Dolore al petto e trauma toracico - Giornale Italiano di Cardiologia

DAL PARTICOLARE AL GENERALE
Dolore al petto e trauma toracico:
casi clinici e revisione della letteratura
Damiano Regazzoli1, Francesco Ancona2, Letizia Bertoldi2, Massimo Slavich2, Antonio Mangieri1,
Pietro Spagnolo3, Matteo Montorfano1, Giuseppe Pizzetti2, Antonio Colombo1, Alberto Margonato2
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Cardiologia Invasiva, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale San Raffaele, Milano
Cardiologia e UTIC, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale San Raffaele, Milano
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Centro Prevenzione Cardiovascolare, Ospedale San Raffaele, Milano
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Patients complaining of chest pain after a traumatic event represent a diagnostic challenge for the cardiologist. These patients can definitely escape from common diagnostic tests (particularly ECG and markers of myocardial lysis) that may guide the cardiologist, mostly because symptoms are attributed to the trauma itself.
On the other hand, if blunt cardiac injury is suspected (involving coronary arteries, aorta, pulmonary trunk,
pericardium, myocardium or valves), the selection of the most appropriate diagnostic and therapeutic tools
(i.e. antithrombotic therapy) should also consider trauma involvement of other organs. We here describe two
emblematic cases as examples of the challenges that diagnosis and treatment of cardiac injury can bring.
Key words. Blunt cardiac injury; Computed tomography; Coronary artery dissection; Stress cardiomyopathy.
G Ital Cardiol 2015;16
INTRODUZIONE
I pazienti che si presentano in Pronto Soccorso per dolore toracico dopo un trauma fisico sono una delle più insidiose sfide
diagnostiche per il cardiologo: nella maggior parte dei casi, infatti, il paziente viene indirizzato nell’area di Pronto Soccorso
dedicata alle problematiche di interesse chirurgico o ortopedico, dove corre il rischio di sfuggire alle “maglie” dei comuni
test cardiologici (ECG e marcatori di lisi miocardica). In una percentuale non trascurabile di questi pazienti, invece, il trauma
può danneggiare il miocardio attraverso un danno diretto sul
muscolo, sulle valvole, sulle coronarie, sul pericardio o sull’aorta ascendente. I due casi seguenti mostrano come, nell’eventualità di trauma al torace, un’attenta valutazione cardiologica
possa modificare in modo sostanziale la prognosi.
DESCRIZIONE DEI CASI
Caso clinico 1
Un ragazzo di 32 anni senza fattori di rischio cardiovascolare
giungeva presso il Pronto Soccorso del nostro Istituto per dolore
toracico. Il dolore, descritto come oppressivo, retrosternale, irradiato posteriormente, era comparso durante una partita di
calcio, poco dopo una caduta sul dorso causata da un contrasto di gioco. Nonostante la caduta, il ragazzo era riuscito a terminare la partita ed era andato a letto asintomatico dopo aver
assunto un antinfiammatorio. Veniva tuttavia svegliato nel mez-
© 2015 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 16.03.2015; nuova stesura 18.05.2015; accettato 28.05.2015.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Damiano Regazzoli Cardiologia Invasiva,
Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale San Raffaele,
Via Olgettina 60, 20132 Milano
e-mail: [email protected]
zo della notte per la ricomparsa del medesimo dolore e per tale motivo giungeva alla nostra osservazione.
L’ECG eseguito all’arrivo in Pronto Soccorso (Figura 1A) evidenziava un sopraslivellamento del tratto ST compatibile con
ischemia transmurale anteriore, ma anche con pattern da ripolarizzazione precoce, ipotesi parsa in prima battuta più plausibile anche per l’assenza di alterazioni reciproche del tratto ST.
Il paziente quindi, dopo somministrazione di un farmaco analgesico, è stato mantenuto in osservazione clinica. All’arrivo degli esami ematochimici, si documentava una modesta dispersione dei marcatori di lisi miocardica (troponina T 169 ng/l con
valori di riferimento <38 ng/l). Per tale motivo è stato contattato il cardiologo di guardia, che ha eseguito un’ecocardiografia transtoracica che documentava acinesia dei segmenti apicali. In considerazione dei sintomi riferiti, dell’ECG, dell’ematochimica e delle alterazioni della cinetica regionale all’ecocardiogramma, l’ipotesi di una sindrome coronarica è parsa plausibile. Considerato tuttavia il rischio di coinvolgimento nel trauma dei grandi vasi, è stato deciso di eseguire una scansione tomografica del torace con mezzo di contrasto, al fine di verificare l’integrità di aorta e arteria polmonare e di studiare contestualmente le coronarie. L’esame evidenziava integrità dei
tronchi arteriosi (Figura 1B) e una riduzione di calibro del tratto medio della discendente anteriore compatibile con dissezione coronarica o ematoma intramurale (Figura 1C).
Escluse le sindromi aortiche acute, è stato possibile somministrare in condizioni di sicurezza al paziente carico di acido
acetilsalicilico e di ticagrelor e si è proceduto ad angiografia coronarica. L’esame, eseguito per via radiale sinistra, ha confermato la dissezione coronarica con embolizzazione distale di
materiale trombotico (Figura 1D) con flusso TIMI 1. I rischi legati alla procedura di rivascolarizzazione percutanea (diametro
della lesione di circa 6 mm, assenza di flusso distale, rischio di
ulteriore embolizzazione trombotica) sono parsi superiori rispetto ai vantaggi attesi e si è quindi deciso di non trattare il vaG ITAL CARDIOL | VOL 16 | APRILE 2015
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A
B
C
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Figura 1. Caso 1. A: ECG del paziente con evidenti onde T iperacute e sopralivellamento del tratto ST nelle derivazioni anteriori. B: scansione assiale con tomografia computerizzata che mostra l’integrità dei grandi vasi. C: ricostruzione tomografica dell’ematoma
intramurale a carico dell’arteria discendente anteriore. D: proiezione angiografica laterolaterale che conferma l’ematoma intramurale (*), con embolizzazione distale di materiale trombotico e flusso TIMI 1 (freccia).
so. Il paziente è stato tenuto in osservazione in Unità Coronarica per 5 giorni, durante i quali si è assistito ad una rapida riduzione dei marcatori di lisi miocardica e a normalizzazione dell’ECG. Impostata terapia betabloccante e mantenuta la duplice antiaggregazione, è stata eseguita un’ecocardiografia da
sforzo massimale pre-dimissione con evidenza di normalizzazione della cinetica regionale a riposo ed assenza di ischemia inducibile. Il paziente è stato quindi dimesso e sottoposto a distanza di 3 mesi a controllo dell’anatomia coronarica tramite
tomografia computerizzata (TC) del cuore, che mostrava completa risoluzione del quadro coronarico.
Caso clinico 2
Una donna di 67 anni giungeva alla nostra osservazione in
Pronto Soccorso, in area Chirurgica, in seguito ad incidente automobilistico con trauma sternale da cintura di sicurezza. All’arrivo la paziente si presentava con normali parametri emodinamici e lamentava unicamente dolore sternale in sede di contusione al terzo medio, accentuato dalla digitopressione.
La paziente era nota per ipertensione arteriosa in terapia
con inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE)
e per fibrillazione atriale parossistica in terapia antiaritmica con
propafenone. Nonostante il moderato rischio trombotico
(CHA2DS2-VASc 3), l’assenza di recidive aritmiche nei 3 anni
precedenti aveva indotto il cardiologo curante a sospendere la
terapia anticoagulante orale.
L’ECG all’ingresso non risultava significativo. Durante il monitoraggio in Pronto Soccorso, agli esami ematochimici si evidenziava minimo movimento isolato della troponina T (185
ng/l) con creatinchinasi (CK) e CK-MB nei limiti di norma, per
cui veniva eseguita un’ecocardiografia transtoracica che mostrava minima falda di versamento pericardico non emodinamicamente significativo ed ipocinesia dei segmenti apicali con
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lieve riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro. Il
secondo punto dei marcatori di necrosi miocardica (eseguito a
distanza di 4h) mostrava un andamento a “plateau” del valore di troponina (valore massimo 190 ng/l) con progressiva riduzione ai controlli successivi. Durante la successiva osservazione
la paziente si manteneva asintomatica per angor e gli ECG seriati non mostravano alterazioni di significato ischemico, per
cui non si riteneva necessario sottoporre la paziente ad indagini invasive in urgenza. In considerazione del quadro ecocardiografico e laboratoristico e dell’assenza di lesioni da trauma che
necessitavano attenzione chirurgica, si decideva comunque di
ricoverare la paziente in ambiente intensivo cardiologico per la
prosecuzione del monitoraggio, anche in questo caso previa
esecuzione di TC del torace che escludeva patologia aortica
acuta; l’esame, condotto in corso di tachicardia sinusale (verosimilmente legata al dolore e all’agitazione della paziente), non
consentiva la valutazione del circolo coronarico.
Poco dopo l’accettazione in reparto, a distanza di circa 24h
dall’arrivo in Pronto Soccorso, si assisteva a modificazione dell’ECG rispetto ai precedenti controlli, con comparsa di onde T
negative diffuse (Figura 2A). Veniva quindi subito ripetuto l’esame ecocardiografico transtoracico che mostrava severa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di eiezione 30%)
per acinesia di tutti i segmenti apicali e medi con ipercontrattilità dei segmenti basali (aspetto ad “apical ballooning”), assenza di ostruzione all’efflusso e valvulopatie di rilievo, conservata funzione sistolica del ventricolo destro ed invariata la minima falda di versamento pericardico (Figura 2B).
Alla paziente veniva quindi somministrata doppia terapia
antiaggregante e si procedeva a studio coronarografico, che
mostrava albero coronarico indenne da lesioni stenosanti (Figura 2C-D), confermando il sospetto clinico ed ecocardiografico di cardiomiopatia da stress (takotsubo), verosimilmente se-
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A
C
B
D
Figura 2. Caso 2. A: ECG del paziente con diffuse alterazioni della ripolarizzazione con
onde T negative. B: ecocardiogramma dal quale si può intuire l’acinesia apicale e media
con ipercinesia dei segmenti basali (“apical ballooning”). C-D: assenza di lesioni stenosanti
a carico del sistema coronarico sinistro e della coronaria destra.
condaria allo “storm” di catecolamine provocato dall’incidente stradale. Si impostava quindi terapia betabloccante a basso
dosaggio, mantenendo terapia con il solo acido acetilsalicilico
e ACE-inibitore. L’ecocardiografia di controllo eseguita a distanza di 48h dal precedente mostrava pressoché totale recupero della funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di
eiezione 50%) in assenza di alterazioni della cinetica regionale. Durante la successiva degenza la paziente si manteneva asintomatica e si assisteva a progressiva normalizzazione dei valori
della troponina. Titolata la terapia betabloccante nelle successive 5 giornate di osservazione, è stato possibile dimettere la
paziente al domicilio con completo recupero della funzione sistolica globale.
DISCUSSIONE
La reale incidenza di danno cardiaco conseguente a traumi fisici è sconosciuta, variando in letteratura tra l’8% e il 71%1,2,
anche considerando una notevole quantità di casi non diagnosticati3.
Nella valutazione di un possibile trauma cardiaco bisogna
considerare la diversa posizione delle strutture cardiache in relazione alla cassa toracica e quindi il loro potenziale relativo
coinvolgimento: le camere destre, risultando più anteriori, sono più comunemente coinvolte (ventricolo destro 17-32%,
atrio destro 8-65%), mentre le sezioni sinistre risultano meno
frequentemente lese (ventricolo sinistro 8-15%, atrio sinistro
0-31%). Il setto, le arterie coronarie e le valvole sono coinvolti
ancora più raramente, con solamente pochi casi documentati
in letteratura.
Il termine “blunt cardiac injury” racchiude gli eventi cardiaci provocati da un trauma. Questi possono presentarsi con
una grande varietà di quadri clinici: dal danno silente al dolore
toracico, all’aritmia fino alla morte cardiaca4.
Dato che il cuore all’interno della cavità toracica è ben protetto da coste e sterno, per subire un trauma cardiaco è necessaria una grande quantità di energia; per questo si osserva
più frequentemente per incidenti stradali o cadute ad elevata
forza d’impatto, come nei due casi sopra esposti. In alternativa è possibile provocare un trauma cardiaco per variazioni improvvise del ritorno venoso cavale o per l’aumento della pressione intratoracica. La Società Americana di Chirurgia del Trauma (AAST) classifica il trauma cardiaco in sei gradi di gravità: il
primo racchiude gli eventi che si manifestano con alterazioni
ECG minori (tachicardia, extrasistolia, alterazioni aspecifiche del
tratto ST); il secondo comprende le alterazioni ischemiche del
tracciato ECG e i blocchi atrioventricolari; il terzo si manifesta
con tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa o polimorfa,
con rottura del setto interventricolare, del muscolo papillare o
di valvola polmonare o tricuspide senza scompenso cardiaco; il
quarto la rottura di valvola aortica o mitrale oppure un danno
tale da causare scompenso cardiaco; il quinto ed il sesto si manifestano con danno crescente di una coronaria prossimale, dei
grandi vasi fino all’avulsione cardiaca5.
Le strutture cardiache che possono essere interessate dal
trauma sono:
• le arterie coronarie, il cui coinvolgimento risulta raro, comportando di solito una rottura dell’intima del vaso (come accaduto nel caso 1 sopra descritto)6,7 con eventuale trombosi
successiva. Di solito si ha il coinvolgimento dell’arteria discendente anteriore, data la sua posizione proprio dietro lo
sterno. Un’altra forma peculiare di coinvolgimento coronarico prevede un danno microvascolare8 il cui meccanismo risulta ancora poco chiaro9: tra le numerose ipotesi si cita uno
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spasmo diffuso del microcircolo secondario alla “tempesta”
di catecolamine causata dal trauma stesso, con estrinsecazione clinica nella cardiomiopatia da stress (o sindrome takotsubo10,11), come nel caso 2;
• valvole cardiache, altrettanto infrequentemente coinvolte, in
cui una forza compressiva porta alla rottura di parti dell’apparato valvolare e/o sottovalvolare, comportandone una disfunzione; anche qui a causa della sua posizione anteriore la
valvola aortica risulta coinvolta più frequentemente;
• pericardio, dovuto a lacerazione per impatto diretto o alterazione delle pressioni intratoraciche ed intra-addominali12.
Di notevole interesse è la commotio cordis che fa riferimento ad un arresto cardiaco su fibrillazione ventricolare, innescata da un trauma non penetrante, in assenza di danneggiamento dell’arcata costale13; l’impatto altera la stabilità elettrica del miocardio facilitando l’insorgenza dell’aritmia. Essendo un evento pertanto prettamente elettrico innescato da un
trauma, si distingue dalla contusione cardiaca, in quanto in
questa l’impatto ad alta energia determina un danneggiamento del tessuto miocardico e del torace sovrastante. La reale incidenza della commotio cordis è sconosciuta ma si ritiene possa essere responsabile di molteplici eventi fatali sia sportivi posttraumatici che post-incidente14.
Come si evince dai casi presentati, l’iter diagnostico e la gestione clinica dei pazienti con traumatismo toracico devono basarsi su un alto indice di sospetto e su un’attenta valutazione
della dinamica dell’evento, dell’emodinamica del paziente e degli eventuali sintomi riferiti. La maggior parte dei pazienti con
coinvolgimento miocardico è infatti asintomatica o lamenta dolore toracico non tipico, che può facilmente essere confuso con
il dolore a partenza dalla cassa toracica15.
L’ECG risulta lo strumento diagnostico di screening che permette di indirizzare le successive scelte diagnostiche e terapeutiche: può mostrare infatti alterazioni del ritmo cardiaco,
della conduzione e della ripolarizzazione, bassi voltaggi nei ca-
si estremi. Non esistono tuttavia pattern patognomonici o peculiari ed il sospetto deve essere guidato anche alla luce dei risultati dell’ematochimica. I marcatori di miocardiocitolisi possono essere elevati e la causa del loro rialzo deve essere sempre attentamente investigata facendo ricorso agli strumenti diagnostici disponibili: obiettivo principale deve essere discriminare il danno diretto sul muscolo cardiaco, da quadri più subdoli
e che richiedono un intervento più rapido, come il coinvolgimento coronarico, valvolare o dei grandi vasi.
Risulta quindi utile l’analisi dell’ECG e della troponina al fine di poter garantire, nei casi di riscontro di alterazioni di uno
dei due, un approfondimento ulteriore con metodica di imaging. In prima battuta a tale livello l’esame “filtro” potrebbe
essere rappresentato dall’ecocardiografia transtoracica (ed
eventualmente transesofagea), sulla quale basare la prosecuzione dell’osservazione clinica per almeno 6-12h in Pronto Soccorso, o, in caso di riscontro di alterazioni, l’ospedalizzazione in
un reparto.
In presenza di esclusivo possibile coinvolgimento cardiaco,
il reparto maggiormente indicato dovrebbe essere ad indirizzo
cardiologico, e l’intensità delle cure proporzionata alla gravità
del danno rilevato: se in caso di sospetto trauma toracico può
essere sufficiente l’osservazione clinica e laboratoristica in reparto di Cardiologia/Medicina d’Urgenza, nei casi con evidenza di alterazione della cinesi e/o della funzione ventricolare sinistra la prosecuzione delle cure in Unità Coronarica sembrerebbe essere più indicata.
Pertanto, sebbene la contusione miocardica sia il rilevo più
frequente, l’esecuzione di un esame ecocardiografico permette di escludere danni a carico valvolare, pericardico, aortico ed
indirettamente coronarico, attraverso l’analisi della cinesi regionale. In caso di elevato sospetto risulta molto utile la possibilità di ricorrere a TC del torace (dove disponibile associata a
scansioni per le coronarie) o ad angiografia (Figura 3).
Infine, grande attenzione deve essere volta alla scelta della
terapia antitrombotica, anche per la possibilità che la doppia
Figura 3. Percorso diagnostico suggerito in caso di trauma toracico con probabile coinvolgimento cardiaco.
ECG, elettrocardiogramma; ECO TT/TE, ecocardiografia transtoracica/transesofagea; EO, esame obiettivo; PS, Pronto Soccorso; UTIC, unità di terapia intensiva cardiologica; VS, ventricolo sinistro.
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terapia antiaggregante, necessaria nel contesto delle sindromi
coronariche acute, possa aggravare le lesioni a carico di altri distretti (con particolare attenzione al coinvolgimento di vasi, sistema nervoso centrale ed organi viscerali). L’introduzione di
tale terapia deve essere valutata sul rapporto rischio/beneficio
in attesa di stabilire l’effettiva necessità di tale trattamento. Risulta fondamentale valutare il rischio emorragico del singolo
paziente e considerare, alla luce del quadro coronarografico,
l’effettiva utilità del trattamento antitrombotico. In caso di riscontro di dissezione coronarica o trombosi (come nel caso 1),
le evidenze presenti in letteratura consigliano la prosecuzione
della doppia antiaggregazione per 12 mesi. Qualora si possa
invece escludere il coinvolgimento coronarico epicardico, l’utilizzo della terapia antitrombotica non appare giustificato.
In conclusione, i traumi toracici possono frequentemente
dare ripercussioni cardiache significative, le cui conseguenze in
termini prognostici possono variare ampiamente. La valutazione clinica del paziente rappresenta come sempre il primo step
fondamentale. L’ECG ed il rialzo dei marcatori di miocardiocitolisi sono strumento diagnostico fondamentale, permettendo
di discriminare il criterio d’urgenza e la necessità di accertamenti diagnostici di imaging. La nostra esperienza conferma
l’importanza di un approccio diagnostico integrato con meto-
diche di imaging complementari (ecocardiografia transtoracica
e transesofagea, TC del torace, angiografia), al fine di giungere quanto più rapidamente possibile ad una diagnosi e di guidare il cardiologo nella scelta del corretto iter terapeutico, con
particolare attenzione alla terapia antitrombotica e ai rischi ad
essa correlati in questo scenario.
RIASSUNTO
I pazienti che si presentano con dolore toracico dopo un trauma fisico costituiscono una sfida diagnostica per il cardiologo: da una
parte, infatti, possono sfuggire ai comuni test di valutazione cardiologica (ECG e marcatori di lisi miocardica) perché i sintomi riferiti vengono attribuiti al trauma stesso; dall’altra anche una volta
sospettato un danno cardiaco (a carico di coronarie, grandi vasi,
miocardio, pericardio o apparati valvolari) l’iter diagnostico-terapeutico da riservare a questi pazienti, con particolare riferimento alla terapia antitrombotica, deve tenere in considerazione il quadro
clinico generale ed il possibile coinvolgimento nel trauma di altri
organi e apparati. Riportiamo due casi emblematici di danno cardiaco post-traumatico al fine di sottolinearne la difficoltà diagnostica clinica, radiologica e terapeutica.
Parole chiave. Cardiomiopatia da stress; Danno cardiaco; Dissezione coronarica; Tomografia computerizzata; Trauma.
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