12
12
LA RIVISTA DELLA SCUOLA
INSERTO SPECIALE
Anno XXX, 1/31 maggio 2009, n.9
1. - Il superamento
dei concetti tradizionali
hi oggi affronta la responsabilità
d’insegnare in una scuola di qualsiasi tipo e grado, deve avere un
concetto adeguato dell’apprendimento, rispondente alla odierna visione dell’uomo, delle sue capacità, della sua posizione nel mondo degli esseri e delle sue responsabilità come vivente rispetto agli altri viventi.
É subito necessario liberarsi di concezioni
superate dell’apprendimento provenienti dalla
nostra tradizione filosofica che rimonta ad
epoche antiche: sia la concezione aristotelica
che quella platonica, sia quella atomistica che
quella stoica. Non è il caso di scendere ai dettagli di tali concezioni, che lungo il corso dei
secoli sono passate dalle speculazioni dei
filosofi nel sapere popolare e sono divenute
quasi come qualcosa di ovvio e di evidente.
Così è nata la tendenza presso di noi a
considerare la capacità di conoscere come
una cera molle su cui l’esperienza imprimerebbe i suoi caratteri, oppure questa impressione avverrebbe ad opera di una capacità
stessa del soggetto dopo essere riuscita ad
isolare tale conoscenza da ciò di cui sarebbe
circondata.
In Aristotele questa concezione aveva
assunto la forma della dottrina di intelletto
agente e di intelletto paziente . L’intelletto
agente sarebbe stato una capacità di isolare
la forma o idea dal contesto sensibile dell’esperienza, mentre l’intelletto paziente o possibile sarebbe stato ciò in cui questa idea o
forma venisse impressa, con la conseguenza
Letture per la formazione
C
LA NUOVA CONCEZIONE
degli occhi.
Questi modi di intendere la conoscenza
passarono dalla filosofia greca nella tradizione cristiana. S. Agostino e tutti quelli che si
ispirarono a lui, preferirono intendere la conoscenza in termini platonici, mentre S. Tommaso ed i suoi seguaci preferirono ispirarsi ad
Aristotele. In epoca moderna, dopo la ripresa
del platonismo e dell’aristotelismo in epoca
rinascimentale, Cartesio introdusse una
nuova maniera di intendere la conoscenza
fondata sul concetto di coscienza. Egli identificò l’anima o spirito con il pensiero come
coscienza e sostenne che nella coscienza ci
sono idee innate, messe in noi da Dio, idee
avventizie, che nascono in seguito alla stimolazione dei sensi, e idee fittizie, che noi stessi
costruiamo. Così, per Cartesio, il processo
cognitivo consisterebbe in parte in una utilizzazione delle idee innate , emergenti alla
coscienza, ed in parte nell’organizzazione
delle idee avventizie provenienti dall’esperien-
Viaggio in treno
che nel proprio intelletto ciascuno, ricevendo
l’impressione di un’idea, diverrebbe in qualche modo quest’idea e, nel divenire ciò,
acquisterebbe una conoscenza di carattere
universale. Invece, la conoscenza sensibile
sarebbe una pari impressione al livello della
sensibilità. Quindi, il momento cognitivo propriamente detto sarebbe un momento passivo, anche se preceduto dal momento attivo
dell’isolamento astrattivo dell’idea.
Il platonismo nelle sue varie forme aveva
sponsorizzato una concezione della conoscenza di tipo contemplativo, anche se raggiungibile attraverso la dialettica. Conoscenza
contemplativa voleva dire che le idee venivano conosciute con un processo analogo a
quello con il quale vediamo le cose sensibili
con gli occhi. (Platone, come spiegò nel
Menone, riteneva che la contemplazione delle
idee fosse avvenuta durante un’esistenza preterrena dell’anima umana, entrata poi nel
corpo, avrebbe dimenticato ciò che aveva
visto nell’esistenza anteriore; ma poi, osservando le cose del mondo e discutendo,
andrebbe soggetta ad una forma di ricordanza (anamnesi), che costituirebbe ciò che a noi
appare come apprendimento delle idee).
Infatti il platonismo faceva pensare ad una
specie di visione delle idee, e tutti quelli che si
sono ispirati a posizioni platoniche non hanno
esitato a parlare di un occhio della mente, di
una comprensione visiva delle idee favorite da
una luce intellettuale, proprio come la visone
za secondo un sistema organizzativo rigoroso. Dopo Cartesio ci furono dottrine che insistettero sulle idee provenienti dalla stimolazione sensoriale e questi furono i cosiddetti
empiristi (Locke, Hume, Berkeley) i quali
ritennero che il soggetto umano è conoscitivamente passivo rispetto alle sensazioni, che
riceve attraverso stimolazioni sensoriali; solo
in un secondo momento, soprattutto attraverso il linguaggio, egli organizzerebbe queste
impressioni o idee sensibili, creandosi immagini di cose e concezioni del mondo più o
meno scientifiche.
Altri filosofi, come Leibniz, sostennero
invece che tutte le idee sono innate ed emergono gradualmente nella coscienza secondo
un processo storico prefissato da Dio, quando
ha creato la nostra anima come unità o
monade. Altri proposero concezioni diverse:
per esempio Spinosa ammise che esiste un
dinamismo delle idee che corrisponde al dinamismo delle cose e, quindi, il processo cognitivo non è altro che una proiezione del processo cosmico, così come il processo cosmico è una proiezione del processo cognitivo.
Kant, alla fine del ‘700, sostenne che ogni
essere umano è fornito di una struttura cognitiva chiamata ragione, che si articola in forme
pure o vuote, due di carattere sensibile (spazio e tempo), dodici di carattere intellettivo (le
dodici categorie dell’intelletto) e tre idee generali organizzative del sapere. In queste forme
o schemi verrebbe inquadrata l’esperienza di
origine sensibile costituendo il sapere.
Dopo Kant la filosofia prese un orientamento
ABBONAMENTO IN OMAGGIO
PER UN ANNO A CHI CI PROCURA
2 NUOVI ABBONAMENTI
Dalla teoria alla pratica per
idealistico in Germania, per il quale il processo
cognitivo fu inteso come processo creativo nel
senso che il soggetto crei l’oggetto conosciuto
e lo crei dentro di sé come pensiero.
Questa dottrina ebbe grande successo nel
clima romantico della Germania per opera di
Ficthe, Schelling, Schlegel, Novalis; il
romantico Kraus, che non riuscì ad avere
successo in Germania, lo ebbe in Spagna,
dove da lui nacque il movimento romantico
detto krausismo.
Il momento culminante di questa concezione idealistica fu costituito dalla filosofia di
Hegel, il quale sostenne che la realtà è un’idea divina, che si differenzia e si evolve producendo dentro di sé un dinamismo dialettico
costituito da tre momenti sempre ripetuti: tesi,
antitesi e sintesi. Anche il pedagogista Fröebel fu influenzato da questa concezione e la
sua dottrina dell’evoluzione del bambino comprendeva la tesi dell’autocreazione del bambino, del suo autosvolgimento e, entro certi limiti, della sua autoeducazione a contatto con la
natura. La tesi che nel conoscere c’è un processo di creazione da parte del conoscente
sarebbe stata importante per la pedagogia
romantica, se la creazione non fosse stata
intesa alla luce della teologia cristiana, come
creazione dal nulla, ma fosse stata intesa
come sforzo organizzativo ed inventivo di ciascun soggetto impegnato nel suo ambiente a
lottare con ostacoli di vario genere, nello sforzo di garantire se stesso e di soddisfare le
proprie esigenze. Invece la dottrina idealistica
della conoscenza come processo creativo
rimase sterile per la pedagogia e la didattica,
che restarono legate ad una prassi che non
poteva rinnovarsi sotto lo stimolo di questo
genere di filosofia.
La dottrina idealistica della conoscenza
giunse in Italia nel corso dell’ottocento, suggerì vari concetti a Rosmini e a Gioberti, fu
fatta propria dallo Spaventa e poi da Domenico Jaia e dal suo allievo Giovanni Gentile,
il quale si fece propugnatore di dottrine pedagogiche che erano di ispirazione idealistica.
Così dai primi decenni del novecento fino agli
anni cinquanta la didattica e la pedagogia italiane subirono il predominio della dottrina
idealistica della conoscenza come creazione
dei contenuti cognitivi da parte del soggetto.
Questa dottrina, che fu fatta propria anche
da Giuseppe Lombardo-Radice, pur dando
l’impressione di esaltare il soggetto, togliendolo da una posizione passiva e collocandolo
in un ruolo attivo, non era in grado di suggerire niente di nuovo per il rinnovamento della
didattica, che finiva per appiattirsi su metodi
banali, che esaltavano la figura del maestro o
del docente e imponevano agli allievi ruoli
passivi. Questi ruoli passivi si concretizzavano
nella prassi come atteggiamenti di inerzia in
cui i bambini e i ragazzi finivano per essere
obbligati a memorizzare cose dette a scuola o
lette nei libri, che in genere erano poco capite
ed avevano scarsa incidenza nella formazione
della cultura personale.
Una via nuova per capire i processi cognitivi fu aperta, invece, nell’ottocento in clima
positivistico . Dopo una prima fase in cui i
positivisti consideravano l’essere umano
come una struttura biologica materiale del
tutto passiva rispetto alle influenze esterne
esercitate attraverso i sensi, in seno al Positivismo nacquero le dottrine evoluzionistiche
per opera di Darwin, di Fallace e di Spencer.
Queste dottrine cominciarono a considerare
l’uomo come un vivente tra i viventi impegnato a modificare adattivamente non solo le sue
strutture organiche, ma anche i suoi comportamenti. Il Positivismo, diventando evoluzionismo, vedeva i viventi, e fra essi l’uomo, come
esseri intensamente attivi, perché minacciati
continuamente in quella che veniva chiamata
lotta per la sopravvivenza, concetto che era
stato messo in luce tra la fine del settecento e
l’inizio dell’ottocento da studiosi inglesi, con
Thomas Robert Malthus, che aveva spiegato che l’incremento demografico tende a ridurre la disponibilità dei beni di consumo con la
conseguenza che tra gli uomini e tra i viventi
si sviluppa e cresce una continua lotta per l’esistenza. Gli evoluzionisti sostennero che
questa lotta costituisce una selezione per la
quale in ogni specie tendono a sopravvivere
gli elementi più adatti, più capaci, più dotati,
più forti. Questa selezione comporta, quindi, il
di
CELESTINO TESTA * -
potenziamento delle doti degli individui di una
specie e di una specie nel suo insieme. Tra le
doti che i viventi posseggono per sopravvivere
nella lotta per l’esistenza, c’è anche la capacità cognitiva e, quindi, l’intelligenza: Così,
soprattutto per opera di Spencer, la capacità
cognitiva cominciò ad essere considerata
come una capacità biologica, come una capacità attiva, ma non nel senso vuoto dell’idealismo, bensì in un senso molto preciso riferito
alle attività concrete di organizzazione delle
azioni degli individui e dei gruppi in funzione
di realizzazioni difensive e di acquisizioni di
beni di sussistenza. Così via via, attraverso la
biologia intesa non in senso meccanicistico,
bensì in senso funzionalistico, si è delineato il
cognitivismo del nostro tempo, che ha fatto
della conoscenza un processo attivo del
vivente umano, che affronta i rischi e le difficoltà dell’ambiente e si proietta verso un futuro individuale e collettivo, delineando itinerari
per il proprio progresso e per il progresso
delle nuove generazioni.
2. - Le struttur e
biologiche dell’apprendimento
a concezione odierna dell’apprendi-
L
mento, che si raccomanda per la
serietà e scientificità come per la sua
utilità quale guida dei procedimenti
didattici dell’infanzia, è una concezione di tipo
biologico e funzionalistico.
Essa costituisce uno sviluppo di idee maturate
a partire dagli scritti di Spencer, Wallace e di
Darwin, secondo cui la conoscenza è una funzione di tutti i viventi ordinata a permettere in
ognuno l’organizzazione delle reazioni rispetto
all’ambiente al fine di sopravvivere e prosperare.
Questa funzione nei viventi meno complessi
ed evoluti è molto semplice e conferisce loro
modeste capacità di organizzazione dei propri
comportamenti, per cui essi rimediano ai bisogni della sopravvivenza puntando più verso la
sopravvivenza della specie che dell’individuo,
più fronteggiando i rischi di esistenza mediante
la riproduzione, che mediante elaborazioni
cognitive.
Per esempio i batteri, i protozoi, gli insetti,
non disponendo di strutture cognitive molto
elaborate, fronteggiano la minaccia di estinzione della loro specie moltiplicandosi con estrema rapidità. Salendo nella scala della complessità organizzativa degli individui viventi, soprattutto quando si entra nell’ambito dei mammiferi, si riduce relativamente la rapidità di riproduzione, mentre crescono le capacità cognitive.
Nelle specie più evolute di mammiferi si può
constatare che, dove le capacità cognitive sono
meno potenziate, è potenziata la capacità riproduttiva. La riproduzione rapida se salva la specie o la sottospecie, sacrifica facilmente l’individuo, caricandolo di disagi e sofferenze. Ma la
capacità stessa di soffrire è un mezzo di difesa,
perché tende ad allontanare da rischi e pericoli,
i quali possono portare alla morte, e stimola
strategie di miglioramento comportamentale,
che costituiscono potenziamenti cognitivi.
I processi cognitivi possono essere constatati
già in viventi molto in basso per sviluppo e
complessità. Un lombrico, introdotto in un tubo
che abbia ad una estremità un tubo trasversale,
in modo da formare una croce, se l’introduzione è avvenuta da una estremità dei bracci con
la parte anteriore verso il proseguimento del
tubo, si sposta fino a giungere all’incrocio dei
tubi. Se a questo punto gli viene fatta percepire
una leggera scossa elettrica dal lato di uno dei
bracci posti in maniera trasversale, esso devia
nell’altro braccio. Se si ripete questa esperienza
per alcune volte successive, si constaterà che il
lombrico, introdotto nel tubo e giunto all’incrocio, devia come deviava prima anche senza
ricevere la scossa elettrica.
Questo vuol dire che c’è stato un apprendimento. Esperimenti simili, effettuati anche a livello di animali semplici, come i lombrichi, mostrano che un po’ tutti i viventi possono apprendere,
cioè possono ricordare il comportamento col
quale hanno reagito ad una certa situazione e
possono ripetere quel comportamento anche