportunità di crescita brillantemente colta sull’altra sponda dell’Atlantico. Daveri e Silva () mostrano che il caso finlandese, ritenuto in passato l’idealtipo della nuova economia, conferma queste tendenze.
. La classificazione impiegata verte sulla mediana dei servizi da capitale ICT.
. Si deve ricordare che nella stima a effetti fissi della funzione di produzione il capitale ICT è l’unico fattore non significativo per la crescita dell’output. Cfr. Stiroh (c)
per uno studio sulla sensibilità della stima dell’elasticità del capitale digitale alla tecnica
di regressione e alla natura dei dati impiegati.
. In pratica, viene stimata settore per settore una funzione di produzione su tutto
l’arco temporale disponibile con una tecnica che, poi, forza l’uguaglianza dei coefficienti di lungo periodo tra le unità cross-section (Pool Mean Group Estimator). Di conseguenza, l’eterogeneità settoriale è colta tutta dalla dinamica di breve.
. Per i dati presi a riferimento in questo paragrafo i valori medi (aggregati e settoriali) dell’Unione Europea sono stati ricalcolati escludendo l’Italia. Per le statistiche aggregate è stato utilizzato il database dell’Università di Groningen (GGDC Total Economy
Growth Accounting Database, ottobre , in www.ggdc.net), che è alla base del lavoro
di Timmer et al. () e, di recente, è stato impiegato dall’OECD per la stima della Multi-Factor Productivity. Per l’analisi settoriale, invece, sono stati utilizzati i dati del CD-ROM
allegato al rapporto curato da O’Mahony e van Ark ().
. Scostamenti di rilievo da questo trend si sono registrati nei primi anni Ottanta,
quando l’Italia si è distinta per una minore contrazione delle ore lavorate rispetto alla UE
(– , contro – % annuo) e, nella fase recessiva del decennio successivo, quando ha sperimentato una riduzione del lavoro più severa (–  contro – ,%).

 . CAPITALE ICT, CRESCITA E PRODUTTIVITÀ : ANALISI MACRO E SETTORIALI
. L’output per unità di lavoro «is an indicator of the prospective consumption, [...]
high productivity, then, is the key necessary condition for general prosperity of the populance» (Baumol et al., , pp. -).
. La somma del contributo dei computer, software e delle TLC. Il capitale tradizionale, invece, include attrezzature non ICT, veicoli e strutture non residenziali.
. Il contributo dei fattori riportato da Timmer et al. () nelle tabb.  e . Esso viene commisurato (in termini percentuali) al tasso medio di variazione del PIL per ora
lavorata. Si ricorda che in Italia tra il  e  il contributo della TFP dei settori produttori di ICT (effetto produzione) è stato di , punti percentuali a fronte di un valore di
,% dell’ICT capital deepening (effetto adozione) e una crescita annua della produttività
del lavoro dell’,%.
. Va ricordato che nel periodo -, a causa della riduzione generalizzata dell’occupazione, la produttività del lavoro è stata particolarmente dinamica in tutti i settori dell’economia italiana.
. Tra gli utilizzatori di ICT va comunque segnalata la buona performance di stampa
e editoria nella manifattura e dell’intermediazione finanziaria e della ricerca e sviluppo
nei servizi.
. Se si guarda esplicitamente al contributo delle ICT alla crescita dell’output, emerge una marcata variabilità tra settori (cfr. Bassanetti et al., in corso di stampa). L’adozione di tali tecnologie, infatti, risulta decisamente più alta nei comparti capital intensive e
quelli caratterizzati da un’elevata propensione innovativa (De Arcangelis, in corso di
stampa).
. La TAB. . riporta alcune delle stime disponibili sulla produttività italiana. Questi valori sono influenzati dalle differenze nella metodologia seguita per la costruzione delle serie sugli input e l’output. Tuttavia, tali discrepanze assumono un’importanza limitata quando si guarda alla dinamica della TFP, cioè alla differenza dei tassi di crescita tra i
due periodi. I dati ISTAT per il  sono disponibili sll’indirizzo://www.istat.it/Economia/Conti-Nazi/index.htm, mentre le serie dell’OECD sono incluse nell’OECD Productivity
Database (Maggio ), http://www.oecd.org/dataoecd///.xed.
. I risultati ottenuti da Islam () danno sostegno all’idea che il declino della produttività abbia avuto inizio negli anni Novanta. Con una regressione della crescita condotta su  paesi, Islam rileva che l’Italia è tra i primi  per incremento d’efficienza tra il
periodo - e -, andando a ridurre del % la propria distanza dal paese leader
(Stati Uniti). Alla fine l’Italia si afferma al sedicesimo posto in questo ranking planetario
della produttività, nonostante tale analisi comprenda paesi meno sviluppati e quindi, in
teoria, più soggetti al processo di convergenza tecnologica. Un’indicazione del tutto coerente proviene dallo studio sulla “superiorità tecnologica rivelata” condotto da Bar-Shira et al. (). Nel  l’Italia presentava un livello di efficienza che era secondo solo
agli Stati Uniti e la Francia tra i  paesi più industrializzati. In aggiunta, il suo livello di
partenza () è risultato più alto di quello mostrato da molte altre nazioni alla fine del
periodo considerato ().
. Cfr. Triplett e Bosworth (in press) per una descrizione della mirabile crescita d’efficienza nei servizi americani.
. All’anemica performance della distribuzione all’ingrosso e al dettaglio viene attribuita un’ampia responsabilità sullo slowdown registrato dall’Unione Europea nel corso dell’ultimo decennio. La regolamentazione più restrittiva vigente in Europa è ritenuta uno dei fattori chiave alla base di questo risultato (cfr. Gordon,  e McGuckin et
al., ).
. Cfr. la discussione supra, PAR. ...
. L’assenza di esternalità a livello aggregato e settoriale potrebbe far ritenere che le
ICT abbiano solamente una funzione redistributiva; in sostanza, la crescita delle imprese
più efficienti avverrebbe a discapito di quelle meno produttive, che vengono estromesse
dal mercato. Tuttavia, non si deve ignorare il fatto che la minore pressione competitiva

ICT, MERCATO DEL LAVORO , PRODUTTIVITÀ
dei mercati europei potrebbe far emergere con difficoltà le imprese innovative, a differenza di quanto accade in America, dove la velocità di propagazione degli spillovers verrebbe alimentata dalla maggiore dinamicità dei mercati. Per una discussione completa di
tutti questi aspetti cfr. Pilat ().
. Cfr., tra le più recenti, Bassanini e Scarpetta () e Nicoletti e Scarpetta ().
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