Parrocchia S. Teresa d`Avila – Il Vangelo di Luca (parte seconda

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Parrocchia S. Teresa d’Avila – Il Vangelo di Luca (parte seconda) – IXa catechesi (giovedì 30 gennaio 2014)
“INCONTRI CON CRISTO”
Anno Pastorale 2013-2014
IL VANGELO DI LUCA
(parte seconda)
IXa CATECHESI
IL MINISTERO AL SUO VERTICE
Cap. 15
Il ritorno del figliol prodigo – Rembrandt
(1666 ca, San Pietroburgo, Hermitage)
Cap. 15
(traduzione letterale)
1. Si stavano avvicinando a lui tutti i pubblicani e i peccatori per
ascoltarlo.
2. E i farisei e i dottori della legge mormoravano dicendo: «Costui
accoglie peccatori e mangia con loro».
3. Disse loro questa parabola dicendo:
4. «Quale uomo tra voi che ha cento pecore e, persa una di esse,
non lascia le novantanove nel deserto e va verso quella perduta
fino a quando non l'abbia trovata?
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Parrocchia S. Teresa d’Avila – Il Vangelo di Luca (parte seconda) – IXa catechesi (giovedì 30 gennaio 2014)
5. E, trovata(la), la carica sulle sue spalle gioendo
6. e, andato nella casa, convoca gli amici e i vicini dicendo loro:
"Gioite con me, poiché trovai la mia pecora, quella perduta".
7. Vi dico che così sarà gioia nel cielo per un solo peccatore
convertito, (più) che per novantanove giusti, i quali non hanno
bisogno di conversione.
8. O quale donna, che ha dieci dracme, se perde una dracma non
accende una lucerna e spazza la casa e cerca accuratamente
fino a che non l'abbia trovata?
9. E, trovata(la), convoca le amiche e vicine dicendo: "Gioite con
me, poiché trovai la dracma che perdetti".
10. Così, vi dico, si fa gioia al cospetto degli angeli del Dio per un
solo peccatore convertito».
11. Disse: «Un uomo aveva due figli.
12. E quello più giovane di essi disse al padre: "Padre, dammi la
parte della sostanza che (mi) spetta". Quello divise tra loro il
patrimonio.
13. E dopo non molti giorni, raccolte tutte le cose, il figlio più
giovane se ne andò di casa in una regione lontana e là dilapidò
la sua sostanza, vivendo in modo dissoluto.
14. Avendo egli speso tutto, ci fu una terribile carestia su quella
regione ed egli cominciò ad essere nella privazione.
15. E, andato, si unì ad uno dei cittadini di quella regione e lo mandò
nei campi a pascolare porci
16. e desiderava saziarsi delle carrube che mangiavano i porci e
nessuno gliene dava.
17. Tornato in sé disse: "Quanti salariati del padre mio abbondano
di pani, mentre io qui muoio di fame.
18. Alzatomi, andrò dal padre mio e gli dirò: Padre, peccai verso il
cielo e al tuo cospetto:
19. non sono più degno di essere chiamato tuo figlio: trattami (lett.
fammi) come uno dei tuoi salariati".
20. E, alzatosi, andò dal padre suo. Mentre egli era ancora lontano,
il padre suo lo vide e provò pietà e, corso, si gettò al suo collo
e lo baciò.
21. Il figlio gli disse: "Padre, peccai verso il cielo e al tuo cospetto:
non sono più degno di essere chiamato tuo figlio".
22. Il padre disse ai suoi servi: "Presto, portate la migliore (lett.
prima) veste e vestitelo e date (mettete) un anello nella sua
mano e calzari ai piedi
23. e portate il vitello, quello ingrassato, uccidete(lo) e, mangiando,
facciamo festa,
24. poiché questo mio figlio era un morto e rivisse, era perduto e fu
ritrovato". E cominciarono a fare festa.
25. Il figlio, quello più anziano, era in un campo e come, andando,
fu vicino alla casa, udì musiche e danze
26. e, chiamato (a sé) uno dei servi, domandò che cosa fossero
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queste cose.
27. Quello gli disse: "Il tuo fratello venne e il padre tuo uccise il
vitello, quello ingrassato, poiché lo riebbe sano".
28. Ma si adirò e non voleva entrare; invece il padre suo, uscito, lo
supplicava.
29. Quello rispondendo disse al padre suo: "Ecco, da tanti anni ti
servo e mai trasgredii un tuo comando e mai mi desti un
capretto per fare festa con i miei amici;
30. quando invece venne questo tuo figlio che divorò il tuo patrimonio
con prostitute, uccidesti per lui il vitello ingrassato".
31. Quello gli disse: "Figlio, tu sei sempre con me e tutte le mie cose
sono tue;
32. bisognava fare festa e gioire, perché questo tuo fratello era un
morto e (ri)visse, e (era) perduto e fu ritrovato"».
Commento al Vangelo
t)
Le tre parabole della misericordia (15, 1-32)
In questo capitolo Luca presenta tre parabole che hanno in comune la nota della
misericordia divina verso i peccatori, egli ci offre in tal modo l’intima natura, il
perfetto esempio della buona notizia: il vangelo nel vangelo. Gesù accoglie i peccatori
e mangia con loro e questo gli procura critiche e mormorazioni. E’ questo uno dei
punti di costante tensione fra Gesù e i suoi avversari, come tutto il vangelo testimonia.
Un primo esempio lo abbiamo già trovato in 5, 29-32 (la chiamata di Levi).
L’annotazione introduttiva alle tre parabole del capitolo 15 ricorda che
l’accoglienza dei peccatori era un comportamento abituale di Gesù, come
suggeriscono i verbi all’imperfetto: “Si facevano vicini a lui tutti i pubblicani e i
peccatori”. Ma si tratta di un comportamento che spesso irrita i giusti: non soltanto
quelli del tempo di Gesù (“scribi e farisei mormoravano”), ma anche i cristiani
successivi, come Luca spesso ricorda negli Atti degli Apostoli (11,13). Non è che i
farisei escludessero definitivamente i peccatori, volevano però che il comportamento
di Dio nei loro confronti fosse severo e che, di conseguenza, i peccatori per ritornare
nella comunità dovessero pagare un prezzo di penitenza, di opere e di osservanze. Non
accettavano dunque il comportamento benevolo di Gesù, che rivela il vero volto
del Padre, che attende i peccatori, li cerca e gioisce del loro ritorno. Ma a volte i
“giusti” hanno invidia di questa misericordia di Dio e ne restano irritati: vorrebbero un
altro tipo di padre, più severo, più giudice, meno padre.
In tutte e tre le parabole viene messa in evidenza la gioia di Dio per la conversione
del peccatore.
1) Nella conclusione della prima si legge: “Ci sarà più gioia in cielo per un
peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza”.
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2) Nella conclusione della seconda: “C’è gioia davanti a Dio per un solo
peccatore che si converte”.
3) Nella terza parabola manca la parola gioia, però si parla di festa: “Facciamo
festa, poiché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita”.
Dunque l’attenzione delle parabole si concentra sulla gioia di Dio per la
conversione del peccatore, non sull’azione del peccatore che si converte. Si racconta
ciò che prova Dio, non ciò che il peccatore deve fare, il discorso è teologico non
morale. La novità della rivelazione evangelica riguarda in primo luogo il
comportamento di Dio (un Dio che cerca il peccatore e gioisce del suo ritrovamento),
non anzitutto le modalità della conversione dell’uomo.
Il pastore e la pecora
La parabola della moneta perduta e ritrovata (15, 8-10) è meno importante delle
altre due: ripete semplicemente la prima, non aggiungendovi nulla. Diverso è invece il
caso della parabola del pastore e della pecora (15, 4-7). Pastore e gregge sono un tema
classico dell’AT. Il ritrovamento della pecora smarrita è un tratto abituale della
salvezza: Mi 4, 6-7; Ez 34, 11-16, Ger 23, 1-4. Dio è il pastore che si oppone ai capi
del popolo che sono “cattivi” pastori: cercano e difendono se stessi anziché servire il
gregge e avere compassione di coloro che si smarriscono.
Questa parabola, oltre allo sfondo veterotestamentario, ha anche un parallelo in
Matteo (18, 12-24), la cui prospettiva, però, è molto diversa. Matteo non inserisce la
parabola in una polemica con i farisei, ma all’interno di una regola di comportamento
per la comunità. Non insiste particolarmente sulla gioia del ritrovamento, ma sulla
ricerca da parte del pastore. Così il punto di vista di Matteo si chiarisce: un invito alla
comunità ecclesiale, e in particolare ai suoi responsabili, perché vadano alla ricerca
degli smarriti, imitando in questo il Signore Gesù. Luca, invece, come già abbiamo
detto, racconta la gioia di Dio nel ritrovare la pecora.
Il Padre e i due figli
Da qualunque angolatura si guarda la parabola del Padre e dei due figli (15, 1132), ci si accorge che al centro c’è sempre la figura del padre, che dà unità all’intera
narrazione. Il punto su cui la parabola concentra l’attenzione è come Dio si pone di
fronte ai due figli – il peccatore e il giusto – e come i due figli si pongono davanti a
Lui. In ambedue i casi, c’è un netto contrasto; qui sta la novità della teologia di Gesù.
E’ in gioco il vecchio e il nuovo, il vino e gli otri, non c’è spazio per alcun rattoppo.
L’attenzione, dunque, indugia sulla figura del padre. Egli non cessa di amare il
figlio che si è allontanato e continua ad attenderlo. A lui non interessa che il figlio gli
abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano, a disagio.
Quando il figlio ritorna, il padre gli corre incontro e gioisce del suo ritorno; quel figlio
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deve subito capire che nulla è cambiato nei suoi confronti: è un figlio, come sempre e
quella casa è la sua casa. E’ questo il vero volto di Dio, il volto di un padre e basta, che
Gesù ha inteso rivelare con la sua incondizionata accoglienza dei peccatori.
Il figlio minore esce di casa non perché ha bisogno di lavoro (il padre è ricco, ha
campi e braccianti), ma perché vuole organizzarsi una vita indipendente. Lo stare in
casa gli pesa come una schiavitù. Un vero padre è amore, ma è sempre anche legge. E
questo può a volte insinuare nei figli che egli sia un padrone, anziché un padre. Il
peccato del figlio non è la vita libertina condotta lontano da casa. Questa è la
conseguenza di un peccato precedente e più profondo, il peccato di pensare alla casa
come a una prigione, la presenza del padre come ingombrante e mortificante e
l’allontanamento dal padre come libertà. Questo è il vero peccato, la radice di tutte le
infedeltà.
Ma è proprio con la partenza da casa che inizia la degradazione: una vita
disordinata, poi la fame, poi il servizio presso un padrone pagano, poi l’umiliazione di
pascolare i porci. Questo disagio del figlio peccatore non è un castigo inflitto dal padre
(o da Dio), ma è una situazione in cui il figlio stesso si è posto. Un disagio che serve
per risvegliare la sua coscienza e difatti il cammino di ritorno inizia con un mutamento
interiore. Questo figlio non conosce ancora suo padre: è convinto di aver perso l’amore
del padre e che debba di nuovo meritarselo lavorando come un servo. E invece il padre
non ha mai smesso di amarlo, e quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia
neppure parlare: il suo amore è prima del pentimento del figlio. Il padre è
completamente diverso da come il figlio immaginava. La veste più bella, l’anello al
dito, i calzari sono tutti segni dell’essere figlio. Il padre glieli offre prontamente, ma
non per dirgli: sei di nuovo mio figlio, ma per dirgli: lo sei sempre stato.
Il figlio maggiore, anziché godere della gioia del padre, ne prova irritazione. La
gioiosa accoglienza riservata al fratello minore gli dà l’amara sensazione che la sua
fedeltà di rimanere in casa sia del tutto sprecata. Se il peccatore è trattato in quel
modo, a che serve essere giusti? Questo figlio giusto e osservante non conosce suo
padre e ragiona come se la fedeltà fosse un peso e la compagnia del padre una fatica.
Assomiglia agli scribi e farisei che mormoravano perché Gesù accoglieva i peccatori.
Lo stesso amore che ha spinto il padre a correre incontro al figlio minore, lo
spinge ora a uscire e a pregare il figlio maggiore di lasciar perdere le proprie
rimostranze e di far festa insieme. Il padre vorrebbe riunire i due figli, unendoli a sé e
tra di loro. Vorrebbe che scoprissero la sua paternità e la loro fraternità. Così è Dio.
Il figlio maggiore si è lasciato convincere? E’ entrato in casa a far festa? Non lo
sappiamo. La conversione del giusto è, a volte, più difficile di quella del peccatore.
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