Italiano dell'uso medio o italiano neostandard In tutte le tradizioni linguistiche, accanto alla norma linguistica consacrata dalla tradizione, tende a formarsi un uso più flessibile, proprio dei registri informali del parlato, che interpreta le esigenze comunicative di una fascia media di parlanti e che tende ad accogliere una serie di tratti e di innovazioni un tempo oggetto di sanzione negativa. In ambito italiano a questa varietà Francesco Sabatini (1985) ha assegnato il nome di italiano dell'uso medio, mentre Gaetano Berruto (1987) ha parlato di neostandard: con tali scelte terminologiche i due studiosi tendono a sottolineare rispettivamente l'ampia convergenza della comunità linguistica su questa modalità espressiva e la funzione di nuovo riferimento normativo che in prospettiva essa viene ad assumere1. In merito a tale varietà, mi sembra in ogni caso condivisibile la seguente valutazione espressa da Alberto Sobrero: Il neo-standard "è diffuso nelle classi medio-alte e nella parte più acculturata della popolazione, ed è realizzato nel p a r l a t o più che nello scritto. L'etichetta di neo-standard si riferisce al fatto che su questo livello, oggi in piena evoluzione, troviamo un gran numero di forme che via via "risalgono" dai livelli inferiori (sub-standard): prima relegate nell'area delle forme "colloquiali" (o, come dicevano i vocabolari, "triviali"), ora si diffondono e sono accettate nella lingua nazionale. Lo standard così, a sua volta estende i propri confini" (Sobrero 1992, p. 5). Sulla base dei numerosi studi ormai disponibili, può essere elaborata una lista di tratti che sono da ritenere costitutivi del cosiddetto italiano dell'uso medio o “italiano parlato nazionale” o italiano neo-standard. Sabatini aveva in un primo tempo (paragrafo 2 del saggio apparso nel 1985) elencato in tutto 35 tratti che successivamente (1990) avrebbe ridotto a 14. Circa i livelli di analisi interessati, la maggior parte di tali peculiarità appartengono al dominio morfosintattico. Nonostante le riserve espresse da Arrigo Castellani, il quale non vede nell’insieme dei fatti addotti a sostegno dell’esistenza di una nuova grandezza espressiva “nulla che possa servire alla definizione d’una varietà nazionale 1 Del "nuovo standard italiano ... in formazione" si occupa anche Mioni 1983, il quale adotta l'espressione italiano tendenziale per definire la varietà propria di quei parlanti, muniti di competenze di basso livello, che si sforzano di raggiungere le forme linguistiche proprie dello standard. Stando all'analisi di Alfonzetti 2002, p. 33 sarebbe pertanto impropria l'identificazione, invalsa in letteratura, dell'italiano tendenziale con l'italiano standard o dell'uso medio; l'espressione mira piuttosto a caratterizzare la ‘tendenza‘ dei parlanti semicolti di approssimarsi alla norma di maggior prestigio. 1 d’italiano diversa dall’italiano normale o italiano senza aggettivi” (Castellani 1991, p. 256), si è ormai consolidata la diffusa convinzione che la fisionomia dell’italiano abbia conosciuto negli ultimi tempi una riconfigurazione tale da permettere il riconoscimento di un registro medio della lingua distinto dalla norma tramandata dalla tradizione. FONETICA Appartengono al parlato del neostandard una serie di opzioni che risolvono alcune variabili foniche in direzione divergente da quella prevista in sede normativa: ad esempio la sonorizzazione della s intervocalica, che nello standard ha una ben definita distribuzione diatopica, si è estesa oltre i limiti che le sarebbero propri. MORFOLOGIA 1. Riorganizzazione del sistema pronominale Il sistema pronominale è interessato da tutta una serie di ‘regolarizzazioni’ (così si esprime Berretta 1988) e riduzioni. • impiego di lui, lei, loro in funzione di pronomi soggetto (al posto rispettivamente di egli/ella/esso/essa/essi, considerati ‘aulici’ e relegati alla dizione formale o allo scritto) Lui è venuto a trovarmi Lei mi ha raggiunto al mare Loro ci invidiano • sovraestensione di te come pronome soggetto La norma prescrive che, come pronome soggetto di 2. persona singolare, si usi tu ammettendo il te soltanto in frasi coordinate del tipo io e te, Maria e te (il registro colloquiale preferisce tuttavia io e te in Toscana, nell'Italia centrale, in Sardegna e nell'Italia settentrionale; il tratto è estraneo all'Italia meridionale). Si possono considerare al di sotto dello standard, anche se in via di risalita, forme quali: vieni anche te hai ragione te l'hai detto te • gli unificato 2 Con questa espressione si intende la diffusione di una forma pronominale indifferenziata al dativo, dotata di "valore plurimo" (Rossi, Parole dello schermo, pp. 108-109), ossia valida sia per il masch./femm. singolare sia per il plurale. Nei registri meno sorvegliati, in alternativa al tipo gli, la funzione di pronome generalizzato è affidata talora a ci. Es. Parlaci tu, ti prego. Meno accettabili casi del tipo: Ho visto Arianna e ci ho detto che ... ove tale scelta va interpretata piuttosto come forma substandard (propria dell’italiano popolare o italiano dei semicolti) piuttosto che come neostandard. 2. Riorganizzazione del sistema dei dimostrativi (deittici) • A fronte di un sistema a base toscana che comporta tre tipi con funzionalità distinte (questo/codesto/quello), nell'italiano dell'uso medio si assiste a un processo di semplificazione che implica la perdita di codesto (sostituito, a seconda dei casi, da questo o da quello). • regressione del pronome neutro ciò sostituito da questo/quello Tutto questo è vero (invece di "tutto ciò è vero") 3. Selezione di congiunzioni L'italiano dell'uso medio tende a semplificare il ricco patrimonio di congiunzioni proprio dell'uso letterario, incanalando le scelte verso un numero limitato di opzioni. Si osserva ad esempio la specializzazione di “mentre” con valore avversativo a scapito di quello temporale; la prevalenza, tra le concessive, di anche se rispetto a sebbene e quantunque; la diffusione, tra le causali, di dato 3 che, dal momento che (in netto regresso il poiché) e, tra le interrogative, di come mai e com'è che in sostituzione di perché (in frasi quali "Com’è che non mi hai salutato?"; esempio segnalato da Sobrero 2003, p. 273). 4. Semplificazione del sistema verbale Il neostandard è caratterizzato dalla riorganizzazione nell'uso dei tempi e dei modi del verbo rispetto allo standard. • Cominciando dai t e m p i v e r b a l i , si assiste a un rimodellamento che porta a un sistema semplificato di base ridotto al presente, al passato perfettivo (che può essere, a seconda dei condizionamenti diatopici, il passato prossimo o il passato remoto), all'imperfetto e al trapassato prossimo utilizzato come ‘tempo anaforico’ (è quanto fa notare Berretta 1993, p. 209). In particolare è degno di nota il fatto che il presente, accompagnato magari da avverbi come poi ecc., vada ad occupare sempre più lo spazio proprio del futuro: L'estate prossima vado in vacanza al mare Domani vado poi a Torino Dal canto suo il futuro viene impiegato "per indicare azioni su cui si fanno delle ipotesi e sulle quali si hanno dei dubbi" (Coveri - Benucci - Diadori 1998, p. 157), secondo un uso che è stato definito ‘epistemico’: Avrà trovato un ingorgo, per questo non è ancora arrivato Luisa non risponde, sarà uscita Anche l’imperfetto, al di là della funzione propriamente temporale, viene esteso ad usi controfattuali (come espressione di cortesia, nel periodo ipotetico ecc.). • Per quanto riguarda poi i m o d i , la tendenza più significativa è quella che conduce alla sostituzione del congiuntivo con l'indicativo. La ritroviamo ad esempio nel cosiddetto ‘imperfetto ipotetico’ o anche ‘imperfetto dei mondi possibili’ (proposizioni ipotetiche dell'irrealtà): Se lo sapevo, non ci venivo (= "Se l'avessi saputo non ci sarei venuto") Se arrivavamo prima, non perdevamo il treno (= "Se fossimo arrivati prima, non avremmo perso il treno") Analoga preferenza verso l'indicativo a scapito del congiuntivo si coglie nelle frasi "dipendenti da verbi di opinione, o da verbi di sapere e dire al negativo" (Cortelazzo): 4 Penso che ormai non viene più nelle interrogative indirette: Mi chiedo come può essere accaduto (= "come possa essere accaduto") e nelle cosiddette relative restrittive: C'è qualcuno che mi può dare un consiglio? • Anche l a d i a t e s i è sensibile al neostandard attraverso la tendenza alla sostituzione del passivo con le corrispondenti forme attive. 5. Il ci ‘attualizzante’ Questo tratto si ritrova in quelle forme verbali (specialmente averci) in cui la funzione del clitico è ‘desemantizzata’, ha perso cioè l'originario significato locativo Non ci ho tempo ci ho in vista un affare importante ci ho voglia di uscire noi non ci abbiamo la televisione 6. Il che polivalente Nelle interazioni colloquiali la congiunzione che estende il suo impiego a tutta una serie di funzioni che in una lingua più sostenuta più sostenuta vengono invece assolte da altri connettivi specializzati muniti di maggior precisione. • Il che opera come generico introduttore di frase subordinata (che ‘complementatore’ o connettivo generico) con valore causale, consecutivo, temporale, finale ecc. non tardare che (= perché) la cena è pronta mangia che ti fa bene aspetta che salgo in macchina aspetta che te lo spiego divenne tifoso che aveva appena sei anni 5 • Nell'ambito del pronome relativo, una forma invariante che tende a sostituire i tipi, propri dei casi obliqui, introdotti da articolo (il quale, i quali) o preposizione (di cui, del quale, dei quali ecc.). Quel mio amico che gli hanno rubato la macchina Il giorno che ti ho incontrato La penna che io scrivo è nera È un tipo che è meglio non fidarsi Ho visto un lago che (dentro) c'erano tanti pesci La casa che ci sei stato ieri 7. Forme ridondanti • rafforzamento delle congiunzioni avversative ma però mentre invece • uso ridondante del ne di questo ne abbiamo già discusso Una sua particolare realizzazione è quella della ‘relativa con copia pronominale’ (Molinelli 2002; Valentini 2002, da cui sono tratti i due esempi qui riportati) ci troviamo faccia a faccia con notizie, con fatti di cui non ne avremmo mai sospettato l’esistenza A questo tipo di quotidiano, dal quale non ne trae vantaggi nemmeno la classe politica, si contrappone quello dell’attenzione allargata • uso ridondante del ci ho un’amica a cui ci tengo • uso enfatico del doppio pronome dativo a me mi, a te ti ecc. a me mi piace di più la musica leggera • rafforzamento dei deittici questo e quello (questo qui, quello lì) • Può essere fatta rientrare tra le ridondanze la crescente preferenza per l'introduzione pleonastica di strutture analitiche del tipo quello/-a che è, quelli/6 e che sono impiegate in maniera tale da formare frasi pseudorelative funzionalmente superflue ma pragmaticamente avvertite come necessarie: ora passerò in rassegna quelle che sono le tendenze della critica letteraria moderna vorrei esprimere quello che è il mio disagio di fronte a una situazione che non condivido SINTASSI 8. Ordine marcato di costituenti dell’enunciato (sintassi segmentata) A livello sintattico si colgono, soprattutto nel parlato conversazionale, modificazioni dell'ordine dei costituenti della frase che, con l’intento di conferire loro una speciale enfasi comunicativa, possono essere ridislocati, ossia spostati in una collocazione ‘marcata’ rispetto a quella neutra (SVO: Soggetto Verbo Oggetto). Si definirà s e g m e n t a t o ogni enunciato che comporti una nuova dislocazione, ossia il riposizionamento dei propri elementi a sinistra o a destra rispetto alla frase canonica. • Dislocazione a sinistra Si ha la cosiddetta ‘dislocazione a sinistra’ quando un elemento frasale, diverso dal soggetto, va ad occupare la posizione iniziale in maniera tale da acquistare un particolare rilievo. Ad essere tematizzato (si dice anche topicalizzato)2 è spesso l'oggetto diretto, come vediamo negli esempi a) – e); ma non mancano casi (caratterizzati da "un valore più marcatamente colloquiale", Bonomi 2003, p. 154), in cui la dislocazione investe un complemento indiretto, come possiamo osservare in f) – i). a) I debiti, bisogna pagarli b) Questi giorni, li ricorderò per sempre c) Questo libro, non lo avevo mai letto d) Gli occhiali, li ho trovati sul tavolo e) Il giornale lo compro io ≠ Bisogna pagare i debiti ≠ ricorderò per sempre questi giorni ≠ Non avevo mai letto questo libro ≠ Ho trovato gli occhiali sul tavolo ≠ Io compro il giornale f) A Marco io (gli) ho regalato una cravatta g) Di questo è meglio se ne riparliamo più tardi h) Di mafia a Milano se ne parlava i) A Padova io ci vado spesso 2 A proposito di questa terminologia, bisogna partire dal presupposto che, nelle frasi standard, il soggetto costituisce il tema dell'enunciato, ossia l'elemento dato per noto; mentre il predicato rappresenta l'elemento nuovo o rema. Sinonimi anglofoni sono rispettivamente topic (= tema; da qui topicalizzazione, elemento topicalizzato) e comment (= rema). 7 Come si vede dagli esempi, la dislocazione a sinistra può comportare la ripresa pronominale, ossia la ripresa a n a f o r i c a pleonastica dell'elemento dislocato mediante un pronome oggetto (lo, li) o un pronome dativo (gli), o attraverso particelle quali ci e ne. Una particolare variante delle dislocazioni a sinistra è costituita dalle cosiddette costruzioni a ‘tema sospeso’ (in particolare si parla di ‘soggetto sospeso’ o nominativus pendens; cfr. in particolare Berretta 1995/2003, pp. 179181), così chiamate perché l’elemento ’tematizzato’ (ossia enfatizzato) figura in posizione iniziale come componente autonomo, slegato morfosintatticamente dal resto della frase che prosegue con un soggetto diverso. Gianni, non gli ho detto nulla Furti, ne ho subiti tanti Soldi, non ne arrivano Le lezioni, le comincio la prossima settimana La ferita, mi tolgono i punti domani Uscire, non se ne parla • Dislocazione a destra È praticata anche l'alternativa della ‘dislocazione a destra’, in cui l'elemento posto in rilievo è collocato dalla parte opposta della frase, cioè a destra, in maniera tale da costruire una sequenza rema > tema diversa dall’ordine non marcato tema > rema. Il tratto caratterizzante della costruzione è “la doppia presenza dello stesso costituente” una prima volta anticipato pleonasticamente sotto forma pronominale (anticipazione c a t a f o r i c a ) e poi ribadito da un gruppo nominale pieno isolato a destra “al di fuori del nucleo frasale” (si cita da Berruto 2012a [1986], p 233). la accompagno io, la bambina a scuola l'ho comprato, il giornale non la voglio, la pizza le mangio, le mele lo vuole un caffè? eccolo che arriva, il ritardatario. • Frase scissa Si denominano ‘scisse’ quelle particolari frasi la cui struttura è divisa in due parti, la prima costituita da una enunciazione contenente il verbo “essere” e la seconda da una pseudorelativa (esplicita o implicita). Le frasi scisse obbediscono a una strategia sintattica diretta a evidenziare "il punto di maggiore salienza comunicativa della frase, l'elemento su cui si concentra maggiormente 8 l'interesse del parlante e che fornisce la massima quantità di informazione nuova" (G. Berruto, Corso elementare di linguistica generale, p. 77); il segmento frasale “che il parlante ritiene essenziale per l’interlocutore” (Panunzio 2010) e su cui focalizza l'attenzione si definisce focus informativo. è Gianni che ha fatto le fotocopie = Gianni ha fatto le fotocopie sono soprattutto gli uomini a praticare questo sport è il tuo gatto a miagolare Una particolare tipologia di frase scissa è la frase scissa temporale è da un'ora che cerco di chiamarti è la prima volta che ti vedo preoccupato = cerco di chiamarti da un'ora = ti vedo preoccupato per la prima volta Si possono formare anche delle cosiddette frasi ‘pseudoscisse’ che si differenziano dalle precedenti per il fatto che la porzione di testo contenente il verbo “essere” è collocata dopo la pseudorelativa (cfr. Berretta 1995/2003). ad inaugurare la fiera è intervenuto il ministro Quello che miagola è il tuo gatto Tali frasi si differenziano dalle precedenti per il fatto che non si produce una vera e propria scissione sintattica e, diversamente da quanto succede nelle frasi scisse, l’elemento focalizzato occupa qui la posizione finale. • Strutture presentative Si intende per struttura presentativa una sottospecie di frase scissa per effetto della quale l'enunciato si distribuisce in due segmenti, il primo dei quali guadagna particolare focalizzazione. Se ne conoscono diverse varianti: c'è presentativo Il primo segmento frasale è isolato dal contesto e incastonato nella struttura c'è ... che; il secondo consiste in una frase introdotta da che, da considerarsi come una ‘pseudorelativa’. c'è Mario che ti aspetta = Mario ti aspetta c'è uno studente che chiede informazioni = uno studente chiede informazioni c'è un tale che mi vuole vendere uno stereo = un tale mi vuole vendere uno stereo • risalita dei pronomi personali clitici me lo puoi prestare? preferito a volte rispetto a "puoi prestarmelo?" • Il ma ad inizio di frase 9 Va sempre più diffondendosi l'uso del ma ad inizio di frase, anche dopo una pausa forte, con accezione enfatica, comunque diversa da quella oppositiva, avversativa tipica di tale congiunzione (uno studio importante su questo tratto si deve a Sabatini 1997). Ma tu verresti con me al cinema? Ma lei l'aranciata l'aveva pagata? (sentito in uno spot pubblicitario apparso qualche anno fa in televisione) Ma che bella notizia! Analoga tendenza si riscontra con la congiunzione e, che ricorre con sempre maggiore frequenza ad inizio di frase specialmente nei titoli giornalistici (per una analisi del significato retorico di queste strategie testuali cfr. Loporcaro 2005, p. 4 ss.). 9. Concordanze a senso I casi più comuni sono: la concordanza a senso di verbo plurale con soggetto collettivo Un centinaio di spettatori furono sopraffatti dalla calca Il mancato accordo del verbo con soggetti posposti Ci vorrebbe dei politici più attenti alle esigenze del paese Ce n’è tanti altri Mi duole le spalle Gli piace le caramelle 10. Prevalenza della paratassi sull'ipotassi "Rispetto alle costruzioni complesse, ricche di subordinate, dell'italiano (colto) scritto, nel parlato prevalgono la paratassi, la giustapposizione di frasi, la coordinazione con connettivi che spesso hanno anche una funzione testuale" (Antelmi 1998, p. 55). LESSICO E FORMAZIONE DELLA PAROLA Come si sa il lessico di ogni lingua è esposto a incessante rinnovamento dovuto al bisogno di trovare soluzioni espressive sempre nuove che pongano rimedio al logoramento di molte unità lessicali. Prescindendo in questa sede dalla dimensione diciamo così fisiologica di questo fenomeno, ci soffermeremo sull’adozione di forme lessicali fino a qualche tempo fa ritenute inaccettabili le 10 quali cessano di essere stigmatizzate e su una serie di espressioni formulari e idiomatismi sempre più diffusi. - preferenza per troppo al posto di molto (si va facendo strada nella lingua dei giovani; cfr. Renzi 2003, p. 50) troppo bello, troppo carino, troppo forte - intensificazione dell’uso di super- ed iper- come prefissi aventi valore di superlativo (Renzi 2003, p. 50) superricco, iperzelante ecc. - uso fuori misura di superlativi carinissimo - Per converso circolano spesso dei diminutivi affettati e leziosi attimino, firmetta, scontrinetto - dai come “interiezione di meraviglia”, diversamente dall’uso comune che la ammette solo come espressione di incoraggiamento (cfr. Renzi 2003, p. 50): Ma dai! - piuttosto che con valore disgiuntivo È ormai largamente diffusa la distorsione funzionale nell'uso di tale forma avverbiale (ben illustrata da Bazzanella - Cristofoli 1998; cfr. anche Castellani Polidori 2002, p. 191 ss.). Ammissibile nella norma solo per introdurre una comparazione preferenziale fra due concetti fortemente contrapposti e alternativi (in frasi come "piuttosto che il caffé, preferisco una camomilla"; "piuttosto che uscire con te, me ne sto a casa"), nel neostandard entra invece a far parte di sequenze in cui i diversi elementi appaiono presentati sullo stesso piano, vengono cioè giustapposti anziché opposti: mi colma di regali: fiori, dolciumi, piuttosto che gioielli ecc. ci sono accoglienti villaggi turistici, nel Mar Rosso, piuttosto che in Tunisia piuttosto che in Grecia - quant’altro come formula conclusiva 11 Si tratta di un tecnicismo del linguaggio burocratico (cfr. Castellani Polidori 2002, p. 175) che va conoscendo una sempre maggiore diffusione nel parlato e si è anche affacciato nella scrittura giornalistica andando ad occupare lo spazio del tradizionale eccetera. - uso dell’avverbio assolutamente con valore positivo Lo standard ammette l’impiego dell’avverbio assolutamente solo con valore negativo in contesti quali: "sono assolutamente contrario" o in risposte negative del tipo "ne vuoi?", "no, assolutamente". Negli ultimi tempi, per contro, si va imponendo lo stravolgimento semantico di questa forma avverbiale che nell’uso ormai corrente viene utilizzato come formula affermativa: "Ti piace?"; "assolutamente sì". Si tratta di un modulo espressivo anglicizzante (calcato su “Absolutely!”, “Positively yes!”, ecc.) che, osserva Maria Luisa Altieri Biagi “forse ha avuto la sua incubazione nell’ambiente lombardo dei giovani manager”: un’altra via di penetrazione potrebbe essere stata il parlato del doppiaggio cinematografico e televisivo. Con la stessa valenza positiva troviamo assolutamente anteposto ad aggettivi: È assolutamente meraviglioso! È’ assolutamente fantastico! Sei assolutamente elegante! (esempi tratti da Alfieri-Contarino-Motta 2003, p. 127). RIORGANIZZAZIONE DEGLI ALLOCUTIVI Anche il sistema dei saluti ha conosciuto negli ultimi tempi una drastica riorganizzazione della quale rendono conto tra gli altri Sabina Canobbio (2003: “Salve prof!”. A proposito degli attuali riassestamenti nel sistema dei saluti) e Pietro Janni (2006), che si sofferma sulla diffusione di Buona giornata, buona serata. 12